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Lezione 11 Ottobre,
Il diritto penale del lavoro tratta di tutto quello che è necessario affinchè un lavoratore non muoia
sul posto di lavoro. È un corso che guarda e studia la prevenzione. Cosa dobbiamo fare per evitare
che si arrivi all'infortunio.
Accanto alla prevenzione, questo diritto studia anche la punizione.
Cosa accade a chi è responsabile dell'infortunio, se poi quell'infortunio si realizza.
L'imprenditore, che per noi diventa datore di lavoro, non può dimenticare la sicurezza.
Non c'è nessun adempimento che viene prima di questo. Nessuno!
L'imprenditore può avere tutte le difficoltà possibili, ma non può risparmiare sulla sicurezza. Non
può fare impresa in condizioni di pericolo. Piuttosto si deve astenere.
Il datore di lavoro, il quale dovrebbe mettere la sicurezza al primo posto dei suoi interessi, nel caso
in cui dovesse commettere una violazione penale, non riuscirà mai a difendersi dicendo che era in
difficoltà, doveva risparmiare sui costi della sicurezza, non ho avuto il tempo di formare il
lavoratore, non gli ho dato tutti i dispositivi di sicurezza di cui aveva bisogno perchè c'era fretta di
consegnare un'opera.
L'ordinamento garantisce obblighi di protezione, pene e processo penale se non sono rispettati e c'è
un infortunio. Per morte sul lavoro si va in galera, anche con tre gradi di giudizio. Quando c'è un
morto sul lavoro, può passare anche molto tempo, i termini di prescrizione sono raddoppiati (15-16
anni per fare un processo).
Il limite dell'impresa è costituito dalla sicurezza.
L'impresa non può svolgersi se non in condizioni di sicurezza e questo limite è previsto nella nostra
Cost: art 41, 2° co.
Al 1° co è stabilito che l'iniziativa economica privata è libera. Tutti possono fare impresa.
Però la Cost stabilisce dei limiti a questa libertà (2°co) e i limiti sono:
– dignità,
– libertà,
– sicurezza,
– ambiente, introdotto nel 2022 con l.cost.
Quindi è possibile fare impresa senza limitare altrui dignità, altrui libertà, la sicurezza umana e
l'ambiente.
È un limite costituzionale, che nella nostra gerarchia delle fonti, eredita il legislatore ordinario.
Abbiamo la Costituzione al primo livello, poi le fonti di legge ordinaria (la legge del Parlamento
con i decreti legge e decreti legislativi) che non possono contrastare con la Cost (altrimenti sono
illegittime e dichiarate tali dalla Corte Cost). La Corte Cost valuta se le leggi del Parlamento sono
conformi alla Cost.
Quindi il d.lgs 81/2008 serve a garantire il rispetto del limite dell'art 41, 2°co, Cost, ossia ad
indicare al datore di lavoro cosa deve fare o non fare per garantire quella sicurezza che viene
prima della sua libertà d'impresa.
Le pene che si applicano al datore di lavoro, che non garantisca la sicurezza sul lavoro e determini
l'infortunio, sono previste nel cp. Sono pene che incidono su beni importantissimi: la libertà
personale. Perchè sono così severe?
Perchè al contempo servono a presidiare il bene più importante che c'è: la vita e la salute del
lavoratore.
Un art che dobbiamo leggere insieme all'art 41, 2°co, Cost è l'art 32.
L'art 32 Cost tutela il diritto alla salute e lo definisce come fondamentale. È l'unico diritto che la
Cost italiana definisce come fondamentale. Se non c'è la salute, non c'è la possibilità di esercitare
quel diritto.
La sicurezza umana dell'art 41, 2° co, cost è limite alla libertà d'impresa che serve a tutelare
l'unico diritto fondamentale, art 32 cost, capiamo quanto sia importante. Per questo si interviene
con il penale e non basta il risarcimento del danno.
Il datore di lavoro ha leso la salute del lavoratore e risarcirlo non basta, serve una pena se è
responsabile.
Non c'è strumento più afflittivo di quello penale.
Prima c'era la pena di morte, mentre oggi, nel nostro ordinamento, c'è l'ergastolo (la pena a vita
sulla carta), poi abbiamo la reclusione (la pena detentiva temporanea con un minimo di 15 gg e un
massimo di 24 anni nell'ordinamento).
Per i delitti previsti dal cp per gli infortuni sul lavoro (art 589 cp “omicidio colposo aggravato
dalla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro” e art 590 cp “le lesioni colpose
aggravate dalla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro”) c'è la reclusione e una
pena pecuniaria, la multa.
Le pene sono diverse, graduate e sono più alte quando c'è l'omicidio colposo (7 anni di reclusione).
Poi ci possono essere delle aggravanti che aumentano la pena.
Ci possono essere omicidi plurimi, come nel caso Thyssenkrupp, nel quale il datore di lavoro è stato
condannato a 16 anni.
Quindi sulla carta 7 anni e poi può essere aumentato a seconda delle circostanze.
Siccome è in gioco la vita e la salute non basta il risarcimento del danno, ci vuole la pena.
È la Cost che c'impone di tutelare la sicurezza.
È la Cost che tutela il diritto alla salute come diritto fondamentale, per cui il Parlamento non
potrebbe mai dimenticare la sicurezza perchè altrimenti verremmo meno ad un obbligo
costituzionale di tutela. Il Parlamento non potrebbe mai prevedere una legge con la quale stabilisca
che il datore di lavoro non risponda dell'infortunio, sempre che ci siano i presupposti della
responsabilità penale che poi vedremo.
La legge non può modificare o derogare la Cost. È incostituzionale se lo fa.
Vedremo quando un soggetto può essere penalmente responsabile, cosa serve perchè un soggetto sia
penalmente responsabile, analizzeremo come si compone ogni reato. Una volta che abbiamo visto
come si imputa un reato, andiamo a costruire, nella nostra materia, l'imputazione. Vedremo i
soggetti, chi risponde, cosa devono fare, quali sono le sanzioni tanto per le persone fisiche quanto
per le persone giuridiche.
Vedremo quanto bisogna dimostrare perchè si arrivi ad un accertamento pieno e secondo i principi
costituzionali della responsabilità. Questo è un percorso obbligato per il legislatore ordinario
quando scrive le leggi (perchè soggetto a Cost) e ancora di più per il giudice che deve stabilire se
quel soggetto è responsabile oppure no. Se questo percorso non si completa in tutti i passaggi,
l'imputato non è condannabile.
Il giudice penale non si deve far condizionare dall'esigenza di giustizia che ha la
collettività/opinione pubblica, ma esso è soggetto alla legge. Deve seguire tutti i passi/regole per
arrivare all'accertamento della responsabilità. Se segue il percorso completo e si convince
condanna, altrimenti deve assolvere. Il giudice non si può fare portatore dell'esigenza di giustizia,
perchè è soggetto alla legge e deve applicarla.
Ci sono dei principi che vincolano il giudice al rispetto pedissequo/tassativo della legge (il giudice
deve applicare parola per parola, applicare interpretazioni strette, non può allargare la
responsabilità).
L'accusa nel processo penale la gestisce un magistrato, il PM, che rappresenta lo Stato. Anche lui è
soggetto alla legge, deve accusare solo se ha gli elementi.
Quindi lo schema per cui c'è un infortunio e dunque c'è la responsabilità del capo/datore di lavoro
è vietato per il penale. Non può esserci questa automaticità nel penale. Nel civile no, se cagioni un
danno risarcibile/monetizzabile il cc prevede che il datore di lavoro risponda per il fatto del suo
dipendente. Se il dipendente cagiona un danno (civile) ad un terzo o se si fa male nell'esercizio
dell'attività lavorativa, il datore lo deve risarcire anche se non ha colpa.
La responsabilità penale segue un percorso molto più severo perchè colpisce la libertà personale.
Nell'ambito civile è possibile rispondere per responsabilità oggettiva, si può rispondere
oggettivamente (c'è stato un danno civile, l'imprenditore paga e generalmente si assicura), ma
quando si entra nel penale il datore di lavoro non può rispondere né del fatto commesso da un altro,
né può rispondere per il solo fatto di essere datore di lavoro.
La responsabilità oggettiva vale nel civile, ma non nel penale.
Questo è stabilito da un art della Cost, l'art 27, 1°co: la responsabilità penale è personale.
L'art 27 cost dispone un principio supremo, quello di personalità.
Il principio di personalità indica proprio che nessuno può rispondere del reato commesso da un
altro soggetto e anche che nessuno può rispondere di un reato senza colpa.
L'art 42, 3 co, cp indica che la responsabilità può essere dolosa, colposa (elemento soggettivo della
nostra materia) e preterintenzione (va oltre l'intenzione). Poi l'art prevede che la legge regola i casi
in cui l'evento è posto altrimenti a carico del soggetto. Quali sono questi altri casi senza dolo,
colpa o preterintenzione? Sono i casi di responsabilità oggettiva.
La clausola dell'art 42, 3 co, cp c'è e rimane nel cp. Il cp è del 1930, nel periodo fascista la
responsabilità oggettiva era prevista anche in sede penale.
Ma questa responsabilità contrasta con la Cost. La Cost è del 1948.
La Corte Cost ha iniziato, fin dagli anni'50 in poi (sent 364/1988 e sent 1085/1988 sono le prime
poi ce ne sono state tante altre), a dire che tutte le norme del cp del 1930, che prevedono le ipotesi
di responsabilità oggettiva, sono incostituzionali.
Però l'art resta nel cp e ci sono altre disposizioni che sono es di quell'art ed applicano una
responsabilità oggettiva (aberratio ictus, aberratio delicti, direttore di stampa, mutamento del titolo
di reato). Come si devono interpretare oggi?
La Corte Cost ci dice che, visto che il principio è quello di colpevolezza (non c'è pena senza colpa),
il giudice penale deve interpretare tutte queste ipotesi come se richiedessero la colpa. La colpa
diventa implicito criterio d'imputazione di tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva, che non si
possono più applicare perchè sono incostituzionali.
Il cp del 1930 prevede l'ipotesi di responsabilità penale oggettiva, ma la Cost la vieta. Oggi quindi
non esistono e non possono esistere nemmeno nella nostra materia in cui c'è molto rischio di
responsabilità oggettiva. Perchè? Perchè dall'altra parte c'è il bene più importante: la vita.
Possiamo attribuire una responsabilità penale al datore di lavoro ai limiti della colpa quando c'è il
morto, non per un delitto contro il patrimonio, non per un furto o appropriazione indebita.
La Giurisprudenza, a volte, cade in errore. La Cassazione arriva a confermare delle sent che stanno
ai limiti della responsabilità oggettiva (talvolta lo so!) e sono condanne definitive.
Prima ci sono i principi costituzionali e poi legge ordinaria, che non può derogare ai primi.
Il principio di personalità vale sia per le persone fisiche sia per le persone giuridiche.
La società risponde dell'infortunio solo se anche la società ha espresso una colpa rispetto a
quell'infortunio.
La colpa del datore è requisito per la responsabilità individuale, tanto quanto un altro tipo di colpa
è requisito fondamentale per la responsabilità della società: la colpa d'organizzazione.
La colpa non è la stessa. Anche per l'ente occorre una responsabilità amministrativa da reato
personale, che passa attraverso l'accertamento di una colpa che si chiama colpa d'organizzazione.
Il principio di personalità si dirama e cade sia sulle persone fisiche che giuridiche per effetto di
un'interpretazione evolutiva del dettato costituzionale.
Nel 1948 se avessimo chiesto ai costituenti: “ il 1 co, art 27 cost vale anche per le società?”. I
costituenti si sarebbero ribaltati sulla sedia perchè vigeva ancora il brocatdo latino “societas
delinquere non potest”. Non posso applicare il diritto penale ad una società. Solo il diritto civile.
Dal 2001 invece c'è stata un'inversione e discutiamo di un altro principio “societas delinquere et
puniri potest”. La società può delinquere, può essere punita e vale il principo di personalità perchè
diventa una responsabilità punitiva/penale. Quindi anche la società deve esprimere una colpa che
si chiama colpa d'organizzazione. Questo è il portato di un'interpretazione evolutiva dell'art 27, 1
co, cost.
Oggi i giudici applicano l'art 27 cost al d.lgs 231/01, alla responsabilità dell'impresa per l'infortunio
sul lavoro. Se nel processo verrà accertata una colpa d'organizzazione dell'impresa, si applicheranno
le sanzioni del d.lgs 231; altrimenti sarà assolta.
Bisogna accertare che il soggetto sia in colpa perchè se quel soggetto non è in colpa e gli viene tolta
la libertà, la pena non svolge più la funzione educativa che serve a rieducarlo e rimetterlo nella
società, ma lo fa diventare un criminale.
Noi parliamo di “colletti bianchi”, di un datore di lavoro che non è un criminale, un mafioso, non
vuole la morte di nessuno, ma dimentica la sicurezza del lavoratore/non ha controllato bene. Però
gli viene tolta la libertà personale al pari di un criminale per aver sbagliato (al netto di tantissimi
benefici: strumenti penitenziari, modi di evitare, sanzioni alternative). Però la reclusione è sempre la
stessa e viene solo graduata. La garanzia è sempre la personalità: nessuno deve rispondere per fatto
altrui e si risponde solo di un fatto per cui si è colpevole.
Per riempire l'art 27, co 1, Cost, il Legislatore nel cp ci indica quali sono i presupposti:
Cosa bisogna accertare perchè vi sia la responsabilità penale?
Lezione 12 Ottobre,
Quando c'è un infortunio, ossia un evento come la morte o la lesione (artt 589 e 590 cp), la legge
non valorizza solo la condotta, ma sposta l'attenzione sull'evento.
La condotta (azione o omissione) produce un evento. L'evento è l'effetto di una condotta.
Nel caso dell'infortunio è la morte o le lesioni.
Nel caso in cui la condotta sia un'omissione e ci sia un evento prodotto come l'infortunio, qui il
presupposto della condotta omissiva è un particolare obbligo che assume una rilevanza speciale:
obbligo giuridico d'impedimento dell'evento.
Si può imputare un evento (morte o lesione per noi) al soggetto che pone in essere un'omissione
solo se il soggetto ha un obbligo giuridico d'impedire l'evento.
Questo obbligo è previsto nell'art 40, 2°co, cp “Non impedire un evento, che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Questa disposizione equipara chi quell'evento l'ha
prodotto con un'azione a chi quell'evento non l'ha impedito (clausola di equivalenza).
Non è uguale la situazione di chi produce l'evento con un'azione e di chi semplicemente non
l'impedisce, l'omissione ha qualcosa in meno. Essa però è compensata dalla sussistenza dell'obbligo
giuridico d'impedire l'evento. Questo obbligo giuridico d'impedire l'evento deve preesistere alla
condotta del soggetto. Il soggetto, quando omette, deve essere titolare di quest'obbligo giuridico
d'impedimento dell'evento. Quest'obbligo giuridico d'impedimento dell'evento si chiama anche
obbligo di garanzia o determina anche una posizione di garanzia.
I garanti della sicurezza sono coloro che hanno l'obbligo giuridico d'impedire l'infortunio ai sensi
dell'art 40, 2°co, cp.
Se la condotta è omissiva e c'è un evento, il soggetto deve essere titolare di un obbligo giuridico
d'impedirlo. Quest'obbligo giuridico o di garanzia o posizione di garanzia costituisce un
presupposto della condotta. C'è già prima della condotta.
Questo è lo schema del reato omissivo improprio detto anche commissivo mediante omissione.
È come se avessi commesso l'omicidio mediante l'omissione.
L'obbligo dell'art 40, 2°co, cp come deve essere? Giuridico. Non è un obbligo morale, etico,
religioso, ma un obbligo posto dal diritto. Deve discendere da una fonte giuridica.
Ad es il datore di lavoro è stato condannato a rispondere dell'infortunio per non aver previsto la
sicurezza, dato in tempo i dispositivi, non aver valutato quel rischio (omissione: non ha fatto quello
che doveva fare) e dobbiamo quindi applicare l'art 40, 2°co, cp. Per imputare quell'evento
d'infortunio art 589 e 590 cp, dobbiamo stabilire se il datore di lavoro era titolare di un obbligo
giuridico d'impedire quell'evento, di un obbligo di garanzia.
Dobbiamo quindi trovare la fonte giuridica di quell'obbligo. Da dove deriva?
La fonte di quest'obbligo, secondo la Giurisprudenza, sta in un art del cc. L'art 2087 cc.
L'art 2087 cc prevede che il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure, a fare quanto
possibile per tutelare la salute e l'integrità fisica dei prestatori di lavoro.
L'art 2087 cc è una norma che pone in capo al datore di lavoro l'obbligo di proteggere il lavoratore
dall'infortunio, l'obbligo d'impedire l'infortunio.
Il datore è titolare di questa posizione di garanzia che deriva dall'art 2087 cc, sta fuori dal penale,
ma lo recupero con l'art 40, 2°co, cp, essendo la fonte dell'obbligo giuridico d'impedimento
dell'evento, che serve ad imputare l'evento al soggetto.
Quando voglio imputare un evento devo applicare l'art 2087 cc tramite l'art 40, 2°co, cp.
Il datore esercita il potere direttivo? Gode dell'attività del lavoratore e ne ottiene un profitto? Allora
la legge l'obbliga a tutelare la vita, la salute, l'integrità del lavoratore con l'art 2087 cc. Nel diritto
penale del lavoro l'imputazione più importante è quella omissiva. Il datore ha omesso di fare, ha
omesso di tutelare, ha omesso di proteggere, ha omesso di valutare, ha omesso di formare il
lavoratore, ha omesso di dare i dispositivi etc. non ha fatto quanto avrebbe dovuto e potuto per
evitare l'infortunio. Quando c'è l'evento, dobbiamo applicare l'art 40, 2°co, cp e quindi l'art 2087 cc.
Aggiungiamo un tassello.
Se il soggetto ha un dovere di impedire l'infortunio (art 2087 cc) intanto ne rispondo in quanto, oltre
ad avere il dovere d'impedire, ne abbia avuto anche il potere d'impedire.
Il datore di lavoro per esprimere una responsabilità personale rispetto all'infortunio deve avere il
dovere d'impedire l'evento (e ce l'ha art 2087 cc), ma il giudice deve accertare che abbia anche il
potere di impedirlo. È solo la corrispondenza tra poteri e dovere che salva il principio di personalità.
La responsabilità è personale se ai doveri corrispondono i poteri.
Altrimenti il soggetto rispondere di una violazione di un obbligo che non ha il potere di adempiere.
Ad es lo studente deve garantire la sicurezza dei lavoratori dell'università, non può!non ha potere!
Il dovere deve corrispondere al potere o viceversa. “Ultra posse nemo tenetur” oltre i poteri
nessuno è obbligato. Nessuno può rispondere della violazione di doveri che non ha il potere di
adempiere.
Mentre l' 40, 2°co, cp insiste sul dovere d'impedimento, la Cost c'impone di valutare anche il
corrispondente potere. Per questo il datore di lavoro non può essere chiamato a rispondere sempre
di qualsiasi infortunio. Il potere va valutato in concreto e bisogna verificare se il datore ce l'ha.
Al dovere dell'art 40, 2°co, cp deve corrispondere il potere.
Che cosa significa obbligo giuridico d'impedimento?
Non è un obbligo di fare qualcosa, di mezzi, un obbligo di attivarsi.
È un obbligo di risultato, il soggetto deve impedire. Se c'è l'infortunio hai fallito, non hai impedito.
L'obbligo giuridico d'impedimento è costruito su un risultato. Alla fine l'infortunio non ci deve
essere. Se l'infortunio c'è, il soggetto ha violato l'obbligo d'impedimento.
Quindi distinguiamo:
– gli obblighi di fare, di attivazione;
– gli obblighi d'impedire, sono obblighi di risultato. Questi sono rilevanti nel caso
dell'omissione. Il datore di lavoro risponde perchè l'infortunio si è realizzato e non l'ha
impedito. Ha i poteri? Si e si va avanti nell'accertamento (c'è un soggetto, c'è un'omissione,
c'è un evento, l'omissione è tipica perchè c'è il presupposto dell'obbligo giuridico
d'impedimento art 40, 2°co, cp e art 2087 cc e ha anche il potere d'impedire...stiamo
andando avanti e ricostruendo il reato).
Siamo dentro una condotta omissiva che realizza un evento.
Il nesso che unisce la condotta all'evento è il nesso di causalità.
L'evento è l'effetto della condotta, che dunque è la causa.
La condotta è la causa.
L'evento è l'effetto.
Tra i due c'è una linea che è il nesso di causalità.
Ho il soggetto: datore.
Ho una condotta: un'azione o un'omissione con un obbligo giuridico d'impedimento dell'evento.
Ho un potere.
Si è realizzato l'evento, cosa devo accertare a questo punto?
Che quell'evento sia riconducibile alla condotta del datore di lavoro e non sia un evento che si è
realizzato per altra causa. Ad es un fulmine che uccide 10 lavoratori in un'azienda. La causa della
morte è il fulmine, ma il fulmine non rientra nella condotta del datore di lavoro. In questo caso non
c'è nesso di causalità tra l'evento morte e condotta del datore. Il datore non ha la possibilità di
governare l'evento naturale. Il morto però sul luogo di lavoro c'è. Manca il nesso di causalità, causa-
effetto.
Cosa c'è in gioco? Sempre lo stesso principio quella di personalità.
Se attribuisci la responsabilità di un evento ad un soggetto che non l'ha causato, si viola l'art 27,
1°co, Cost. Questo vieta la responsabilità per un fatto altrui. L'evento non è del soggetto se non è
dipeso dalla sua condotta.
L'assenza del nesso causale = esclusione del fatto di reato = responsabilità non personale.
Perchè parliamo di esclusione del fatto di reato?
Tutto quello che abbiamo detto fino ad ora sta dentro un grande cerchio, il fatto di reato:
(cosa il giudice deve provare per arrivare alla responsabilità penale)
– condotta (attiva o omissiva) e soggetto che la tiene;
– nel caso di omissione, ci deve essere un obbligo giuridico d'impedimento dell'evento art
40, 2°co, cp (art 2087 cc) e il potere d'impedirlo;
– evento, morte o lesione (artt 589 e 590 cp);
– nesso causale, artt 40, 1°co e 41 cp disciplina del nesso causale.
Questo è il fatto tipico di reato infortunistico.
Questo è il fatto oggettivo. Manca un pezzo.
L'art 27, 1° co, Cost vieta la responsabilità penale per un fatto altrui e vieta la responsabilità penale
senza colpa.
Il fatto di reato che abbiamo visto fino ad ora ci può anche stare: il giudice ha accertato che il datore
di lavoro con una condotta poteva e doveva impedire l'evento, non l'ha fatto e l'evento è dipeso da
questa omissione (finita la ricostruzione del fatto). Poi deve passare dalla ricostruzione
dell'elemento oggettivo a quello soggettivo del reato.
Dobbiamo chiederci se c'è colpa.
RIASSUNTO
Se c'è un infortunio, il giudice deve accertare:
– c'è un soggetto?
– C'è una condotta? È attiva o omissiva?
– Se c'è un'omissione, il soggetto è garante (titolarità)?
– Se è garante, esso poteva e doveva impedire (potere)?
– L'evento è causato?
– L'evento è riconducibile alla condotta del soggetto?
– C'è colpa?
Se il giudice risponde affermativamente a queste domande, allora c'è responsabilità penale e se la
prova è certa al di là di ogni ragionevole dubbio.
Se così non è, il giudice non ha superato il ragionevole dubbio e non può condannare (è norma del
cp).
L'art 533 cpp disciplina le sent di condanna e prevede che queste sent si pronunciano quando è
provata al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità.
Se invece guardiamo l'art relativo alle sent di proscioglimento, l'art 530 cpp, nel 2° co troviamo
scritto che nel caso di prova insufficiente, contraddittoria o illogica il giudice assolve.
Se la prova è insufficiente non è chiara, c'è un irragionevole dubbio, non è certa.
Il giudice è in dubbio che ci sia causalità? È in dubbio che ci sia colpa? In questi casi il giudice deve
assolvere. Se c'è certezza, il giudice condanna.
Il giudice deve raggiungere una prova piena dell'elemento oggettivo e della colpa. Questa prova
piena nel processo la deve dare il PM. Lo Stato contro il datore di lavoro.
Il PM deve dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che, rispetto alla morte di un soggetto
avvenuta in un certo tempo, ad un certo orario e in un certo luogo, il datore di lavoro abbia posto in
essere una condotta (attiva o omissiva), causale rispetto alla morte del soggetto e con colpa. Se la
prova nel processo è piena, il giudice condanna; altrimenti assolve.
Se la prova non è certa e il giudice condanna, c'è appello. Se anche la Corte d'appello si sbaglia, ci
sarà il terzo grado in Cassazione.
La Cassazione, a differenza del primo e secondo grado di giudizio che sono giudizi di merito
(giudicano il fatto), giudica il diritto (giudica la corretta applicazione della legge a quel fatto. È un
giudizio di legittimità). L'imputato della Cassazione è la sentenza. La sent è corretta o presenta dei
vizi di legittimità? Se i giudici di merito hanno applicato male il diritto, la Cassazione annulla la
sent; altrimenti la conferma e diviene definitiva.
L'onere della prova nel processo penale ce l'ha l'accusa e deriva da un principio costituzionale
contenuto nell'art 27, 2°co, cost, ossia il principio di non colpevolezza. Nessuno è colpevole fino a
condanna definitiva.
Nel processo penale il giudice deve provare la responsabilità, non l'innocenza.
Il soggetto è presunto innocente (salvo provaria contraria) fino a condanna definitiva.
Il soggetto non deve provare la sua innocenza, ma è l'accusa che deve provare la sua colpevolezza.
Il giudice si deve chiedere se il PM ha dimostrato la colpevolezza? Il fatto e la colpa dell'infortunio?
Se si, lo condanno. Se non l'ha dimostrato, anche se il datore non si è difeso o non si è difeso bene,
lo deve prosciogliere. Il datore di lavoro non ha l'onere della prova.
Nel processo penale c'è il diritto a rimanere in silenzio, di non presentarsi in udienza, di mentire.
L'imputato non deve contribuire all'accertamento dei fatti. L'imputato non ha l'obbligo di
autoaccusarsi, “nemo tenetur se detegere”: nessuno può mai essere posto in condizioni di essere
obbligato ad autoaccusarsi. Mai il datore può essere obbligato a venire al processo e dire che si è
disinteressato della sicurezza, che conosceva il rischio etc. Il PM deve dimostrarlo. L'accusa ha
anche dei poteri straordinari: di indagine, interrogatorio, sequestro dei documenti...
L'imputato, durante l'interrogatorio, può avvalersi della facoltà di non rispondere oppure può
mentire perchè non c'è l'obbligo di collaborare.
Fatto e colpa nel processo deve essere oggetto di prova certa da parte dell'accusa.
*su come si accerta il nesso causale, c'è stata una sent delle sez unite della Cassazione 2002
Franzese che applico ancora oggi. Sent ripresa dalle sez unite Cassazione 2014 Thyssenkrupp.
Alla domanda d'esame: come si accerta il nesso causale nell'infortunio? Dobbiamo rispondere con il
criterio delle sez unite Franzese che poi è ripreso dalla Thyssenkrupp.
Lezione 13 Ottobre,
Dobbiamo distinguerli perchè il soggetto potrebbe avere il potere decisionale senza avere il potere
di spesa (ad es il soggetto decide che si rifà il sistema antincendio e poi dobbiamo andare a vedere
chi ha il potere di spendere e quello deciderà quanto spendere) oppure il contrario (ad es l'ufficio
acquisti della società ha il potere di spesa, ma per una decisione che hanno preso altri).
Se non ci sono entrambi i poteri in capo a quel soggetto non è datore di lavoro penale.
Non posso baypassare queste definizioni perchè è una norma penale, che serve a punire e si deve
applicare tassativamente. Il giudice deve andare a vedere se quella stuttura o stabilimento è davvero
un'unità produttiva? Problema enorme. Il vertice dell'azienda vuole essere tranquillizzato che in
quell'unità produttiva c'è il datore di lavoro.
La legge accetta che la qualifica di datore di lavoro si sposti verso il basso, in corrispondenza di
ogni unità produttiva perchè la società può avere n° unità produttive (solo se sono vere!), che
devono avere le carattestiche riportate dal d.lgs (deputata alla produzione di beni o servizi, badget
di funzionamento e libertà nella spesa).
In questo caso c'è autonomia e il soggetto a capo dell'unità, che esercita poteri decisionali e di
spesa, è datore di lavoro dell'unità produttiva.
Se un'impresa ha 100 unità produttive, potrebbe avere 100 datori di lavoro penali. Ciascuno
chiamato a rispondere dell'infortunio che si realizza nell'ambito della propria unità produttiva.
Gli obblighi del datore di lavoro del decreto 81 saranno moltiplicati per il n° di datori di lavoro e di
unità produttive. Il datore deve valutare il rischio? Ogni unità produttiva avrà il suo documento di
valutazione dei rischi. Il datore deve nominare il rspp? Ogni unità produttiva avrà il suo rspp
nominato dal suo datore di lavoro. Come se fossero tante piccole imprese organizzate dentro una
grande organizzazione.
Bisogna però rispettare tutti i requisiti.
Non è possibile creare una struttura dove c'è maggior pericolo di sicurezza, mentre io continuo a
decidere e metto un fantoccio dandogli tutti i poteri sulla carta che però non esercita mai. Il
fantoccio non sarà il datore di lavoro penale.
C'è libertà d'iniziativa economica, l'impresa la puoi organizzare come vuoi, ma se la società vuole
creare tante unità produttive dovrà farlo secondo i requisiti di legge. Se non lo fai, ti tieni la
responsabilità penale. Non ti puoi tenere solo i poteri e lasciare i doveri, altrimenti si rompe la
corrispondenza, si rompe il rapporto di personalità.
La definizione funzionale di datore di lavoro gioca intorno alla corrispondenza tra
doveri/responsabilità e poteri decisionali di spesa. Abbiamo distinto i poteri decisionali da quelli
di spesi. Ci devono essere tutte e due e possono essere poteri e doveri parametrati sull'intera
organizzazione o su singola unità produttiva. Per parlare di un'unità produttiva si deve trattare di
una struttura o stabilimento con autonomia finanziaria e tecnico funzionale. Quindi la lett b e t
dell'art 2 d.lgs vanno letti insieme.
Ci sono tante conseguenze:
– possiamo avere più datori di lavoro penali dentro un'azienda? Si. Ci potrebbero essere più
unità produttive, ciascuno delle quali ha un datore di lavoro penale che avrà poteri
decisionali e di spesa in materia di sicurezza.
Mentre il datore di lavoro civile è sempre uno. È sempre il rappresentante legale di
quell'azienda che mi assume. Il titolare del rapporto di lavoro è la Società A che mi assume
tramite il suo legale rappresentante.
Si rompe la corrispondenza tra datore di lavoro civile e penale. Quello civile è uno, quelli
penali possono essere tanti.
– Anche se fosse uno il datore di lavoro penale potrebbe non coincidere con quello civile.
Se trovo un soggetto che, nell'ambito di un'organizzazione, ha attribuiti tutti i poteri
decisionali e di spesa (magari illimitati) e li esercita, ma non è il rappresentante legale,
abbiamo due datori di lavoro diversi: l'uno è il datore di lavoro penale e l'altro è il datore di
lavoro civile.
Es la Spa ha un consiglio di amministrazione (più soggetti amministratori e un Presidente),
nel caso semplice in cui tutti i poteri di amministrazione e gestione della società siano in
capo al Cda fatto da tre soggetti, chi è il datore di lavoro penale se c'è un'infortunio?
Tutti e tre i consiglieri. Il Cda personificato dal Presidente, che ha la rappresentanza legale, è
anche il datore di lavoro civile.
Se però il Cda, che sa essere datore di lavoro, decide di attribuire ad un altro soggetto, il
delegato alla sicurezza, tutti i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza per tutta
l'impresa, in questo caso chi è il datore di lavoro penale? Solo il soggetto delegato perchè
risponde ai requisiti dell'art 2, seconda parte, d.lgs.
Quindi a titolo originario il datore di lavoro penale sarebbe tutto il Cda con il Presidente
(datore di lavoro civile), ma a livello penale, per effetto della decisione del Consiglio, il
delegato alla sicurezza diventa datore di lavoro penale (ha poteri decisionali e di spesa su
tutta l'organizzazione e quindi sta dentro l'art 2, lett.b) d.gls). Il datore di lavoro penale sarà
diverso dal datore di lavoro civile.
Il giudice come fa ad accertarlo? Guarda le delibere del Cda, valuterà gli atti attraverso
l'amministratore designato esercita poteri decisionali e di spesa, ordini di servizio,
disposizioni organizzative, ordini di spesa/acquisto (il giudice vedrà se il soggetto decide e
spende). Il giudice deve guardare la funzione, quello che fa.
Il datore di lavoro penale non può mai mancare. C'è sempre un datore di lavoro civile semmai è lui.
La definizione di datore di lavoro è sia in senso formale che funzionale.
La forma e la sostanza potrebbero coincidere in un unico soggetto oppure potrebbero non
coincidere. In questo caso avremo un datore di lavoro civile che non è datore di lavoro penale.
Tutti i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza di base ce l'ha il Cda di una società.
Tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione il cc li attribuisce, nelle società di
capitali, al Cda. Questa è la partenza, i Cda non si tengono tutti i poteri, li ripartiscono
internamente.
Nello schema tipico c'è un AD, amministratore delegato, e degli amministratori deleganti.
All'amministratore delegato vengono dati tutti i poteri, salvo quelli che la legge riserva al Cda art
2381 cc (ossia approvazione del bilancio, fusioni, scissioni, trasformazioni). Se l'amministratore
delegato ha tutti i poteri e non ci sono distinzioni, egli ha anche i poteri decisionali e di spesa in
materia di sicurezza ed è il nostro datore di lavoro sia civile che penale.
Se il Cda vuole togliere i poteri decisionali e di spesa all'AD e attribuirli al terzo consigliere lo può
fare. L'AD sarà il datore di lavoro civile e il terzo consigliere il datore di lavoro penale.
Non può non esserci un datore di lavoro penale, al massimo è tutto il Cda.
Il datore di lavoro in senso formale e quello funzionale sono entrambi nella lett b, dell'art 2 d.lgs.
La legge penale dice chi risponde dell'infortunio è sicuramente il datore di lavoro civile, il titolare
del rapporto di lavoro perchè è anche datore di lavoro penale, però bisogna fare attenzione perchè
ci potrebbe essere anche un altro soggetto che lo è o nell'ambito dell'organizzazione o nell'ambito
dell'unità produttiva.
Domanda: Quando compare un altro soggetto che è datore di lavoro funzionale diverso dal datore di
lavoro formale (civilistico), il datore di lavoro civile rimane responsabile penalmente? sono
alternative le figure o si aggiunge l'una all'altra (tutte e due sono datori di lavoro in senso penale)?
Ad es nello stabilimento di Brescia dell'impresa A che ha sede a Roma muore un soggetto, quel
soggetto dentro lo stabilimento operava alle dipendenze e con tutti i poteri decisionali e di spesa,
autonomia finanziaria e autonomia tecnico-funzionale di Marco. Marco è il datore di lavoro penale
funzionale, ma a capo dell'impresa, il datore di lavoro civile, il titolare del rapporto continua a
rispondere? Si o no?
Bisogna capire l'interpretazione delle parole “o, comunque” nella disposizione.
Lezione 18 Ottobre,
Per la Giurisprudenza: il datore di lavoro civile e il datore di lavoro funzionale sono messi sullo
stesso piano e sono sottoposti alla stessa pena. L'uno adempie attraverso i poteri decisionali e di
spesa, quindi provvedendo alla sicurezza; l'altro adempie vigilando, ma la vigilanza è un aspetto
dell'art 40, 2 co, cp: ha sempre non impedito attraverso la mancata vigilanza. Se avesse vigilato,
l'altro avrebbe provveduto. C'è una cooperazione nel delitto colposo art 113 cp. Chiunque cagiona
per colpa un evento, cooperando anche con altri, risponde con la pena prevista. Omicidio art 589 cp,
lesioni art 590 cp + art 113 cp perchè sono due soggetti.
Per la Dottrina: non si può più qualificare il datore di lavoro civile sullo stesso piano del datore di
lavoro funzionale, è un datore di lavoro solo formale e semmai gli volessimo rimproverare una
omessa vigilanza si dovrà applicare una fattispecie penale di omessa vigilanza che sicuramente lo
punirà in maniera meno grave rispetto a chi ha cagionato l'infortunio.
Questo definizione di datore di lavoro un po' risolve e un po' complica perchè è oggetto essa stessa
di interpretazione. È la stessa definizione di datore di lavoro che si deve interpretare perchè c'è un
datore di lavoro formale e un datore di lavoro funzionale. Bisogna stabilire se “o, comunque” è
alternativo o cumulativo. Sono tutti problemi che si deve porre il giudice.
La legge non è così chiara, tanto che ci sono due interpretazioni.
Questo però non dovrebbe mai avvenire.
Prima di tutto perchè siamo nel campo della responsabilità penale dove vige il divieto di analogia, il
principio di tassatività e quindi la legge deve essere chiara, precisa, tutto scritto, il giudice non può
inventare, creare, estendere e poi, essendo una definizione, ci dovrebbe aiutare.
Il datore di lavoro esercita i poteri decisionali e di spesa. Decide tutto sulla sicurezza e spende.
Dà anche delle direttive.
Compra tutti i dispositivi, decide che si fa così per la sicurezza poi dirà a tutti i dirigenti di attuare le
direttive.
Il dirigente cosa fa rispetto al datore di lavoro?
Organizza l'attività dei suoi dipendenti e vigila sulla loro attività.
Tutta la popolazione aziendale risponderà innanzittutto ai n° dirigenti, non all'AD, datore di lavoro.
Stiamo parlando di una grande società di capitali, ben strutturata.
Cosa significa organizzare?
Cosa significa vigilare?
Il potere di organizzare implica la divisione dei compiti, il dare degli obiettivi e il coordinare il
lavoro.
Ad es vuole verificare chi gli ha dato tra i dipendenti più profitto in modo tale che gli attribuirà un
premio di produttività sullo stipendio dell'ultimo mese dell'anno.
*job description: è l'identikit di una figura aziendale. Quando intervisti una figura aziendale ti dice
cosa fa, quali sono le sue funzioni.
Il potere di vigilare implica farsi rendicontare l'attività svolta dai propri dipendenti.
Un po' vigila il dirigente, un po' chiede, un po' si fa dire (il dirigente da un compito e poi chiede
cosa ha fatto il lavoratore).
A questo punto se abbiamo il dirigente di azienda che ha un incarico (risorse umane), ha dei poteri
gerarchico-funzionali (su 10-100 risorse), organizza il lavoro ossia divide i compiti e controlla che i
compiti siano stati rispettati e gli obiettivi raggiunti, abbiamo il dirigente del decreto 81.
Questo dirigente deve attuare le direttive del datore, diventa titolare degli obblighi del decreto 81.
È possibile che questo dirigente non sia assunto come dirigente?
Ad es abbiamo un soggetto quadro, che non ha un inquadramento dirigenziale, viene pagato come
un quadro, ma gli vengono date delle funzioni da dirigente. Il lavoratore allora chiederà di essere
fatto dirigente. Infatti spesso ci sono delle cause di lavoro che nascono da questo, gli vengono date
delle funzioni da dirigente restando quadro, non può rifiutarsi di svolgerle perchè il datore ha un
potere direttivo art 2086 cc. Il datore stabilisce cosa fanno i suoi e questi rispondono a lui.
Al massimo il lavoratore può andare davanti al giudice del lavoro per farsi riconoscere una qualifica
in più e chiedere che gli venga applicato il regime dirigenziale, ma non può dire di non fare le
mansioni se ha i mezzi e le competenze.
Il soggetto potrebbe non essere un dirigente d'azienda per la premessa iniziale, ossia le definizioni
del decreto servono per applicare il TU.
La definizione di dirigente del decreto coincide con la definizione di dirigente d'azienda e quindi
tutti i dirigenti d'azienda sono dirigenti 81, ma non è scontato il contrario: che tutti i dirigenti 81
siano dirigenti in azienda. Non c'è una coincidenza necessaria.
È possibile che un soggetto abbia funzioni dirigenziali in materia di sicurezza pur essendo un
soggetto quadro/impiegato/terzo estraneo.
Bisogna applicare la definizione del decreto e trovare il soggetto che vi rientra (vedi che ci sono n
persone che riportano a lui, lui mi dice cosa fare, mi da degli obiettivi, organizza e vigila sul lavoro,
il giudice penale non dirà certo che mancando l'inquadramento il soggetto non risponde).
Sono i poteri e la funzione che esercita il soggetto quelli che determinano la responsabilità penale.
Il giudice penale ragiona sul fatto che quei dipendenti rispondono a quel soggetto e quest'ultimo
deve tutelare la sicurezza dei suoi, non serve la qualifica formale di dirigente. Risponde alla
definizione che la legge penale da di dirigente.
Nell'azienda abbiamo due organigramma:
– uno è l'organigramma aziendale,
– l'altro è l'organigramma della sicurezza.
Potrebbero non essere sovrapponibili perchè per es nell'organigramma della sicurezza potrebbero
comparire dei dirigenti che non compaiono nell'organigramma aziendale.
Quando c'è l'infortunio, il dirigente si può difendere dicendo che nessuno gli ha detto che è un
dirigente 81? È assunto come quadro, ha le sue responsabilità, nessuno gli ha detto che è dirigente,
non ha mai fatto corsi sulla sicurezza. Questa è una difesa sostenibile davanti al giudice penale? No.
Questi obblighi/Questa responsabilità penale per la sicurezza da dove deriva?
Ha i poteri, risponde alla definizione di dirigente, qual'è la fonte dei suoi obblighi?
Dalla legge. La legge non ammette ignoranza.
Se la legge c'è, che il soggetto non la conosca, che non sappia di avere obblighi di sicurezza non è
scusabile.
Nelle imprese strutturate c'è un'informativa, ti dicono sei dirigente 81 e devi fare A, B e C.
I dirigenti sono sottoposti a corsi di formazione per la sicurezza a cadenza quinquennale.
Non regge la difesa di non avere procure per la sicurezza, deleghe o responsabilità per la sicurezza,
è la legge che lo responsabilizza, non c'è bisogno che te lo dica nessuno.
Il dirigente 81 quindi non è detto che sia un dirigente d'azienda come tale inquadrato (ma se lo è,
sarà anche dirigente 81), ma quel soggetto, diversamente inquadrato, potrà di fatto svolgere delle
funzioni dirigenziali e se le svolge per la legge penale prevale la sostanza e non la forma.
Il dirigente può avere gli stessi obblighi di sicurezza del datore di lavoro?
Chi decide per la sicurezza e spende è il datore di lavoro.
Chi organizza e vigila è il dirigente.
Ci può essere coincidenza?
Se gli obblighi sono diversi, lo sono per qualità o per ampiezza?
Ci sono sia degli obblighi diversi tra datore e dirigente, sia per l'ampiezza (sono condizionati dalle
risorse che il datore mette a disposizione).
Artt 17 e 18 d.lgs.
L'art 17 d.lgs fa riferimento a due obblighi indelegabili del datore di lavoro:
a) la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza in azienda che deve essere formalizzata il un
documento, il DVR (documento di valutazione dei rischi). La valutazione è del datore e non può
che essere sua.
b) nomina del Rspp, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
Questi due obblighi sono solo del datore di lavoro e non del dirigente.
L'art 18 d.lgs è intitolato “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”.
L'art 18 d.lgs prevede tutti obblighi che spettano al datore e al dirigente, ma qual'è la differenza?
La vediamo leggendo il 1 co “Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all'art 3, e i dirigenti,
che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite,
devono:”.
Il dirigente è tenuto ad adempiere agli stessi obblighi del datore di lavoro, ma limitatamente alle
proprie attribuzioni e competenze. Sarebbe un datore di lavoro pro quota, rispetto al suo ambito di
responsabilità.
Ad es Il direttore delle risorse umane organizza l'attività di 100 dipendenti, deve adempiere gli
obblighi dell'art 18 d.lgs entro i suoi poteri e limitatamente ai suoi 100, all'ambito risorse umane.
Lo stesso obbligo ha un perimetro diverso: da un lato il datore per tutta l'azienda, dall'altro il
dirigente per il suo incarico/attribuzione.
C'è anche una differenza rispetto ai poteri: il datore decide, spende e provvede; il dirigente
organizza e vigila. Lo stesso obbligo è calato nell'esercizio di diversi poteri, quelli più
forti/primari/impeditivi diretti del datore di lavoro e quelli intermedi del dirigente.
La responsabilità del dirigente è una responsabilità a livello intermedio.
Non è primaria come quella del datore, ma non è nemmeno ultima.
È intermedia perchè attua gli obblighi organizzando e vigilando. Non decidendo e spendendo.
Il dirigente ha degli obblighi sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro, li ha pro
quota e tenuto conto dei poteri di cui dispone. Ce l'ha a livello organizzativo e di vigilanza. Ecco
perchè attua le direttive.
Il datore compra i dispositivi, il dirigente li fa distribuire e vigila sull'attività in sicurezza.
Il primo ha una responsabilità primaria. Il secondo una responsabilità intermedia.
Il dirigente, nel momento in cui c'è un infortunio perchè il lavoratore non ha fatto la visita medica o
non ha il dispositivo ecc, può rispondere penalmente?
Il PM che deve formulare l'imputazione, cosa gli contesta al dirigente?
Gli dirà che lui ha contribuito perchè non ha organizzato o vigilato in modo tale da garantire lo
svolgimento dell'attività in sicurezza e quindi di impedire l'evento.
Il dirigente che si difende affermando che non può comprare i dispositivi, ma se non c'è il
dispositivo idoneo a svolgere l'attività in sicurezza deve esonerare il lavoratore e se non c'è la
possibilità di agire in sicurezza non deve richiedere quell'attività.
Il dirigente può fare qualcosa di diverso dal datore per impedire l'infortunio? Si.
Allora la Cassazione dice che è un soggetto responsabile insieme al datore di lavoro che doveva
acquistare il dispositivo di sicurezza.
La responsabilità intermedia del dirigente si aggiunge a quella primaria del datore di lavoro.
Tutti e due rispondono in concorso dell'infortunio (stessa pena per tutti i concorrenti: il giudice può
decidere tra il minimo e il massimo degli artt 589 e 590 cp. Il datore non decide e non compra, il
dirigente non segnala. C'è cooperazione. Entrambi hanno posto in essere condizioni essenziali alla
verificazione dell'evento. Il dirigente se avesse segnalato in tempo o bloccato l'attività, l'infortunio
non ci sarebbe stato), ovviamente il dirigente solo nel caso in cui l'infortunato rientri nel suo ambito
di responsabilità. Altrimenti il dirigente non risponderebbe.
Il datore invece questi poteri ce l'ha per tutta l'impresa.
Siamo sicuri che il dirigente d'azienda non deve mai valutare il rischio e mai nominare il Rspp? O
c'è un caso in cui lo deve fare?
Lo deve fare il dirigente che è a capo di una unità produttiva perchè abbiamo detto che i datori di
lavoro in un'azienda di grande dimensioni possono essere tanti e possono essere anche dirigenti
responsabili di una unità produttiva.
C'è una impresa di produzione, essa ha stabilimenti che producono in tutta Italia e a capo dello
stabilimento, che ha un budget/fondo che spende come vuole, c'è il dirigente “capo stabilimento”,
quel dirigente è datore di lavoro dell'unità produttiva.
Se è datore dell'unità produttiva la legge lo obbliga a valutare i rischi e a nominare il Rspp.
Abbiamo così tanti dirigenti che diventano datori di lavoro perchè gli viene attribuita la
responsabilità dell'unità produttiva. A questo punto è la legge che gli attribuisce tutti gli obblighi
dell'art 17 d.lgs perchè quel dirigente (datore di lavoro dell'unità produttiva) ha poteri decisionali e
di spesa in materia di sicurezza sull'unità produttiva.
Il dirigente è soggetto che sta sotto al datore di lavoro nell'organigramma aziendale, ma in taluni
casi può diventare datore di lavoro e condividere gli unici obblighi che altrimenti non avrebbe mai e
mai gli potrebbero essere delegati (art 17 d.lgs).
Altro discorso va fatto per i dirigenti delegati, quelli destinatari della delega di funzioni dell'art 16
d.lgs.
Lezione 19 Ottobre,
L'art 18 d.lgs 81/08 prevede gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente. Coincidono.
Sono previsti per il datore di lavoro per tutta l'azienda, per il dirigente nei limiti dell'attribuzione e
delle competenze e secondo i poteri che ha. Il dirigente ha dei poteri di organizzazione e di
vigilanza, ma non ha poteri decisionali e di spesa.
Il dirigente segnala al datore che i lavoratori non hanno i dispositivi, non li fa lavorare e chiama il
datore per acquistarli e spendere risorse in materia di sicurezza. Per dire invece ai lavoratori di fare
la visita medica, il dirigente può farlo e non gli servono i poteri decisionali e di spesa. Se non fa la
visita, non lavora.
Ci sono degli obblighi che necessitano di poteri che il dirigente non ha per essere completati,
altri no: ad es assicurarsi che i lavoratori abbiano le informazioni e la formazione per svolgere
quelle mansioni.
(*domanda d'esame)
3-bis) il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all'adempimento degli
obblighi di cui agli artt 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l'esclusiva responsabilità dei soggetti
obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia
addebitabili unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro
e dei dirigenti.
Norma che nei processi si applica tanto e porta quasi sempre ad una responsabilità oggettiva
incostituzionale.
Il datore e i dirigenti devono vigilare sul rispetto di obblighi di cui agli artt 19 (obblighi del
preposto), art 20 (obblighi del lavoratore), art 22 (obblighi dei progettisti), art 23 (obblighi dei
fabbricanti e dei fornitori), art 24 (obblighi degli installatori) e art 25 (obblighi del medico
competente).
Se il datore o dirigente deve utilizzare un'attrezzatura, un macchinario, un impianto ad es di
smaltimento dei rifiuti, ci sarà qualcuno che l'ha progettata. Il datore va sul mercato e se la compra.
Il datore deve controllare che i progettisti abbiano rispettato la sicurezza nella progettazione.
Ad es nel caso della Diga del Vajont in cui il progettista si ammazzò visto che il difetto era nella
progettazione. Uno grande masso di roccia del monte Toc precipitò nel bacino della diga, creò
un'onda tale da superare la struttura e distruggere il paese di Longarone sottostante (2000 morti).
Il datore, che utilizza un'attrezzatura o impianto progettato da altri, deve vigilare sul rispetto degli
obblighi di sicurezza dell'altro, del progettista.
Il datore e i dirigenti devono quindi vigilare sul rispetto degli obblighi dei progettisti, fornitori,
fabbricanti, installatori, lavoratori, preposti.
Il lavoratori e i preposti sono soggetti interni, ma gli altri sono tutti esterni.
Il fabbricante va a giudizio quando c'è un difetto di fabbricazione che causa un infortunio, ma il
datore di lavoro, che ha utilizzato il risultato di quella fabbricazione, gli contestano l'art 18, co 3-
bis, d.lgs. Gli contestano la violazione di un obbligo di vigilanza sul rispetto di questi obblighi.
Il datore nel processo si difende dicendo che ha sbagliato il progettista, lavoratore, fornitore ecc,
però spesso il difetto si imputa anche a lui per aver violato un obbligo di vigilanza. È un obbligo
pesante perchè è una vigilanza su terzi (non su soggetti che rispondono a lui, sono autonomi, hanno
la loro impresa, la loro competenza, la loro specializzazione).
La legge prevede che questo datore di lavoro e questo dirigente non rispondano in quali casi?
“ferma restando l'esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli
qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabili unicamente agli stessi e non sia
riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
La disposizione è stata modificata ed è stato introdotto il co 3-bis in questa versione per attutire
questa responsabilità altrimenti tendenzialmente illimitata del datore e del dirigente introducendo
una clausola di esclusiva responsabilità del terzo.
Il datore non deve essere portato in giudizio e l'infortunio è dovuto al difetto di progettazione,
d'installazione, di fabbricazione, di fornitura, alla violazione dell'obbligo del preposto o del
lavoratore. Questo è un meccanismo di risalita della responsabilità fino al datore o al dirigente per
colpa in vigilando che si blocca attraverso questa clausola normativa. Ad un certo punto però si
ferma ed è esclusiva responsabilità di quello che progetta, di quello che installa, del lavoratore, del
preposto. È un processo di verticalizzazione della responsabilità. Tende ad andare verso l'alto
attraverso una colpa di vigilanza, un difetto di vigilanza. È un obbligo positivamente imposto
dall'art 18 d.lgs, salvo l'esclusiva responsabilità del terzo del co 3-bis. Nel processo penale
l'imputato sarà il terzo che ha cagionato l'infortunio.
Perchè questa norma si chiama “norma salva manager”?
La disposizione fu introdotta nel 2009 e ci fu un appello di alcuni penalisti su vari giornali contro
questa disposizione perchè la chiamavano Salva manager.
Questa norma salva i manager che non rispondo più perchè introduce l'esclusiva responsabilità del
terzo. La consideravano una norma a favore dell'imprenditore e dell'impresa.
Il datore che si giova del bene, dell'attrezzatura, dell'impianto e mette persone a lavorare su
quell'attrezzatura è esente da responsabilità proiettata solo sul terzo che ha progettato male,
installato male, fabbricato male.
Però questa disposizione non ci aiuta tanto.
Questa disposizione anche oggi porta nei processi a responsabilità oggettiva.
Cosa ne può sapere il datore o dirigente del difetto di progettazione o di fabbricazione? Spesso è
inerme e non ha proprio gli strumenti. Se gli manca il potere, non gli puoi dare il dovere.
Alcuni non firmarono l'appello: perchè l'esclusiva responsabilità di chi ha i poteri è un principio
costituzionale.
Però questa disposizione che aveva una ratio corretta, è scritta malissimo: “qualora la mancata
attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un
difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
Il datore e dirigente hanno un obbligo di vigilanza sul rispetto degli obblighi di alcuni terzi
soggetti, ma non rispondono solo nel caso in cui ci sia esclusiva responsabilità di questi, ossia
quando c'è un difetto dell'altro, salvo però che non ci sia stato un difetto di vigilanza. Ma allora c'è
stata una violazione di vigilanza dell'obbligo originario.
Questa disposizione invece dovrebbe essere intesa: il datore o dirigente ha vigilato, perfetto ha
adempiuto l'obbligo. Se non l'ha adempiuto (non ha vigilato correttamente), allora risponde salve
alcune ipotesi in cui, pur se avesse vigilato, non si sarebbe reso conto del difetto.
Se riproponi il difetto di vigilanza alla fine, allora torniamo all'inizio.
La disposizione è scritta male rispetto alla ratio di tutela che era corretta, ma non è sbagliata in
origine per la sua logica.
È una disposizione terribile che inchioda perchè il giudice dirà al datore di aver difettato nella
vigilanza e con l'ultima parte del co 3-bis non può applicare la disposizione di esenzione perchè
non ha vigilato.
Il d.lgs 146/2021, convertito in legge l.n. 215/2021 (Riforma 2021), ha introdotto qualche novità
importante sul preposto.
Andiamo a vedere la definizione di preposto all'art 2, lett E, d.lgs 81/08:
« Preposto»: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici
e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e
garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei
lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
Vediamo cosa ha di simile con il dirigente e cosa di diverso.
Per quanto riguarda le analogie, in entrambi i casi c'è un incarico, preposto a cosa? Ad un'area? Ad
uno stabilimento? Ad un ufficio? A quale struttura? Ad una squadra?
Ha poteri gerarchici e funzionali adeguati visto che è preposto (posto prima) ad un'area.
Fino a qui è come il dirigente, cosa manca?
Il dirigente attua le direttive del datore, cosa che non fa il preposto.
Il preposto invece garantisce che le direttive siano attuate. È ad un livello più basso. Siamo al livello
dei lavoratori, infatti il preposto è un lavoratore. È un lavoratore che non rientra nell'art 2, lett A e
negli obblighi dell'art 20, ma rientra nella lett E, dell'art 2 e deve adempiere agli obblighi dell'art
19 d.lgs.
È messo prima degli altri lavoratori. Ha una responsabilità in più e sugli altri lavoratori esercita
poteri gerarchici e funzionali. Quindi non è un lavoratore e basta.
Cosa fa il preposto?
Sovrintende all'attività lavorativa.
Garantisce l'attuazione delle direttive.
Controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori.
Esercita un funzionale potere d'iniziativa.
Come il dirigente attua le direttive del datore, il preposto garantisce che siano eseguite.
Come il dirigente organizza e vigila, il preposto sovrintende, controlla e prende iniziativa.
Analogie dirigente-preposto:
- c'è un incarico,
- hanno poteri gerarchici e funzionali.
Differenze:
-Dirigente attua le direttive; Preposto garantisce che siano eseguite;
-Dirigente organizza e vigila; Preposto sovrintende, controlla e assume l'iniziativa.
La funzione del preposto è minus rispetto al dirigente.
Il preposto non ha il potere-dovere di organizzazione.
Quindi il potere di fissare l'obiettivo, dividere i compiti ecc è un potere dirigenziale che il preposto
non ha.
Il preposto sovrintende, che è qualcosa meno dell'organizzazione.
Ricordiamoci che sono norme penali che vanno interpretate tassativamente.
Se il legislatore utilizza il verbo sovrintende e non organizzare vuol dire che dobbiamo attribuirgli
significati diversi. Altrimenti potremmo avere un dirigente di fatto. Se il preposto organizza, non
abbiamo più un preposto, ma un dirigente e risponde degli obblighi dell'art 18 d.lgs.
Dietro ogni questione di questo tipo c'è la responsabilità penale.
Se il soggetto è un preposto non gli si può contestare di non aver garantito la formazione dei
lavoratori, non spetta a lui. Gli potrai contestare solo di non aver esercitato il potere di
sovrintendere, controllare o di non aver assunto l'iniziativa quando era necessario.
Il preposto non ha il potere-dovere di organizzare. Non vigila perchè la vigilanza è la contropartita
dell'organizzazione. Se dice cosa fare al lavoratore, il dirigente vigila anche che lo faccia.
Per il preposto non è così. I lavoratori non prendono ordini da lui, non indica ai lavoratori cosa fare.
Il preposto è uno dei lavoratori. L'es tipico del preposto è il caposquadra.
Se ci sono delle squadre di lavoratori che vanno a realizzare un'attività, ad es (Fastweb) mettere la
linea telefonica in un grande centro commerciale, in quella squadra c'è un caposquadra (formato)
che è il preposto. Però cosa devono fare, in quanto tempo, come lo devono realizzare quell'attività
non l'hanno stabilito loro né il preposto per loro. È compito del dirigente ad es addetto alle nuove
linee o all'assistenza. L'organizzazione non spetta la preposto.
Il soggetto formato come preposto però deve sovrintendere l'attività, ossia deve controllare che
l'attività sia svolta in sicurezza (da lui e dagli altri). Se qualcosa non va, deve assumere l'iniziativa.
Quale sarà quest'iniziativa?
Se c'è una situazione di insicurezza, il preposto non può decidere e spendere perchè altrimenti
sarebbe datore di lavoro di fatto.
Il preposto non organizza e dice ai lavoratori cosa fare, non cambia attività o mansione, altrimenti
sarebbe un dirigente di fatto.
Quindi il preposto cosa fa?
Il preposto segnala la situazione di insicurezza. A chi? Al dirigente responsabile, se non c'è al datore
di lavoro.
La Giurisprudenza attribuisce al preposto un obbligo di segnalazione e di segnalare
immediatamente la violazione di sicurezza.
Il preposto potrebbe anche essere assegnato ad ogni ufficio che il datore ha in tutta Italia.
Decide l'azienda quali e quanti preposti avere.
Però il datore di lavoro deve garantire una rete adeguata di preposti, non può pensare che un
preposto possa sovrintendere 5.000 dipendenti ramificati a livello territoriale. Perchè cosa accade?
La violazione di sicurezza non viene immediatamente rilevata in loco, al momento precedente
all'infortunio, perchè? Perchè mancano i preposti. Se mancano, chi segnala? Nessuno. Non c'è sul
luogo chi segnala e se c'è un infortunio risponderà il datore di lavoro. Sarà imputato al datore il
difetto di non aver strutturato la rete adeguata di preposti.
Il datore o il dirigente deve verificare quanti preposti mi servono, quali caratteristiche devono avere,
dove li devo mettere, quali incarichi gli devo assegnare. È un ragionamento che va fatto a monte e
di carattere organizzativo-strutturale.
Non c'è nessun soggetto che può sanzionarli dicendo che non ci sono x preposti, però se poi non ci
sono e non viene rilevata la violazione sulla sicurezza...come provvederanno? La legge parte dal
presupposto che, se ci fosse stato il preposto e avesse segnalato in tempo la violazione, il datore o
dirigente avrebbe provveduto. È un errore che il datore di lavoro si portano dietro.
Il preposto, nell'ottica del legislatore, è lo strumento più vicino per il controllo del datore a luogo e
al momento dell'infortunio. Il preposto vede se le direttive sono state ricevute, attuate, controlla se i
lavoratori sono formati, se sanno cosa fare, se ha avuto i dispositivi che servono, controlla perchè il
preposto sta lì con i lavoratori. Al datore di lavoro non si può chiedere un controllo capillare,
quotidiano, continuativo sulle prestazioni lavorative perchè il datore di una grande impresa questo
non lo può fare, si tratterebbe di una responsabilità oggettiva.
La legge si rende conto di questo, se il datore di lavoro non può farlo, gli chiede di individuare il
preposto e gli attribuisci obblighi tipici del soggetto che sta lì.
Questo è il motivo di resistenza della riforma: facciamo rispondere il preposto e non il dirigente o
datore?
Si, perchè è un lavoratore formato ad hoc, art 37 d.lgs, è formato ogni due anni, fa i corsi (se non lo
forma è responsabilità del datore art 18 d.lgs).
L'art 19, lett f-bis), d.lgs “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di
lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere
temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al
dirigente le non conformità rilevate”.
Il segnalare tempestivamente c'era anche prima, ma dal 2021 si chiede al preposto di interrompere
temporaneamente l'attività. Grossa novità che responsabilizza il preposto.
Quali sono le altre novità introdotte nel 2021? che sono anche un po' conseguenti.
Quale potrebbe essere la difesa del preposto? Se responsabilizzo il lavoratore, primus inter pares,
che deve interrompere l'attività, questo teme una sua responsabilità penale e quindi come si
difenderà in giudizio?
La prima cosa che asserisce è “non sono un preposto”. Capita spesso!
Il lavoratore affermerà che nessuno l'ha individuato come preposto. La legge penale però non scusa
e il soggetto, se è un preposto, risponde se non ha interrotto l'attività quando avrebbe dovuto farlo.
Però qual'è stato l'altro intervento che responsabilizza anche formalmente il preposto?
L'art 18, lett b-bis, d.lgs. L'obbligo, che prima non c'era, del datore e del dirigente di individuare
il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'art 19 d.lgs.
*(domanda esame) Cosa succede oggi se il preposto non è individuato? E non interrompe l'attività/o
non segnala e c'è un infortunio, risponde?
SI, perchè l'art 299 d.lgs valorizza il preposto di fatto.
Il soggetto, se è messo lì come caposquadra a vigilare, non importa che non è stato formalmente
individuato come preposto perchè è preposto di fatto ed essendo preposto di fatto l'art 19 d.lgs ti
obbliga ad interrompere l'attività e a segnalare tempestivamente.
Se però non è individuato dal datore o dal dirigente, questi rispondono della violazione dell'art 18
d.lgs. Questi non rispondono necessariamente dell'infortunio che ne è derivato perchè il lavoratore è
sempre un preposto di fatto.
Ad es il dirigente risorse umane ha sotto di lui 100-1000 persone, nomina il preposto se non lo fa il
datore, ci sono 4 uffici e per ogni ufficio individuerà un preposto.
Se non lo fa risponde di una violazione che è prevista nel decreto 81 per non averlo individuato, ma
non necessariamente risponde dell'infortunio che ne è derivato perchè quel soggetto è sempre un
preposto di fatto.
La Riforma 2021 non ha voluto restringere le responsabilità, ma allargarle. Il datore non ha
individuato il preposto, non importa, se ci sono dei preposti di fatto rispondono come rispondevano
prima. Il datore risponde di una contravvenzione: è una sanzione per il solo fatto di non averlo
nominato. Pena ad hoc lieve. Il datore non sarà responsabile dell'infortunio solo per non aver
individuato il preposto.
La mancata individuazione del preposto non ha tolto nulla rispetto alla verificazione
dell'infortunio.
Spesso in azienda succede che il lavoratore rifiuti di essere preposto o se nel diventarlo chieda un
aumento di stipendio. In realtà il caposquadra che afferma di non voler essere preposto e non
accetta la nomina, lo è gia di fatto ex art 299 d.lgs.
L'unico modo per non essere preposto è non fare più quello che già fa. Fai un'altra cosa in azienda o
ti licenzi. Se il lavoratore è caposquadra, per la legge, sei un preposto che deve controllare,
segnalare e, se necessario, interrompere l'attività.
Quell'individuazione/nomina a cosa serve allora?
Perchè responsabilizza ancora di più il preposto e soprattutto consegna al giudice domani
un'organizzazione che ha una forma che coincide con la sostanza.
Le qualifiche di fatto andrebbero sempre evitate e dovrebbero essere formalizzate.
Come si fa l'individuazione?
– si può fare ad personam, ossia Tizio è caposquadra, datore o dirigente lo indicano come
preposto;
– oppure una individuazione per funzione, ossia tutti i capisquadra/capiufficio sono preposti
(come fanno le grandi aziende). Questo si trova nell'organigramma della sicurezza
dell'azienda all'interno del DVR. Così chi diventa caposquadra sa già che è preposto e non
serve la nomina ad personam ed è già individuato.
Se il lavoratore non vuole questa individuazione, non cambia nulla rispetto al profilo della
responsabilità. Lo sarebbe di fatto e sarebbe comunque responsabile penalmente.
Oggi più di prima perchè l'obbligo nuovo vale sia per il preposto individuato che di fatto.
Questa nomina non è stata introdotta perchè altrimenti il preposto non è responsabile, non si è
toccato il preposto di fatto. In questo caso la legge avrebbe tolto il preposto dall'art 299 d.lgs, ossia
avrebbe detto sei preposto solo se individuato (cosa che non è avvenuta).
Il preposto di fatto rimane, ma il datore o dirigente è obbligato formalmente ad individuarlo.
È un modo per responsabilizzare il datore e il dirigente: ti sei posto il problema di quali sono i tuoi
preposti? Li hai individuati? Sono in numero adeguato?
Riassunto:
Sappiamo che il preposto è nominato dal datore e dal dirigente.
Sappiamo che può essere di fatto responsabile ex art 299 d.lgs.
Sappiamo cosa fa: sovrintende, controlla e assume l'iniziativa.
L'iniziativa è oggi soprattutto interrompere nel caso di pericolo l'attività.
Vediamo gli obblighi del preposto art 19 d.lgs.
“In riferimento alle attività indicate all'art 3, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze,
devono:
a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge,
nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di
protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso
di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di
lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il
comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata
attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l'attività del
lavoratore e informare i superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone
che li espongono ad un rischio grave e specifico; (il preposto deve controllare che i lavoratori non
istruiti non accedano alle zone pericolose)
c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di
emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile,
abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato
circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro
attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di
pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della
formazione ricevuta;
f-bis) in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni
condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere l'attività e,
comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate
(riforma 2021);
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall'art 37 d.lgs.
Prima del 2021 il preposto ce l'aveva un dovere di bloccare l'attività? (*domanda esame)
Si, solo nel caso di mancanta attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della
inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti.
Il preposto ha detto al lavoratore di non andare in quel luogo e il lavoratore ci va comunque, allora
lo blocca. Lo blocca nel caso di persistenza dell'inosservanza.
Il preposto deve far rispettare le regole, in quella zona il lavoratore non ci può andare, gli dice che
non può entrare senza casco o senza una tuta protettiva: questa è una funzione che il preposto aveva
e ha tuttora. Il lavoratore non rispetta le regole, allora il preposto lo blocca.
Si tratta però di un caso diverso dall'interrompere l'attività nel caso di pericolo di sicurezza.
Il potere della lett f-bis) è più alto di quello della fine della lett a).
Nel primo caso (lett.a) il preposto bloccava il (singolo) lavoratore che persisteva nella violazione.
Nel secondo (lett.f-bis) non è detto che ci sia una violazione, c'è proprio un pericolo di sicurezza e
deve interrompere l'attività.
Questi obblighi vanno interpretati in senso tassativo.
Se l'obbligo è specifico devi applicarlo come previsto dalla legge, non è possibile estenderlo.
La legge penale non si può applicare in via analogica, ma solo nei casi espressamente previsti.
Da più sicurezza l'obbligo della lett.f-bis) rispetto a prima, perchè inizialmente bisognava avere il
richiamo e la persistenza della violazione, poi il blocco dell'attività del lavoratore e segnalazione. Il
lavoratore è passibile di segnalazione disciplinare.
Mentre oggi al preposto, in condizione di pericolo, gli viene affidato il potere di interrompere
temporaneamente tutta l'attività.
Ad es prima il preposto diceva di non andare in quel luogo, il lavoratore ci andava comunque e
bloccava la sua attività.
Ora c'è una situazione di pericolo in quell'aula, il preposto blocca l'attività di tutti che devono uscire
ed informa tempestivamente il datore di lavoro e dirigente.
Ultima precisazione: le qualifiche di fatto art 299 d.lgs.
“Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art 2, co 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì
su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a
ciascuno dei soggetti ivi definiti”.
Intanto troviamo che il Legislatore utilizza un'espressione che abbiamo già utilizzato parlando del
reato omissivo improprio, ossia la posizione di garanzia, che è legata all'art 40, 2 co, cp, l'obbligo
giuridico di impedire l'evento.
Gli obblighi impeditivi, di garanzia (artt 17, 18, 19 d.lgs) del datore, del dirigente e del preposto li
ha anche chi, indipendentemente dall'investitura/qualifica formale, esercita in concreto i poteri
giuridici corrispondenti.
Questa disposizione rispetta il principio di personalità?
Si attua il principio. C'è corrispondenza tra poteri e doveri. Il soggetto ha i poteri giuridici e non
rileva che non sia formalmente investito della qualifica. Anche il datore di lavoro, dirigente o
preposto di fatto è responsabile.
Il datore, dirigente e preposto formalmente individuati continuano a rispondere?
Si, continuano a rispondere.
L'art 299 d.lgs non vuole eliminare nessuna responsabilità, in caso aggiunge una responsabilità
per chi di fatto esercita le funzioni pur senza essere formalmente investito della qualifica.
Ad es c'è un soggetto che decide sulla sicurezza, non è datore di lavoro, potrebbe non essere anche
nell'organigramma aziendale , ma è quell'amministratore occulto, di fatto e c'è però il datore (testa
di legno) formale. Rispondono tutte e due. Il datore di lavoro formale ha i poteri decisionale e di
spesa (formalmente), ma se c'è di fatto un soggetto che esercita questi poteri si aggiunge al primo.
Tutti e due esprimono una responsabilità personale perchè il primo avrebbe i poteri, ma non li
esercita; il secondo ce li ha di fatto e li esercita. La legge si disinteressa della qualifica formale.
La qualifica di fatto si aggiunge alla qualifica di diritto.
È costituzionalmente corretto perchè di fatto il soggetto ha il potere e quindi è giusto attribuirgli
anche il dovere. Quale norma gli attribuisce il dovere? L'art 299 d.lgs. Il soggetto, se ha i poteri, ha
anche i doveri. Ricopre una posizione di garanzia anche lui.
Quindi abbiamo:
-datore di lavoro di diritto e datore di lavoro di fatto;
-dirigente di diritto e dirigente di fatto;
-preposto di diritto e preposto di fatto.
Se abbiamo un preposto di diritto che non ha i poteri organizzativi, ma si accerta (il PM) che questo
soggetto organizza, divide i compiti e gli altri prendono ordini da lui, abbiamo davanti un dirigente
di fatto e il giudice gli applicherà gli obblighi dell'art 18 d.lgs e non dell'art 19 d.lgs.
Il preposto non potrà difendersi dicendo che nessuno l'ha nominato dirigente.
La legge gli risponde che è anche lui dirigente, insieme al suo formale dirigente responsabile perchè
di fatto organizza.
Il PM, se accerta che il preposto di fatto organizza, porterà in giudizio come dirigente che ha violato
l'art 18 d.lgs sia il dirigente di diritto, sia il preposto che di fatto è dirigente.
Le migliori aziende sono quelle dove forma e sostanza coincidono, non ci sono qualifiche di fatto
ma sono tutte formalizzate. Così l'azienda sa prima chi sono i suoi datori, dirigenti e preposti e
riesce prima ad allocare obblighi e responsabilità.
Però di fronte ad un fatto che supera la forma, la legge valorizza il fatto.
Per la Giurisprudenza si chiama principio di effettività.
Le massime della Cassazione ci dicono che l'individuazione dei soggetti garanti si fa secondo il
principio di effettività. La cui dimostrazione puntuale è l'art 299 d.lgs.
Quindi le lettere b,d,ed e dell'art 2, 1 co, d.lgs le dobbiamo sempre leggere + art 299 d.lgs.
Nell'organigramma della sicurezza di Cassa depositi e prestiti Piva ha chiesto di scrivere un
Memorandum, ossia tutti i dirigenti e tutti i preposti ricevono una comunicazione. Chi è
dirigente? tutti quelli che hanno qualifica dirigenziale (per contratto) e sono a capo di
divisioni/direzioni. Chi è preposto? È stato individuato per funzione, sono tutti i responsabili
di unità organizzativa non aventi qualifica dirigenziale.
Cassa depositi e presti ha distinto: se l'unità organizzativa ha un dirigente per contratto è un
dirigente per la sicurezza perchè ha delle funzioni organizzative; se invece c'è un team di
persone dell'unità organizzativa ha come riferimento un soggetto che è un quadro, allora
questo soggetto riceve la qualifica ai sensi della sicurezza di preposto.
A quel punto Cdp scrive che tutti i dirigenti hanno gli obblighi dell'art 18 d.lgs, secondo le
rispettive attribuzioni e competenze, e tutti i preposti hanno gli obblighi dell'art 19 d.lgs e lo
diffondono. Hanno fatto anche un video di 10 min che racconta il contenuto di questo
Memorandum in modo che ne siano a conoscenza in particolare i neo-dirigenti e i preposti
che diventano tali in virtù della funzione. Perchè? Così si escludono le qualifiche di fatto.
Poi si adempie all'obbligo di legge art 18, 1 co, b-bis, d.lgs e diamo al dirigente
un'informativa.
Ecco perchè poi si motiva anche la partecipazioni ai corsi di formazione in materia di
sicurezza (ogni 5 anni il dirigente, ogni 2 anni il preposto). Il dirigente ha gli obblighi
dell'art 18 d.lgs, il preposto ha gli obblighi dell'art 19 d.lgs.
Lezione 25 Ottobre,
RLS, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, è un lavoratore che rappresenta i lavoratori se
lo eleggono, è sottoposto agli obblighi dell'art 20 d.lgs, partecipa alla Riunione periodica art 35
d.lgs e sottoscrive il documento di valutazione dei rischi.
Il medico competente fa la visita ai lavoratori. Quale comunicazione gli deve arrivare al medico
competente dal datore prima della visita? Che mansione svolge il lavoratore.
Non faccio l'autista, il muratore, l'infermiera, ma bisogna dirgli “il come”, dargli contezza di quello
che il lavoratore fa.
Ad es il lavoratore è un'autista, ma fa 20 km al giorno o 200?
L'infermiere sta in reparto o sta in sala operatoria?
Il medico competente, nel caso in cui non riceva queste informazioni, le deve chiedere.
Il medico competente attesta l'idoneità alla mansione, ma gli vengono date informazione errate. Chi
risponde? Il datore di lavoro, è lui che decide le mansioni. Il medico attesta l'idoneità rispetto alle
mansioni che gli vengono comunicate.
Un lavoratore è idoneo ad una mansione e lo si mette a fare quella cosa, un altro è idoneo ad altra
mansione, ma poi ad un certo punto non è più idoneo e il datore gli fa cambiare mansione, prima
però deve fare una nuova visita.
Il medico competente deve avere l'elenco dei lavoratori e gli deve essere comunicato da datore e
dirigente quando cessa un rapporto di lavoro ex art 18, 1 co, lett.g-bis), d.lgs, quando cambia la
mansione, quando c'è una nuova assunzione.
Il medico deve ricevere l'informazione rispetto alla mansione svolta dal lavoratore e solo a quel
punto lo visita.
All'esito degli accertamenti, il medico competente può attestare che:
– il lavoratore è idoneo alla mansione;
– il lavoratore non è idoneo alla mansione; se il lavoratore è inidoneo il datore non può
mettere in discussione il certificato, gli deve cambiare mansione o lo deve licenziare.
A volte il contrasto è tra il lavoratore e il medico competente. Il lavoratore ha interesse a
lavorare e sa che se non è idoneo a quella mansione e in quell'azienda non ci sono altre
posizioni aperte, rischia di andare a casa. C'è la giusta causa di licenziamento, salvo le
assunzioni obbligatorie (quote di assunzioni riservate a chi ha particolari invalidità).
– il lavoratore è idoneo alla mansione con prescrizioni; ossia il lavoratore è un
videoterminalista, esso è idoneo alla mansione, ma avendo un problema alla vista deve fare
ogni due h di lavoro 30 min di intervallo. Ogni anno si ripete la visita e il datore è
legittimato ad usarlo in quel modo.
Ma quali accertamenti vanno fatti e quale sia il risultato/diagnosi di questi accertamenti non sono
ambiti rispetto ai quali il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere.
È però oggetto di possibile impugnazione da parte del lavoratore, il quale si può rivolgere ad una
commissione medica territoriale per contestare l'attezione del medico. Il datore non può farlo, anzi
deve attuarla.
Anche nel caso di idoneità con prescrizioni, se il datore non consente al lavoratore di fare la pausa
alla vista ogni 2 h e gli cala la vista, derivandone una lesione, il datore risponde.
Il datore di lavoro può chiedere il perchè di quella attestazione? Quali accertamenti ha svolto?
No, ci sono motivi di privacy. I dati della salute sono dati sensibili. Sono coperti da segreto e il
datore di lavoro non li può chiedere e non può mettere in discussione l'esito.
Il datore deve dire quali sono i suoi lavoratori, quali sono le mansioni ricoperte descrivendole, deve
sottoporli a visita e se il lavoratore non ci va?
Ad es in una nota università romana con il Policlinico, un professore dell'università, oltre ad
insegnare, opera anche nel Policlinico della stessa università. Il problema è che non si vuole fare la
visita sanitaria doppia.
I professori universitari fanno la visita per accertare l'idoneità psico-fisica alla mansione: attività
didattica e di ricerca. Si verificano se ci sono problemi relativi alla parola, alla vista, motori. Se il
soggetto è inidoneo non può essere pagato.
Se il professore opera al Policlinico e ha già fatto la visita come professore, ne deve fare un'altra di
visita di sorveglianza sanitaria? Si, perchè la mansione è diversa.
Il datore di lavoro diventa l'amministratore delegato/direttore generale dell'ospedale perchè è lui che
ha i poteri decisionali e di spesa. Sulla sicurezza dell'ospedale non decide il Rettore
dell'università/AD o Direttore generale se è una università privata, ma il Direttore generale
dell'ospedale. È lui che lo paga, che lo dirige, che gli da i turni. Quindi il professore/medico deve
fare una doppia visita.
Quindi i due enti che si scambiano il docente che va a fare attività assistenziale possono mettersi
d'accordo e prevedere la nomina di uno o più medici competenti (se l'azienda è grande), che in una
sola visita, attesta l'idoneità alle due mansioni.
Potrebbero anche cambiare: l'uno resta sempre idoneo e l'altro diventa idoneo con prescrizioni
perchè sono diverse le attività.
Qui perchè si tratta di due attività convenzionate, altrimenti bisogna fare la doppia visita (due
attestati).
Questa doppia visita il medico competente a chi l'attesta?
A due diversi soggetti.
Invece nel caso delle attività convenzionate, il medico competente attesta e invia ai due datore di
lavoro la stessa attestazione dell'unica visita.
Al massimo se la prestazione non richiede una visita ogni anno, tutte e due si fanno lo stesso ogni
anno. Si fa più sorveglianza sanitaria dal lato universitario (anche se ne basterebbe 1 ogni 2 anni),
mentre per valutare l'idoneità ad operare è una volta l'anno perchè è più sensibile la prestazione.
Una volta l'anno si fa comunque la doppia visita.
Questa è l'attività principale del medico competente (quante visite fare e quale sorveglianza medica
fare a seconda della mansione), ma non è la sola.
Un'altra attività fondamentale del medico competente è contribuire alla valutazione del rischio.
La valutazione del rischio è obbligo indelegabile del datore di lavoro.
Chi firma il documento di valutazione dei rischi?
Datore, Rspp, medico competente, Rls.
Perchè il medico competente lo sottoscrive? Perchè partecipa alla valutazione dei rischi?
Perchè alcuni rischi sono rilevabili solo dal medico.
Ad es 2020 col covid i medici competenti delle aziende sono stati protagonisti della valutazione del
rischio da contagio. C'è il rischio da contagio nell'azienda? Un rischio da agente biologico?
Il covid è un virus sconosciuto, c'è quindi un nuovo rischio. Prima nessuno lo aveva valutato.
Come si passa il contagio, la distanza da mantenre, quanto resta sulle superfici, quali mascherine
usare. In quel momento parte delle imprese sono state chiuse, quelle essenziali come supermercati,
farmacie, grandi opere e cantieri rimasero aperte.
I datori di lavoro avevano un problema: bisogna valutarlo questo rischio di contagio sul lavoro?
Si avviano interlocuzioni tra i vari enti, Inail, Inps.
Certo che va valutato perchè nella normativa sulla valutazione dei rischi prevista nel decreto 81 c'è
anche l'agente biologico. Il covid è un virus, è un agente biologico e il rischio da agente biologico
va valutato.
Lo deve in particolare valutare il datore di lavoro di mansioni che sono strutturalmente votato al
contagio come gli ospedali, case di cura. Questi hanno un'esposizione per definizione al virus
perchè curano i malati colpiti dal virus. Anche gli altri settori, seppur in modo diverso, devono
valutare il rischio e il protagonista di questa valutazione è stato il medico competente.
Si tratta di una valutazione dei rischi sempre compiuta dal datore di lavoro, che è sempre il
responsabile della valutazione. Se l'ha valutata male, c'è stato il contagio, ha violato le regole, ha
adottato delle misure di prevenzione inidonee, il datore risponde. Però questa valutazione la fa
tramite il medico competente: avrà detto di mantenere le distanze di 3 metri, mettere il plexiglass, le
mascherine, come fare le pause pranzo, evitare le riunioni, aumentare lo smartworking ecc.
Le conoscenze all'inizio erano molto limitate, poi sono aumentate, si sono introdotti i vaccini.
Il Ministero del lavoro, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro si sono messi
a tavolino e hanno redatto un Protocollo nazionale, dettando delle regola. Che mano a mano
cambiavano e si allentavano.
Ma inizialmente nei Protocolli per le imprese era previsto l'istituzione di un Comitato di crisi o
emergenza anticovid, che era composto dal Rspp, il datore di lavoro, medico competente e Rls. Era
una sorta di Riunione periodica costante in cui si stabiliva cosa fare. Il covid era il tema più
importante di tutti.
Quando il lavoratore contagiato, poi negativizzato, che voleva tornare al lavoro, il medico
competente doveva visitarlo prima del suo rientro a lavoro. A parte l'attestazione della negatività, il
tema riguardava i sintomi, se fosse una persona fragile o meno e disponesse l'autorizzazione al
rientro. Il ruolo del medico competente negli ultimi due anni è stato davvero importante.
Funzioni principali medico competente:
– sorveglianza sanitaria,
– partecipazione alla valutazione dei rischi.
L'art 18, 1 co, lett.a), d.lgs: il datore o dirigente deve nominare il medico competente per
l'effettuazione della sorveglianza sanitaria; lett.g): il datore o dirigente deve inviare i lavoratori alla
visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria.
Se il lavoratore non va alla visita, viola gli obblighi dell'art 20 d.lgs, si deve attenere alle regole di
sicurezza e alle disposizioni/istruzioni impartite dal datore, dai dirigenti e dai preposti.
Il lavoratore potrà subire una sanzione penale e una sanzione disciplinare.
Se il lavoratore non va alla visita e nessuno lo controlla, anche il datore e il dirigente sono
responsabili. Non potranno dire che l'hanno detto al lavoratore e poi lui non c'è andato perchè
compito dela datore e del dirigente è accertarsi dell'idoneità alla mansione e metterlo a fare
un'attività che il lavoratore sia in grado di svolgere rispetto alle sue condizioni di salute. Se ciò non
avviene, è vero che il lavoratore ha commesso una violazione, ma anche il datore e dirigente che
non ce l'hanno mandato. Il lavoratore non potrà lavorare finché non sarà considerato idoneo. Il
lavoratore va fermato prima che si verifichi l'infortunio, altrimenti il giudice penale condanna.
Questi sono gli obblighi del medico competente, girano tutti intorno alla sorveglianza sanitaria e
alla valutazione dei rischi. Collabora con le altre figure in azienda nel rispetto della riservatezza.
Ha obblighi di formazione, di documentazione, d'informazione, di programmazione (Protocollo
sanitario) e di rendicontazione nell'ambito della Riunione periodica.
Lezione 26 Ottobre,
Oggi parliamo dell'ultimo soggetto chiamato a garantire sicurezza: art 2, lett.f, d.lgs,
il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il Rspp è un soggetto che può essere da solo o accompagnato.
Se è solo, c'è soltanto il Responsabile di un servizio di prevenzione e protezione.
Se non è solo, lui è Responsabile di un servizio che è composto anche da altri soggetti che si
chiamano Addetti al servizio di prevenzione e protezione.
Quello che bisogna nominare è almeno il Responsabile da parte del datore di lavoro ed è un obbligo
indelegabile/personale art 17 d.lgs. Solo il datore di lavoro nomina il Rspp, non può delegare a
nessuno questa scelta.
Il datore di lavoro può scegliere se nominare un solo soggetto o se istituire un servizio collegiale
con a capo il Responsabile (sempre nominato) e poi degli addetti suoi collaboratori, gli Aspp
(rispondono al responsabile).
Abbiamo quindi:
– un servizio di prevenzione e protezione collegiale con a capo il Responsabile;
oppure
– solo ed esclusivamente un Responsabile.
(*a differenza del medico competente che il datore di lavoro può delegare come nomina ad altri e
che può spettare anche al dirigente. Mentre Rspp è nominato solo dal datore e non può delegare a
nessuno questa scelta).
L'atto di nomina del Rspp è un atto formale: c'è un atto scritto attraverso il quale il datore di lavoro
incarica il soggetto di questa funzione.
Il soggetto assume la funzione con l'accettazione dell'incarico.
Il Rspp può essere un soggetto esterno (un consulente esterno, ci sono molte società di consulenza
che forniscono i Rspp alle aziende. Il datore chiama la società esperta di sicurezza, gli offre un
soggetto competente che abbia esperienza in quel settore e per effetto di questo contratto il soggetto
assume la funzione di Rspp per il datore di lavoro) o un soggetto interno all'azienda (un dipendente
dell'azienda).
In alcuni casi il Rspp deve essere necessariamente interno, ad es nelle organizzazioni
sanitarie/ospedali. Il datore di lavoro non può attingere il Rspp all'esterno.
Sempre, sia quando interno che esterno, il Rspp può avvalere di consulenti esterni/collaboratori.
Nelle grandi aziende, dove i rischi della sicurezza sono molti, è possibile che il Rspp non abbia la
competenza a gestirli tutti e quindi per la valutazione di un determinato rischio attinga al consulente
esterno specializzato. Ad es per rischio da esposizione da amianto, il Rspp chiama l'esperto di
amianto che gli valuta il rischio oppure se c'è un rischio da lavoro correlato, c'è bisogno per valutare
lo stress di una valutazione fatta dallo psicologo del lavoro.
Generalmente il servizio di prevenzione e protezione di una grande azienda ha un badget, ha un
fondo che gli viene destinato proprio per poter svolgere le sue attività e nel momento in cui il Rspp
dovesse avere bisogno di un consulente esterno, il servizio di prevenzione e protezione attinge al
fondo.
Ad es Piva è stato incaricato dal servizio di prevenzione e protezione di una grande azienda (Wind o
Fastweb) di un approfondimento normativo. La normativa si evolva, si crea un problema, ma il
Rspp non è un giurista. Queste società hanno un fondo apposito a cui attinge il servizio di
prevenzione e protezione.
Se il fondo non c'è, il servizio di prevenzione e protezione o solo Rspp devono andare dal datore e
si devono far dare un fondo perchè il datore viene informato che la competenza all'interno non basta
per gestire un problema di sicurezza 81/08.
Se il datore non da il fondo necessario, la valutazione non è compiuta e il datore risponderà in sede
penale dell'infortunio che ne deriva.
Chi è Rspp?
É un soggetto che deve essere munito dei requisiti richiesti dalla legge.
Sono requisiti che riguardano la professionalità (titoli di studio: principalmente ingegneri o
architetti, corsi di specializzazione e di aggiornamento perchè evolvendosi la struttura organizzativa
di un'azienda o la normativa Rspp che oggi è capace, domani potrebbe non esserlo).
Il Rspp deve essere munito ex ante di requisiti e poi li deve conservare nel tempo.
Qual'è l'obbligo che il datore di lavoro adempie più di tutti affidandosi al suo Rspp?
La redazione del documento di valutazione dei rischi.
Documento che viene predisposto dal Rspp.
Il datore da le informazioni, struttura i luoghi, divide i compiti, decide, ma chi valuta il rischio, chi
ha la competenza tecnica per sottoporre a valutazione un rischio e soprattuto per ipotizzare le
misure di prevenzione adeguate (dato questo rischio, cosa bisogna fare per evitare l'infortunio?) è il
Rspp.
Il Documento di valutazione dei rischi è obbligo indelegabile del datore di lavoro ed è sottoscritto
dal datore, Rspp, medico competente, Rls. Questi soggetti lo sottoscrivono, ma la paternità della
valutazione è sempre del datore di lavoro. Quindi se un rischio non è valutato e si verifica un
infortunio risponde sicuramente il datore di lavoro.
Il datore però si è affidato al Rspp che tra i suoi compiti contribuisce alla valutazione dei rischi e
contribuisce all'elaborazione delle procedure di sicurezza.
Il documento di valutazione dei rischi ha due anime: valuta il rischio e stabilisco qual'è la misura
di prevenzione e protezione.
Posso attaccare il DVR:
– o ab origine perchè ritengo che l'infortunio sia la concretizzazione di un rischio che non è
proprio valutato (il DVR non lo valuta questo rischio, invece c'era). Sei finito!
– Il rischio c'è, è stato valutato, ma sono state predisposte misure non adeguate.
Nelle organizzazioni sanitarie si parla molto della prevenzione dell'infortunio sul lavoro del medico
picchiato dal paziente: piani anti violenza. Ci sono anche delle linee guida regionali.
C'è un tema sul DVR che è oggetto di aggiornamento: cosa fa l'organizzazione sanitaria per
prevenire gli infortuni del personale medico ospedaliero?
L'ospedale x ha medici ed infermieri, il rischio c'è? Lo valuto. Poi qual'è la misura?
L'informativa ai pazienti, il servizio di vigilanza, le distanze tra le prenotazioni, segnaletiche ecc.
Il rischio classico negli ospedali è in realtà la presenza di virus, malattie, dispositivi ecc.
Tutto questo sta nel DVR.
Ma chi lo monitora, chi lo stabilisce, chi lo propone? Rspp nel DVR.
Certo che il Rspp va poi dal datore, nel caso di covid per il rischio contagio ascolta il medico
competente, sente i lavoratori sui rischi nel quotidiano ad es il movimento carichi degli infermieri in
ospedale. Passare il paziente da una barella all'altra. Se l'infermiere ha problemi di schiena, gli viene
fatta la sorveglianza sanitaria e il medico gli dice che è idoneo alla mansione però non può sollevare
più di tot. Che succede? È un rischio quello della movimentazione dei pazienti? Certo. Lo troviamo
nei DVR in ospedale.
Come viene gestito?
Con le visite mediche, l'attenzione sulle prescrizioni, turnazione.
Il datore di lavoro (amministratore delegato dell'ospedale) lo capisce che questo è un rischio, ma
non sa come prevenire, le misure da adottare.
La valutazione del rischio, obbligo più importante del datore, lo si fa affidandosi al servizio di
prevenzione e protezione (agli studi, alla pratica, alle consulenze del servizio). Poi il datore di
lavoro lo fa suo. È però Rspp che lo deve allertare, preoccupare o rassicurare.
Ad es in sala operatoria il rischio incendio è monitorato? Se il Rspp dice si, il datore si affida. Il
datore non deve girare per le sale per assicurarsi che sia realmente così. Ecco perchè la legge
prevede Rspp come soggetto obbligatorio, solo nelle piccole imprese può coincidere con il datore;
altrimenti deve essere sempre diverso.
Il Rspp non fa solo questo.
In generale Rspp coadiuva il datore di lavoro nella gestione di tutti gli obblighi di sicurezza e non
solo, anche il dirigente.
Ad es dare istruzioni ai lavoratori affinchè svolgano le loro attività solo quelli che possono farlo in
sicurezza. Chi le elabora queste istruzioni? Rspp. Chi le firma ed impartisce? Il datore di lavoro e il
dirigente.
Ad es per la formazione degli art 36 e 37 d.lgs (5 anni per i dirigenti, 2 per i preposti, 5 anni per i
lavoratori) chi provvede? Datore e dirigente. Chi predispone il piano formativo, le scadenze? Rspp.
Ad es vanno acquistati 100 dispositivi, no 150 perchè questi dispositivi invecchiano e Rspp segnala
questa esigenza. Chi deve provvedere? Datore di lavoro e dirigente.
Perchè nell'art 3-bis, art 18, d.lgs non c'è il riferimento al Rspp?
Rspp è il soggetto definito come responsabile, è un consulente che deve adempiere ai compiti
dell'art 33 d.lgs, ma non ha sanzioni. È un soggetto che nel decreto 81 ha obblighi, ma non
sanzioni. Gli altri soggetti che abbiamo visto hanno obblighi e sanzioni, salvo Rls che non ha
sanzioni perchè non ha nemmeno gli obblighi, tranne gli obblighi del lavoratore art 20 d.lgs.
Non esistono delle sanzioni ad hoc per la violazione degli obblighi del Rspp.
Ad es il Rspp non ha avvisato il datore che doveva formare i dipendenti, non l'ha avvisato che
doveva cambiare i dispositivi. Tutto questo rimane senza sanzione penale.
C'è una sanzione contrattuale o disciplinare.
Se il Rspp è interno, può subire una sanzione disciplinare (non ha fatto la sua attività).
Se il Rspp è un esterno, c'è la revoca del contratto: risoluzione per inadempimento del contratto e
risarcimento del danno.
Per questo Rspp potrebbe avere un'assicurazione professionale che lo tuteli da questo rischio.
Ma Rspp risponde in sede penale dell'infortunio che è derivato dalla sua
negligenza/mancanza/trascuratezza?
Altro es Il datore non provvede ad una cautela perchè Rspp non gli segnala l'esigenza di farlo.
Quell'esigenza doveva rilevarla Rspp: qui c'è un rischio e bisogna far meglio.
Altro caso il datore dimostra che Rspp lo ha rassicurato sulla sicurezza di un luogo, mentre il luogo
non era a norma e si verifica l'infortunio.
In tutte queste ipotesi come ci regoliamo in sede penale?
Risponde il datore, risponde Rspp o tutte e due?
Abbiamo detto che il Rspp non ha poteri, è un consulente che consiglia ed è utilizzato dal datore.
Rspp ha consigliato male? Il datore si è scelto male Rspp. È culpa in eligendo e in vigilando e per
effetto di questa colpa si è realizzato l'infortunio colposo. È giusto questo ragionamento?
Il datore si difende “avrei provveduto, se Rspp mi avesse segnalato di farlo” “ho sempre provveduto
quando Rspp mi ha detto di farlo” “stavolta non me l'ha detto, sono in buona fede”. Però ci
dovrebbe essere un rapporto diretto tra i due, che consente al datore di controllare lui e i suoi addetti
anche se l'azienda è grande. Il giudice penale però si chiede: “Rspp non ha valutato un rischio, ma il
datore ha controllato?”.
Il datore generalmente nel processo invoca un affidamento nel suo consulente (lo ha nominato, ha i
titoli (se non li ha, risponde il datore), ha fatto quest'attività presso altre aziende, il servizio di
prevenzione e protezione è adeguato alla dimensione e natura dell'azienda, ha dato al Rspp tutti gli
strumenti ed informazioni per esercitare bene la sua attività) perchè non si dovrebbe affidare a lui?
Fuori una prima fetta di responsabilità del datore per strutturazione e nomina del servizio di
prevenzione e protezione: c.d colpa d'organizzazione del datore nel servizio di prevenzione e
protezione.
Prima ipotesi in cui il datore potrebbe rispondere: il datore ha scelto male Rspp (culpa in
eligendo), ha strutturato male, non ha dato informazioni o mezzi adeguati.
Prima soluzione: risponde solo il datore di lavoro, subisce l'errore del soggetto che utilizza.
Seconda soluzione: rispondono insieme in concorso.
Ce ne sarebbe una terza di soluzione: risponde solo Rspp.
Si può ritenere che il datore di lavoro non abbia colpa perchè la legge l'autorizza a non avere quelle
competenze, lo obbliga a nominare un soggetto che quelle competenze ce l'ha, l'errore è dovuto al
mancato esercizio di quella competenza. Il datore non può da solo rilevare quel difetto. Lo può fare
solo Rspp che ha determinati titoli ed esperienza, al quale il datore ha dato tutte le informazioni, che
ha i requisiti ecc.
Che cosa si potrebbe rimproverare al datore? La colpa dovrebbe essere solo Rspp.
Questo soggetto non ha i mezzi, non ha i poteri però questi poteri non sono stati esercitati solo per
effetto di un errore che è solo il suo. Il datore come può correggere l'errore Rspp? Rspp ha una
competenza che il datore non ha.
Il datore tenta la strada del proscioglimento per sua mancanza di colpa con addebito esclusivo nei
confronti Rspp.
Stessa cosa si potrebbe ipotizzare per le violazioni degli obblighi del medico competente, però in
quel caso il medico è soggetto a sanzioni. Non fa la sorveglianza, risponde. Non partecipa alla
riunione, risponde. Mentre Rspp, se non partecipa alla valutazione, non è sanzionato. Non partecipa
alla riunione periodica, non è sanzionato. Ovviamente ci saranno le sanzioni disciplinari e
contrattuali (revoco l'incarico), ma non sono previste sanzioni penali del decreto 81.
Nel caso d'infortunio non vale il decreto 81, ma le pene degli artt 589 e 590 cp.
Nel caso in cui l'infortunio è dovuto ad un difetto di competenza del Rspp, che non ha avvisato il
datore di lavoro o l'ha erroneamente rassicurato (e per questo il datore non ha provveduto), abbiamo
tre possibilità:
– risponde solo il datore di lavoro;
– rispondono il datore di lavoro e Rspp a titolo di concorso;
– risponde solo Rspp.
IPOTESI DI RESPONSABILITÀ
1. è colpa solo del datore, quando? Quando c'è colpa d'organizzazione nella strutturazione della
prevenzione, non da informazioni, non sceglie Rspp con i titoli giusti;
oppure
2. sbaglia Rspp e conseguentemente il datore di lavoro.
Qui abbiamo tre possibilità:
A) Risponde solo il datore di lavoro;
B) Rispondono il Datore e Rspp a titolo di cooperazione;
C) Risponde solo Rspp. (far rispondere solo Rspp a livello processuale è la più difficile).
Lezione 27 Ottobre,
Solo se il datore di lavoro ha nominato un soggetto valido e ha organizzato bene il servizio (non c'è
alcun addebito per culpa in eligendo o in vigilando), allora si può discutere di cosa accade quando
l'infortunio è dovuto ad un errore professionale Rspp che non segnala o rassicura.
Rspp non segnala il rischio che c'è e poi si verifica e si concretizza nell'infortunio.
Rspp rassicura su un rischio che c'era o su una misura di prevenzione.
Rspp infatti valuta il rischio e stabilisce misure di prevenzione atte a prevenirlo, visto che
contribuisce ad elaborare le procedure di sicurezza.
Se Rspp ha errato e il datore non ha posto in essere la culpa in eligendo e in vigilando, allora ci si
può porre un problema.
Mettiamo in discussione il rapporto datore-Rspp.
1.Prima soluzione: continua a rispondere solo il datore di lavoro. Perchè?
Perchè ha scelto male. È vero che, se il Rspp avesse segnalato, il datore avrebbe provveduto, ma è il
datore che ha i poteri, che provvede, che è il garante e al quale si imputa la mancanza del suo Rspp.
Soluzione molto severa perchè ci dobbiamo intendere su quale scelta e vigilanza il datore ha
sbagliato.
Se gli contestiamo di non aver corretto il suo errore professionale, allora stiamo andando oltre e si
tratta di una responsabilità oggettiva. Il datore di lavoro è legittimato a non avere quella
competenza, anzi nomina Rspp proprio perchè quella competenza lui non ce l'ha. Però si deve
trattare di un rischio rilevabile solo con una particolare competenza, deve essere l'inadeguatezza di
una misura che solo si può rilevare per effetto dell'esercizio di quella competenza specializzata che
il datore non ha. Su questo il processo deve fornire materiale di conoscenza. C'è il problema della
prova. Altrimenti il datore dirà che non avrebbe mai potuto accorgersene e Rspp si difenderà
affermando che l'ha segnalato o che se ne sarebbe potuto accorgersene comunque senza bisogno
della segnalazione, lo sapevano tutti, era di dominio pubblico questo rischio.
Tra i due soggetti ci può essere un conflitto difensivo.
La prima soluzione che la Giurisprudenza, a volte adotta, è una soluzione che si espone al rischio di
attribuire una responsabilità oggettiva al datore di lavoro.
Quali sono i principi violati?
Il principio di colpevolezza.
In che cosa si può rimproverare il datore di lavoro? Nel non aver corretto una previsione altrui che
però deriva da una competenza specialistica che non ha? Come può? Con quali basi può sostituirsi
al Rspp?
Il principio che a volte la Giurisprudenza valorizza per escludere la colpa si chiama principio di
legittimo affidamento. Se il datore ha l'obbligo di nominare un soggetto che ha una competenza
che lui non ha, egli può, per quanto riguarda la gestione di quella competenza, legittimamente
affidarsi all'attività altrui. Se questo soggetto lo rassicura, il datore legittimamente si affida. Se
sbaglia e si verifica l'incedio, però poi l'errore è del Rspp.
La prima soluzione per cui il datore risponde sempre perchè è il garante, perchè ha l'obbligo
giuridico d'impedire l'evento art 40, 2°co, cp derivante art 2087 cc. Questa soluzione valorizza la
garanzia, l'aspetto oggettivo della garanzia (non ha impedito), ma rischia di violare il principio di
colpevolezza. Rischia di punire il datore, anche quando incolpevole, per essersi legittimamente
affidato alla altrui esclusiva competenza. Viene meno il principio di colpevolezza per legittimo
affidamento all'esclusiva altrui competenza.
Ecco perchè quella competenza deve essere però ab origine accertata e controllata nel tempo, se no
non hai la possibilità di affidarti. La Giurisprudenza ritiene unanimemente che chi è in colpa già di
suo, non può legittimamente affidarsi ad altri.
Questo principio di affidamento viene applicato ad es alla circolazione stradale: se un soggetto
passa con il rosso ed investe un pedone che non ha attraversato sulle strisce, il primo non potrà dire
che si è affidato alla altrui condotta e visto che il pedone non ha attraversato sulle strisce è colpa sua
perchè anche l'automobilista è in colpa a monte, è passato con il rosso.
Se l'autista non passa con il rosso, aspetta il suo turno e il pedone si lancia nell'attraversamento,
quest'ultimo avrà colpa.
Altro es è l'equipe chirurgica, il capo equipe può essere chiamato a rispondere anche dell'operato
dell'anestesista? O di chi lo aiuta a ricucire e lascia all'interno del paziente una garza? O nel caso di
cambio turno in ospedale, il paziente muore e i medici cominciano a dire che il paziente non era
loro, era solo di turno, nella cartella non c'era scritto un determinato disturbo, a monte quando il
paziente è stato ricoverato non ci hanno segnalato e quindi si affida a quello che legge o alla
consulenza specialistica. Se a monte non viene trattato correttamente il paziente o nell'ambito di un
intervento chirurgico a monte viene commesso un errore, non ci si può legittimamente affidare
all'operato altrui e ritenere di non essere in colpa.
Il principio di legittimo affidamento vale solo se il soggetto a monte non è in colpa.
Per questo è importante valutare a monte se il datore di lavoro i suoi obblighi li ha adempiuti.
Una volta che li ha adempiuti, c'è l'affidamento alla esclusiva competenza altrui.
Terza soluzione: risponde solo Rspp. Arriviamo all'esenzione di responsabilità del datore di lavoro e
all'esclusiva responsabilità del Rspp. Perchè?
Perchè se il Rspp è l'unico ad avere la competenza, il datore di lavoro non può avere responsabilità.
Il datore non ha provveduto, ma la ragione della sua omissione risiede in un affidamento
incolpevole perchè non gli hanno segnalato il rischio o perchè l'hanno rassicurato. Altrimenti lui
avrebbe provveduto e allora quale rimprovero è possibile muovergli dal punto di vista della colpa?
Nessuno. Da parte del datore manca il requisito della colpa per l'omicidio o la lesione e risponde
solo chi è in colpa davvero (Rspp) per mancanto esercizio di perizia.
In alcuni casi, rarissimi (che sostiene il prof, ma non passa in Giurisprudenza), è solo Rspp che deve
rispondere perchè solo lui pone in essere la vera mancanza dalla quale poi dipende l'omissione del
datore di lavoro (che ha adempiuto a tutti i suoi obblighi).
In quest'ultima soluzione non praticata dal diritto vivente, la Giurisprudenza si rende conto che c'è
una forzatura dal lato del datore di lavoro (si rischia una responsabilità oggettiva) e ha adottato una
formula un po' di stile, che riguarda il limite del dovere-potere del datore di vigilare o addirittura di
correggere l'altrui rilevazione del rischio (quella Rspp): il datore di lavoro risponde dell'infortunio
che deriva da errore del suo Responsabile nel caso in cui il rischio/errore/valutazione sbagliata sia
rilevabile con l'ordinaria diligenza.
La Giurisprudenza dice che se ci sono rischi immediatamente percepibili (percepibili da chiunque e
dunque non serve la competenza esclusiva del Rspp), allora, anche se sbaglia Rspp, il datore di
lavoro rimane responsabile. Perchè?
Perchè la Giurisprudenza vuole salvare il principio di colpevolezza.
Questa è una colpa al limite della culpa in vigilando, ossia non si tratta della colpa per non aver
vigilato sull'operato del Rspp, ma è la colpa per non aver corretto una sua valutazione errata. Ma
quando?
Quando questa valutazione errata si può comprendere con l'ordinaria diligenza.
Ad es il sistema anticendio non è a norma, perchè è di 20 o 5 anni fa e ha dato un principio
d'incendio più volte. Se Rspp tranquillizza il datore, la Giurisprudenza in questo caso ha più
difficoltà ad esonerare il datore. Altri hanno fatto delle segnalazioni, come il fornitore, che
segnalano la necessità di rinnovarlo, mentre Rspp continua a dire che non ce n'è bisogno.
La Giurisprudenza poi si fa influenzare dalla gravità dell'infortunio.
Ad es esplode un incendio gravissimo, il giudice si chiede come ha fatto il datore di lavoro a non
rendersene conto? Nel momento in cui quel rischio era latente da tempo, anche se Rspp non dice
nulla, come fa il datore a non rendersene conto?
Nel caso Thyssenkrupp, oltre ad aver segnalato il problema in tutti i modi all'amministratore
delegato e al datore, in altre società del gruppo Thyssenkrupp in Germania era accaduto già un
incendio di quel tipo senza quei morti. Le compagnie di assicurazione, che provvedono al
risarcimento dei danni, avevano segnalato questo rischio. In questo caso, anche se Rspp
(Thyssenkrupp) avesse rassicurato il datore, come può poi il difensore del datore di lavoro
affermare che il suo assistito non è in colpa se ha avuto tutti questi segnali? Il datore avrebbe potuto
scegliere un consulente diverso o avrebbe potuto chiamare un soggetto terzo per chiedergli se la
valutazione fatta era corretta (evitando l'infortunio).
Qui la vigilanza per i rischi/vizi con l'ordinaria diligenza torna ad essere difetto di vigilanza
primaria. Il datore non ha vigilato, non si è reso conto che il Rspp non lavorava bene nel momento
in cui non ha rilevato o lo rassicura da rischi che con l'ordinaria diligenza sono altrimenti rilevabili.
La vigilanza del datore torna, attraverso questo criterio, ad essere non una vigilanza sull'altrui
rilevazione e basta, ma diventa una vigilanza sull'attività del Rspp che diventa inadeguato/erra.
Quando? Quando se ne potrebbe accorgere anche un soggetto che non è Rspp.
La Giurisprudenza afferma che nel caso in cui Rspp ha sbagliato, la sua valutazione è errata e
dunque è sicuramente responsabile (tornando all'ipotesi del concorso) (Rspp si salva solo se ha
segnalato il rischio e il datore di lavoro non ha provveduto), ma anche il datore di lavoro che, a
fronte di un rischio latente e grave o a fronte della segnalazione aliunde di quel rischio, con
l'immediata percezione non si renda conto dell'errore del Rspp e non provveda altrimenti.
Immediata percepibilità e ordinaria diligenza sono le chiavi di volta. Viene punito il datore.
Quando il Prof ha fatto questi ricorsi la Giurisprudenza gli ha dato torto, motivando che con
l'ordinaria diligenza i rischi erano individuabili. Piva invece è convinto che in quei casi i rischi non
fossero rilevabili con l'ordinaria diligenza perchè è un giudizio che il giudice si forma. Che vuol
dire ordinaria diligenza? La diligenza intanto non è perizia.
La colpa generica in sede penale si può esprimere in tre forme: negligenza, imprudenza e imperizia.
Intanto al datore di lavoro l'imperizia non gliela puoi contestare.
Gli puoi invece contestare la negligenza o l'imprudenza.
La Giurisprudenza si appunta sulla negligenza, ossia con l'ordinaria diligenza il datore avrebbe
potuto rilevare il rischio. Deve trattarsi di un vizio che rileva una persona usando la normale
prudenza, non una perizia specifica. Però quante volte quel difetto si può valutare solo con una
perizia specifica? Qual'è il limite che si può chiedere al datore di lavoro di superare? È troppo labile
e il giudice, alla fine, decide sulla base del caso concreto e questo produce ineguaglianze: un
giudice decide in un modo e un giudice decide in un altro.
Quando i ricorsi arrivano in Cassazione, si fa per nomofilachia, ossia la Cassazione dovrebbe
dettare un principio che guida i giudici. Al momento il principio è questo: se il rischio è rilevabile
con l'ordinaria diligenza risponde anche il datore, se invece è rilevabile solo con l'esclusiva
competenza risponde solo Rspp.
È però un'ipotesi più di scuola perchè in tutti i casi d'infortunio in cui si arriva a processo, la
Cassazione ritiene (in realtà lo ritiene già il giudice di fatto e poi la Cassazione annulla i ricorsi)
che con l'ordinaria diligenza il datore poteva accorgersene. La Cassazione ritiene che il giudice di
merito, che ha ragionato in questo modo, abbia rispettato il principio di diritto (della Cassazione).
La Cassazione giudica solo in diritto, ci dice se la sent è giusta o no in diritto, non rimette in
discussione il fatto.
Cos'è successo, qual'è il rischio, qual'è stato l'infortunio e chi non l'ha rilevato è un giudizio già
compiuto nei due gradi precedenti e quando arriva in Cassazione, questa ci dice solo se il principio
di diritto è stato correttamente applicato. Nelle massime dice praticamente sempre di si, ossia il
datore può rispondere perchè nel caso di specie il giudice di fatto ha ritenuto, con una motivazione
congrua, che ci sia la possibilità di rilevare quel rischio con l'ordinaria diligenza.
La Cassazione non si mette a sindacare o meno perchè quello è un giudizio di fatto.
Se il giudice di merito non si è posto il problema, la Cassazione annulla la sentenza perchè il
giudice non ha applicato il principio e rinvia chiedendo di applicarlo (il principio) e vedendo se il
datore è responsabile.
Di solito si arriva con giudizi di merito dove il datore è dichiarato responsabile, Piva propone il
ricorso per chiedere alla Cassazione di vedere se il principio è sbagliato, il giudice di merito non
l'ha applicato quello dell'ordinaria diligenza perchè questo difetto (quello del caso in questione)
non rientra nell'ordinaria diligenza. Per di più l'ordinaria diligenza è un concetto sfuggente e la
Cassazione ha gioco forza nel rigettargli i ricorsi.
Alla fine il datore di lavoro deve essere molto abile nello scegliersi Rspp, vigilare sul suo operato e
anche nel controllare la sua competenza con un consulente ad hoc e, quando ha dei sospetti,
chiedendo un altro parere. Il datore non può mai dimenticare la sicurezza, nemmeno quella che
richiede una competenza specialistica qualificata perchè c'è il rischio che possa rispondere per poter
rilevare il rischio con l'ordinaria diligenza.
Il datore potrebbe provare in giudizio che ha effettuato tutta una serie di controlli ed è stato
diligente, ma chi glielo assicura il proscioglimento?
Però sono rischi di responsabilità oggettiva perchè il datore è il garante, è il vertice, è il dominus
che si giova della prestrazione altrui, che fa profitto.
Quindi per essere esente ci deve essere un caso straordinario, sono pochissimi i casi in cui il datore
non risponde anche davanti ad un Rspp incompetente o che ha sbagliato.
Pensiamo poi ai casi in cui ci sono errori nella sicurezza incomprensibili al datore di lavoro dove
effettivamente si potrebbe dimostrare l'assenza della sua colpa ed errori più facili da individuare,
magari ripetuti che invece fanno pensare ad una non vigilanza del datore visto che ci sono rapporti
continuativi con Rspp.
È facile contestare con il senno di poi, ma il senno di poi in sede penale non si dovrebbe mai
utilizzare perchè il giudizio di colpa non si può formare sulla base di quello che è avvenuto ex post.
Il giudizio di colpa si deve formulare con una prognosi postuma: prognosi perchè il giudice si deve
mettere dal lato del soggetto agente quando ha agito o non agito, postuma perchè lo fa il giudice
dopo. Il giudice si deve chiedere: se fosse stato al posto del datore di lavoro, avrebbe avuto la
possibilità con l'ordinaria diligenza di rilevare quel rischio. Non oggi che il rischio si è rilevato
gravissimo e c'è l'infortunio, ma prima. Il datore aveva il potere-dovere di correggere?
Se la risposta è no. La responsabilità è oggettiva, incostituzionale.
In questo caso sarebbe responsabile solo Rspp o nessuno.
Altrimenti se riteniamo responsabile un soggetto che non ha colpa, non facciamo giustizia ma
ingiustizia. Alla tragedia (morte o lesione) sommiamo ingiustizia (far rispondere senza colpa).
Le responsabilità che abbiamo visto fino ad ora sono responsabilità a titolo originario, ma queste
si possono spostare attraverso uno strumento che si chiama delega di funzioni.
Lezione 2 Novembre,
DELEGA DI FUNZIONI
Quello che abbiamo visto fino ad ora attiene all'assunzione di obblighi a titolo originario (ex lege).
I soggetti sopra hanno quegli obblighi ex lege e non hanno bisogno di nomine o deleghe, salvo il
preposto che deve essere individuato. Però abbiamo detto che, anche se non individuato, il preposto
è responsabile ex art 299 d.lgs, quindi se è un preposto di fatto (abbiamo datore/dirigente/preposto
di fatto).
Questi sono tutti soggetti che non hanno bisogno di essere investiti di obblighi, tranne il medico
competente e Rspp che devono accettare l'incarico. Non ci sono medici competenti e Rspp di fatto.
Accettano l'incarico e rispondono di quegli obblighi.
Sono tutti soggetti titolari di obblighi e quindi di funzioni.
Determinati obblighi/funzioni possono essere trasferiti da un soggetto titolare ex lege, a titolo
originario, ad un altro soggetto che ne diviene titolare a titolo derivativo.
Per effetto della delega. Se e in quanto delegati.
La delega diventa la fonte costitutiva dell'obbligo del delegato, mentre è la legge la fonte
costitutiva dell'obbligo dei soggetti a titolo originario.
Prima del 2008, quando si presentavano deleghe nei processi, la Giurisprudenza della Cassazione
(da gli indirizzi) assumeva un indirizzo molto rigoroso sulla delega di funzioni: in teoria si possono
delegare le funzioni (implicitamente), però in pratica bisogna superare talmente tanti
paletti/requisiti, che nel caso di specie in sostanza l'efficacia della delega non veniva mai
riconosciuta. Mancavano sempre alcuni di questi requisiti, ma non erano scritti da nessuna parte
perchè erano di creazione giurisprudenziale.
1.Il primo requisito della Giurisprudenza ante 2008 era l'atto scritto.
Se si vuole produrre una delega intanto bisogna farlo con atto scritto, altrimenti il datore di lavoro
non può chiedere al giudice di riconoscere l'efficacia a deleghe verbali, organizzative, implicite
nell'organizzazione.
2.Il secondo requisito richiesto dalla Giurisprudenza era la necessità aziendale dell'atto di delega.
Selezionava tantissimo.
Il giudice penale sindacava ex post le scelte imprenditoriali e si chiedeva se quella delega fosse un
pretesto del datore di lavoro per liberarsi dagli obblighi e dalle responsabilità o avesse una
giustificazione nell'organizzazione aziendale.
Ad es si guardava al tipo di attività, alle dimensioni, all'organizzazione ramificata a livello
territoriale, ci si chiedeva se era necessaria questa delega? C'era il requisito della necessità
aziendale, ossia adeguatezza oggettiva della delega (la delega è adeguata oggettivamente a
quell'impresa?).
Era un requisito che consentiva al giudice di dire no, non è efficace la delega perchè era il giudice
che si sostituiva ex post indebitamente alle scelte dell'imprenditore, la Cassazione è giudice di
diritto e affermerà che, essendo una valutazione di merito, la compie il giudice di merito.
Se il giudice di merito ritiene che quella delega è un pretesto, non è giustificata, la motiverà e la
Cassazione non potrà fare nulla. Per questo molte deleghe non venivano riconosciute.
3.Le dimensioni dell'impresa.
Scattava una presunzione di inadeguatezza dell'incarico nelle imprese medio-piccole.
La Giurisprudenza è piena di massime che dichiarano che la delega può valere solo nelle imprese di
grandi dimensioni. Anche dietro questo requisito però si nascondeva una libertà del giudice di non
riconoscere la delega perchè quando l'impresa è di grandi dimensioni? Quando medie? Quando
piccole? Si può fare riferimento al fatturato, si può fare riferimento al numero di dipendenti, ma si
comprende benissimo che anche un'impresa che non abbia un grande fatturato o tanti dipendenti
può avere l'esigenza, ad es per la specializzazione di competenze, di dover delegare.
Le grandi dimensioni dell'azienda era un requisito dietro al quale la Giurisprudenza celava un
pregiudizio sulla delega e faceva fuori tutte quelle medie e piccole. Però poi era il giudice, ogni
volta, che stabiliva se quell'azienda era piccola, media o grande (salvo i grandi gruppi, le
multinazionali, le aziende a partecipazione statale che grandi sono, per il resto il giudice aveva un
margine d'azione molto ampio).
Passiamo ai requisiti di adeguatezza soggettiva.
4.Il giudice valutava se era adeguata la persona delegata. È stata scelta una persona in grado di
adempiere agli obblighi? La c.d culpa in eligendo. Qual'è il rischio?
È possibile giudicare la persona delegata come inadeguata solo perchè si è verificato l'infortunio.
Ogni volta che nel processo si esibisce la delega perchè c'è stato l'infortunio, il giudice potrebbe dire
che la scelta del delegato è stata sbagliata e si poteva scegliere meglio. Ecco il senno di poi. Ecco il
giudizio che non deve essere ex post, ma ex ante. Il giudice deve fare una prognosi postuma, si deve
mettere idealmente nello stesso momento in cui l'obbligo/funzione è stato delegato. Se la funzione è
stata delegata ad una persona che sembrava avere tutti i requisiti, non si può dire che, per il solo
fatto che ha sbagliato ed ha comportato l'infortunio, c'è culpa in eligendo e la delega è in efficace
perchè non è soggetto adeguato.
Alla inadeguatezza oggettiva, si aggiungeva una inadeguatezza soggettiva.
5. Altro requisito riguardava i poteri, la delega non ha effetti ogniqualvolta trasferisca solo i doveri
e non i corrispondenti poteri (soprattutto poteri di spesa che vanno conferiti in maniera autonoma,
adeguata e senza ingerenze rispetto alle funzioni trasferite).
Molte volte si è parlato di deleghe simulate o di deleghe ineffettive. Perchè?
Perchè al soggetto che delega rimane il potere e trasferisce solo il dovere.
In questi casi la delega, ammesso che abbia superato gli altri requisiti, veniva dichiarata ineffettiva.
6.A provare la delega deve essere il datore di lavoro.
Sposta sul datore il rischio di una responsabilità anche da posizione.
Non è un requisito sostanziale, ma di prova.
Nel processo penale la Giurisprudenza ha sempre ritenuto che a provare la delega deve essere il
datore di lavoro. L'onere della prova di una delega, che questa sia valida ed efficace spetta al datore
di lavoro, il quale deve provare tutti i presupposti che abbiamo visto fino ad ora.
La Giurisprudenza non si è mai accontentata di una prova che non fosse piena, certa e rigorosa.
Una prova che andasse al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il datore doveva dimostrare che la delega fosse scritta, che fosse necessaria in azienda, che l'impresa
fosse di grandi dimensioni, che il soggetto fosse adeguato e avesse ricevuto tutti i poteri. Ogni punto
doveva essere provato in modo pieno e certo. Ogni dubbio sulla prova ricade a svantaggio del
datore che verrà condannato come se non avesse delegato.
Nel processo penale onere della prova che significa?
Anche nelle società si applica questo criterio, ossia che le società, come l'imputato, beneficiano del
dubbio. Nel caso di dubbio va prosciolto. Questa è la regola di giudizio, poi ci possono essere delle
inversioni probatorie nel caso del soggetto apicale. Però se si insinua il dubbio nel caso in cui ci sia
un modello, è stato eluso fraudolentemente il giudice dovrebbe prosciogliere.
Invece qui, nel caso in cui si insinui il dubbio della delega, non bastava la Giurisprudenza, si
chiedeva la prova certa e rigorosa. Per aver il soggetto delegato in modo efficace, doveva provare
in modo certo e rigoroso tutti i requisiti. Altrimenti sarebbe prevalso il pregiudizio che la delega è
un modo per scaricare i doveri/le responsabilità.
Nei processi spesso la delega non compariva proprio, se il datore non riusciva a provarla nessuno si
poneva il problema. Cosa significa onere della prova?
Onere della prova significa che se la prova non emerge il soggetto subisce le conseguenze negative.
Se il soggetto onerato non introduce quella prova, questa non c'è nel processo anche se è una prova
a favore/a discarico (come quello relativo alla prova della delega).
Ma questo orientamento giurisprudenziale è corretto o no?
Qui il Legislatore del 2008 fa un bilancio.
La Dottrina critica.
Qualche Cassazione è più sensibile.
Il Legislatore, nel momento in cui codifica in un TU la materia della sicurezza, non può ignorare la
Giurisprudenza di 14 anni sulla delega di funzioni. Il Legislatore ne disciplina i requisiti positivi e
dovrà scegliere se questi requisiti sono tutti normativi o qualcuno si e qualcun altro no.
Su alcuni di questi requisiti il Legislatore quindi esprime un giudizio di rifiuto/una lontananza, in
particolare sulla necessità aziendale. Nell'art 16 d.lgs non si parla di necessità aziendale, ma è un
atto di volontà del datore di lavoro. Il datore deve rispettare la legge rispetto ai requisiti, ma a monte
la sua scelta è insindacabile.
Il Legislatore fa una scelta di politica legislativa ed elimina dai requisiti della delega la necessità
aziendale e le dimensioni dell'impresa. Toglie quel di più che aveva messo la Giurisprudenza
perchè oggetto di un pregiudizio.
Quindi oggi in tutte le imprese (grandi, medie e piccole) il datore, a sua discrezione e salvo gli
obblighi indelegabili, può ricorrere alla delega.
Nessuno può sindacare la delega del datore prima di arrivare ai requisiti positivi previsti dall'art 16
d.lgs, che il Legislatore ha fatto suoi riprendendoli dalla Giurisprudenza precedente, sono tutti temi
connessi alla ripartizione di responsabilità che deve essere personale.
È questo il criterio che guida il Legislatore art 27, 1 co, cost.
Vediamo i singoli requisiti, per poi passare a cosa resta al datore di lavoro dopo che la delega è
valida ed effettiva.
1.Primo requisito è il requisito formale: atto scritto recante data certa.
La delega deve essere fatto con atto scritto, poi la legge aggiunge data certa e deve essere accettata
per iscritto dal delegato.
Quindi la delega è un atto bilaterale, recettizio che produce effetti solo se il delegato accetta.
La delega unilaterale (si trova ancora in giro “Ti dlego a fare questo...”) senza accettazione e il
dipendente che fa quanto chiesto (certo che lo fa è un dipendente) non ha efficacia.
La delega ha efficacia solo se accettata. Il Legislatore è molto formale.
Il conferimento della delega e dell'accettazione possono essere contestuali oppure l'accettazione
può avvenire successivamente, ma in questo caso la delega ha effetto solo quando interviene
l'accettazione (da quando formalmente accettata per iscritto).
La delega deve risultare da atto scritto bilaterale avente data certa.
Perchè il Legislatore insiste sulla data certa?
Ci possono essere difese che divergono quanto alla data di decorrenza dell'effetto della delega ed è
importante risolverlo prima perchè se la data non è certa, la delega non ha effetto.
O la data è certa o non venite nel processo a dire il delegante che la delega ha già effetto, mentre il
delegato che non ce l'ha ancora.
Interesse del Legislatore è quello di stabilire chi è titolare di un obbligo, non quando ci pare, ma
quando si è determinato l'infortunio. L'obbligo può anche essere trasferito dopo, ma ciò che
interessa al giudice è il prima. Ad es è morto Tizio sul lavoro il 3 novembre 2023, il giudice vuole
sapere chi era titolare dell'obbligo il 2 novembre (non dal 4 nov in poi), ossia chi doveva adottare i
dispositivi che domani il lavoratore, non avendoli, determinano la sua morte.
La data certa per la Giurisprudenza è importante perchè occorre stabilire chi è titolare di un
obbligo in un certo momento. Per questo il giudice chiede se la delega ha la data certa.
Come si fa a dare data certa alla delega?
Notaio, autentica notarile. Il pubblico ufficiale attesta che Tizio e Caio si accordano Tizio per
delegare e Caio per accettare.
Anche la Pec. Il datore di lavoro manda per Pec il testo della delega al delegato e il delegato manda
per Pec la sua accettazione (quella che conta per la data).
Pensiamo alla delega verbale, c'è sempre un problema di prova.
Pensiamo alla delega che non ha una data, c'è la delega ma si contesta che abbia efficacia ad es 6
mesi dopo (nelle more dell'infortunio).
Per evitare queste contestazioni la legge dice che la delega vale, ma deve essere risultante da atto
scritto con data certa e accettata. Si tratta di una forma richiesta ad substantiam e non ad
probationem (se la devo provare, la devo provare per iscritto).
Se non c'è l'atto scritto la delega è nulla. È come se non ci fosse.