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29/02/24, 12:40 Il sabato del villaggio - Wikipedia

Il sabato del villaggio


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Il sabato del villaggio è una poesia composta da Giacomo


Leopardi nel 1829 (durante il suo ultimo periodo trascorso a
Recanati) e pubblicata nell'edizione dei Canti del 1831.

È un quadro di vita paesana un sabato sera, una fervente attesa


del giorno festivo all'indomani, destinata a rimanerne
profondamente delusa; con questa suggestiva allegoria
Leopardi illustra la sua visione del piacere, secondo la quale la
gioia umana si manifesta nell'attesa di un piacere
irraggiungibile, ed è pertanto fugace ed effimera.

Indice
Contenuto
Analisi
Note
Autografo leopardiano del Sabato
Altri progetti del Villaggio

Contenuto
Durante le ore di «studio matto e disperatissimo» nella ricchissima biblioteca del padre Monaldo il
giovane Leopardi usava accostare il suo tavolino a una finestra, così da ottimizzare lo sfruttamento
della luce solare; la finestra si affacciava su una piazzola dove gli abitanti di Recanati si ritrovavano
per organizzare le piccole feste domenicali. È proprio questo piccolo slargo ad ispirargli la stesura
del Sabato del villaggio, idillio scritto di getto il 29 settembre 1829, in cui riflette sulla vanità della
gioia umana.

Il componimento si apre con la descrizione di un piccolo borgo


rurale immerso nell'atmosfera serale di un sabato primaverile,
quando molti abitanti sono impegnati nei preparativi per la
domenica, giorno festivo. Una giovinetta è colta nell'attimo in
cui, arrivando dalla campagna al tramonto, reca in mano un
fascio d'erba e un «mazzolin di rose e di viole» (v. 4) con cui
può ornarsi i capelli. Quest'ultimo verso, in particolare, è al
centro di una vexata quaestio alimentata da Giovanni Pascoli,
fine botanico, il quale ha notato che le rose e le viole non
fioriscono nella medesima stagione, denunciando pertanto La piazzetta del Sabato del Villaggio
l'irrealtà della situazione bucolica descritta dal poeta. Il di Recanati
dibattito tuttavia è ancora aperto, siccome vi sono anche critici
che sostengono la possibilità di un simile accoppiamento
botanico («gran discussioni su queste rose e viole di Leopardi!» avrebbe scritto Mario Fubini nel
Novecento).[1]
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_sabato_del_villaggio 1/3
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L'immagine della «donzelletta [che] vien dalla campagna» è seguita dalla descrizione di una
«vecchierella» che contempla il tramonto e rivive il piacere del dì di festa raccontando alle
compagne della sua giovinezza, quando anche lei si agghindava per andare a ballare con i
compagni. Perdendosi un po' nei dettagli del ricordo, la vegliarda è totalmente immersa nella
rimembranza di quella che era un'età lieta e felice della vita, in cui era ancora «sana e snella» (v.
13) e possedeva una bellezza sfolgorante, poi sfiorita con il succedersi degli anni. Dal punto di vista
allegorico, la «donzelletta» allude ai desideri che, a causa della Natura matrigna, non possono
essere realizzati,[2] mentre la «vecchierella» stabilisce un indissolubile legame tra la fine del giorno
e il termine della vita umana, ovvero la morte.[3] Ci sono poi i «fanciulli» che all'imbrunire
manifestano un istintivo moto di letizia per l'attesa del giorno festivo e, dopo essersi incontrati
nella piazzetta, iniziano a saltare di qua e là, producendo un «lieto romore».

Analogamente, con un'immagine lievemente più malinconica delle precedenti, Leopardi descrive il
contadino che ritorna fischiando a casa, rasserenato dalla prospettiva di potersi finalmente
riposare il giorno successivo, mentre il falegname sta terminando in fretta il suo lavoro, così da
potersi dedicare all'indomani alla gioia e al riposo. La prima strofa, pertanto, descrive uno scenario
idilliaco e rasserenante, ricco di percezioni uditive (il grido dei fanciulli, lo stridere della sega del
falegname ...) che Leopardi definisce «piacevoli» perché evocano un senso di vago e indefinito:

«È piacevole per se stesso, cioè non per altro se non per un'idea vaga ed indefinita che
desta, un canto (il più spregevole) udito da lungi o che paia lontano senza esserlo o che si
vada a poco a poco allontanando e divenendo insensibile o anche viceversa (ma meno) o
che sia così lontano, in apparenza o in verità, che l’orecchio e l'idea quasi lo perda nella
vastità degli spazi; un suono qualunque confuso, massime se ciò è per la lontananza; un
canto udito in modo che non si veda il luogo da cui parte; un canto che risuoni per le volte
di una stanza ec., dove voi non vi troviate però dentro; il canto degli agricoltori che nella
campagna s'ode suonare per le valli, senza però vederli, e così il muggito degli armenti ec»

Nella terza strofa termina la parte descrittiva e ha inizio quella


teorico-filosofica, dove Leopardi riflette sul grande tema del
piacere e della felicità umana. Tutti gli abitanti del borgo
descritto nel poema, osserva Leopardi, sono animati da un
inconsueto fervore dovuto all'attesa della domenica. Perciò il
piacere della festa è nel sabato precedente (v. 38: «questo di
sette è il più gradito giorno»), quando la festa è imminente, ma
non ancora presente: una volta arrivata la domenica, invece,
tutti capiranno che la festa in realtà è poco conforme alle gioie
che si aspettavano, e ognuno tornerà ai tristi pensieri dello Epigrafe affissa presso piazza del
squallido lunedì, quando si torna purtroppo al lavoro consueto Sabato del Villaggio a Recanati: «I
(v. 41: «travaglio usato»). fanciulli gridando / su la piazzuola in
frotta, / e qua e là saltando, / fanno
Questa situazione viene poi paragonata dal poeta alla vita un lieto romore»
stessa: il sabato simboleggia la giovinezza, età felice in cui si è
pieni di gioia per l'attesa della maturità; una volta cresciuti, ci
si renderà conto di come l'esistenza umana sia priva dei piaceri, tanto attesi durante l'adolescenza,
e piena di noia e tristezza, così come accade ai paesani del Sabato del villaggio la domenica. È per
questo che nell'ultima strofa il poeta si rivolge con un misto di benevolenza e di bonaria ironia a un
«garzoncello scherzoso», ancora ignaro della crudeltà che regola gli accadimenti umani. A questo

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fanciullo immaginario egli suggerisce di godere serenamente la sua «età fiorita» di speranze, senza
desiderare di crescere affrettatamente, siccome è proprio nell'età adulta (v. 47: «festa di tua vita»)
che i desideri adolescenziali si rivelano illusori e dolorosi.[4]

Analisi
Il sabato del villaggio risponde alla forma metrica della canzone libera, con strofe di endecasillabi
e settenari a rima libera, alternati senza uno schema prestabilito fisso, ma seguendo l'ispirazione.
Parallelamente alle tematiche affrontate, il ritmo della prima strofa è alacre e festivo, quasi
spensierato: Leopardi ottiene questo effetto grazie all'uso frequente e prolungato degli agili
settenari. In chiusura, invece, il ritmo sembra prolungare, divenendo più moderato grazie
all'impiego degli endecasillabi.

Note
1. ^ Francesca Romana Berno, Il 'mazzolin di rose e di viole': poesia di un equivoco, in Rivista
internazionale di studi leopardiani, vol. 2, 2000.
2. ^ Enrico Galavotti, Letterati italiani, Lulu, 2016, p. 136.
3. ^ Federico Roncoroni, Manuale di scrittura non creativa, Bur, p. 148, ISBN 8858666437.
4. ^ Alessandro Cane, "Il sabato del villaggio" di Leopardi: analisi e commento, su oilproject.org,
Oil Project.

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