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LA

 FISIOLOGIA  DEL  SONNO  DEL  BAMBINO  ED  IL  RUOLO  DELLO  PSICOLOGO  PERINATALE  

La  proprietà  intellettuale  del  presente  documento  è  di:  Dott.ssa  Alessandra  Marelli.  

Sará  quindi  assolutamente  vietato  copiare,  appropriarsi,  ridistribuire,  riprodurre  qualsiasi  frase  e  contenuto  
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1.  LA FISIOLOGIA DEL


SONNO

Le funzioni del sonno

Il sonno è una parte fondamentale della nostra vita.

La vita dell’essere umano, fin dagli albori, è sempre stata organizzata intorno

ai ritmi luce/buio e sonno/veglia. La biologia, la fisiologia, la neuropsicologia e

le neuroscienze ci dicono che il sonno risponde a diverse bisogni. Non è

presente una teoria unica sul perché dormiamo, tuttavia sulla funzionalità del

sonno esistono tutt’oggi diverse teorie scientifiche e sappiamo che il sonno

risponde ad alcune importanti funzioni.

La teoria riparatrice postula che il sonno abbia la fondamentale funzione di

recuperare e di ristabilire l’organismo dopo gli sforzi avvenuti durante il giorno.

Durante la notte avverrebbe un recupero fisico sia psicologico necessario per

affrontare la giornata seguente, la teoria protettiva sostiene che il sonno sia

necessario per proteggere l’organismo da un eccessivo logorio.

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Secondo la teoria della conservazione dell’energia il sonno servirebbe appunto

per conservare l’energia.

La ricerca scientifica ci dice che tutto il metabolismo (soprattutto nella fase

REM) aumenta, aiutando così l’organismo a immagazzinare energia.

L’apparato renale e il fegato eliminano le tossine più efficacemente di quando

si è svegli; il sistema immunitario produce più anticorpi; il midollo osseo

"fabbrica" globuli rossi in gran numero; l’ormone somatotropo (quello della

crescita) viene escreto in quantità considerevoli.

Numerose teorie identificano la funzione del sonno nel recupero fisico, nella

facilitazione delle funzioni motorie, nel consolidamento dell’apprendimento

della memoria. Dunque il sonno avrebbe funzione di ristoro, di conservazione

dell’energia, immunologia e di integrità neuronale.

Ulteriori ricerche ci indicano che durante il sonno i radicali liberi presenti nel

cervello e che si sono accumulati durante la veglia vengano rimossi. Questa

rimozione ridurrebbe la loro spontanea produzione e aumenterebbe l’efficienza

dei meccanismi antiossidanti a livello cerebrale.

Il sonno avrebbe anche la funzione regolare l’attività sinaptica, favorendone

l’omeostasi e contribuendo al miglioramento dei processi legati alla memoria e

all’apprendimento.

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Il sonno ha una funzione termoregolatrice importantissima, poiché mantiene la

nostra temperatura corporea interna equilibrata.

Un interessante funzione svolta dal sonno, in particolare dalla corteccia e della

reti neuronali in essa presenti, postula che durante il sonno avvenga una sorta

di “disapprendimento” che non equivale al processo di rimozione, quindi al

dimenticare. Servirebbe invece per non sovraccaricare troppo il nostro sistema

di apprendimento e per prepararci agli apprendimento successivi.

Un’ interessante ipotesi ritiene che il sonno consente di elaborare le esperienze

e le emozioni vissute durante il giorno per trasferirle e consegnarle alle aree

cerebrali deputate alla conservazione dei ricordi a lungo termine, influenzando

e agendo nei processi di apprendimento.

La dimostrazione degli effetti positivi del sonno sulla memoria sono basati sui

risultati che hanno mostrato un peggioramento delle prestazioni mnestiche

dopo deprivazione di sonno. In particolare sembra esserci un miglioramento

del ricordo durante il periodo di ritenzione, cioè il periodo compreso tra la fine

dell’apprendimento ed il momento del controllo, chiamato “sleep effect”. Si

sono sviluppate diverse ipotesi attorno a questo effetto portato alla luce per la

prima volta nel 1924. In particolare si è ipotizzato che il sonno comporti una

riduzione delle interferenze.

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Tuttavia questa ipotesi è stata messa in discussione successivamente da altre

ricerche che hanno sì confermato l’esistenza dello “sleep effect” ma solo

quando il sonno segue immediatamente l’apprendimento. Anche i diversi stadi

del sonno (REM e n-REM) sono stati chiamati in causa e correlati a

miglioramento dell’apprendimento, in particolare dovuto alla fase di sonno

REM. Dalle ricerche emerge che, sebbene i dati raccolti non siano sempre

congruenti tra loro, dormire ha un’influenza sui processi di memoria anche se

occorre approfondire meglio ciò che avviene. Quando si apprende avviene una

modificazione anatomica dell’organismo, in particolare a livello sinaptico.

La conoscenza poi non avviene per accumulazione di dati ma è un processo

continuo, di stimoli, sia interni che esterni, che sono responsabili della continua

modica delle mappe neurali. Una delle funzioni del sonno REM sembrerebbe

proprio quella di riorganizzare queste mappe in assenza di stimoli che

provengono dal mondo esterno, quindi ciò avverrebbe proprio quando si dorme

(neuroscienze e apprendimento, B. Gallo).

Molti studi inoltre supportano l’ipotesi che il sonno faciliti la memoria di lavoro

così come favorisca il consolidamento delle nozioni apprese (Sleep and

memory in healthy children and adolescents). Secondo il lavoro di Calciolari e

colleghi apprendimento e memoria sarebbero dipendenti dall’alternarsi del ciclo

del sonno.

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In particolare nella fase 1 c’è principalmente acquisizione, a cui seguirebbe un

fase di veglia, seguita dalla fase 2 di preconsolidazione (QS) e dalla fase 3 (AS)

di consolidazione vera e propria. Nella fase di acquisizione il cervello riceve una

serie di input sensoriali (come ad esempio possono essere rumori o odori) che

sono immagazzinati nell’area della memoria a breve. Nella fase 2 (QS) di

preconsolidazione gli input più importanti, come ad esempio la voce dei

genitori, l’odore del latte materno sono separati da quelli meno significativi (ad

esempio il rumore dell’aspirapolvere). Quelli degni di nota, i più significativi,

sono trasportati dall’amigdala al lobo limbico, all’ippocampo e alle aree

paraippocampali, per un ulteriore elaborazione.

Nella fase 3 (AS), quella di consolidazione, gli input più significativi (ad

esempio la voce dei genitori) vengono organizzati nell’amigdala,

nell’ippocampo e nelle aree paraippocampali dove avviene l’immagazzinamento

permanente. L’ippocampo manda queste info a specifiche aree della

neocorteccia. Un recentissimo ed interessante lavoro di ricerca sui neonato

pretermine ha messo in evidenza che essi trascorrono poco tempo in fase di

veglia e che buona parte della loro maturazione cerebrale avviene durante le

fasi di sonno (Calciolari, Montirosso, 2010).

La durata del sonno è collegata al rischio di malattie croniche. Essa è

influenzata dall’ambiente e, sebbene in misura minore, da effetti genetici.

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La qualità del sonno è dunque legata all’ambiente circostante. Nuove e

crescenti ricerche scientifiche mostrano che il dormire poco è correlato al

possibile sviluppo di malattie cardiovascolari, cancro, ridotta funzione delle

difese immunitarie e disturbi psichiatrici. L’importanza di un buon sonno vale

più che mai per lo sviluppo e una sana crescita dei bambini. Uno studio

pubblicato su Pediatrics mette in evidenza che la durata del sonno dei bambini

è correlata negativamente all’esposizione alla televisione prima di andare a

letto. Guardare la tv sembra essere un’attività associata anche a maggiore

inattività e sovrappeso; dunque le ore dedicate a questo passatempo

dovrebbero essere ridotte. ( A. Fisher, C. H.M. van Jaarsueld, C. H. Llewellyn,

J. Wardle).

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Le fasi del sonno

Il sonno si compone di fasi ben distinte: una fase di veglia, una fase REM

(rapide eyes movement) e uno stadio conosciuto con il nome di sonno non-

REM.

Uno dei più importanti strumento utilizzati per conoscere l’attività dell’attività

cerebrale è l’elettroencefalogramma (EEG), descritto per la prima volta da

Hans Berger nel 1929.

Durante la fase REM l’EEG sembra piuttosto attivo che dormiente, il corpo, ad

eccezione degli occhi, è completamente immobilizzato. È durante questa fase

del sonno che si possono evocare immagini vivide, che noi conosciamo con il

nome di sogni. È una fase in cui, seguendo il tracciato di un EEG, si fatica a

distinguerlo da quello di un cervello in attività ed in stato di veglia. Il consumo

di ossigeno del cervello inoltre è più alto nel sonno REM che nella fase di

veglia. Durante il sonno REM i sistemi di controllo fisiologico sono dominati

dall’attività simpatica.

Il resto del tempo passa in uno stato chiamato appunto non-REM. In questa

fase i ritmi EEG sono lenti e ampi.

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In questa fase la tensione muscolare è ridotta ed il movimento è minimo, il

corpo può muoversi in questa fase ma lo fa solo raramente, solitamente per

aggiustare la posizione.

Durante una normale notte, un adulto passa attraverso gli stadi REM e non-

REM a ripetizione. Ogni ciclo è di circa 90 minuti.

In media quando un adulto sano comincia ad avere sonno si addormenta ed

entra nella fase di sonno non-REM. Lo stadio 1 è un sonno di transizione, i

ritmi EEG alfa di veglia rilassata diventano meno regolari e si riducono. È uno

stadio piuttosto rapido, poiché dura pochi minuti ed in cui è molto facile venire

svegliati. Lo stadi o2 è un pochino più profondo e dura dai 5 ai 15 minuti circa.

in questa fase fanno la loro comparsa i fusi del sonno, oscillazioni occasionali di

8-14 Hz. Si osservano anche onde appuntite di grande ampiezza, chiamate

complessi K. In questa fase i movimenti oculari cessano quasi completamente.

Si passa poi allo stadio 3 in cui l’EEG produce ritmi delta lenti e di grande

ampiezza, sono assenti movimenti del corpo e degli occhi. Lo stadio 4 è lo

stadio del sonno più profondo con ampi ritmi ed EEG di 2 Hz o meno. Si è

dunque detto che durante la notte si compiono diversi cicli che comprendono

tutte le fasi.

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Durante il primo ciclo del sonno la fase 4 può durare tra 20 e 40 minuti, quindi

il sonno diventa sempre più leggero ascende allo stadio 2 per circa 10-15

minuti per poi passare in un breve periodo di sonno REM, con ritmi veloci EEG

beta. Mano mano che trascorre la notte si riduce la durata del sonno non-REM,

in particolare gli stadi 3 e 4, ed aumentano i periodi REM. Qual è dunque la

quantità di ore di sonno necessarie ad un adulto per un buon riposo? La ricerca

suggerisce che il range va dalle 5 alle 10 ore con una media di 7,5 ore.

Tenendo conto che un buon sonno si può misurare dalla qualità del risveglio ed

anche dalla sonnolenza che ci accompagna per il resto del giorno.

Il sonno dei neonati e dei bambini

Per quanto riguarda i neonati i ritmi del sonno, ed i loro relativi cicli, sono

differenti da quelli di un adulto. Cambia dunque la fisiologia del sonno. Ad

esempio le onde lente diminuiscono nel corso della notte per adulti e bambini,

ma non nei neonati (Bes F., Schultz H., Salzarulo P., 1991).

Diverse ricerche hanno classificato il sonno dei neonati principalmente diviso in

due stati:

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Fase del sonno quieto (QS). In questa fase del sonno del neonato il respiro è

regolare, gli occhi sono chiusi e non si osservano movimenti sotto le palpebre.

Non è presente nessuna attività motoria spontanea tranne sobbalzi e brevi

movimenti a scatto. Questi sobbalzi, che comunque scompaiono rapidamente,

possono essere provocato da stimoli esterni. Il colorito della pelle è più pallido

rispetto ad altri stati.

Fase del sonno attivo (AS). In questa fase il respiro è irregolare, gli occhi sono

chiusi e sotto le palpebre si possono osservare dei rapidi movimenti oculari.

L’attività motoria spontanea è ridotta. Anche durante questa fase stimoli, sia

esterni che interni, possono provocare sobbalzi. Possono comparire movimenti

di suzione ed il “sorriso”.

In qualche caso si possono aprire anche gli occhi. Nel corso dello sviluppo l’AS

diminuisce e si organizza così come aumentano le fasi del sonno REM. (G.

Calciolari, R. Montirosso).

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Dopo i 3 mesi di età per quanto riguarda il sonno REM esso è distribuito in

maniera non proporzionata nel corso delle 24h (nella fascia dedicata al sonno),

sebbene sia presente in una percentuale maggiore durante la notte. A 4 e a 6

mesi gli stadi 2,3 e 4 coincidono durante la notte e le fasi 3 e 4 vanno

accentuandosi nel corso della notte. Il sonno REM decresce nel corso dello

sviluppo in particolar modo durante le ore diurne (S. Coons, C. Guilleminaut,

1981).

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L’andamento del sonno cambia notevolmente durante lo sviluppo dei neonati.

Il sonno non-REM aumenta nel corso del primo anno di vita mentre il sonno

REM decresce.

Diversi studi hanno ampiamente dimostrato che il sonno non-REM diventa

predominante nella prima parte della notte dai 2 ai 5 mesi.

Sulla base di queste osservazioni un certo numero di autori ha postulato lo

sviluppo funzionale dei processi del sonno durante l’ontogenesi. Roffwarg e

colleghi nel 1966 furono i primi che proposero che il sonno non-REM, con le

sue onde lente, potesse giocare un ruolo essenziale nel facilitare la

maturazione cerebrale.

Inoltre la distribuzione delle ore dormite durante la giornata cambia nel corso

del tempo. Tende a decrescere il numero di ore dormite durante il giorno dalle

4/5 ore di un neonato di 3 mesi alle 2/3 di un bambino di 9. Leggendo questi

dati tuttavia non bisogna dimenticare l’estrema variabilità dei singoli individui.

La ricerca scientifica si basa sullo studio di campioni che vengono definiti

rappresentativi ma che non possono corrispondere ad ogni singolo bambino.

Quindi si possono trovare anche dei bambini che dormono meno o di più

durante il giorno e/o la notte.

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Tornando ai risultati della ricerca, la differente attività delle onde delta e onde

lente durante il sonno, indica una differenza funzionale tra il sonno dell’adulto

e quello del bambino. Sia le onde corrispondenti al sonno REM che a quello N-

REM possono contribuire allo sviluppo cerebrale proprio nel periodo della vita

dove c’è il maggior bisogno di dormire.

Marshall Klaus (noto pediatra e neonatologo di fama internazionale) ha

classificato sei stati di coscienza nel neonato.

Nel primo stadio, del sonno profondo, il neonato è così addormentato che è

difficile anche svegliarlo.

Non farà nessun movimento, tranne respirare, in maniera regolare. Ogni tanto

sussulta ma questo è l’unico movimento presente. Questa fase dura circa 20

25 minuti dopodiché il neonato entrerà nella fase del sonno REM, dove si

vedranno dei movimenti oculari sottostanti alle palpebre, sebbene il bambino

dorma. Anche questa fase dura 20/25 minuti circa. la respirazione tuttavia è

abbastanza irregolare, potrà fare dei respiri profondi per poi fermarsi e

nuovamente riprenderli. Si muoverà nel sonno. Tuttavia è importante tenere

conto che il neonato in questa fase stia dormendo.

È importante per i genitori conoscere il comportamento del proprio figlio per

evitare di svegliarlo. Può anche cambiare posizione. Quando si sveglierà farà

un grande sbadiglio per poi riaddormentarsi e nuovamente.


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Questo addormentamento e successivo risveglio fanno parte della fase numero

tre del sonno.

La fase successiva è quella della veglia quieta dove il neonato ha modo di

apprendere. Se ha accanto la madre la fissa negli occhi molto intensamente e

questo momento è davvero un momento unico di apprendimento. Il neonato è

tranquillo e tiene le mani in alto, a volte chiuse a pugno. Si muove poco perché

è intento a studiare attentamente il volto e l’aspetto di sua madre e suo padre.

A questo stadio segue la veglia attiva. Il bambino si guarda intorno molto

incuriosito, scruta attentamente l’ambiente circostante, non più la madre. È

molto attivo ma non piange.

È nel sesto stato di coscienza che il bambino piange. Per il 60/70% del tempo il

bambino sceglierà uno dei primi due stati del sonno.

Sappiamo che la nostra capacità di controllare il sonno è alquanto limitata, e

comunque, qualsiasi strategia adottiamo per ritardarlo, è destinata al

fallimento se protratta a lungo, ovvero, ad un certo punto il sonno ci sopraffà.

Che sia quindi un impellente bisogno fisiologico, come mangiare ad esempio, è

un dato scientificamente consolidato. Tant’è che un prolungato periodo di

deprivazione dal sonno è devastante per un corretto funzionamento. Incide, in

maniera negativa, anche sulla vigilanza, sulla memoria a breve termine e sul

tempo di reazione. (Bonnet M., Arand D., 2003).

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Nei neonati, la deprivazione del sonno, anche se non eccessivamente lunga,

può essere associata allo sviluppo di apnee ostruttive ed aumento della soglia

di eccitazione. La deprivazione del sonno può indurre effetti sui meccanismi

che controllano la respirazione.

Includendo anche altri tipi di disturbi all’interno della formazione reticolare del

tronco encefalico, che integra specifiche funzioni facilitanti, come i percorsi

ascendenti dai recettori uditivi. (Franco et al., 2003)

Il sonno dunque “ è uno stato prontamente reversibile di ridotta reattività a, e

ridotta interazione con , l’ambiente”. (Bears, Connors, Paradiso, 2004).

Prospettive e teorie psicologiche sul sonno

Sebbene le teorie psicologiche sullo sviluppo dei bambini differiscano spesso in

maniera piuttosto evidente, quasi tutte, oggi, convergono nel dire che la

qualità dei primi sviluppi, fetali, neonatali e della prima infanzia, condizionino

pesantemente lo sviluppo successivo fino all’età adulta.

La teoria psicoanalitica di S. Freud è stata la prima ad interessarsi del sonno.

In particolare della sua manifestazione psichica per eccellenza, il sogno.

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Secondo il noto psicoanalista ciò che sogniamo, in particolare ciò che

raccontiamo al nostro risveglio, rispecchia ciò che la coscienza censura e che

invece deve emergere in qualche modo. “I sogni sono la via regia per

conoscere il nostro inconscio” soleva dire Freud. Il contenuto latente sarebbe

dunque espressione di un desiderio rimosso. Lo studio del sogno, per la teoria

psicoanalitica, rappresenta uno degli strumenti prediletti per esplorare

l’inconscio.

La fisiologia, in particolare con la scoperta del sonno REM ha sicuramente

costituito una svolta nel campo della ricerca sul sonno e sul sogno, sdogandola

dal solo ambito psicoanalitico.

Secondo il filone dell’Infant Research gli scambi comunicativi, coerenti e

prevedibili con il caregiver ed il bambino, costituiscono dei modelli diadici e di

regolazione sia biologica che sociale e che sono necessari per uno sviluppo

armonico basato sulla fiducia e sulla sicurezza. Il compito del caregiver, in

particolare nei primi anni di vita, è molto complesso.

L’accompagnamento al sonno pone, tra le altre cose, nel corso del tempo,

quella che sarà la base sicura dalla quale il bambino partirà e riattiverà il

sistema dell’attaccamento (Bowlby, 1969).

16  

 
LA  FISIOLOGIA  DEL  SONNO  DEL  BAMBINO  ED  IL  RUOLO  DELLO  PSICOLOGO  PERINATALE  

La  proprietà  intellettuale  del  presente  documento  è  di:  Dott.ssa  Alessandra  Marelli.  

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Il momento del sonno è un momento particolarmente delicato poiché

rappresenta una separazione vera e propria dal genitore e può suscitare

angoscia nel neonato e nel bambino, i risvegli notturni in questo senso possono

fungere anche da momenti in cui ci si riunisce con il genitore e si è da lui

rassicurati. Quando i bambini diventano più grandi e acquisiscono maggiori

competenze e abilità possono avere difficoltà a separarsi dalle loro interessanti

attività perpetrate nella fase di veglia per dedicarsi al sonno. Per questo può

essere utile consigliare attività tranquille, rituali di accompagnamento al sonno.

COME RELAZIONARSI AL SONNO DEL BAMBINO E NON CONFONDERE I

BISOGNI FISIOLOGICI CON I VIZI

Alla luce di quanto esposto sembra davvero irrazionale sentire parlare taluni di

vizio quando si parla di sonno neonatale. Concordo con Marshall Klaus nel dire

che i bambini viziati sono altri. Quando, in risposta ad un bisogno affettivo si

interviene con un surrogato materiale. Dunque capita che il bambino apprenda

questa modalità relazionale e che poi la pretenda in risposta a molti dei suoi

bisogni, perdendo anche la capacità di verbalizzarli.

Prendere un bambino in braccio e tenerlo accanto alla madre non costituisce

affatto l’innesco di una “abitudine”.

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Molte mamme riferiscono che quando il bambino è vicino a loro (in braccio ma

anche solo accanto) è quieto, calmo e sereno. Non appena si tenta di metterlo

nella culla o nel passeggino o comunque lo si stacca dal corpo, questi comincia

a piangere e strillare, calmandosi solo quando viene nuovamente preso.

Parlano così di vizio o abitudine che non riescono più a togliere. In realtà il

bambino ha bisogno del contatto fisico per una serie di motivi fisiologici e

biologici che vanno oltre al nostro volere. La ricerca di Calaciori e Montirosso

sui neonati pretermine lo mette bene in evidenza. Adottando la marsupio

terapia (quindi contatto strettissimo con il corpo della madre) in reparti di

terapia intensiva con bambini nati prematuri si sono osservati e registrati

miglioramenti notevoli che hanno superato le termoculle. Questo già dovrebbe

illuminarci rispetto al prendere in braccio il bambino senza porci il problema

che questi possa acquisire questa modalità di relazione vita naturale durante.

Il bisogno di contatto appagato è una fonte di estrema sicurezza per il

bambino. È la risposta biologicamente corretta alla sua domanda. Che poi non

sia, nella nostra società spesso schizofrenica, attuabile, questo è un altro

discorso. Dal punto di vista psicologico può anche essere che il contatto

continuo con il proprio figlio non sia da tutti desiderato. Quindi occorre

rispettare e, in quanto professionisti, accogliere e comprendere eventuali

difficoltà dei genitori.


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Inoltre non è, almeno nelle società occidentali come la nostra, sempre possibile

conciliare la fisiologia del bambino con le esigenze del nostro tempo. Tuttavia il

fatto che non si possa sempre accogliere e rispondere ai bisogni del bambino,

ad esempio prendendolo in braccio, non può giustificarci nel chiamarlo vizio o

brutta abitudine. Dunque il problema (se poi di problema si tratta) è

fondamentalmente dell’adulto. Meglio: il contesto, fatto anche dal ground che

dell’adulto, non può non avere un’influenza. E va necessariamente tenuto in

considerazione.

Quindi, dal punto di vista sia fisiologico che psicologico, affermare che

prendere in braccio un bambino costituisca l’innesco di un’abitudine o di un

vizio è scorretto. Perché non corrisponde al vero. Inoltre i professionisti della

salute sono tenuti a sapere esattamente cosa significa la parola vizio. Per

questo ho aggiunto (alla fine) una definizione di vizio presa dall’enciclopedia

Treccani.

Per potere definire un’azione viziata (quindi potenzialmente dannosa) deve

essere dimostrata la sua pericolosità. Nessun sostenitore del “non contatto” è

stato (almeno fino ad oggi) in grado di farlo.

Dire invece che il bambino ha quel bisogno e che noi non possiamo/vogliamo

soddisfarlo è un altro conto.

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Implica un rovesciamento della prospettiva non da poco. Implica un’assunzione

di responsabilità in primis da parte dell’adulto. Scientificamente parlando non

esistono ad oggi studi che dimostrino che tenere in braccio un bambino abbia

delle controindicazioni o delle conseguenze. Oppure che se “lo abituo” così

rimarrà così per sempre. Esistono delle fasi evolutive predeterminate. Esiste

una fase di ricerca di autonomia da parte del bambino che si sviluppa in

maniera naturale (se non avvengono traumi o altre interferenze) intorno ai

18/20 mesi (varia da bambino a bambino). I bisogni evolutivi ed affettivi

mutano. Essere presi in braccio per addormentarsi o per essere tranquillizzati

non sarà un bisogno permanente. La biologia e nuovamente la scienza ci

dicono che lo sviluppo cerebrale del cervello del bambino non è affatto

completo alla nascita. Ma che occorrono diversi anni prima che sia compiuto.

Ergo, pensare che un neonato ma anche un bambino, sia capace di

strumentalizzare il proprio bisogno è un concetto non scientificamente provato.

Sono teorie nate da luoghi comuni ed alimentate da pseudo esperti ma che

nulla hanno a che vedere con la realtà.

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Ad esempio se un bambino viene tenuto nel lettone fino a dodici mesi e poi

arbitrariamente la coppia genitoriale decide che è arrivato il momento di

metterlo nella sua stanzetta e nel suo lettino e questi piange strilla e si dispera

perché da solo non vuole stare, ciò non vuole dire affatto che si è abituato e

che ha “preso il vizio” di dormire nel lettone.

Significa solo che il suo bisogno primario (come il mangiare) è ancora quello

della vicinanza e che non era per lui il momento di sperimentare la propria

autonomia. Sarà il bambino a decidere quando è pronto. Se lo faranno i

genitori, scelta assolutamente legittima e personale, si dovrà essere pronti a

questo tipo di reazioni e ci si potrà preparare ad accoglierle e gestirle nel

miglior (per tutti i membri della famiglia) dei modi.

È qui che, purtroppo, si innestano i numerosi pseudo esperti del settore che

consigliano ai genitori i loro infallibili metodi. Uno dei più tristemente famosi è

quello del pianto prolungato con l’obiettivo di estinguerlo nel corso di una o

due settimane. Certamente il bambino non piange più. Ma la domanda, a mio

avviso, non trascurabile, che molti se dimenticano di farsi è “a che spese?”.

Nuovamente la scienza ci viene in aiuto e ci dice che un pianto prolungato e

non consolato è responsabile di un aumento di cortisolo, ormone dello stress.

Particolarmente dannoso se accumulato e non smaltito dall’organismo.

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Individuato come ormone presente in numerose patologie croniche. Tuttavia

l’aspetto ancor più preoccupante è quello psicologico. Il non essere ascoltati

nel proprio bisogno proprio da coloro che sono, per natura, predisposti a farlo,

può innestare un senso di sfiducia nelle proprie capacità ed un senso di

incertezza che può provocare diversi problemi più avanti. Il neonato/bambino,

che ricordo, non ha ancora un pensiero evoluto, impara e apprende che

quando ha bisogno nessuno accorre da lui. Ne ignora i motivi e le teorie

sottostanti. Sa solo questo.

Nuovamente per questo, avendo sperimentato che il suo pianto non è affatto

funzionale ed efficace per richiamare la mamma o il papà, non lo farà più. Il

non farlo non significa però che il suo bisogno sia scomparso. Purtroppo le

ricerche a lungo termine sugli effetti del pianto prolungato non sono esaurienti

poiché molto difficili da sostenere. Sappiamo però gli effetti nefasti del non

accudimento e della deprivazione affettiva. E il non rispondere ad un bisogno,

deliberatamente ed in maniera prolungata, può essere visto come un

accudimento incompleto. Il bambino ha bisogno dei genitori in maniera stabile

nel tempo (quindi sia di giorno che di notte) e le capacità di risposta alle sue

richieste e ai suoi bisogni fisici, affettivi, emotivi e cognitivi è estremamente

importante per la futura salute mentale del bambino stesso.

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È proprio tramite l’interazione con i genitori le modalità relazionali che si

vengono a costruire che il bambino modellerà il suo sviluppo cognitivo ed

emotivo e le rappresentazioni mentali di se stesso e degli altri. La richiesta di

cura (attaccamento) dovrebbe attivare da parte del caregiver l’offerta di cura

(accudimento). Tuttavia questi sistemi sono estremamente delicati e risentono

di interferenze sia interne che esterne alla persona.

PER UN CORRETTO ASSESSMENT

Una delle domande per cui i genitori si rivolgono più spesso agli psicologici, ed

in particolare agli psicologici perinatali, riguarda il tema del sonno.

Prima di fare qualsiasi intervento la cosa più importante è esordire sempre con

una frase empatica. Ad esempio “capisco la vostra difficoltà!” oppure

“immagino la vostra fatica!”. Gli elementi importanti da raccogliere in fase di

prima consultazione sono:

1)   Gravidanza della mamma (ospedalizzazioni prolungate, malattie della

madre, del padre, del feto, se ha subito traumi importanti quali lutti di

persone significative o incidenti o eventi altamente stressogeni)

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2)   Parto (parto naturale o cesareo, complicanze, baby blues o depressione,

sostegno percepito dall’esterno, risorse personali, inizio allattamento –

chiedere anche se le aspettative che i genitori avevano durante la

gravidanza sono state mantenute oppure no e che effetto ha avuto

questo sulla loro genitorialità )

3)   rapporto di coppia prima della nascita e dopo

4)   composizione familiare (presenza di fratelli/sorelle, nonni o altri)

5)   sfera lavorativa di entrambi i genitori

6)   abitudini della famiglia prima e dopo la nascita – ora della cena, ora della

messa a letto, utilizzo dispositivi elettronici, tv, fiabe, giochi, ecc.

7)   eventi particolari e fuori routine (trasloco, cambio scuola, nuova

gravidanza, separazione, perdita lavoro ecc.)

8)   se sono presenti malattie congenite o neurologiche nel bambino

9)   chiarire bene cosa intendono loro con la frase “mio figlio non dorme!” –

dove dorme, la situazione ambientale (stanza piccola vs grande,

temperatura), con chi dorme, se sono presenti animali, quante ore

dorme, cosa fa prima di andare a letto, cosa succede quando si sveglia,

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se dorme (quanto) durante il giorno, quanto durano i risvegli, cosa fanno

per farlo riaddormentare.

10)   abitudini dei genitori (fumo, alcol, dipendenze, ecc)

11)   se possibile cercare di individuare il tipo di attaccamento

IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NELLE CONSULENZE

1)   non deve convincere nessuno. Non è un venditore di verità. Può fare

però, se necessario, un po’ di psicoeducazione per orientare genitori che

sente in difficoltà.

2)   deve tenere conto del ground e del contesto familiare, anche degli aspetti

religiosi e morali e deve necessariamente averne rispetto.

3)   Deve sapere qual è lo sviluppo fisiologico del neonato e del bambino

anche se non dovrà necessariamente dirlo. Lo potrà valutare in base alla

domanda iniziale della famiglia.

4)   Conoscere esattamente la fisiologia del sonno.

5)   Sostenere la famiglia nel trovare la soluzione più adatta a loro

6)   basarsi su opinioni scientifiche e non personali


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7)   non giudicare mai

informare, se messi a conoscenza, sui rischi possibili di alcune


pratiche.
8)   Non terrorizzare o colpevolizzare i genitori. Se hanno o stanno agendo in

un determinato modo è perché, per loro, è l’unico possibile. Il fatto che

abbiano chiesto una consulenza è senza dubbio un aspetto da

considerare in maniera positiva.

9)   Deve avere in mente quali sono le aspettative dei genitori, chiedergliele,

e cercare al tempo stesso di capire qual è il reale bisogno dietro la

domanda esplicitata.

10)   Ricordarsi che i genitori vengono giudicati in continuazione! Quindi non

pagano uno psicologo perinatale per essere giudicati. Vogliono essere

ascoltati, compresi, sostenuti e, possibilmente aiutati.

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CHIAREZZA TERMINOLOGICA

Ø   Importantissimo per tutti gli psicologi perinatali è conoscere la corretta

terminologia e quindi la differenza tra cosleeping e badsharing.

Con il termine cospleeping si intende semplicemente condividere lo stesso

spazio del sonno. Condividere il sonno. Quindi la stessa stanza. MA NON

SIGNIFICA CONDIVIDERE IL LETTO. Il bambino può infatti dormire nella sua

culla/cesta/lettino.

Badsharing è invece la condivisione del lettone .

Ø   Vizio= vìzio s. m. [dal lat. vitium «vizio»; cfr. vezzo]. – 1. Incapacità del

bene, e abitudine e pratica del male; il concetto del vizio, sul piano

morale, è dunque strettamente correlativo a quello della virtù, di cui

costituisce la negazione. Nella teologia morale, v. capitali, i peccati

capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia) quando

siano considerati non nell’individualità dell’atto, ma come abitudini (il

numero di sette si è definito nella tradizione cristiana con Gregorio

Magno, mentre in Oriente è rimasta la più antica classificazione di otto:

gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, pigrizia, vanagloria, superbia): A

vizio di lussuria fu sì rotta, Che libito fé licito in sua legge(Dante,

di Semiramide). Con valore più generico: il v. di bestemmiare, di


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mentire, di essere invidioso, di adirarsi; prendere, contrarre un

v.; entrare nella strada del v., percorrere la strada del v.; togliersi un

v.; emendarsi, correggersi di un v.; avere molti v.; essere pieno, carico

di vizî; ma il core, Ricco di vizî e di virtù,delira (Foscolo); quell’uomo è un

cumulo, un impasto di vizî, di persona piena di vizî; prov. l’ozio è il padre

dei vizî. 2. a. Abitudine profondamente radicata che determina

nell’individuo un desiderio quasi morboso di cosa che è o può essere

nociva: avere il v. di bere, di fumare, o anche il v. del vino, del

fumo; acquistare, perdere il v. del gioco; levare a qualcuno il v. di

mentire; v. solitario, la masturbazione. b. Abitudine non buona, difetto

fastidioso ma non grave: ha il v. di parlare troppo, di non essere

puntuale, di star sempre con la testa fra le nuvole; questo tuo v. del

levarti in sogno e di dire le favole che tu sogni per

vere(Boccaccio). c. ant. Voglia, capriccio: come spesso interviene

ch’ell’hanno vizio di cose nuove, così potrebbe intervenire che ella avrà

vizio di voi (Sacchetti, nov. VIII). 3. estens. a. Riferito ad animali,

difetto, imperfezione anatomico-funzionale, o di indole e di

comportamento: un cavallo con un v. alla gamba; questo gatto ha il v. di

graffiare; un cane da ferma che ha il v. di inseguire la selvaggina;

prov., il lupo cambia (o perde) il pelo ma non il v., per significare la

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difficoltà di estirpare le cattive abitudini. b. Con riferimento a cose e

oggetti materiali, difetto, imperfezione: tessuto, manufatto con qualche

v. di lavorazione; l’acqua non ce l’ho messa ... e il vino non ha nessun

v. (Tozzi). Nell’uso giur., vizî nella vendita, difetti della cosa venduta

(anche con riferimento ad animali) che la rendono non idonea all’uso cui

è destinata o ne diminuiscono il valore in misura apprezzabile; sono detti

anche v. redibitorî perché danno luogo ad azione redibitoria (v.), o v.

occulti, giacché l’azione non è ammessa quando i vizî siano facilmente

riconoscibili o fossero conosciuti dal compratore al momento della

vendita; con lo stesso sign. il termine vizio è usato anche in relazione ad

altri contratti, come la locazione, l’appalto, il comodato. c.Errore,

scorrettezza: v. di scrittura, errore ortografico o

grammaticale; l’affettazione è v. dello stile; la petizione di principio è un

v. del ragionamento. d. In diritto, vizî della sentenza, errori contenuti

nella sentenza, che possono essere fatti valere con l’esercizio dei mezzi

di impugnazione; vizî dell’atto amministrativo, irregolarità di uno degli

elementi essenziali dell’atto amministrativo, distinti in v. di

legittimità e v. di merito e riassumibili nelle tre figure dell’incompetenza,

dell’eccesso di potere, della violazione di legge (l’atto affetto da una di

queste irregolarità si dice viziato); nel concetto della violazione di legge

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rientra anche il v. di forma, che consiste nella mancanza di uno di quegli

elementi formali che sono prescritti a pena di invalidità dell’atto. V. della

volontà, difetto nella formazione della volontà di un soggetto di diritto: i

vizî presi in considerazione dall’ordinamento giuridico sono l’errore, la

violenza, il dolo, e per la loro trattazione si fa rinvio alle voci relative,

oltre che alla voce volontà. 4. a. In medicina, designazione generica di

alterazioni morfologiche di orifizî o aperture naturali o canali anatomici,

causa di malattia o di minorazione in atto o in potenza: v. cardiaco o v.

valvolare, alterazione permanente, congenita o acquisita, delle valvole

del cuore, con conseguente ostacolo alla normale dinamica

cardiocircolatoria. b.In medicina legale e nel diritto, v. di mente,

infermità di mente tale da escludere (v. totale) o da diminuire

notevolmente senza escluderla (v. parziale) la capacità di intendere o di

volere da parte di chi ha commesso un atto; nel diritto penale il vizio

totale di mente esclude l’imputabilità, mentre il vizio parziale comporta

solamente una diminuzione della pena prevista. ◆

Dim. viziétto (v.), vizierèllo o viziarèllo, viziùccio; pegg. viziàccio.

30  

 
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La  proprietà  intellettuale  del  presente  documento  è  di:  Dott.ssa  Alessandra  Marelli.  

Sará  quindi  assolutamente  vietato  copiare,  appropriarsi,  ridistribuire,  riprodurre  qualsiasi  frase  e  contenuto  
presente   in   questa   dispensa   perché   frutto   del   lavoro   e   dell´intelletto   dell´autore   stesso.    
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dall´autore.  

Bibliografia  

1) SLEEP in NEONATES

Jacquelyn D. Hrabowski RN, BSN Kimberly A. Hardin MD, MS, MCR,


FAASM

2) Response to “Let's help parents help themselves: A letter to


the editor supporting the safety of behavioural sleep techniques”

Wendy Middlemiss a, , Douglas A. Granger b, Wendy A. Goldberg c

Early Human Development 89 (2013) 41–42

3) Five-Year Follow-up of Harms and Benefits of Behavioral


Infant Sleep Intervention: Randomized Trial

Anna M.H. Price, Melissa Wake, Obioha C. Ukoumunne and Harriet


Hiscock

Pediatrics 2012;130;643; originally published online September 10,


2012; DOI: 10.1542/peds.2011-3467

4) Spontaneous Brain Activity in the Newborn Brain During


Natural Sleep—An fMRI Study in Infants Born at Full Term

PETER FRANSSON, BEATRICE SKIO ̈LD, MATHIAS ENGSTRO ̈M, BOUBOU


HALLBERG, MIKAEL MOSSKIN, ULRIKA ÅDEN, HUGO LAGERCRANTZ,
AND MATS BLENNOW
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dall´autore.  

PEDIATRIC RESEARCH Vol. 66, No. 3, 2009

5) IL SONNO DEL NEONATO E I PROCESSI DI SVILUPPO –

G. Calciolari, R. Montirosso gruppo di studio sulla care S.I.N. Bari, 20 maggio 2010

Sleep Medicine Reviews, Vol. 7, No. 4, p. 321±334, 2003

6) Development of fetal and neonatal sleep and circadian rhythms*

1,2 3 1
Majid Mirmiran , Yolanda G. H. Maas and Ronald L. Ariagno

CLINICAL REVIEW

7) The function of dream sleep

Francis Crick* & Graemi Mitchison*

NATURE VOL.30 I4 JULY 198

8) Psicoanalisi e Neuroscienze: un dibattito attuale sul sogno

Mauro Mancia

9) Genetic and Environmental Influences on Infant Sleep

Abigail Fisher, Cornelia H. M. van Jaarsveld, Clare H. Llewellyn and Jane


Wardle

Pediatrics 2012;129;1091; originally published online May 14,


2012; DOI: 10.1542/peds.2011-1571

32  

 
LA  FISIOLOGIA  DEL  SONNO  DEL  BAMBINO  ED  IL  RUOLO  DELLO  PSICOLOGO  PERINATALE  

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dall´autore.  

10) Sleeping with your baby

Peggy O’Mara and James McKenna – 2002

MOTHERING SPECIL EDITION

11) Neurophysiologic Assessment of Neonatal Sleep


Organization: Preliminary Results of a Randomized, Controlled
Trial of Skin Contact With Preterm Infants

Susan M. Ludington-Hoe, Mark W. Johnson, Kathy Morgan, Tina Lewis,


Judy

Gutman, P. David Wilson and Mark S. Scher

Pediatrics 2006;117;e909 DOI: 10.1542/peds.2004-1422

12) A neurophysiological perspective on sleep and its maturation

Bernard Dan* MD PhD, Department of Neurology, Hôpital Universitaire


des Enfants Reine Fabiola, Free University of Brussels, Brussels,
Belgium. Stewart G Boyd MD, Department of Clinical Neurophysiology,
Great Ormond Street Hospital for Children, London, UK.

Developmental Medicine & Child Neurology 2006, 48: 773–779

13) Development of the nocturnal sleep electroencephalogram in


human infants

Oskar G. Jenni,1,2 Alexander A. Borbe ́ly,1 and Peter Achermann1


33  

 
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Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol 286: R528–R538, 2004. First


published November 20, 2003; 10.1152/ajpregu.00503.2003.

14) Parenting Advice Books About Child Sleep: Cosleeping and


Crying It Out

Kathleen D. Ramos, PhD1; Davin M. Youngclarke, MA2

SLEEP, Vol. 29, No. 12, 2006

15) Sleep in brain development

PATRICIO D. PEIRANO and CECILIA R. ALGARÍN

Biol Res 40: 471-478, 2007

16) L’estinzione graduale risolve i problemi del sonno nei


bambini?

Maria Luisa Tortorella*°, Annamaria Moschetti**°, Sara D’Erasmo***

Quaderni acp 2006: 13(6); 264-266

17) Level of NICU Quality of Developmental Care and


Neurobehavioral Performance in Very Preterm Infants Rosario
Montirosso, Alberto Del Prete, Roberto Bellù, Ed Tronick, Renato Borgatti

and the Neonatal Adequate Care for Quality of Life (NEO-ACQUA) Study
Group

Pediatrics; originally published online April 9, 2012; DOI:


10.1542/peds.2011-0813
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18) LA SIDS: EZIOPATOGENISI ED INQUADRAMENTO CLINICO

CENTRO SIDS REGIONE PIEMONTE – SILVIA NOCE

19) SIDS and Other Sleep-Related Infant Deaths: Expansion of


Recommendations for a Safe Infant Sleeping Environment

Task Force on Sudden Infant Death Syndrome

Pediatrics 2011;128;e1341; originally published online October 17,


2011; DOI: 10.1542/peds.2011-2285

20) Children's Sleep: An Interplay Between Culture and Biology

Oskar G. Jenni and Bonnie B. O'Connor

Pediatrics 2005;115;204 DOI: 10.1542/peds.2004-0815B

21) Decreased Arousals Among Healthy Infants After Short-Term


Sleep Deprivation

Patricia Franco, MD, PhD*; Nicole Seret, MD‡; Jean Noe  ̈l Van Hees,
MD‡; Sonia Scaillet, MD*; Franc  ̧oise Vermeulen, MD*; Jose ́
Groswasser, MD*; and Andre ́ Kahn, MD, PhD*

PEDIATRICS Vol. 114 No. 2 August 2004

35  

 
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22) Commentary: Sleep in German Infants−−The ''Cult'' of


Independence Stephan R. Valentin

Pediatrics 2005;115;269 DOI: 10.1542/peds.2004-0815J

23) IL SONNO E I RITMI BIOLOGICI – UNIVERSITA’ DI CHIETI

24) Attachment patterns and emotion regulation strategies in the


second year.

Riva Crugnola C, Tambelli R., Gazzotti S, Caprin C, Spinelli M, Albizzati


A (2011).

Infant behavior & development, vol. 2, (84-96), ISSN: 0163-6383, DOI:


10.1016/j.infbeh.2010.11.002.

25) Linee guida su cosleeping e allattamento al seno Academy of


Breastfeeding Medicine (2008).

(tratto da “Breastfeeding Medicine” volume 3, n. 1, 2008).

26) SVILUPPO AFFETTIVO E AMBIENTE

D. Winnicott

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27) LE RELAZIONI DI ATTACCAMENTO COME FATTORI


DETERMINANTI DELLA SALUTE FISICA

Robert G. Maunder e Jonathan J. Hunter

Psychomedia, 28.01.2009

TESTI

1) Manuale di psicologia clinica dell'età evolutiva. Modelli e


metodi in

psicoterapia,

Tambelli R. (2012)

Il Mulino, Bologna, ISBN: 978-88-15-23264-9.

2) Il bambino da 0 a 3 anni. Guida allo sviluppo fisico, emotivo e


comportamentale del bambino.
Brazelton T.B.
Rizzoli, Milano, 2009.

3) II bisogni irrinunciabili dei bambini.

Brazelton T.B. , Greenspan S.I.

Raffaello Cortina Editore, 2001

37  

 
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4) Partorire e accudire con dolcezza. La gravidanza, il parto e i


primi mesi con tuo figlio, secondo natura.
Buckley S.J.
Il Leone Verde, 2012.

5) Perché si devono amare i bambini.


Gerhardt S.
Cortina, 2006.

6) Facciamo la nanna. Quel che conviene sapere sui metodi per


far dormire il vostro bambino.
Honegger Fresco G.
Il leone verde, 2006.

7 ) Di notte con tuo figlio. La condivisione del sonno in famiglia.


McKenna J.
Il leone verde, 2011.

8) Genitori di giorno e di notte.


Sears W.
LLL Italia, 2004.

9)Manuale di psicopatologia dell’infanzia (a cura di) Massimo


Ammaniti – Raffaello Cortina Editore, 2001

10), Nel corso della notte. I disturbi del sonno nella prima
infanzia,

Daws D Napoli, Liguori Editore, 1992.

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11) The Intern tional Classification of Sleep Disorders: Diagnostic


and Coding Manual (ICSD: DSM).

American Sleep Disorders Association (1990)

12) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.

Milano: Masson, 2001. American Psychiatric Association (2000), DSM-IV-


TR

13) I Disturbi delle relazioni nella prima infanzia.

Milano: Boringhieri, 1989, pp. 136-155.

14) Attaccamento e perdita. Vol.1, L’attaccamento alla madre.

Bowlby J , Torino: Boringhieri, 1972.

15) La nascita psicologica del bambino.

Mahler SM, Pine F, Bergman A, Torino: Bollati Boringhieri, 1978.

16) La comunicazione affettiva tra il bambino e i suoi partner

Riva Crugnola C (1999) (a cura di) Milano: Raffaello Cortina.

17) Affetti. Natura e sviluppo delle relazioni interpersonali.

M Ammaniti, N Dazzi (a cura di), Bari: Laterza.

18) Zero-To-Three (2005), Classificazione Diagnostica della


Salute Mentale e dei Disturbi di Sviluppo dell’Infanzia.

Tr.it. Roma: Fioriti Editore, 2008.

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19) Sleep disorders. In CH Zeanah (Eds), Handbook of Infant


Mental Health.

Anders TF, Goodlin-Jones B, Sadeh A (2000), New York-London: Guilford


Press.

20) I disturbi del sonno. In: La nascita della vita mentale e i suoi
disturbi. )

F Muratori (a cura di)

Sadeh A, Anders TF (1999), Pisa: Edizioni Del Cerro.

40  

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