Pindorama, “il paese delle palme” o “il brasile che non c’era”
Quando i Portoghesi arrivarono in Brasile, (il 22 aprile 1500) pesavano di portare la civiltà evoluta e
di arrivare in territori dove le persone erano indietro in realtà arrivano in civiltà formate e questo
spaventa. Il primo approccio è di trovare uomini e donne completamente nudi, cappelli lunghi, lisci.
Non percepivano la nudità come qualcosa di vergognoso, i portoghesi pensarono di essere arrivati in
Paradiso; infatti, le prime descrizioni rimandano a concetti paradisiaci, con alberi grandi ed uccelli di
tutti i colori. La descrizione degli uomini sembra quasi quella di Adamo ed Eva, per catalogare nuove
esperienze i portoghesi usano concetti che già hanno nella loro cultura. La prima immagine è
positiva per entrambe le parti, i colonizzati pensavano che i colonizzatori fossero messaggeri del loro
Dio.
I colonizzatori europei non pensavano che il luogo avesse già un nome o che le persone avessero già
un’organizzazione politica o una propria religione. Il brasile veniva chiomato Pindorama perché
c’erano molte palme e anche il brasile che non c’era perché il Brasile si forma con l’arrivo dei
portoghesi, e cambiare vari nomi nel tempo, spesso i nomi avevano dei significati religiosi.
La lingua che si svilupperà è il portoghese brasiliano in quanto il portoghese europeo si incontra con
le lingue già presenti nel territorio.
Gli Indios erano circa 6 milioni, lentamente però sia loro che il loro habitat sono quasi scomparsi. Si
può parlare di un vero e proprio genocidio in quanto oggi non sono nemmeno un milione. Interi
popoli scomparvero e questo sarà oggetto di discussione per la letteratura ma anche dal punto di
vista politico.
Il Brasile fu ufficialmente “scoperto” il 22 aprile 1500 dal portoghese Pedro Álvares Cabral, la cui
flotta composta di 15 navi sarebbe stata deviata, mentre faceva rotta verso l’India, da una tempesta
improvvisa. Oggi si sa che prima di Cabral altri navigatori erano giunti sulle coste dell’America
meridionale, come Vicente Yañez Pinzón e Amerigo Vespucci che costeggiarono il litorale fino alla
foce del Rio delle Amazzoni, e che gli stessi portoghesi erano probabilmente a conoscenza
dell’esistenza di quelle terre.
Essi, infatti, quando nel 1494 firmano con la Spagna il Trattato di Tordesilhas che segna la
spartizione del globo fra le due potenze, si assicurano il possesso di un’ampia fascia di territori
inesplorati ad ovest delle Isole di Capo Verde, fascia che comprendeva anche il Brasile.
Dopo la presa di possesso ufficiale in nome del re D. Manuel, i portoghesi, occupati nei loro
fruttuosi commerci con le Indie, trascurano per circa vent’anni il Brasile, consentendo in tal modo ai
francesi di instaurare rapporti con le tribù locali e contrabbandare enormi quantità di pau-brasil,
prezioso e resistente legno rosso di cui abbondava la regione. Solo nel 1530 i portoghesi fondano i
primi due nuclei di colonizzazione, a São Vicente, a sud, e a Olinda, a nord-est.
Gli Indios si avvicinano ai portoghesi in modo pacifico perché pensavano fossero messaggeri del loro
dio (Maira?), e anche i colonizzatori pensano a qualcosa di religioso (paradiso) quando vedono i
coloni per la prima volta. Nel nord est del brasile sembra una regione africana, mentre nel sud est c’è
meno la presenza africana e più la presenza di indigeni e di portoghesi.
I brasiliani del sud est che fondano la regione del Sao Paolo che sono discriminati hanno molti miti,
che sono un po' Indios e quindi conoscono la terra, sanno come navigare i fiumi. Conoscono il
territorio. si chiamano Banderiras perché portavano la bandiera (?). Nella Minas Gerais troveranno
tantissimo oro che finanzierà la rivoluzione industriale in Europa, quasi tutti in Inghilterra.
Il paese viene suddiviso in Capitanerie, i cui donatari dovevano assicurare la difesa del territorio e
intraprendere la coltivazione della canna da zucchero. Nel 1549, Bahia (l’attuale Salvador) diviene
sede di governo. I francesi intanto continuano a cercare di strappare lembi del territorio brasiliano ai
portoghesi. S’insediano nella baia di Rio de Janeiro nel 1555 e vi fondano una colonia, la cosiddetta
Francia Antartica, dalla quale saranno cacciati nel 1565. Nel 1612 tornano alla carica e s’installano
nel Maranhão, a nord, ma sono respinti anche questa volta, nel 1615.
Nel 1580, con la scomparsa in Africa del re D. Sebastião, il Portogallo e conseguentemente anche il
Brasile passano sotto il potere spagnolo di Filippo II e vi restano fino al 1640. Tale evento, infausto
per il Portogallo, ha per il Brasile inaspettati e positivi effetti. Veniva a decadere il Trattato di
Tordesilhas che aboliva le frontiere fra le rispettive colonie e i Bandeirantes, gruppi di avventurieri di
varie regioni del Brasile, ma soprattutto di São Paulo, iniziano la penetrazione ad ovest alla ricerca di
oro, pietre preziose e manodopera indigena. Si addentrano sempre più all’interno, spingendosi in
tutte le direzioni del continente sudamericano, circostanza questa cruciale per la futura definizione
dei confini territoriali del Brasile.
Nel frattempo, inglesi, francesi e olandesi cercano di impossessarsi di varie città brasiliane. Nel 1637
gli olandesi riescono a insediarsi a Recife e Olinda, nella regione di Pernambuco, e vi restano
diciassette anni. Per scacciarli, nel 1654, coloni portoghesi, schiavi africani e indios si uniscono per la
prima volta in una lotta comune.
Proprio questa esperienza inedita di collaborazione, che i portoghesi disconosceranno subito dopo la
vittoria, fomenta le prime rivolte nel nord-est, a Pernambuco nel 1666, e a Maranhão nel 1684.
Approfittando di queste agitazioni, gruppi di schiavi fuggitivi formano all’interno del paese dei veri e
propri villaggi fortificati, detti quilombos, il più famoso dei quali è il Quilombo dos Palmares (1594-
1694), nella regione di Alagoas. Questo quilombo per circa un secolo riuscirà a respingere tutti gli
attacchi, finché nel 1694 sarà distrutto e suoi abitanti sterminati.Perché gli africani vengono portati
in Brasile come merce? Era costoso portarli lì ma si compensava con la produzione dello zucchero.
Zumbi dos Palmares è considerato un eroe per il Brasile, il mito di giustificare la schiavitù era che il
colonizzati erano nati per essere schiavi, non vale nessun uomo è nato per essere schiavo.
La maggior parte dei brasiliani sono discendenti dagli africani, si può dire che non ci sono bianchi in
Brasile, nel sud c’è il razzismo e gente che dice che i discendenti vengono da ceppi europei.
Durante il modernismo cambierà il concetto di meticcio (ha perso la purezza della razza) come
negativo in qualcosa di positivo, qualcosa di diverso, originale e unico. Questo concetto è alla base
della cultura brasiliana, di accettazione.
La regione del sud est diventa importante e il nord est perde importanza. I primi movimenti di
ribellione ai portoghesi e l’attività letteraria e politica sarà nel sud est.
Fu un periodo di molte rivolte nella regione, come la Guerra dos Emboabas (nel 1711), che
coinvolge i paulistas (gli scopritori dell’oro nella regione) e gli emboabas, ossia gli invasori, che
arrivano dal Portogallo e anche da Bahia per l’attività mineraria. Sconfitti, i paulistas si addentrano
ancora di più verso l’interno del Brasile, nel sertão di Goiás e Mato Grosso, dove trovano
nuovamente molto oro. Intanto le frontiere fra i possedimenti nel Sud America delle due corone,
quella portoghese e quella spagnola, vengono ridefinite con il Tratado de Madri, firmato nel 1750.
Le idee liberali della Rivoluzione francese (1789) e dell’Indipendenza statunitense (1776) sono
accolte con entusiasmo in un ambiente già pronto a riceverle e contribuiscono a fomentare, nel
1789, uno dei più noti movimenti autonomisti del periodo coloniale, l’Inconfidência Mineira, o
Conjuração mineira, fallita grazie al fatto che uno dei partecipanti, Joaquim Silvério dos Reis, tradì gli
altri congiurati rivelando al governatore della provincia di Minas Gerais i piani della rivolta in cambio
del condono del debito che aveva con lo stato. È una rivolta che viene ben organizzata dai brasiliani
con già una struttura di stato,Questo movimento trae origine dal controllo portoghese sull’attività
mineraria e dalle esose tasse pretese anche quando la produzione aurifera comincia a dar segni di
esaurimento.
Oggi è la bandiera dello Stato di Minas Gerais. Tra i cospiratori figurano alcune delle massime
personalità letterarie del secolo, come i poeti Tomás Antônio Gonzaga (1744-1810), Cláudio Manuel
da Costa era un poeta fondamentale anche nella storia della letteratura portoghese (1729-1789), e
Alvarenga Peixoto (1744-1792), Silva Alvarenga (1749-1814) Molti di questi autori studiano in
Europa ma si sentono europei, hanno un amore per la terra in cui sono nati, non si può ancora
parlare di nazionalismo.
Traditi da uno dei partecipanti, i congiurati sono arrestati nel 1789 e condannati a morte, pena poi
commutata, quasi per tutti, con l’esilio in Africa. Joaquim José da Silva Xavier, detto il Tiradentes,
accusato di essere il capo della rivolta, sarà invece impiccato e decapitato il 21 aprirle del 1792.
Il suo corpo sarà squartato ed esposto per le strade di Vila Rica (oggi Ouro Preto) come monito per i
futuri rivoltosi. Vengono promulgate per il Brasile dalla regina portoghese D. Maria leggi ancora più
restrittive volte a controllare la circolazione di idee e a vietare qualsiasi tipo di attività produttiva,
anche artigianale, come ad esempio la produzione tessile, in che colpisce ancora di più l’economia
del paese sud-americano.
La corte portoghese in brasile e l’indipendenza
Nel 1808 il re portoghese D. João, in seguito all’invasione del Portogallo da parte di Napoleone,
decide di rifugiarsi in Brasile e si stabilisce con tutta la corte a Rio de Janeiro, rimanendovi fino al
1821. Tale evento, non certo positivo per il Portogallo, sarà per il Brasile un momento straordinario
di sviluppo. Con l’arrivo della corte, i porti si aprono alle navi straniere, vengono create industrie,
fondate scuole e università, istituite biblioteche, pubblicati libri e giornali.
Con il ritorno in Portogallo nel 1821, il Brasile rimane sotto la reggenza del figlio D. Pedro. Partito il
re, il Brasile si ritrova nuovamente colonia, perde i privilegi acquisiti, torna a dipendere
politicamente dal Portogallo. Ciò non viene accettato dai brasiliani e D. Pedro si trova a cercare di
conciliare, con misure liberali, gli interessi della colonia ribelle con quelli del Portogallo. L’iniziativa
non è apprezzata dalla Corona, che intima inutilmente a D. Pedro di far ritorno in patria. Il Portogallo
cerca in tutti i modi di imporre la propria autorità sulla colonia e sul suo reggente fino a quando D.
Pedro, esacerbato, il 7 settembre 1822 sancisce l’Indipendenza del Brasile, unico stato dell’America
Latina ad essersi staccato pacificamente dalla Madrepatria.
Il portogallo dipendeva in tutto e per tutto dall’estero in particolare dall’Inghilterra.
Nel 1824 sarà firmata la prima Costituzione brasiliana e nel 1826 il Parlamento inizia le sue attività. Il
prestigio di D. Pedro, incoronato imperatore del nuovo Stato, comincia a declinare dopo una serie di
sollevazioni e conflitti sociali che lo costringono ad abdicare a favore del figlio, allora di soli cinque
anni.
Nel 1840, all’età di quindici anni, D. Pedro II sale al trono. Il governo di Pedro II sarà segnato da un
vivace sviluppo economico e culturale e il paese conoscerà un periodo di benessere relativamente
diffuso.
La coltivazione del caffè, che si era estesa nelle province del sud, porta il Brasile sui mercati
internazionali: nel 1870 ne deteneva il monopolio mondiale. Sotto questo regno sarà dichiarata la
proibizione del traffico degli schiavi, nel 1850, e l’abolizione totale della schiavitù, nel 1888, con la
Lei Áurea, firmata dalla Princesa Isabel.
Gli schivi che vengono liberati dovevano diventare Salariados ovvero lavoratori con stipendio mentre
i Fazendeiros hanno cacciato tutti gli schiavi che lavoravano lì. La fine della schiavitù portò i
fazendeiros a incentivare l’immigrazione europea e fra il 1850 e il 1960 entrano nel paese circa
quattro milioni e mezzo di immigranti, soprattutto portoghesi, italiani, spagnoli, tedeschi e
giapponesi. Anche per cercare dei contadini disposti a lavorare in brasile ma i contadini italiani dle
nord non sono disposti a lavorare come gli schiavi, qui inizia la migrazione verso il brasile.
Lo scontento, inoltre, dei grandi proprietari terrieri nei confronti della Lei Áurea, che sconvolge
un’economia basata sulla mano d’opera schiava, contribuirà al tramonto della monarchia.
DALLA PRIMA REPUBBLICA (1889-1930) ALLO STATO NUOVO DI GETÚLIO VARGAS (1930-1945)
Il periodo che va dal 1889 al 1930, ossia quello della prima Repubblica, è economicamente
caratterizzato da un rilevante sviluppo economico, anche se la stabilità politica è messa a dura prova
da ripetute rivolte, come quella di Canudos a Bahia, nel 1897, quelle del 1923, del 1924 e quella che
porterà al potere Getúlio Vargas, nel 1930.
La crisi mondiale del 1929 ha disastrose ripercussioni nel paese e provoca il crollo dell’impero del
caffè. Con l’urbanizzazione e l’industrializzazione delle città del centro-sud, iniziano le agitazioni
operaie, i primi scioperi paralizzano il paese. Nel 1922 viene fondato il Partito Comunista brasiliano.
Nel 1930 Vargas, con il pretesto di una falsa cospirazione comunista, abolisce la Costituzione e
proclama, nel 1937, il cosiddetto Estado Novo, con il quale sono cancellati tutti i partiti esistenti.
Brutali misure repressive saranno adottate per sedare l’opposizione. Allo stesso tempo Vargas
promuove ampie riforme in vari settori, adotta misure economiche nazionaliste, consolida le leggi
del lavoro, ad esempio diritto di riposo per i lavoratori malati ecc.
Nonostante le simpatie iniziali di Getúlio Vargas per il fascismo italiano, il Brasile partecipa alla
Seconda guerra mondiale al fianco delle truppe nordamericane. Nel 1944 i soldati brasiliani
sbarcarono in Italia al fianco e operarono soprattutto nella conquista di Monte Cassino. I tanti
giovani brasiliani morti in quella battaglia sono seppelliti in un cimitero a Pistoia. I cambiamenti
interni e esterni provocati dal conflitto mondiale accelerano il processo di democratizzazione e
Vargas sarà costretto a rinunciare alla guida del governo
Nel 1946 Vargas torna alla carica e si presenta alle elezioni, prima come senatore e poi, nel 1950,
come presidente, vincendo in diciotto dei ventiquattro stati della federazione. Tuttavia i tempi sono
ormai cambiati e il suo populismo non riuscirà a resistere agli attacchi interni ed esterni. Il sospetto
di coinvolgimento nell’attentato di un suo oppositore, nel 1954, provoca un’ondata di indignazione.
Forti sono le pressioni per indurlo alle dimissioni, ma Getúlio Vargas a queste preferirà il suicidio
(rimane quindi a capo del governo dal 1951 al 1954).
Con la tragica uscita di scena di Vargas, il Brasile attraversa un periodo di crisi superato grazie alla
perizia del vicepresidente, Café Filho, che riesce a portare il paese alle elezioni del 1956, vinte da
Juscelino Kubitschek. Lui promise che nei 5 anni di elezione avrebbe fatto sviluppare il Brasile come
se fossero 50 anni in 5 e così fece. È un politico di centro sinistra con idee democratiche ma
capitaliste non comuniste, inoltre lui pensa che Rio sia una capitale facile da conquistare, visto anche
la posizione sul mare e per questo decide di cambiarla per due motivi:
Il bioma (guarda cartina brasile) amazonia è molto grande mentre del bioma mata atlantica è
rimasto molto poco. Brasilia si trova nel bioma cerrado perché è il cuore del brasile, piove poco con
piante basse e inospitali e secche che prendevano fuoco facilmente; quindi, la domanda era come
costruire una città lì? Perché Kubitschek voleva che la capitale fosse nel cuore del Brasile e che tutti
si sentissero rappresentati. Brasilia dall’alto sembra un aereo che ricorda qualcosa che va veloce
come lo sviluppo del brasile, sviluppo commerciale e scientifico in tutti i campi. Brasilia viene
inizialmente pensata per risparmiare la natura, per ogni abitante dovevano essere piantati almeno
due alberi. È un progressista.
Nei quattro anni del suo governo, Kubitschek promuove lo sviluppo tecnologico e industriale
favorendo e incoraggiando l’afflusso di capitale straniero. La regola della sua politica economica era
“cinquanta anni in cinque”, cosa che effettivamente realizzò giacché la produzione industriale crebbe
dell’ottanta per cento. Uno dei progetti fondamentali di Juscelino Kubitschek fu la creazione di una
nuova capitale, Brasilia, che inaugurò il 21 aprile 1960 e che considerava, nella modernità
avanguardista della sua architettura, la sintesi del proprio governo.
Tuttavia, se lo sviluppo tecnologico fu evidente e si formò una classe media vitale e consumistica.
L’industrializzazione non fu però uniforme e si concentrò solo nelle aree metropolitane del centro-
sud, cosa che accentuò gli squilibri regionali.
A Juscelino Kubitschek succede, nel 1961, Jânio Quadros. Questi si pone in conflitto con la linea
politica del suo predecessore e cerca anche di colpire la corruzione e l’inefficienza della burocrazia,
ma non reggerà alle pressioni e rinuncerà a favore del suo vice, João Goulart, presidente del Partito
dei Lavoratori. Goulart, per le misure che adotta, quali ad esempio il progetto di nazionalizzare le
industrie, sarà accusato di spingere il paese verso un regime socialista. Nel 1964 interviene l’esercito
con un colpo di stato e Goulart è deposto e costretto a lasciare il paese. Inizia il regime dei militari,
che durerà 21 anni.
Gli stati uniti hanno un forte interesse nel Brasile ma anche in generale nell'America latina.
Il regime dei militari
Il colpo di stato arriva nel momento in cui il Brasile si stava sviluppando di più, era un momento
molto ricco di cultura e letteratura e di scambio. Molte persone vengono arrestati tra cui professori
e studenti. La censura non era solo letteraria ma ad esempio anche per quanto riguarda gli scioperi o
la notizia dell’epidemia di meningite perché si trasmetteva solo notizie positive.
In questo periodo si sviluppa un movimento della chiesa cattolica che si chiama teologia della
liberazione che riguarda tutta l'America latina, è una teologia che nasce dal contatto diretto con il
fedele, la chiesa si è sempre allineata con il potere, e questa teologia rivendica l’avvicinamento con il
popolo e non più con il potere. Papa Francesco si forma nel periodo di questa Teologia. La chiesa
aprirà le porte durante le manifestazioni pubbliche dove la polizia inseguiva i protestanti.
La Dittatura inizia con il governo del generale Castello Branco (1964-67) che scioglie i partiti politici
e rafforza il potere del presidente. La rappresentanza politica sarà assicurata da soli due partiti
ufficiali, l’Alleanza rinnovatrice nazionale (ARENA), favorevole al governo, e il Movimento
democratico brasiliano (MDB), opposizione legale. Gradualmente il regime s’inasprisce con l’ascesa
al potere di Costa e Silva (1967-69) e Garrastazu Médici (1969-74).
Costa e Silva emana una Costituzione apertamente autoritaria, che prevede ulteriori limitazioni
delle libertà fondamentali. Viene creata una sorta di polizia parallela, i famigerati “squadroni della
morte” che impongono un clima di terrore nel paese. Si susseguono arresti di giornalisti, professori,
politici, lavoratori, studenti. La tortura diviene il principale metodo di coercizione utilizzato sui
prigionieri. Paradossalmente, l’economia viene favorita dall’ingresso massiccio di capitale straniero,
soprattutto statunitense.
A Lei n.° 6.683, de 28 de agosto de 1979, assinada por João Figueiredo, que, respondendo a uma
demanda forte da sociedade brasileira, promulgou a anistia geral aos crimes políticos cometidos
entre 2/09/1961 a 15/08/1979. O problema dessa lei, que deveria permitir o retorno dos exilados, é
que foram incluídos nela também os crimes hediondos praticados pela polícia civil e militar, tais
como as prisões arbitrárias, a tortura, os assassinatos, os desaparecimentos de pessoas, a violação
sistemática dos direitos humanos. Isso silenciou a voz das vítimas, inclusive das famílias que
buscavam por seus mortos e que nunca puderam elaborar essa perda e esse luto. O Brasil, ao
contrário dos demais países da América do Sul, que viveram nos mesmos anos ditaduras
sanguinárias, nunca esclareceu esse passado, nunca julgou e condenou os culpados, abrindo
caminho ao atual e aberrante negacionismo da história trágica daqueles anos.
Questa legge ha reso possibile a molti brasiliani esiliati di poter tornare in Brasile senza essere
arrestati.
Nel 1985, al termine di estenuanti trattative, di proteste e scioperi generalizzati, i militari lasciano il
potere. Tancredo Neves è eletto presidente della repubblica, ma muore proprio il giorno in cui
avrebbe dovuto assumere l’incarico. Gli succede il vicepresidente José Sarney, che si trova a gestire
un’economia totalmente dissestata, con un’inflazione che nel 1986 è superiore a sessanta per cento.
Nelle strade s’intensifica la violenza, si diffonde la miseria. Le misure economiche adottate dai
generali avevano aumentato il tenore di vita delle classi medio-alte, ma avevano penalizzato
significativamente quello dei ceti più deboli. Il debito estero che il Brasile si trova a gestire, eredità
dalla politica delle opere faraoniche dei militari, è uno dei più alti del mondo.
Nel 1988 si vota la nuova Costituzione democratica, che sostituisce quella imposta dall’esercito nel
1969. Sono fissate le elezioni a suffragio diretto del presidente della repubblica, vinte nel 1989 da
Fernando Collor de Mello, candidato semi-sconosciuto, appoggiato, con martellanti compagne
propagandistiche da tutti i principali canali televisivi e dai grandi potentati economici.
Nel 1992 scoppia uno scandalo che coinvolge direttamente il presidente e che svela una serie di gravi
episodi di corruzione. Il Brasile sembra precipitare di nuovo in un’atmosfera da colpo di stato, ma la
giovane democrazia regge. Si susseguono imponenti manifestazioni di piazza che portano nelle
strade di São Paulo, di Rio de Janeiro, di Belo Horizonte e di tutte le città del paese milioni di
brasiliani che quotidianamente invocano l’impeachment del Presidente corrotto. Le due Camere
incriminano Collor de Melo e lo sospendono dalla carica. Il suo posto viene preso dal vicepresidente
Itamar Franco. Nel 1994 il ministro delle finanze di Franco, Fernando Henrique Cardoso, con
l’obiettivo di controllare l’inflazione e di stabilizzare l’economia, adotta una nuova unità monetaria,
il real, in rapporto di parità col dollaro. Le sue misure economiche paiono risollevare il paese,
l’inflazione finalmente cala. Grazie a questo successo, Cardoso vince le elezioni del 1995. Accanto
alla lotta all’inflazione, Cardoso adotta una politica di privatizzazione in importanti settori
dell’economica nazionale. Viene creato il Mercosul, mercato comune tra Brasile, Argentina, Uruguay
e Paraguay, esteso poi anche a Bolivia e Cile.
Nel 1998, in un momento di profonda crisi finanziaria internazionale che si ripercuoteva
sull’economia brasiliana, Fernando Henrique Cardoso viene rieletto per il secondo mandato
presidenziale, battendo di poco il suo concorrente del Partito dei Lavoratori, Luís Inácio Lula da
Silva, più noto come Lula. La famiglia di Lula era una famiglia estremamente povera, la madre lascia
il padre e parte per cercare lavoro (in brasile c’è una grandissima diversità tra ricchi e poveri, i ricchi
sono ricchissimi e i poveri sono poverissimi), la madre fa lavori umili ma Lula ottiene una borsa di
studio per imparare un lavoro metallurgico. Lula si avvicina alle lotte sindacali, suo fratello faceva
parte del partito comunista, Lula si avvicina alla politica perché lui essendo cattolico segue la scelta
politica della chiesa che decide di stare con i più poveri e di non sostenere più i ricchi. Molti sacerdoti
vanno a vivere nelle favelas per vivere come i più poveri.
Un personaggio importante religioso cardinale di Sao Paulo è Don Paulo Evaristo Arns. Quando i
poliziotti arrestano Lulain quanto sindacalista nella sua casa, viene chiamato Don Paulo che avverte
i giornalisti ecc. Tutta la formazione politica di Lula è quindi cattolica.
Nel 2002, dopo essersi presentato per la terza volta, Luís Inácio Lula è eletto quasi
plebiscitariamente, sconfiggendo il principale concorrente José Serra e ricevendo l’appoggio di tutti i
settori del paese, incluso quello degli industriali e degli imprenditori. Inizia un periodo di grande
speranza vissuto intensamente da tutti i brasiliani, che seguono l’insediamento del nuovo governo
come l’avvenimento mediatico dell’anno. Lula decide quindi di fondare un partito progressista
perché non si sentiva rappresentato da nessun altro partito.
Il Partito dei Laboratori, di cui Lula è presidente, ha come lemma, già in campagna elettorale, “un
Brasile decente”, nel quale anche i ceti più disagiati possano avere accesso ad alcuni beni essenziali
come alimentazione, educazione, sanità. Lula farà però fatica a convincere gli elettori e capisce che si
deve alleare a partiti più centrali. Quando dice per un Brasile decente Lula intende che tanti dei
problemi brasiliani erano radicati dalla colonizzazione ovvero le famiglie che avevano avuto le terre
nella spartizione sono rimasti ricchi, Lula voleva pensare alla larga fascia di popolazione brasiliana
non ai ricchi per garantire assistenza medica e agli studi universitari anche tramite stipendi maggiori.
1. Il primo problema che Lula affronta è la fame di cui molti brasiliani soffrono, lui organizzerà
un programma chiamato “Bolsa Familia” dove si controllava la condizione delle famiglie
dove i bambini lavoravano nella strada e non andavano a scuola. Venivano dati quindi dei
soldi in base ai numeri dei figli per ogni nucleo famigliare, i soldi servivano per educare i
bambini e permettergli di andare a scuola, i ricchi iniziano però a dire facendo così non
facilitavano i poveri che in realtà intascavano i soldi senza realmente lavorare e questa idea
viene dalla colonizzazione, dei poveri che devono rimanere poveri mentre Lula pensava che
l’economia dovesse ripartire dal basso.
2. Un altro problema è che l’università era accessibile solo per le famiglie più ricche, quindi
decide di stabilire più università non solo nei grandi centri e soprattutto università finanziate
dal governo federale e non dai singoli stati. Vengono offerti dei corsi gratuiti per formare gli
studenti per preparargli ai test d’ingresso dell’università.
Lula si accolla una grande responsabilità perché il debito estero del paese è un fardello che il suo
governo eredita dai precedenti. Appena insediatosi come presidente, partecipa sia al Forum Sociale
di Porto Alegre sia al Word Economic Forum di Davos e in entrambi i convegni, davanti a platee
completamente eterogenee, ripropone il suo appello a un accordo mondiale per la pace e contro la
fame, affermando che il libero mercato presuppone la libertà e la sicurezza dei cittadini. Lula viene
invitato a questi convegni da tanti potenti capitalisti. 40 milioni di brasiliani sono usciti dalla fascia
della povertà grazie alla politica di Lula, lui svolse 2 mandati e nell’ultima elezione aveva il 75% di
gradimento, volevano che facesse anche un terzo mandato cambiando così la costituzione ma lui
rifiutò dicendo che nessuno dovrebbe stare al potere così tanto.
Per le sue umili origini, per le sue posizioni politiche, per le sue collocazioni etico-sociali, Lula
riscuote grande simpatia sia in Brasile sia all’estero ed è il leader sudamericano più popolare da
molti anni a questa parte. Nel 2011 viene eletta e diventa la prima donna alla Presidenza della
Repubblica, Dilma Rouseff il cui primo mandato va fino al primo gennaio 2015, rivince quindi il
centro sinistra.
Dilma è un’economista e ha fatto parte del governo di Lula, come Ministro delle “Minas e Energia e
da Casa Civil” ed è stata proposta come candidata dallo stesso Presidente Lula, il che ha scontentato
molti politici del suo stesso partito perché Dilma era nota come una persona integra e poco
flessibile nei rapporti con altri politici. Troverà così difficoltà a destreggiarsi in quel mondo, ma verrà
lo stesso rieletta e assumerà il secondo mandato di governo il gennaio 2015. Tuttavia, troverà un
parlamento totalmente contrario al suo governo. Non riesce così a far approvare nessuna delle sue
proposte di legge. Nel frattempo, la crisi dell’economia mondiale si fa sentire anche in Brasile e il
paese non cresce più agli stessi ritmi di prima. L’opposizione, alleata a settori importanti
dell’economia, ai grandi mezzi di comunicazioni, a settori militari e della magistratura la isolano
completamente, finché non riescono a fare approvare l’impeachment il 31 agosto 2016. Uno dei
partiti più importanti che appoggiava Dilma, smette di appoggiarla e vota per l’impeachment
violando la costituzione, si chiama appunto golpe branco in quanto non viene fatto con la violenza
ma con la violazione della costituzione, questo porterà ad altre violazioni, ad esempio la condanna a
Lula.
Questa mossa del parlamento viene vista da molti come un “golpe branco”, dato che destituisce un
presidente eletto democraticamente per una irregolarità formale nel bilancio, senza che si siano
trovate altre imputazioni. Dilma infatti non perderà i diritti civili né è stata accusata o condannata
per nessun crimine. Assume nel 2016 la presidenza il vice di Dilma Rousseff, Michel Temer, che
porterà a termine la legislatura. Nel 2018, dopo una campagna elettorale assai aggressiva, vince le
elezioni Jair Messias Bolsonaro, ex-militare, espulso dall’esercito per aver compiuto un attentato. È
l’attuale presidente del paese e il suo mandato finisce questo anno. Le prossime elezioni per la
Presidenza della Repubblica sono indette per il mese di ottobre 2022. Se si candidasse Lula
probabilmente vincerebbe, Bolsonaro ha vinto nel 2018 solo perché Lula era in carcere.
Programmi sociali che hanno subito tagli o che sono stati cancellati dal governo di michel temer e
di jair bolsonaro
Tutti questi programmi garantivano lo sviluppo brasiliani, favorendo l’economia e la ricerca.
bolsa família: la più importante che permetteva di mandare i bambini a scuola in quanto prima
dovevano lavorare per strada.
Programa minha casa minha vida: questo programma consisteva nella costruzione di case, molte
famiglie sono uscite dalle favelas anche se alcune favelas sono state urbanizzate.
Programa de aquisição de alimentos para a população de baixa renda, programa para edicação de
jovens e adultos, programa de combate à violência contra as mulheres, programa farmácia popular
ovvero medicine fondamentali che vengono pagate dallo stato, programa universidade para todos,
ecc...
Gli statu uniti hanno fortemente finanziato le dittature in Brasile, e vedevano come minaccioso
qualsiasi governo socialista o di sinistra, gli stati uniti hanno finanziato quindi militari durante la
guerra fredda. Lo stesso però accade ora con Bolsonaro in quanto il Brasile è una delle potenze del
sud del mondo, scoprendo il Prè-sal ovvero il petrolio, investire per l’estrazione richiedeva molto
denaro. Il Pre-sal è uno strato di petrolio che si trova sotto il sale che va dal nord al sud del Brasile, il
petrolio è stato però messo all’asta da Bolsonaro e non per lo sviluppo del Brasile. Viene quindi
acquistato da grandi multinazionali, molte di queste americane. Il brasile è autosufficiente per
quanto riguarda il petrlio ma i brasiliani devono pagare la raffinazione ovvero da petrolio a benzina
perché questo processo non avviene in Brasile, perciò, costa molto la benzina in Brasile.
O Pré-sal Brasileiro
A camada Pré-sal possui, aproximadamente, 800 quilômetros de extensão por 200 quilômetros de
largura, indo de Santa Catarina ao litoral do Espírito Santo. Pré-sal é o nome dado às reservas de
hidrocarbonetos em rochas calcárias que se localizam abaixo de camadas de sal. É o óleo (petróleo)
descoberto em camadas de 5 a 7 mil metros de profundidade abaixo do nível do mar. É uma camada
de aproximadamente 800 quilômetros de extensão por 200 quilômetros de largura, que vai do litoral
de Santa Catarina ao litoral do Espírito Santo. A discussão sobre a existência de uma reserva
petrolífera na camada pré-sal ocorre desde a década de 1970, quando geólogos da Petrobras
acreditavam nesse fato, porém, não possuíam tecnologia suficiente para a realização de pesquisas
mais avançadas.
Localização da camada Pré-sal Para extrair o óleo e o gás da camada pré-sal, será necessário
ultrapassar uma lâmina d’água de mais de 2.000m, uma camada de 1.000m de sedimentos e outra
de aproximadamente 2.000m de sal. É um processo complexo e que demanda tempo e dinheiro. O
petróleo encontrado nessa área engloba três bacias sedimentares (Santos, Campos e Espírito Santo),
e a capacidade estimada da reserva pode proporcionar ao Brasil a condição de exportador de
petróleo. Confirmada a hipótese, o governo brasileiro analisará a possibilidade de solicitar a adesão
do país à OPEP (Organização dos Países Exportadores de Petróleo). Vários campos e poços de
petróleo e gás natural já foram descobertos na camada pré-sal, entre eles estão o Tupi, Guará, Bem-
te-vi, Carioca, Júpiter e Iara. Tupi é o principal campo de petróleo descoberto, tem uma reserva
estimada pela Petrobras entre 5 bilhões e 8 bilhões de barris de petróleo, sendo considerado uma
das maiores descobertas do mundo dos últimos sete anos. De acordo com a atual Lei do Petróleo, as
áreas de exploração serão leiloadas entre diversas empresas nacionais e estrangeiras. As que derem
o maior lance poderão procurar óleo por tempo determinado. Conforme Haroldo Borges Rodrigues
Lima, diretor geral da ANP (Agência Nacional do Petróleo, Gás Natural e Biocombustíveis), as
descobertas do pré-sal irão triplicar as reservas de petróleo e gás natural do Brasil, a estimativa é
que a produção alcance a marca de 50 bilhões de barris. Segundo a Petrobras, a produção teste será
iniciada em 2009, no campo de Tupi. O início da produção em larga escala está previsto para 2013
ou 2014.
Por Wagner de Cerqueira e Francisco, Graduado em Geografia
Video Constituinte Indios e minerais: lui va lì e parla dicendo che gli Indios non hanno mai fatto
male a nessuno, non può costituire una minaccia per il paese. Non basta che ci sia una legge nella
costituzione per rispettare le terre degli Indios ma queste leggi devono essere rispettate (articolo
231-232).
Il real è una moneta svalutata, lo stipendio minimo è di 200 euro al mese.
Utopia selvaggia: L’Indio del Brasile: innocente Adamo o feroce cannibale? Di Vera Lúcia de Oliveira
(pdf)
Dello stesso periodo è la relazione di viaggio del cosiddetto Pilota Anonimo, probabilmente anch’egli
membro dell’equipaggio di Cabral, pubblicata nel 1507 nella raccolta Paesi nuovamente ritrovati di
Fracanzio da Montalboddo. Grazie al suo racconto sappiamo che alcuni portoghesi furono lasciati in
Brasile, questi portoghesi disperati vengono consolati dagli Indios, il pilota anonimo parla di una
curiosità reciproca, della bellezza del territorio ma anche degli stessi Indios, in questa lettera non c’è
malizia.
Altri testi importanti sugli originari abitanti del Brasile sono la Relazione del primo viaggio intorno al
mondo di Antonio Pigafetta (1480- 1534?), descrizione dell’impresa compiuta da Fernando da
Magellano nella quale l’autore dedica pagine interessanti agli indigeni americani, e le famose lettere
di Amerigo Vespucci (1454-1512) riguardanti le spedizioni spagnole e portoghesi cui prese parte il
pilota fiorentino, in particolare la lettera Mundus novus. Questo opuscolo, la cui autenticità divide
da secoli gli studiosi, fa riferimento ad un viaggio realizzato fra il 1501 e il 1502 per ordine del re del
Portogallo e rappresenta, con il suo curioso miscuglio di verità e fantasia, un punto di riferimento
costante per quanti, in seguito, entreranno in contatto con il Nuovo Mondo e con i suoi abitanti.
Gli indios e i miti
È importante sapere la storia in quanto quando i brasiliani hanno cercato di definirsi, in quanto
paese, nazione, è stato necessario ricercare le fonti delle popolazioni che vivevano in Brasile prima
dell’arrivo dei portoghesi, gli Indios tramandavano oralmente le tradizioni, avevano una oratura
non una letteratura. Le donne curavano l’agricoltura con l’idea che le donne generano vita. Le storie
e i miti degli Indios sono essenziali per conoscerli, il mito nasce dalla volontà di scoprire il mondo, è il
tipo di religione più arcaico della società per narrare la genesi, ma anche il rapporto con il regno
vegetale. Qual è stato il momento in cui l’uomo ha avuto una consapevolezza di sé? Non si sa ma si
sa grazie alla bibbia e ai libri che l’uomo ha sempre voluto comprendere cos’è la vita, com’è stato
creato il mondo(genesi) , come interpretavano le calamità naturali, terremoti, diluvi ecc.
Nei villaggi c’erano dei momenti in cui tutto il gruppo si riuniva per le narrazioni, che erano
invenzione di storie. Gli Indios erano nudi sempre proprio per il clima tropicale. I gesuiti hanno
conquistato gli Indios con la musica.
L’indio è generalmente descritto come un individuo docile e mansueto e ciò è paradossalmente
strumentale ai fini della conquista. Come rileva Tzvetan Todorov gli indigeni sembrano portatori
delle qualità cristiane che da essi si aspettavano avventurieri spinti sia dal desiderio di diffondere la
fede che dalla ben più terrena sete di ricchezza. In questo senso l’immagine di un indio trattabile e
sottomesso si accordava al raggiungimento di entrambi gli obiettivi.
Significativo in questo senso è il fatto che l’umanista portoghese Pêro de Magalhães de Gândavo
(?-?), considerato il primo storico del Brasile, nonché uno dei primi a fornire informazioni
sistematiche sulla nuova Colonia e sui suoi abitanti, raffiguri l’indio, solo pochi decenni dopo lo
sbarco portoghese, in modo particolarmente spregiativo e grottesco. Nella sua História da Província
Santa Cruz, scritta attorno al 1570, egli descrive gli indios come disonesti, crudeli e vendicativi,
sensuali e lussuriosi, più simili a bestie che ad uomini: “Vivono come bestie senza leggi né
ordinamento di uomini. Sono molto disonesti e lussuriosi e praticano i vizi come se non fossero
dotati di ragione umana”. Il cambiamento nel modo di rappresentare l’autoctono è qui dovuto alle
nuove politiche mercantili portoghesi, per le quali l’indio doveva essere inserito nell’economia
coloniale, incentrata, dalla metà del Cinquecento in poi, sulla monocultura dello zucchero.
L’immagine negativa dell’autoctono legittimava l’espropriazione del suo territorio, la sua riduzione
in schiavitù, le cosiddette “guerre giuste” attraverso le quali i coloni si procacciavano manodopera
locale.
C’è già all’interno della colonizzazione portoghese un rovesciamento, da buono a lussurioso, questo
si spiega perché i portoghesi vogliono colonizzare, ci deve essere la descrizione del territorio come
un paradiso terrestre, con frutti e acque chiare, poiché volevano che molti portoghesi partissero e
andassero in Brasile, allo stesso tempo dovevano giustificare l’espropriazione di queste terre.
Gandavo infatti lavorava per la corona e a lui non interessava veramente come fossero gli Indios
doveva solo scrivere un elaborato ufficiale.
I francesi:
I primi due visitarono il Brasile nel 1551 in seguito alla spedizione di Villegaignon che doveva fondare
nella Baia di Guanabara una colonia francese, la cosiddetta France Antarctique. Sono entrambi
osservatori scrupolosi e precisi, sebbene ci siano divergenze lampanti nelle rispettive interpretazioni
della realtà. Les singularitez de la France Antarctique, opera di André Thevet pubblicata nel 1557, e
l’Histoire d’un voyage faict en la terre du Brésil, di Jean de Léry, opera scritta attorno al 1563 e
pubblicata nel 1578, descrivono le usanze dei Tupinambá, (popolo con cui avevano già uno scambio
e quindi sapevano che non si sarebbero scontrati) il gruppo Tupi insediato nel tratto di costa che i
francesi cercavano di strappare ai portoghesi. Il racconto di Thevet è minuzioso, ma vi è evidente la
ricerca del pittoresco. L’indio interessa non tanto come individuo, quanto come curiosità, una
stravagante novità da osservare e descrivere nei dettagli. Rimasto in Brasile per sole sei settimane,
Thevet sembra a caccia di immagini tipiche da riportare, come un qualsiasi turista attirato
dall’esotico. Opposto è l’atteggiamento di Jean de Léry che visse per un intero anno fra i Tupinambá,
apprendendo la loro lingua e lasciandoci un racconto che si distingue, per acutezza e imparzialità, da
tutti gli altri del periodo. Léry osserva e descrive con cura e simpatia le manifestazioni della vita
sociale, materiale e spirituale dell’indio cercando di non farsi condizionare dai tanti pregiudizi del
tempo. Ma l’opera di Léry è importante anche perché vi è in genesi l’idealizzazione del vivere in
stato di natura dell’indigeno americano, in contrapposizione alla degenerazione dei costumi
dell’europeo. Michel de Montaigne se ne servì nella composizione del rivoluzionario Des Cannibales,
dedicato appunto agli indios del Brasile, in cui radicalizza ulteriormente questo teorema, arrivando
persino a rovesciare il modello negativo del selvaggio antropofago.
Thevet sta solo qualche settimana ed è cattolico mentre Lery sta molto più tempo ed era
protestante, quindi possiamo vedere due prospettive diverse. Thevet cerca l’elemento esotico, la
parte più diversa. Lery è molto più profondo ed anticipa la scienza dell’etimologia in quanto lui
osserva senza pregiudizi.
Hans Staden, mercenario tedesco al servizio dei portoghesi, è invece autore di un racconto che
fisserà definitivamente la caratteristica iconografia del feroce cannibale che si tramanderà come uno
dei tòpoi più stabili della letteratura brasiliana e anche europea e che sarà ora respinta ora
rivendicata dagli intellettuali del Brasile quasi come una marca di identità nazionale. Nel corso del
suo secondo viaggio in Brasile, dal 1549 al 1555, Staden fu fatto prigioniero dai Tupinambá, con i
quali visse per nove mesi, esperienza all’origine della conoscenza approfondita che ebbe degli indios
e del loro modo di vivere. La sua Warhaftig Historia, pubblicata a Marburg nel 1557, opera lucida,
essenziale e molto realistica, divenne una sorta di best seller del tempo, ripetutamente tradotta e
pubblicata in diverse lingue.
Quando gli studiosi scoprono che molti Indios sono stati uccisi se la prenderanno molto con i
portoghesi.
Informazioni importanti sugli indios possono essere trovate nella letteratura pedagogica dei gesuiti
arrivati in Brasile nel 1549 con la missione di evangelizzare gli indigeni. Nella loro opera missionaria i
gesuiti finiscono per inserirsi nel grave conflitto in atto fra coloni e indios, conflitto che è la
conseguenza più immediata dell’occupazione capillare della terra da parte dei primi. In osservanza
alla Bolla Sublimis Deus (2 giugno 1537) di Papa Paolo III che dichiarava gli amerindi uomini a tutti
gli effetti, non bestie sprovviste di ragione e anima, i 7 gesuiti cercheranno di sottrarre gli autoctoni
alle guerre, ai massacri e alla riduzione in schiavitù, riunendoli in villaggi controllati dagli stessi
religiosi. Così facendo però, se da una parte li avessero sottratti al dominio esclusivo dei coloni,
dall’altra avrebbero contribuito alla loro disintegrazione culturale.
Fra i religiosi che hanno lasciato informazioni importanti sulla vita degli indios nei primi decenni della
colonizzazione, abbiamo Manuel da Nóbrega (1517-1570), José de Anchieta (1534-1597), Fernão
Cardim (1540/1548-1625), Vicente do Salvador (1564-1636/1639), Simão de Vasconcelos (1597-
1671). Questi autori hanno descritto, a volte con dovizia di particolari, le varie tribù che abitavano la
costa dell’America meridionale: in primo luogo i Tupinambá, ma anche i Tupiniquim, i Carijó, i
Guaianá, i Gaimuré, i Potiguara, i Caeté, i Timiminó e altri. Tutti questi gruppi avevano in comune la
lingua, avevano una lingua comune.
Solo di gruppi genericamente classificati Tapuia, Cardim ne enucleò circa settantasei. Alcuni religiosi,
e fra questi citiamo soprattutto José de Anchieta e Fernão Cardim, vivendo con gli indios e
condividendo la loro sorte, instaurarono un rapporto di tipo empatico attraverso il quale poter
superare le visioni manichee che avevano caratterizzato i primi contatti con il nativo americano. Altri,
come Simão de Vasconcelos, arricchiranno il filone del feroce antropofago, esagerando la barbarie
indigena per rendere più evidenti, per antitesi, i risultati positivi della catechesi gesuitica. In queste
prime fonti informative vi sono dunque in embrione i due miti fondamentali della cultura brasiliana,
il buon selvaggio e il cattivo selvaggio, miti antagonici e complementari che percorreranno tutta la
storia di questo paese perpetuandosi fino ai nostri giorni, come afferma la studiosa Luciana Stegagno
Picchio6. Il problema di fondo della letteratura e, in senso più lato, della cultura brasiliana è stato
proprio il tipo di rapporto da instaurare con il proprio passato e con le tante figurazioni del paese e
dei suoi abitanti imposte dall’esterno, con le quali si sono dovuti confrontare i brasiliani
ogniqualvolta hanno rivendicato una propria identità e originalità.
l calcolo della popolazione presente nel 1500 in Brasile è molto controverso. Darcy Ribeiro rileva che
per molto tempo è prevalsa negli studiosi, sia portoghesi che spagnoli, la tendenza a minimizzare le
cifre per attenuare l’impatto del genocidio compiuto a danno dei popoli indigeni. Per lo studioso
brasiliano, che utilizza dati e fonti diverse per quantificare una cifra verosimile, il numero totale degli
abitanti si aggirerebbe attorno ai cinque milioni. Già lo storico John Hemming, basandosi su indizi
riportati nelle relazioni dei testimoni oculari, ipotizza che la popolazione originaria non dovesse
superare i due milioni e mezzo di individui. Tra diverse e così discordanti valutazioni, un dato appare
immutato: il calo vertiginoso che subì la popolazione del continente americano solo pochi decenni
dopo l’arrivo delle navi europee. In un primo momento gli amerindi erano apparsi agli esploratori
abbastanza omogenei, sebbene si diramassero in circa 1400 gruppi etnici (con differenze talvolta
profonde di costumi, di visioni del mondo, di strutture e organizzazioni socio-religiose), gruppi a loro
volta suddivisi in centinaia di nuclei tribali sparsi per il territorio. Per necessità di ordine pratico, ai
fini di agevolare l’evangelizzazione e la colonizzazione del territorio, i portoghesi dovettero stabilire
dei criteri di distinzione fra le diverse etnie.
Quello linguistico appare, quasi da subito, come il più preciso, mutuato dagli stessi indios costieri che
suddividevano le tribù in Tupi, la principale e la più diffusa etnia del litorale, e in Tapuia e cioè gente
di lingua oscura e sconosciuta. Era una classificazione elementare e riduttiva, successivamente
scartata dagli studiosi, sebbene sia stata adottata da missionari e colonizzatori servendo per lungo
tempo come unico principio distintivo delle popolazioni locali. Ma quello linguistico, arricchito dalle
conoscenze odierne, è ancora oggi ritenuto il criterio più idoneo proprio perché il patrimonio
linguistico di un popolo, rispetto agli altri aspetti della sua cultura, è conservato più tenacemente.
Secondo il linguista Aryon Dall’Igna Rodrigues, i principali gruppi di indios in Brasile appartengono ai
grandi tronchi Macro-Tupi, formato da sette famiglie linguistiche (Tupi-Guarani, Mundurukú, Jurúna,
Arikém, Mondé, Ramaráma e Tuparí) e Macro-Jê, la cui costituzione è ancora in parte ipotetica, ma
che sarebbe formato anch’esso da numerose famiglie (Jê, Purí, Botocudo, Maxakalí, Kamakã, Karirí,
Masakará, Yatê, Bororo, Ofayé, Guató, Rikbatsá). Oltre a questi, ci sono altri raggruppamenti di
lingue appartenenti alle famiglie Karíb, Aruák e Arawá e alcune famiglie linguistiche minori e isolate.
Lo studioso calcola che in Brasile esistano oggi circa 170 lingue indigene diverse, ma che nel
Cinquecento questo numero fosse assai più elevato, forse più del doppio di quello attuale. Al
momento dello sbarco portoghese, i popoli di matrice linguistico-culturale Tupi occupavano da
qualche secolo la zona costiera del paese, avendo scacciato i gruppi che vi erano prima insediati. Le
conoscenze lasciateci dai cronisti riguardano dunque soprattutto le tribù appartenenti alla grande
famiglia Tupi-Guarani, sia per l’enorme estensione di territorio che essa occupava, sia perché fu
quella con la quale ebbero maggior contatto fin dall’inizio della colonizzazione. Il tupi fu in Brasile la
lingua di uso corrente fino al XVIII secolo e si diffuse molto più del portoghese poiché funzionava
come lingua di comunicazione non solo fra indios e portoghesi, ma anche fra gruppi indigeni diversi.
Questa língua geral, chiamata anche nheengatu, era in realtà il tupi sistematizzato dai gesuiti nei
primi decenni della colonizzazione per facilitare la catechesi e il rapporto con i nativi.
I Tupi-Guarani
Il rapporto con la storia è presente sia nella letteratura portoghese che nella letteratura brasiliana
perché l’autore è sempre in un certo senso legato alla storia, a volte sono legati non solo al passato
ma anche al futuro, in questo caso si tratta di Distopia. La letteratura portoghese è una letteratura
che nei secoli è nata come poesia cantata (de amor e de amigo), la lirica de amigo è una delle più
antiche probabilmente più della lirica provenzale. In portogallo è un paese dove si ama
immensamente la poesia. Pessoa ha fatto un percorso di dispersione che forse non sarebbe stato
possibile in Brasile, nel tentativo di allargare la coscienza e di sviluppare le contraddizioni. In Brasile
c’è bisogno di coesione sociale in quanto gli autori devono gestire tanti popoli con tante identità,
quindi, non c’è tempo di concentrarsi sull’io e sulla coesione interna ma sulla società e come si possa
vivere tutti insieme in armonia.
Nel modernismo brasiliano nasce un nazionalismo per coesione ovvero che non nega l’altro ma
cerca di definire chi sono ma con il contributo di tutti, perché tutti sono brasiliani. I migranti hanno
trovato difficoltà nell’adattamento. Il modernismo è dettato da situazioni etniche culturali. Gli
intellettuali brasiliani sono strettamente legati alla società e cerca di dare risposte e delle coesioni
che fossero comuni a tutti.
I brasiliani nel romanticismo trovano i documenti dei portoghesi ma non possono usarli perché
giustificavano la colonizzazione rappresentando gli indios in un modo non corretto quasi come se
non fossero esseri umani. Come tutti i popoli europei durante la colonizzazione. Nei libri di storia
brasiliani si calcolano 6 milioni di Indios ma nei libri di storia portoghesi e spagnoli si riduce questo
numero perché sono problemi legati al ridimensionamento della storia e venire a patti con essa,
pensare che i portoghesi non si sono comportati troppo bene.
“La parte più interessante del capitolo è la descrizione delle popolazioni che abitano le nuove terre
occupate da spagnoli e portoghesi, genti primitive e illetterate che Guicciardini descrive in modo un
po' ingenuo come "animali mansueti" privi dei vizi più pericolosi della civiltà occidentale, come
l'avarizia o l'ambizione, e perciò facile preda della conquista militare da parte dei nuovi arrivati che
approfittano della loro imperizia militare e del grado di arretratezza culturale. L'autore riprende e in
parte anticipa quella retorica del "buon selvaggio" che troverà spazio in tanti trattati e scritti del
Cinquecento, in alcuni dei quali si teorizzava la purezza (o, al contrario, la malignità) dei popoli
amerindi, ma si interroga anche sulle implicazioni religiose e in materia di salvezza che tale scoperta
propone, dal momento che questi popoli non sono stati evangelizzati e non hanno la minima notizia
degli insegnamenti religiosi che, sulla base del Salmo 18.5 e di altri testi sacri, si credeva diffusi in
tutto il mondo.”
Non sappiamo che testi Guicciardini ha letto, da dove abbia avuto le informazioni, ad un certo punto
parla della questione religiosa, ciò che distingueva l’uomo dalla bestia, i gesuiti usavano questa idea
per convincere i coloni. I gesuiti volevano riunire tutti gli indios dal 1550 così da non dover muoversi
di territorio in territorio. I gesuiti hanno buone intenzioni e hanno l’obbiettivo di rendere più facile
l’evangelizzazione per stabilire un elemento che rendesse difficile la cattura di questi indos e
conseguentemente la mancanza di libertà.
Il brasile nasce come paese colonizzato da cui portare via le ricchezze, che verrà solo dopo con l’oro,
ma inizialmente gli indios non solo vengono tolti dal loro territorio ma vengono anche usati per la
manodopera. I Gesuiti creano i villaggi e raggruppando gli Indios fanno un errore grave ovvero gli
indios non avevano gli anticorpi come gli europei e anche solo un'influenza poteva essere fatale. Si
racconta di villaggi dove tutti si ammalavano improvvisamente, il che fu tragico perché l’intento era
di proteggere le popolazioni. I colonizzatori quando capiscono questa cosa la useranno contro gli
Indios per farli ammalare in quanto bastava che uno fosse malato per infettare tutti.
Il rapporto che avrà l’Europa con il nuovo mondo, le nuove nazioni (vogliono essere chiamate così) è
interessante, per quanto riguarda la religione, gli Indios non sanno niente della venuta di cristo e
questa parte verrà censurata. I gesuiti vanno anche a capire e ad interagire le popolazioni, sono
aprti, apprendono le lingue perché alla fine sono intellettuali. Fino al Settecento si parlava sia il
portoghese che la lingua locale, ovvero un bilinguismo.
THEVET, André, Les singularitéz de la France Antarctique (ed. orig. Paris, 1558). Trad. port. di E.
Amado, As singularidades da França Antártica, Belo Horizonte e São Paulo, Itatiaia e Ed. da USP,
1978. Una delle fonti che analizzeremo per curiosità ed onestà intellettuale.
I gesuiti parlavano con gli Indios con una lingua chiamata nheengatu, ovvero Lingua Gerao in quanto
hanno cercato di prendere gli elementi comuni e generali in tutte le lingue.
Gândavo
Il Brasile nasce dall’esterno, da una storia che viene raccontata da altri, GÂNDAVO, Pêro de
Magalhães de, Tratado da Terra do Brasil (1570) - História da Província Santa Cruz (1576) --->
Gnadavo è uno scrittore, intellettuale che fu uno dei primi che scrisse sul Brasile ma scrive per
giustificare la colonizzazione e deve giustificare anche alla sua coscienza il dominio. Quando i
Brasiliani si domandano chi fossero, capiscono che la storia va scritta da dentro, immagini interiori di
una società che con tanta fatica e accettazione dell’altro desidera costruire una nazione dove hanno
una propria identità, si cerca una coesione sociale e nazionale. E quindi quando iniziano a descrivere
quello che sono si scontrano nella documentazione dei coloni e quindi iniziano a definire chi sono
dicendo ciò che loro non sono, smontando dei meccanismi biologici che i coloni hanno usato per
giustificare i genocidi. È uno scontro di due punti di vista diversi, questa questione si pone durante il
Romanticismo.
Le questioni che si sono posti nel 1522 si pongono anche oggi, pensando agli Indios che lottano per
avere una voce e la libertà. Ci sono scrittori che non rinnegano la loro origine Indios ma parlano
perfettamente portoghese. Quindi i letterati brasiliani ricercano la documentazione europea sul
Brasile.
Bartolomé de las casas: Brevissima relazione della distruzione delle indie
Questo libro denuncia tutte le violenze fatte dai coloni, sia dai portoghesi sia dagli spagnoli. È un
autore importante per la chiesa.
Papa Paolo III nel 1537 firma la Bula Papale “Sublimis Deus” (bolla papale), il titolo è l’inizio della
bolla “sublimis Deus”, in questa bolla il Papa dice ai colonizzatori che i popoli non sono animali ma
persone che possono capire la fede. Questo discorso è molto moderno, chi è contro la parola di Dio
dice che i coloni sono animali mentre il Papa dice che lui parla in nome di Cristo. Il Papa con questo
documento prende una posizione la chiesa cattolica, è un messaggio per tutta l'Europa, lui dice che
bisogna rispettare e riconoscere i popoli, rispettare le proprie proprietà. I Cristiani però non hanno
seguito la bolla papale, ma usano ideologie per interpretare la fede di Dio.
I gesuiti non hanno conquistato gli Indios, li hanno rispettati perché si sono accorti che loro
seguivano in un certo senso il vangelo. Gli Indios erano nomadi ma erano agricoltori in quanto loro
intuivano che la foresta è fragile, loro creavano un villaggio con delle case collettive dove vivevano
insieme ma non provocano un danno alla foresta la proteggono.
I paolisti sono coloro che sono responsabili dei confini attuali del brasile, sono poveri ma agguerriti e
arriveranno a minas gerais (miniere generali) dove inizialmente troveranno l’oro, infatti, ci sono città
che si chiamano Oro preto, nomi che richiamano la storia del Brasile.
Cambiamento radicale dopo la scoperta dell’oro, infatti si sposta l’asse d’importanza del territorio e
il sud est diventa essenziale.
Le piantagioni di zucchero erano estremamente faticose e c’era bisogno di tantissimi schiavi, infatti,
la struttura lavorava 24h su 24h. Allo schiavo veniva dato un nome portoghese. Gilberto Feyer parla
della condizione degli schiavi. A Sao paolo cerano queste case grandi dove vivevano gli schiavi dove
nacquero le prime ribellioni. Lo spazio in comune tra le case veniva usato come spazio di
integrazione, la società brasiliana è nata lì, da quella integrazione.
Religione e lingua: Agli schiavi era proibito praticare la loro religione. Si parlavano o la lingua
portoghese e la nuova lingua (bilinguismo in Brasile) ma gli schiavi capendo che la lingua del potere
era il portoghese imparano quello per necessità. Nell'apprenderlo in questo modo lo modificano e
formano quello che poi sarà il portoghese brasiliano. I bambini bianchi stavano spesso con le donne
nere e crescevano con loro, in questa interazione con le donne la comunicazione affettuosa genera
dei diminutivi tipo pequenininho ovvero aggiungono al diminutivo portoghese ad un altro
diminutivo. Si creano le religioni afrobrasiliane che nascono dagli africani che fingevano di aderire al
cattolicesimo ma in realtà univano caratteristiche della loro religione. si sviluppano anche sport
come la capoeira che è stata originata come arma in risposta all’attacco. La danza la musica, e la
lingua forma elementi di 3 popoli, portoghesi, Indios e africani.
Il monumento aos banderiantes è un monumento che si trova a Sao paolo e rappresentta la
bandeira che era una fila di persone con a capo una con una bandiera con un santo protettore o una
protettrice.
C'è una corrente che dal romanticismo arriva al modernismo che si chiama uffismo (??) che è
nazionalismo che guarda la storia in modo critico e vede la colonizzazione come un incontro pacifico
e un’incorporazione tra Indios e colonizzatori. Quindi il passato viene idealizzato.
Il mito: per l’Indio ogni cosa ha una madre, gli Indios attribuivano vitalità anche alle cose inanimate,
lui non è mai separato dalla natura, è un'unione insieme a tutti glia altri esseri. La natura stessa serve
a risolvere i problemi è un dialogo con tutto l’universo. A noi sembra un approccio primitivo ma per
loro è lo stesso. Loro hanno la consapevolezza del ciclo della vita. Anche il ciclo della notte e del
giorno è cambiato con l’avvento dell’illuminazione. Mentre gli Indios vivono secondo il ritmo
naturale. Per noi il tempo è un continuo, una linea cronologica continua, mentre per loro è un
circolo, si nasce si muore circolarmente. Gli Indios sembrano poveri, primitivi e arcaici ma gli studi
biologici e fisici più recenti dimostrano che loro avevano capito alcune cose prima di noi, cose che
noi attraverso la scienza ci stiamo arrivano solo ora. Molti ricercatori cercano di studiare le
conoscenze indigene sulla natura molte volte appropriandosene.
Gli Indios e la sessualità:
Per quanto riguarda gli aspetti sessuali, gli indios sono sempre pessimamente rappresentati. Si
afferma che il matrimonio per loro non aveva alcun valore e che essi si accoppiavano a caso e senza
divieti, dove e quando volevano:
“Usano il coito indifferentemente, senza aver riguardo alcuno di parentado: il figliuolo usa con la
madre, e ’l fratello con la sorella; e ciò fanno pubblicamente come gli animali brutti.
Similmente rompono i matrimoni secondo che lor piace, perciocché sono senza leggi e privi di
ragione. In un breve paragrafo, per due volte gli indios sono definiti come animali che non
conoscevano l’uso della ragione. Tuttavia, se tali comportamenti sessuali sembravano giustificabili
negli uomini – poiché loro, in effetti, erano come “animali brutti” – lo stesso non avveniva in
relazione alle donne che, paradossalmente, avrebbero dovuto aver moralità anche “senza leggi e
privi di ragione”.
In realtà la poligamia negli Indios era ammessa ma molto rara, le famiglie non erano numerose, in
media di 4 persone perché la difesa della famiglia se numerosa sarebbe stata difficile, il divorzio era
ammesso e non era visto come qualcosa di drammatico. La verginità non era un valore, i giovani
avevano libertà sessuale, ma c’erano divieti rigidi all’interno della famiglia, il concetto di famiglia era
allargato.
Vespucci non è certamente l’unico a dedicarsi al tema. Tutti i cronisti – a cominciare dal portoghese
Pero Vaz di Caminha, autore del testo considerato l’atto di nascita del Brasile, la Carta do
Achamento – dimostrano grande interesse per le donne indigene e possiamo immaginarne il motivo.
Provenienti da un ambiente repressivo in relazione al corpo e alla sessualità, la visione di donne
completamente e innocentemente nude è sembrato qualcosa di sbalorditivo, di straordinario. Il
fatto, oltretutto, che nelle comunità Tupi-Guarani i giovani di entrambi i sessi avessero libertà
sessuale fino al momento del matrimonio (e che evidentemente non considerassero la verginità un
valore, come lo era per i cristiani), diede adito all’interpretazione negativa dei costumi sessuali delle
donne, descritte da molti come lascive e dissolute (e si noti che lo stesso non è avvenuto per quanto
riguarda gli uomini).
Altri cronisti, come Jean de Léry e Claude d’Abbeville, cercheranno in seguito di correggere tale
visione. Nell’opera Histoire d’un voyage faict en la Terre du Brésil, autrement dite Amérique,
pubblicata nel 1578, Léry affermerà:
“Vorrei rispondere a quanti affermano che la convivenza con questi selvaggi nudi, soprattutto con le
donne, inciti alla lascivia e alla lussuria. Ma dirò che, nonostante le opinioni in contrario, sulla
concupiscenza provocata dalla presenza di donne nude, la nudità grossolana delle donne è molto
meno attraente di ciò che generalmente si immagina. Gli ornamenti, i belletti, i posticci, i capelli
arricciati, i colletti di pizzo, le crinoline, le sopravvesti e altre bagattelle del genere con cui le donne di
qui si adornano e di cui non si stancano mai, sono la causa di mali incomparabilmente maggiori di
quelli che può provocare la nudità abituale delle indiane, le quali, ciononostante, nulla debbono alle
altre in termini di bellezza.” Le donne non cercano quindi di sedurre.
Nella stessa linea si pone, pochi decenni dopo, il francescano Claude d’Abbeville:
“Molti pensano che sia cosa detestabile vedere questo popolo nudo, e pericoloso vivere fra le indias,
poiché la nudità delle donne e ragazze non può che costituire un oggetto di attrazione, capace di
gettare chi le contempla nel precipizio del peccato. In verità tale costume è orribile, disonesto e
bruttale, però il pericolo è più apparente che reale, e molto meno pericoloso è vedere la nudità delle
donne che le attrattive lubriche delle mondane di Francia. Sono le indias così modeste e discrete nella
loro nudità, che in loro non si notano movimenti, gesti, parole, atti o cosa alcuna offensiva allo
sguardo di chi le osserva; oltretutto sono molto riguardose dell’onestà del matrimonio, nulla fanno in
pubblico suscettibile di causare scandalo”.
Gli Indios non avevano né fede né leggi né re?
Quanto alla struttura societaria, ai primi cronisti europei sembrò che gli indios non avessero nem fé,
nem lei, nem rei, espressione che compare in modo quasi identico in autori come Gândavo, Thevet,
Gabriel Soares, Ambrósio Fernandes Brandão, Vicente do Salvador e altri ancora. Ma che gli indios
non avessero religione, leggi o sovrani, non era del tutto vero. Essi possedevano un’organizzazione
sociale e politica diversa o, se vogliamo, rudimentale rispetto a quella europea, dotata comunque
di proprie leggi e di una guida che in tempi di pace era esercitata da un consiglio di anziani e in tempi
di guerra da un capo tribù che assumeva il controllo delle operazioni belliche. Il comportamento
individuale era regolato da un rigido codice di condotta, con norme da osservare nelle varie
circostanze della vita sociale. I più giovani tenevano in gran considerazione le opinioni dei più
anziani. Se succedeva per caso che un indio uccidesse un altro membro della stessa tribù, i parenti
della vittima provvedevano a giustiziare immediatamente l’assassino. Ciò comunque era raro,
come affermano diversi cronisti, poiché si cercava accuratamente di non sollevare scintille che
potessero portare a lotte fratricide. Non c’era quindi il perdono come nella concezione cristiana,
hanno più il principio della vendetta che però è una legge. Il concetto dell’inferno europeo ha
terrorizzato l’Indios che non la concepiva perché considerava la morte come un rientrare nella
natura.
Per quanto riguarda la religione, gli indios avevano credenze di tipo animistico. Riferisce Thevet ne
Les singularitez de la France Antarctique:
“I selvaggi di questo luogo menzionano un Grande Essere, il cui nome nella loro lingua è Tupã,
credendo che questi viva in alto e che faccia piovere e tuonare. Non conoscono, tuttavia, un modo
per offrire a lui onori o preghiere, né possiedono luoghi riservati al culto“.
I missionari credettero di poter identificare Tupã con il concetto che i cristiani avevano di Dio, ma fu
una scelta infelice perché Tupã era per gli indios una sorta di genio malevolo, di demonio che
controllava i tuoni e i fulmini. Si può immaginare lo sconcerto degli indios dinnanzi alla bizzarra
associazione Dio cristiano-demone tupi e le sue possibili conseguenze su popolazioni che stavano
subendo un violento processo di disgregazione culturale proprio in nome del cristianesimo. Le
cerimonie funebri degli indios erano lunghe e complesse. Tutta la comunità si riuniva e il morto era
seppellito e poi compianto per molti giorni. Insieme al morto erano seppellite le sue armi e i suoi
utensili. Parenti e amici si avvicendavano presso la tomba e, per tutto il periodo del lutto,
mangiavano solo al calar del sole.
Gli Indios e la morte:
Le cerimonie funebri degli indios erano lunghe e complesse. Tutta la comunità si riuniva e il morto
era seppellito e poi compianto per molti giorni. Insieme al morto erano seppellite le sue armi e i suoi
utensili. Parenti e amici si avvicendavano presso la tomba e, per tutto il periodo del lutto,
mangiavano solo al calar del sole, le donne non si tagliavano i capelli per il lutto.
La guerra:
I Tupi erano straordinariamente bellicosi. Le varie tribù, divise da antiche rivalità, vivevano in un
cronico stato di guerra e si combattevano ferocemente con archi e frecce. La guerra non aveva come
obiettivo la conquista di ricchezze o di territori, (perché la terra è di tutti) ma serviva per vendicare i
torti subiti e per uccidere o catturare nemici per le cerimonie antropofaghe. Gli indigeni, afferma
Jean de Léry, assalgono “solo le nazioni nemiche delle quali si debbono vendicare”.
I nemici catturati: (solo gli uomini andavano in battaglia, le amazzoni sono frutto della fantasia
europea) I nemici catturati venivano uccisi in complicati rituali di gruppo che potevano durare
diversi giorni ai quali partecipavano non solo i membri della tribù, ma anche invitati che arrivavano
da molto lontano. Il nemico era tenuto prigioniero per un certo periodo, che poteva durare qualche
mese o addirittura anni, durante il quale era trattato quasi come un ospite. Era libero, sebbene fosse
sorvegliato con discrezione dai membri della tribù. Gli veniva data una compagna con la quale
viveva fino al giorno designato per l’uccisione rituale. A volte avveniva che la donna s’innamorasse
del prigioniero, agevolandone la fuga, come successe a molti portoghesi. Ma scappare sarebbe stato
un forte disonore.
Nel giorno deciso per la cerimonia si organizzavano grandi festeggiamenti ai quali partecipava anche
il prigioniero come uno dei tanti commensali, nonostante fosse consapevole della sua prossima fine.
Dopo che si era cantato e mangiato per sei o sette ore, il prigioniero veniva preso senza che
manifestasse resistenza e ucciso con una gran clava di legno. Il corpo era tagliato e distribuito a
tutta la comunità, tranne che all’uccisore, che si ritirava in disparte e digiunava, dovendo osservare
una serie di prescrizioni e di divieti, pena la vendetta dell’anima del morto. In seguito a questo
cerimoniale, il carnefice aggiungeva al suo un altro nome. Racconta Hans Staden, che ebbe
occasione di assistere ad alcune di queste cerimonie nei nove mesi in cui fu tenuto prigioniero fra i
Tupinambá, rischiando di fare la stessa fine: “Il loro onore consiste nell’aver catturato e ucciso molti
nemici. È usanza che uno si dia tanti nomi quanti sono i nemici da lui ammazzati, e i più importanti
fra loro sono quelli che hanno parecchi di tali nomi”. Bevevano mentre mangiavano il Caium.
I riti cannibaleschi furono senz’altro quelli che più impressionarono gli europei, che se ne servirono
(anche contro popolazioni che non li praticavano affatto) come pretesto per decretare guerra senza
quartiere ai nativi. Indubbiamente non era facile comprendere comportamenti ritenuti feroci e
bestiali, sebbene alcuni osservatori non rinunciassero a cercarne i moventi profondi, rilevando che i
nativi non mangiavano la carne umana per fame, come si potrebbe supporre, ma per spirito di
vendetta nei confronti dei nemici.
I Tubinanbas che ci sono ancora oggi non praticano più queste tradizioni, non è più il loro modo di
vivere.
Video: nel video possiamo vedere un uomo Indio, che parla dell’importanza di preservare la cultura
degli Indios. La loro foresta è fragile, loro non avevano costituito città, attuando una cosa simile a
quella europea, ma loro erano nomadi, proprio per salvaguardare la natura.
Aldcia Ianomani: Loro fanno delle capanne aperte all’interno ma coperte. Al centro avvengono gli
incontri per le storie, le cerimonie ecc. È lo spazio vitale del gruppo.
La figura dell’Indio
I romantici ricercando le fonti devono decidere quale rappresentazione di Indios devono scegliere
come antenato, non l’Indios descritto dai portoghesi, perché non ci sono fonti attendibili e fedeli ma
l’Indios descritto come Buon selvaggio che è comunque mitizzato perché l’indio non è buono né
cattivo è semplicemente un uomo il cattivo selvaggio secondo i portoghesi è qualcuno che ha lottato
contro i colonizzatori che si sono opposti al portogallo. Gli Indios avevano una religione che era
incentrata sulla natura, Dio era la natura per questo non avevano un templio, un luogo di culto
perché la natura che li circondava era un luogo religioso. Un rispetto profondo verso la natura e gli
animali. (Stefano Mancuso è uno scienziato che fa degli studi sulle piante e il loro sistema nervoso).
Gli Indios hanno una grandissima conoscenza sulla natura.
La letteratura brasiliana inizia con un NON sono così decostruendo l’immagina falsata dei
colonizzatori. Da oggetto i brasiliani diventano soggetto.
Molte nazioni europee vivono la stessa situazione d’identità nazionale come nel caso del Brasile.
Gli intellettuali del XIX secolo non videro l’indio per come era realmente, un individuo con
un’identità culturale, con una visione originale del mondo. Soprattutto, gli scrittori spesso
trascurarono e persino omisero nelle loro opere i gravi problemi che dovevano affrontare le
popolazioni indigene nella lotta per la sopravvivenza fisica e culturale. L’indio era per loro l’icona,
l’immagine idealizzata di colui che avevano eletto come progenitore nazionale.
Seppure con sfumature e peculiarità molto diverse da autore ad autore, questi modelli e schemi
finiranno per condizionare tutto l’Indianismo romantico. Solo raramente troveremo nelle opere di
questa corrente letteraria l’indio come un individuo a tutto tondo. Accettare e difendere
un’immagine dell’indio in carne e ossa significava non solo dover ripensare al significato dell’intera
colonizzazione portoghese (cosa non difficile in quel momento), ma, e qui cominciano i problemi,
rivedere e mettere sotto accusa anche lo sterminio che la società nazionale continuava a compiere
contro la popolazione amerindia, ridotta drasticamente in soli tre secoli, tanto che lo stesso
Gonçalves Dias, nel poema Os Timbiras, afferma che canterà i riti, le feste, le battaglie del povo
Americano, agora extinto (sott. nostra)[1]. E José de Alencar, a proposito del romanzo indianista O
Guarani, scrive:
“In O Guarani, il selvaggio è solo un ideale, che lo scrittore tenta di poeticizzare, denudandolo della
scorza grossolana nella quale lo avevano avvolto i cronisti, e strappandolo dal ridicolo che su di lui
proiettano i resti abbrutiti della quasi estinta razza.” (sott. nostra)
Queste brevi annotazioni sul tragico sterminio degli indios, quasi en passant nell’opera dei due
scrittori più rappresentativi dell’Indianismo, da una parte confermano la drammaticità dei fatti
storici e dall’altra sono la spia della distanza che intercorreva fra questa realtà storica e quella
idealizzata in letteratura.
I primi secoli della colonizzazione furono, come è noto, un periodo di eccidi, interi villaggi indigeni
furono bruciati e spazzati via dalla furia dei coloni che entravano nella foresta a caccia di mano
d’opera a buon mercato. La stessa corona portoghese non ha potuto a lungo ignorare tale
situazione, visto che i racconti di questa strage arrivavano attraverso le proteste dei gesuiti che,
dediti alla catechizzazione degli indios, avevano preso a cuore la loro sopravvivenza. Ma le misure
palliative adottate dal re del Portogallo non furono in grado di arginare lo sterminio in atto a danno
della popolazione locale, sterminio che continuò per secoli.
Ecco l’altro aspetto di questa operazione di sublimazione del passato negli intellettuali romantici.
Difficile sarebbe stato per questi figli di portoghesi vedere la storia del Brasile quale essa era stata ed
era, e cioè un violento scontro fra due culture, due popoli, uno dei quali già quasi completamente
distrutto.
L’indio, come si è visto, era già entrato nella letteratura nel periodo Barocco, negli scritti religiosi
funzionali all’evangelizzazione. Ritorna poi nelle varie scuole letterarie, sebbene acquisti rilevanza
soprattutto nel Romanticismo, in cui l’esaltazione dell’indigena andava di pari passo con
l’affermazione del sentimento nazionalistico. Il Romanticismo brasiliano si articolò in vari filoni, ma
qui ci interessa la seconda fase, detta Indianista, che va dal 1840 al 1850, dominata appunto da
Gonçalves Dias (1823 - 1864) e José de Alencar (1829 - 1877). Nelle loro opere l’indio divenne
“esperienza, nuova e affascinante”, grazie alla superiorità dell’ispirazione e delle risorse formali di
questi due autori.
Eppure, nonostante la parentesi indianista, la visione della realtà brasiliana si farà più netta solo dal
1860 in poi, con Casto Alves (1847-1871), nelle cui opere il Romanticismo assumerà un carattere
sociale, rivoluzionario, impregnato di preoccupazione politico-sociale. Ed è proprio per questa
maggiore aderenza a tutti i diversi aspetti della società che Castro Alves aggiungerà al binomio
sociologico indianista (formato dal bianco e dall’indio) l’altro importante elemento di questa realtà, il
negro africano.
Anche i primi romantici, afferma Luciana Stegagno Picchio, avevano sentito l’antinomia oppresso-
oppressore, ma in modo idealistico, individuando fra l’altro nell’indio “il polo antibianco della realtà
sociologica brasiliana”. Castro Alves, al contrario, ha avuto il merito di riportare in primo piano il
dramma del negro schiavo, sradicato con violenza dal suo continente per essere stritolato
dall’ingranaggio coloniale del nuovo mondo, costretto a sostenere la monocoltura latifondista del
Brasile fino quasi alle soglie del ventesimo secolo (l’abolizione della schiavitù è del 1888).
Castro Alves si muove però in un contesto molto diverso rispetto al primo Romanticismo, contesto
nel quale si preannunciavano nella società i fermenti di quella profonda innovazione strutturale che
si verificherà con l’abolizione della schiavitù e con l’avvento della repubblica. L’Indianismo, al
contrario, si è affermato in un momento di stasi politica che coincide con il consolidamento del
potere imperiale e dell’unità territoriale del Brasile, durante la prima parte del regno di Pedro II
(1840 - 1870).
Il Romanticismo ha avuto così il merito di aver messo l’indio in primo piano, ma lo ha fatto in modo
distaccato e talvolta artificioso. Fare letteratura nazionale in quel momento era rappresentare nelle
opere ciò che era specifico del paese, il paesaggio e l’aborigeno, ma il come farlo non era altrettanto
definito. In effetti gli autori del periodo in relazione alla tematica nativista hanno approcci diversi e
spesso contradditori. Se José de Alencar, nonostante la coscienza critica che lo caratterizza, finisce
per fornirci un’immagine esaltata dell’indio, diversa è la visione di Gonçalves Dias, per il quale
l’adesione all’universo autoctono è più convincente e profonda, anche perché egli era figlio di
un’india e poteva meglio capire il dramma della colonizzazione, vista da un’angolazione diversa da
quella ufficiale[1].
Nell’opera di Gonçalves Dias troviamo i grandi temi del Romanticismo quali la natura, l’amore
impossibile, la patria, la religione. Le Poesie americane[2], forse la parte più nota della sua opera,
rappresentano un singolare momento in cui si focalizzano aspetti e valori autentici della vita
indigena. C’è un soffio di partecipazione vitale in questi testi e anche quando il poeta idealizza
l’autoctono non lo fa mai per “ignoranza della psicologia specifica dell’indio, ma in parte per
simpatia, in parte obbedendo ai canoni estetici del tempo; senza intaccare l’emozione che palpita,
bella e convincente”[3] nei versi:
“Che viaggiasse attraverso il Rio Negro o abitasse a Parigi, o a Coimbra, o a Dresda, l’indio risiedeva
dentro di lui; nel suo sentimento, nella sua immaginazione poetica (...) gli stava in corpo, gli
alimentava la personalità. Era una forza segreta, in stato di legittima difesa. Il suo indio delle poesie
liriche o epiche era indio vero, e non indio da cartolina postale.”
Gonçalves Dias si distaccherà da altri scrittori indianisti perché, aldilà delle idealizzazioni, riesce, con
la sua grande sensibilità poetica, a sfuggire al meccanicismo della semplice trasposizione di strutture
ideologiche all’interno della sua opera. E vi riesce proprio quando, e perché, abbandona le
generalizzazioni e si avvicina di più alla realtà. Traspare in molti dei suoi testi il dolore e la
partecipazione vera del poeta al trauma di una nazione, quella Tupi, che vede la distruzione del
proprio universo e il suo annientamento fisico. Qui si sfugge, grazie alla genialità del poeta, alla
visione del sistema, secondo la quale l’incontro fra le due etnie sarebbe stato positivo per entrambe,
avendo portato alla fusione e alla nascita di una nuova cellula sociologica e culturale, quella
brasiliana. In questo testo traspare, al contrario, anche l’accusa della voracità dell’uomo bianco,
apolide e capace di tutto pur di ottenere ricchezze. Occorre in questo caso, attraverso la poesia, una
rottura col sistema ideologico dominante, anche se questo potrebbe non essere stato nelle
intenzioni del poeta.
Il romanticismo:
Coincide con l’indipendenza (1822), arriva in Brasile perché gli intellettuali brasiliani viaggiano e
leggono libri europei, ci sono i contatti. Durante il 17esimo secolo gli autori brasiliani, che avevano
studiato alla prestigiosa Università di Coimbra in Portogallo, si richiamavano agli stili del barocco
europeo. Dopo il 1822 gli autori brasiliani non furono più costretti a delinearsi a modelli stranieri
anche se continuarono a risentire dell'inevitabile influenza della contemporanea cultura europea.
I romantici brasiliani, nutriti degli ideali di Rousseau e di Chateaubriand, si ispirarono alla storia
locale, celebrando la magnifica natura del proprio paese, dai paesaggi incontaminati e maestosi.
Il primo insigne romantico Antonio Goncalves Dias rinnegò le origini portoghesi e rivendicò,
attraverso un simbolico avo indigeno, l'appartenenza al Brasile. José de Alencar, portavoce di una
sensibilità comune nell'ambiente intellettuale, fu un altro grande autore che si ispirò alla vita delle
popolazioni indie, soprattutto nei romanzi 'O Guarani' e 'Iracema', condannandone la condizione di
schiavitù.
Quando i Brasiliani iniziano a cercare la propria identità iniziano dalla concezione europea che era
centrale mentre il brasile era più periferico. Montaigne è il primo filosofo umanista che elabora un
diverso rapporto con l’altro, in questo caso l’altro è l’Indios, da lì si arriva a Rousseau anch’egli un
filosofo romantico che basa la sua idea sul fatto che la società corrompe; quindi, il buon selvaggio
non è corrotto dalla società ma è in contatto con la natura. Rousseau parla del rapporto su come
bisogna educare i bambini, senza punirli mai. Nell'800 i brasiliani hanno a che fare con due miti:
1. Cattivo selvaggio: nelle descrizioni portoghesi ma anche Vespucci. Con informazioni false.
2. Buon selvaggio: parte da una informazione diretta e concreta fatta dai cronisti e ripresa dai
filosofi come Montaigne. Influenza anche gli autori francesi con l’idea di identità, natura e
l’uomo in contatto con essa, un’Io forte con la sua identità. Ci sarà una corrente del
romanticismo che si chiamerà Indianismo.
I romantici optano per il mito del buon selvaggio e lo elaborano nella letteratura. Nell'Indianismo
l’Indios diventa un elemento centrale. I modernisti fanno la scelta opposta, i romantici elevano
l’Indios come il simbolo del Brasile mentre i modernisti partiranno dal fatto che sia la definizione del
buon e cattivo selvaggio vengono dall’esterno non dal Brasile, non volevano essere rappresentati da
un indios passivo che hanno accettato la religione ecc., ma loro volevano come simbolo il selvaggio e
ha lottato e combattuto contro i colonizzatori. Partono da quello che non si è per decolonizzare il
Brasile, ma come fanno tutti i paesi colonizzati.
José de Alencar (1829- 1877)
José Martiniano de Alencar (Messejana, 1º maggio 1829 – Rio de Janeiro, 12 dicembre 1877) è stato
un politico, scrittore, giornalista, e avvocato brasiliano.
Considerato una figura chiave nella formazione dell'identità culturale brasiliana, fu politico ed
esponente di primo piano del romanticismo, con una produzione letteraria che annovera novelle,
drammi e romanzi a tema storico e sociale, spesso con riferimenti alla cultura indigena della sua
terra (la più famosa tra le sue opere, paragonabile a I promessi sposi per valore letterario, intitolata
O Guarani ("Il Guarani") ottenne un enorme successo all'epoca della pubblicazione).
La sua famiglia era benestante e gli ha offerto un’ottima educazione, è uno degli scrittori che darà
vita all’Indianismo. Figlio di un politico, José Martiniano Pereira de Alencar, crebbe seguendo gli
spostamenti del padre, che per incarichi vari era costretto a spostarsi nel paese. Nel 1844, a 15 anni,
lasciò Rio per recarsi a São Paulo e frequentare un corso preparatorio alla facoltà di Diritto.
Proseguì gli studi nel 1847 ad Olinda, ma tre anni più tardi tornò a São Paulo, dove si laureò.
Cominciò ad esercitare la professione di avvocato a Rio, alla quale attività univa quella di giornalista.
Nel 1855 diviene direttore del giornale Diário do Rio de Janeiro, e fu in queste pagine che, a puntate,
pubblicò il suo primo romanzo, Cinco Minutos (Cinque minuti). Il successo letterario gli arride nel
1857 con O Guarani, romanzo storico ambientato nel XVI secolo, durante il periodo della
colonizzazione portoghese. Il romanzo affronta le tematiche della nascente cultura brasiliana in
contrapposizione a quella portoghese, e i rapporti con la popolazione indigena (i Guaraní sono indios
sudamericani).
Contemporaneamente, José de Alencar si impegnava politicamente come membro del Partito
Conservatore, essendo eletto quattro volte deputato nel suo Stato natale, il Ceará. Nel 1868 gli viene
affidato l'incarico di Ministro della Giustizia. Il suo impegno politico subisce però un brusco declino
nel 1870, quando a causa di dissapori con l'imperatore Pedro II, si disaffeziona da tale impegno.
Scrive principalmente narrativa, si pone le questioni:
1. Cos'è la letteratura brasiliana?
2. Com'è essere brasiliano?
Non è il solo, la società brasiliana indica negli scrittori il compito di scoprire l’identità brasiliana, c’è
un fortissimo legame tra letteratura e società.
La riabilitazione romantica dell’indio
Fasi del romanticismo: (aggiungi da pdf)
1. La prima è la fase dell’”INDIANISMO” (1836 - 1852) e gli autori più importanti sono José de
Alencar e Gonçalves Dias.
Principali caratteristiche della prima fase: nazionalismo, Indianismo, amore per la natura. Identità
nazionale, molti scrittori ripescano nel passato, non solo in Brasile. L'Indianismo è la corrente più
importante per il modernismo brasiliano. L'indianismo è l’unico aspetto completamente brasiliano e
non influenzato dall’Inghilterra o la Francia. (1836-1852)
2. La seconda è quella del “ULTRA-ROMANTISMO” (1853 - 1869). Gli autori più importanti
sono Álvares Azevedo, Casimiro de Abreu, Fagundes Varela.
Principali caratteristiche: sentimento esacerbato dell’io, isolamento, idealizzazione del sentimento
amoroso, amore impossibile. La seconda fase non inizia nel 1852 ma si unisce all’Indianismo.
3. La terza fase è quella del “ROMANTISMO SOCIAL” (1870 - 1880). L’autore più importante è
Castro Alves.
Principali caratteristiche: critica sociale, lotta per l’abolizione della schiavitù in Brasile. Qui si
aggiunge un altro elemento ovvero la partecipazione e la lotta politica dell’autore. Il movimento
abolicionista è un movimento che ha unito molto il popolo contro la schiavitù.
Tutte e tre le fasi sono notevoli passi per il Brasile, il quale non voleva costruire un paese totalmente
distaccato dall'Europa, loro si definivano la periferia del mondo occidentale. Molti intellettuali
brasiliani studiano e si formano in Europa.
Furono gli scrittori e gli intellettuali romantici ad avviare per primi una seria rilettura dei testi chiave
del periodo coloniale. Il sentimento nativista che dall’inizio della colonizzazione si era via via
manifestato nei coloni nati o cresciuti in Brasile si trasformerà, nel periodo romantico, in
indipendentismo e in anti-lusitanismo. Molte delle cronache e dei trattati del passato diventano così,
per questi intellettuali, la testimonianza e la memoria viva della prepotenza subita, documenti che
confermano i pregiudizi con cui gli europei avevano sempre visto e rappresentato gli americani.
José de Alencar, personalità di rilievo dell’Indianismo romantico, entra in aperta polemica con i
cronisti:
“Gli storici, cronisti e viaggiatori della prima epoca, e forse dell’intero periodo coloniale, debbono
essere letti alla luce di una severa critica. È indispensabile soprattutto depurare i fatti comprovati
dalle facezie con cui li motteggiavano e dai giudizi ai quali li assoggettavano spiriti ristretti, troppo
imbevuti di un’ispida intolleranza”. Distinguere quelli che scrivono con pregiudizi basati
sull’intolleranza verso gli Indios e altri che invece parlano senza pregiudizi.
C’è in Alencar la chiara intenzione di passare al vaglio critico quelle descrizioni aliene del Brasile e dei
suoi abitanti. Egli attuerà, attraverso la sua opera letteraria, una vera e propria esegesi degli autori
che hanno lasciato documentazione sulla storia dei primi contatti fra indios ed europei. Ma non solo.
Farà anche una cernita fra tali autori, accettando solo le interpretazioni che gli sembrarono meno
inquinate da preconcetti. Nel suo romanzo O Guarani [1857], Alencar afferma:
«il selvaggio è un ideale che lo scrittore cerca di rendere poetico, denudandolo della crosta
grossolana con la quale lo avvolsero i cronisti». Lui usa la parola selvaggio come colui che viveva
nella selva ma anche selvaggio come abitante del brasile senza connotazione negativa. Lui cerca di
fare una lettura in cui lui depurerà i testi cercando solo quelli più veritieri cercando di valorizzare la
figura dell’Indios. Auto valorizzarsi come paese. Alencar riceve molte critiche dagli intellettuali
brasiliani dell’epoca perché il suo Indio sembra un eroe medievale dei testi europei, ci sono molte
inesattezze grossolane nel suo testo.
Era il periodo dei romanzi che uscivano un po' alla volta, lui scrive un romanzo storico O Guarani che
narra la storia di un selvaggio e di una donna portoghese.
Periodi del romanticismo:
1. Nazionalismo (dove la figura dell’Indios è protagonista)
2. Urbano
3. Regionale
4. La figura dello schiavo
L’autore intenta poetizar, in altre parole correggere, un’immagine che, secondo lui, sarebbe stata
distorta. Tale programma si inserisce nel clima di surriscaldato nazionalismo che si respirava in
Brasile subito dopo l’indipendenza del 1822. Ricercare le radici della propria storia e valorizzare il
passato era, lo si è detto, un modo per rimarcare la frattura con l’ex-madrepatria. L’influenza del
Portogallo dopo tre secoli di colonizzazione era profonda e radicata e non era facile, da un momento
all’altro, definire una propria identità, preoccupazione che non a caso, da allora in poi, ossessionerà
gli scrittori brasiliani.
Se nella fase coloniale c’erano state manifestazioni di orgoglio nativista e programmi di autonomia
rispetto alla madrepatria (pensiamo agli arcadi, ad esempio), la verità è che la vita intellettuale e la
produzione letteraria e artistica erano ancora improntate a parametri tipicamente portoghesi. Solo
durante il periodo romantico questo quadro comincerà effettivamente a cambiare. Il processo di
differenziazione assumerà il peso di un progetto politico, poiché il Romanticismo svolgerà, in
ambito culturale, il ruolo che l’indipendenza svolse in campo politico. Gli stessi modelli letterari e
artistici portoghesi saranno sostituiti da altri, soprattutto da quelli francesi. A questo proposito è
stato sottolineato da Alfredo Bosi quanto la ricerca di altre fonti ideologiche, non-portoghesi e non-
iberiche, rappresenti già una rottura cosciente con il passato.
È tuttavia insopportabile il vuoto di una storia che si rifiuta: per colmare tale lacuna i romantici
vanno a ripescare antenati autoctoni nelle cronache del XVI e XVII secolo, la «quasi estinta razza»,
quegli indios Tupi trovati dagli europei sulla costa Atlantica sudamericana, ma ormai, nel XIX secolo,
quasi decimati. L’identificazione con l’indio è il risultato, come afferma Antonio Candido, della
«tendenza genealogica» che si diffonde in Brasile subito dopo l’indipendenza, è l’ansia di avere
radici, di poter dimostrare la stessa dignità storica dei vecchi paesi. Secondo questa tendenza, si
scelgono nel passato locale gli elementi adeguati ad una visione nativista, ma una visione che cerca
comunque di avvicinarsi agli ideali e alle norme europee. L’indio adempirà perfettamente a tale
funzione, sia perché è l’abitante nazionale per eccellenza, l’unico a poter vantare radici autoctone,
sia perché sarà sublimato e trasformato dai romantici nel «buon selvaggio».
In realtà il selvaggio non è né buono né cattivo, è semplicemente un essere umano. Non è il vivere in
una società che rende cattivo l’uomo ma altri fattori e caratteristiche. Il romanticismo è nazionalista
per necessità, per comprenderà cos’è essere nazionale.
Anche il Brasile veniva così ad avere un suo passato araldico, una sua storia nobiliare. Il
Romanticismo in Brasile si protrasse dal periodo che va dal 1836 al 1880. Si articolò in almeno
quattro filoni diversi, fra i quali spicca l’Indianismo, momento fecondo di riflessione sulla cultura e
sulla letteratura nazionali, legato alla natura e alla terra, in cui l’indio sorge come tema letterario
dominante. Vero è che, nonostante la centralità che vi assume tale figura, l’immagine che ne viene
fuori è quasi sempre stereotipata. Sfugge, in parte, alla mera convenzione letteraria un personaggio
chiave del periodo accanto a José de Alencar (1820-1877), considerato il primo grande poeta del
Brasile.
Vediamo ora, brevemente, l’intreccio di queste tre opere indianiste:
In O Guarani, del 1857, il racconto si sviluppa attorno alla lotta disperata di Don Antônio
Mariz e dei suoi uomini sia contro gli indios Aimoré che contro i mercenari, avventurieri
assoldati per la difesa del suo casato ma che gli si erano ammutinati. Sarà questa una lotta
impari ed eroica. Vi si evidenzia la figura straordinaria di Peri, guerriero guarani capace delle
più grandi imprese e dei più nobili sacrifici per salvare Ceci, la figlia diletta di Don Mariz, della
quale è devotamente innamorato. Romanzo simbolico, esso rappresenta l’unione fra i due
popoli che secondo l’autore sono i progenitori della nuova nazione brasiliana (è interessante
osservare come in tali ricostruzioni storiche il nero non venga mai nominato).
La proposta di Alencar è che la cellula del Brasile è quella costituita sia dall’Indios sia tra portoghesi,
chiaramente prende la cellula come valida per tutto il Brasile, ma in altre regioni non è così. I modi
che usa Peri sono tipici cortesi e l’amata è bianca e bionda quindi una bellezza estremamente
europea. In questo caso è un incontro tra Indios e portoghesi non uno scontro.
Iracema, del 1865, è un’opera anch’essa altamente simbolica, di argomento storico-
indianista. Racconta la fondazione del primo insediamento portoghese nel Ceará, nel Nord-
est del Brasile. Iracema, india di origine tabajara s’innamora di Martim, lo straniero bianco
venuto da lontano, per il quale romperà il legame con la sua stessa tribù. Da quest’unione
nascerà un bambino che sarà chiamato Moacir, figlio del dolore.
È un amore impossibile che non viene accettato né dai portoghesi né dagli Indios, in questo caso c’è
quindi un incontro e scontro tragico.
Ubirajara, pubblicato nel 1874, racconta a sua volta il processo di raggiungimento della
piena maturità di un indio di stirpe araguaia che, da cacciatore, diviene guerriero, poi capo
tribù. L’eroe acquisisce un nome ad ogni cambiamento di ruolo o di funzione all’interno della
società indigena. Jaguarê, il cacciatore, diventa Ubirajara, il guerriero, quando vince in
combattimento il terribile avversario Pojuçã. Lo stesso Ubirajara, dopo tutta una serie di
peripezie in cui dovrà sostenere delle lotte per conquistare una sposa, passerà a essere
Jurandir, colui che dovrà guidare due tribù alleate, gli Araguaia e i Tocantins. Alencar, come
si può vedere, compie qui un percorso a ritroso, giacché Ubirajara, l’ultima opera della serie
indianista in ordine di pubblicazione, figura, per la cronologia dei fatti narrati (avvenimenti
precedenti l’arrivo dei portoghesi), come la prima del ciclo.
Ubirajara è costruito in modo che il testo sia diviso in due, in una parte romanzo, in una parte delle
note per aiutare il lettore a comprendere meglio.
I portoghesi criticarono Alencar per l’uso della lingua portoghese nei suoi testi perché è atipico, usa
soltanto elementi concreti per descrivere la realtà brasiliana. La frase suona strano perché lui cerca
di plasmare il portoghese secondo il pensiero degli Indios usando anche alcuni termini del Tupi,
anche le metafore sono strettamente brasiliane e si riferiscono a come loro vivevano. È molto lirico.
E fra il primo e l’ultimo dei libri indianisti, possiamo riscontrare nell’autore notevole riflessione e
approfondimento teorico. Lo scrittore dialoga, attraverso il denso apparato delle note che
accompagnano le tre opere, con gli autori che hanno per primi descritto le popolazioni indigene. La
sua intenzione è di indagare sulle radici della nazionalità e di tracciare un profilo completo nel tempo
e nello spazio del paese, cogliendo le diversità regionali all’interno dell’unità nazionale. I suoi venti
romanzi, divisi in quattro gruppi (urbani, storici, indianisti e regionalisti) sono la concretizzazione di
questo progetto. Alencar aveva una forte coscienza del ruolo della letteratura e della funzione
sociale dello scrittore, essendo stato anche uno dei primi a difendere un registro linguistico
nazionale del portoghese, lingua che per molti versi si era già distinta da quella usata in Portogallo.
Nel primo romanzo della serie indianista, O Guarani, l’autore sostanzialmente condivide la visione
tradizionale sull’autoctono che si trova nelle pagine di viaggiatori, coloni e gesuiti. A mano a mano
che procede nello studio di tali popolazioni, egli tuttavia si discosta da quelle configurazioni che gli
sembrano poco aderenti alla realtà.
Nella prefazione al libro Ubirajara Alencar afferma con notevole anticipazione (se pensiamo alle tesi
propugnate dal gruppo dell’Antropofagia all’inizio di questo secolo): Occorre ancora rilevare che due
categorie d’individui fornivano informazioni sugli indigeni: quella dei missionari e quella degli
avventurieri. In lotta l’una contro l’altra, entrambe si trovavano d’accordo su un punto, quello di
raffigurare i selvaggi come bestie umane. I missionari esaltavano così l’importanza della loro
catechesi; gli avventurieri cercavano di giustificare la crudeltà con la quale trattavano gli indios.
Forse per le critiche ricevute all’inizio, cioè di parlare senza cognizione di causa, soprattutto dopo la
pubblicazione di O Guarani, forse per una sua maturazione personale (per scrivere Iracema egli
studiò a fondo la lingua tupi), Alencar compie effettivamente un passo notevole di avvicinamento al
significato originale di molti costumi amerindi, al modo degli indios di percepire la realtà, di
rapportarsi con la natura e con l’universo circostante.
Iracema è in questo senso un capolavoro di sintesi ed equilibrio. È una lenda, una fiaba, come l’ha
definita l’autore, un simbolo della bellezza, dell’innocenza, del coraggio eroico e del modo quasi
epico di vivere di un popolo tragicamente scomparso dopo l’arrivo degli europei. Nelle tre opere
indianiste di Alencar, la narrazione procede su due livelli, quello letterario propriamente detto e
quello che possiamo definire di tipo critico o storico-etnografico.
In quest’ultimo, in particolar modo, l’autore si preoccupa di informare dettagliatamente il lettore,
attraverso l’apparato delle note, sull’etimologia dei termini tupi utilizzati nel testo, sul significato
dei miti eziologici, sui costumi degli indios cui fa riferimento e sulle fonti da cui ha attinto.
(Alencar non è un indigeno e una critica è proprio il fatto che non più immedesimarsi (lugar de fala)
ma in realtà la letteratura è il luogo dove puoi essere un altro. Yucenar ha scritto “le memorie di
Adriano”, in questo romanzo lei diventa Adriano, ma essendo una donna secondo il lugar de fala non
avrebbe dovuto farlo, lei riesce in realtà non solo a rappresentare un uomo ma una universalità
dell’essere umano.)
Soprattutto, in queste note, Alencar si sforza di riabilitare la figura dell’indio, contestando tutte le
informazioni che giudica basate su pregiudizi e sull’incapacità dei cronisti di spogliarsi della propria e
limitata prospettiva:
“Questo semplice elemento basta a dare un’idea della moralità dei tupi e a rendere giustizia riguardo
alle menzogne dei cronisti che, non comprendendone i costumi, hanno finito per attribuire loro
gratuitamente quanto gli esploratori mal informati e prevenuti inventavano.”
L’equilibrio fra i due piani, quello letterario e quello critico, su cui si fonda la struttura delle tre
opere, cambia via via che Alencar approfondisce gli studi sulle popolazioni amerindie. In O Guarani
le note compaiono in maniera breve e sporadica; sono di carattere storico o riguardanti la flora e la
fauna. Le critiche mosse ai cronisti abbracciano aspetti periferici della cultura indigena. Gabriel
Soares de Souza è l’autore più citato da Alencar, ma aleggia nel testo anche il racconto di Hans
Staden, soprattutto le sue descrizioni della cattura e morte del prigioniero presso i Tupinambá,
cerimoniale che Staden conobbe di persona e dal quale sfuggì quasi per miracolo. Ma O Guarani
contiene gravi errori etnografici come quello, ad esempio, di attribuire agli Aimoré i costumi degli
indios Tupi . In Iracema le note aumentano numericamente e si arricchiscono qualitativamente. Tra
gli autori più citati troviamo ancora Gabriel Soares de Souza, al quale si aggiungono Jean de Léry,
Yves d’Évreux, Gonçalves Dias, José de Anchieta, Simão de Vasconcelos. Molte note sono di carattere
linguistico. Alencar aveva studiato lungamente la lingua tupi, nella convinzione che «la conoscenza
della lingua indigena fosse il miglior criterio di nazionalizzazione della letteratura»14 . Tale
conoscenza, aggiunge, «svela non solo lo stile, le immagini poetiche congeniali all’aborigeno, ma
anche i modi del suo pensiero, le tendenze del suo spirito, e persino le più piccole ed elementari
particolarità del suo vivere». Di fatto, attraverso la conoscenza del tupi, Alencar è riuscito a
penetrare la cosmologia simbolica e mitologica dell’indigeno utilizzando questi elementi per
costruire un’opera che si distingue, per qualità estetica, da tutta la produzione indianista del
periodo. In Ubirajara l’apparato delle note è tale da occupare quasi la metà del testo. I due discorsi,
letterario ed etnografico, proseguono paralleli e il primo non è che l’illustrazione e l’esemplificazione
del secondo. In realtà, il libro è un trattato di etnografia, aggiornato e puntiglioso, tanto che il ritmo
del racconto risulta spezzato dalle troppe interruzioni delle note. Il lettore a un certo punto si trova a
dover fare un’opzione: o seguire il testo letterario, o seguire quello etnografico, tant’è l’interferenza
dell’uno sull’altro.
Fra le tre opere indianiste, Ubirajara è quella dove la polemica alencariana nei confronti dei cronisti
raggiunge i toni più aspri. Egli contesta il concetto che essi avevano della moralità indigena, della
religione, delle guerre fra le tribù, dell’istituto del matrimonio, del significato dell’antropofagia.
Passa al vaglio critico ogni aspetto delle loro descrizioni, lamentando la mancanza, in quei tempi, di
osservatori imparziali e con «viste meno strette» che avessero potuto lasciare documenti più
attendibili:
“Un popolo che manteneva le tradizioni alle quali ci riferiamo non era certamente una massa di
bruti, degni del disprezzo con il quale furono trattati dai conquistatori. E anche se attraverso l'oro
false valutazioni, una qualche verità poté arrivare fino a noi, cosa non sarebbe avvenuto se spiriti
meno imbevuti di preconcetti e di visioni meno ristrette, vivendo fra queste nazioni primitive, si
fossero dedicati allo studio delle loro credenze, tradizioni e costumi.”
Nulla sfugge al minuzioso esegeta che è Alencar. Riguardo ai gesuiti, egli afferma che più di tutti essi
avevano avuto la possibilità di realizzare un serio studio sull’universo indigeno, ma che non fecero
altro che esagerare la ferocia e l’ignoranza di questi per rendere indispensabile la catechesi.
Nelle tre opere il testo a piè di pagina è pertanto assai rilevante, giacché in esso si configurano le
correlazioni, implicite ed esplicite, con gli storici e i cronisti dei secoli precedenti. Ma è nel testo
letterario che si concretizza la nuova visione dell’indio, così come se lo figurava l’autore. Una
visione che non corrisponde alla verità dei fatti, come vedremo, ma che non concorda nemmeno con
l’indio dei modelli di riferimento. In realtà Alencar creò su basi più leggendarie che storiche, come
afferma Heron de Alencar, «il mondo poetico ed eroico delle nostre origini». Nel comporre la nuova
iconografia dell’autoctono quale simbolo della nazionalità, Alencar utilizza le suggestioni
etimologiche e mitologiche proprie della lingua e della cultura indigena, cercando di rappresentare,
in particolar modo in Iracema e in Ubirajara, il mondo secondo una diversa prospettiva. Il racconto è
fatto in terza persona, ma è come se il narratore avesse adottato il modo di rapportarsi alla natura e
al mondo circostante caratteristico del silvicolo. Il linguaggio in queste due opere è poetico, denso ed
essenziale.
Le numerose similitudini e comparazioni utilizzano solo elementi dell’universo aborigeno, i
sentimenti sono semplici ma intensi, la natura partecipa ai drammi dei protagonisti come se fosse
dotata di anima propria. Alencar cercò di ricreare, in portoghese, le caratteristiche sostanziali del
linguaggio indigeno, altamente plastico, tellurico, animistico. In O Guarani Alencar non aveva
ancora raggiunto una tale sintesi ed equilibrio. Il suo eroe Peri è solo un frutto della fantasia, non ha
niente di verosimile. Tutte le sue virtù fisiche e morali sono potenziate e le sue azioni o imprese
sembrano dettate da codici comportamentali che somigliano più a quelli dei cavalieri dell’Europa
medievale che a quelli dell’indigeno americano dell’inizio del XVII secolo. Possiamo ricordare, al
riguardo, la lealtà di Peri verso Don Antônio, che nel romanzo è l’incarnazione del perfetto castellano
feudale.
O ancora si potrebbe citare l’amore rispettoso e devoto del giovane guarani per Ceci, la sua dama,
della quale porta i colori (l’azzurro e il bianco) nelle armi e negli ornamenti come nella più pura
tradizione cavalleresca medievale. Nonostante queste limitazioni, e proprio perché in Alencar si
verifica un percorso di approfondimento e di riflessione, possiamo affermare che egli arriva ad
anticipare l’intertestualità modernista giacché le sue opere, attraverso le tecniche dell’allusione,
delle citazioni e del vero e proprio collage, stabiliscono un rapporto di correlazioni oggettive con i
modelli di riferimento storici ed etnografici. Trattatisti, viaggiatori, coloni e gesuiti sono
continuamente chiamati in causa, riattualizzati, servono da sfondo, da serbatoio di informazioni, da
fonte di ispirazione, da base per contestazioni radicali.
A senhora altra opera di Alancar, parla di una donna indipendente per il tempo.
L’indio romantico, anche quello di Alencar, è il «buon selvaggio» di Rousseau, cantato dai poeti
francesi a partire dalla seconda metà del XVI secolo (con Ronsard e i poeti della Pléiade). Gli scrittori
romantici, come si è visto, nell’affanno di rinnegare qualsiasi apporto che potesse anche solo
ricordare il ruolo di subalternità avuto rispetto al Portogallo, sostituiscono i modelli letterari
portoghesi con quelli francesi. Per quanto paradossale questo possa sembrare, e nonostante
avessero l’indio praticamente sull’uscio di casa, i romantici importano quello infrancesato,
sublimato, depurato da tutto ciò che avrebbe potuto scandalizzare la sensibilità cattolica e
perbenista del secondo Impero.
È inevitabile che tale indio non corrisponda più a quello descritto da Caminha, da Léry, Vespucci o
Thevet. E non gli corrisponde perché quella mitica visione (ed è mitica già per i cronisti) dell’uomo
naturale «senza fede, né legge, né re» era stata rielaborata in termini filosofici a partire da
Montaigne. In altre parole, era già escoimada, ossia ripulita da rozzezze incompatibili con la teoria
della bontà naturale dell’uomo. Alencar avverte che c’è uno scarto fra le due concezioni e opta per la
seconda, quella dell’indio ingentilito e idealizzato, certamente a lui più congeniale. A questo
proposito, Afonso Arinos è lapidario:
“Qui si vede che, anche nel terreno ideologico, il Brasile non sfuggiva al suo destino di nazione
coloniale e di mercato di consumo. Da qui uscivano per l’Europa le materie prime con cui si
fabbricavano le future dottrine, e di là ritornavano trasformate, per nostro uso, sotto forma di articoli
importati”.
È paradossale che proprio il romanticismo segni, in modo ancora più evidente, lo scarto che si è via
via maturato fra il reale e l’immaginario, fra l’indio vero (o il nero, fin troppo reale) e l’indigeno
mitizzato e idealizzato nelle opere indianiste. La letteratura romantica rispecchia un momento di
forti tensioni e trasformazioni anche a livello ideologico, di mutamento di coscienze, vissuto da un
paese che, se nella pratica ha raggiunto l’indipendenza politica, nella sostanza è ancora troppo
legato al Portogallo e all’Europa.
*Alencar è consapevole che il problema fondamentale degli scrittori brasiliani è quello di costituire
una propria letteratura, sintonizzata con la realtà di un paese appena uscito dalla condizione
coloniale, di cultura ibrida e non totalmente delineata negli aspetti fondamentali. Egli stesso si
adopererà per gettare le basi di questo nuovo sistema, rendendo concreti, di fatto, in molte sue
opere, quella nuova poesia e quel linguaggio originale che auspicava all’inizio della sua carriera
letteraria.
Per tutto ciò, il Romanticismo è, insieme al Modernismo, uno dei momenti chiave del processo di
formazione e di autocoscienza della letteratura brasiliana. Già Mário de Andrade aveva evidenziato
la similarità fra queste due scuole estetico-letterarie, che in Brasile si distinguono da tutte le altre
proprio per «lo spirito rivoluzionario». Se queste ultime erano state essenzialmente accademiche,
l’essenza del Romanticismo e del Modernismo è di rottura con il passato e di contestazione della
dipendenza passiva nei confronti dell’Europa. Esistono, tuttavia, differenze importanti di
impostazione fra i due movimenti. I modernisti vanno ben più lontano dei romantici in questa
frattura, come vedremo di seguito.
Gonçalves Dias [1823- 1864]
Di origini multietniche, il padre João Manuel Gonçalves Dias era portoghese e la madre Vicência
Ferreira era mamelucca, compì studi in filosofia prima di trasferirsi in Portogallo per frequentare
l'Università di Coimbra e laurearsi in diritto. Dal 1854 al 1858 fu mandato dal ministero degli Esteri
in Europa con un incarico culturale e diplomatico. Rientrato in patria, fondò la rivista Guanabara
assieme a Joaquim Manuel de Macedo. Nel 1863, durante un suo soggiorno in Portogallo, tradusse
alcune opere di Friedrich Schiller e di Heinrich Heine. Nel 1862, si recò in Europa per cure mediche.
Non ottenendo risultati fece ritorno in Brasile il 10 settembre 1864. Dal 1854 al 1858 fu mandato dal
ministero degli Esteri in Europa con un incarico culturale e diplomatico. Rientrato in patria, fondò la
rivista Guanabara assieme a Joaquim Manuel de Macedo. Nel 1863, durante un suo soggiorno in
Portogallo, tradusse alcune opere di Friedrich Schiller e di Heinrich Heine. Nel 1862, si recò in Europa
per cure mediche. Non ottenendo risultati fece ritorno in Brasile il 10 settembre 1864. Il 3 l 3
novembre, la nave francese "Ville de Boulogne", in cui si ovembre, la nave francese "Ville de
Boulogne", in cui si trovovava, fece naufragio vicino al faro di Itacolomi, sulla costa del Maranhão,
dove morì affogato.Intrava, fece naufragio vicino al faro di Itacolomi, sulla costa del Maranhão, dove
morì affogato.
Intraprese il mestiere di insegnante a Rio de Janeiro nelle materie di storia e latino, fino a quando gli
venne assegnata una ricerca sullo stato dell'istruzione pubblica nel suo Paese: questo incarico gli
consentì di viaggiare in lungo e in largo in Brasile, raggiungendo le province più lontane e quelle più
arretrate. Uomo dotato di una vasta preparazione culturale e umanistica, una volta avvicinatosi al
Romanticismo europeo, riuscì a realizzare una riuscitissima miscela tra la grande epica ed il dolce
lirismo. È considerato il maggior esponente del romanticismo brasiliano e della letteratura
tradizionale conosciuta con la definizione di Indianismo. Fu un appassionato ricercatore di linguaggi
e folclore dei nativi brasiliani.
Gonçalves Dias era figlio di padre portoghese e di madre cafuza, meticcia di negro e indio. Il poeta si
autodefiniva frutto dell’incontro fra le tre etnie costitutive del paese:
1. l’europea,
2. l’africana
3. l’india.
Per questa circostanza di carattere biografico, nonché per l’eccezionalità delle sue doti poetiche,
l’Indianismo in lui è intimo e viscerale: come nessun altro prima o dopo, scrive Manuel Bandeira, egli
ha saputo far vivere veramente l’indio nella letteratura brasiliana. Dias parla della fine del mondo, la
fine del suo mondo. Perché quando arrivano i portoghesi il suo mondo finisce, la loro casa e la loro
religione. È un autore che affronta anche il tema dell’amore, quasi sempre infelice, lo scontro dell’IO
incompreso, in dissidio con il suo mondo.
Dias non cresce con la madre perché il padre lo riconosce purché venga educato da lui stesso in un
contesto urbano però lui rimane sempre legato alla cultura degli Indios, qui il concetto di lugar de
fala è legittimo, lui si sente in lotta con la società dell’epoca perché veniva visto come un meticcio.
Antônio Gonçalves Dias (1823 –1864), è quindi un poeta, etnografo, professore, figlio di un
commerciante portoghese e di madre cafuza, cioè meticcia di negro e indio, fu dal padre allontanato
dalla madre a soli sei anni, quando questo si sposa con un’altra donna. Nonostante il trauma, il
bambino rivela precoci e spiccate doti per le lettere e più tardi si laurea in diritto all’Università di
Coimbra. Viaggia per lavoro in Europa e compie anche innumerevoli missioni scientifiche all’interno
del Brasile, in sperduti villaggi indigeni, per studiare diversi gruppi. Nel 1851 si innamora di una
ragazza, ma vede negata la sua richiesta di matrimonio per le sue origini meticce. La sua tendenza
alla malinconia, legata alle vicende personali, si accentua. Per capire la poesia di Gonçalves Dias non
si può non tenere presente la sua vita. La perdita dell’affetto materno durante l’infanzia, l’amore
impossibile in gioventù, l’infelice matrimonio di convenienza, i pregiudizi che ha dovuto subire in una
società classista, la salute precaria, tutto ciò entra nei suoi versi e vi lascia un segno importante. La
sua opera comprende poesia lirica ed epica, studi etnografici, storici, linguistici, rapporti scientifici,
traduzioni. Gonçalves Dias è uno dei poeti più letti, amati e studiati del Brasile. Anche le sue ricerche
etnografiche sono molto apprezzate dalla comunità scientifica.
Manuel Bandeira afferma che Dias era un autore coltissimo e conosce benissimo la lingua, è un
portoghese che non ha nulla a che fare con il portoghese europeo.
Dias usa la prima persona, lui può perché si sente frutto di tre popoli che hann o dato origine al
Brasile.
Quanto a José Alencar, che abbiamo visto assai critico nei confronti delle interpretazioni arbitrarie
dei costumi aborigeni, bisogna aggiungere che egli comunque non riesce a sfuggire alla generale
tendenza idealizzante dell’autoctono. Gli studiosi hanno spesso sottolineato che l’indio, nelle sue
opere, è una figura più leggendaria che storica. Tuttavia, è bene tener presente che Alencar non si
sofferma su questa figurazione fantasiosa, ma sviluppa e approfondisce la propria interpretazione
della cultura amerindia e la rispettiva trasposizione letteraria. Silviano Santiago rileva come le opere
indianiste di Alencar seguano uno schema ben preciso. L’autore cerca cioè di delineare e di
ricostruire poeticamente il percorso storico del Brasile, dal periodo pre-cabralino, in Ubirajara
[1874], passando attraverso il racconto dei primi incontri e scontri fra indios ed europei, in Iracema
[1865], fino ad arrivare al periodo coloniale, in cui vengono impiantate le fattorie e in cui si consolida
la società cattolico-patriarcale, in O Guarani.
Sono comunque due autori intimisti. (Dias e Alencar)
Gonçalves Dias, al contrario di molti suoi contemporanei, è un autentico poeta, uno dei grandi lirici
brasiliani. Qualsiasi tema scelga, egli riesce a raggiungere, con economia di mezzi e straordinario
equilibrio e armonia, un’intensità poetica quasi unica al suo tempo. Ciò avviene anche grazie alla sua
dimestichezza con la tradizione lirica di lingua portoghese che gli permette di servirsi di tutte le
risorse poetiche come un consumato artefice del verso. Anche per questo è un poeta molto amato
dai poeti.
L’indio, la sua cultura, la natura che lo circonda, i suoi sentimenti più intimi in Gonçalves Dias
diventano veramente poesia, sono invenzione di linguaggio, ritmo. E se anche la sua opera non è di
matrice ideologicamente o politicamente contestatrice, la sua capacità espressiva e la sua sensibilità
sono comunque in grado di concretizzare i sentimenti reali dell’indio, quali l’orgoglio, l’indignazione,
il dolore e la rabbia contro la distruzione del proprio universo. Più che nei romanzi di José de
Alencar, nei quali l’indio è un titano, una specie di superuomo, troviamo qui la figura a tutto tondo
dell’uomo, plausibile e spesso anche molto attuale. C’è l’eccezionalità del vissuto che nessuna
formulazione ideologica può completamente cancellare.
Per osservare fino a che punto l’autore si immedesimi con questo sfortunato abitante delle foreste
abbiamo scelto di fare una breve lettura di uno dei suoi testi più noti, Deprecação, che appartiene al
gruppo delle Poesias Americanas, pubblicate in Primeiros Cantos, nel 1846. Questo testo è
un’invocazione, un canto di preghiera e di supplica a Tupã, potente entità della mitologia Tupi che
controllava i tuoni e i fulmini e che i missionari identificarono con la figura del Dio cristiano.
“O Leito de Folhas Verdes” = Anche qui c’è una donna che aspetta l’amante.
Ijuca Pirama: è un testo che racconta degli Indios che lo catturano, lui si commuove quando parla
del padre e gli Indios lo liberano in quanto non era più degno di praticare il rituale di cannibalismo.
Quando torna il padre si vergogna del figlio. È un testo lirico narrativo di un Indio che viene rifiutato
da due gruppi, dal suo perché lo ha disonorato e dell’altro perché non è degno. C'è quindi l0idea del
meticcio, di colui che non è accettato da nessuno perché è una sintesi, e per questo viene
discriminato nonostante il brasile sia la sintesi di due culture. Dias esprime dolore, cercare
un’appartenenza, voleva essere accettato per quello che era un po' come il Brasile; infatti, verrà
ripreso dai modernisti i quali mettono il Brasile in un lettino da psicanalista. Dias fa si che questi
sentimenti di persona rifiutata riemergono nella letteratura successiva.
Anche la sua lingua è meticcia, il suo portoghese è pieno di termini particolari, ad esempio, chiama
l’opera “Poema Americano” anche se i portoghesi non usano americano in quanto anche loro fanno
parte dell'America.
Nell’opera di Gonçalves Dias troviamo i grandi temi del Romanticismo quali la natura, l’amore
impossibile, la patria, la religione. Le Poesie americane, forse la parte più nota della sua opera,
rappresentano un singolare momento in cui si focalizzano aspetti e valori autentici della vita
indigena. C’è un soffio di partecipazione vitale in questi testi e anche quando il poeta idealizza
l’autoctono non lo fa mai per “ignoranza della psicologia specifica dell’indio, ma in parte per
simpatia, in parte obbedendo ai canoni estetici del tempo; senza intaccare l’emozione che palpita,
bella e convincente”nei versi:
“Che viaggiasse attraverso il Rio Negro o abitasse a Parigi, o a Coimbra, o a Dresda, l’indio risiedeva
dentro di lui; nel suo sentimento, nella sua immaginazione poetica (...) gli stava in corpo, gli
alimentava la personalità. Era una forza segreta, in stato di legittima difesa. Il suo indio delle poesie
liriche o epiche era indio vero, e non indio da cartolina postale.”
Attraverso le parole lui continuava a difendersi.
Canção do Exílio di Gonçalves Dias
(scrive questa canzone quando era a studiare in Europa, a Coimbra e sentiva nostalgia di casa sua, è
una poesia molto chiara, prova saudade e ricorda la natura e la terra brasiliana.) P uò essere
considerata l'opera più emblematica che evidenzia la sensibilità di Gonçalves Dias e la sua carica
emotiva.
Minha terra tem palmeiras, (lui fa riferimento alle palme, in quanto il brasile veniva chiamato così)
Onde canta o Sabiá;
As aves, que aqui gorjeiam,
Não gorjeiam como lá.
Tupã, ó Deus grande! teu rosto descobre: (dIas chiede Vendetta a Dio che acquisisce questa
caratteristica dalla cultura degli Indios)
Bastante sofremos com tua vingança! (ma lui come si spiega l’abbandono di Dio? Dice che loro sono
stati puniti anche se avevano già sofferto abbastanza)
Já lágrimas tristes choraram teus filhos, (l’Indio non sentirà mai la risposta ma rappresenta il
sentimento
Teus filhos que choram tão grande mudança.
Anhangá impiedoso nos trouxe de longe (Anhangà è uno spirito del male, è lui che ha portato gli
uomini europei)
Os homens que o raio manejam cruentos, (i fulmini sono le armi)
Que vivem sem pátria, que vagam sem tino (gli europei pensano la stessa cosa, qui si vede la
prospettiva degli Indios)
Trás do ouro correndo, voraces, sedentos. (dias chiede perché il Dio non agisca e concede all’Europei
di usurparli)
E a terra em que pisam, e os campos e os rios
Que assaltam, são nossos; tu és nosso Deus:
Por que lhes concedes tão alta pujança, (il Dio è quindi un dio dei perdenti non dei vincenti)
Se os raios de morte, que vibram, são teus?
Teus filhos valentes causavam terror, (c’è un forte movimento nella poesia)
Teus filhos enchiam as bordas do mar, (c’è una metafora che si riferisce agli uomini che riempivano
le rive del mare)
As ondas coalhavam de estreitas igaras,
De frechas cobrindo os espaços do ar.
Como se ama das aves o gemido, (la sua poesia è chiara, non sono comparazioni difficili, è elaborata
ma allo stesso tempo comprensibile)
Da noite as sombras e do dia as cores,
Um céu com luzes, um jardim com flores,
Um canto quase em lágrimas sumido; (usa vari elementi e sensi che si collegano tra di loro, lui la
ama come un canto (sinestesia) quasi in lacrime scomparse quindi c’è la vista e l’udito)
Assim eu te amo, assim; mais do que podem (è un amore ideale che però comporta anche un amore
fisico, è un amore che va oltre quello che può cantare un oratore)
Dizer-to os lábios meus, - mais do que vale
Cantar a voz do trovador cansada:
O que é belo, o que é justo, santo e grande
Amo em ti. - Por tudo quanto sofro, (l’amore è lei, ma lui per quanto soffra nel presente ha sofferto e
soffrirà nel futuro, lui resta de sofrer intende che lui intero soffrirà, il suo corpo intero soffrirà)
Por quanto já sofri, por quanto ainda
Me resta de sofrer, por tudo eu te amo.
O que espero, cobiço, almejo, ou temo
De ti, só de ti pende: oh! nunca saibas
Com quanto amor eu te amo, e de que fonte
Tão terna, quanto amarga o vou nutrindo!
Esta oculta paixão, que mal suspeitas,
Que não vês, não supões, nem te eu revelo,
Só pode no silêncio achar consolo,
Na dor aumento, intérprete nas lágrimas.
Nel catalogo della settimana di arte moderna è rappresentata da un albero con le radici proprio a
rappresentare una rinascita che parte dalla storia brasiliana e dal Brasile stesso. Nel manifesto si può
vedere l’avviso di un concerto nell’ultimo giorno.
Artitas que se apresentaram na Semana de Arte Moderna Anita Malfatti (1889-1964) - pintora
Emiliano Di Cavalcanti (1897-1976) - pintor (pittore grandissimo,
Menotti Del Picchia (1892-1988) - escritor
Victor Brecheret (1894-1955) - escultor
Mário de Andrade (1893-1945) - escritor (ricercatore metodico, grazie a lui abbiamo delle opere
importantissime)
Oswald de Andrade (1890-1954) - escritor
Graça Aranha (1898-1931) – escritor (è anziano, già un autore affermato, lui aderisce alla settimana,
veniva da rio de janeiro, capitale politica mentre Sao Paolo è la capitale economica, lui sis forza e ha
intenzione di capire i giovani ma poi nelle sue opere non ci sono nuove idee)
Quadro A boba di Anita Malfatti, di stampo impressionista. (che poi si trasformerà in
espressionismo) Gli artisti sono scienziati dell’anima e della società, percepiscono dei fenomeni
prima che essi avvengano.
Quadri Tarsilia do Amaral che non partecipa alla settimana dell’arte moderna in quanto è in Europa,
si nota nelle sue opere il cubismo, la concretezza degli elementi che sono sia brasiliani che europee.
Tra gli aspetti brasiliani ci sono sicuramente i colori ma anche la vegetazione tipica tropicale, si vede
in oltre una donna con la pelle scura che pesca. Lei rappresenta anche paesaggi rurali, favelas tipiche
brasiliane.
De Cavalcanti introduce la figura del meticcio, la donna brasiliana ed il suo corpo che è diverso da
quello europeo, più prosperoso con capelli scuri. Nel quadro Samba rappresenta una chitarra, la
musica samba era originariamente la musica dei bassi fondi ma De Cavalcanti già nel 1928 lo
rappresenta.
Heitor Villa Lobos era un musicista, molto vivace, suo padre era un musicista che però muore a 12
anni, la madre fa lavori umili per sostenere entrambi. Ha una formazione classica ma con un'anima
eclettica, lui cercherà di unire i due mondi.
Choro o Chorinho è un genere musicale nato tra l’incrocio tra musica europea, africana e indigena,
significa pianto e il Samba nasce in questo contesto e anche la Bossa nova.
Anche l’arte in tutte le sue forme deve quindi mettere le radici proprio come nella locandina di De
cavalcanti.
Luar= chiaro di luna. Marulhar= rumore del mare
Emicida ha fatto il Film Amarelo, fa un gioco di parole con Amar e elo che significa legame, dove fa
un chiaro riferimento alla settimana dell’arte moderna. Nel 2007 gli artisti della periferia di Sao Paolo
hanno fatto un manifesto riprendendo l’idea dell’albero che se nella prima settimana era piccolo e
con colo le radici ora è gande e maestoso e soprattutto di colore nero proprio a ricordare l’impatto
della cultura africana nel Brasile.
L'elemento di scandalo era previsto durante la settimana di arte moderna perché portavano novità
dirompenti, il movimento del modernismo era considerato artistico-letterario proprio perché
pensavano che l’arte brasiliana fosse antiquata, vecchia, anche per quanto riguarda la lingua
portoghese (Olavo bilac uno dei massimi poeti brasiliani usa un linguaggio distante da quella parlata)
ad esempio a teatro si usava la lingua portoghese europea mentre nella vita quotidiana si usava la
lingua brasiliana.
Alcantara Machado non ha partecipato alla settimana di arte moderna, ma partecipa comunque alla
corrente del modernismo chiamata antropofagia. Dopo quella settimana, si continuerà questa
evoluzione che è partita da una ruptura. Ci saranno molte correnti come il Verde-amarelismo,
manifesto regionalista.
Il modernismo è uno spartiacque per il Brasile, c’è un prima e un dopo, prima c’era una letteratura
con temi che vengono trattati anche nel modernismo ma non c’era stato un momento radicale. Il
distruggere non è il futurismo anche se c’è un rapporto problematico, l’arte deve essere svincolata
dal potere, dai partiti, l’artista deve essere libero. Il modernismo è un momento di rottura ovvero
distruggere nel senso di volere un'arte diversa, il punto di svolta è la settimana di arte moderna. Un
primo sviluppo è il riconoscimento nella poesia nella letteratura e nel teatro di una variante e
grammatica brasiliana.
In termini generali, Mário de Andrade ha presentato e sintetizzato l'eredità del 1922: la
disgregazione del passato artistico; l'uso delle avanguardie estetiche europee come forma di
aggiornamento intellettuale; il diritto permanente alla creazione estetica; e lo sviluppo di una
coscienza veramente nazionale.
Mario de Andrade (1893- 1945) Fece parte negli anni Venti del gruppo dei giovani modernisti, e fu
uno degli animatori della Semana de Arte Moderna a San Paolo nel 1922. Nazionalista, ma venato di
influenze socialiste e terzomondiste, fu amico di Giuseppe Ungaretti, che conobbe durante il
soggiorno brasiliano di quest'ultimo. Ha scritto anche saggi di musicologia, incentrati sul folclore.
Mário de andrade – O poeta come amendoim (1924)
Lui usa già i versi liberi, molto lunghi.
Noites pesadas de cheiros e calores amontoados…
Foi o sol que por todo o sítio imenso do Brasil
Andou marcando de moreno os brasileiros.
Estou pensando nos tempos de antes de eu nascer…
A noite era pra descansar. As gargalhadas brancas dos mulatos…
Silêncio! O Imperador medita os seus versinhos.
Os Caramurus conspiram na sombra das mangueiras ovais.
Só o murmurejo dos cre’m-deus-padres irmanava os homens de meu país…
Duma feita os canhamboras perceberam que não tinha mais escravos,
Por causa disso muita virgem-do-rosário se perdeu…
Porém o desastre verdadeiro foi embonecar esta República temporã.
A gente inda não sabia se governar…
Progredir, progredimos um tiquinho
Que o progresso também é uma fatalidade…
Será o que Nosso Senhor quiser!…
Estou com desejos de desastres…
Com desejos do Amazonas e dos ventos muriçocas
Se encostando na canjerana dos batentes…
Tenho desejos de violas e solidões sem sentido
Tenho desejos de gemer e de morrer.
Brasil… (il modernismo è nazionalismo, in quanto c’è il desiderio di diventare una nazione, non
c’entra con il nazionalismo fascista, qui si definisce cosa sia essere brasiliano)
Mastigado na gostosura quente do amendoim… (Si riferisce alle noccioline tipiche brasiliane,
originarie degli Indios che la coltivavano) (il Brasile è un sapore come le calde e croccanti noccioline)
Falado numa língua curumim (tutto quello considerato errore nella lingua europea per i brasiliani
non lo sono, rivendicano la loro lingua che lui definisce incerta)
De palavras incertas num remelexo melado melancólico… (diventa melancolico in quanto si ricorda
della storia dello zucchero che veniva prodotto dagli schiavi, non si può senitre il sapore o ricordarsi
della storia senza essere melancolici)
Saem lentas frescas trituradas pelos meus dentes bons… (le parole escono fresche e lente, è come
se fossero masticate, il che si ricollega all’antropofagia. Gli schiavi venivano scelto in base ai denti,
infatti, lui dice che essendo meticci ha i denti buoni e più grandi rispetto agli europei come i suoi
antenati)
Molham meus beiços que dão beijos alastrados (le labbra si allargano e baciano tutto il mondo, baci
fisici e non)
E depois remurmuram sem malícia as rezas bem nascidas…
Abraço no meu leito as milhores palavras, (cercare di lavorare le poesie che hanno uns enitre
multiplo, dinamico)
E os suspiros que dou são violinos alheios;
Eu piso a terra como quem descobre a furto
Nas esquinas, nos táxis, nas camarinhas seus próprios beijos!