Olaf Breidbach (Friedrich Schiller-Universität, Jena)
Francesca Castellani (IUAV, Venezia) Flavio Fergonzi (Scuola Normale Superiore di Pisa) Maria Grazia Messina (Università degli studi di Firenze) Beat Wyss (University of Arts and Design, Karlsruhe)
I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer review
ARCHETIPI DEL FEMMINILE Rappresentazioni di genere, identità e ruoli sociali nell’arte dalle origini a oggi a cura di Alessandra Buccheri, Giulia Ingarao e Emilia Valenza
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L’editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare
gli aventi titolo rispetto ai diritti delle immagini riprodotte. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni. Indice dei nomi e lettura dei testi a cura di Felicia Manasseri. INDICE
Prefazione 7
arChetiPi del femminile. raPPreSentazioni di genere, identità
e ruoli SoCiali nell’arte dalle origini a oggi 11 Alessandra Buccheri, Giulia Ingarao, Emilia Valenza
Self-PortraitS, Self-faShioning and the language of thingS:
SofoniSba anguiSSola & lavinia fontana 21 Sara F. Matthews-Grieco
femminile bifronte: Santa Caterina d’aleSSandria
PrediCatriCe e SPoSa 39 Alessandra Buccheri
la femminilità trionfante: il SurrealiSmo, leonor fini e la Sfinge 55
Alyce Mahon
la madre e il Suo doPPio: iConografia del femminile
nell’immaginario SurrealiSta 83 Giulia Ingarao
ritratti di Signore. riCerChe e raCConti PerSonali nei fototeSti
femminili: da lalla romano a margaret bourke-White 107 Valeria Cammarata
dirSi a «Partire da Sé»: arChetiPi, Creatività e generazione
SimboliCa del femminile fra gli anni ’70 e ’90 del ’900 133 Mariella Pasinati
el CuerPo Sin amarraS. una déCada de tranSfeminiSmoS
y SuS manifeStaCioneS artíStiCaS en la eSPaña del Siglo XXi 155 Juan Vicente Aliaga femminile-animale: PolitiChe della Cura oltre l’umano 175 Federica Timeto
le matriarChe. arChetiPi del femminile e art brut in SiCilia 193
Eva di Stefano
fotografe in medioriente: zoom Sulla Condizione femminile
dentro e fuori il velo 205 Emilia Valenza
muSei e moStre al femminile: l’alleStimento Come ComuniCazione
di SenSo 229 Agnese Giglia
eStranea e familiare. la SiCilia Come oSServatorio Per riviSitare
arChetiPi e ruoli della tradizione 247 Una testimonianza dell’Artista Anne-Clémence de Grolée
indiCe dei nomi 265
PREFAZIONE mario zito Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo
Come direttore di un’istituzione antica e prestigiosa quale l’Ac-
cademia di Belle Arti di Palermo, accolgo con grande soddisfazione la pubblicazione di questo volume curato da tre studiose e docenti di storia dell’arte. L’aspetto teorico è una parte fondamentale della formazione nelle Accademie italiane, i cui diversi percorsi formativi si costruiscono a partire dall’idea che ogni attività pratico-creativa abbia bisogno di essere sostenuta e accompagnata dalla specula- zione teorica. La crescita conoscitiva viene dunque costantemente alimentata da un dibattito attivo e critico tra i diversi ambiti della produzione artistica (grafica, pittura, scultura, decorazione, audio- video) e la sua Storia. L’argomento del volume, la ricerca degli “archetipi del femminile” nella cultura visiva storicizzata e contemporanea, è di estrema at- tualità, come attesta il grande interesse verso il tema, sollecitato e registrato dalla mostra La Grande Madre. Donne, maternità e potere nell’arte e nella cultura visiva, 1900-2015, curata da Massimiliano Gioni nel 2015 per la Fondazione Trussardi. Passata l’ondata rivoluzionaria del femminismo degli anni Set- tanta e Ottanta – che nel lavoro di molte artiste si è tradotto in ri- cerca simbolica della potenza generativa propria del femminile –, il dibattito si proietta oggi verso un orizzonte più ampio che spazia dai temi sociali di parità di genere fino a questioni di tradizione e identità. I saggi qui contenuti coprono diversi aspetti di questo vasto universo del femminile che non esclude il maschile ma piuttosto lo include attraverso il confronto e la differenza. Si parte dalla prima età moderna, con la vicenda biografica e professionale di due importanti artiste del Rinascimento, Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola (saggio di Sara Matthew Grieco, Siracuse University). Il testo che segue riguarda Santa Caterina d’Alessandria, figura complessa che evoca il femminile nel suo va- 8 Archetipi del femminile
lore archetipico, a cui è dedicato un piccolo ma prezioso oratorio
nella nostra città di Palermo (saggio di Alessandra Buccheri, Acca- demia di Belle Arti di Palermo). Dalla scrittura per testo e immagi- ni di Lalla Romano, interprete di un genere, quale il fototesto, che trova una dimensione preferenziale nel discorso al femminile (Vale- ria Cammarata, Università di Palermo), si arriva alla testimonianza diretta di un’artista contemporanea nel saggio che chiude il volume: Estranea e familiare. La Sicilia come osservatorio per rivisitare ar- chetipi e ruoli tradizionali del femminile, scritto da Anne-Clémence de Grolée, artista francese che da anni vive in Sicilia poiché nella cultura e nelle tradizioni dell’Isola ha trovato nutrimento per la sua ricerca plastica:
In Sicilia − spiega de Grolée − trovo costante ispirazione nel ricco
substrato culturale e antropologico. In effetti, ho attinto spesso al sug- gestivo serbatoio mitologico, così come alle molteplici tradizioni popo- lari ed usanze: un impasto sedimentato di reminiscenze precristiane e cattoliche, talvolta arabe. L’isola offre un inesauribile repertorio icono- grafico...
La nostra isola, come ricorda Eva di Stefano (Università di Paler-
mo) nel suo brillante intervento su alcuni artisti outsider siciliani, è infatti il luogo per eccellenza della memoria delle antiche divinità femminili del Mediterraneo. Non soltanto la Sicilia è uno dei più importanti centri di culto dell’antica Dea preistorica, ma, secondo la mitologia greca, è anche il luogo in cui si è consumato il ratto di Per- sefone che, sottratta alla madre Demetra, venne portata negli inferi dal futuro sposo Ade, fratello di Zeus. In un orizzonte mitologico, la Sicilia è quindi fulcro e origine della ciclicità stagionale, da cui dipende la fertilità della terra, e, in ultima istanza, la vita e la morte degli esseri viventi. Il tema degli “archetipi del femminile” si dipana dunque attraver- so la storia seguendo un percorso cronologico, tematico e geografi- co. Si parla di Sicilia ma anche di altri contesti italiani ed europei. I due saggi di Alyce Mahon (University of Cambridge) e Giulia Ingarao (Accademia di Belle Arti di Palermo) affrontano il tema del ruolo delle donne nel movimento surrealista, soffermandosi su artiste come Leonor Fini, Remedios Varo e Leonora Carrington. Il saggio di Juan Vicente Aliaga (Universitat Politècnica di València) tratta del trans-femminismo in Spagna, documentando lo sviluppo di un gran numero di pratiche artistiche legate al corpo e alla sua di- M. Zito - Prefazione 9
mensione performativa; un fenomeno che si sviluppa nel corso della
prima decade di questo secolo grazie alla convergenza tra femmini- smo e teoria queer. Intorno alla fine degli anni Sessanta, l’affermarsi del movimento femminista vede rinsaldarsi il rapporto tra pratiche politiche e pratiche artistiche a partire dall’accettazione consapevo- le dell’essere donna (saggio di Mariella Pasinati). La questione tutta specifica dell’ibridismo femminile-animale, osservata dallo specu- lum del concetto di “cura”, è oggetto del testo di Federica Timeto (Accademia di Belle Arti di Palermo). Nel saggio di Emilia Valenza (Accademia di Belle Arti di Palermo) l’analisi si sposta sulla que- stione mediorientale, attraverso l’obiettivo di donne fotografe che raccontano con sguardo consapevole la condizione femminile den- tro e fuori l’islam. Una ricognizione sulle esposizioni d’arte tutte al femminile (Agnese Giglia, ADI Sicilia) mette in campo, infine, una riflessione sulla necessità di un allestimento che sappia coniugare nella visione il concetto di genere con la progettazione dello spazio espositivo. Un panorama vasto che apre importanti spunti di riflessione e che, nonostante la ricchezza degli approcci analitici ai diversi temi trattati trova ispirazione in un tema comune che ha radici antichissi- me e che mantiene viva nell’arte contemporanea la sua forza comu- nicativa e l’attualità dei suoi interrogativi. La rilevanza formativa di un’istituzione di Alta Cultura come l’Accademia si misura dalla capacità progettuale messa in campo fa- cendo tesoro delle energie intellettuali di cui dispone. L’Accademia di Belle Arti di Palermo ha saputo coniugare le competenze teoriche con la produzione creativa, in un connubio proficuo e stimolante, a cui corrispondono sempre più risultati d’eccellenza. I successi in campo artistico, ottenuti dai nostri studenti e docenti, si estendono anche ai riconoscimenti intellettuali ottenuti nel campo della ricerca e della riflessione teorica, anche a livello internazionale. L’invito ad esperti studiosi di altre nazioni europee, avviato per la redazione di questo volume, è la conferma di una nostra precisa volontà di apertura ai contributi esterni, nella convinzione che il confronto sia una risorsa imprescindibile per una cultura moderna e propositiva. La qualità di questo volume segna un ulteriore traguardo in tale di- rezione. ARCHETIPI DEL FEMMINILE Rappresentazioni di genere, identità e ruoli sociali nell’arte dalle origini a oggi aleSSandra buCCheri, giulia ingarao, emilia valenza
La carica generatrice del femminile ha permeato di sé la vita
politica, culturale e religiosa dell’uomo preistorico. Per quasi ven- ticinquemila anni in Europa è prevalso il culto per un’unica Dea, specchio di una struttura sociale di carattere matriarcale. Soltanto in un periodo compreso tra il 5000 e il 1000 a.C., la struttura sociale comincia a cambiare per lasciare spazio a una graduale trasforma- zione in senso patriarcale delle varie comunità che abitavano le no- stre regioni. Il culto della Dea comunque non scompare del tutto ma si trasforma, assimilandosi come parte femminile complementare al maschile all’interno di religioni e società di carattere patriarcale, prima di tutto in quella greco-romana e successivamente in quella cristiana. La forza archetipica e generatrice del femminile rimane quindi viva in un vasto e diversificato panteon di dee e di sante e nel- la loro complessa simbologia, pur all’interno di un contesto sociale in cui la donna è relegata quasi esclusivamente a ruoli domestici. A partire dal Novecento la ricerca di un ruolo forte del femminile nella cultura, nella politica e nell’arte diventa una scelta consapevole. Scopo di questa raccolta di saggi è di individuare un filo ros- so che, attraverso la storia, leghi le varie manifestazioni artistiche all’archetipo femminile. Tale archetipo può essere esaminato sia come oggetto dell’arte stessa, nelle varie figure femminili sacre e profane che si susseguono nella tradizione artistica europea, sia come soggetto attivo, e quindi nelle personalità e nelle scelte delle stesse artiste donne, sempre più numerose dal XX secolo fino a oggi. Tra le numerose figure di sante che popolano la storia cristiana, quella di Santa Caterina d’Alessandria è forse quella che meglio in- carna l’archetipo della Grande Dea preistorica. Come la Dea, Cate- rina concentra su di sé un insieme di attributi che le conferiscono un valore universale e totalizzante: profonda conoscitrice della scienza umana, è anche depositaria delle verità ultraterrene; attraverso la 12 Archetipi del femminile
sua predicazione e per la facoltà di battezzare, conduce gli uomini
alla vita eterna; come sposa di Cristo, è portatrice di fertilità, ma può anche dispensare la morte (le schegge delle due ruote infrante trucidano gli infedeli che accorrono ad assistere al suo martirio). Nel saggio Femminile bifronte: Santa Caterina d’Alessandria pre- dicatrice e sposa, Alessandra Buccheri affronta la figura della Santa proprio sotto questa luce attraverso l’analisi di un piccolo ma impor- tante oratorio palermitano a lei dedicato. Il programma iconografico dell’oratorio è interamente incentrato sulla figura di Caterina, le cui vicende biografiche sono associate a un elegante dispiegamento di allegorie di virtù e di arti liberali. Ne emerge una figura complessa, pregna di significati che evocano fortemente la forza del femminile inteso nella sua pienezza archetipica. Colpisce inoltre il continuo parallelismo che viene fatto, a livello iconografico, tra Santa Cate- rina e Cristo. Come se in Caterina riecheggiasse una lontana divini- tà femminile, ormai del tutto rimpiazzata dal genere maschile, ma ancora viva nel sistema di attributi e significati che ruotano intorno alla sua figura. Il caso di Santa Caterina d’Alessandria dimostra che all’interno di un sistema di valori dove il maschile è consolidato e dominante non sempre si ha come esito una mortificazione piena del femminile, ma possono esserci occasioni di riscatto, anche se par- ziali. Lo stesso tipo di meccanismo, sotto forme diverse, avviene nel caso della vicenda biografica e delle opere di due importanti pittrici del rinascimento italiano: Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, che, pur rimanendo inserite in un sistema dell’arte di tipo tradizio- nale, sono riuscite a fare del loro genere femminile uno strumento di affermazione. Nel suo saggio Self-portraits, self-fashioning and the language of things: Sofonisba Anguissola & Lavinia Fontana, Sara Matthews Grieco mostra come entrambe queste artiste hanno usato l’autoritratto per costruire un’identità personale e professionale del tutto nuova all’interno di un mondo, quello della pittura, comple- tamente dominato dagli uomini. L’autoritratto al femminile diven- ta quindi un interessante territorio di sperimentazione iconografica che, se da una parte riprende i modelli maschili, dall’altra ha delle caratteristiche del tutto diverse. La donna-pittrice è, allo stesso tem- po, soggetto e oggetto dell’opera: l’occhio dello spettatore si mera- viglia della bellezza della modella, ma ammira allo stesso tempo le sue qualità artistiche. Esempio estremo di questo genere è il doppio ritratto di Sofonisba e del suo maestro Bernardino Campi in cui la pittrice si autoritrae come dipinta dal maestro. Qui l’oscillazione tra A. Buccheri, G. Ingarao, E. Valenza - Archetipi del femminile 13
passività e azione si trasforma in un gioco di rimandi intrecciati: la
bella fanciulla ritratta da Campi è in realtà colei che ha eseguito il ritratto; mentre Campi, rappresentato nell’atto di ritrarre l’allieva, è piuttosto oggetto del doppio ritratto eseguito da Sofonisba. Rendere passiva la donna trasformandola in un oggetto è sta- to da sempre il modo utilizzato dagli uomini per depotenziare il femminile, piegarlo al proprio controllo. Se da una parte quindi Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola assecondano questa ten- denza, dall’altra affermano la loro personalità di artiste inventando un genere di autoritratto nuovo che le rende molto richieste sul mercato dell’arte. Così facendo mettono in atto un inaspettato ri- baltamento: affermano se stesse grazie agli stessi strumenti che il mondo maschile usa per dominarle. Un simile ribaltamento avvie- ne secoli dopo all’interno del Surrealismo. La donna surrealista assume su di sé, trasformandolo, il modello femminile costruito sulle fantasie e le paure dell’immaginario maschile. Si tratta del- la femme-sorcière, discendente della seduttrice crudele di fin de siècle, in tutte le sue varianti – Giuditta, Salomè, Medusa, Medea, Messalina, Circe –, che raccoglie a sua volta l’eredità della figura della strega medievale. Nel suo saggio La femminilità trionfante: il Surrealismo, Leon Fini e la sfinge, Alyce Mahon racconta come Leonor Fini, reinven- tando la figura mitologica della sfinge, «promuove una nuova mi- tologia matriarcale in cui la donna ha il controllo della propria ses- sualità». Da misteriosa ispiratrice della creatività maschile, temuta e allo stesso tempo ricercata, la sfinge di Leonor Fini incarna quindi una nuova «femminilità trionfante», dove la donna ha il pieno con- trollo dei propri mezzi di affermazione e gestisce in modo autonomo la propria sessualità. Tra le numerose rappresentazioni della sfinge dipinte dall’artista, forse la più significativa è quella de La Dea degli Inferi che Veglia sul Sonno del Giovane (1946), dove l’eroe, Edipo, giace sdraiato, esposto e vulnerabile, di fronte alla sfinge. Svelan- do il carattere proto-femminista dell’opera, la stessa Fini afferma di aver voluto rappresentare un uomo che rifiuta il ruolo maschile così com’è «determinato e costruito socialmente». Leonor Fini non è l’unica artista surrealista che ribalta l’imma- ginario maschile per approdare a una nuova iconografia incentrata su una potenza del femminile che rifiuta il ruolo di musa o di mo- della, che – come spiega W. Chadwick – sembrava l’unico possibile per una donna all’interno del movimento. Nel saggio La madre e il 14 Archetipi del femminile
suo doppio: iconografia del femminile nell’immaginario surreali-
sta, Giulia Ingarao affronta il tema passando in rassegna il pensiero teorico e le opere dei principali pittori surrealisti (M. Ernst, J. Mirò, A. Masson, P. Delvaux, H. Bellmer) per poi dedicarsi, nella seconda parte, all’analisi delle opere di alcune artiste donne che si affermano nell’ambito del Surrealismo. In tutte le sue diverse rappresentazioni e definizioni – pietra an- golare del mondo materiale, donna dalle cento teste, donna bambo- la, donna bambina, ibrido donna/animale, strega –, il femminile è sempre proiezione del desiderio maschile o suo strumento per spe- rimentare il mistero. Nonostante l’impostazione di tipo essenzial- mente maschile del movimento, artiste come Leonora Carrington, Leonor Fini e Remedios Varo, riescono a trovare al suo interno lo spazio per un processo liberatorio e di emancipazione. Tale afferma- zione si compie nell’ambito di un immaginario comune, che viene però re-interpretato in senso opposto: l’archetipo della Grande Dea, forza misteriosa dai mille volti, fornisce loro un repertorio fecondo di temi e immagini legate al principio generativo. Ecco che, libe- ratesi dal fardello della donna/musa, queste artiste «dipingono una mappatura fantastica abitata da figure femminili potenti: guerriere, indovine, divinità ctonie, sovrane del cielo e degli astri, signore del- la notte e del mistero, madri giganti e creatrici di mondi paralleli».
All’immagine femminile possente e suggestiva creata dall’artista
donna surrealista, fa da contrappunto il ritratto personale, dal carat- tere più intimista, che emerge nei fotolibri, genere narrativo in cui immagine e parola si contendono lo spazio della pagina e dove il contributo femminile appare decisivo. Le donne si fanno interpreti di testimonianze senz’altro autentiche, poiché autrici di lavori carat- terizzati da una forte soggettività, dove la frammentazione testuale e delle immagini definisce un’atmosfera intensamente autobiografica. Proprio il fototesto di Lalla Romano è al centro del saggio di Vale- ria Cammarata Ritratti di signora. Si tratta di un’opera composita, costituita di fatto da tre parti, frutto di una continua riscrittura o rimessa in scena di immagini e parole. Tra le tante immagini create o riscoperte dalla scrittrice-pittrice-fotografa, una sola sembra l’im- magine costantemente ricercata, quella della madre, di una madre conosciuta ma misteriosa, solare e umbratile insieme. Non basterà una fotografia a ricomporne il ritratto e neanche intere pagine. Ac- canto all’album privato, ritratto personale di Lalla Romano, farà da A. Buccheri, G. Ingarao, E. Valenza - Archetipi del femminile 15
contraltare l’album “pubblico”, l’universo di immagini femminili
e materne riscoperte da Margaret Bourke-White – opera a quattro mani costruita insieme allo scrittore Erskine Caldwell, You Have Seen Their Faces, negli anni della Grande Depressione. «Il privato è pubblico» è il motto delle femministe, nella stagione più intensamente battagliera del Novecento. Per le artiste degli anni ’60 e ’70, investite dall’onda del movimento femminista, la ricerca identitaria assume il carattere dello scontro frontale, dando origine a nuove forme e modalità espressive. Fulcro di questo nuovo ap- proccio è il corpo, che, come suggerisce Mariella Pasinati, «diventa luogo elettivo di una battaglia per il diritto alla propria autodeter- minazione sessuale e identitaria». Il saggio Dirsi a “partire da sé”: creatività e generazione simbolica del femminile fra gli anni ’70 e ’90 del ’900, parte proprio dall’assunto, che il corpo, luogo su cui ricadono gli abusi fatti sulla donna nel corso dei secoli, diventa il punto di partenza, in ambito artistico, della lotta per la parità dei di- ritti. Il corpo è anche il luogo per eccellenza della procreazione, ciò che rende la donna unica e diversa dalla sua controparte maschile. L’archetipo della Grande Dea diventa quindi un lievito naturale che porta queste artiste a interpretare la creazione in senso espansivo, enfatizzando il carattere generativo come una dimensione del fem- minile che investe anche l’espressione artistica (tra le artiste analiz- zate nel saggio: Carolee Schneemann, Mary Beth Edelson, Mirella Bentivoglio). Vista in questa chiave la maternità – progetto, non più destino – è interpretata come uno dei tanti aspetti propri della carica generativa del femminile. I mezzi espressivi scelti da queste artiste sono la fotografia, il video, l’installazione e la performance, molto più adatti dei media tradizionali a raccontare un’esperienza che par- te dal sé, «dal proprio desiderio come condizione prima di qualsiasi ricerca che miri a ridare senso al reale e ad affermare una soggettivi- tà padrona del proprio sguardo e che non dipende più dal sistema di poteri e di valori del patriarcato all’interno del quale persino l’espe- rienza di essere donna era stata pensata e detta dall’altro». Che la propria autodeterminazione passi dal corpo è ben ravvisa- bile nelle pratiche performative di una serie di artiste spagnole che praticano azioni dalla forte carica trasgressiva di natura politica e anti-borghese. Questo l’argomento del saggio Y el altar se puso a gemir: pratiche artistiche trans-femministe in Spagna di Juan Vi- cente Aliaga (Università Politecnica di Valencia). Nel corso della prima decade di questo secolo, in alcune città spagnole come Bar- 16 Archetipi del femminile
celona, Valencia, San Sebastián e Madrid, si è assistito a un gran nu-
mero di pratiche artistiche performative strettamente legate al corpo e alla sessualità. Grazie alla convergenza tra femminismo e teoria queer, si è poi determinato uno sviluppo a raggiera di questo fe- nomeno. Inizialmente tali pratiche sono state circoscritte al mondo del post-porno e strettamente legate a eventi specifici. La maratona post-porno organizzata da Beatriz Preciado (oggi Paul B. Preciado) nel 2003 a Barcellona è invece diventata un punto d’incontro sia per individui che per gruppi che miravano a smantellare le categorie sessuali e di genere, criticando la conformità eterosessuale. Negli anni successivi, queste manifestazioni si sono trasformate anche in occasioni pubbliche di comportamenti trasgressivi. Diana Pornoterro- rista, Post Op, Quimera Rosa sono alcune tra le protagoniste di queste performance trasgressive di natura politica. Attraverso una tendenza fortemente anti-borghese, queste artiste (si tratta in prevalenza di don- ne) continuano a sottolineare il bisogno di rompere gli schemi. La madre arcaica, potente e generatrice, ha suscitato paura verso l’alterità, così manifesta nelle condizioni precipue del corpo femmi- nile. Come scrive Federica Timeto nel suo saggio Femminile-ani- male: politiche della cura oltre l’umano:
Fecondità, gestazione, procreazione, sono tutte condizioni che attra-
versano e alterano i confini del corpo femminile, apparizioni di un difetto o di un eccesso che, sconfinando verso il basso (la bestialità spaventosa) o verso l’alto (il sacro spaventoso), mostrano una metamorfosi continua.
Il saggio analizza la rappresentazione del femminile-animale
nell’arte femminista attraverso un approccio post-antropocentrico alla nozione di cura, dal femminismo cyborg fino alle più recenti teorie di Donna Haraway sulle relazioni interspecie. Diverse artiste, storicamente precedenti al femminismo degli anni ’70, come Frida Kahlo, Louise Bourgeois, o Carolee Schneemann, rappresentano il femminile come animale soffermandosi sull’analogia tra certi aspet- ti ed esperienze dell’essere donna (e artista donna) e specifici tratti, fisici e simbolici, dell’essere animale; più recentemente la rappre- sentazione del femminile-animale nell’arte contemporanea, nelle opere di Kate MacDowell, di Miru Kim o nella videoinstallazione di Beatriz da Costa, Dying for the Other, si è ampliata a includere una riflessione sulle implicazioni non solo ontologiche, ma etico- politiche della relazione fra esseri umani e non-umani. L’animale A. Buccheri, G. Ingarao, E. Valenza - Archetipi del femminile 17
offre alle artiste un’identificazione non normata che ne proietta il
vissuto in una dimensione più essenziale e cosmica, assumendo una funzione trasgressiva quando non esplicitamente salvifica. Gli archetipi della Grande Dea possono anche riemergere dal sostrato collettivo in modo spontaneo, involontario, in opere che nascono ai margini della società e del mondo dell’arte. Il saggio di Eva di Stefano, Le Matriarche. Archetipi del femminile e Art Brut in Sicilia, presenta una serie di opere di artisti outsider, vissuti nella Sicilia rurale degli anni ’50. In questi artisti:
In assenza di troppe interferenze culturali, [...] sembra esserci un più
alto quoziente di “verità psichica” che rende più agevole il disvelamen- to di un’istanza archetipale.
Eva Di Stefano si concentra soprattutto sulle opere di Salvatore
Bentivegna detto il Moro (1923- 2002), scultore analfabeta e auto- didatta, nato e vissuto nella cittadina siciliana di Sciacca. Colpisce l’aderenza di queste sculture alle iconografie arcaiche della Dea preistorica e della sua più importante discendente greca Demetra: donne che accolgono il serpente sul grembo come un figlio (inclu- sa la Vergine Maria), inquietanti figure femminili che, immobili e altere come delle sfingi, sono braccate da uomini esangui. In questi artisti, che vivono ancora in una dimensione rurale pre-moderna, a carattere fortemente matriarcale, gli archetipi del femminile rie- mergono con forza dalla più antica memoria collettiva. Nel grande bacino del Mediterraneo la tradizione matriarcale si manifesta sotto diverse forme, non soltanto in Sicilia. Il variega- to mondo mediorientale, alla ribalta nelle cronache internazionali per l’estremismo del terrorismo fondamentalista, è altresì oggetto di analisi per gli accesi conflitti che investono le comunità reli- giose frutto di tante contraddizioni tutte interne all’islamismo. Le donne mediorientali sono lo specchio di quest’universo moltepli- ce, dentro e fuori l’islam, coperte o scoperte dall’hijab, interpre- ti di un movimento di emancipazione che rivendica innanzitutto l’appartenenza a una cultura propria e la riconquista dell’antico passato di Grande Dea. Nel saggio di Emilia Valenza Fotografe in Medioriente: zoom sulla condizione femminile dentro e fuori il velo, è l’immagine della donna islamica moderna, nello sguardo delle fotografe mediorientali, a condurre l’osservatore all’interno di una realtà del femminile che troppo frequentemente viene di- 18 Archetipi del femminile
storta, falsata o molto più semplicemente non compresa dai media
internazionali occidentali. A partire proprio dall’omaggio alla fo- tografa franco-marocchina Leila Alaoui, uccisa da un commando jiahadista nel gennaio del 2015 nel Burkina Faso, il saggio affron- ta il mondo della fotografia femminile in Medioriente rendendo esplicito il progetto di riforma dell’intera comunità delle donne. Alle fotografe quindi il compito di recuperare l’archetipo femmi- nile, ora nascosto dietro un velo, ora svelato nell’affermazione di una moderna identità musulmana (che trova però un suo percorso autonomo rispetto alla concezione globalizzata della donna di ma- trice occidentale). Nell’aprile del 2016, il National Museum of Women in the Arts di Boston ospita la prima ricognizione in Occidente di artiste fotografe e videoartiste mediorientali dal titolo She who tells a story: Women photographers from Iran and the Arab World. È dagli anni ’80 che nel mondo si assiste alla fondazione di musei con un taglio esclusivo sulla produzione femminile e sempre più numerose sono le mostre temporanee che affrontano la questione femminile e di genere. Ma questi luoghi e queste esposizioni sono sempre in grado di restituire, attraverso l’allestimento dello spazio e delle opere, il contenuto che sottende la loro fondazione e progettazione? A partire dall’analisi di alcuni “musei al femminile” ed esposizioni temporanee, tra le più recenti la mostra La grande Madre curata da Massimiliano Gioni e allestita presso il Palazzo Reale di Milano, Agnese Giglia, con il te- sto Musei al femminile: l’allestimento come comunicazione di sen- so, affronta il concetto di allestimento come un sistema di sperimen- tazione dei nuovi linguaggi della comunicazione, mettendo al centro l’esperienza dello spettatore e le sue relazioni emotive ed estetiche con lo spazio, le opere, il progetto del curatore e il pensiero dell’ar- tista. Essendo le esposizioni luoghi della messinscena ideologica, il testo analizza l’evoluzione del concetto di genere dagli anni ’70 a oggi nei diversi ambiti delle arti visive, del design e della moda. Anche la Sicilia ha ospitato negli anni diverse esposizioni incen- trate sull’universo femminile. Allestita di recente al MURA, Museo d’Arte contemporanea di Racalmuto, e alla Galleria d’Arte Moder- na di Palermo, la mostra antologica Une île à soi. Anne Clémence de Grolée. Vent’anni di ricerca in Sicilia, curata da Giulia Ingarao, pre- senta un’ampia ricognizione della produzione dell’artista di origine francese. Il rapporto con il mito e l’archetipo femminile, da sempre indagato nella sua ricerca artistica, è alimentato dalla cultura sicilia- A. Buccheri, G. Ingarao, E. Valenza - Archetipi del femminile 19
na, «insieme familiare ed estranea», come la definisce l’artista, in
cui trova continua ispirazione nel suo ricco substrato storico, antro- pologico e iconografico e nella complessità del paesaggio. Estranea e familiare. La Sicilia come osservatorio per rivisitare archetipi e ruoli tradizionali del femminile, testo/diario di Anne Clémence De Grolée che chiude questo volume e consegna a un’artista donna la descrizione del suo percorso esistenziale attraverso il racconto delle sue opere: dai frammenti anatomici, veicoli di una simbologia ses- suale che esprime anche la divisione tradizionale dei ruoli di genere; alla rielaborazione del concetto di abitare, che inevitabilmente lega la donna alla casa; al tema della maternità e del legame che strin- ge una madre alla figlia in un discorso ereditario che segna l’intera genìa femminile all’interno di una famiglia. I diversi contributi raccolti in questo libro si pongono come oasi aperte alla riflessione sulle rotte segnate dalle donne nel viaggio che dalla Grande Madre giunge fino ai nostri giorni. Il mistero della ci- clicità dell’esistere, l’alternanza di sole e luna, morte e nascita, risie- de nell’antico culto della Dea, la cui forza generatrice e archetipica nei secoli e nei luoghi ha modificato il suo carattere originario attra- verso metamorfosi che animano la storia visiva dalle origini a oggi. La trasformazione delle antiche Dee europee non fu la sostituzione di una cultura da parte di un’altra, ma una graduale ibridazione dei diversi sistemi simbolici, spiega Marija Gimbutas: «le immagini sa- cre e i simboli dell’antica Europa non furono mai completamente sdradicati; queste caratteristiche molto persistenti nella storia uma- na erano troppo profondamente impresse nella psiche». La religione della Grande Dea divenne perciò clandestina, poi fu interiorizzata per riemergere nelle sue diverse forme attraverso i secoli e conso- lidarsi attraverso un processo di consapevolezza nell’arte del XX e XXI secolo.
Sara Enrica Tortelli - I muri non sono mai semplicemente muri. A volte possono essere storia, altre volte possono essere idee. Giuliano Scabia e il sentiero teatrale per pensare e incontrare diversamente la follia