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Speciale - Pubblicato il 11/12/2015

Nuovo art. 2103 c.c. e Jobs Act: criterio


dell’inquadramento
Avv. Rocchina Staiano

A norma dell'art. 2103 c.c.,con il d.lgs n. 81/2015, è legittimo lo spostamento del


lavoratore a mansioni dello stesso livello di inquadramento
IL CASO

Il lavoratore conveniva in giudizio l’azienda, formulando le seguenti conclusioni:

1) accertare e dichiarare l’illegittimità della Delibera e del successivo provvedimento attuativo, con i quali era
stato disposto e attuato, il rientro dal distacco del lavoratore, con contestuale assegnazione alla direzione
dell’Area Assistenza e Servizi Integrativi presso la distaccante azienda;

2) accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento datoriale col quale era stato riformulato in qualità di
quadro l’incarico di Coordinamento del gruppo lavorativo preposto alle attività inerenti gli studi, la ideazione,
la possibile costituzione e la seguente gestione di un Fondo Sanitario Integrativo e anche in forma disgiunta dal
Fondo stesso, della polizza sanitaria integrativa a favore degli iscritti;

3) accertare e dichiarare che le mansioni svolte dal lavoratore, a seguito e per effetto dei provvedimenti
datoriali oggetto di impugnazione, non potevano ritenersi equivalenti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2103
c.c., a quelle precedentemente disimpegnate;

4) accertare e dichiarare l’illegittimità del comportamento datoriale, in cui aveva subito una vera e propria
sottrazione di mansioni, posto che la Polizza Sanitaria Integrativa di cui ella avrebbe dovuto occuparsi, di fatto,
era divenuta operativa solamente nel mese di gennaio 2015, a distanza di nove mesi dal provvedimento di
rientro dal distacco;

5) ordinare all’azienda (previo annullamento dei provvedimenti sopra citati e oggetto di impugnazione) di
ripristinare le mansioni in precedenza svolte e/o attribuire alla stessa mansioni equivalenti, ai sensi e per gli
effetti delle disposizioni di cui all’art. 2103 c.c.;

6) accertare e dichiarare il danno alla salute subito e subendo e condannare la controparte al relativo
risarcimento alla salute nella misura non inferiore ad €. 50.00,00;

7) condannare la convenuta al risarcimento degli ulteriori danni di natura non patrimoniale: danno morale,
danno all’immagine, alla dignità personale e professionale, nella misura ritenuta di giustizia;

8) condannare l’azienda al risarcimento del danno da dequalificazione professionale nella misura ritenuta di
giustizia.

Il Tribunale di Roma rigetta il ricorso, precisando che l’art. 3 del d.lgs. n. 81 del 2015, che ha integralmente
sostituito l’art. 2103 c.c., introduce, tra le tante novità anche l’esercizio del c.d. jus variandi orizzontale, vale a
dire lo spostamento del dipendente a mansioni equivalenti. Mentre il previgente testo della norma consentiva
una simile variazione a condizione che le nuove mansioni fossero «equivalenti alle ultime effettivamente
svolte», quello attualmente in vigore permette l’assegnazione di «mansioni riconducibili allo stesso livello e
categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte». Il giudizio di equivalenza, pertanto, deve
essere condotto assumendo quale parametro non più il concreto contenuto delle mansioni svolte in precedenza
dal dipendente, bensì solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto
collettivo applicabile al rapporto. Ne consegue che, a differenza che nel passato, è oggi legittimo lo
spostamento del lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento cui
appartenevano quelle svolte in precedenza dallo stesso dipendente, non dovendosi più accertare che le nuove
mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente. Infatti, in base a ciò è possibile affermare
che “il divieto per il datore di lavoro di variazione in "pejus" ex art. 2103 cod. civ., opera anche quando al
lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni
sostanzialmente inferiori, dovendo il giudice accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica
competenza del dipendente, senza fermarsi al mero formale inquadramento dello stesso”.

IL COMMENTO

1. Art. 2103 c.c.: equivalenza ed inquadramento

Sul concetto di equivalenza, nel settore privato, come è noto, è il giudice a valutare se determinate mansioni
possono essere, in concreto, ritenute equivalenti, sulla base del bagaglio professionale necessario per svolgerle.
Ed invero sul punto la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha rilevato che è "ben possibile che il contratto
collettivo accorpi nella stessa qualifica mansioni diverse che esprimono distinte professionalità. Nulla esclude
che queste professionalità costituiscano lo sbocco di percorsi formativi distinti, in ipotesi anche di livello
diverso. L'equivalenza contrattuale sta a significare che la disciplina collettiva che fa riferimento alla
qualifica si applica di norma a tutte tali mansioni così accorpate, ancorchè espressione di diverse
professionalità" (Cass. civ., sez. un., 24.11.2006, n. 25033)[1].

Per contro il nuovo articolo 2103 c.c., sostituito integralmente dall’art. 3 del d.lgs. 81/2015, sembra far proprio
un concetto di equivalenza "formale", ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non
sindacabile da parte del giudice. In sostanza il legislatore del 2015 ha esteso al settore del lavoro alle
dipendenze di privati un regime analogo a quello previsto dall’art. 52 d. lgs. n. 165 del 2001 per il lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il quale dispone genericamente che «Il prestatore di lavoro deve
essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di
inquadramento [...]». Da ciò si ricava che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle
mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente
dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura
equivalente della mansione. In quest'ottica, condizione necessaria e sufficiente affinchè le mansioni possano
essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva,
indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all'aspetto,
necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza,
di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e
caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (Cass. SS.UU., 4.4.2008, n. 8740; Cass. sez. lav., 21.5.2009, n.
11835).

Infine, va ricordato che il comma 9 del nuovo art. 2103 c.c., ribadisce che “… ogni patto contrario è nullo” e
costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (in passato v. Cass., sez. lav., 24 gennaio
1987, n. 672; fino a Cass., sez. lav., 3 settembre 2002, n. 12821; conf. a quest'ultima Cass. n. 20983 del 29
ottobre 2004, n. 18719 del 16 settembre 2004, n. 12251 del 20 agosto 2003, n. 7606 del 15 maggio 2003, n.
6614 del 28 aprile 2003, n. 1494 del 30 gennaio 2003) che la nullità dei patti contrari, comminata dal citato art.
2103 c.c., riguarda anche il contratto collettivo. Ciò del resto si desume in positivo dal dato normativo testuale
dell’art. 40 della L. 300/1970, che fa salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali solo se

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più favorevoli ai lavoratori, nonché a contrario da altre disposizioni con cui eccezionalmente il legislatore ha
autorizzato la contrattazione collettiva ad introdurre una disciplina in deroga al disposto del dell'art. 2103 c.c.
(quale l’art. 4, comma 11, della L. 23 luglio 1991, n. 223, che stabilisce che "gli accordi sindacali stipulati nel
corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei
lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga all’art. 2103 c.c., la loro assegnazione a
mansioni diverse da quelle svolte”).

Capitoli:

1) 2. Jus variandi orizzontale e precedenti orientamenti giurisprudenziali

1) 2. Jus variandi orizzontale e precedenti orientamenti giurisprudenziali

Il nuovo articolo 2103 c.c., sostituito dal d.lgs. 81/2015 ritiene che è oggi legittimo lo spostamento del
lavoratore a mansioni che appartengono allo stesso livello di inquadramento cui appartenevano quelle svolte in
precedenza dallo stesso dipendente, non dovendosi più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla
specifica competenza del dipendente. In applicazione a tale principio, possiamo citare precedenti
giurisprudenziali di legittimità, ossia:

la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, aveva escluso l'applicabilità dell’art. 2103 c.c.
in riferimento alla posizione di un dipendente delle Poste Italiane che, originariamente inquadrato nel
quarto livello con la qualifica di pittore, era stato addetto alle mansioni di portalettere, appartenenti alla
medesima area funzionale, a seguito di ristrutturazione aziendale che aveva comportato la soppressione
delle mansioni di pittore (Cass. civ., Sez. lavoro, 09/03/2004, n. 4790);
la Suprema Corte ha ritenuto che il trasferimento di un direttore delle Poste Italiane in un ufficio di
minore importanza, per qualità e volume dell'attività svolta, rispetto all'ufficio di provenienza, fosse
lesivo del principio della equivalenza delle funzioni, a nulla rilevando, in senso contrario, che la
retribuzione e la qualifica fossero rimaste invariate (Cass. civ., sez. lavoro, 05/08/2014, n. 17624);
la Suprema Corte ha ritenuto legittimo lo spostamento di un giornalista redattore dal settore politica e
cronaca italiana a quello della cronaca locale, non risultando che la diversa attività fosse incoerente con
il patrimonio professionale del ricorrente e tale da integrare una dequalificazione suscettibile di
risarcimento (Cass. civ., sez. lavoro, 06/05/2015, n. 9119).

[1] Applicando il suddetto principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva
adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del demansionamento, avendo accertato che le mansioni cui
era addetto in precedenza il dipendente, addetto alla conduzione di un complesso impianto di verniciatura,
erano di gran lunga più impegnative e responsabilizzanti delle successive mansioni di addetto ala linea
sigillatura, proprie dell'operaio generico di catena di montaggio (Cass. civ., Sez. lavoro, 12/01/2006, n. 425); la
Suprema Corte ha applicato ciò alla seguente fattispecie in cui il lavoratore, dapprima titolare di una filiale
secondaria di un istituto di credito, era stato assegnato all'ufficio cassa titoli e cedole della sede centrale, poi al
servizio ispettorato, quindi a capo dell'ufficio segreteria fidi, ufficio rischi e ufficio cassa centrale; infine, in
seguito all'unificazione della Cassa Centrale di Cuneo e di quella di Milano, assegnato presso la filiale di
Cuneo e successivamente presso quella di Boves, con mansioni di direttore, in sostituzione del titolare (Cass.
civ., Sez. lavoro, 02/05/2006, n. 10091); la Suprema Corte ha cassato la decisione della corte territoriale che,
pur affermando la necessità di verificare se la destinazione di un medico al servizio accettazione di un ospedale
avesse comportato una perdita di professionalità comunque acquisita, in precedenza, in relazione all'attività
svolta come aiuto, aveva incentrato la motivazione esclusivamente sulle nuove mansioni, in tal modo

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omettendo di verificare i contenuti concreti delle mansioni precedenti e la relativa professionalità acquisita dal
professionista, mancando quindi di confrontare, sul piano dell'equivalenza, detti contenuti con quelli delle
nuove mansioni (Cass. civ., Sez. lavoro, 08/06/2009, n. 13173); la Suprema Corte ha escluso che l'attribuzione
della qualifica ottava apicale a dipendenti di ente comunale - conseguente alla nuova classificazione introdotta
dalla contrattazione collettiva - costituisse una implicita assegnazione della qualifica dirigenziale, ovvero che
quest'ultima si configurasse come un fatto automatico vincolante per il comune nell'ambito dei suoi poteri
organizzativi, stante l'accertamento in fatto, compiuto dai giudici di merito, della conservazione delle
precedenti mansioni (Cass. civ., Sez. lavoro, 08/03/2011, n. 5452).

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