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Popoli indigeni del Brasile

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Tribù dei Karajá

I popoli indigeni del Brasile (povos indígenas brasileiros in


portoghese) comprendono un grande numero di gruppi etnici
distinti, che hanno abitato l'odierno Brasile ancor prima
dell'arrivo degli europei, intorno al 1500. Come Cristoforo
Colombo, che pensava di aver raggiunto le Indie orientali, i
primi esploratori portoghesi chiamarono queste genti con il
nome di indios ("indiani"), un nome che è usato ancora oggi.

Ai tempi delle prime esplorazioni europee, i popoli indigeni


erano tradizionalmente tribù semi-nomadi che vivevano di
caccia, pesca ed agricoltura. Molte delle circa 2000 tribù che
esistevano furono sterminate con gli insediamenti degli europei,
mentre molte altre furono assimilate al popolo brasiliano.

La popolazione indigena è stata in gran parte uccisa dagli


spagnoli ai tempi della colonizzazione delle Americhe, passando
da una popolazione precolombiana stimata in milioni al minimo
storico di circa 100.000 persone negli anni ottanta: è
probabilmente uno dei maggiori genocidi nella storia
dell'umanità[1]. Molte delle tribù sopravvissute cambiarono
totalmente il loro stile di vita pur di sopravvivere, sostentandosi
di commercio praticato con le società dei coloni o assimilandosi
alle popolazioni urbane di origine europea. Nonostante anni di
contatto con la società di frontiera, nella maggior parte dei casi
hanno mantenuto la loro lingua e il loro stile di vita. Alcune
tribù invece s'isolarono completamente rifugiandosi nelle
remote regioni dell'Amazzonia, e oggi evitano ancora ogni
contatto pacifico con il mondo esterno[2].

In anni recenti ci sono stati cambiamenti nelle politiche verso i


popoli indigeni, con creazioni di territori indigeni e leggi
speciali, che hanno permesso a questi gruppi di crescere
nuovamente: oggi ci sono circa 240 tribù per un totale di circa
1,6 milioni di persone.[3] Gli indios brasiliani diedero comunque
un notevole contributo allo sviluppo economico e culturale del
Brasile; si pensi ai generi alimentari prodotti e commerciati da
queste tribù.

Indice
Origini
L'ipotesi siberiana
L'ipotesi degli aborigeni americani
Resti archeologici
Oggetti
Ceramica
Economia
Gli indios dopo la colonizzazione europea
Primi contatti
La schiavitù e le Bandeiras
I Gesuiti
Il commercio della gomma
Protezione del governo
La febbre dell'oro in Brasile
Situazione odierna
I gruppi etnici
Gli Indiani incontattati
Note
Bibliografia
Bibliografia in italiano
Bibliografia in inglese
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni

Origini
Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà precolombiane.
Le origini di queste popolazioni indigene sono fonte di notevoli
divergenze tra archeologi ed antropologi. La teoria tradizionale
secondo cui sarebbero migrate dalla Siberia verso l'America alla
fine dell'ultima era glaciale trova crescente opposizione da parte
degli archeologi sudamericani.

L'ipotesi siberiana

Alcuni antropologi hanno evidenziato come molti nativi


americani discendano da popoli provenienti dal nord dell'Asia
(Siberia) che hanno attraversato lo stretto di Bering in almeno
tre ondate migratorie differenti. In Brasile, in particolare, molte
tribù native sono considerate discendenti della prima ondata
che avrebbe attraversato la Beringia attorno al 9000 a.C.

L'ondata migratoria avrebbe impiegato un po' di tempo a


raggiungere l'odierno Brasile, probabilmente entrando nel
bacino del Rio delle Amazzoni da nord-ovest. La seconda e la
terza ondata migratoria proveniente dalla Siberia, che avrebbero
generato le popolazioni eschimesi, parrebbero non aver superato
l'estremità meridionale degli odierni Stati Uniti d'America.[4]

L'ipotesi degli aborigeni americani

L'ipotesi siberiana è stata recentemente messa in discussione


dal ritrovamento di alcuni resti umani nel sud America,
considerati troppo vecchi per questa ipotesi (circa 20.000 anni).
Altri recenti ritrovamenti (soprattutto lo scheletro di Luzia in
Lagoa Santa) sono risultati morfologicamente distinti dal
genotipo asiatico e molto più simili ai popoli africani e
australiani. Questi "aborigeni americani" sarebbero poi stati
assorbiti dai gruppi provenienti dalla Siberia. I nativi della Terra
del Fuoco potrebbero essere gli ultimi discendenti di questi
indigeni.
Questi gruppi avrebbero raggiunto le coste americane
attraversando l'oceano su barche o attraversando le zone a nord
lungo lo stretto di Bering molto prima delle ondate ipotizzate
dalla maggioranza degli antropologi. Questa teoria è confutata
da molti esperti perché il viaggio attraverso i mari è considerato
troppo difficoltoso per l'epoca. Altre teorie propongono una
migrazione attraverso l'Australia e la Tasmania, procedendo per
le Isole Sub-Antartiche, quindi lungo le coste dell'Antartide fino
all'estremità meridionale del Sud America durante l'Ultimo
massimo glaciale.[5]

Resti archeologici

Praticamente tutti i
ritrovamenti archeologici in
Brasile risalgono a periodi
successivi alle ondate
migratorie siberiane. Gli
indiani brasiliani, a
differenza di quelli del
Mesoamerica e delle Ande
occidentali, non hanno Popolo Terena
lasciato tavole scritte o
monumenti, ed il clima
umido e torrido, tipico delle foreste amazzoniche, ha distrutto la
quasi totalità delle tracce della loro cultura, inclusi lavorazioni in
legno e ossa umane. Tutto quello che si conosce sulle tribù
prima del 1500 è quindi frutto di deduzioni logiche e di
ricostruzioni basate su ritrovamenti archeologici, come
lavorazioni primitive in pietra.

Una testimonianza forte dell'esistenza di gruppi tribali in epoca


molto precedente all'arrivo degli europei è il ritrovamento in
grosse quantità di scarti di crostacei e molluschi (sambaquís)
lungo le coste dell'Atlantico, zone considerate abitate per
almeno 5.000 anni; inoltre ci sono i ritrovamenti di depositi di
terra preta in molti luoghi lungo il corso del Rio delle Amazzoni.
Recenti scavi su questi depositi hanno portato alla luce i resti di
grandi insediamenti, comprendenti decine di migliaia di
abitazioni, indicanti complesse strutture sociali ed
[6]
economiche.

Oggetti

Le tribù brasiliane usavano ossa ed oggetti di pietra scheggiati,


simile a quelli trovati in tutta l'America in date varie. In seguito
questi oggetti furono sostituiti da attrezzi di pietra levigati.

Lance ed archi venivano usati per cacciare, pescare, e per la


guerra. La pesca era praticata anche con ossa a forma di ganci.
Altri oggetti caratteristici erano: lo zarabatana, il facas, il
machado, ecc.

Ceramica

L'arte della ceramica ebbe inizio in date molto remote; le


scoperte relative alla ceramica più remote sono quelle della
regione delle Amazzoni, il che può indicare un'invenzione locale
e la conseguente diffusione culturale da sud a nord, a dispetto
delle teorie generalmente accettate. I vasai dell'Amazzonia
usavano materiali sofisticati (come quantità di silice ottenuta da
certe spugne di [acqua] dolce) per creare oggetti artistici e vasi
cerimoniali, con intricati intagli, forgiature, e decorazioni
dipinte a mano. Nonostante il valore artistico dei ritrovamenti, è
accertato che non fecero mai uso del tornio o degli smalti vitrei.

L'evoluzione degli stili di arte ceramica in varie ubicazioni indica


una configurazione complessa di migrazioni interne. In
particolare, sembra che gli indiani Tupi-Guarani, che dal 1500
erano il gruppo etnico principale della zona delle Ande, si era
originato come una piccola tribù nella regione delle Amazzoni,
ed era migrato poi nella loro sede storica, dal Brasile centrale al
Paraguay, intorno al I millennio d.C.

Economia

Le prime tribù indigene del Brasile sembrano essersi sostenute


cacciando, pescando, e vivendo in piccoli gruppi. A un certo
punto, svilupparono, o impararono, la tecnica dell'agricoltura.
Alcune tecniche di raccolto (come quella per il granoturco)
furono importate dalle tribù più avanzate delle Ande, come la
coltura della manioca che divenne l'alimentazione principale per
molti gruppi, e che si è sviluppata localmente.

Gli indios dell'Amazzonia non avevano nessun animale


addomesticato per il trasporto o per il lavoro nei campi, così
l'agricoltura fu praticata quasi del tutto a mano. Una tecnica
usuale era quella di bruciare gli alberi della foresta, servirsi dei
minerali nutritivi lasciati dagli incendi e ivi innestare
piantagioni varie, a gruppi di due o tre campi alla volta. Gli
indios, inoltre, crearono una bibita alcolica, il cauim, dal
granturco fermentato o dalla manioca. Un costume che
probabilmente importarono dai gruppi delle Ande, insieme con
le tecniche agricole.

Gli indios dopo la colonizzazione


europea
Lo stesso argomento in dettaglio: Colonizzazione
europea delle Americhe e Colonia del Brasile.

Primi contatti

Quando gli esploratori


portoghesi arrivarono in
Brasile per la prima volta,
nel 1500, trovarono, con
grande sorpresa, una
costiera densamente abitata
da centinaia di migliaia di
indigeni, un "paradiso" di
ricchezze naturali. Pêro Vaz
de Caminha, lo scrivano Disegno che rappresenta la pratica
ufficiale di Pedro Álvares del cannibalismo tra gli indios
Cabral, il comandante della Tupinamba, in una descrizione di
flotta che sbarcò nell'attuale Hans Staden
stato brasiliano di Bahia,
scrisse una lettera al re del
Portogallo che descrive in termini appassionati la bellezza di
quelle terre.

Al tempo della scoperta europea, si stima che nell'odierno


Brasile vivessero 11 milioni di indigeni divisi in circa 2.000
tribù. I popoli indigeni erano per lo più tribù semi-nomadi che
vivevano di caccia e pesca. Per centinaia di anni avevano vissuto
una vita semi-nomade servendosi della foresta per le proprie
necessità. All'arrivo dei portoghesi nel 1500, gli indigeni
vivevano soprattutto sulla costa e lungo gli argini dei fiumi
principali. Inizialmente, gli europei videro i nativi come "nobili
selvaggi", e si mescolarono con loro.

Poi, con la scusa delle guerre tra le tribù, il cannibalismo, e


l'ambizione al pregiato legname di Pau brasil i portoghesi
iniziarono a "civilizzare" gli indigeni (originariamente i coloni
chiamavano il Brasile Terra de Santa Cruz, e solo più tardi
acquisì il nome attuale, che deriva proprio dalla suddetta varietà
di legname). Ma i portoghesi, come gli spagnoli nelle proprie
colonie, avevano inconsapevolmente portato con loro malattie
verso cui gli indigeni non avevano immunità, come morbillo,
vaiolo, tubercolosi ed influenza, che provocarono migliaia di
morti. La diffusione delle malattie nell'entroterra, attraverso le
rotte commerciali, decimò diverse tribù senza nemmeno che
queste entrassero in diretto contatto con gli europei. Si stima
che nel primo secolo dal contatto circa il 90% degli indigeni fu
spazzato via.

La schiavitù e le Bandeiras
Lo stesso argomento in dettaglio: Bandeirantes.

Il sentimento di meraviglia e le buone relazioni fra i nativi e i


visitatori durarono assai poco. I coloni portoghesi, tutti maschi,
stupravano regolarmente le donne indios, fatto che dimostra e
spiega l'origine massiccia di una generazione meticcia che
parlava gli idiomi indios. Questa generazione divenne ben presto
la maggioranza della popolazione e cominciò a sfruttare per i
lavori nei campi i nativi del posto. I gruppi dei discendenti dei
conquistadores, successivamente, organizzarono spedizioni,
chiamate "bandeiras" (bandiere), nell'entroterra brasiliano per
reclamare le terre in nome della corona portoghese, catturare
indios e cercare oro e pietre preziose.[7]

Intendendo trarre profitto dal commercio dello zucchero, i


portoghesi decisero di piantare la canna da zucchero in Brasile,
ed utilizzare schiavi indigeni come forza lavoro, così come si
faceva all'epoca nelle colonie spagnole. Ma gli indigeni non si
lasciarono catturare facilmente, molti morirono a causa delle
malattie europee, e spesso essi preferivano il suidicio alla
schiavitù. Così i portoghesi cominciarono ad importare schiavi
dall'Africa, un commercio conveniente in quanto il Portogallo
quasi lo monopolizzava. Sebbene nel 1570 re Sebastiano I
ordinasse che gli indigeni brasiliani non fossero più utilizzati
come schiavi e che quelli attualmente tenuti in cattività fossero
liberati, fu solo nel 1755 che terminò definitivamente la schiavitù
degli indigeni.

Quando le spedizioni dei portoghesi cominciarono a spingersi


sempre più verso l'interno, i conquistadores travolsero tutti i
gruppi tribali che trovarono sul loro cammino. Molti dei
sopravvissuti si ritrassero sempre di più verso l'interno, fin nel
ventre delle foreste tropicali amazzoniche. Questo ambiente,
nonostante fosse ostile per la sopravvivenza, fu l'unica
protezione che permise ad alcuni di questi gruppi di arrivare
fino ai giorni nostri. Molti gruppi rifiutarono di sottomettersi e
praticarono suicidi di massa.

I Gesuiti
Lo stesso argomento in dettaglio: Riduzioni gesuite.

La società dei gesuiti fu la prima autorità governativa a


provvedere per l'assistenza religiosa dei coloni ma soprattutto
per convertire i popoli indigeni al cattolicesimo, supportati dalla
bolla pontificia Veritas Ipsa la quale dichiarava che gli indios
erano esseri umani e dovevano essere trattati come tali.

Verso il 1770, quando il potere della Chiesa Cattolica cominciava


a vacillare in Europa, la difficile convivenza tra indigeni e coloni
fu di nuovo minacciata. A causa di un complesso intrigo
diplomatico tra Portogallo, Spagna e Vaticano, i Gesuiti furono
espulsi dal Brasile e le missioni confiscate e vendute.

Nel 1800, la popolazione del Brasile aveva raggiunto i 3.250.000


abitanti, di cui solo 250.000 erano indigeni. E nei decenni a
venire, senza l'appoggio dei gesuiti, gli indigeni furono
sostanzialmente lasciati da soli.

Il commercio della gomma

Gli anni che succedettero al 1840 portarono commercio e


benessere alla regione amazzonica. Si svilupparono i processi di
vulcanizzazione della gomma, e la domanda mondiale del
prodotto salì alle stelle. I migliori alberi della gomma del mondo
crescevano nella regione amazzonica, e decine di tribù indiane
furono radunate nell'Amazzonia occidentale per raccogliere la
gomma destinata ai mercati europei e americani.

Secondo uno storico rapporto del diplomatico britannico Roger


Casement, per soddisfare la crescente richiesta di gomma da
parte di Europa e Stati Uniti, in soli 12 anni furono resi schiavi,
torturati, uccisi e fatti morire di fame più di 30.000 indigeni[8].

Protezione del governo

Nel XX secolo, il governo brasiliano adottò una politica più


umanitaria, ed offrì protezione ufficiale alle popolazioni
indigene, includendo lo stabilimento delle prime riserve
indigene. La fortuna girò dalla parte degli indigeni quanto
Cândido Rondon, un uomo
di origini miste portoghesi e
Bororo, esploratore ed
ufficiale nell'esercito
brasiliano, cominciò a
lavorare per ottenere la
fiducia degli indigeni e
stabilire la pace. Rondon, il
cui compito era di aiutare a
portare le comunicazioni via
telegrafo nella regione
amazzonica, era un
esploratore nato. Nel 1910,
Mappa delle terre indigene in
contribuì a fondare il Serviço
Brasile
de Proteção aos Índios
(Servizio di Protezione degli
Indios) (SPI) (oggi FUNAI, Fundação Nacional do Índio,
Fondazione Nazionale dell'Indio), la prima istituzione vocata a
proteggere gli indigeni e preservare la loro cultura.

Nel 1914, Rondon


accompagnò Theodore
Roosevelt nella famosa
spedizione di quest'ultimo in
Amazzonia alla scoperta di
nuove specie. In questi
viaggi, Rondon rimase
sgomento nel vedere come i
coloni trattavano gli
indigeni, e divenne loro
fedele amico e protettore.
Nel 1952 stabilì il Parco Mappa dei gruppi etnici in Sud
Nazionale Xingu, nello Stato America nel 1937
di Mato Grosso, la prima
riserva di indios brasiliani.
Rondon, che morì nel 1956, è un eroe nazionale in Brasile. Lo
Stato brasiliano di Rondônia porta il suo nome. Comunque, lo
sfruttamento della gomma, e di altre risorse naturali
dell'Amazzonia portò a nuovi cicli di invasioni, espulsioni e
massacri.[9]

Dopo il lavoro di Rondon, l'SPI fu rigirato nelle mani di


burocrati ed ufficiali militari. Non mostrarono lo stesso impegno
del loro predecessore nei confronti degli indios. La tentazione
delle ricchezze naturali presenti nelle terre degli indios provocò
nuovi assalti da parte di agricoltori e coloni alle terre dei nativi,
e l'SPI addirittura li agevolò. Fra il 1900 e il 1967, si stima siano
scomparse 98 tribù indigene.

I resoconti dei maltrattamenti degli indios finalmente


raggiunsero i centri urbani del Brasile negli anni sessanta, e nel
1967 un rapporto scritto dal giudice Jader de Figuereido
Correia, e commissionato dal Ministero dell'Interno brasiliano,
svelò i crimini commessi contro le popolazioni indigene dai
latifondisti e dallo SPI. Le 7.000 pagine del rapporto
documentavano dettagliatamente assassini di massa, torture,
guerre batteriologiche, casi di schiavitù, abusi sessuali e furti di
terre nei confronti delle popolazioni indigene del Brasile[10]. Per
effetto di questi crimini decine di tribù furono completamente
sterminate e molte altre furono decimate. In seguito alle
denunce del rapporto fu promossa un'inchiesta giudiziaria che
portò all'incriminazione di 134 funzionari governativi, accusati
di oltre 1.000 crimini diversi. Lo SPI fu sciolto e sostituito dal
FUNAI, l'odierno Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni.

Le scoperte di Figuereido scatenarono l'indignazione


internazionale. Basandosi sul rapporto, nel 1969 il giornalista
britannico Norman Lewis scrisse un articolo pubblicato sul
Sunday Times dal titolo "Genocidio"[11]. L'articolo spinse un
piccolo gruppo di cittadini preoccupati a fondare, qualche mese
dopo, Survival International, il movimento globale per i diritti
dei popoli indigeni[12].
Ancora nel 1967, i militari brasiliani presero il controllo del
governo ed abolirono tutti i partiti politici. Nei due decenni
seguenti, il Brasile fu governato da una serie di generali. Il motto
del paese divenne "Brasile, lo Stato del Futuro", ed il governo
militare lo usò per giustificare una gigantesca spinta
nell'Amazzonia per lo sfruttamento delle sue risorse, che portò il
Brasile alla sua notevole posizione tra le principali economie
mondiali. Cominciò la costruzione di un'autostrada
transcontinentale che attraversava il bacino dell'Amazzonia, e
intendeva incoraggiare la migrazione nella regione, e una sua
maggiore apertura al commercio. Ricevendo fondi dalla Banca
Mondiale, enormi aree di foresta vennero rase al suolo senza
riguardo per le aree di riserva. Dopo il progetto per l'autostrada
vennero giganteschi progetti idroelettrici, tutto a scapito delle
riserve indigene. I lavori pubblici attrassero pochi immigranti,
ma quei pochi, portarono ulteriori malattie e devastazioni alla
popolazione nativa.

La febbre dell'oro in Brasile

La successiva fase della distruzione avvenne negli anni ottanta,


con la scoperta di grandi giacimenti d'oro nelle aree di riserva, in
particolare nelle terre degli Yanomami[13]. Gli Yanomami, una
delle più grandi e antiche tribù conosciute delle americhe,
vivevano da secoli praticamente indisturbati. Decine di migliaia
di speculatori in seguito arrivarono nella loro zona per estrarre
l'oro. Il mercurio usato per estrarre i giacimenti inquinò i fiumi
ed uccise i pesci. I minatori portarono inoltre la tubercolosi, la
malaria e l'influenza. Nel 1977 la popolazione Yanomami era
stimata a 20.000 abitanti; alla fine del secolo era scesa a 9.000.

Dopo una lunga campagna internazionale condotta da Survival


International, dalla tribù e dall'ONG brasiliana Commissione
Pro-Yanomami, nel 1992 il territorio yanomami fu ufficialmente
demarcata come "Parco Yanomami". Ancora oggi, però, i
minatori e i cercatori d'oro illegali continuano ad invadere il
territorio della tribù, inquinando i fiumi e distruggendo la
foresta[14]. Inoltre, un progetto di legge in discussione al
Congresso potrebbe autorizzare l'attività mineraria su larga
scala nei territori indigeni, causando ulteriori distruzioni; le
richieste di compagnie minerarie per scavare nel territorio
yanomami sono più di 650[15].

Situazione odierna

Dal 1988 la costituzione brasiliana riconosce il diritto ai popoli


indigeni di perseguire i loro modi di vita tradizionali e al
possesso permanente ed esclusivo delle loro "terre tradizionali",
che sono delimitate come "terre indigene" (in portoghese Terras
Indígenas, TI).[16] Tuttavia, i popoli indigeni sono ancora
costretti ad affrontare una serie di minacce esterne e le sfide per
la loro sopravvivenza e la conservazione del loro patrimonio
culturale.[17] I processi di demarcazione delle riserve sono lenti,
spesso scatenano battaglie legali e le varie organizzazioni, prima
fra tutte il FUNAI, non hanno risorse sufficienti per far
rispettare la tutela giuridica dei territori.[18][19][20][21]

Dagli anni ottanta c'è stato poi un boom nello sfruttamento della
foresta pluviale amazzonica per l'estrazione mineraria e per
l'allevamento intensivo del bestiame, che costituiscono una
grave minaccia per le popolazioni indigene. I coloni invadono
illegalmente i territori indigeni continuando a distruggere
l'ambiente da cui dipende la sopravvivenza delle tribù,
provocando violenti scontri e diffondendo tra i gruppi malattie
infettive. Gli Awá, ad esempio, sono stati definiti "la tribù più
minacciata del mondo"[22] proprio perché il loro territorio è stato
invaso da taglialegna e allevatori illegali, che stanno
distruggendo la loro foresta ad un ritmo vertiginoso.[17] Altri
gruppi, come gli Akuntsu[23] e i Kanoê, sono stati portati sull'orlo
dell'estinzione durante gli ultimi decenni del XX secolo.
Nel 2013 Survival International, il movimento mondiale per i
diritti dei popoli indigeni, ha denunciato che sono in discussione
al Congresso una serie di proposte di legge che rischiano di
indebolire fortemente i diritti degli Indiani del paese[15]; tra
queste un emendamento che vuole proibire l'espansione dei
territori indigeni e un progetto di legge che vuole aprire i
territori allo sfruttamento minerario su vasta scala. Davi
Kopenawa Yanomami, sciamano e portavoce yanomami, ha
dichiarato che "Le miniere non porteranno nulla di buono.
Porteranno molti problemi, molte malattie e tanta gente cattiva
che uccide gli Indiani.. Non abbiamo intenzione di accettare
questa legge... La terra è il nostro patrimonio, un patrimonio che
ci protegge. Per noi Indiani la terra appartiene a noi, perché
possiamo coltivare, cacciare e stare in salute: è la nostra
casa."[24]

Nell'aprile 2023 un'area 620mila ettari è stata demarcata dal


governo brasiliano per tutelare le popolazioni indigene dalle
attività economiche che sono potenzialmente distruttive del loro
ambiente di vita[25].

I gruppi etnici
I gruppi di indios riconosciuti dal governo brasiliano sono più di
200 (a questi vanno aggiunti altri gruppi non riconosciuti
ufficialmente o considerati come sottogruppi di quelli
riconosciuti).[26]

Alcuni di questi gruppi stanno scomparendo e sono


rappresentati da poche decine di individui (come ad esempio i
Mapidian stimati in 50 unità nel 1975, o i Negarotê stimati in 40
individui, o addirittura gli Amikoana stimati in soli 5 individui).
Altri hanno comunità più grandi, come i Guarani Kaiowá[27]
(oltre 31.000 unità solo in Brasile) o i Kaingang (oltre 33.000
unità). Alcuni gruppi sono del tutto isolati e vivono all'interno
della foresta amazzonica, altri vivono in riserve delimitate dalle
autorità brasiliane, come il Parco Indigeno dello Xingu, altri
ancora in villaggi assimilati alle città. Molti gruppi vivono in
aree di confine e sono localizzati all'interno di più stati (in
particolare Brasile, Colombia, Perù, Bolivia e Venezuela) come
ad esempio gli Asháninka, stimati in oltre 90.000 unità sparse
in varie comunità dal Brasile al Perù. Ogni gruppo parla una
lingua diversa, tranne alcuni casi in cui due o più gruppi hanno
in comune la stessa lingua. Una minoranza dei gruppi parla il
portoghese come lingua principale essendo la loro lingua madre
estinta.

Nonostante il Presidente Lula abbia istituito una Commissione


per la politica indigena, secondo il CIMI[28] (Consiglio
Indigenista missionario), un'organizzazione brasiliana per i
diritti dei popoli indigeni, la politica verso gli Indiani non è
cambiata e si è, anzi, aggravata con atti di razzismo e
persecuzione sociale. La situazione è stata criticata anche
dall'ONU[29].

In occasione della Coppa del Mondo 2014, Survival


International ha lanciato una campagna per denunciare "Il lato
oscuro del Brasile"[30][31]. L'organizzazione per i diritti dei popoli
indigeni, denuncia infatti che a 500 anni dalla colonizzazione gli
Indiani del paese vengono ancora uccisi per le loro terre e
risorse, e sottolinea che attualmente sono in discussione al
Congresso una serie di progetti di legge che indebolirebbero
notevolmente i diritti indigeni, aprendo i loro territori a progetti
industriali e minerari su vasta scala.

Gli Indiani incontattati

Nell'Amazzonia brasiliana abitano più tribù incontattate che in


qualunque altra regione del mondo[2]; secondo il FUNAI, il
Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni, sarebbero 77 i
gruppi che non hanno contatti con il mondo esterno. La loro
decisione è quasi certamente il risultato dei disastrosi rapporti
precedenti e del reiterarsi della colonizzazione e della
distruzione della loro foresta.

Secondo Survival International, gli incontattati sono i popoli più


vulnerabili del paese: dipendono totalmente dalla foresta per la
loro sopravvivenza, ma gran parte di questa viene distrutta dai
taglialegna, dagli allevatori, dalle prospezioni petrolifere e da
altri grandi progetti industriali[32]. Inoltre, non hanno difese
immunitarie verso le malattie portate dall'esterno e anche una
semplice influenza rischia di spazzarli via.

Note
1. ^
http://assets.survivalinternational.org/documents/1203/dossier-
diseredati-lr.pdf
2. Indiani incontattati del Brasile - Survival International.
3. ^ (PT) Brasil tem 1,653 milhão de indígenas, apontam dados
preliminares do Censo 2022, in IBGE, p. 281. URL consultato il
2 maggio 2021.
4. ^ Uomo bianco scomparirai, di Stan Steiner, M. Giacometti,,
su books.google.it. URL consultato il 4 giugno 2011.
5. ^ (EN) Southwest Archaeology, su drarchaeology.com. URL
consultato il 4 giugno 2011.
6. ^ (EN) Deposits in several places along the Amazon (archiviato
dall'url originale il 28 settembre 2011).
7. ^ (EN) São Paulo (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2008).
8. ^ Cento anni fa veniva svelato l'atroce trattamento subito
dagli Indiani dell'Amazzonia - Survival International.
9. ^ FUNAI - National Indian Foundation (Brazil), su
survivalinternational.org. URL consultato il 23 febbraio 2011.
10. ^ Brasile: arsenico e pallottole contro gli indios. Torna alla
luce il rapporto 'perduto' di Figueiredo - Il Fatto Quotidiano.
11. ^ Norman Lewis article which led to the founding of Survival
International.
12. ^ Survival International - Il movimento per i popoli indigeni.
13. ^ Yanomami - Survival International.
14. ^ Operazione contro i minatori illegali nella foresta degli
Yanomami - Survival International.
15. Brasile: il lupo a guardia delle pecore. Dilagano le proteste
indigene - Il Fatto Quotidiano.
16. ^ (EN) Chapter VII Article 231 Federal Constitution of Brazil..
17. (EN) 2008 Human Rights Report: Brazil, su state.gov, United
States Department of State: Bureau for Democracy, Human
Rights and Labor, 25 febbraio 2009. URL consultato il 24 marzo
2011 (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2011).
18. ^ (EN) Indigenous Lands > Introduction > About Lands, su
Povos Indígenas no Brasil, Instituto Socioambiental (ISA).
URL consultato il 24 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 27
gennaio 2011).
19. ^ (EN) Beto Borges e Gilles Combrisson, Indigenous Rights
in Brazil: Stagnation to Political Impasse, su
saiic.nativeweb.org, South and Meso American Indian Rights
Center. URL consultato il 24 marzo 2011.
20. ^ (EN) Stephan Schwartzman, Ana Valéria Araújo e Paulo
Pankararú, Brazil: The Legal Battle Over Indigenous Land
Rights, in NACLA Report on the Americas, vol. 29, n. 5,
1996. URL consultato il 24 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 20
aprile 2010).
21. ^ (EN) Brazilian Indians 'win land case', in BBC News, 11
dicembre 2008. URL consultato il 24 marzo 2011.
22. ^ Qui Awa Guajà, Amazzonia, Brasile "La tribù più
minacciata del mondo" - Repubblica.it.
23. ^ Akuntsu - Survival International.
24. ^ 'La nostra terra è il nostro patrimonio' - Survival
International, su survival.it (archiviato dall'url originale il 28 maggio
2014).
25. ^ Brazil's Lula recognises six new indigenous reserves, BBC
news, 29 aprile 2023.
26. ^ Quadro Geral dos Povos, su pib.socioambiental.org. URL
consultato il 30 maggio 2011.
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Bibliografia

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Bibliografia in inglese
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Janice H. Hopper, Gertrude Evelyn Dole, Indians of Brazil in
the twentieth century, Institute for Cross-Cultural Research,
1967, ISBN 978-0-911976-02-1.
Mércio Pereira Gomes, The Indians and Brazil, 2000ª ed.,
University Press of Florida, 1992, ISBN 978-0-8130-1720-4.

Voci correlate
Terre indigene
Brasile
Popoli indigeni della Colombia
Lingue gê
Nativi americani
Civiltà precolombiane
Parco Indigeno dello Xingu
Meticci
Foresta amazzonica
Storia del Brasile
Conquistadores
Colonizzazione europea delle Americhe
Bandeirantes
Colonia del Brasile
Marco temporal

Altri progetti
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tribù indigena sconosciuta, 1º febbraio 2011

Collegamenti esterni
(EN, PT, ES) Popoli Indigeni in Brasile. Instituto
Socioambiental, su pib.socioambiental.org.
Gli Indiani del Brasile - Survival International, su survival.it.
Gli Indiani incontattati del Brasile - Survival International, su
survival.it.
(EN) Ethnologue: Languages of the World, Fifteenth edition.
Dallas, Tex.: SIL International, su ethnologue.com (archiviato
dall'url originale il 3 ottobre 2006).
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URL consultato il 3 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 12 ottobre
2006).
(EN) South America. su everyculture.com
(PT) Sito ufficiale della Fundação Nacional do Índio (FUNAI),
su funai.org.br. URL consultato il 16 giugno 2019 (archiviato dall'url
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(PT) Povos Indígenas no Brasil Contemporâneo, su
br.geocities.com (archiviato dall'url originale l'11 agosto 2006).
LCCN (EN) sh85065597 (http://id.loc.gov/authorities/su
bjects/sh85065597) · J9U
Controllo di
(EN, HE) 987007545819805171 (http://olduli.nli.org.il/F/?
autorità
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est=987007545819805171)

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