Sei sulla pagina 1di 59

Letteratura Brasiliana

Pindorama, “il paese delle palme” o “il brasile che non c’era”

Quando i Portoghesi arrivarono in Brasile, (il 22 aprile 1500) pesavano di portare la civiltà evoluta e
di arrivare in territori dove le persone erano indietro in realtà arrivano in civiltà formate e questo
spaventa. Il primo approccio è di trovare uomini e donne completamente nudi, cappelli lunghi, lisci.
Non percepivano la nudità come qualcosa di vergognoso, i portoghesi pensarono di essere arrivati in
Paradiso; infatti, le prime descrizioni rimandano a concetti paradisiaci, con alberi grandi ed uccelli di
tutti i colori. La descrizione degli uomini sembra quasi quella di Adamo ed Eva, per catalogare nuove
esperienze i portoghesi usano concetti che già hanno nella loro cultura. La prima immagine è
positiva per entrambe le parti, i colonizzati pensavano che i colonizzatori fossero messaggeri del loro
Dio.

I colonizzatori europei non pensavano che il luogo avesse già un nome o che le persone avessero già
un’organizzazione politica o una propria religione. Il brasile veniva chiomato Pindorama perché
c’erano molte palme e anche il brasile che non c’era perché il Brasile si forma con l’arrivo dei
portoghesi, e cambiare vari nomi nel tempo, spesso i nomi avevano dei significati religiosi.

La lingua che si svilupperà è il portoghese brasiliano in quanto il portoghese europeo si incontra con
le lingue già presenti nel territorio.

Gli Indios erano circa 6 milioni, lentamente però sia loro che il loro habitat sono quasi scomparsi. Si
può parlare di un vero e proprio genocidio in quanto oggi non sono nemmeno un milione. Interi
popoli scomparvero e questo sarà oggetto di discussione per la letteratura ma anche dal punto di
vista politico.

Mancano 3 lezioni 24.02 e 25.02 e 2/02 (25 ci sono gli appunti)

Rapida panoramica storica sul brasile

Dalla scoperta alle prime rivolte.

Il Brasile fu ufficialmente “scoperto” il 22 aprile 1500 dal portoghese Pedro Álvares Cabral, la cui
flotta composta di 15 navi sarebbe stata deviata, mentre faceva rotta verso l’India, da una tempesta
improvvisa. Oggi si sa che prima di Cabral altri navigatori erano giunti sulle coste dell’America
meridionale, come Vicente Yañez Pinzón e Amerigo Vespucci che costeggiarono il litorale fino alla
foce del Rio delle Amazzoni, e che gli stessi portoghesi erano probabilmente a conoscenza
dell’esistenza di quelle terre.

Essi, infatti, quando nel 1494 firmano con la Spagna il Trattato di Tordesilhas che segna la
spartizione del globo fra le due potenze, si assicurano il possesso di un’ampia fascia di territori
inesplorati ad ovest delle Isole di Capo Verde, fascia che comprendeva anche il Brasile.

Dopo la presa di possesso ufficiale in nome del re D. Manuel, i portoghesi, occupati nei loro
fruttuosi commerci con le Indie, trascurano per circa vent’anni il Brasile, consentendo in tal modo ai
francesi di instaurare rapporti con le tribù locali e contrabbandare enormi quantità di pau-brasil,
prezioso e resistente legno rosso di cui abbondava la regione. Solo nel 1530 i portoghesi fondano i
primi due nuclei di colonizzazione, a São Vicente, a sud, e a Olinda, a nord-est.

Gli Indios si avvicinano ai portoghesi in modo pacifico perché pensavano fossero messaggeri del loro
dio (Maira?), e anche i colonizzatori pensano a qualcosa di religioso (paradiso) quando vedono i
coloni per la prima volta. Nel nord est del brasile sembra una regione africana, mentre nel sud est c’è
meno la presenza africana e più la presenza di indigeni e di portoghesi.

I brasiliani del sud est che fondano la regione del Sao Paolo che sono discriminati hanno molti miti,
che sono un po' Indios e quindi conoscono la terra, sanno come navigare i fiumi. Conoscono il
territorio. si chiamano Banderiras perché portavano la bandiera (?). Nella Minas Gerais troveranno
tantissimo oro che finanzierà la rivoluzione industriale in Europa, quasi tutti in Inghilterra.

Il paese viene suddiviso in Capitanerie, i cui donatari dovevano assicurare la difesa del territorio e
intraprendere la coltivazione della canna da zucchero. Nel 1549, Bahia (l’attuale Salvador) diviene
sede di governo. I francesi intanto continuano a cercare di strappare lembi del territorio brasiliano ai
portoghesi. S’insediano nella baia di Rio de Janeiro nel 1555 e vi fondano una colonia, la cosiddetta
Francia Antartica, dalla quale saranno cacciati nel 1565. Nel 1612 tornano alla carica e s’installano
nel Maranhão, a nord, ma sono respinti anche questa volta, nel 1615.

Nel 1580, con la scomparsa in Africa del re D. Sebastião, il Portogallo e conseguentemente anche il
Brasile passano sotto il potere spagnolo di Filippo II e vi restano fino al 1640. Tale evento, infausto
per il Portogallo, ha per il Brasile inaspettati e positivi effetti. Veniva a decadere il Trattato di
Tordesilhas che aboliva le frontiere fra le rispettive colonie e i Bandeirantes, gruppi di avventurieri di
varie regioni del Brasile, ma soprattutto di São Paulo, iniziano la penetrazione ad ovest alla ricerca di
oro, pietre preziose e manodopera indigena. Si addentrano sempre più all’interno, spingendosi in
tutte le direzioni del continente sudamericano, circostanza questa cruciale per la futura definizione
dei confini territoriali del Brasile.

Nel frattempo, inglesi, francesi e olandesi cercano di impossessarsi di varie città brasiliane. Nel 1637
gli olandesi riescono a insediarsi a Recife e Olinda, nella regione di Pernambuco, e vi restano
diciassette anni. Per scacciarli, nel 1654, coloni portoghesi, schiavi africani e indios si uniscono per la
prima volta in una lotta comune.

Proprio questa esperienza inedita di collaborazione, che i portoghesi disconosceranno subito dopo la
vittoria, fomenta le prime rivolte nel nord-est, a Pernambuco nel 1666, e a Maranhão nel 1684.
Approfittando di queste agitazioni, gruppi di schiavi fuggitivi formano all’interno del paese dei veri e
propri villaggi fortificati, detti quilombos, il più famoso dei quali è il Quilombo dos Palmares (1594-
1694), nella regione di Alagoas. Questo quilombo per circa un secolo riuscirà a respingere tutti gli
attacchi, finché nel 1694 sarà distrutto e suoi abitanti sterminati.Perché gli africani vengono portati
in Brasile come merce? Era costoso portarli lì ma si compensava con la produzione dello zucchero.

Zumbi dos Palmares è considerato un eroe per il Brasile, il mito di giustificare la schiavitù era che il
colonizzati erano nati per essere schiavi, non vale nessun uomo è nato per essere schiavo.

La maggior parte dei brasiliani sono discendenti dagli africani, si può dire che non ci sono bianchi in
Brasile, nel sud c’è il razzismo e gente che dice che i discendenti vengono da ceppi europei.

Durante il modernismo cambierà il concetto di meticcio (ha perso la purezza della razza) come
negativo in qualcosa di positivo, qualcosa di diverso, originale e unico. Questo concetto è alla base
della cultura brasiliana, di accettazione.

La regione del sud est diventa importante e il nord est perde importanza. I primi movimenti di
ribellione ai portoghesi e l’attività letteraria e politica sarà nel sud est.

L’inconfidência mineira (1789)


Il Settecento fu il secolo dell’oro, minerale trovato a Minas Gerais in quantità tale da sconvolgere
tutta l’economia coloniale, basata fino a quel momento sulla produzione dello zucchero. Lo
sfruttamento dell’oro, che diviene una delle principali fonti di reddito del Portogallo, consente
l’arricchimento delle regioni di Minas Gerais (ancora oggi si producono pietre preziose) , São Paulo e
Rio de Janeiro da dove era spedito. L’asse della colonizzazione si sposta dal nord-est al centro-sud e,
a partire del 1763, Rio de Janeiro diventa capitale del Brasile.

Fu un periodo di molte rivolte nella regione, come la Guerra dos Emboabas (nel 1711), che
coinvolge i paulistas (gli scopritori dell’oro nella regione) e gli emboabas, ossia gli invasori, che
arrivano dal Portogallo e anche da Bahia per l’attività mineraria. Sconfitti, i paulistas si addentrano
ancora di più verso l’interno del Brasile, nel sertão di Goiás e Mato Grosso, dove trovano
nuovamente molto oro. Intanto le frontiere fra i possedimenti nel Sud America delle due corone,
quella portoghese e quella spagnola, vengono ridefinite con il Tratado de Madri, firmato nel 1750.

Le idee liberali della Rivoluzione francese (1789) e dell’Indipendenza statunitense (1776) sono
accolte con entusiasmo in un ambiente già pronto a riceverle e contribuiscono a fomentare, nel
1789, uno dei più noti movimenti autonomisti del periodo coloniale, l’Inconfidência Mineira, o
Conjuração mineira, fallita grazie al fatto che uno dei partecipanti, Joaquim Silvério dos Reis, tradì gli
altri congiurati rivelando al governatore della provincia di Minas Gerais i piani della rivolta in cambio
del condono del debito che aveva con lo stato. È una rivolta che viene ben organizzata dai brasiliani
con già una struttura di stato,Questo movimento trae origine dal controllo portoghese sull’attività
mineraria e dalle esose tasse pretese anche quando la produzione aurifera comincia a dar segni di
esaurimento.

La rivolta è organizzata da un gruppo di intellettuali e personalità di spicco della colonia, ma anche


da commercianti, impiegati e burocrati dell’amministrazione, militari e membri del clero locale.
L’obiettivo è di rompere con il Portogallo, fondare uno stato libero e indipendente e promuovere le
condizioni per lo sviluppo del paese. I congiurati creano anche una bandiera, bianca con un triangolo
rosso in centro e la scritta in latino “Libertas Quae Sera Tamen” (Liberdade ainda que Tardia).

Oggi è la bandiera dello Stato di Minas Gerais. Tra i cospiratori figurano alcune delle massime
personalità letterarie del secolo, come i poeti Tomás Antônio Gonzaga (1744-1810), Cláudio Manuel
da Costa era un poeta fondamentale anche nella storia della letteratura portoghese (1729-1789), e
Alvarenga Peixoto (1744-1792), Silva Alvarenga (1749-1814) Molti di questi autori studiano in
Europa ma si sentono europei, hanno un amore per la terra in cui sono nati, non si può ancora
parlare di nazionalismo.

Traditi da uno dei partecipanti, i congiurati sono arrestati nel 1789 e condannati a morte, pena poi
commutata, quasi per tutti, con l’esilio in Africa. Joaquim José da Silva Xavier, detto il Tiradentes,
accusato di essere il capo della rivolta, sarà invece impiccato e decapitato il 21 aprirle del 1792.

Il suo corpo sarà squartato ed esposto per le strade di Vila Rica (oggi Ouro Preto) come monito per i
futuri rivoltosi. Vengono promulgate per il Brasile dalla regina portoghese D. Maria leggi ancora più
restrittive volte a controllare la circolazione di idee e a vietare qualsiasi tipo di attività produttiva,
anche artigianale, come ad esempio la produzione tessile, in che colpisce ancora di più l’economia
del paese sud-americano.
La corte portoghese in brasile e l’indipendenza
Nel 1808 il re portoghese D. João, in seguito all’invasione del Portogallo da parte di Napoleone,
decide di rifugiarsi in Brasile e si stabilisce con tutta la corte a Rio de Janeiro, rimanendovi fino al
1821. Tale evento, non certo positivo per il Portogallo, sarà per il Brasile un momento straordinario
di sviluppo. Con l’arrivo della corte, i porti si aprono alle navi straniere, vengono create industrie,
fondate scuole e università, istituite biblioteche, pubblicati libri e giornali.
Con il ritorno in Portogallo nel 1821, il Brasile rimane sotto la reggenza del figlio D. Pedro. Partito il
re, il Brasile si ritrova nuovamente colonia, perde i privilegi acquisiti, torna a dipendere
politicamente dal Portogallo. Ciò non viene accettato dai brasiliani e D. Pedro si trova a cercare di
conciliare, con misure liberali, gli interessi della colonia ribelle con quelli del Portogallo. L’iniziativa
non è apprezzata dalla Corona, che intima inutilmente a D. Pedro di far ritorno in patria. Il Portogallo
cerca in tutti i modi di imporre la propria autorità sulla colonia e sul suo reggente fino a quando D.
Pedro, esacerbato, il 7 settembre 1822 sancisce l’Indipendenza del Brasile, unico stato dell’America
Latina ad essersi staccato pacificamente dalla Madrepatria.
Il portogallo dipendeva in tutto e per tutto dall’estero in particolare dall’Inghilterra.
Nel 1824 sarà firmata la prima Costituzione brasiliana e nel 1826 il Parlamento inizia le sue attività. Il
prestigio di D. Pedro, incoronato imperatore del nuovo Stato, comincia a declinare dopo una serie di
sollevazioni e conflitti sociali che lo costringono ad abdicare a favore del figlio, allora di soli cinque
anni.
Nel 1840, all’età di quindici anni, D. Pedro II sale al trono. Il governo di Pedro II sarà segnato da un
vivace sviluppo economico e culturale e il paese conoscerà un periodo di benessere relativamente
diffuso.

La coltivazione del caffè, che si era estesa nelle province del sud, porta il Brasile sui mercati
internazionali: nel 1870 ne deteneva il monopolio mondiale. Sotto questo regno sarà dichiarata la
proibizione del traffico degli schiavi, nel 1850, e l’abolizione totale della schiavitù, nel 1888, con la
Lei Áurea, firmata dalla Princesa Isabel.

Gli schivi che vengono liberati dovevano diventare Salariados ovvero lavoratori con stipendio mentre
i Fazendeiros hanno cacciato tutti gli schiavi che lavoravano lì. La fine della schiavitù portò i
fazendeiros a incentivare l’immigrazione europea e fra il 1850 e il 1960 entrano nel paese circa
quattro milioni e mezzo di immigranti, soprattutto portoghesi, italiani, spagnoli, tedeschi e
giapponesi. Anche per cercare dei contadini disposti a lavorare in brasile ma i contadini italiani dle
nord non sono disposti a lavorare come gli schiavi, qui inizia la migrazione verso il brasile.

Lo scontento, inoltre, dei grandi proprietari terrieri nei confronti della Lei Áurea, che sconvolge
un’economia basata sulla mano d’opera schiava, contribuirà al tramonto della monarchia.

Il 15 novembre del 1889 viene proclamata la Repubblica, e il re filosofo e mecenate è costretto


all’esilio perpetuo. Nel 1891 viene firmata una nuova Costituzione, repubblicana

DALLA PRIMA REPUBBLICA (1889-1930) ALLO STATO NUOVO DI GETÚLIO VARGAS (1930-1945)

Il periodo che va dal 1889 al 1930, ossia quello della prima Repubblica, è economicamente
caratterizzato da un rilevante sviluppo economico, anche se la stabilità politica è messa a dura prova
da ripetute rivolte, come quella di Canudos a Bahia, nel 1897, quelle del 1923, del 1924 e quella che
porterà al potere Getúlio Vargas, nel 1930.

La crisi mondiale del 1929 ha disastrose ripercussioni nel paese e provoca il crollo dell’impero del
caffè. Con l’urbanizzazione e l’industrializzazione delle città del centro-sud, iniziano le agitazioni
operaie, i primi scioperi paralizzano il paese. Nel 1922 viene fondato il Partito Comunista brasiliano.
Nel 1930 Vargas, con il pretesto di una falsa cospirazione comunista, abolisce la Costituzione e
proclama, nel 1937, il cosiddetto Estado Novo, con il quale sono cancellati tutti i partiti esistenti.
Brutali misure repressive saranno adottate per sedare l’opposizione. Allo stesso tempo Vargas
promuove ampie riforme in vari settori, adotta misure economiche nazionaliste, consolida le leggi
del lavoro, ad esempio diritto di riposo per i lavoratori malati ecc.

Nonostante le simpatie iniziali di Getúlio Vargas per il fascismo italiano, il Brasile partecipa alla
Seconda guerra mondiale al fianco delle truppe nordamericane. Nel 1944 i soldati brasiliani
sbarcarono in Italia al fianco e operarono soprattutto nella conquista di Monte Cassino. I tanti
giovani brasiliani morti in quella battaglia sono seppelliti in un cimitero a Pistoia. I cambiamenti
interni e esterni provocati dal conflitto mondiale accelerano il processo di democratizzazione e
Vargas sarà costretto a rinunciare alla guida del governo

Nel 1946 Vargas torna alla carica e si presenta alle elezioni, prima come senatore e poi, nel 1950,
come presidente, vincendo in diciotto dei ventiquattro stati della federazione. Tuttavia i tempi sono
ormai cambiati e il suo populismo non riuscirà a resistere agli attacchi interni ed esterni. Il sospetto
di coinvolgimento nell’attentato di un suo oppositore, nel 1954, provoca un’ondata di indignazione.
Forti sono le pressioni per indurlo alle dimissioni, ma Getúlio Vargas a queste preferirà il suicidio
(rimane quindi a capo del governo dal 1951 al 1954).

Con la tragica uscita di scena di Vargas, il Brasile attraversa un periodo di crisi superato grazie alla
perizia del vicepresidente, Café Filho, che riesce a portare il paese alle elezioni del 1956, vinte da
Juscelino Kubitschek. Lui promise che nei 5 anni di elezione avrebbe fatto sviluppare il Brasile come
se fossero 50 anni in 5 e così fece. È un politico di centro sinistra con idee democratiche ma
capitaliste non comuniste, inoltre lui pensa che Rio sia una capitale facile da conquistare, visto anche
la posizione sul mare e per questo decide di cambiarla per due motivi:

1. Una capitale meno esposta


2. Cambiare il fatto che la parte nord del Brasile era la parte meno sfruttata, lui voleva spostare
il potere verso il centro territoriale del paese

Il bioma (guarda cartina brasile) amazonia è molto grande mentre del bioma mata atlantica è
rimasto molto poco. Brasilia si trova nel bioma cerrado perché è il cuore del brasile, piove poco con
piante basse e inospitali e secche che prendevano fuoco facilmente; quindi, la domanda era come
costruire una città lì? Perché Kubitschek voleva che la capitale fosse nel cuore del Brasile e che tutti
si sentissero rappresentati. Brasilia dall’alto sembra un aereo che ricorda qualcosa che va veloce
come lo sviluppo del brasile, sviluppo commerciale e scientifico in tutti i campi. Brasilia viene
inizialmente pensata per risparmiare la natura, per ogni abitante dovevano essere piantati almeno
due alberi. È un progressista.

Nei quattro anni del suo governo, Kubitschek promuove lo sviluppo tecnologico e industriale
favorendo e incoraggiando l’afflusso di capitale straniero. La regola della sua politica economica era
“cinquanta anni in cinque”, cosa che effettivamente realizzò giacché la produzione industriale crebbe
dell’ottanta per cento. Uno dei progetti fondamentali di Juscelino Kubitschek fu la creazione di una
nuova capitale, Brasilia, che inaugurò il 21 aprile 1960 e che considerava, nella modernità
avanguardista della sua architettura, la sintesi del proprio governo.
Tuttavia, se lo sviluppo tecnologico fu evidente e si formò una classe media vitale e consumistica.
L’industrializzazione non fu però uniforme e si concentrò solo nelle aree metropolitane del centro-
sud, cosa che accentuò gli squilibri regionali.
A Juscelino Kubitschek succede, nel 1961, Jânio Quadros. Questi si pone in conflitto con la linea
politica del suo predecessore e cerca anche di colpire la corruzione e l’inefficienza della burocrazia,
ma non reggerà alle pressioni e rinuncerà a favore del suo vice, João Goulart, presidente del Partito
dei Lavoratori. Goulart, per le misure che adotta, quali ad esempio il progetto di nazionalizzare le
industrie, sarà accusato di spingere il paese verso un regime socialista. Nel 1964 interviene l’esercito
con un colpo di stato e Goulart è deposto e costretto a lasciare il paese. Inizia il regime dei militari,
che durerà 21 anni.
Gli stati uniti hanno un forte interesse nel Brasile ma anche in generale nell'America latina.
Il regime dei militari

Il colpo di stato arriva nel momento in cui il Brasile si stava sviluppando di più, era un momento
molto ricco di cultura e letteratura e di scambio. Molte persone vengono arrestati tra cui professori
e studenti. La censura non era solo letteraria ma ad esempio anche per quanto riguarda gli scioperi o
la notizia dell’epidemia di meningite perché si trasmetteva solo notizie positive.

In questo periodo si sviluppa un movimento della chiesa cattolica che si chiama teologia della
liberazione che riguarda tutta l'America latina, è una teologia che nasce dal contatto diretto con il
fedele, la chiesa si è sempre allineata con il potere, e questa teologia rivendica l’avvicinamento con il
popolo e non più con il potere. Papa Francesco si forma nel periodo di questa Teologia. La chiesa
aprirà le porte durante le manifestazioni pubbliche dove la polizia inseguiva i protestanti.

La Dittatura inizia con il governo del generale Castello Branco (1964-67) che scioglie i partiti politici
e rafforza il potere del presidente. La rappresentanza politica sarà assicurata da soli due partiti
ufficiali, l’Alleanza rinnovatrice nazionale (ARENA), favorevole al governo, e il Movimento
democratico brasiliano (MDB), opposizione legale. Gradualmente il regime s’inasprisce con l’ascesa
al potere di Costa e Silva (1967-69) e Garrastazu Médici (1969-74).

Costa e Silva emana una Costituzione apertamente autoritaria, che prevede ulteriori limitazioni
delle libertà fondamentali. Viene creata una sorta di polizia parallela, i famigerati “squadroni della
morte” che impongono un clima di terrore nel paese. Si susseguono arresti di giornalisti, professori,
politici, lavoratori, studenti. La tortura diviene il principale metodo di coercizione utilizzato sui
prigionieri. Paradossalmente, l’economia viene favorita dall’ingresso massiccio di capitale straniero,
soprattutto statunitense.

È il momento del “miracolo economico brasiliano”, della modernizzazione delle industrie, e il


governo progetta grandi opere come la costruzione della Transamazônica, che doveva attraversare
la grande foresta tropicale per integrarla al resto del territorio. L’obiettivo è fare leva sull’orgoglio
nazionale per far dimenticare la politica sociale, sfavorevole e rovinosa per le classi popolari urbane
e rurali. Lo sfruttamento intensivo dell’Amazzonia viene portato avanti a danno delle popolazioni
indigene locali, che in pochi anni vengono drasticamente ridimensionate. Nel 1974, dopo una serie di
mobilitazioni popolari in tutto il paese a favore del ritorno alla democrazia, i militari cominciano a
dare alcuni segni di apertura democratica. Nel 1979 una riforma del sistema politico mette fine al
modello bipartitico, ma la dittatura durerà fino al 1984

A Lei n.° 6.683, de 28 de agosto de 1979, assinada por João Figueiredo, que, respondendo a uma
demanda forte da sociedade brasileira, promulgou a anistia geral aos crimes políticos cometidos
entre 2/09/1961 a 15/08/1979. O problema dessa lei, que deveria permitir o retorno dos exilados, é
que foram incluídos nela também os crimes hediondos praticados pela polícia civil e militar, tais
como as prisões arbitrárias, a tortura, os assassinatos, os desaparecimentos de pessoas, a violação
sistemática dos direitos humanos. Isso silenciou a voz das vítimas, inclusive das famílias que
buscavam por seus mortos e que nunca puderam elaborar essa perda e esse luto. O Brasil, ao
contrário dos demais países da América do Sul, que viveram nos mesmos anos ditaduras
sanguinárias, nunca esclareceu esse passado, nunca julgou e condenou os culpados, abrindo
caminho ao atual e aberrante negacionismo da história trágica daqueles anos.
Questa legge ha reso possibile a molti brasiliani esiliati di poter tornare in Brasile senza essere
arrestati.

Il ritorno della democrazia

Nel 1985, al termine di estenuanti trattative, di proteste e scioperi generalizzati, i militari lasciano il
potere. Tancredo Neves è eletto presidente della repubblica, ma muore proprio il giorno in cui
avrebbe dovuto assumere l’incarico. Gli succede il vicepresidente José Sarney, che si trova a gestire
un’economia totalmente dissestata, con un’inflazione che nel 1986 è superiore a sessanta per cento.
Nelle strade s’intensifica la violenza, si diffonde la miseria. Le misure economiche adottate dai
generali avevano aumentato il tenore di vita delle classi medio-alte, ma avevano penalizzato
significativamente quello dei ceti più deboli. Il debito estero che il Brasile si trova a gestire, eredità
dalla politica delle opere faraoniche dei militari, è uno dei più alti del mondo.

Nel 1988 si vota la nuova Costituzione democratica, che sostituisce quella imposta dall’esercito nel
1969. Sono fissate le elezioni a suffragio diretto del presidente della repubblica, vinte nel 1989 da
Fernando Collor de Mello, candidato semi-sconosciuto, appoggiato, con martellanti compagne
propagandistiche da tutti i principali canali televisivi e dai grandi potentati economici.
Nel 1992 scoppia uno scandalo che coinvolge direttamente il presidente e che svela una serie di gravi
episodi di corruzione. Il Brasile sembra precipitare di nuovo in un’atmosfera da colpo di stato, ma la
giovane democrazia regge. Si susseguono imponenti manifestazioni di piazza che portano nelle
strade di São Paulo, di Rio de Janeiro, di Belo Horizonte e di tutte le città del paese milioni di
brasiliani che quotidianamente invocano l’impeachment del Presidente corrotto. Le due Camere
incriminano Collor de Melo e lo sospendono dalla carica. Il suo posto viene preso dal vicepresidente
Itamar Franco. Nel 1994 il ministro delle finanze di Franco, Fernando Henrique Cardoso, con
l’obiettivo di controllare l’inflazione e di stabilizzare l’economia, adotta una nuova unità monetaria,
il real, in rapporto di parità col dollaro. Le sue misure economiche paiono risollevare il paese,
l’inflazione finalmente cala. Grazie a questo successo, Cardoso vince le elezioni del 1995. Accanto
alla lotta all’inflazione, Cardoso adotta una politica di privatizzazione in importanti settori
dell’economica nazionale. Viene creato il Mercosul, mercato comune tra Brasile, Argentina, Uruguay
e Paraguay, esteso poi anche a Bolivia e Cile.
Nel 1998, in un momento di profonda crisi finanziaria internazionale che si ripercuoteva
sull’economia brasiliana, Fernando Henrique Cardoso viene rieletto per il secondo mandato
presidenziale, battendo di poco il suo concorrente del Partito dei Lavoratori, Luís Inácio Lula da
Silva, più noto come Lula. La famiglia di Lula era una famiglia estremamente povera, la madre lascia
il padre e parte per cercare lavoro (in brasile c’è una grandissima diversità tra ricchi e poveri, i ricchi
sono ricchissimi e i poveri sono poverissimi), la madre fa lavori umili ma Lula ottiene una borsa di
studio per imparare un lavoro metallurgico. Lula si avvicina alle lotte sindacali, suo fratello faceva
parte del partito comunista, Lula si avvicina alla politica perché lui essendo cattolico segue la scelta
politica della chiesa che decide di stare con i più poveri e di non sostenere più i ricchi. Molti sacerdoti
vanno a vivere nelle favelas per vivere come i più poveri.
Un personaggio importante religioso cardinale di Sao Paulo è Don Paulo Evaristo Arns. Quando i
poliziotti arrestano Lulain quanto sindacalista nella sua casa, viene chiamato Don Paulo che avverte
i giornalisti ecc. Tutta la formazione politica di Lula è quindi cattolica.
Nel 2002, dopo essersi presentato per la terza volta, Luís Inácio Lula è eletto quasi
plebiscitariamente, sconfiggendo il principale concorrente José Serra e ricevendo l’appoggio di tutti i
settori del paese, incluso quello degli industriali e degli imprenditori. Inizia un periodo di grande
speranza vissuto intensamente da tutti i brasiliani, che seguono l’insediamento del nuovo governo
come l’avvenimento mediatico dell’anno. Lula decide quindi di fondare un partito progressista
perché non si sentiva rappresentato da nessun altro partito.
Il Partito dei Laboratori, di cui Lula è presidente, ha come lemma, già in campagna elettorale, “un
Brasile decente”, nel quale anche i ceti più disagiati possano avere accesso ad alcuni beni essenziali
come alimentazione, educazione, sanità. Lula farà però fatica a convincere gli elettori e capisce che si
deve alleare a partiti più centrali. Quando dice per un Brasile decente Lula intende che tanti dei
problemi brasiliani erano radicati dalla colonizzazione ovvero le famiglie che avevano avuto le terre
nella spartizione sono rimasti ricchi, Lula voleva pensare alla larga fascia di popolazione brasiliana
non ai ricchi per garantire assistenza medica e agli studi universitari anche tramite stipendi maggiori.
1. Il primo problema che Lula affronta è la fame di cui molti brasiliani soffrono, lui organizzerà
un programma chiamato “Bolsa Familia” dove si controllava la condizione delle famiglie
dove i bambini lavoravano nella strada e non andavano a scuola. Venivano dati quindi dei
soldi in base ai numeri dei figli per ogni nucleo famigliare, i soldi servivano per educare i
bambini e permettergli di andare a scuola, i ricchi iniziano però a dire facendo così non
facilitavano i poveri che in realtà intascavano i soldi senza realmente lavorare e questa idea
viene dalla colonizzazione, dei poveri che devono rimanere poveri mentre Lula pensava che
l’economia dovesse ripartire dal basso.
2. Un altro problema è che l’università era accessibile solo per le famiglie più ricche, quindi
decide di stabilire più università non solo nei grandi centri e soprattutto università finanziate
dal governo federale e non dai singoli stati. Vengono offerti dei corsi gratuiti per formare gli
studenti per preparargli ai test d’ingresso dell’università.
Lula si accolla una grande responsabilità perché il debito estero del paese è un fardello che il suo
governo eredita dai precedenti. Appena insediatosi come presidente, partecipa sia al Forum Sociale
di Porto Alegre sia al Word Economic Forum di Davos e in entrambi i convegni, davanti a platee
completamente eterogenee, ripropone il suo appello a un accordo mondiale per la pace e contro la
fame, affermando che il libero mercato presuppone la libertà e la sicurezza dei cittadini. Lula viene
invitato a questi convegni da tanti potenti capitalisti. 40 milioni di brasiliani sono usciti dalla fascia
della povertà grazie alla politica di Lula, lui svolse 2 mandati e nell’ultima elezione aveva il 75% di
gradimento, volevano che facesse anche un terzo mandato cambiando così la costituzione ma lui
rifiutò dicendo che nessuno dovrebbe stare al potere così tanto.
Per le sue umili origini, per le sue posizioni politiche, per le sue collocazioni etico-sociali, Lula
riscuote grande simpatia sia in Brasile sia all’estero ed è il leader sudamericano più popolare da
molti anni a questa parte. Nel 2011 viene eletta e diventa la prima donna alla Presidenza della
Repubblica, Dilma Rouseff il cui primo mandato va fino al primo gennaio 2015, rivince quindi il
centro sinistra.
Dilma è un’economista e ha fatto parte del governo di Lula, come Ministro delle “Minas e Energia e
da Casa Civil” ed è stata proposta come candidata dallo stesso Presidente Lula, il che ha scontentato
molti politici del suo stesso partito perché Dilma era nota come una persona integra e poco
flessibile nei rapporti con altri politici. Troverà così difficoltà a destreggiarsi in quel mondo, ma verrà
lo stesso rieletta e assumerà il secondo mandato di governo il gennaio 2015. Tuttavia, troverà un
parlamento totalmente contrario al suo governo. Non riesce così a far approvare nessuna delle sue
proposte di legge. Nel frattempo, la crisi dell’economia mondiale si fa sentire anche in Brasile e il
paese non cresce più agli stessi ritmi di prima. L’opposizione, alleata a settori importanti
dell’economia, ai grandi mezzi di comunicazioni, a settori militari e della magistratura la isolano
completamente, finché non riescono a fare approvare l’impeachment il 31 agosto 2016. Uno dei
partiti più importanti che appoggiava Dilma, smette di appoggiarla e vota per l’impeachment
violando la costituzione, si chiama appunto golpe branco in quanto non viene fatto con la violenza
ma con la violazione della costituzione, questo porterà ad altre violazioni, ad esempio la condanna a
Lula.
Questa mossa del parlamento viene vista da molti come un “golpe branco”, dato che destituisce un
presidente eletto democraticamente per una irregolarità formale nel bilancio, senza che si siano
trovate altre imputazioni. Dilma infatti non perderà i diritti civili né è stata accusata o condannata
per nessun crimine. Assume nel 2016 la presidenza il vice di Dilma Rousseff, Michel Temer, che
porterà a termine la legislatura. Nel 2018, dopo una campagna elettorale assai aggressiva, vince le
elezioni Jair Messias Bolsonaro, ex-militare, espulso dall’esercito per aver compiuto un attentato. È
l’attuale presidente del paese e il suo mandato finisce questo anno. Le prossime elezioni per la
Presidenza della Repubblica sono indette per il mese di ottobre 2022. Se si candidasse Lula
probabilmente vincerebbe, Bolsonaro ha vinto nel 2018 solo perché Lula era in carcere.
Programmi sociali che hanno subito tagli o che sono stati cancellati dal governo di michel temer e
di jair bolsonaro
Tutti questi programmi garantivano lo sviluppo brasiliani, favorendo l’economia e la ricerca.
bolsa família: la più importante che permetteva di mandare i bambini a scuola in quanto prima
dovevano lavorare per strada.
Programa minha casa minha vida: questo programma consisteva nella costruzione di case, molte
famiglie sono uscite dalle favelas anche se alcune favelas sono state urbanizzate.
Programa de aquisição de alimentos para a população de baixa renda, programa para edicação de
jovens e adultos, programa de combate à violência contra as mulheres, programa farmácia popular
ovvero medicine fondamentali che vengono pagate dallo stato, programa universidade para todos,
ecc...
Gli statu uniti hanno fortemente finanziato le dittature in Brasile, e vedevano come minaccioso
qualsiasi governo socialista o di sinistra, gli stati uniti hanno finanziato quindi militari durante la
guerra fredda. Lo stesso però accade ora con Bolsonaro in quanto il Brasile è una delle potenze del
sud del mondo, scoprendo il Prè-sal ovvero il petrolio, investire per l’estrazione richiedeva molto
denaro. Il Pre-sal è uno strato di petrolio che si trova sotto il sale che va dal nord al sud del Brasile, il
petrolio è stato però messo all’asta da Bolsonaro e non per lo sviluppo del Brasile. Viene quindi
acquistato da grandi multinazionali, molte di queste americane. Il brasile è autosufficiente per
quanto riguarda il petrlio ma i brasiliani devono pagare la raffinazione ovvero da petrolio a benzina
perché questo processo non avviene in Brasile, perciò, costa molto la benzina in Brasile.
O Pré-sal Brasileiro
A camada Pré-sal possui, aproximadamente, 800 quilômetros de extensão por 200 quilômetros de
largura, indo de Santa Catarina ao litoral do Espírito Santo. Pré-sal é o nome dado às reservas de
hidrocarbonetos em rochas calcárias que se localizam abaixo de camadas de sal. É o óleo (petróleo)
descoberto em camadas de 5 a 7 mil metros de profundidade abaixo do nível do mar. É uma camada
de aproximadamente 800 quilômetros de extensão por 200 quilômetros de largura, que vai do litoral
de Santa Catarina ao litoral do Espírito Santo. A discussão sobre a existência de uma reserva
petrolífera na camada pré-sal ocorre desde a década de 1970, quando geólogos da Petrobras
acreditavam nesse fato, porém, não possuíam tecnologia suficiente para a realização de pesquisas
mais avançadas.
Localização da camada Pré-sal Para extrair o óleo e o gás da camada pré-sal, será necessário
ultrapassar uma lâmina d’água de mais de 2.000m, uma camada de 1.000m de sedimentos e outra
de aproximadamente 2.000m de sal. É um processo complexo e que demanda tempo e dinheiro. O
petróleo encontrado nessa área engloba três bacias sedimentares (Santos, Campos e Espírito Santo),
e a capacidade estimada da reserva pode proporcionar ao Brasil a condição de exportador de
petróleo. Confirmada a hipótese, o governo brasileiro analisará a possibilidade de solicitar a adesão
do país à OPEP (Organização dos Países Exportadores de Petróleo). Vários campos e poços de
petróleo e gás natural já foram descobertos na camada pré-sal, entre eles estão o Tupi, Guará, Bem-
te-vi, Carioca, Júpiter e Iara. Tupi é o principal campo de petróleo descoberto, tem uma reserva
estimada pela Petrobras entre 5 bilhões e 8 bilhões de barris de petróleo, sendo considerado uma
das maiores descobertas do mundo dos últimos sete anos. De acordo com a atual Lei do Petróleo, as
áreas de exploração serão leiloadas entre diversas empresas nacionais e estrangeiras. As que derem
o maior lance poderão procurar óleo por tempo determinado. Conforme Haroldo Borges Rodrigues
Lima, diretor geral da ANP (Agência Nacional do Petróleo, Gás Natural e Biocombustíveis), as
descobertas do pré-sal irão triplicar as reservas de petróleo e gás natural do Brasil, a estimativa é
que a produção alcance a marca de 50 bilhões de barris. Segundo a Petrobras, a produção teste será
iniciada em 2009, no campo de Tupi. O início da produção em larga escala está previsto para 2013
ou 2014.
Por Wagner de Cerqueira e Francisco, Graduado em Geografia
Video Constituinte Indios e minerais: lui va lì e parla dicendo che gli Indios non hanno mai fatto
male a nessuno, non può costituire una minaccia per il paese. Non basta che ci sia una legge nella
costituzione per rispettare le terre degli Indios ma queste leggi devono essere rispettate (articolo
231-232).
Il real è una moneta svalutata, lo stipendio minimo è di 200 euro al mese.
Utopia selvaggia: L’Indio del Brasile: innocente Adamo o feroce cannibale? Di Vera Lúcia de Oliveira
(pdf)
Dello stesso periodo è la relazione di viaggio del cosiddetto Pilota Anonimo, probabilmente anch’egli
membro dell’equipaggio di Cabral, pubblicata nel 1507 nella raccolta Paesi nuovamente ritrovati di
Fracanzio da Montalboddo. Grazie al suo racconto sappiamo che alcuni portoghesi furono lasciati in
Brasile, questi portoghesi disperati vengono consolati dagli Indios, il pilota anonimo parla di una
curiosità reciproca, della bellezza del territorio ma anche degli stessi Indios, in questa lettera non c’è
malizia.
Altri testi importanti sugli originari abitanti del Brasile sono la Relazione del primo viaggio intorno al
mondo di Antonio Pigafetta (1480- 1534?), descrizione dell’impresa compiuta da Fernando da
Magellano nella quale l’autore dedica pagine interessanti agli indigeni americani, e le famose lettere
di Amerigo Vespucci (1454-1512) riguardanti le spedizioni spagnole e portoghesi cui prese parte il
pilota fiorentino, in particolare la lettera Mundus novus. Questo opuscolo, la cui autenticità divide
da secoli gli studiosi, fa riferimento ad un viaggio realizzato fra il 1501 e il 1502 per ordine del re del
Portogallo e rappresenta, con il suo curioso miscuglio di verità e fantasia, un punto di riferimento
costante per quanti, in seguito, entreranno in contatto con il Nuovo Mondo e con i suoi abitanti.
Gli indios e i miti
È importante sapere la storia in quanto quando i brasiliani hanno cercato di definirsi, in quanto
paese, nazione, è stato necessario ricercare le fonti delle popolazioni che vivevano in Brasile prima
dell’arrivo dei portoghesi, gli Indios tramandavano oralmente le tradizioni, avevano una oratura
non una letteratura. Le donne curavano l’agricoltura con l’idea che le donne generano vita. Le storie
e i miti degli Indios sono essenziali per conoscerli, il mito nasce dalla volontà di scoprire il mondo, è il
tipo di religione più arcaico della società per narrare la genesi, ma anche il rapporto con il regno
vegetale. Qual è stato il momento in cui l’uomo ha avuto una consapevolezza di sé? Non si sa ma si
sa grazie alla bibbia e ai libri che l’uomo ha sempre voluto comprendere cos’è la vita, com’è stato
creato il mondo(genesi) , come interpretavano le calamità naturali, terremoti, diluvi ecc.
Nei villaggi c’erano dei momenti in cui tutto il gruppo si riuniva per le narrazioni, che erano
invenzione di storie. Gli Indios erano nudi sempre proprio per il clima tropicale. I gesuiti hanno
conquistato gli Indios con la musica.
L’indio è generalmente descritto come un individuo docile e mansueto e ciò è paradossalmente
strumentale ai fini della conquista. Come rileva Tzvetan Todorov gli indigeni sembrano portatori
delle qualità cristiane che da essi si aspettavano avventurieri spinti sia dal desiderio di diffondere la
fede che dalla ben più terrena sete di ricchezza. In questo senso l’immagine di un indio trattabile e
sottomesso si accordava al raggiungimento di entrambi gli obiettivi.
Significativo in questo senso è il fatto che l’umanista portoghese Pêro de Magalhães de Gândavo
(?-?), considerato il primo storico del Brasile, nonché uno dei primi a fornire informazioni
sistematiche sulla nuova Colonia e sui suoi abitanti, raffiguri l’indio, solo pochi decenni dopo lo
sbarco portoghese, in modo particolarmente spregiativo e grottesco. Nella sua História da Província
Santa Cruz, scritta attorno al 1570, egli descrive gli indios come disonesti, crudeli e vendicativi,
sensuali e lussuriosi, più simili a bestie che ad uomini: “Vivono come bestie senza leggi né
ordinamento di uomini. Sono molto disonesti e lussuriosi e praticano i vizi come se non fossero
dotati di ragione umana”. Il cambiamento nel modo di rappresentare l’autoctono è qui dovuto alle
nuove politiche mercantili portoghesi, per le quali l’indio doveva essere inserito nell’economia
coloniale, incentrata, dalla metà del Cinquecento in poi, sulla monocultura dello zucchero.
L’immagine negativa dell’autoctono legittimava l’espropriazione del suo territorio, la sua riduzione
in schiavitù, le cosiddette “guerre giuste” attraverso le quali i coloni si procacciavano manodopera
locale.
C’è già all’interno della colonizzazione portoghese un rovesciamento, da buono a lussurioso, questo
si spiega perché i portoghesi vogliono colonizzare, ci deve essere la descrizione del territorio come
un paradiso terrestre, con frutti e acque chiare, poiché volevano che molti portoghesi partissero e
andassero in Brasile, allo stesso tempo dovevano giustificare l’espropriazione di queste terre.
Gandavo infatti lavorava per la corona e a lui non interessava veramente come fossero gli Indios
doveva solo scrivere un elaborato ufficiale.
I francesi:
I primi due visitarono il Brasile nel 1551 in seguito alla spedizione di Villegaignon che doveva fondare
nella Baia di Guanabara una colonia francese, la cosiddetta France Antarctique. Sono entrambi
osservatori scrupolosi e precisi, sebbene ci siano divergenze lampanti nelle rispettive interpretazioni
della realtà. Les singularitez de la France Antarctique, opera di André Thevet pubblicata nel 1557, e
l’Histoire d’un voyage faict en la terre du Brésil, di Jean de Léry, opera scritta attorno al 1563 e
pubblicata nel 1578, descrivono le usanze dei Tupinambá, (popolo con cui avevano già uno scambio
e quindi sapevano che non si sarebbero scontrati) il gruppo Tupi insediato nel tratto di costa che i
francesi cercavano di strappare ai portoghesi. Il racconto di Thevet è minuzioso, ma vi è evidente la
ricerca del pittoresco. L’indio interessa non tanto come individuo, quanto come curiosità, una
stravagante novità da osservare e descrivere nei dettagli. Rimasto in Brasile per sole sei settimane,
Thevet sembra a caccia di immagini tipiche da riportare, come un qualsiasi turista attirato
dall’esotico. Opposto è l’atteggiamento di Jean de Léry che visse per un intero anno fra i Tupinambá,
apprendendo la loro lingua e lasciandoci un racconto che si distingue, per acutezza e imparzialità, da
tutti gli altri del periodo. Léry osserva e descrive con cura e simpatia le manifestazioni della vita
sociale, materiale e spirituale dell’indio cercando di non farsi condizionare dai tanti pregiudizi del
tempo. Ma l’opera di Léry è importante anche perché vi è in genesi l’idealizzazione del vivere in
stato di natura dell’indigeno americano, in contrapposizione alla degenerazione dei costumi
dell’europeo. Michel de Montaigne se ne servì nella composizione del rivoluzionario Des Cannibales,
dedicato appunto agli indios del Brasile, in cui radicalizza ulteriormente questo teorema, arrivando
persino a rovesciare il modello negativo del selvaggio antropofago.
Thevet sta solo qualche settimana ed è cattolico mentre Lery sta molto più tempo ed era
protestante, quindi possiamo vedere due prospettive diverse. Thevet cerca l’elemento esotico, la
parte più diversa. Lery è molto più profondo ed anticipa la scienza dell’etimologia in quanto lui
osserva senza pregiudizi.
Hans Staden, mercenario tedesco al servizio dei portoghesi, è invece autore di un racconto che
fisserà definitivamente la caratteristica iconografia del feroce cannibale che si tramanderà come uno
dei tòpoi più stabili della letteratura brasiliana e anche europea e che sarà ora respinta ora
rivendicata dagli intellettuali del Brasile quasi come una marca di identità nazionale. Nel corso del
suo secondo viaggio in Brasile, dal 1549 al 1555, Staden fu fatto prigioniero dai Tupinambá, con i
quali visse per nove mesi, esperienza all’origine della conoscenza approfondita che ebbe degli indios
e del loro modo di vivere. La sua Warhaftig Historia, pubblicata a Marburg nel 1557, opera lucida,
essenziale e molto realistica, divenne una sorta di best seller del tempo, ripetutamente tradotta e
pubblicata in diverse lingue.
Quando gli studiosi scoprono che molti Indios sono stati uccisi se la prenderanno molto con i
portoghesi.
Informazioni importanti sugli indios possono essere trovate nella letteratura pedagogica dei gesuiti
arrivati in Brasile nel 1549 con la missione di evangelizzare gli indigeni. Nella loro opera missionaria i
gesuiti finiscono per inserirsi nel grave conflitto in atto fra coloni e indios, conflitto che è la
conseguenza più immediata dell’occupazione capillare della terra da parte dei primi. In osservanza
alla Bolla Sublimis Deus (2 giugno 1537) di Papa Paolo III che dichiarava gli amerindi uomini a tutti
gli effetti, non bestie sprovviste di ragione e anima, i 7 gesuiti cercheranno di sottrarre gli autoctoni
alle guerre, ai massacri e alla riduzione in schiavitù, riunendoli in villaggi controllati dagli stessi
religiosi. Così facendo però, se da una parte li avessero sottratti al dominio esclusivo dei coloni,
dall’altra avrebbero contribuito alla loro disintegrazione culturale.

Fra i religiosi che hanno lasciato informazioni importanti sulla vita degli indios nei primi decenni della
colonizzazione, abbiamo Manuel da Nóbrega (1517-1570), José de Anchieta (1534-1597), Fernão
Cardim (1540/1548-1625), Vicente do Salvador (1564-1636/1639), Simão de Vasconcelos (1597-
1671). Questi autori hanno descritto, a volte con dovizia di particolari, le varie tribù che abitavano la
costa dell’America meridionale: in primo luogo i Tupinambá, ma anche i Tupiniquim, i Carijó, i
Guaianá, i Gaimuré, i Potiguara, i Caeté, i Timiminó e altri. Tutti questi gruppi avevano in comune la
lingua, avevano una lingua comune.

Solo di gruppi genericamente classificati Tapuia, Cardim ne enucleò circa settantasei. Alcuni religiosi,
e fra questi citiamo soprattutto José de Anchieta e Fernão Cardim, vivendo con gli indios e
condividendo la loro sorte, instaurarono un rapporto di tipo empatico attraverso il quale poter
superare le visioni manichee che avevano caratterizzato i primi contatti con il nativo americano. Altri,
come Simão de Vasconcelos, arricchiranno il filone del feroce antropofago, esagerando la barbarie
indigena per rendere più evidenti, per antitesi, i risultati positivi della catechesi gesuitica. In queste
prime fonti informative vi sono dunque in embrione i due miti fondamentali della cultura brasiliana,
il buon selvaggio e il cattivo selvaggio, miti antagonici e complementari che percorreranno tutta la
storia di questo paese perpetuandosi fino ai nostri giorni, come afferma la studiosa Luciana Stegagno
Picchio6. Il problema di fondo della letteratura e, in senso più lato, della cultura brasiliana è stato
proprio il tipo di rapporto da instaurare con il proprio passato e con le tante figurazioni del paese e
dei suoi abitanti imposte dall’esterno, con le quali si sono dovuti confrontare i brasiliani
ogniqualvolta hanno rivendicato una propria identità e originalità.

I gruppi etnici e la lingua:

l calcolo della popolazione presente nel 1500 in Brasile è molto controverso. Darcy Ribeiro rileva che
per molto tempo è prevalsa negli studiosi, sia portoghesi che spagnoli, la tendenza a minimizzare le
cifre per attenuare l’impatto del genocidio compiuto a danno dei popoli indigeni. Per lo studioso
brasiliano, che utilizza dati e fonti diverse per quantificare una cifra verosimile, il numero totale degli
abitanti si aggirerebbe attorno ai cinque milioni. Già lo storico John Hemming, basandosi su indizi
riportati nelle relazioni dei testimoni oculari, ipotizza che la popolazione originaria non dovesse
superare i due milioni e mezzo di individui. Tra diverse e così discordanti valutazioni, un dato appare
immutato: il calo vertiginoso che subì la popolazione del continente americano solo pochi decenni
dopo l’arrivo delle navi europee. In un primo momento gli amerindi erano apparsi agli esploratori
abbastanza omogenei, sebbene si diramassero in circa 1400 gruppi etnici (con differenze talvolta
profonde di costumi, di visioni del mondo, di strutture e organizzazioni socio-religiose), gruppi a loro
volta suddivisi in centinaia di nuclei tribali sparsi per il territorio. Per necessità di ordine pratico, ai
fini di agevolare l’evangelizzazione e la colonizzazione del territorio, i portoghesi dovettero stabilire
dei criteri di distinzione fra le diverse etnie.

Quello linguistico appare, quasi da subito, come il più preciso, mutuato dagli stessi indios costieri che
suddividevano le tribù in Tupi, la principale e la più diffusa etnia del litorale, e in Tapuia e cioè gente
di lingua oscura e sconosciuta. Era una classificazione elementare e riduttiva, successivamente
scartata dagli studiosi, sebbene sia stata adottata da missionari e colonizzatori servendo per lungo
tempo come unico principio distintivo delle popolazioni locali. Ma quello linguistico, arricchito dalle
conoscenze odierne, è ancora oggi ritenuto il criterio più idoneo proprio perché il patrimonio
linguistico di un popolo, rispetto agli altri aspetti della sua cultura, è conservato più tenacemente.

Secondo il linguista Aryon Dall’Igna Rodrigues, i principali gruppi di indios in Brasile appartengono ai
grandi tronchi Macro-Tupi, formato da sette famiglie linguistiche (Tupi-Guarani, Mundurukú, Jurúna,
Arikém, Mondé, Ramaráma e Tuparí) e Macro-Jê, la cui costituzione è ancora in parte ipotetica, ma
che sarebbe formato anch’esso da numerose famiglie (Jê, Purí, Botocudo, Maxakalí, Kamakã, Karirí,
Masakará, Yatê, Bororo, Ofayé, Guató, Rikbatsá). Oltre a questi, ci sono altri raggruppamenti di
lingue appartenenti alle famiglie Karíb, Aruák e Arawá e alcune famiglie linguistiche minori e isolate.
Lo studioso calcola che in Brasile esistano oggi circa 170 lingue indigene diverse, ma che nel
Cinquecento questo numero fosse assai più elevato, forse più del doppio di quello attuale. Al
momento dello sbarco portoghese, i popoli di matrice linguistico-culturale Tupi occupavano da
qualche secolo la zona costiera del paese, avendo scacciato i gruppi che vi erano prima insediati. Le
conoscenze lasciateci dai cronisti riguardano dunque soprattutto le tribù appartenenti alla grande
famiglia Tupi-Guarani, sia per l’enorme estensione di territorio che essa occupava, sia perché fu
quella con la quale ebbero maggior contatto fin dall’inizio della colonizzazione. Il tupi fu in Brasile la
lingua di uso corrente fino al XVIII secolo e si diffuse molto più del portoghese poiché funzionava
come lingua di comunicazione non solo fra indios e portoghesi, ma anche fra gruppi indigeni diversi.
Questa língua geral, chiamata anche nheengatu, era in realtà il tupi sistematizzato dai gesuiti nei
primi decenni della colonizzazione per facilitare la catechesi e il rapporto con i nativi.

I Tupi-Guarani

I popoli seminomadi Tupi-Guarani avevano superato la condizione di semplici cacciatori e


raccoglitori e coltivavano diverse piante, fra le quali manioca, mais, fagioli, tabacco, arachide,
zucche, cotone, mate, guaraná e altri vegetali di uso domestico. L’agricoltura era rudimentale,
utilizzava la tecnica del disboscamento di piccoli tratti di foresta, che però s’impoverivano in pochi
anni costringendo la tribù a spostarsi. L’apporto proteico era fornito dalla caccia e dalla pesca,
giacché erano sconosciuti agli indios gli animali domestici da macello. I lavori agricoli erano compiti
delle donne, mentre la caccia e la pesca erano attività prevalentemente maschili, coltivate dagli
indios con notevole perizia. Erano abili naviganti che utilizzavano canoe di corteccia e di tronchi
scavati. I Tupi non conoscevano i metalli, armi e utensili erano di legno, ossa e pietra finemente
levigata; fabbricavano vasellame di ceramica e tessevano amache di cotone. Usavano dipingere i
corpi con la resina di certe piante e si adornavano di colorati copricapi, diademi e bracciali intessuti
di piume. Quanto al loro aspetto, gli osservatori sono concordi sul fatto che avevano bei lineamenti e
che erano robusti e longevi. I primi europei rilevarono come fra loro fossero rari gli individui deformi
o malati. Gabriel Soares de Souza, sempre meticoloso e attento nei particolari, descrive i Tupinambá
come uomini di media statura, di colore bruno rossastro, ben fatti e ben disposti, allegri, agili, forti e
infaticabili lavoratori10. Dimoravano in lunghe capanne di paglia intrecciata, dette ocas, che
potevano ospitare da 50 a 200 persone e talvolta anche di più. Il villaggio era circondato da palizzate
che avevano la funzione di proteggerlo dalle incursioni nemiche. Nello spiazzo in mezzo alle capanne
gli indios tenevano le riunioni e le cerimonie più importanti, nonché le feste, le musiche e le danze
per le quali avevano molto estro, tanto che più di un osservatore si meravigliò di come fossero
modulati e vari i loro canti.

Differenza tra letteratura portoghese e letteratura brasiliana

Il rapporto con la storia è presente sia nella letteratura portoghese che nella letteratura brasiliana
perché l’autore è sempre in un certo senso legato alla storia, a volte sono legati non solo al passato
ma anche al futuro, in questo caso si tratta di Distopia. La letteratura portoghese è una letteratura
che nei secoli è nata come poesia cantata (de amor e de amigo), la lirica de amigo è una delle più
antiche probabilmente più della lirica provenzale. In portogallo è un paese dove si ama
immensamente la poesia. Pessoa ha fatto un percorso di dispersione che forse non sarebbe stato
possibile in Brasile, nel tentativo di allargare la coscienza e di sviluppare le contraddizioni. In Brasile
c’è bisogno di coesione sociale in quanto gli autori devono gestire tanti popoli con tante identità,
quindi, non c’è tempo di concentrarsi sull’io e sulla coesione interna ma sulla società e come si possa
vivere tutti insieme in armonia.

Nel modernismo brasiliano nasce un nazionalismo per coesione ovvero che non nega l’altro ma
cerca di definire chi sono ma con il contributo di tutti, perché tutti sono brasiliani. I migranti hanno
trovato difficoltà nell’adattamento. Il modernismo è dettato da situazioni etniche culturali. Gli
intellettuali brasiliani sono strettamente legati alla società e cerca di dare risposte e delle coesioni
che fossero comuni a tutti.

I brasiliani nel romanticismo trovano i documenti dei portoghesi ma non possono usarli perché
giustificavano la colonizzazione rappresentando gli indios in un modo non corretto quasi come se
non fossero esseri umani. Come tutti i popoli europei durante la colonizzazione. Nei libri di storia
brasiliani si calcolano 6 milioni di Indios ma nei libri di storia portoghesi e spagnoli si riduce questo
numero perché sono problemi legati al ridimensionamento della storia e venire a patti con essa,
pensare che i portoghesi non si sono comportati troppo bene.

La Francia equinoziale è quando la Francia arriva in brasile ma i portoghesi riescono a scacciare i


francesi. Anche gli olandesi dal 1630-1654 rimangono a lungo in rasile formando diverse città. La
presenza olandese è importante perché creano città con canali bonificando le città (Venezia
brasiliana).
Le scoperte geografiche di Francesco Guicciardini

“La parte più interessante del capitolo è la descrizione delle popolazioni che abitano le nuove terre
occupate da spagnoli e portoghesi, genti primitive e illetterate che Guicciardini descrive in modo un
po' ingenuo come "animali mansueti" privi dei vizi più pericolosi della civiltà occidentale, come
l'avarizia o l'ambizione, e perciò facile preda della conquista militare da parte dei nuovi arrivati che
approfittano della loro imperizia militare e del grado di arretratezza culturale. L'autore riprende e in
parte anticipa quella retorica del "buon selvaggio" che troverà spazio in tanti trattati e scritti del
Cinquecento, in alcuni dei quali si teorizzava la purezza (o, al contrario, la malignità) dei popoli
amerindi, ma si interroga anche sulle implicazioni religiose e in materia di salvezza che tale scoperta
propone, dal momento che questi popoli non sono stati evangelizzati e non hanno la minima notizia
degli insegnamenti religiosi che, sulla base del Salmo 18.5 e di altri testi sacri, si credeva diffusi in
tutto il mondo.”

Non sappiamo che testi Guicciardini ha letto, da dove abbia avuto le informazioni, ad un certo punto
parla della questione religiosa, ciò che distingueva l’uomo dalla bestia, i gesuiti usavano questa idea
per convincere i coloni. I gesuiti volevano riunire tutti gli indios dal 1550 così da non dover muoversi
di territorio in territorio. I gesuiti hanno buone intenzioni e hanno l’obbiettivo di rendere più facile
l’evangelizzazione per stabilire un elemento che rendesse difficile la cattura di questi indos e
conseguentemente la mancanza di libertà.

Il brasile nasce come paese colonizzato da cui portare via le ricchezze, che verrà solo dopo con l’oro,
ma inizialmente gli indios non solo vengono tolti dal loro territorio ma vengono anche usati per la
manodopera. I Gesuiti creano i villaggi e raggruppando gli Indios fanno un errore grave ovvero gli
indios non avevano gli anticorpi come gli europei e anche solo un'influenza poteva essere fatale. Si
racconta di villaggi dove tutti si ammalavano improvvisamente, il che fu tragico perché l’intento era
di proteggere le popolazioni. I colonizzatori quando capiscono questa cosa la useranno contro gli
Indios per farli ammalare in quanto bastava che uno fosse malato per infettare tutti.

Il rapporto che avrà l’Europa con il nuovo mondo, le nuove nazioni (vogliono essere chiamate così) è
interessante, per quanto riguarda la religione, gli Indios non sanno niente della venuta di cristo e
questa parte verrà censurata. I gesuiti vanno anche a capire e ad interagire le popolazioni, sono
aprti, apprendono le lingue perché alla fine sono intellettuali. Fino al Settecento si parlava sia il
portoghese che la lingua locale, ovvero un bilinguismo.

THEVET, André, Les singularitéz de la France Antarctique (ed. orig. Paris, 1558). Trad. port. di E.
Amado, As singularidades da França Antártica, Belo Horizonte e São Paulo, Itatiaia e Ed. da USP,
1978. Una delle fonti che analizzeremo per curiosità ed onestà intellettuale.

I gesuiti parlavano con gli Indios con una lingua chiamata nheengatu, ovvero Lingua Gerao in quanto
hanno cercato di prendere gli elementi comuni e generali in tutte le lingue.

Gândavo
Il Brasile nasce dall’esterno, da una storia che viene raccontata da altri, GÂNDAVO, Pêro de
Magalhães de, Tratado da Terra do Brasil (1570) - História da Província Santa Cruz (1576) --->
Gnadavo è uno scrittore, intellettuale che fu uno dei primi che scrisse sul Brasile ma scrive per
giustificare la colonizzazione e deve giustificare anche alla sua coscienza il dominio. Quando i
Brasiliani si domandano chi fossero, capiscono che la storia va scritta da dentro, immagini interiori di
una società che con tanta fatica e accettazione dell’altro desidera costruire una nazione dove hanno
una propria identità, si cerca una coesione sociale e nazionale. E quindi quando iniziano a descrivere
quello che sono si scontrano nella documentazione dei coloni e quindi iniziano a definire chi sono
dicendo ciò che loro non sono, smontando dei meccanismi biologici che i coloni hanno usato per
giustificare i genocidi. È uno scontro di due punti di vista diversi, questa questione si pone durante il
Romanticismo.
Le questioni che si sono posti nel 1522 si pongono anche oggi, pensando agli Indios che lottano per
avere una voce e la libertà. Ci sono scrittori che non rinnegano la loro origine Indios ma parlano
perfettamente portoghese. Quindi i letterati brasiliani ricercano la documentazione europea sul
Brasile.
Bartolomé de las casas: Brevissima relazione della distruzione delle indie
Questo libro denuncia tutte le violenze fatte dai coloni, sia dai portoghesi sia dagli spagnoli. È un
autore importante per la chiesa.
Papa Paolo III nel 1537 firma la Bula Papale “Sublimis Deus” (bolla papale), il titolo è l’inizio della
bolla “sublimis Deus”, in questa bolla il Papa dice ai colonizzatori che i popoli non sono animali ma
persone che possono capire la fede. Questo discorso è molto moderno, chi è contro la parola di Dio
dice che i coloni sono animali mentre il Papa dice che lui parla in nome di Cristo. Il Papa con questo
documento prende una posizione la chiesa cattolica, è un messaggio per tutta l'Europa, lui dice che
bisogna rispettare e riconoscere i popoli, rispettare le proprie proprietà. I Cristiani però non hanno
seguito la bolla papale, ma usano ideologie per interpretare la fede di Dio.
I gesuiti non hanno conquistato gli Indios, li hanno rispettati perché si sono accorti che loro
seguivano in un certo senso il vangelo. Gli Indios erano nomadi ma erano agricoltori in quanto loro
intuivano che la foresta è fragile, loro creavano un villaggio con delle case collettive dove vivevano
insieme ma non provocano un danno alla foresta la proteggono.
I paolisti sono coloro che sono responsabili dei confini attuali del brasile, sono poveri ma agguerriti e
arriveranno a minas gerais (miniere generali) dove inizialmente troveranno l’oro, infatti, ci sono città
che si chiamano Oro preto, nomi che richiamano la storia del Brasile.
Cambiamento radicale dopo la scoperta dell’oro, infatti si sposta l’asse d’importanza del territorio e
il sud est diventa essenziale.
Le piantagioni di zucchero erano estremamente faticose e c’era bisogno di tantissimi schiavi, infatti,
la struttura lavorava 24h su 24h. Allo schiavo veniva dato un nome portoghese. Gilberto Feyer parla
della condizione degli schiavi. A Sao paolo cerano queste case grandi dove vivevano gli schiavi dove
nacquero le prime ribellioni. Lo spazio in comune tra le case veniva usato come spazio di
integrazione, la società brasiliana è nata lì, da quella integrazione.
Religione e lingua: Agli schiavi era proibito praticare la loro religione. Si parlavano o la lingua
portoghese e la nuova lingua (bilinguismo in Brasile) ma gli schiavi capendo che la lingua del potere
era il portoghese imparano quello per necessità. Nell'apprenderlo in questo modo lo modificano e
formano quello che poi sarà il portoghese brasiliano. I bambini bianchi stavano spesso con le donne
nere e crescevano con loro, in questa interazione con le donne la comunicazione affettuosa genera
dei diminutivi tipo pequenininho ovvero aggiungono al diminutivo portoghese ad un altro
diminutivo. Si creano le religioni afrobrasiliane che nascono dagli africani che fingevano di aderire al
cattolicesimo ma in realtà univano caratteristiche della loro religione. si sviluppano anche sport
come la capoeira che è stata originata come arma in risposta all’attacco. La danza la musica, e la
lingua forma elementi di 3 popoli, portoghesi, Indios e africani.
Il monumento aos banderiantes è un monumento che si trova a Sao paolo e rappresentta la
bandeira che era una fila di persone con a capo una con una bandiera con un santo protettore o una
protettrice.
C'è una corrente che dal romanticismo arriva al modernismo che si chiama uffismo (??) che è
nazionalismo che guarda la storia in modo critico e vede la colonizzazione come un incontro pacifico
e un’incorporazione tra Indios e colonizzatori. Quindi il passato viene idealizzato.
Il mito: per l’Indio ogni cosa ha una madre, gli Indios attribuivano vitalità anche alle cose inanimate,
lui non è mai separato dalla natura, è un'unione insieme a tutti glia altri esseri. La natura stessa serve
a risolvere i problemi è un dialogo con tutto l’universo. A noi sembra un approccio primitivo ma per
loro è lo stesso. Loro hanno la consapevolezza del ciclo della vita. Anche il ciclo della notte e del
giorno è cambiato con l’avvento dell’illuminazione. Mentre gli Indios vivono secondo il ritmo
naturale. Per noi il tempo è un continuo, una linea cronologica continua, mentre per loro è un
circolo, si nasce si muore circolarmente. Gli Indios sembrano poveri, primitivi e arcaici ma gli studi
biologici e fisici più recenti dimostrano che loro avevano capito alcune cose prima di noi, cose che
noi attraverso la scienza ci stiamo arrivano solo ora. Molti ricercatori cercano di studiare le
conoscenze indigene sulla natura molte volte appropriandosene.
Gli Indios e la sessualità:
Per quanto riguarda gli aspetti sessuali, gli indios sono sempre pessimamente rappresentati. Si
afferma che il matrimonio per loro non aveva alcun valore e che essi si accoppiavano a caso e senza
divieti, dove e quando volevano:
“Usano il coito indifferentemente, senza aver riguardo alcuno di parentado: il figliuolo usa con la
madre, e ’l fratello con la sorella; e ciò fanno pubblicamente come gli animali brutti.
Similmente rompono i matrimoni secondo che lor piace, perciocché sono senza leggi e privi di
ragione. In un breve paragrafo, per due volte gli indios sono definiti come animali che non
conoscevano l’uso della ragione. Tuttavia, se tali comportamenti sessuali sembravano giustificabili
negli uomini – poiché loro, in effetti, erano come “animali brutti” – lo stesso non avveniva in
relazione alle donne che, paradossalmente, avrebbero dovuto aver moralità anche “senza leggi e
privi di ragione”.
In realtà la poligamia negli Indios era ammessa ma molto rara, le famiglie non erano numerose, in
media di 4 persone perché la difesa della famiglia se numerosa sarebbe stata difficile, il divorzio era
ammesso e non era visto come qualcosa di drammatico. La verginità non era un valore, i giovani
avevano libertà sessuale, ma c’erano divieti rigidi all’interno della famiglia, il concetto di famiglia era
allargato.
Vespucci non è certamente l’unico a dedicarsi al tema. Tutti i cronisti – a cominciare dal portoghese
Pero Vaz di Caminha, autore del testo considerato l’atto di nascita del Brasile, la Carta do
Achamento – dimostrano grande interesse per le donne indigene e possiamo immaginarne il motivo.
Provenienti da un ambiente repressivo in relazione al corpo e alla sessualità, la visione di donne
completamente e innocentemente nude è sembrato qualcosa di sbalorditivo, di straordinario. Il
fatto, oltretutto, che nelle comunità Tupi-Guarani i giovani di entrambi i sessi avessero libertà
sessuale fino al momento del matrimonio (e che evidentemente non considerassero la verginità un
valore, come lo era per i cristiani), diede adito all’interpretazione negativa dei costumi sessuali delle
donne, descritte da molti come lascive e dissolute (e si noti che lo stesso non è avvenuto per quanto
riguarda gli uomini).
Altri cronisti, come Jean de Léry e Claude d’Abbeville, cercheranno in seguito di correggere tale
visione. Nell’opera Histoire d’un voyage faict en la Terre du Brésil, autrement dite Amérique,
pubblicata nel 1578, Léry affermerà:
“Vorrei rispondere a quanti affermano che la convivenza con questi selvaggi nudi, soprattutto con le
donne, inciti alla lascivia e alla lussuria. Ma dirò che, nonostante le opinioni in contrario, sulla
concupiscenza provocata dalla presenza di donne nude, la nudità grossolana delle donne è molto
meno attraente di ciò che generalmente si immagina. Gli ornamenti, i belletti, i posticci, i capelli
arricciati, i colletti di pizzo, le crinoline, le sopravvesti e altre bagattelle del genere con cui le donne di
qui si adornano e di cui non si stancano mai, sono la causa di mali incomparabilmente maggiori di
quelli che può provocare la nudità abituale delle indiane, le quali, ciononostante, nulla debbono alle
altre in termini di bellezza.” Le donne non cercano quindi di sedurre.
Nella stessa linea si pone, pochi decenni dopo, il francescano Claude d’Abbeville:
“Molti pensano che sia cosa detestabile vedere questo popolo nudo, e pericoloso vivere fra le indias,
poiché la nudità delle donne e ragazze non può che costituire un oggetto di attrazione, capace di
gettare chi le contempla nel precipizio del peccato. In verità tale costume è orribile, disonesto e
bruttale, però il pericolo è più apparente che reale, e molto meno pericoloso è vedere la nudità delle
donne che le attrattive lubriche delle mondane di Francia. Sono le indias così modeste e discrete nella
loro nudità, che in loro non si notano movimenti, gesti, parole, atti o cosa alcuna offensiva allo
sguardo di chi le osserva; oltretutto sono molto riguardose dell’onestà del matrimonio, nulla fanno in
pubblico suscettibile di causare scandalo”.
Gli Indios non avevano né fede né leggi né re?
Quanto alla struttura societaria, ai primi cronisti europei sembrò che gli indios non avessero nem fé,
nem lei, nem rei, espressione che compare in modo quasi identico in autori come Gândavo, Thevet,
Gabriel Soares, Ambrósio Fernandes Brandão, Vicente do Salvador e altri ancora. Ma che gli indios
non avessero religione, leggi o sovrani, non era del tutto vero. Essi possedevano un’organizzazione
sociale e politica diversa o, se vogliamo, rudimentale rispetto a quella europea, dotata comunque
di proprie leggi e di una guida che in tempi di pace era esercitata da un consiglio di anziani e in tempi
di guerra da un capo tribù che assumeva il controllo delle operazioni belliche. Il comportamento
individuale era regolato da un rigido codice di condotta, con norme da osservare nelle varie
circostanze della vita sociale. I più giovani tenevano in gran considerazione le opinioni dei più
anziani. Se succedeva per caso che un indio uccidesse un altro membro della stessa tribù, i parenti
della vittima provvedevano a giustiziare immediatamente l’assassino. Ciò comunque era raro,
come affermano diversi cronisti, poiché si cercava accuratamente di non sollevare scintille che
potessero portare a lotte fratricide. Non c’era quindi il perdono come nella concezione cristiana,
hanno più il principio della vendetta che però è una legge. Il concetto dell’inferno europeo ha
terrorizzato l’Indios che non la concepiva perché considerava la morte come un rientrare nella
natura.
Per quanto riguarda la religione, gli indios avevano credenze di tipo animistico. Riferisce Thevet ne
Les singularitez de la France Antarctique:
“I selvaggi di questo luogo menzionano un Grande Essere, il cui nome nella loro lingua è Tupã,
credendo che questi viva in alto e che faccia piovere e tuonare. Non conoscono, tuttavia, un modo
per offrire a lui onori o preghiere, né possiedono luoghi riservati al culto“.
I missionari credettero di poter identificare Tupã con il concetto che i cristiani avevano di Dio, ma fu
una scelta infelice perché Tupã era per gli indios una sorta di genio malevolo, di demonio che
controllava i tuoni e i fulmini. Si può immaginare lo sconcerto degli indios dinnanzi alla bizzarra
associazione Dio cristiano-demone tupi e le sue possibili conseguenze su popolazioni che stavano
subendo un violento processo di disgregazione culturale proprio in nome del cristianesimo. Le
cerimonie funebri degli indios erano lunghe e complesse. Tutta la comunità si riuniva e il morto era
seppellito e poi compianto per molti giorni. Insieme al morto erano seppellite le sue armi e i suoi
utensili. Parenti e amici si avvicendavano presso la tomba e, per tutto il periodo del lutto,
mangiavano solo al calar del sole.
Gli Indios e la morte:
Le cerimonie funebri degli indios erano lunghe e complesse. Tutta la comunità si riuniva e il morto
era seppellito e poi compianto per molti giorni. Insieme al morto erano seppellite le sue armi e i suoi
utensili. Parenti e amici si avvicendavano presso la tomba e, per tutto il periodo del lutto,
mangiavano solo al calar del sole, le donne non si tagliavano i capelli per il lutto.
La guerra:
I Tupi erano straordinariamente bellicosi. Le varie tribù, divise da antiche rivalità, vivevano in un
cronico stato di guerra e si combattevano ferocemente con archi e frecce. La guerra non aveva come
obiettivo la conquista di ricchezze o di territori, (perché la terra è di tutti) ma serviva per vendicare i
torti subiti e per uccidere o catturare nemici per le cerimonie antropofaghe. Gli indigeni, afferma
Jean de Léry, assalgono “solo le nazioni nemiche delle quali si debbono vendicare”.
I nemici catturati: (solo gli uomini andavano in battaglia, le amazzoni sono frutto della fantasia
europea) I nemici catturati venivano uccisi in complicati rituali di gruppo che potevano durare
diversi giorni ai quali partecipavano non solo i membri della tribù, ma anche invitati che arrivavano
da molto lontano. Il nemico era tenuto prigioniero per un certo periodo, che poteva durare qualche
mese o addirittura anni, durante il quale era trattato quasi come un ospite. Era libero, sebbene fosse
sorvegliato con discrezione dai membri della tribù. Gli veniva data una compagna con la quale
viveva fino al giorno designato per l’uccisione rituale. A volte avveniva che la donna s’innamorasse
del prigioniero, agevolandone la fuga, come successe a molti portoghesi. Ma scappare sarebbe stato
un forte disonore.
Nel giorno deciso per la cerimonia si organizzavano grandi festeggiamenti ai quali partecipava anche
il prigioniero come uno dei tanti commensali, nonostante fosse consapevole della sua prossima fine.
Dopo che si era cantato e mangiato per sei o sette ore, il prigioniero veniva preso senza che
manifestasse resistenza e ucciso con una gran clava di legno. Il corpo era tagliato e distribuito a
tutta la comunità, tranne che all’uccisore, che si ritirava in disparte e digiunava, dovendo osservare
una serie di prescrizioni e di divieti, pena la vendetta dell’anima del morto. In seguito a questo
cerimoniale, il carnefice aggiungeva al suo un altro nome. Racconta Hans Staden, che ebbe
occasione di assistere ad alcune di queste cerimonie nei nove mesi in cui fu tenuto prigioniero fra i
Tupinambá, rischiando di fare la stessa fine: “Il loro onore consiste nell’aver catturato e ucciso molti
nemici. È usanza che uno si dia tanti nomi quanti sono i nemici da lui ammazzati, e i più importanti
fra loro sono quelli che hanno parecchi di tali nomi”. Bevevano mentre mangiavano il Caium.
I riti cannibaleschi furono senz’altro quelli che più impressionarono gli europei, che se ne servirono
(anche contro popolazioni che non li praticavano affatto) come pretesto per decretare guerra senza
quartiere ai nativi. Indubbiamente non era facile comprendere comportamenti ritenuti feroci e
bestiali, sebbene alcuni osservatori non rinunciassero a cercarne i moventi profondi, rilevando che i
nativi non mangiavano la carne umana per fame, come si potrebbe supporre, ma per spirito di
vendetta nei confronti dei nemici.
I Tubinanbas che ci sono ancora oggi non praticano più queste tradizioni, non è più il loro modo di
vivere.
Video: nel video possiamo vedere un uomo Indio, che parla dell’importanza di preservare la cultura
degli Indios. La loro foresta è fragile, loro non avevano costituito città, attuando una cosa simile a
quella europea, ma loro erano nomadi, proprio per salvaguardare la natura.
Aldcia Ianomani: Loro fanno delle capanne aperte all’interno ma coperte. Al centro avvengono gli
incontri per le storie, le cerimonie ecc. È lo spazio vitale del gruppo.
La figura dell’Indio
I romantici ricercando le fonti devono decidere quale rappresentazione di Indios devono scegliere
come antenato, non l’Indios descritto dai portoghesi, perché non ci sono fonti attendibili e fedeli ma
l’Indios descritto come Buon selvaggio che è comunque mitizzato perché l’indio non è buono né
cattivo è semplicemente un uomo il cattivo selvaggio secondo i portoghesi è qualcuno che ha lottato
contro i colonizzatori che si sono opposti al portogallo. Gli Indios avevano una religione che era
incentrata sulla natura, Dio era la natura per questo non avevano un templio, un luogo di culto
perché la natura che li circondava era un luogo religioso. Un rispetto profondo verso la natura e gli
animali. (Stefano Mancuso è uno scienziato che fa degli studi sulle piante e il loro sistema nervoso).
Gli Indios hanno una grandissima conoscenza sulla natura.
La letteratura brasiliana inizia con un NON sono così decostruendo l’immagina falsata dei
colonizzatori. Da oggetto i brasiliani diventano soggetto.
Molte nazioni europee vivono la stessa situazione d’identità nazionale come nel caso del Brasile.
Gli intellettuali del XIX secolo non videro l’indio per come era realmente, un individuo con
un’identità culturale, con una visione originale del mondo. Soprattutto, gli scrittori spesso
trascurarono e persino omisero nelle loro opere i gravi problemi che dovevano affrontare le
popolazioni indigene nella lotta per la sopravvivenza fisica e culturale. L’indio era per loro l’icona,
l’immagine idealizzata di colui che avevano eletto come progenitore nazionale.
Seppure con sfumature e peculiarità molto diverse da autore ad autore, questi modelli e schemi
finiranno per condizionare tutto l’Indianismo romantico. Solo raramente troveremo nelle opere di
questa corrente letteraria l’indio come un individuo a tutto tondo. Accettare e difendere
un’immagine dell’indio in carne e ossa significava non solo dover ripensare al significato dell’intera
colonizzazione portoghese (cosa non difficile in quel momento), ma, e qui cominciano i problemi,
rivedere e mettere sotto accusa anche lo sterminio che la società nazionale continuava a compiere
contro la popolazione amerindia, ridotta drasticamente in soli tre secoli, tanto che lo stesso
Gonçalves Dias, nel poema Os Timbiras, afferma che canterà i riti, le feste, le battaglie del povo
Americano, agora extinto (sott. nostra)[1]. E José de Alencar, a proposito del romanzo indianista O
Guarani, scrive:
“In O Guarani, il selvaggio è solo un ideale, che lo scrittore tenta di poeticizzare, denudandolo della
scorza grossolana nella quale lo avevano avvolto i cronisti, e strappandolo dal ridicolo che su di lui
proiettano i resti abbrutiti della quasi estinta razza.” (sott. nostra)
Queste brevi annotazioni sul tragico sterminio degli indios, quasi en passant nell’opera dei due
scrittori più rappresentativi dell’Indianismo, da una parte confermano la drammaticità dei fatti
storici e dall’altra sono la spia della distanza che intercorreva fra questa realtà storica e quella
idealizzata in letteratura.
I primi secoli della colonizzazione furono, come è noto, un periodo di eccidi, interi villaggi indigeni
furono bruciati e spazzati via dalla furia dei coloni che entravano nella foresta a caccia di mano
d’opera a buon mercato. La stessa corona portoghese non ha potuto a lungo ignorare tale
situazione, visto che i racconti di questa strage arrivavano attraverso le proteste dei gesuiti che,
dediti alla catechizzazione degli indios, avevano preso a cuore la loro sopravvivenza. Ma le misure
palliative adottate dal re del Portogallo non furono in grado di arginare lo sterminio in atto a danno
della popolazione locale, sterminio che continuò per secoli.
Ecco l’altro aspetto di questa operazione di sublimazione del passato negli intellettuali romantici.
Difficile sarebbe stato per questi figli di portoghesi vedere la storia del Brasile quale essa era stata ed
era, e cioè un violento scontro fra due culture, due popoli, uno dei quali già quasi completamente
distrutto.
L’indio, come si è visto, era già entrato nella letteratura nel periodo Barocco, negli scritti religiosi
funzionali all’evangelizzazione. Ritorna poi nelle varie scuole letterarie, sebbene acquisti rilevanza
soprattutto nel Romanticismo, in cui l’esaltazione dell’indigena andava di pari passo con
l’affermazione del sentimento nazionalistico. Il Romanticismo brasiliano si articolò in vari filoni, ma
qui ci interessa la seconda fase, detta Indianista, che va dal 1840 al 1850, dominata appunto da
Gonçalves Dias (1823 - 1864) e José de Alencar (1829 - 1877). Nelle loro opere l’indio divenne
“esperienza, nuova e affascinante”, grazie alla superiorità dell’ispirazione e delle risorse formali di
questi due autori.
Eppure, nonostante la parentesi indianista, la visione della realtà brasiliana si farà più netta solo dal
1860 in poi, con Casto Alves (1847-1871), nelle cui opere il Romanticismo assumerà un carattere
sociale, rivoluzionario, impregnato di preoccupazione politico-sociale. Ed è proprio per questa
maggiore aderenza a tutti i diversi aspetti della società che Castro Alves aggiungerà al binomio
sociologico indianista (formato dal bianco e dall’indio) l’altro importante elemento di questa realtà, il
negro africano.
Anche i primi romantici, afferma Luciana Stegagno Picchio, avevano sentito l’antinomia oppresso-
oppressore, ma in modo idealistico, individuando fra l’altro nell’indio “il polo antibianco della realtà
sociologica brasiliana”. Castro Alves, al contrario, ha avuto il merito di riportare in primo piano il
dramma del negro schiavo, sradicato con violenza dal suo continente per essere stritolato
dall’ingranaggio coloniale del nuovo mondo, costretto a sostenere la monocoltura latifondista del
Brasile fino quasi alle soglie del ventesimo secolo (l’abolizione della schiavitù è del 1888).
Castro Alves si muove però in un contesto molto diverso rispetto al primo Romanticismo, contesto
nel quale si preannunciavano nella società i fermenti di quella profonda innovazione strutturale che
si verificherà con l’abolizione della schiavitù e con l’avvento della repubblica. L’Indianismo, al
contrario, si è affermato in un momento di stasi politica che coincide con il consolidamento del
potere imperiale e dell’unità territoriale del Brasile, durante la prima parte del regno di Pedro II
(1840 - 1870).
Il Romanticismo ha avuto così il merito di aver messo l’indio in primo piano, ma lo ha fatto in modo
distaccato e talvolta artificioso. Fare letteratura nazionale in quel momento era rappresentare nelle
opere ciò che era specifico del paese, il paesaggio e l’aborigeno, ma il come farlo non era altrettanto
definito. In effetti gli autori del periodo in relazione alla tematica nativista hanno approcci diversi e
spesso contradditori. Se José de Alencar, nonostante la coscienza critica che lo caratterizza, finisce
per fornirci un’immagine esaltata dell’indio, diversa è la visione di Gonçalves Dias, per il quale
l’adesione all’universo autoctono è più convincente e profonda, anche perché egli era figlio di
un’india e poteva meglio capire il dramma della colonizzazione, vista da un’angolazione diversa da
quella ufficiale[1].
Nell’opera di Gonçalves Dias troviamo i grandi temi del Romanticismo quali la natura, l’amore
impossibile, la patria, la religione. Le Poesie americane[2], forse la parte più nota della sua opera,
rappresentano un singolare momento in cui si focalizzano aspetti e valori autentici della vita
indigena. C’è un soffio di partecipazione vitale in questi testi e anche quando il poeta idealizza
l’autoctono non lo fa mai per “ignoranza della psicologia specifica dell’indio, ma in parte per
simpatia, in parte obbedendo ai canoni estetici del tempo; senza intaccare l’emozione che palpita,
bella e convincente”[3] nei versi:
“Che viaggiasse attraverso il Rio Negro o abitasse a Parigi, o a Coimbra, o a Dresda, l’indio risiedeva
dentro di lui; nel suo sentimento, nella sua immaginazione poetica (...) gli stava in corpo, gli
alimentava la personalità. Era una forza segreta, in stato di legittima difesa. Il suo indio delle poesie
liriche o epiche era indio vero, e non indio da cartolina postale.”
Gonçalves Dias si distaccherà da altri scrittori indianisti perché, aldilà delle idealizzazioni, riesce, con
la sua grande sensibilità poetica, a sfuggire al meccanicismo della semplice trasposizione di strutture
ideologiche all’interno della sua opera. E vi riesce proprio quando, e perché, abbandona le
generalizzazioni e si avvicina di più alla realtà. Traspare in molti dei suoi testi il dolore e la
partecipazione vera del poeta al trauma di una nazione, quella Tupi, che vede la distruzione del
proprio universo e il suo annientamento fisico. Qui si sfugge, grazie alla genialità del poeta, alla
visione del sistema, secondo la quale l’incontro fra le due etnie sarebbe stato positivo per entrambe,
avendo portato alla fusione e alla nascita di una nuova cellula sociologica e culturale, quella
brasiliana. In questo testo traspare, al contrario, anche l’accusa della voracità dell’uomo bianco,
apolide e capace di tutto pur di ottenere ricchezze. Occorre in questo caso, attraverso la poesia, una
rottura col sistema ideologico dominante, anche se questo potrebbe non essere stato nelle
intenzioni del poeta.
Il romanticismo:
Coincide con l’indipendenza (1822), arriva in Brasile perché gli intellettuali brasiliani viaggiano e
leggono libri europei, ci sono i contatti. Durante il 17esimo secolo gli autori brasiliani, che avevano
studiato alla prestigiosa Università di Coimbra in Portogallo, si richiamavano agli stili del barocco
europeo. Dopo il 1822 gli autori brasiliani non furono più costretti a delinearsi a modelli stranieri
anche se continuarono a risentire dell'inevitabile influenza della contemporanea cultura europea.
I romantici brasiliani, nutriti degli ideali di Rousseau e di Chateaubriand, si ispirarono alla storia
locale, celebrando la magnifica natura del proprio paese, dai paesaggi incontaminati e maestosi.
Il primo insigne romantico Antonio Goncalves Dias rinnegò le origini portoghesi e rivendicò,
attraverso un simbolico avo indigeno, l'appartenenza al Brasile. José de Alencar, portavoce di una
sensibilità comune nell'ambiente intellettuale, fu un altro grande autore che si ispirò alla vita delle
popolazioni indie, soprattutto nei romanzi 'O Guarani' e 'Iracema', condannandone la condizione di
schiavitù.
Quando i Brasiliani iniziano a cercare la propria identità iniziano dalla concezione europea che era
centrale mentre il brasile era più periferico. Montaigne è il primo filosofo umanista che elabora un
diverso rapporto con l’altro, in questo caso l’altro è l’Indios, da lì si arriva a Rousseau anch’egli un
filosofo romantico che basa la sua idea sul fatto che la società corrompe; quindi, il buon selvaggio
non è corrotto dalla società ma è in contatto con la natura. Rousseau parla del rapporto su come
bisogna educare i bambini, senza punirli mai. Nell'800 i brasiliani hanno a che fare con due miti:
1. Cattivo selvaggio: nelle descrizioni portoghesi ma anche Vespucci. Con informazioni false.
2. Buon selvaggio: parte da una informazione diretta e concreta fatta dai cronisti e ripresa dai
filosofi come Montaigne. Influenza anche gli autori francesi con l’idea di identità, natura e
l’uomo in contatto con essa, un’Io forte con la sua identità. Ci sarà una corrente del
romanticismo che si chiamerà Indianismo.
I romantici optano per il mito del buon selvaggio e lo elaborano nella letteratura. Nell'Indianismo
l’Indios diventa un elemento centrale. I modernisti fanno la scelta opposta, i romantici elevano
l’Indios come il simbolo del Brasile mentre i modernisti partiranno dal fatto che sia la definizione del
buon e cattivo selvaggio vengono dall’esterno non dal Brasile, non volevano essere rappresentati da
un indios passivo che hanno accettato la religione ecc., ma loro volevano come simbolo il selvaggio e
ha lottato e combattuto contro i colonizzatori. Partono da quello che non si è per decolonizzare il
Brasile, ma come fanno tutti i paesi colonizzati.
José de Alencar (1829- 1877)
José Martiniano de Alencar (Messejana, 1º maggio 1829 – Rio de Janeiro, 12 dicembre 1877) è stato
un politico, scrittore, giornalista, e avvocato brasiliano.
Considerato una figura chiave nella formazione dell'identità culturale brasiliana, fu politico ed
esponente di primo piano del romanticismo, con una produzione letteraria che annovera novelle,
drammi e romanzi a tema storico e sociale, spesso con riferimenti alla cultura indigena della sua
terra (la più famosa tra le sue opere, paragonabile a I promessi sposi per valore letterario, intitolata
O Guarani ("Il Guarani") ottenne un enorme successo all'epoca della pubblicazione).
La sua famiglia era benestante e gli ha offerto un’ottima educazione, è uno degli scrittori che darà
vita all’Indianismo. Figlio di un politico, José Martiniano Pereira de Alencar, crebbe seguendo gli
spostamenti del padre, che per incarichi vari era costretto a spostarsi nel paese. Nel 1844, a 15 anni,
lasciò Rio per recarsi a São Paulo e frequentare un corso preparatorio alla facoltà di Diritto.
Proseguì gli studi nel 1847 ad Olinda, ma tre anni più tardi tornò a São Paulo, dove si laureò.
Cominciò ad esercitare la professione di avvocato a Rio, alla quale attività univa quella di giornalista.
Nel 1855 diviene direttore del giornale Diário do Rio de Janeiro, e fu in queste pagine che, a puntate,
pubblicò il suo primo romanzo, Cinco Minutos (Cinque minuti). Il successo letterario gli arride nel
1857 con O Guarani, romanzo storico ambientato nel XVI secolo, durante il periodo della
colonizzazione portoghese. Il romanzo affronta le tematiche della nascente cultura brasiliana in
contrapposizione a quella portoghese, e i rapporti con la popolazione indigena (i Guaraní sono indios
sudamericani).
Contemporaneamente, José de Alencar si impegnava politicamente come membro del Partito
Conservatore, essendo eletto quattro volte deputato nel suo Stato natale, il Ceará. Nel 1868 gli viene
affidato l'incarico di Ministro della Giustizia. Il suo impegno politico subisce però un brusco declino
nel 1870, quando a causa di dissapori con l'imperatore Pedro II, si disaffeziona da tale impegno.
Scrive principalmente narrativa, si pone le questioni:
1. Cos'è la letteratura brasiliana?
2. Com'è essere brasiliano?
Non è il solo, la società brasiliana indica negli scrittori il compito di scoprire l’identità brasiliana, c’è
un fortissimo legame tra letteratura e società.
La riabilitazione romantica dell’indio
Fasi del romanticismo: (aggiungi da pdf)
1. La prima è la fase dell’”INDIANISMO” (1836 - 1852) e gli autori più importanti sono José de
Alencar e Gonçalves Dias.
Principali caratteristiche della prima fase: nazionalismo, Indianismo, amore per la natura. Identità
nazionale, molti scrittori ripescano nel passato, non solo in Brasile. L'Indianismo è la corrente più
importante per il modernismo brasiliano. L'indianismo è l’unico aspetto completamente brasiliano e
non influenzato dall’Inghilterra o la Francia. (1836-1852)
2. La seconda è quella del “ULTRA-ROMANTISMO” (1853 - 1869). Gli autori più importanti
sono Álvares Azevedo, Casimiro de Abreu, Fagundes Varela.
Principali caratteristiche: sentimento esacerbato dell’io, isolamento, idealizzazione del sentimento
amoroso, amore impossibile. La seconda fase non inizia nel 1852 ma si unisce all’Indianismo.
3. La terza fase è quella del “ROMANTISMO SOCIAL” (1870 - 1880). L’autore più importante è
Castro Alves.
Principali caratteristiche: critica sociale, lotta per l’abolizione della schiavitù in Brasile. Qui si
aggiunge un altro elemento ovvero la partecipazione e la lotta politica dell’autore. Il movimento
abolicionista è un movimento che ha unito molto il popolo contro la schiavitù.
Tutte e tre le fasi sono notevoli passi per il Brasile, il quale non voleva costruire un paese totalmente
distaccato dall'Europa, loro si definivano la periferia del mondo occidentale. Molti intellettuali
brasiliani studiano e si formano in Europa.
Furono gli scrittori e gli intellettuali romantici ad avviare per primi una seria rilettura dei testi chiave
del periodo coloniale. Il sentimento nativista che dall’inizio della colonizzazione si era via via
manifestato nei coloni nati o cresciuti in Brasile si trasformerà, nel periodo romantico, in
indipendentismo e in anti-lusitanismo. Molte delle cronache e dei trattati del passato diventano così,
per questi intellettuali, la testimonianza e la memoria viva della prepotenza subita, documenti che
confermano i pregiudizi con cui gli europei avevano sempre visto e rappresentato gli americani.
José de Alencar, personalità di rilievo dell’Indianismo romantico, entra in aperta polemica con i
cronisti:
“Gli storici, cronisti e viaggiatori della prima epoca, e forse dell’intero periodo coloniale, debbono
essere letti alla luce di una severa critica. È indispensabile soprattutto depurare i fatti comprovati
dalle facezie con cui li motteggiavano e dai giudizi ai quali li assoggettavano spiriti ristretti, troppo
imbevuti di un’ispida intolleranza”. Distinguere quelli che scrivono con pregiudizi basati
sull’intolleranza verso gli Indios e altri che invece parlano senza pregiudizi.
C’è in Alencar la chiara intenzione di passare al vaglio critico quelle descrizioni aliene del Brasile e dei
suoi abitanti. Egli attuerà, attraverso la sua opera letteraria, una vera e propria esegesi degli autori
che hanno lasciato documentazione sulla storia dei primi contatti fra indios ed europei. Ma non solo.
Farà anche una cernita fra tali autori, accettando solo le interpretazioni che gli sembrarono meno
inquinate da preconcetti. Nel suo romanzo O Guarani [1857], Alencar afferma:
«il selvaggio è un ideale che lo scrittore cerca di rendere poetico, denudandolo della crosta
grossolana con la quale lo avvolsero i cronisti». Lui usa la parola selvaggio come colui che viveva
nella selva ma anche selvaggio come abitante del brasile senza connotazione negativa. Lui cerca di
fare una lettura in cui lui depurerà i testi cercando solo quelli più veritieri cercando di valorizzare la
figura dell’Indios. Auto valorizzarsi come paese. Alencar riceve molte critiche dagli intellettuali
brasiliani dell’epoca perché il suo Indio sembra un eroe medievale dei testi europei, ci sono molte
inesattezze grossolane nel suo testo.
Era il periodo dei romanzi che uscivano un po' alla volta, lui scrive un romanzo storico O Guarani che
narra la storia di un selvaggio e di una donna portoghese.
Periodi del romanticismo:
1. Nazionalismo (dove la figura dell’Indios è protagonista)
2. Urbano
3. Regionale
4. La figura dello schiavo
L’autore intenta poetizar, in altre parole correggere, un’immagine che, secondo lui, sarebbe stata
distorta. Tale programma si inserisce nel clima di surriscaldato nazionalismo che si respirava in
Brasile subito dopo l’indipendenza del 1822. Ricercare le radici della propria storia e valorizzare il
passato era, lo si è detto, un modo per rimarcare la frattura con l’ex-madrepatria. L’influenza del
Portogallo dopo tre secoli di colonizzazione era profonda e radicata e non era facile, da un momento
all’altro, definire una propria identità, preoccupazione che non a caso, da allora in poi, ossessionerà
gli scrittori brasiliani.
Se nella fase coloniale c’erano state manifestazioni di orgoglio nativista e programmi di autonomia
rispetto alla madrepatria (pensiamo agli arcadi, ad esempio), la verità è che la vita intellettuale e la
produzione letteraria e artistica erano ancora improntate a parametri tipicamente portoghesi. Solo
durante il periodo romantico questo quadro comincerà effettivamente a cambiare. Il processo di
differenziazione assumerà il peso di un progetto politico, poiché il Romanticismo svolgerà, in
ambito culturale, il ruolo che l’indipendenza svolse in campo politico. Gli stessi modelli letterari e
artistici portoghesi saranno sostituiti da altri, soprattutto da quelli francesi. A questo proposito è
stato sottolineato da Alfredo Bosi quanto la ricerca di altre fonti ideologiche, non-portoghesi e non-
iberiche, rappresenti già una rottura cosciente con il passato.
È tuttavia insopportabile il vuoto di una storia che si rifiuta: per colmare tale lacuna i romantici
vanno a ripescare antenati autoctoni nelle cronache del XVI e XVII secolo, la «quasi estinta razza»,
quegli indios Tupi trovati dagli europei sulla costa Atlantica sudamericana, ma ormai, nel XIX secolo,
quasi decimati. L’identificazione con l’indio è il risultato, come afferma Antonio Candido, della
«tendenza genealogica» che si diffonde in Brasile subito dopo l’indipendenza, è l’ansia di avere
radici, di poter dimostrare la stessa dignità storica dei vecchi paesi. Secondo questa tendenza, si
scelgono nel passato locale gli elementi adeguati ad una visione nativista, ma una visione che cerca
comunque di avvicinarsi agli ideali e alle norme europee. L’indio adempirà perfettamente a tale
funzione, sia perché è l’abitante nazionale per eccellenza, l’unico a poter vantare radici autoctone,
sia perché sarà sublimato e trasformato dai romantici nel «buon selvaggio».
In realtà il selvaggio non è né buono né cattivo, è semplicemente un essere umano. Non è il vivere in
una società che rende cattivo l’uomo ma altri fattori e caratteristiche. Il romanticismo è nazionalista
per necessità, per comprenderà cos’è essere nazionale.
Anche il Brasile veniva così ad avere un suo passato araldico, una sua storia nobiliare. Il
Romanticismo in Brasile si protrasse dal periodo che va dal 1836 al 1880. Si articolò in almeno
quattro filoni diversi, fra i quali spicca l’Indianismo, momento fecondo di riflessione sulla cultura e
sulla letteratura nazionali, legato alla natura e alla terra, in cui l’indio sorge come tema letterario
dominante. Vero è che, nonostante la centralità che vi assume tale figura, l’immagine che ne viene
fuori è quasi sempre stereotipata. Sfugge, in parte, alla mera convenzione letteraria un personaggio
chiave del periodo accanto a José de Alencar (1820-1877), considerato il primo grande poeta del
Brasile.
Vediamo ora, brevemente, l’intreccio di queste tre opere indianiste:
 In O Guarani, del 1857, il racconto si sviluppa attorno alla lotta disperata di Don Antônio
Mariz e dei suoi uomini sia contro gli indios Aimoré che contro i mercenari, avventurieri
assoldati per la difesa del suo casato ma che gli si erano ammutinati. Sarà questa una lotta
impari ed eroica. Vi si evidenzia la figura straordinaria di Peri, guerriero guarani capace delle
più grandi imprese e dei più nobili sacrifici per salvare Ceci, la figlia diletta di Don Mariz, della
quale è devotamente innamorato. Romanzo simbolico, esso rappresenta l’unione fra i due
popoli che secondo l’autore sono i progenitori della nuova nazione brasiliana (è interessante
osservare come in tali ricostruzioni storiche il nero non venga mai nominato).
La proposta di Alencar è che la cellula del Brasile è quella costituita sia dall’Indios sia tra portoghesi,
chiaramente prende la cellula come valida per tutto il Brasile, ma in altre regioni non è così. I modi
che usa Peri sono tipici cortesi e l’amata è bianca e bionda quindi una bellezza estremamente
europea. In questo caso è un incontro tra Indios e portoghesi non uno scontro.
 Iracema, del 1865, è un’opera anch’essa altamente simbolica, di argomento storico-
indianista. Racconta la fondazione del primo insediamento portoghese nel Ceará, nel Nord-
est del Brasile. Iracema, india di origine tabajara s’innamora di Martim, lo straniero bianco
venuto da lontano, per il quale romperà il legame con la sua stessa tribù. Da quest’unione
nascerà un bambino che sarà chiamato Moacir, figlio del dolore.
È un amore impossibile che non viene accettato né dai portoghesi né dagli Indios, in questo caso c’è
quindi un incontro e scontro tragico.
 Ubirajara, pubblicato nel 1874, racconta a sua volta il processo di raggiungimento della
piena maturità di un indio di stirpe araguaia che, da cacciatore, diviene guerriero, poi capo
tribù. L’eroe acquisisce un nome ad ogni cambiamento di ruolo o di funzione all’interno della
società indigena. Jaguarê, il cacciatore, diventa Ubirajara, il guerriero, quando vince in
combattimento il terribile avversario Pojuçã. Lo stesso Ubirajara, dopo tutta una serie di
peripezie in cui dovrà sostenere delle lotte per conquistare una sposa, passerà a essere
Jurandir, colui che dovrà guidare due tribù alleate, gli Araguaia e i Tocantins. Alencar, come
si può vedere, compie qui un percorso a ritroso, giacché Ubirajara, l’ultima opera della serie
indianista in ordine di pubblicazione, figura, per la cronologia dei fatti narrati (avvenimenti
precedenti l’arrivo dei portoghesi), come la prima del ciclo.
Ubirajara è costruito in modo che il testo sia diviso in due, in una parte romanzo, in una parte delle
note per aiutare il lettore a comprendere meglio.
I portoghesi criticarono Alencar per l’uso della lingua portoghese nei suoi testi perché è atipico, usa
soltanto elementi concreti per descrivere la realtà brasiliana. La frase suona strano perché lui cerca
di plasmare il portoghese secondo il pensiero degli Indios usando anche alcuni termini del Tupi,
anche le metafore sono strettamente brasiliane e si riferiscono a come loro vivevano. È molto lirico.
E fra il primo e l’ultimo dei libri indianisti, possiamo riscontrare nell’autore notevole riflessione e
approfondimento teorico. Lo scrittore dialoga, attraverso il denso apparato delle note che
accompagnano le tre opere, con gli autori che hanno per primi descritto le popolazioni indigene. La
sua intenzione è di indagare sulle radici della nazionalità e di tracciare un profilo completo nel tempo
e nello spazio del paese, cogliendo le diversità regionali all’interno dell’unità nazionale. I suoi venti
romanzi, divisi in quattro gruppi (urbani, storici, indianisti e regionalisti) sono la concretizzazione di
questo progetto. Alencar aveva una forte coscienza del ruolo della letteratura e della funzione
sociale dello scrittore, essendo stato anche uno dei primi a difendere un registro linguistico
nazionale del portoghese, lingua che per molti versi si era già distinta da quella usata in Portogallo.
Nel primo romanzo della serie indianista, O Guarani, l’autore sostanzialmente condivide la visione
tradizionale sull’autoctono che si trova nelle pagine di viaggiatori, coloni e gesuiti. A mano a mano
che procede nello studio di tali popolazioni, egli tuttavia si discosta da quelle configurazioni che gli
sembrano poco aderenti alla realtà.
Nella prefazione al libro Ubirajara Alencar afferma con notevole anticipazione (se pensiamo alle tesi
propugnate dal gruppo dell’Antropofagia all’inizio di questo secolo): Occorre ancora rilevare che due
categorie d’individui fornivano informazioni sugli indigeni: quella dei missionari e quella degli
avventurieri. In lotta l’una contro l’altra, entrambe si trovavano d’accordo su un punto, quello di
raffigurare i selvaggi come bestie umane. I missionari esaltavano così l’importanza della loro
catechesi; gli avventurieri cercavano di giustificare la crudeltà con la quale trattavano gli indios.
Forse per le critiche ricevute all’inizio, cioè di parlare senza cognizione di causa, soprattutto dopo la
pubblicazione di O Guarani, forse per una sua maturazione personale (per scrivere Iracema egli
studiò a fondo la lingua tupi), Alencar compie effettivamente un passo notevole di avvicinamento al
significato originale di molti costumi amerindi, al modo degli indios di percepire la realtà, di
rapportarsi con la natura e con l’universo circostante.
Iracema è in questo senso un capolavoro di sintesi ed equilibrio. È una lenda, una fiaba, come l’ha
definita l’autore, un simbolo della bellezza, dell’innocenza, del coraggio eroico e del modo quasi
epico di vivere di un popolo tragicamente scomparso dopo l’arrivo degli europei. Nelle tre opere
indianiste di Alencar, la narrazione procede su due livelli, quello letterario propriamente detto e
quello che possiamo definire di tipo critico o storico-etnografico.
In quest’ultimo, in particolar modo, l’autore si preoccupa di informare dettagliatamente il lettore,
attraverso l’apparato delle note, sull’etimologia dei termini tupi utilizzati nel testo, sul significato
dei miti eziologici, sui costumi degli indios cui fa riferimento e sulle fonti da cui ha attinto.
(Alencar non è un indigeno e una critica è proprio il fatto che non più immedesimarsi (lugar de fala)
ma in realtà la letteratura è il luogo dove puoi essere un altro. Yucenar ha scritto “le memorie di
Adriano”, in questo romanzo lei diventa Adriano, ma essendo una donna secondo il lugar de fala non
avrebbe dovuto farlo, lei riesce in realtà non solo a rappresentare un uomo ma una universalità
dell’essere umano.)
Soprattutto, in queste note, Alencar si sforza di riabilitare la figura dell’indio, contestando tutte le
informazioni che giudica basate su pregiudizi e sull’incapacità dei cronisti di spogliarsi della propria e
limitata prospettiva:
“Questo semplice elemento basta a dare un’idea della moralità dei tupi e a rendere giustizia riguardo
alle menzogne dei cronisti che, non comprendendone i costumi, hanno finito per attribuire loro
gratuitamente quanto gli esploratori mal informati e prevenuti inventavano.”
L’equilibrio fra i due piani, quello letterario e quello critico, su cui si fonda la struttura delle tre
opere, cambia via via che Alencar approfondisce gli studi sulle popolazioni amerindie. In O Guarani
le note compaiono in maniera breve e sporadica; sono di carattere storico o riguardanti la flora e la
fauna. Le critiche mosse ai cronisti abbracciano aspetti periferici della cultura indigena. Gabriel
Soares de Souza è l’autore più citato da Alencar, ma aleggia nel testo anche il racconto di Hans
Staden, soprattutto le sue descrizioni della cattura e morte del prigioniero presso i Tupinambá,
cerimoniale che Staden conobbe di persona e dal quale sfuggì quasi per miracolo. Ma O Guarani
contiene gravi errori etnografici come quello, ad esempio, di attribuire agli Aimoré i costumi degli
indios Tupi . In Iracema le note aumentano numericamente e si arricchiscono qualitativamente. Tra
gli autori più citati troviamo ancora Gabriel Soares de Souza, al quale si aggiungono Jean de Léry,
Yves d’Évreux, Gonçalves Dias, José de Anchieta, Simão de Vasconcelos. Molte note sono di carattere
linguistico. Alencar aveva studiato lungamente la lingua tupi, nella convinzione che «la conoscenza
della lingua indigena fosse il miglior criterio di nazionalizzazione della letteratura»14 . Tale
conoscenza, aggiunge, «svela non solo lo stile, le immagini poetiche congeniali all’aborigeno, ma
anche i modi del suo pensiero, le tendenze del suo spirito, e persino le più piccole ed elementari
particolarità del suo vivere». Di fatto, attraverso la conoscenza del tupi, Alencar è riuscito a
penetrare la cosmologia simbolica e mitologica dell’indigeno utilizzando questi elementi per
costruire un’opera che si distingue, per qualità estetica, da tutta la produzione indianista del
periodo. In Ubirajara l’apparato delle note è tale da occupare quasi la metà del testo. I due discorsi,
letterario ed etnografico, proseguono paralleli e il primo non è che l’illustrazione e l’esemplificazione
del secondo. In realtà, il libro è un trattato di etnografia, aggiornato e puntiglioso, tanto che il ritmo
del racconto risulta spezzato dalle troppe interruzioni delle note. Il lettore a un certo punto si trova a
dover fare un’opzione: o seguire il testo letterario, o seguire quello etnografico, tant’è l’interferenza
dell’uno sull’altro.
Fra le tre opere indianiste, Ubirajara è quella dove la polemica alencariana nei confronti dei cronisti
raggiunge i toni più aspri. Egli contesta il concetto che essi avevano della moralità indigena, della
religione, delle guerre fra le tribù, dell’istituto del matrimonio, del significato dell’antropofagia.
Passa al vaglio critico ogni aspetto delle loro descrizioni, lamentando la mancanza, in quei tempi, di
osservatori imparziali e con «viste meno strette» che avessero potuto lasciare documenti più
attendibili:
“Un popolo che manteneva le tradizioni alle quali ci riferiamo non era certamente una massa di
bruti, degni del disprezzo con il quale furono trattati dai conquistatori. E anche se attraverso l'oro
false valutazioni, una qualche verità poté arrivare fino a noi, cosa non sarebbe avvenuto se spiriti
meno imbevuti di preconcetti e di visioni meno ristrette, vivendo fra queste nazioni primitive, si
fossero dedicati allo studio delle loro credenze, tradizioni e costumi.”
Nulla sfugge al minuzioso esegeta che è Alencar. Riguardo ai gesuiti, egli afferma che più di tutti essi
avevano avuto la possibilità di realizzare un serio studio sull’universo indigeno, ma che non fecero
altro che esagerare la ferocia e l’ignoranza di questi per rendere indispensabile la catechesi.
Nelle tre opere il testo a piè di pagina è pertanto assai rilevante, giacché in esso si configurano le
correlazioni, implicite ed esplicite, con gli storici e i cronisti dei secoli precedenti. Ma è nel testo
letterario che si concretizza la nuova visione dell’indio, così come se lo figurava l’autore. Una
visione che non corrisponde alla verità dei fatti, come vedremo, ma che non concorda nemmeno con
l’indio dei modelli di riferimento. In realtà Alencar creò su basi più leggendarie che storiche, come
afferma Heron de Alencar, «il mondo poetico ed eroico delle nostre origini». Nel comporre la nuova
iconografia dell’autoctono quale simbolo della nazionalità, Alencar utilizza le suggestioni
etimologiche e mitologiche proprie della lingua e della cultura indigena, cercando di rappresentare,
in particolar modo in Iracema e in Ubirajara, il mondo secondo una diversa prospettiva. Il racconto è
fatto in terza persona, ma è come se il narratore avesse adottato il modo di rapportarsi alla natura e
al mondo circostante caratteristico del silvicolo. Il linguaggio in queste due opere è poetico, denso ed
essenziale.
Le numerose similitudini e comparazioni utilizzano solo elementi dell’universo aborigeno, i
sentimenti sono semplici ma intensi, la natura partecipa ai drammi dei protagonisti come se fosse
dotata di anima propria. Alencar cercò di ricreare, in portoghese, le caratteristiche sostanziali del
linguaggio indigeno, altamente plastico, tellurico, animistico. In O Guarani Alencar non aveva
ancora raggiunto una tale sintesi ed equilibrio. Il suo eroe Peri è solo un frutto della fantasia, non ha
niente di verosimile. Tutte le sue virtù fisiche e morali sono potenziate e le sue azioni o imprese
sembrano dettate da codici comportamentali che somigliano più a quelli dei cavalieri dell’Europa
medievale che a quelli dell’indigeno americano dell’inizio del XVII secolo. Possiamo ricordare, al
riguardo, la lealtà di Peri verso Don Antônio, che nel romanzo è l’incarnazione del perfetto castellano
feudale.
O ancora si potrebbe citare l’amore rispettoso e devoto del giovane guarani per Ceci, la sua dama,
della quale porta i colori (l’azzurro e il bianco) nelle armi e negli ornamenti come nella più pura
tradizione cavalleresca medievale. Nonostante queste limitazioni, e proprio perché in Alencar si
verifica un percorso di approfondimento e di riflessione, possiamo affermare che egli arriva ad
anticipare l’intertestualità modernista giacché le sue opere, attraverso le tecniche dell’allusione,
delle citazioni e del vero e proprio collage, stabiliscono un rapporto di correlazioni oggettive con i
modelli di riferimento storici ed etnografici. Trattatisti, viaggiatori, coloni e gesuiti sono
continuamente chiamati in causa, riattualizzati, servono da sfondo, da serbatoio di informazioni, da
fonte di ispirazione, da base per contestazioni radicali.
A senhora altra opera di Alancar, parla di una donna indipendente per il tempo.
L’indio romantico, anche quello di Alencar, è il «buon selvaggio» di Rousseau, cantato dai poeti
francesi a partire dalla seconda metà del XVI secolo (con Ronsard e i poeti della Pléiade). Gli scrittori
romantici, come si è visto, nell’affanno di rinnegare qualsiasi apporto che potesse anche solo
ricordare il ruolo di subalternità avuto rispetto al Portogallo, sostituiscono i modelli letterari
portoghesi con quelli francesi. Per quanto paradossale questo possa sembrare, e nonostante
avessero l’indio praticamente sull’uscio di casa, i romantici importano quello infrancesato,
sublimato, depurato da tutto ciò che avrebbe potuto scandalizzare la sensibilità cattolica e
perbenista del secondo Impero.
È inevitabile che tale indio non corrisponda più a quello descritto da Caminha, da Léry, Vespucci o
Thevet. E non gli corrisponde perché quella mitica visione (ed è mitica già per i cronisti) dell’uomo
naturale «senza fede, né legge, né re» era stata rielaborata in termini filosofici a partire da
Montaigne. In altre parole, era già escoimada, ossia ripulita da rozzezze incompatibili con la teoria
della bontà naturale dell’uomo. Alencar avverte che c’è uno scarto fra le due concezioni e opta per la
seconda, quella dell’indio ingentilito e idealizzato, certamente a lui più congeniale. A questo
proposito, Afonso Arinos è lapidario:
“Qui si vede che, anche nel terreno ideologico, il Brasile non sfuggiva al suo destino di nazione
coloniale e di mercato di consumo. Da qui uscivano per l’Europa le materie prime con cui si
fabbricavano le future dottrine, e di là ritornavano trasformate, per nostro uso, sotto forma di articoli
importati”.
È paradossale che proprio il romanticismo segni, in modo ancora più evidente, lo scarto che si è via
via maturato fra il reale e l’immaginario, fra l’indio vero (o il nero, fin troppo reale) e l’indigeno
mitizzato e idealizzato nelle opere indianiste. La letteratura romantica rispecchia un momento di
forti tensioni e trasformazioni anche a livello ideologico, di mutamento di coscienze, vissuto da un
paese che, se nella pratica ha raggiunto l’indipendenza politica, nella sostanza è ancora troppo
legato al Portogallo e all’Europa.
*Alencar è consapevole che il problema fondamentale degli scrittori brasiliani è quello di costituire
una propria letteratura, sintonizzata con la realtà di un paese appena uscito dalla condizione
coloniale, di cultura ibrida e non totalmente delineata negli aspetti fondamentali. Egli stesso si
adopererà per gettare le basi di questo nuovo sistema, rendendo concreti, di fatto, in molte sue
opere, quella nuova poesia e quel linguaggio originale che auspicava all’inizio della sua carriera
letteraria.
Per tutto ciò, il Romanticismo è, insieme al Modernismo, uno dei momenti chiave del processo di
formazione e di autocoscienza della letteratura brasiliana. Già Mário de Andrade aveva evidenziato
la similarità fra queste due scuole estetico-letterarie, che in Brasile si distinguono da tutte le altre
proprio per «lo spirito rivoluzionario». Se queste ultime erano state essenzialmente accademiche,
l’essenza del Romanticismo e del Modernismo è di rottura con il passato e di contestazione della
dipendenza passiva nei confronti dell’Europa. Esistono, tuttavia, differenze importanti di
impostazione fra i due movimenti. I modernisti vanno ben più lontano dei romantici in questa
frattura, come vedremo di seguito.
Gonçalves Dias [1823- 1864]
Di origini multietniche, il padre João Manuel Gonçalves Dias era portoghese e la madre Vicência
Ferreira era mamelucca, compì studi in filosofia prima di trasferirsi in Portogallo per frequentare
l'Università di Coimbra e laurearsi in diritto. Dal 1854 al 1858 fu mandato dal ministero degli Esteri
in Europa con un incarico culturale e diplomatico. Rientrato in patria, fondò la rivista Guanabara
assieme a Joaquim Manuel de Macedo. Nel 1863, durante un suo soggiorno in Portogallo, tradusse
alcune opere di Friedrich Schiller e di Heinrich Heine. Nel 1862, si recò in Europa per cure mediche.
Non ottenendo risultati fece ritorno in Brasile il 10 settembre 1864. Dal 1854 al 1858 fu mandato dal
ministero degli Esteri in Europa con un incarico culturale e diplomatico. Rientrato in patria, fondò la
rivista Guanabara assieme a Joaquim Manuel de Macedo. Nel 1863, durante un suo soggiorno in
Portogallo, tradusse alcune opere di Friedrich Schiller e di Heinrich Heine. Nel 1862, si recò in Europa
per cure mediche. Non ottenendo risultati fece ritorno in Brasile il 10 settembre 1864. Il 3 l 3
novembre, la nave francese "Ville de Boulogne", in cui si ovembre, la nave francese "Ville de
Boulogne", in cui si trovovava, fece naufragio vicino al faro di Itacolomi, sulla costa del Maranhão,
dove morì affogato.Intrava, fece naufragio vicino al faro di Itacolomi, sulla costa del Maranhão, dove
morì affogato.
Intraprese il mestiere di insegnante a Rio de Janeiro nelle materie di storia e latino, fino a quando gli
venne assegnata una ricerca sullo stato dell'istruzione pubblica nel suo Paese: questo incarico gli
consentì di viaggiare in lungo e in largo in Brasile, raggiungendo le province più lontane e quelle più
arretrate. Uomo dotato di una vasta preparazione culturale e umanistica, una volta avvicinatosi al
Romanticismo europeo, riuscì a realizzare una riuscitissima miscela tra la grande epica ed il dolce
lirismo. È considerato il maggior esponente del romanticismo brasiliano e della letteratura
tradizionale conosciuta con la definizione di Indianismo. Fu un appassionato ricercatore di linguaggi
e folclore dei nativi brasiliani.
Gonçalves Dias era figlio di padre portoghese e di madre cafuza, meticcia di negro e indio. Il poeta si
autodefiniva frutto dell’incontro fra le tre etnie costitutive del paese:
1. l’europea,
2. l’africana
3. l’india.
Per questa circostanza di carattere biografico, nonché per l’eccezionalità delle sue doti poetiche,
l’Indianismo in lui è intimo e viscerale: come nessun altro prima o dopo, scrive Manuel Bandeira, egli
ha saputo far vivere veramente l’indio nella letteratura brasiliana. Dias parla della fine del mondo, la
fine del suo mondo. Perché quando arrivano i portoghesi il suo mondo finisce, la loro casa e la loro
religione. È un autore che affronta anche il tema dell’amore, quasi sempre infelice, lo scontro dell’IO
incompreso, in dissidio con il suo mondo.
Dias non cresce con la madre perché il padre lo riconosce purché venga educato da lui stesso in un
contesto urbano però lui rimane sempre legato alla cultura degli Indios, qui il concetto di lugar de
fala è legittimo, lui si sente in lotta con la società dell’epoca perché veniva visto come un meticcio.
Antônio Gonçalves Dias (1823 –1864), è quindi un poeta, etnografo, professore, figlio di un
commerciante portoghese e di madre cafuza, cioè meticcia di negro e indio, fu dal padre allontanato
dalla madre a soli sei anni, quando questo si sposa con un’altra donna. Nonostante il trauma, il
bambino rivela precoci e spiccate doti per le lettere e più tardi si laurea in diritto all’Università di
Coimbra. Viaggia per lavoro in Europa e compie anche innumerevoli missioni scientifiche all’interno
del Brasile, in sperduti villaggi indigeni, per studiare diversi gruppi. Nel 1851 si innamora di una
ragazza, ma vede negata la sua richiesta di matrimonio per le sue origini meticce. La sua tendenza
alla malinconia, legata alle vicende personali, si accentua. Per capire la poesia di Gonçalves Dias non
si può non tenere presente la sua vita. La perdita dell’affetto materno durante l’infanzia, l’amore
impossibile in gioventù, l’infelice matrimonio di convenienza, i pregiudizi che ha dovuto subire in una
società classista, la salute precaria, tutto ciò entra nei suoi versi e vi lascia un segno importante. La
sua opera comprende poesia lirica ed epica, studi etnografici, storici, linguistici, rapporti scientifici,
traduzioni. Gonçalves Dias è uno dei poeti più letti, amati e studiati del Brasile. Anche le sue ricerche
etnografiche sono molto apprezzate dalla comunità scientifica.
Manuel Bandeira afferma che Dias era un autore coltissimo e conosce benissimo la lingua, è un
portoghese che non ha nulla a che fare con il portoghese europeo.
Dias usa la prima persona, lui può perché si sente frutto di tre popoli che hann o dato origine al
Brasile.
Quanto a José Alencar, che abbiamo visto assai critico nei confronti delle interpretazioni arbitrarie
dei costumi aborigeni, bisogna aggiungere che egli comunque non riesce a sfuggire alla generale
tendenza idealizzante dell’autoctono. Gli studiosi hanno spesso sottolineato che l’indio, nelle sue
opere, è una figura più leggendaria che storica. Tuttavia, è bene tener presente che Alencar non si
sofferma su questa figurazione fantasiosa, ma sviluppa e approfondisce la propria interpretazione
della cultura amerindia e la rispettiva trasposizione letteraria. Silviano Santiago rileva come le opere
indianiste di Alencar seguano uno schema ben preciso. L’autore cerca cioè di delineare e di
ricostruire poeticamente il percorso storico del Brasile, dal periodo pre-cabralino, in Ubirajara
[1874], passando attraverso il racconto dei primi incontri e scontri fra indios ed europei, in Iracema
[1865], fino ad arrivare al periodo coloniale, in cui vengono impiantate le fattorie e in cui si consolida
la società cattolico-patriarcale, in O Guarani.
Sono comunque due autori intimisti. (Dias e Alencar)
Gonçalves Dias, al contrario di molti suoi contemporanei, è un autentico poeta, uno dei grandi lirici
brasiliani. Qualsiasi tema scelga, egli riesce a raggiungere, con economia di mezzi e straordinario
equilibrio e armonia, un’intensità poetica quasi unica al suo tempo. Ciò avviene anche grazie alla sua
dimestichezza con la tradizione lirica di lingua portoghese che gli permette di servirsi di tutte le
risorse poetiche come un consumato artefice del verso. Anche per questo è un poeta molto amato
dai poeti.
L’indio, la sua cultura, la natura che lo circonda, i suoi sentimenti più intimi in Gonçalves Dias
diventano veramente poesia, sono invenzione di linguaggio, ritmo. E se anche la sua opera non è di
matrice ideologicamente o politicamente contestatrice, la sua capacità espressiva e la sua sensibilità
sono comunque in grado di concretizzare i sentimenti reali dell’indio, quali l’orgoglio, l’indignazione,
il dolore e la rabbia contro la distruzione del proprio universo. Più che nei romanzi di José de
Alencar, nei quali l’indio è un titano, una specie di superuomo, troviamo qui la figura a tutto tondo
dell’uomo, plausibile e spesso anche molto attuale. C’è l’eccezionalità del vissuto che nessuna
formulazione ideologica può completamente cancellare.
Per osservare fino a che punto l’autore si immedesimi con questo sfortunato abitante delle foreste
abbiamo scelto di fare una breve lettura di uno dei suoi testi più noti, Deprecação, che appartiene al
gruppo delle Poesias Americanas, pubblicate in Primeiros Cantos, nel 1846. Questo testo è
un’invocazione, un canto di preghiera e di supplica a Tupã, potente entità della mitologia Tupi che
controllava i tuoni e i fulmini e che i missionari identificarono con la figura del Dio cristiano.
“O Leito de Folhas Verdes” = Anche qui c’è una donna che aspetta l’amante.
Ijuca Pirama: è un testo che racconta degli Indios che lo catturano, lui si commuove quando parla
del padre e gli Indios lo liberano in quanto non era più degno di praticare il rituale di cannibalismo.
Quando torna il padre si vergogna del figlio. È un testo lirico narrativo di un Indio che viene rifiutato
da due gruppi, dal suo perché lo ha disonorato e dell’altro perché non è degno. C'è quindi l0idea del
meticcio, di colui che non è accettato da nessuno perché è una sintesi, e per questo viene
discriminato nonostante il brasile sia la sintesi di due culture. Dias esprime dolore, cercare
un’appartenenza, voleva essere accettato per quello che era un po' come il Brasile; infatti, verrà
ripreso dai modernisti i quali mettono il Brasile in un lettino da psicanalista. Dias fa si che questi
sentimenti di persona rifiutata riemergono nella letteratura successiva.
Anche la sua lingua è meticcia, il suo portoghese è pieno di termini particolari, ad esempio, chiama
l’opera “Poema Americano” anche se i portoghesi non usano americano in quanto anche loro fanno
parte dell'America.
Nell’opera di Gonçalves Dias troviamo i grandi temi del Romanticismo quali la natura, l’amore
impossibile, la patria, la religione. Le Poesie americane, forse la parte più nota della sua opera,
rappresentano un singolare momento in cui si focalizzano aspetti e valori autentici della vita
indigena. C’è un soffio di partecipazione vitale in questi testi e anche quando il poeta idealizza
l’autoctono non lo fa mai per “ignoranza della psicologia specifica dell’indio, ma in parte per
simpatia, in parte obbedendo ai canoni estetici del tempo; senza intaccare l’emozione che palpita,
bella e convincente”nei versi:
“Che viaggiasse attraverso il Rio Negro o abitasse a Parigi, o a Coimbra, o a Dresda, l’indio risiedeva
dentro di lui; nel suo sentimento, nella sua immaginazione poetica (...) gli stava in corpo, gli
alimentava la personalità. Era una forza segreta, in stato di legittima difesa. Il suo indio delle poesie
liriche o epiche era indio vero, e non indio da cartolina postale.”
Attraverso le parole lui continuava a difendersi.
Canção do Exílio di Gonçalves Dias
(scrive questa canzone quando era a studiare in Europa, a Coimbra e sentiva nostalgia di casa sua, è
una poesia molto chiara, prova saudade e ricorda la natura e la terra brasiliana.) P uò essere
considerata l'opera più emblematica che evidenzia la sensibilità di Gonçalves Dias e la sua carica
emotiva.
Minha terra tem palmeiras, (lui fa riferimento alle palme, in quanto il brasile veniva chiamato così)
Onde canta o Sabiá;
As aves, que aqui gorjeiam,
Não gorjeiam como lá.

Nosso Céu tem mais estrelas,


Nossas várzeas têm mais flores,
Nossos bosques têm mais vida,
Nossas vidas mais amores.

Em cismar, sozinho, à noite,


Mais prazer encontro eu lá;
Minha terra tem palmeiras,
Onde canta o Sabiá.

Minha terra tem primores,


Que tais não encontro eu cá;
Em cismar – sozinho, à noite –
Mais prazer encontro eu lá;
Minha terra tem palmeiras,
Onde canta o Sabiá.

Não permita Deus que eu morra


Sem que eu volte para lá;
Sem que desfrute os primores
Que não encontro por cá;
Sem qu’inda aviste as palmeiras,
Onde canta o Sabiá.
Questo desiderio è molto evidente nell'ultima strofa, in cui il poeta esprime il suo desiderio di
tornare:
"Che Dio non mi permetta di morire
Senza che io vi faccia ritorno".
È curioso notare che due versi della Canção do Exílio sono citati nell'Inno nazionale brasiliano,
composto nel 1822: "Nossos bosques têm mais vida, Nossa vida, (no teu bosio) mais amores".
L'esilio corrisponde a una situazione in cui una persona è lontana dal proprio Paese d'origine, dove
vorrebbe essere. L'esilio può essere forzato, quando qualcuno è costretto a lasciare il Paese, o per
libera scelta, quando la persona decide di andare altrove di sua volontà, come Gonçalves Dias che è
andato in Portogallo per studiare, sperimentando così un esilio fisico e geografico rispetto al Brasile.
La Canção do Exílio fu scritta nel primo momento del Romanticismo in Brasile, caratterizzato dal
sentimento di nazionalismo dovuto all'Indipendenza (1822) e, successivamente, alla rottura politica,
economica e sociale con il Portogallo. Così, la poesia di Gonçalves Dias esprime patriottismo,
nostalgia e apprezzamento per la patria del poeta, nonché una sorta di rifiuto delle caratteristiche
portoghesi espresse, implicitamente, come inferiori a quelle brasiliane.
Deprecação di Gonçalves Dias
(il ritmo è molto più lento) In Dias c’è una confusione tra l’io illirico e lui stesso. Anche se era un
intellettuale conosciuto lui si è sentito discriminato, in quanto non era né nero né bianco, veniva
definito come meticcio. Amelia la sua amata sarebbe stata disposta a scappare con lui, che non era
stato accettato dalla sua famiglia ma la cosa sarebbe stata disonorevole)
I brasiliani dovevano mediare quelli che loro erano veramente e le influenze europee.
Sono dodici quartine endecasillabi, rimati.
Tupã, ó Deus grande! cobriste o teu rosto (quando hanno iniziato ad evangelizzare gli Indios non
usavano il termine Dio ma Tupa perché era un elemento della sua cultura ma hanno fatto un errore
perché Tupa per gli Indio non era Dio ma lo era Maira che però non era come Dio, gli Indios non la
temevano, quando agli Indio viene spiegato che Dio poteva mandarli all’inferno sono rimasti
sconvolti, è stata una vero e proprio etimocidio, hanno ucciso un indentità)
Com denso velâmen de penas gentis;
E jazem teus filhos clamando vingança (per gli Indios la vendetta era importante ma Maira non si
vendicava, la giustizia veniva già fatta in terra, ma Tupa si)
Dos bens que lhes deste da perda infeliz! (questa poesia è un riferito a Dio, quasi come l’invocazione
che ha fatto gesù sulla croce) (Dias dice che Dio ha gli occhi coperti)

Tupã, ó Deus grande! teu rosto descobre: (dIas chiede Vendetta a Dio che acquisisce questa
caratteristica dalla cultura degli Indios)
Bastante sofremos com tua vingança! (ma lui come si spiega l’abbandono di Dio? Dice che loro sono
stati puniti anche se avevano già sofferto abbastanza)
Já lágrimas tristes choraram teus filhos, (l’Indio non sentirà mai la risposta ma rappresenta il
sentimento
Teus filhos que choram tão grande mudança.

Anhangá impiedoso nos trouxe de longe (Anhangà è uno spirito del male, è lui che ha portato gli
uomini europei)
Os homens que o raio manejam cruentos, (i fulmini sono le armi)
Que vivem sem pátria, que vagam sem tino (gli europei pensano la stessa cosa, qui si vede la
prospettiva degli Indios)
Trás do ouro correndo, voraces, sedentos. (dias chiede perché il Dio non agisca e concede all’Europei
di usurparli)
E a terra em que pisam, e os campos e os rios
Que assaltam, são nossos; tu és nosso Deus:
Por que lhes concedes tão alta pujança, (il Dio è quindi un dio dei perdenti non dei vincenti)
Se os raios de morte, que vibram, são teus?

Tupã, ó Deus grande! cobriste o teu rosto


Com denso velâmen de penas gentis;
E jazem teus filhos clamando vingança
Dos bens que lhes deste da perda infeliz.

Teus filhos valentes, temidos na guerra,


No albor da manhã quão fortes que os vi!
A morte pousava nas plumas da frecha,
No gume da maça, no arco tupi!

E hoje em que apenas a enchente do rio


Cem vezes hei visto crescer e baixar...
Já restam bem poucos dos teus, qu'inda possam (lui si trova vicino al fiume)
Dos seus, que já dormem, os ossos levar. (loro non possono neanche portare le ossa dei loro
antenati)

Teus filhos valentes causavam terror, (c’è un forte movimento nella poesia)
Teus filhos enchiam as bordas do mar, (c’è una metafora che si riferisce agli uomini che riempivano
le rive del mare)
As ondas coalhavam de estreitas igaras,
De frechas cobrindo os espaços do ar.

Já hoje não caçam nas matas frondosas


A corça ligeira, o trombudo coati... (coati è un animale tipico brasiliano)
A morte pousava nas plumas da frecha,
No gume da maça, no arco tupi! (Dias cerca una spiegazione sul perché Dio l’abbia abbandonato, lui
va dallo sciamano che dice che ci sarebbe stata una punizione da parte di Tupa, secondo gli Indios
non ci può essere un inferno, una punizione infinita)

O Piaga nos disse que breve seria,


A que nos infliges cruel punição;
E os teus inda vagam por serras, por vales,
Buscando um asilo por ínvio sertão!

Tupã, ó Deus grande! descobre o teu rosto:


Bastante sofremos com tua vingança!
Já lágrimas tristes choraram teus filhos,
Teus filhos que choram tão grande tardança.

Descobre o teu rosto, ressurjam os bravos,


Que eu vi combatendo no albor da manhã;
Conheçam-te os feros, confessem vencidos
Que és grande e te vingas, qu'és Deus, ó Tupã! (dice a Dio di farsi valere, si chiede perché non
risponde, è una disfatta cosmica perché per l’Indio Dio è tutto, l’acqua si mescola alle loro lacrime, è
una sensazione di impotenza, un’impotenza dell’uomo ma anche del Dio stesso, il loro Dio è
perdente, è una preghiera anche se lui sa che non si può fare nulla)
Quando Bandera dice che in Dia c’è una identità indigena forte lo dice perché chi legge entra in
quell’Io rappresentato, entriamo in quel noi, possiamo percepire questo.
Gli Indios non utilizzavano la letteratura in maniera scritta ma usavano l’oralità, usavano le
ceramiche, si dipingevano il corpo, c’è sempre un linguaggio artistico. Essendo nomadi non hanno
lasciato molto, la filosofia degli Indios era proprio quella di passare la terra, la foresta senza lasciare
tracce, senza distruggere niente.
Ainda uma Vez — Adeus (Gonçalves Dias)
Le poesie che segnano questo amore non corrisposto sono state scritte, in gran parte, grazie alla
passione frustrata per Ana Amélia F. do Vale. Gonçalves Dias, nato a Maranhão, figlio di un
portoghese e di una cafuza, a causa della sua origine (colore e razza), non poteva relazionarsi con il
suo amore. Essendo mulatta, i genitori di Ana Amélia non acconsentirono all'unione, essendo tutti
bianchi, dando origine alla grande sofferenza del poeta. I genitori di Ana Amélia la danno in sposa a
un ricco mercante portoghese. Sposa anche una ragazza appartenente a una ricca famiglia brasiliana.
Entrambi vivono infelici, a causa del loro amore frustrato.
Molti anni dopo, per caso, Ana Amélia e Gonçalves Dias si incontrano nuovamente per le strade di
Lisbona. Tutti quei sentimenti che dovevano essere addormentati tornano a galla. Sofferenza,
dolore, frustrazione! Dopo un saluto non ricambiato, Gonçalves Dias torna nel suo alloggio e scrive la
poesia che segue. Possiamo osservare che la donna è idealizzata, perfetta. L'amore che provava era
al di sopra di tutto e, in nome di questo amore, sarebbe stato capace di qualsiasi cosa.
Como eu te amo di Gonçalves Dias
Questa poesia è stata musicata con la Bossa nova, che è un tipo di musica brasiliana che non urla ma
sussurra. Venne interpretata da Chico e Tom. La struttura è endecasillaba ovvero in italiano 12 versi.
Como se ama o silêncio, a luz, o aroma, (è un amore visto come sconfinato, fa metafore con ciò che
c’è di più grande, che non ha misure, è un amore che fa soffrire, ma l’amore è anche sofferenza ma
ne vale la pena. In tutta l’opera di Dias c’è un aspetto autobiografico come in tutto il romanticismo,
non si capisce la distanza tra l’Io lirico e il poeta stesso) (lui incontra casualmente una donna vedova,
lui separato ma lui non vuole affrontare il fatto che se si mettono insieme lei dovrà rompere i
rapporti con la sua famiglia.)
O orvalho numa flor, nos céus a estrela, (esprime l’amore non come una metafora ma come una
comparazione infatti utilizza il como se)
No largo mar a sombra de uma vela,
Que lá na extrema do horizonte assoma;

Como se ama o clarão da branca lua,


Da noite na mudez os sons da flauta,
As canções saudosíssimas do nauta, (nauta significa naufrago, colui che si è perso nel mare)
Quando em mole vaivém a nau flutua,

Como se ama das aves o gemido, (la sua poesia è chiara, non sono comparazioni difficili, è elaborata
ma allo stesso tempo comprensibile)
Da noite as sombras e do dia as cores,
Um céu com luzes, um jardim com flores,
Um canto quase em lágrimas sumido; (usa vari elementi e sensi che si collegano tra di loro, lui la
ama come un canto (sinestesia) quasi in lacrime scomparse quindi c’è la vista e l’udito)

Como se ama o crepúsculo da aurora,


A mansa viração que o bosque ondeia,
O sussurro da fonte que serpeia,
Uma imagem risonha e sedutora;

Como se ama o calor e a luz querida,


A harmonia, o frescor, os sons, os céus,
Silêncio, e cores, e perfume, e vida,
Os pais e a pátria e a virtude e a Deus:

Assim eu te amo, assim; mais do que podem (è un amore ideale che però comporta anche un amore
fisico, è un amore che va oltre quello che può cantare un oratore)
Dizer-to os lábios meus, - mais do que vale
Cantar a voz do trovador cansada:
O que é belo, o que é justo, santo e grande
Amo em ti. - Por tudo quanto sofro, (l’amore è lei, ma lui per quanto soffra nel presente ha sofferto e
soffrirà nel futuro, lui resta de sofrer intende che lui intero soffrirà, il suo corpo intero soffrirà)
Por quanto já sofri, por quanto ainda
Me resta de sofrer, por tudo eu te amo.
O que espero, cobiço, almejo, ou temo
De ti, só de ti pende: oh! nunca saibas
Com quanto amor eu te amo, e de que fonte
Tão terna, quanto amarga o vou nutrindo!
Esta oculta paixão, que mal suspeitas,
Que não vês, não supões, nem te eu revelo,
Só pode no silêncio achar consolo,
Na dor aumento, intérprete nas lágrimas.

De mim não saberás como te adoro;


Não te direi jamais,
Se te amo, e como, e a quanto extremo chega
Esta paixão voraz!

Se andas, sou o eco dos teus passos;


Da tua voz, se falas;
o murmúrio saudoso que responde
Ao suspiro que exalas.

No odor dos teus perfumes te procuro,


Tuas pegadas sigo;
Velo teus dias, te acompanho sempre,
E não me vês contigo!

Oculto e ignorado me desvelo


Por ti, que me não vês;
Aliso o teu caminho, esparjo flores,
Onde pisam teus pés.
Mesmo lendo estes versos, que m'inspiras,
- "Não pensa em mim", dirás:
Imagina-o, se o podes, que os meus lábios
Não to dirão jamais!

Sim, eu te amo; porém nunca


Saberás do meu amor;
A minha canção singela
Traiçoeira não revela
O prêmio santo que anela
O sofrer do trovador!

Sim, eu te amo; porém nunca


Dos lábios meus saberás,
Que é fundo como a desgraça,
Que o pranto não adelgaça,
Leve, qual sombra que passa,
Ou como um sonho fugaz!

Aos meus lábios, aos meus olhos


Do silêncio imponho a lei;
Mas lá onde a dor se esquece,
Onde a luz nunca falece,
Onde o prazer sempre cresce,
Lá saberás se te amei!

E então dirás: Objeto


Fui de santo e puro amor:
A sua canção singela;
Tudo agora me revela;
Já sei o prêmio que anela
O sofrer do trovador.

"Amou-me como se ama a luz querida,


Como se ama o silêncio, os sons, os céus,
Qual se amam cores e perfume e vida,
Os pais e a pátria, e a virtude e a Deus!"
Dia non usa un linguaggio sorpassato ma al contrario arriva a tutti.
Eu te amo di Chico buarque e Tom jobim (canzone/poesia d’amore)
È una poesia cantata. È un dialogo fra la persona che parla con un’altra che le sta vicino, si stanno
lasciando, lui si chiede come farà a vivere senza di lei, c’è l’idea della fusione. C'è un Io e un Tu. Nella
poesia di Dia si presuppone che il TU quindi lei l’abbia già lasciata anche se è come se fosse sempre lì
con lei, in questa poesia c’è sempre questa separazione ma l’IO la esprime in un altro modo. Qui c’è
un amore quotidiano non immenso.
Ah, se já perdemos a noção da hora (loro insieme hanno perso la percezione del tempo tanto che è
dilatato, non è misurabile)
Se juntos já jogamos tudo fora
Me conta agora como hei de partir (è più colloquiale rispetto alla prima, le chiede come farà ad
andare via)
Se ao te conhecer, dei pra sonhar, fiz tantos desvarios
Rompi com o mundo, queimei meus navios (qui c’è una metafora, lui ha dato per scontato che
quando ha conosciyto lei era la fine del suo percorso, dà l’ in poi avrebbe camminato solo verso di
lei)
Me diz pra onde é que inda posso ir
Se nós, nas travessuras das noites eternas
Já confundimos tanto as nossas pernas (hanno confuso le loro gambe, non solo il suo cammino
finisce in lei e lui senza di lei non sa più camminare, c’è l’unione dei corpi)
Diz com que pernas eu devo seguir
Se entornaste a nossa sorte pelo chão
Se na bagunça do teu coração
Meu sangue errou de veia e se perdeu (il suo sangue si è confuso con il sangue di lei, talmente è
intenso l’amore, il suo corpo continua con il suo)
Como, se na desordem do armário embutido
Meu paletó enlaça o teu vestido (anche senza di lui i suoi vestiti abbracciano quelli di lei)
E o meu sapato inda pisa no teu (è un amore che include un unione non solo tra due persone ma tra
due corpi non si concepisce più la vita senza l’altro, c’è un lirismo che passa anche tra la sensualità)
Como, se nos amamos feito dois pagãos
Teus seios inda estão nas minhas mãos
Me explica com que cara eu vou sair
Não, acho que estás te fazendo de tonta
Te dei meus olhos pra tomares conta
Agora conta como hei de partir
Melodia Sentimental (Heitor Villa-Lobos poema: Dora Vasconcelos)
Acorda, vem ver a lua
Que dorme na noite escura
Que fulge tão bela e branca
Derramando doçura
Clara chama silente
Ardendo meu sonhar
As asas da noite que surgem
E correm no espaço profundo
Oh, doce amada, desperta
Vem dar teu calor ao luar
Quisera saber-te minha
Na hora serena e calma
A sombra confia ao vento
O limite da espera
Quando dentro da noite
Reclama o teu amor
Nel romanticismo si spezza il legame con il portogallo, con il mondo portoghese, per il Brasile
l'Europa era il Portogallo che controllava ogni sua relazione, dal 1822 (indipendenza) ma già da prima
quando la corte di Joao si trasferisce in Brasile nel 1810 già inizia l’influenza. I portoghesi sono coloro
che hanno usato violenza contro il Brasile, quindi, c’è la volontà di rompere culturalmente e
politicamente, questo comporta che ci siano altri rapporti con altri paesi europei. Ad esempio, la
Francia, tante informazioni sugli Indios erano nella letteratura francese. Il Brasile rifiuta il mito del
cattivo selvaggio ma viene assunto quello del buon selvaggio. In Dias c’è il risultato della
colonizzazione brasiliana.
Il modernismo nasce nel febbraio del 1922, dal 13 al 17 febbraio, è una settimana dell’arte
moderna che avviene a Sao Paolo anche se la capitale era a Rio de Janeiro. Pensando all’anniversario
dell’indipendenza si voleva fare un evento per fare capire quanto il paese fosse cambiato
specialmente a livello artistico.
Lui va a Parigi e entra in contatto con il futurismo facendo una riflessione sul fatto che l’arte in
Brasile era molto arretrata. L'organizzazione della società è anch’essa arrestata. Incontra Mario
d’endrago che viene da una famiglia povera nonostante fosse estremamente colto. Entrambi
coinvolgono altri giovani, artisti, pittori, scrittori e intellettuali. Decidono di instituire una settimana
ma non solo limitata alla letteratura ma a tutta l’arte, decidono di affittare il teatro municipale di
Sao paolo. Per gli intellettuali fu una vetrina incredibile. Potevano fare concerti o presentare le
novità letterarie, musicali e della pittura. Il positivismo è una corrente filosofica che influisce la
società, dialoga con la scienza e l’industria, vede l’uomo come qualcuno che cammina verso tutte le
risoluzioni dei problemi umani, c’è molta fiducia nella scienza, si pensa che si possa dominare la
salute. La fiducia però non dura molto, gli intellettuali iniziano a capire che c’è una parte dell’essere
umano non si può gestire. Questo porterà al simbolismo in cui la razionalità non basta più. Gli
intellettuali iniziano a mettere in dubbio l’ida di progresso.
Conferenza Andreia Guerini
Modernismo: cosmopolitismo e nazionalismo
Il modernismo brasiliano è stato un movimento culturale e artistico che ha avuto un grande impatto
sulla cultura nazionale, specialmente nelle aree della letteratura e delle arti plastiche. riformula
profondamente il modo di pensare per creare e affrontare la società, influenzando le generazioni
future.
Il modernismo brasiliano è emerso nel XX secolo e ha portato ad un flusso artistico e culturale che ha
rivoluzionato la scena nazionale.
Il movimento arriva nel territorio brasiliano attraverso l’eco dell’avanguardia europea, come il
futurismo, il cubismo e il Surrealismo. Sfida ed è contrario alle tradizioni e ai modelli delle
generazioni precedenti, il movimento cerca libertà e innovazione.
Così come in altre parti del mondo, il modernismo brasiliano cercava nuove idee e forme. Da una
parte la critica fu feroce contro i modernisti, cercando di insinuare che fossero pazzi, a causa delle
loro proposte e concezioni artistiche. Allo stesso tempo, ha fortemente influenzato la letteratura,
arte e cultura. Caratteristiche del modernismo brasiliano:
 Rottura con la tradizione
Contrariamente alle scuole e alle tradizioni precedenti, che conservano modelli, tecniche e temi
ristretti per la creazione artistica, il modernismo vuole opporsi alle regole. In letteratura, ad esempio,
i modernisti abbandonano le forme fisse e gli schemi ritmici.
 Sperimentalismo
Con influenze di correnti dall'avanguardia, alla ricerca del modernismo altri modi per esplorare la
mente umana, altre metodologie e pratiche da conoscere e coltivare.
 Ricerca e ricostruzione dell'identità
Il modernismo è stato anche motore di ricerca e ricostruzione di un'identità nazionale, depositaria
della dominazione portoghese e mera riproduzione di influenze europee.
 Rivalutazione della cultura e del patrimonio indigeno
Nella ricerca di identità, il modernismo brasiliano, si concentra su qualcosa che è stato spento e
sminuito: la vasta cultura indigena.
Contesto storico: l'origine del modernismo in Brasile: Sempre legato al contesto sociale e politico
dell'epoca, ovvero il modernismo brasiliano, nasce all'indomani della Prima guerra mondiale,
avvenuta tra gli anni 1914 e 1918.
Come nasce il Modernismo?
Oppure il modernismo si è configurato come movimento culturale e artistico in un periodo
caratterizzato da grandi conflitti e cambiamenti: ovvero il periodo temporaneo che separò la Prima
Guerra Mondiale (1914 - 1918) e la Seconda (1939 - 1945). Questo tempo è stato definito anche dal
rapido processo di industrializzazione, che si traduce nella ricerca del progresso e dell'innovazione.
Nel 1890, Siegfried Bing aprì un negozio (esposizione) Art Nouveau, a Parigi, che raccoglieva pezzi
che venivano prodotti in quel momento e seguivano una certa estetica. In Europa, il movimento si
stava moltiplicando in innumerevoli correnti d'avanguardia come il Surrealismo, il Futurismo o
l'Espressionismo, che riecheggiano nel mondo intero
Il Modernismo inasprì la controversia sul problema della dipendenza culturale del paese, spingendo
gli scrittori a rivedere ancora più radicalmente il proprio presente e passato e a denunciare
l’alienazione vigente in molti settori della vita nazionale.
La questione è antica, come si è visto. Era stata sollevata e discussa dai romantici, ma la controversia
era lungi dall’essere risolta. In realtà è con il Modernismo che si consoliderà definitivamente
l’emancipazione delle lettere e delle arti brasiliane. E il momento culminante, il punto di
congiunzione di tutte le discussioni e polemiche sull’argomento fu la Settimana di Arte Moderna: in
essa confluirono e si scontrarono le posizioni estreme del dibattito. Il Modernismo segna in questo
senso una svolta. Si può affermare che esiste un modo di concepire il fenomeno estetico-letterario
nazionale anteriore e uno posteriore a Mário de Andrade e Oswald de Andrade. Partire da questa
avanguardia è percorrere una strada obbligata per capire la letteratura brasiliana contemporanea: fu
con questo movimento, e con le sue conquiste, che essa acquisì un’anima nazionale e si trasformò in
strumento di espressione della cultura sincretica del paese. E se è vero che il Modernismo segnò un
periodo di eccezionale apertura a tutte le avanguardie europee, esso nondimeno sottolineò
l’urgenza di ritrovare un Brasile incontaminato da ogni influenza.
C’è dunque desiderio di aprirsi al mondo, c’è massimo cosmopolitismo, ma c’è anche rifiuto della
passività e del servilismo con il quale molti intellettuali avevano assunto e fatto propri modelli
culturali di importazione. Troviamo nel Modernismo questa doppia vocazione, questa polifonia,
l’incontro-scontro di voci che finalmente si collocano alla pari: apertura all’universale, a tutte le
correnti che testimoniavano la crisi dell’uomo in un mondo che si industrializzava e, allo stesso
tempo, mo- mento privilegiato di riflessione sui problemi di un paese con intere regioni ancora
emarginate.
La settimana di Arte Moderna:
La Settimana di Arte Moderna si svolse a San Paolo dall’11 al 18 febbraio 1922, ma il clima di
rinnovamento culturale entro il quale maturò l’idea di un tale evento era tangibile fin dall’inizio del
secolo.
Autori come Lima Barreto [1881-1922], Euclides da Cunha [1866-1909] e Monteiro Lobato [1882-
1948] gettarono le basi, ancor prima dei modernisti, del processo di presa di coscienza delle tensioni
fra le strutture arcaiche della società e i suoi settori in rapida trasformazione e sviluppo. (In quel
momento Oswald de Andrade dichiarò: “Non sappiamo cosa vogliamo. Ma sappiamo cosa non
vogliamo”)
La rottura con l’accademismo era inevitabile, ma fu il Modernismo a dare il colpo di grazia,
cosciente e sistematico, alle vecchie strutture mentali ancora dominanti nella società. Nella prima
fase dello scontro con le forze tradizionaliste prevalse la linea eclettica e internazionalista nel
Modernismo, tanto che il primo organo del movimento, la rivista Klaxon, lanciata a San Paolo dopo
la Semana del ‘22, accettò la collaborazione di autori nazionali e internazionali ed ebbe
rappresentanti in Svizzera, Francia e Belgio. Il clima era di totale disponibilità a tutte le correnti di
pensiero e a tutti gli «ismi» europei che venivano citati, glossati, contestati, talvolta anche in modo
contraddittorio.
Ma proprio questa eccezionale (per alcuni anche superficiale) adesione alle avanguardie provoca le
prime crisi di coscienza fra i protagonisti del movimento. Mário de Andrade già nel 1926, in una
lettera al folclorista Luís da Câmara Cascudo [1898-1986], afferma: «Credo che anch’io abbia avuto
una parte di colpa nell’ignorare la mia gente, ho vissuto tanto della mia vita in Europa!… In ogni
caso, ho avuto il coraggio e la franchezza di pentirmi e di cominciare in tempo la mia vita
autentica» .
Sebbene con spirito e maturità diversi, i modernisti si riscoprono a perpetuare la consuetudine
secolare di importare mode letterarie e correnti di pensiero con i quali interpretare la propria
realtà. Non sfuggivano, nonostante l’intenzione di dare un carattere nazionale alla propria
letteratura, al «destino» di nazione periferica, che viveva nella convinzione atavica che tutto ciò che
arrivasse dai centri più avanzati fosse in qualche modo migliore, o più sofisticato, della produzione
locale.

Nel catalogo della settimana di arte moderna è rappresentata da un albero con le radici proprio a
rappresentare una rinascita che parte dalla storia brasiliana e dal Brasile stesso. Nel manifesto si può
vedere l’avviso di un concerto nell’ultimo giorno.
Artitas que se apresentaram na Semana de Arte Moderna Anita Malfatti (1889-1964) - pintora
Emiliano Di Cavalcanti (1897-1976) - pintor (pittore grandissimo,
Menotti Del Picchia (1892-1988) - escritor
Victor Brecheret (1894-1955) - escultor
Mário de Andrade (1893-1945) - escritor (ricercatore metodico, grazie a lui abbiamo delle opere
importantissime)
Oswald de Andrade (1890-1954) - escritor
Graça Aranha (1898-1931) – escritor (è anziano, già un autore affermato, lui aderisce alla settimana,
veniva da rio de janeiro, capitale politica mentre Sao Paolo è la capitale economica, lui sis forza e ha
intenzione di capire i giovani ma poi nelle sue opere non ci sono nuove idee)
Quadro A boba di Anita Malfatti, di stampo impressionista. (che poi si trasformerà in
espressionismo) Gli artisti sono scienziati dell’anima e della società, percepiscono dei fenomeni
prima che essi avvengano.
Quadri Tarsilia do Amaral che non partecipa alla settimana dell’arte moderna in quanto è in Europa,
si nota nelle sue opere il cubismo, la concretezza degli elementi che sono sia brasiliani che europee.
Tra gli aspetti brasiliani ci sono sicuramente i colori ma anche la vegetazione tipica tropicale, si vede
in oltre una donna con la pelle scura che pesca. Lei rappresenta anche paesaggi rurali, favelas tipiche
brasiliane.
De Cavalcanti introduce la figura del meticcio, la donna brasiliana ed il suo corpo che è diverso da
quello europeo, più prosperoso con capelli scuri. Nel quadro Samba rappresenta una chitarra, la
musica samba era originariamente la musica dei bassi fondi ma De Cavalcanti già nel 1928 lo
rappresenta.
Heitor Villa Lobos era un musicista, molto vivace, suo padre era un musicista che però muore a 12
anni, la madre fa lavori umili per sostenere entrambi. Ha una formazione classica ma con un'anima
eclettica, lui cercherà di unire i due mondi.
Choro o Chorinho è un genere musicale nato tra l’incrocio tra musica europea, africana e indigena,
significa pianto e il Samba nasce in questo contesto e anche la Bossa nova.
Anche l’arte in tutte le sue forme deve quindi mettere le radici proprio come nella locandina di De
cavalcanti.
Luar= chiaro di luna. Marulhar= rumore del mare
Emicida ha fatto il Film Amarelo, fa un gioco di parole con Amar e elo che significa legame, dove fa
un chiaro riferimento alla settimana dell’arte moderna. Nel 2007 gli artisti della periferia di Sao Paolo
hanno fatto un manifesto riprendendo l’idea dell’albero che se nella prima settimana era piccolo e
con colo le radici ora è gande e maestoso e soprattutto di colore nero proprio a ricordare l’impatto
della cultura africana nel Brasile.
L'elemento di scandalo era previsto durante la settimana di arte moderna perché portavano novità
dirompenti, il movimento del modernismo era considerato artistico-letterario proprio perché
pensavano che l’arte brasiliana fosse antiquata, vecchia, anche per quanto riguarda la lingua
portoghese (Olavo bilac uno dei massimi poeti brasiliani usa un linguaggio distante da quella parlata)
ad esempio a teatro si usava la lingua portoghese europea mentre nella vita quotidiana si usava la
lingua brasiliana.
Alcantara Machado non ha partecipato alla settimana di arte moderna, ma partecipa comunque alla
corrente del modernismo chiamata antropofagia. Dopo quella settimana, si continuerà questa
evoluzione che è partita da una ruptura. Ci saranno molte correnti come il Verde-amarelismo,
manifesto regionalista.
Il modernismo è uno spartiacque per il Brasile, c’è un prima e un dopo, prima c’era una letteratura
con temi che vengono trattati anche nel modernismo ma non c’era stato un momento radicale. Il
distruggere non è il futurismo anche se c’è un rapporto problematico, l’arte deve essere svincolata
dal potere, dai partiti, l’artista deve essere libero. Il modernismo è un momento di rottura ovvero
distruggere nel senso di volere un'arte diversa, il punto di svolta è la settimana di arte moderna. Un
primo sviluppo è il riconoscimento nella poesia nella letteratura e nel teatro di una variante e
grammatica brasiliana.
In termini generali, Mário de Andrade ha presentato e sintetizzato l'eredità del 1922: la
disgregazione del passato artistico; l'uso delle avanguardie estetiche europee come forma di
aggiornamento intellettuale; il diritto permanente alla creazione estetica; e lo sviluppo di una
coscienza veramente nazionale.
Mario de Andrade (1893- 1945) Fece parte negli anni Venti del gruppo dei giovani modernisti, e fu
uno degli animatori della Semana de Arte Moderna a San Paolo nel 1922. Nazionalista, ma venato di
influenze socialiste e terzomondiste, fu amico di Giuseppe Ungaretti, che conobbe durante il
soggiorno brasiliano di quest'ultimo. Ha scritto anche saggi di musicologia, incentrati sul folclore.
Mário de andrade – O poeta come amendoim (1924)
Lui usa già i versi liberi, molto lunghi.
Noites pesadas de cheiros e calores amontoados…
Foi o sol que por todo o sítio imenso do Brasil
Andou marcando de moreno os brasileiros.
Estou pensando nos tempos de antes de eu nascer…
A noite era pra descansar. As gargalhadas brancas dos mulatos…
Silêncio! O Imperador medita os seus versinhos.
Os Caramurus conspiram na sombra das mangueiras ovais.
Só o murmurejo dos cre’m-deus-padres irmanava os homens de meu país…
Duma feita os canhamboras perceberam que não tinha mais escravos,
Por causa disso muita virgem-do-rosário se perdeu…
Porém o desastre verdadeiro foi embonecar esta República temporã.
A gente inda não sabia se governar…
Progredir, progredimos um tiquinho
Que o progresso também é uma fatalidade…
Será o que Nosso Senhor quiser!…
Estou com desejos de desastres…
Com desejos do Amazonas e dos ventos muriçocas
Se encostando na canjerana dos batentes…
Tenho desejos de violas e solidões sem sentido
Tenho desejos de gemer e de morrer.
Brasil… (il modernismo è nazionalismo, in quanto c’è il desiderio di diventare una nazione, non
c’entra con il nazionalismo fascista, qui si definisce cosa sia essere brasiliano)
Mastigado na gostosura quente do amendoim… (Si riferisce alle noccioline tipiche brasiliane,
originarie degli Indios che la coltivavano) (il Brasile è un sapore come le calde e croccanti noccioline)
Falado numa língua curumim (tutto quello considerato errore nella lingua europea per i brasiliani
non lo sono, rivendicano la loro lingua che lui definisce incerta)
De palavras incertas num remelexo melado melancólico… (diventa melancolico in quanto si ricorda
della storia dello zucchero che veniva prodotto dagli schiavi, non si può senitre il sapore o ricordarsi
della storia senza essere melancolici)
Saem lentas frescas trituradas pelos meus dentes bons… (le parole escono fresche e lente, è come
se fossero masticate, il che si ricollega all’antropofagia. Gli schiavi venivano scelto in base ai denti,
infatti, lui dice che essendo meticci ha i denti buoni e più grandi rispetto agli europei come i suoi
antenati)
Molham meus beiços que dão beijos alastrados (le labbra si allargano e baciano tutto il mondo, baci
fisici e non)
E depois remurmuram sem malícia as rezas bem nascidas…

Brasil amado não porque seja minha pátria,


Pátria é acaso de migrações e do pão-nosso onde Deus der…
Brasil que eu amo porque é o ritmo do meu braço aventuroso, (il modo in cui lavora)
O gosto dos meus descansos,
O balanço das minhas cantigas amores e danças. (il poeta descrive qualcuno che è sull’amaca come
se fosse una danza, con il ritmo dei canti, al ritmo del modo in cui lui ama e danza. Si ama e danza e
canta con il solito ritmo)
Brasil que eu sou porque é a minha expressão muito engraçada, (è il suo modo di muoversi
liberamente)
Porque é o meu sentimento pachorrento, (Parte del genocidio degli Indios e l’idea della pigrizia dello
schiavo, lui usa il termine pachorrento ovvero pigrizia e la rivendica, il modernismo è proprio la
rivendicazione dei concetti che prima erano negati, ad esempio la parola nero. C'è un rovesciamento
di significato)
Porque é o meu jeito de ganhar dinheiro, de comer e de dormir. (lui vuole essere una persona con
dignità, lui a casa sua si sente degno)
La definizione di nazionalismo è quindi diversa da patriottismo, tutti popoli venuti in Brasile sono
parte della storia, l’Indios è parte della storia, è un nazionalismo inclusivo. il modernismo è radicale
in quanto è un momento in cui si definiscono in modo preciso le cose, ovvero creando una
grammatica e una lingua precisa. Il brasile come paese colonizzato doveva per forza cambiare il
concetto di inferiorità attribuita dagli europei.
Una lingua è un modo di pensare quindi è importate che la lingua rifletta l’idea di Brasile, il quale è il
risultato in un percorso di rivendicazione.
Visone film : The mission
Ispirato al libro omonimo di Robert Oxon Bolt, The Mission è ambientato nel Sud America, 1750.
Padre Gabriel (Jeremy Irons) un gesuita spagnolo, entra nella foresta pluviale e scala le spettacolari
Cascate dell’Iguazù, determinato a convertire al cristianesimo la comunità dei Guaraní. Inizialmente
gli indigeni si mostrano ostili, ma quando padre Gabriel suona il suo oboe, ne rimangono conquistati
e lo accolgono tra loro. In breve tempo il gesuita crea la missione di San Carlos, una comunità in cui
provvede alla cura materiale e spirituale dei Guaraní, al fine di strapparli alla schiavitù.
Il mercante di schiavi Rodrigo Mendoza (Robert De Niro) alimenta la tratta degli indigeni vendendoli
alle piantagioni vicine. Un uomo iroso, che si macchia di un grave omiciidio, quello del suo
fratellastro Felipe. Un giorno, dopo aver trovato la fidanzata al letto con il suo fratellastro, Mendoza
lo uccide in duello. La fine diventa l’inizio della vita. Tormentato dalla sua coscienza trova conforto in
padre Gabriel. Mendoza decide di accompagnare i gesuiti fino alla missione, trascinando per
penitenza un pesante fardello contenente la sua armatura e la sua spada. Giunto tra i Guaraní, viene
accolto con compassione dagli indigeni, nonostante essi abbiano riconosciuto il loro persecutore.
Commosso, Mendoza comincia ad aiutare la missione. Col tempo, prende i voti e diventa un gesuita
sotto padre Gabriel.
Poco tempo dopo l’emissario papale, il cardinale gesuita Altamirano, giunge a comunicare che il
territorio in cui si trovano le missioni è passato dalla giurisdizione spagnola a quella portoghese:
ordina quindi la chiusura della missione di San Carlos e invita le tribù dei Guaraní ad abbandonare il
posto. Padre Gabriel e Mendoza, pur sotto la minaccia della scomunica, dichiarano la loro intenzione
di difendere la missione.
Il modernismo brasiliano:
Nelle opere che abbiamo visto c’è l’idea di creare una variante brasiliana, De andrade gira per il
brasile, e ricerca e assiste non solo alla musica tipica brasiliana ma anche riti religiosi, danze ecc..
Parte di questo materiale lo fa confluire in alcuni suoi romanzi dove fonda vari personaggi del
folclore brasiliano, personaggi che cambiano colore, prima bianco poi nero e poi Indios. De Andrare
essendo estremamente preciso si concentra sulla grammatica brasiliana che userà nelle sue poesie.
Senza di lui non avremo l’opera di Bandera che in alcune poesie lui stesso evidenzia l’influenza
enorme che ha avuto De Andrade tanto da non volerle pubblicare ma De Andrare sarà proprio quello
che lo convincerà a pubblicarle per le peculiarità di Bandera che ci aveva inserito.
La settimana di arte moderna ha messo in moto qualcosa nella società brasiliana, una forte voglia di
cambiamento. Già da prima della settimana di storia moderna c’erano autori che possiamo
considerare modernisti ma che ufficialmente sono pre-modernisti in quanto ufficialmente si fa
partire il modernismo dal 1922, quando si iniziano ad adottare elementi diversi come la fusione di
generi. L'elemento di aggiornamento e attualizzazione è molto importante ma anche adattarsi al
nuovo ritmo di vita della città che è più rapida.
Prima c’era l’idea che il poeta dovesse parlare di cose grandi, nobili ma in questo periodo iniziano a
parlare anche di cose quotidiane.
Manuel Bandera che insegna letteratura, ha una vita all’insegna della precarietà, era una persona
sola, viveva in camere d’affitto e sceglie di vivere in quartieri popolari di Rio de Janeiro. Lui lasciava
aperte le finestre e ascolta e poi inserisce quello che vede e sente nelle sue poesie, raccoglie voci e
racconti, il portoghese brasiliano diventa affettivo in effetti la cultura brasiliana da valore
all’affettività. C'è l’elemento di rendere nobile il linguaggio povero, si può parlare di una ciabatta e
di una stella allo stesso modo dipende da come la vedi, un attimo di vita che sembra banale in realtà
è irripetibile e si può fermare nella poesia.
Questi tre autori creano un portoghese colto brasiliano, c’era una lingua parlata ma la letteratura
prima del modernismo era scritta in portoghese europeo quindi si parlava in un modo ma si scriveva
in un altro. Altri elementi che non si notano subito vengono esposti da un gruppo di intellettuali che
continuano ad incontrarsi anche dopo la settimana di arte moderna, nelle opere che faranno dopo si
notano le differenze tra gli autori, saranno diversità anche politiche.
C'è l’dea del Retrato ovvero fotografia, ma non dove stanno tutti ferma ma la fotografia di un paese.
C'è un rapporto critico sia per le cose che vengono da fuori sia per quanto riguarda la stessa società
portoghese, i brasiliani dovrebbero essere fieri e orgogliosi di essere neri o meticci. Diventa una
questione ideologica con il manifesto verde- amarelo. Due gruppi si creano, uno è quello di De
Andrade che scriverà il loro manifesto dell’antropofagia e da poesia Pao-brasil.
Carlos Drummond de Andrade [1902-1987] affermerà: “Sarà necessario dire che abbiamo un
ideale? Esso si poggia sul più sincero e deciso nazionalismo. L’affermazione di questo nazionalismo
costituisce il maggior orgoglio della nostra generazione, che non pratica la xenofobia né lo
sciovinismo e che, lontana dal ripudiare le correnti civilizzatrici europee, intende esporre sempre più il
Brasile al loro influsso, senza perdere la nostra originalità nazionale”.
A partire della metà degli anni ‘20, l’interesse dei protagonisti del Modernismo si sposta dunque
verso la realtà interna del Brasile. La questione del nazionalismo (prima solo letterario, poi culturale
in senso lato) diventa allora nodo centrale. Le riviste pubblicate dopo Klaxon, di impostazioni e
tendenze varie come Estética [1925], A Revista [1925], Terra Roxa e Outras Terras [1926], Verde
[1927], Revista de Antropofagia [1928], condividono questo diverso orientamento e il mutato clima
spirituale. All’estetismo esasperato della Settimana di Arte Moderna, subentra la preoccupazione di
reintegrare la letteratura nella realtà, di calarsi a fondo in quel Brasile di cui tanto si parlava ma che
poco si conosceva. Senza rinnegare i postulati del Modernismo, i suoi protagonisti rifiutano la
gratuità del fatto estetico in funzione di un più accentuato compromesso sociale.
Sono le riviste che fanno capire le diverse opinioni, è il modo in cui comunicano con la società.
Intanto le proposte del movimento si diffondono in tutto il paese, decentralizzando la produzione
culturale che, fino all’inizio del secolo, era stata appannaggio quasi esclusivo delle città del centro-
sud. Scrittori e artisti riscoprono affascinati la provincia emarginata e le zone rurali, riscoprono la
sconfinata foresta amazzonica, il grande sertão dell’altopiano centrale e la regione del nord-est,
desolatamente legata ai cicli della siccità. E, soprattutto, riscoprono gli uomini che vivono in quel
Brasile misterioso e sconosciuto, i cui ritmi di vita, talvolta durissimi, non venivano nemmeno scalfiti
da tutto quel gran parlare di rinnova mento letterario. Questa presa di contatto diretto con la realtà
impone ai protagonisti del Modernismo la ricerca di un diverso modo di rapportarsi a essa ed
evidenzia l’urgenza di una svolta nel movimento. In tal senso, il 1924 è emblematico.
Oswald de Andrade pubblica nel Correio da Manhã il «Manifesto Pau-Brasil», nel quale afferma: «Il
lavoro della generazione futurista è stato ciclopico. Regolare l’orologio impero della letteratura
nazionale. Realizzata questa tappa, il problema è un altro. Essere regionali e puri nella nostra epoca»
In questo testo essenziale viene delineata la trasformazione che subirà il Modernismo negli anni
successivi. Ormai la prima tappa, il lavoro «ciclopico» della generazione «futurista» (si legga
modernista), secondo Oswald de Andrade era concluso. A proposito di questa confusione fra
Futurismo e Modernismo, che il brano citato rispecchia, si noti che a generarla furono soprattutto gli
oppositori del Modernismo che utilizzavano indifferentemente i due termini con senso
polemicamente spregiativo. Ma il Futurismo, come movimento estetico-letterario - rileva Wilson
Martins -, si può dire sia esistito solo nel breve periodo che va dal 1917 al 1922, ossia fra
l’esposizione della pittrice Anita Malfatti [1889-1964] e la Settimana di Arte Moderna9. Discorda da
tale periodizzazione la studiosa Annateresa Fabris poiché, afferma, lo spirito di contestazione e il
dibattito attorno al significato della modernità, che accomuna futuristi e modernisti, è stato basilare
sino alla fine degli anni ‘20.
I modernisti, comunque, si opposero in modo ostensivo al Futurismo, sebbene riconoscessero alcuni
punti di contatto con le tesi marinettiane. È nota la posizione di Mário de Andrade a questo
proposito: «Non sono futurista (di Martinetti). L’ho detto / e lo ripeto»11. La visita che Marinetti
fece in Brasile nel 192612 rafforza ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, le linee divergenti fra tesi
futuriste e gli obiettivi dei giovani modernisti, impegnati sì a dialogare con quanto di più libero e
innovativo potesse offrire l’Europa, ma inclini a aderire solo a ciò che si dimostrasse compatibile con
la propria realtà. Tuttavia, la diatriba fra Marinetti e i modernisti interessa qui solo marginalmente.
Ci preme invece sottolineare che dinnanzi alla furia dei rinnovatori del ‘22, si sgretola miseramente
tutta l’impalcatura della letteratura parnassiana nazionale. Gli intellettuali brasiliani avevano
incorporato le conquiste più avanzate dell’avanguardia europea, si erano messi al passo coi tempi.
Fu, paradossalmente, proprio questa spasmodica attualizzazione delle elite ad evidenziare ancora
più nettamente la schizofrenia che si era via via instaurata fra le opere di questi intellettuali e la
realtà contraddittoria e problematica del paese. È ancora Oswald de Andrade a mettere il dito sulla
piaga: «Abbiamo una base doppia e presente - la foresta e la scuola. La razza credula e dualista e la
geometria, l’algebra e la chimica subito dopo il biberon e il tè di finocchio». Come armonizzare tutto
ciò? Come far convivere realtà così contrapposte? E come, d’altronde, evitare l’alienazione che
aveva caratterizzato nel passato, e spesso anche nel presente, il comportamento degli intellettuali
brasiliani?
Libro: Casa grande e senzala di Gilberto freyre nel quale crea un nuovo modo di fare sociologia, lui
viaggia nel brasile per recuperare la storia del paese, cerca lettere anche private, diari, documenti
contabili. Questo libro attualmente è un pò datato e sono stati fatti tanti passi in più ma all’epoca fu
innovativo. Il libro è diviso in 3 parti, in una parla del teatro nero dell’Indios dove viene fuori che la
società brasiliana è meticcia, anche l’alimentazione si basa su quello che coltivano gli Indios. Anche il
rapporto con la religiosità, anche se non si vedono e non si provano le cose religiose e spirituali sono
vere. Assumere l’elemento di bellezza e peculiarità della cultura brasiliana aiuta a scardinare l’idea di
superiorità degli europei.
Ognuno aveva naturalmente una sua ricetta. I modernisti della prima ora, apparentemente coesi, si
erano irradiati in una galassia di gruppi e correnti contrapposti, irriverenti, vitali o talvolta fin troppo
convenzionali: gruppo Festa, gruppo Verde-amarelo, gruppo dell’Antropofagia, gruppo Anta, gruppo
Regionalista del Nord-est, senza contare i tanti nuclei attivi nelle province, con pubblicazioni più o
meno polemiche che provocavano scalpore in tutto il paese.
 Manifesto da Poesia Pau-Brasil:
Il Manifesto da Poesia Pau-Brasil è un manifesto scritto dallo scrittore brasiliano Oswald de Andrade,
che presenta le nozioni estetiche che avrebbero guidato la sua opera poetica e quella di altri
modernisti brasiliani, influenzando anche la scrittura di poeti stranieri, come il francese Blaise
Cendrars.
Pubblicato dal Correio da Manhã, il 18 marzo 1924, è dello stesso anno del Manifesto surrealista,
dello scrittore André Breton. Il Manifesto (così come il libro ad esso collegato, Pau-Brasil, terminato
nel 1924) dimostra che il Brasile seguiva pienamente il movimento delle avanguardie europee. Il
testo era, in quel momento, una forma di espressione post-portoghese pienamente e
autonomamente affermata. De Andrade difende una poesia ingenua, ma ingenua nel senso di non
contaminata da regole precostituite del pensare e del fare arte, fondamentalmente primitivista, pur
aggiungendo a questa forma di scrittura (associata al Surrealismo solo nella volontà di rivelare il
primitivo nell'essere umano) altre caratteristiche ispirate alla poesia europea d'avanguardia, come la
sintesi espressa nell'opera dei cubisti e degli espressionisti.
Il manifesto è stato elaborato dall'autore con un tono parodistico e celebrativo, qualcosa di simile a
una prosa poetica basata su aforismi, in quello che nelle avanguardie dell'epoca veniva chiamato
linguaggio telegrafico, influenzato dal futurismo e dal cubismo. Oswald esprime il desiderio che il
Brasile diventi una cultura da esportazione, come l'albero del legno di Brasile. Vuole anche che la
sua poesia sia un prodotto culturale che non deve nulla alla cultura europea e che anzi può
arrivare a influenzarla.
L'autore cerca di realizzare un documento poetico originale e si contrappone alle forme d'arte
dell'epoca in Brasile, ancora completamente dominate dallo spirito di imitazione, proponendo una
poesia rivoluzionaria, anche se non si tratta di rivoluzioni politiche, come potrebbe sembrare a chi
ha letto il (successivo) Manifesto Antropófago, più vicino al surrealismo impegnato di André Breton.
Si potrebbe considerare questo manifesto come la manifestazione di un'avanguardia tropicalista o
primitivista.
Si può dire che il poema è organizzato in unità e riferimenti storici. *Recupera il passato, spiega il
presente e prepara il futuro. Può essere semplicemente un "Io-lirico" che vede tutto dall'alto, come
una telecamera che apre l'angolo.
Oswald si sofferma, in tutto il manifesto, sulla necessità che i brasiliani si rivolgano alla realtà del
Paese molto più intensamente di quanto non si faccia in realtà, vedendo così il Brasile da "dentro
a fuori". Era completamente contrario a una certa visione stereotipata e prevenuta tipica delle belle
arti europee che hanno dominato il Brasile per molto tempo. Questo manifesto presenta anche una
proposta di letteratura legata alla realtà, da una visione concreta, che permette di prendere
coscienza di sé e di "riscoprire il Brasile".
Si può dire che il Manifesto della poesia di Pau-Brasil, così importante per la poesia modernista, pur
essendo essenzialmente estetico, portava nel suo nucleo quello che sarebbe stato l'antropofagismo,
anch'esso creato da Oswald. La poesia pau-brasiliana rivendicava una lingua naturale, avversa al
formalismo alla superficialità e richiedeva un'originalità nativa. Primitivismo come immaginazione,
libertà di spirito, unione del moderno e dell'arcaico brasiliano che culmina in una rivoluzione
artistica e culturale basata sulle radici primitive del popolo brasiliano.
 Movimento antropofágico:
Approfondendo l'ideologia della Poesia Pau-Brasil, che voleva creare una poesia di esplorazione, il
movimento antropofágico brasiliano aveva come obiettivo la deglutizione (da qui la natura
metaforica della parola "antropofágico") della cultura dell'altro esterno, come quella degli Stati Uniti
e dell'Europa, e dell'altro interno, la cultura degli amerindi, degli afro-discendenti, degli euro-
discendenti, dei discendenti degli orientali, cioè non si deve negare la cultura straniera, ma non la si
deve imitare.
Il Manifesto Antropófago è un manifesto pubblicato nel 1928 dal poeta brasiliano Oswald de
Andrade, figura chiave del movimento culturale modernista brasiliano e collaboratore della Revista
de Antropofagia. Si ispira ad "Abaporu", un dipinto di Tarsila do Amaral, artista modernista e moglie
dello stesso de Andrade. Fu pubblicato nella Revista de Antropofagia, che Oswald contribuì a
fondare con Raul Bopp e Antônio de Alcântara Machado, datata "anno 374 della rondine del vescovo
Sardinha".
Scritto in prosa poetica il Manifesto Antropófago ha un tenore più politico del precedente manifesto
di Oswald, quello della Poesia Pau-Brasil, che predicava la creazione di una poesia brasiliana
d'esportazione. Dal punto di vista estetico, il secondo manifesto di Oswald riafferma sostanzialmente
i valori di quello, proclamando l'uso di un "linguaggio letterario" "non catechizzato".
Il manifesto configurò una prima reazione formale da parte degli intellettuali brasiliani a favore di
una produzione artistica autenticamente nazionale. Uno dei versi simbolo del Manifesto, scritto in
inglese nell'originale, è "Tupi o non Tupi: ecco la domanda". La battuta è sia una celebrazione dei
Tupi, che praticavano alcune forme di cannibalismo rituale (come descritto negli scritti
cinquecenteschi di André Thévet, Hans Staden e Jean de Léry), sia un'istanza metaforica di
cannibalismo: mangiare Shakespeare. D'altro canto, alcuni critici sostengono che l'antropofagia
come movimento fosse troppo eterogenea per poterne trarre argomenti esaustivi e che spesso
avesse poco a che fare con una politica culturale postcoloniale.
 Movimento Verde-Amarelo
Il Movimento Verde-Giallo (o Verde-Amarelismo) è stato un movimento letterario modernista
brasiliano fondato da Cassiano Ricardo, Menotti Del Picchia e Plínio Salgado nel 1926. Proponeva un
nazionalismo puro: senza interferenze europee, con tendenze nativiste.
Il Movimento giallo-verde emerse nel 1926, attraverso la conferenza " A Anta e o Curupira " di Plínio
Salgado, come risposta al Manifesto di Pau-Brasil (1924), che, secondo i "Verde amarelos", portava
con sé un " nacionalismo afrancesado " presentato principalmente da Oswald de Andrade.
Il 24 febbraio 1927, Oswald scrisse un articolo intitolato Antologia (nella sua rubrica Feira das
Quintas pubblicata sul Jornal do Comércio) in cui rispondeva al movimento con la satira.
Attraverso il giornale “Correio do Povo” di San Paolo, il 17 maggio 1929, il gruppo verde-giallista
rispose nuovamente con una pubblicazione intitolata Nhenguaçu Verde-Amarelo - Manifesto do
Verde-Amarelismo ou da Escola da Anta. Di seguito riportiamo un frammento del manifesto:
"Il gruppo 'verdeamarelo', la cui regola è la piena libertà di ciascuno di essere brasiliano come vuole
e può; la cui condizione è che ciascuno interpreti il suo paese e il suo popolo attraverso se stesso,
attraverso la propria determinazione istintiva; - il gruppo 'verde-amarelo', alla tirannia delle
sistematizzazioni ideologiche, risponde con la sua libertà e l'ampiezza senza ostacoli della sua azione
brasiliana (. ...) Accettiamo tutte le istituzioni conservatrici, perché è all'interno di esse che
realizzeremo l'inevitabile rinnovamento del Brasile, come l'anima del nostro popolo ha fatto
attraverso quattro secoli, attraverso tutte le espressioni storiche. Il nostro nazionalismo è
'verdamarelo' e Tupi (...)"
Il gruppo giallo-verde, a sua volta, aveva idee ben diverse: proponeva un "ritorno al passato",
considerato il deposito delle nostre vere tradizioni. Essi vedevano nel popolo, con la sua natura
pacifica, l'anima della nazionalità, che doveva essere guidata dalle élite politico-intellettuali del
Paese. In questo manifesto si difende i confini nazionali dalle influenze culturali straniere.
Gruppo Pau-Brasil e gruppo Verde amarelo: differenze:
Nel gruppo vedre- amarelo che diventerà più radicale con l’antropofagia. In questo momeno di
discuteva sul fatto che il gruppo verde amarelo non mette in discussione la storia della
colonizzazione pacifica raccontata dai portoghesi, omettono la violenza della colonizzazione. Mentre
il gruppo Pao Brasil afferma che loro sono stati usati come merce, (da cui il nome del gruppo) una
mercanzia, loro rivendicano questo concetto. Il gruppo verde amarelo nasce come contrasto al
gruppo pao brasil che critica la società brasiliana e le mette in discussione, il verde amarelo non
mettono in discussione niente sono contenti riguardante la storia del Brasile. Negli anni 30 questa
discussione non è più solo culturale ma anche politica.
La soluzione che proporrà Oswald de Andrade nel «Manifesto Pau-Brasil» sarà quella di una sintesi
dinamica fra «foresta e scuola», cioè: «Una visione che abbracci i cilindri dei mulini, le turbine
elettriche, gli stabilimenti produttivi, le questioni cambiali, senza perdere di vista il Museo Nazionale.
Pau-Brasil» il museo nazionale è il paese intero. La soluzione nativista-primitivista oswaldiana non è
dunque rifiuto delle conquiste della modernità né chiusura alle correnti internazionali di pensiero,
bensì un richiamo a non dimenticare il proprio passato, né i molti volti del presente. È un invito ad
essere «solo brasiliani del nostro tempo». Oswald de Andrade anticipa, in questo manifesto, molti
dei presupposti dell’Antropofagia, che egli inaugurerà nel 1928
Il manifesto dell’antropofagia è la proposta più radicale che potesse fare di decolonizzazione, va a
ribaltare l’idea del cannibalismo degli Indios che è stata la scusa per lo sterminio di migliaia di
Indios. De Andrade va a vedere il significato dell’antropofagia, ovvero che era una cerimonio dove si
onorava il prigioniero che era sacro e che doveva diventare parte di loro. Bisogna essere antropofagi
del nostro tempo ovvero rapportarsi al mondo così, mangiare le cose che servono, il manifesto
futurista non mi serve quindi non va mangiato, quello surrealista si perché ci sono delle cose
interessanti. Il pensiero che anche se loro stanno nella periferia del mondo non sono periferici.
L'antropofagia ha formato un atteggiamento critico.
Seminario Letteratura brasiliana: Naturaleza e identidade no discurso modernista
La natura è una delle prime differenze che vengono notate con il continente europeo, infatti ilBrasile
viene descritto come un paese ricco di vegetazione colorata, e un luogo estremamente fertile.
Guarda registrazioni seminario
Dopo la settimana di arte moderna, il gruppo sembra essere molto coeso ma non è così. Quando
cominciano a discutere dopo la settimana, in seguito anche a condanne a loro ricevute, iniziano a
sorgere le differenze. Proprio grazie a queste discussioni che viene fuori un’interpretazione diversa
del passato e del presente del paese:
1. Antropofagia, gruppo di intellettuali di San paolo, con de Andrade (poi aderirà al partito
comunista. Fondato nel 1924. (tutti molto vicini quasi come se fosse una reazione all’altro)
2. Gruppo verde-amarelo, uno dei fondatori fonderà poi un partito radicale di estrema destra
negli anni Trenta. Manifesto pubblicato nel 1931 ma fondato nel 1926 che successivamente
si chiamerà gruppo Anta. C'è l’elemento dell’esotico.
3. Gruppo regionalista (del nord-est del Brasile) con manifesto pubblicato nel 1928
Quando ci fu il colpo di stato gli intellettuali devono per forza prendere una posizione e molti furono
arrestati o censurati; quindi, è naturale che dopo gli anni 30 anche la politica diventa importante. In
tutti i gruppi c’è il temo del nazionalismo ma inteso in maniera diversa.
Cassiano Ricardo fa una critica ad Andrade dicendo che:
“Oswald aveva scoperto il Brasile in Europa; volevamo scoprire il Brasile nello stesso Brasile;
aggiungere più Brasile al Brasile. Verdamarelismo contro futurismo italiano, contro dadaismo
francese, contro espressionismo tedesco. Per essere originali, dovevamo appellarci a ciò che era
nostro, terra e uomo; per essere universali dovevamo prima di tutto essere brasiliani. “
È vero che De andrade lo scrive a Parigi ma forse proprio il fatto di vedere il Brasile dal fuori lo ha
aiutato.
Le proposte estetico-letterarie del Verde-amarelismo non si discostano molto da quelle enunciate
nel «Manifesto Pau-Brasil» e successivamente nel «Manifesto Antropófago». Ma c’è di fondo, fra i
due schieramenti, un’incompatibilità ideologica che impedisce la percezione di queste affinità. Il
gruppo Verde-amarelo non nasconde le simpatie per un ideale politico di destra e più tardi, nel 1927,
confluito nel gruppo Anta, tale tendenza politica sarà accentuata. Non a caso uno degli ideatori di
questa corrente, Plínio Salgado, fonderà nel 1932 il Partito Integralista, ispirandosi al
nazionalsocialismo europeo.
Manifesto verde-amarelo:
«Manifesto Nhengaçu Verde Amarelo», pubblicato nel Correio Paulistano del 17 maggio 1929, che
la massiccia migrazione dei Tupi verso l’Atlantico, avvenuta precedentemente all’arrivo degli
europei, era una «fatalità storica pre-cabralina» che servì a preparare l’ambiente per la
colonizzazione. E ancora: «I tupi vennero per essere assorbiti. Per diluirsi nel sangue del nuovo
popolo. Per vivere soggettivamente e trasformare in una prodigiosa forza la cordialità del brasiliano
e il suo grande sentimento di umanità». Molti di questi autori impararono la lingua Tupi. La
migrazione dei tupi è una fatalità, un destino voluto da Dio, che ha voluto che si incontrassero con i
popoli europei. Questo modo di leggere la storia è inconcepibile per un paese che vuole pensarsi in
modo indipendente, è questo che causa scandalo e crea la divisone tra i gruppi.
E, nonostante che gli autori del manifesto siano consapevoli che, fra tutte le etnie che formarono il
Brasile, l’autoctona sia stata l’unica oggettivamente scomparsa - «su una popolazione di 34 milioni
di abitanti, oggi non si conta neppure mezzo milione di selvaggi»- non spendono una sola parola di
deprecazione o di condanna per tale etnocidio. Si capisce quindi l’ironia pungente e dissacratoria
del «Manifesto dell’Antropofagia», pubblicato nella Rivista da Antropofagia nel maggio del 1928.
Esso è una risposta al neoindianismo idealizzante del gruppo di Plínio Salgado. La risposta :
L’Antropofagia è una feroce presa di posizione sulla necessità di un atteggiamento
permanentemente critico e attivo dello scrittore, «contro tutti gli importatori di coscienza in
scatola>Ma non solo. L’Antropofagia era in parte implicita, come si è visto, nel programma del
«Manifesto Pau-Brasil». Oswald, tuttavia, vi aggiunge sottigliezza e incisività, un’ironia mordace,
un’iconoclastia salutare proprio nel momento in cui il primo Modernismo si adagiava sugli allori.
Accettare il racconto verde amarelo era accettare il genocidio. Lui dialoga con latri movimenti
radicali dell’epoca come il dadaismo.
Le tesi «paubrasiliche» vengono approfondite e consolidate. Nei quattro anni che si interpongono
fra i due manifesti, Oswald de Andrade matura il suo nativismo-primitivismo, radicalizzandolo al
massimo. Se nel primo manifesto c’era l’invito a reagire contro la mera copia e a costruire una
poesia intrinsecamente nazionale, la poesia Pau-Brasil, «a e candida», nel «Manifesto Antropófago»
quell’invito diventa esortazione alla «Rivoluzione Caraibica29: Più grande della Rivoluzione Francese.
L’unione di tutte le rivolte vittoriose dell’uomo»30 . Alla base di questa tangibile trasformazione c’è
naturalmente il dadaismo di Tristan Tzara e Picabia, il surrealismo di André Breton, il metodo
psicanalitico di Freud, il prelogismo di Lucien Lévy-Bruhl. Ma c’è anche riflessione e interscambio
culturale attivo e critico, c’è la ferma intenzione di beneficiare del contatto con tutte le correnti della
modernità senza rinunciare alla propria originalità, individuale e nazionale. In questo senso
l’Antropofagia è un invito a non isolarsi. Come scelta, come consapevole attitudine estetico-
culturale, essa ha un senso estremamente fecondo: è l’assimilazione critica delle forze del «nemico
sacro», è la trasformazione attiva e la dominazione di tali forze nell’atto cosciente di assorbire solo
ciò che si ritiene compatibile o in qualche modo positivo per la propria cultura. Oswald de Andrade
afferma, in uno dei suoi famosi moquéns, pubblicati nella Revista da Antropofagia: «siamo stati,
siamo e saremo inesorabili. Non perdoneremo nessuna doppiezza, nessuna impostura. Mangeremo
tutti i nemici (…). Qui ci troveranno sempre contro la falsa arte, contro la falsa morale, contro la falsa
cultura "l'idea di mangiare è l’idea di rispettare e inglobare l’altro, i prendo qualcosa da te perché sei
diverso, il nemico accetta di essere mangiato perché la sua anima e il suo spirito sarà altro ma in
qualche modo vivrà nell’altro popolo, nel mangiare i nemici c’è l’idea di accettare, qualcosa è degno
di essere assorbito. Non si cerca di eliminare l’altro. Io ti mangio perché sei diverso, se fossero
uguale a loro non li mangerebbero perché non li arricchirebbe. Lui si scontro con la morale falsa
basato sul patriarcato, lui vorrebbe il matriarcato dove la donna era una guerriera. All'eppca la
donna era vista come un oggetto, c’è anche quindi una critica sociale sulla falsa morale della società,
le proposte nel manifesto sono quindi molto ampie.
Si rifiuta l’idea del buon selvaggio in quanto chi decide chi è buono e chi è cattivo? Pensando al
buono e il cattivo nella colonizzazione, i romantici accettano l’immagine del buon selvaggio come
simbolo del paese loro accettano anche il genocidio. Nell'antropofagia, l’idios è quello che si è
ribellato che non ha accettato la catechesi ed ha lottato, il brasile era quindi un paese che ha lottato.
L'idios era anche definito poligamo perché potava avere più di una donna, e ci si poteva separare.
L’Antropofagia è una diversa decodificazione della storia, opposta rispetto a quella romantica e
verde-amarelista. Propone anch’essa di attingere ai primi cronisti, ma per scorgervi l’indio, come
riferito da Americo Vespucci, nella più «scellerata libertà di vivere». Ecco il senso del ritorno
oswaldiano alle fonti, da dove scoverà le scanzonatissime glosse di Caminha, Gândavo, Claude
d’Abbeville, Vicente do Salvador, Fernão Dias Pais, pubblicate nel libro Pau-Brasil, del 1925. Egli fa
parodia, ridicolizza, scoperchia le ideologie implicite in quegli autori instaurando un rapporto
dialettico e conflittuale con il quale intende liberarsi definitivamente di quei testi-padre,
«mangiandoseli», assorbendo le forze del nemico, trasformando il tabù in totem. E il gesto simbolico
di «cannibalizzare» l’altro viene preso direttamente dalla mitologia legata agli ancestrali Tupinambá.
C’è l'idea del cattivo selvaggio che è quello che volevano essere i brasiliani, ovviamente è una
metafora per fare capire che bisogna mettere tutto in discussione, analizzare tutto in modo critico.
La parodia prende un testo e ne rovescia il significato in modo critico evidenziando gli elementi di
contraddizione, riprendendo però le ideologie di base. Con l’Antropofagia si chiude comunque un
ciclo del Modernismo, la cosiddetta fase eroica. La situazione di crisi del paese solleciterà, d’ora in
poi, un maggiore impegno degli scrittori con la realtà.
La studiosa Lúcia Helena afferma che una delle interpretazioni dell’Antropofagia è proprio quella che
la focalizza come l’ethos della cultura più tipicamente nazionale, l’attitudine estetico-culturale di
resistenza privilegiata di questa letteratura, il suo discorso di indipendenza. In questo senso,
Gregório de Matos sarebbe il primo antropófago del Brasile, avendo per primo attuato una
letteratura di corrosione di quella coloniale attraverso l’immissione in essa del contro-discorso
dell’oppresso.
Nel 1930 c’è un cambiamento politico del paese, subentra la censura e cambierà il modernismo
brasiliano che diventa più maturo. Cambia perché se in un primo momento è la poesia il genere più
praticato dagli anni 30 è il romanzo. È il momento del prevalere della prosa, nel romanzo sociale del
nord-est e nel romanzo psicologico del centro-sud, con scrittori come José Lins do Rego [1901-1957],
Jorge Amado [1912], Graciliano Ramos [1892-1953], Raquel de Queiróz [1910], Cornélio Pena [1896-
1958], Lúcio Cardoso [1913-1968], Érico Veríssimo [1905-1975], Ciro dos Anjos [1906-1994] che non
devono più distruggere. Se i primi scrittori del modernismo hanno dovuto spingere e lottare per
entrare loro no.
Per Wilson Martins il Modernismo fu, in questo senso, una scuola letteraria ambulante e
perambulante, affascinata dalla scoperta geografica e da quella cronologica, è un movimento
estremamente dinamico. La nostalgia dell’infanzia, mito primordiale di un’età dell’innocenza (che
s’identifica automaticamente, nel caso del Brasile, con il periodo anteriore alla Conquista), questo
ritorno alle fonti della propria storia, è alla radice delle tre opere
1. Pau-Brasil,
2. Martim Cererê, visione del gruppo verde-amarelo, è un testo poetico.
3. Cobra Norato
Su cui ci soffermeremo nei successivi capitoli di questo lavoro, opere che appartengono alla
cosiddetta fase eroica del Modernismo e che segnano un momento cruciale di ripensamento delle
tendenze e dei percorsi possibili per la letteratura e la cultura del paese.
Pau-Brasil, di Oswald de Andrade, pubblicato nel 1925, è costituito da brevi poesie nelle quali
l’autore focalizza l’alternanza di fasi storiche significative del paese, partendo dai primi decenni del
periodo coloniale per arrivare fino all’attualità. La storia qui è intesa anche come elaborazione
ideologica, la cui interpretazione è legata agli interessi e all’angolazione dalla quale si guarda.
Martim Cererê di Cassiano Ricardo, pubblicato nel 1928, è un poema della colonizzazione, del
bandeirante che allarga, verso l’interno, i confini del paese: espansione territoriale, dominazione e
inquadramento dell’indio e del nero nell’economia coloniale. Gli eroi di Martim Cererê sono i giganti,
mamelucos che conquistano la terra spinti da due temibili forze: «l’ambizione e il meraviglioso». E
conquistano rudemente la terra perché essa si oppone loro: i «giganti» non la comprendono, non si
sentono parte di essa.
Cobra Norato di Bopp, scritto fra il 1927 e il 1928 e pubblicato nel 1931, è a sua volta il poema del
puro stupore dinnanzi alla terra vergine: una metafora del primo uomo che arriva in un magico e
sconfinato mondo. È il Brasile di oggi che s’impossessa poeticamente di quello di ieri, instaurando
un’immediata empatia.
Sebbene Cobra Norato sia stata, fra le tre opere che esamineremo, l’ultima pubblicata, dal punto di
vista dei contenuti, possiamo affermare che essa precede le altre due, visto che ci propone un
viaggio attraverso il tempo-spazio arcano e arcaico, un viaggio onirico nel mito. Gli altri due testi,
profondamente eterogenei fra loro, ci ripropongono un percorso che dall’arrivo in America dei primi
europei giunge sino ai nostri giorni. Martim Cererê, nella sua prima parte, comprende però anche la
discesa dei Tupi verso il litorale e quindi una parte di storia precolombiana. In ogni modo, l’ordine
che seguiremo sarà strettamente cronologico rispetto l’anno di pubblicazione delle opere, con Pau-
Brasil del 1925 che apre la serie e Cobra Norato, del 1931, che la chiude. O gnuno di questi autori ha
privilegiato un aspetto del Brasile, secondo una determinata prospettiva della quale ogni testo è
l’emblema e la sintesi più compiuta. Le tre opere si completano e per questo le abbiamo volute
trattare congiuntamente. Studi importanti e particolareggiati sono stati compiuti singolarmente su
ciascuna, ma è la prima volta che esse sono riunite in un’analisi comparativa in grado di svelarne sia i
punti di contatto che le profonde divergenze.
Oswald de Andrade
José Oswald de Souza Andrade nacque a San Paolo l'11 gennaio del 1890, da famiglia agiata, figlio di
José Nogueira de Andrade e di Inês Inglês de Souza Andrade. Entra molto giovane nel mondo del
giornalismo, iniziando come redattore e critico teatrale nel giornale Diário Popular di San Paolo, nel
1909. Nel 1912 effettua il primo viaggio in Europa, tornando con la novità del Manifesto Futurista di
Marinetti. Lo accompagna Kamiá, la giovane francese Henriette Denise Boufleur, con la quale ebbe
fino al 1915 una relazione conflittuale. Pubblica nel 1916 con Guilherme de Almeida il testo per il
teatro Mon Coeur Balance. Leur Âme. Si laurea in legge nel 1918 e nel 1919 si sposa, in extremis, con
Deisi, la studentessa Maria de Lourdes Castro Pontes, che era stata sua compagna dal 1917 al 1919.
Nel 1922 lo vediamo come uno dei più attivi organizzatori della Settimana di Arte Moderna che si
svolse nel Teatro Municipale di San Paolo. In questo stesso anno pubblica Os Condenados, il primo
volume della Trilogia do exílio. Nel 1923 va nuovamente a Parigi, dove terrà una conferenza alla
Sorbonne dal titolo "L'effort intellectuel du Brésil contemporain". Nel 1924 pubblica Memórias
sentimentais de João Miramar e il "Manifesto da Poesia Pau-Brasil" nel giornale Correio Paulistano.
L'anno successivo esce il libro di poesie Pau Brasil, stampato dalla importante casa editrice Sans
Pareil di Parigi. Sempre nel 1925 il poeta effettua un nuovo viaggio in Europa e al ritorno si sposa con
la pittrice Tarsila do Amaral, matrimonio che durerà fino al 1930. Nel frattempo, conosce e instaura
rapporti con alcune delle personalità più notevoli del mondo artistico europeo, come Fernand Léger,
Jules Supervielle, Jules Romain, Jean Cocteau, Erik Satie, Blaise Cendrars, Pablo Picasso e altri. In
questo periodo fa la spola fra il Brasile e la Francia. Nel 1927 pubblica A Estrela do Absinto e O
Primeiro Caderno do Aluno de Poesia Oswald de Andrade. Nel 1928 fonda, insieme a Raul Bopp e
Tarsila do Amaral, il movimento dell'Antropofagia, pubblicando nello stesso anno la Revista da
Antropofagia. Nel 1929 inizia la seconda fase della stessa rivista, pubblicata in una pagina centrale
del Diário de São Paulo. Con il crack di Wall Street, nel 1929, i produttori di caffè brasiliani, e fra
questi Oswald de Andrade, subiscono un rovinoso tracollo finanziario. Nel 1930 Oswald si sposa con
la scrittrice Pagu (Patrícia Galvão). Inizia il periodo dell'impegno politico del poeta. Nel 1931 entra
con Pagu nel Partito Comunista brasiliano e crea il giornale O Homem do Povo, il cui titolo è
indicativo della linea ideologica seguita.
Nel 1933 pubblica Serafim Ponte Grande e nel 1934 O Homem e o Cavalo e A Escada Vermelha,
l'ultimo volume della Trilogia do Exílio. Nel 1935 si separa da Patrícia Galvão e due anni dopo si sposa
con Julieta Bárbara. Il 1937 è l'anno del teatro: pubblica O Rei da Vela e A Morta. Nel 1939 compie
un nuovo viaggio in Europa, ritornando quando esplode la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1942
pubblica Cântico dos Cânticos para Flauta e Violão, che dedica a Maria Antonieta d'Alkimin, con cui si
era sposato dopo la separazione da Julieta Barbara. Pubblica nel 1943 Marco Zero: A Revolução
Melancólica. Nel 1945 rompe pubblicamente con il Partito Comunista e pubblica Chão, il secondo
volume di Marco Zero. Nel 1946 esce il libro di poesie O Escaravelho de Ouro. Nel 1954 termina il
primo volume di memorie Um Homem sem Profissão: sob as ordens de mamãe. Aveva in progetto di
scrivere altri volumi di memorie, ma muore il 22 ottobre del 1954. Sarà poi negli anni 60 con il
cinema brasiliano che (cinema novo, estetica da povreza) che De Andrade vene ripreso, in cui si farà
anche riferimento all’antropofagia.
Oswald de Andrade fu uno dei fautori della Settimana di Arte Moderna del ‘22, che tanta polemica
suscitò e tanta importanza ebbe nel prospettare nuovi percorsi, nel proporre modelli culturali
diversi, nel forgiare valori letterari propri della cultura brasiliana. Poeta e scrittore polemico e
trasgressivo Oswald de Andrade fu, accanto a Mário de Andrade, una delle personalità più rilevanti
della prima metà del Novecento e lasciò un’impronta durevole nella letteratura e nella cultura
brasiliana. I suoi manifesti e le sue opere rappresentano un tentativo radicale e fecondo di rilettura
dei vari aspetti e momenti problematici della storia e della realtà del Brasile. La storia è l’humus
dell’opera oswaldiana, la base della sua riflessione, il punto di partenza per il recupero di un vissuto
collettivo che non ha trovato spazio per un’oggettivazione e rappresentazione nei racconti ufficiali.
Nel 1556 ci fu un disastro navale, i colonizzatori, tra cui Sardinha vengono catturati dagli Indios che
lo mangiano. I portoghesi dichiarano quindi guerra agli indios caetés. De Andrade coglie quel
momento e dice che gli Indios hanno mangiato l’autorità politica e religiosa. Quello è il momento
di nascita del brasile perché è il momento in cui c’è stata la reazione, l'Indios che si oppone alla
catechesi, riconosce l’autorità e la diversità e viene incorporata ma a modo loro ovvero con
l’antropofagia. È un modo ironico di rileggere la storia, demolendola.
Nel “Manifesto dell’Antropofagia” egli arriva a prefigurare una nuova cronologia nazionale datando
il testo “Anno 374 dalla Deglutizione del vescovo Sardinha”, facendo esplicito riferimento ad un
fatto verificatosi nel 1554, e cioè al naufragio subito dalla comitiva del primo vescovo della colonia,
D. Pero Sardinha, e alla cattura di questi da parte degli indios antropofagi Caetés. Irriverentemente,
Oswald proponeva, per segnare l’inizio della storia brasiliana, una reazione indigena iconoclasta, e
non solo in senso metaforico, nei confronti del potere politico e religioso coloniale.
Nel libro Pau Brasil, pubblicato nel 1925, il poeta ripercorre tutte le fasi più importanti della storia
nazionale partendo proprio dalle prime relazioni dei cronisti europei, relazioni in cui vengono narrati
i contatti iniziali fra indios tupi-guarani e portoghesi. Oswald de Andrade farà della storia una
rilettura critica, introducendo il punto di vista problematico dell’ex-colonizzato che deve venire a
patti con traumi e rimozioni del proprio passato. Traumi e rimozioni collettivi, perché a Oswald de
Andrade interessa la società nel suo complesso, più che la psicologia individuale.
Pau Brasil è un’opera suddivisa in otto serie di poesie collegate fra loro: “História do Brasil”,
“Poemas da Colonização”, “São Martinho”, “RP1”, “Carnaval”, “Secretário dos Amantes”, “Postes da
Light”, “Roteiro das Minas” e “Loide Brasileiro”. Attraverso queste serie l’autore compie un viaggio
storico-geografico importante, soffermandosi sui periodi di crisi e di cambiamento di valori e
strutture della società brasiliana.
Egli parte dall’arrivo dei primi europei, in “História do Brasil”, si sofferma sul periodo del
consolidamento economico coloniale con l’introduzione della monocoltura dello zucchero, in
“Poemas da Colonização”, focalizza, in “São Martinho”, il fenomeno della diffusione della coltura del
caffè e, in “RP1” e “Postes da Light”, l’arrivo degli immigranti europei, l’industrializzazione e
urbanizzazione delle regioni del centro-sud dei primi decenni del XX secolo. In “Roteiro das Minas”
egli estende la sua indagine alle tradizioni e testimonianze artistiche legate alla civiltà dell’oro di
Minas Gerais.
In questo percorso il poeta recupera storia e memoria dei conflitti della società, delle sovrapposizioni
culturali e ideologiche e dell’assoggettamento di indios, neri e mulatti che è alla radice della
fondazione di questo paese che, da nazione libera, deve fare i conti anche con il suo tragico passato.
Fra le varie sezioni del libro privilegeremo la serie “Poemas da Colonização”, quindici poesie in tutto,
che delineano con rapidi ed efficaci flash i contorni e la struttura della società schiavista-patriarcale
che poggiava le proprie basi economiche sul lavoro dello schiavo negro. Tale organizzazione verrà
messa in crisi solo nel 1888, quando D. Pedro II firma la legge che sancisce l’abolizione totale della
schiavitù in Brasile. Sono poesie corte a volte flash a volte in movimento nello spazio ma sono
sintetiche racchiudono tanto in poco. La geracao do 45 criticherà molto De Andrade per questa
cosa, infatti loro scrivevano con versi lunghi. Perché scrivere in poesia e non narrativa? Perché la
poesia è efficace, crea empatia e con l’io lirico l’identificazione empatica, si ritorna ad un sentimento,
ad un personaggio, invita il lettore a fare lo stesso percorso dell’autore, entrare con il suo sentire
ascoltare e vedere, con tutto sé stesso.
I primi schiavi, che provenivano da varie regioni africane, entrarono nel paese già nella prima metà
del Cinquecento. Appartenevano a gruppi tribali diversi e non parlavano la stessa lingua e neanche
avevano la stessa cultura, la qual cosa impedì che potessero organizzarsi in gruppi solidali e definire
strategie di lotta. La maggior parte di loro, di etnia Bantu, proveniva dagli attuali Angola, Zaire,
Mozambico, Congo e Camerun; altri, di etnia Sudanese, da Guinea, Costa D’Avorio e Nigeria. Il
numero di africani introdotti durante tre secoli di traffici ancora oggi è controverso e varia dai 4,6
milioni, secondo Taunay, ai 15 milioni, secondo Rocha Pombo.
Gli africani furono impiegati nelle piantagioni di zucchero, cotone, riso, nelle attività minerarie e in
tutti i lavori pesanti. Le condizioni di vita erano molto dure: lavoravamo diciotto ore al giorno, tutti i
giorni dell’anno. Soli, senza famiglia, allontanati dai membri del proprio gruppo etnico, gli africani
non si identificavano con nessuno, diffidavano di tutti. Il frazionamento culturale e professionale era
una strategia diffusa nelle fazendas e gli schiavi domestici e creoli erano trattati con più
considerazione dai padroni. Questo scatenava ostilità, rancori, gelosie e tradimenti tra gli stessi
schiavi, mettendo gli uni contro gli altri.
Oswald de Andrade ripercorre, nella serie “Poemas da Colonização”, i momenti della penosa
giornata dello schiavo, la sua fatica di vivere e i suoi tentativi di sottrarsi a quelle ferree leggi contro
le quali egli non aveva strumenti, giuridici o di altro tipo, da opporre. Sono poesie brevi, intense e
spesso molto crude nella descrizione delle punizioni che ricevevano coloro che disubbidivano alle
imposizioni o che cercavano di evadere dalle fattorie per andare a rifugiarsi nei quilombos, i villaggi
di schiavi fuggiaschi.
Medo da senhora
A escrava pegou a filhinha nascida (poche parole ma quelle giuste)
Nas costas
E se atirou no Paraíba
Para que a criança não fosse judiada
Coglie un immagine in movimento, un suicidio e un infanticidio, la donna prende una bambina
appena nata la lega tipo marsupio sul suo corpo, e si butta in un fiume chiamato Paraiba che è il
fiume dove è stata trovata la statua nossa senhora (è un fiume nello stato di San Paolo), lei rinuncia
alla voglia di soppravvivenza e vita ovvero un terrore più grande della morte ovvero la violenza che
lei stessa ha subito, non vuole che la figlia soffre che ha sofferto lei. è la disperazione, angoscia e
paura. Questa immagine va a delineare l’immagine femminile, tre figure
1. la signora la fazendeira ovvero la padrona,
2. la schiava
3. la figlia
Il contesto è che le schiave più belle venivano scelte dai padroni come un arem (il patriarcato che
critica de Andrade) ovvero delle amanti costrette diciamo perché c’era una violenza. La padrona per
gelosia si vendicava con le schiave. Si può immaginare che la figlia è del padrone, e quindi la violenza
alla figlia può venire anche dalla padrona essendo il frutto di suo marito.
Nella poesia “medo da senhora”, il poeta racconta del suicidio di una giovane schiava con la sua
bambina neonata per sottrarre se stessa e la figlia alla cattività. Questo tipo di ribellione –
individuale e soggettiva – era determinata dall’impossibilità di reagire collettivamente, di
modificare la struttura di base che regolava i rapporti tra padroni e schiavi, talmente rigida da
impedire agli assoggettati un minimo di coscienza di gruppo. Anche gli indios avevano adottato, e
purtroppo adottano ancora oggi, questa forma estrema di resistenza.
Canzone Sinhá (2011) di Chico Buarque e João Bosco
Dove lui parla come se fosse uno schiavo, in prima persona e parla con disperazione in quanto lo
condanneranno ad una pena terribile. È come fa De Andrade. Lo schiavo ha un linguaggio disperato e
cerca di convincere che lui non ha fatto niente, lui viene castigato e accecato. Mettersi nei panni
degli altri come fa de andrade è molto efficace, l’empatia è fondamentale.
Se a dona se banhou
Eu não estava lá
Por Deus Nosso Senhor
Eu não olhei Sinhá
Estava lá na roça
Sou de olhar ninguém
Não tenho mais cobiça
Nem enxergo bem
Para que me pôr no tronco
Para que me aleijar
Eu juro a vosmecê
Que nunca vi Sinhá
Por que me faz tão mal
Com olhos tão azuis
Me benzo com o sinal
Da santa cruz
Eu só cheguei no açude
Atrás da sabiá
Olhava o arvoredo
Eu não olhei Sinhá
Se a dona se despiu
Eu já andava além
Estava na moenda
Estava para Xerém
Por que talhar meu corpo
Eu não olhei Sinhá
Para que que vosmincê
Meus olhos vai furar
Eu choro em iorubá
Mas oro por Jesus
Para que que vassuncê
Me tira a luz
E assim vai se encerrar
O conto de um cantor
Com voz do pelourinho
E ares de senhor
Cantor atormentado
Herdeiro sarará
Do nome e do renome
Eu Sou Trezentos... di Mário de andrade
C'è l'idea della molteplicità, è così tanto che dentro di me c’è spazio per tutto, confluisce tutto il
apese in lui, sta pensando ai brasiliani dell’amazzonia, del nord est del centro, lui li vuole tutti
essendo meticcio.

Eu sou trezentos, sou trezentos-e-cincoenta,


As sensações renascem de si mesmas sem repouso, (come se dentro di lui tutto fosse in movimento)
Ôh espelhos, ôh! Pirineus! ôh caiçaras! (lo specchio ridà la nostra immagine, il guardarsi allo
specchio c’è l’idea di vedersi per come gli atri ci vedono, è l’immagine che vogliamo che gli altri
vedano)
Si um deus morrer, irei no Piauí buscar outro! (lui propone di sostituire la E con la I, lui lor scrive,
scrive deus minuscolo per rafforzare l’idea che ci sono molto dio in Brasile, delle religioni indigene
(maira ecc..) se si perde una divinità possiamo sceglierne un’altra)

Abraço no meu leito as milhores palavras, (cercare di lavorare le poesie che hanno uns enitre
multiplo, dinamico)
E os suspiros que dou são violinos alheios;
Eu piso a terra como quem descobre a furto
Nas esquinas, nos táxis, nas camarinhas seus próprios beijos!

Eu sou trezentos, sou trezentos-e-cincoenta,


Mas um dia afinal eu toparei comigo...
Tenhamos paciência, andorinhas curtas,
Só o esquecimento é que condensa,
E então minha alma servirá de abrigo.
Libro Pao Brasil di Oswald de Andrade
È diviso in diverse parti, all’inizio parla dei fondamenti della settimana di arte moderna. Poi parla
della storia del Brasile, la prima immagine che ha dato il nome al brasile è la sua produzione ovvero
terra do Brasil, De Andrade parte da questo elemento quando nelle cartine entra come una merce
un oggetto dovuto al mercantilismo. Lui parte dal fatto che il paese è stato concepito non in grado di
essere percepito come indipendente ma sempre come un possibile sfruttamento. L'indios è sempre
rappresentata dall’esterno. Lui va alla radice e rovescia il significato dicendo che lui rivendica la
merce ovvero il Pao Brasil, ma che è nuovo e viene presentato agli europei in particolare ai francesi
(de andrade ha un legame particolare con la Francia). Il Brasile è dentro Pao Brasil, che è un
percorso, De Andrade immagina di fare un viaggio nel Brasile ma dal punto di vista del colonizzato,
c’è un passaggio da oggetto a soggetto della propria storia e in grado di narrarla. Lui fa un percorso
fino all’indipendenza usando la parodia che è un linguaggio critico, si smonta un concetto da dentro.
Lui prende i testi di autori famosi e li trasforma in parodia. L'idea è quella di mostrare come i
brasiliani volevano essere visti. È un viaggio nel tempo, nel passato ma anche nello spazio, perché è
come se un brasiliano parte da Lisbona percorrendo l’atlantico e arriva sul litorale brasiliano
percorrendolo da nord a sud e da lontano vede le città come se fosse una nuova scoperta ma
stavolta come se fosse fatta dai brasiliani stessi. Fa vedere la città di Rio de Janeiro ma la città è
diversa da quella che si mostrava nelle cartoline, parla di Sao Paolo che sta crescendo.
Pero vaz caminha a descoberta
Seguimos nosso caminho por este mar de longo
Até a oitava da Páscoa
Topamos aves
E houvemos vista de terra
Escapulário (si metteva nelle tasche, ora non si usa più ma fa riferimento a qualcosa che si usava in
brasile)
No Pão de Açúcar
De Cada Dia
Dai-nos Senhor
A Poesia De Cada Dia (è una preghiera ma lui inserisce una Praodia usando Pao de Acucar che è una
delle famose montagne di rio de janeiro, gioca con le parole. Fa riferimento alla religione che è stata
imposta in Brasile con questa presenza maschile Fazendero, che aveva il potere assoluto, la società
introdotta dal cristianesimo viene aspramente criticato (matriarcato).
A descoberta (lui riprende il testo narrativo di Vaz caminha della scoperta del Brasile e lo spezza
come se fosse una poesia)
Seguimos nosso caminho por este mar de longo
Até a oitava da Páscoa Topamos aves E houvemos vista de terra utoritaria
As meninas da gare
Eram três ou quatro moças bem moças e bem gentis
Com cabelos mui pretos pelas espáduas
E suas vergonhas tão altas e tão saradinhas
Que de nós as muito bem olharmos
Não tínhamos nenhuma vergonha
In questo testo viene ripreso una lettera per un Re di Vaz Caminha, dove c’è un commento malizioso
sulle donne, descrive tre o quattro ragazze e specifica che erano giovani e belle con viso e corpo
delicate (gentis) avevano i capelli molto neri e lunghi. Ripete la parola vergogna riferito al fatto che
le donne erano nude, e la vergogna erano le parti intime. Loro guardavano senza pudore, in quanto
erano tutte appetibili. Si cerca quindi di fare un discorso adatto alla corte ma sfugge questo tipo di
commento. De Andrade mette un titolo ovvero le ragazze della stazione, gare de Sao paolo ovvero si
riferisce alle prostitute della stazione, e quando lui va alla stazione presume che tutte le donne siano
prostitute, ovvero così come i colonizzatori vedono le donne come prostitute anche i brasiliani
tutt’ora vedono le donne come prostitute, c’è uno scontro tra tempo e spazio. Si mette in
discussione la società del tempo, non solo il passato ma anche il presente, la società si doveva
ricostruire.
Vício na fala
Para dizerem milho dizem mio
Para melhor dizem mió
Para pior pió
Para telha dizem teia
Para telhado dizem teiado E vão fazendo telhados
Lui riprende da una lettera di un portoghese in Brasile che manda questa lettera sul portoghese
parlato in brasile (si sanno solo le inziali sulla lettera)
Il futurismo nasce in un contesto europeo, l'Europa ha una storia antica che influenza enormemente
nei movimenti, c’è sempre la nostalgia di un tempo migliore, di un passato mitico. Nel futurismo si
pensa al presente con Marinetti. In Brasile è diverso perché esiste da 400 anni. Ma quando fanno la
settimana d storia moderna da fuori vengono chiamati futuristi, De Andrade rivendica questo
aggettivo dicendo che se loro intendono un'arte nuova e innovativa allora sì. Sicuramente sono
progressisti. I modernisti brasiliani volevano distruggere un modo antiquato di fare arte. Ma nessuno
di loro promuove la violenza, neanche dopo il colpo di stato. L'arma è la letteratura, la lingua, l’arte.
Quando de Andrade dice di distruggere o bonde da civilizacao è una metafora, il bonde era il veicolo
di progresso, civiltà, l’idea che il centro del mondo fosse l'Europa e che gli altri siano inferiori, è un
processo di decolonizzazione. Prima anche se le opere come quelle di Machado de Assis (realista
brasiliano) erano molto originali non erano del tutto indipendenti in quanto non si metteva in
discussione il senso di inferiorità, iniziano i romantici a parlarne ma ne discuteranno i modernisti.
I brasiliani hanno cercato di rimuovere i momenti traumatici della schiavitù. Oggi una delle critiche è
che i modernisti parlavano dei neri anche se loro erano bianchi ma al tempo i neri essendo appena
usciti dalla schiavitù non avevano le stesse possibilità.
Esame:
1 domanda storia, lingua portoghese.
Primi contatti, prima colonizzazione
Indipendenza
Fine della schiavitù
Proclamazione della repubblica.
Storia moderna
Grande migrazione
Mercoledì dalle 10 alle 12

Potrebbero piacerti anche