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DIRITTO PENALE DEL LAVORO

Lezione 11 Ottobre,

Il diritto penale del lavoro tratta di tutto quello che è necessario affinchè un lavoratore non muoia
sul posto di lavoro. È un corso che guarda e studia la prevenzione. Cosa dobbiamo fare per evitare
che si arrivi all'infortunio.
Accanto alla prevenzione, questo diritto studia anche la punizione.
Cosa accade a chi è responsabile dell'infortunio, se poi quell'infortunio si realizza.
L'imprenditore, che per noi diventa datore di lavoro, non può dimenticare la sicurezza.
Non c'è nessun adempimento che viene prima di questo. Nessuno!
L'imprenditore può avere tutte le difficoltà possibili, ma non può risparmiare sulla sicurezza. Non
può fare impresa in condizioni di pericolo. Piuttosto si deve astenere.
Il datore di lavoro, il quale dovrebbe mettere la sicurezza al primo posto dei suoi interessi, nel caso
in cui dovesse commettere una violazione penale, non riuscirà mai a difendersi dicendo che era in
difficoltà, doveva risparmiare sui costi della sicurezza, non ho avuto il tempo di formare il
lavoratore, non gli ho dato tutti i dispositivi di sicurezza di cui aveva bisogno perchè c'era fretta di
consegnare un'opera.
L'ordinamento garantisce obblighi di protezione, pene e processo penale se non sono rispettati e c'è
un infortunio. Per morte sul lavoro si va in galera, anche con tre gradi di giudizio. Quando c'è un
morto sul lavoro, può passare anche molto tempo, i termini di prescrizione sono raddoppiati (15-16
anni per fare un processo).
Il limite dell'impresa è costituito dalla sicurezza.
L'impresa non può svolgersi se non in condizioni di sicurezza e questo limite è previsto nella nostra
Cost: art 41, 2° co.
Al 1° co è stabilito che l'iniziativa economica privata è libera. Tutti possono fare impresa.
Però la Cost stabilisce dei limiti a questa libertà (2°co) e i limiti sono:
– dignità,
– libertà,
– sicurezza,
– ambiente, introdotto nel 2022 con l.cost.

Quindi è possibile fare impresa senza limitare altrui dignità, altrui libertà, la sicurezza umana e
l'ambiente.
È un limite costituzionale, che nella nostra gerarchia delle fonti, eredita il legislatore ordinario.
Abbiamo la Costituzione al primo livello, poi le fonti di legge ordinaria (la legge del Parlamento
con i decreti legge e decreti legislativi) che non possono contrastare con la Cost (altrimenti sono
illegittime e dichiarate tali dalla Corte Cost). La Corte Cost valuta se le leggi del Parlamento sono
conformi alla Cost.
Quindi il d.lgs 81/2008 serve a garantire il rispetto del limite dell'art 41, 2°co, Cost, ossia ad
indicare al datore di lavoro cosa deve fare o non fare per garantire quella sicurezza che viene
prima della sua libertà d'impresa.
Le pene che si applicano al datore di lavoro, che non garantisca la sicurezza sul lavoro e determini
l'infortunio, sono previste nel cp. Sono pene che incidono su beni importantissimi: la libertà
personale. Perchè sono così severe?
Perchè al contempo servono a presidiare il bene più importante che c'è: la vita e la salute del
lavoratore.
Un art che dobbiamo leggere insieme all'art 41, 2°co, Cost è l'art 32.
L'art 32 Cost tutela il diritto alla salute e lo definisce come fondamentale. È l'unico diritto che la
Cost italiana definisce come fondamentale. Se non c'è la salute, non c'è la possibilità di esercitare
quel diritto.
La sicurezza umana dell'art 41, 2° co, cost è limite alla libertà d'impresa che serve a tutelare
l'unico diritto fondamentale, art 32 cost, capiamo quanto sia importante. Per questo si interviene
con il penale e non basta il risarcimento del danno.
Il datore di lavoro ha leso la salute del lavoratore e risarcirlo non basta, serve una pena se è
responsabile.
Non c'è strumento più afflittivo di quello penale.
Prima c'era la pena di morte, mentre oggi, nel nostro ordinamento, c'è l'ergastolo (la pena a vita
sulla carta), poi abbiamo la reclusione (la pena detentiva temporanea con un minimo di 15 gg e un
massimo di 24 anni nell'ordinamento).
Per i delitti previsti dal cp per gli infortuni sul lavoro (art 589 cp “omicidio colposo aggravato
dalla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro” e art 590 cp “le lesioni colpose
aggravate dalla violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro”) c'è la reclusione e una
pena pecuniaria, la multa.
Le pene sono diverse, graduate e sono più alte quando c'è l'omicidio colposo (7 anni di reclusione).
Poi ci possono essere delle aggravanti che aumentano la pena.
Ci possono essere omicidi plurimi, come nel caso Thyssenkrupp, nel quale il datore di lavoro è stato
condannato a 16 anni.
Quindi sulla carta 7 anni e poi può essere aumentato a seconda delle circostanze.
Siccome è in gioco la vita e la salute non basta il risarcimento del danno, ci vuole la pena.
È la Cost che c'impone di tutelare la sicurezza.
È la Cost che tutela il diritto alla salute come diritto fondamentale, per cui il Parlamento non
potrebbe mai dimenticare la sicurezza perchè altrimenti verremmo meno ad un obbligo
costituzionale di tutela. Il Parlamento non potrebbe mai prevedere una legge con la quale stabilisca
che il datore di lavoro non risponda dell'infortunio, sempre che ci siano i presupposti della
responsabilità penale che poi vedremo.
La legge non può modificare o derogare la Cost. È incostituzionale se lo fa.

Quali sono le fonti normative?

Gli artt della Cost più importanti:


– art 41, 2°co,
– art 32,
– art 2, i diritti inviolabili;
– art 25,
– art 27.
Riguardano sia la materia del diritto penale del lavoro che l'imputazione della responsabilità
penale, quali sono i principi costituzionali che regolano la responsabilità penale di cui dobbiamo
parlare.
Le fonti ordinarie:
– d.lgs 81/2008, tratteremo i soggetti (chi deve rispondere all'interno dell'impresa per la
sicurezza, quali sono le figure che il d.lgs indica), gli obblighi che questi soggetti devono
rispettare (cosa deve fare il datore di lavoro, il dirigente, il preposto, il medico competente,
il rspp) e i divieti (cosa non deve fare), la terza parte riguada le sanzioni (cosa ti accade se
fai quello che non devi fare o non fai quello che devi fare).
Faremo un approfondimento sulle attività di cantiere (temporaneo o mobile) dove aumenta il
rischio d'infortunio visto che i lavoratori devono anche interagire. Mentre un lavoratore
installa un sistema di condizionamento, l'altro agisce sull'impianto elettrico. Si realizza
un'interferenza e ci sono quindi i rischi da interferenza che vanno monitorati attraverso delle
risposte che l'ordinamento da nel d.lgs in un Titolo appositamente dedicato ai cantieri, il
Titolo IV.
È importante sapere cos'è un cantiere, quali sono le regole di sicurezza di un cantiere, le
figure di sicurezza, che si aggiungono a quelle generali dell'art 2 d.lgs (riferite al datore di
lavoro, dirigente, preposto, medico competente e rspp). Ciascuna impresa avrà i suoi datori,
dirigenti, preposti ecc e quando ci si trova in un cantiere queste figure possono entrare in
collisione ed è necessario che ci sia una coordinazione. Infatti nel cantiere ci sono le figure
di coordinamento.
Vedremo le sanzioni della disciplina di riferimento (d.lgs) per la violazione della sicurezza
senza infortunio a cui aggiungiamo gli artt 589 e 590 cp in caso di infortunio. Studieremo
l'infortunio sul lavoro, cosa s'intende per infortunio sul lavoro, cosa sono le lesioni,
l'omicidio, la colpa, la pena che si applica.
– artt 589 e 590 cp, norme che si riferiscono agli infortuni sul lavoro (morte o lesione);
– artt 437 e 451 cp, utilizzati nel caso Eternit e caso Ilva. Sono norme che sono nel mezzo tra
le sanzioni da applicare nel caso di violazione della sicurezza senza infortunio e le norme
del cp da applicare in caso di infortunio. Norme che vanno a punire le omissioni generiche
di cautela. Sono disposizioni che vanno a punire l'omessa predisposizione di cautele, dolosa
o colposa, con pene diverse. L'art 437 cp prevede una pena elevata e aggravata nel 2° co se
dall'omissione della cautela è derivato un infortunio.
Di fronte ad un infortunio sul lavoro potremmo applicarle tutte queste disposizioni (le
norme del d.lgs 81/2008 III parte TU, l'art 437 cp norma che punisce in generale l'omissione
delle cautele e al 2° co prevede un aumento di pena se n'è derivato un infortunio, più la
norma sull'infortunio:l'art 589 cp se si verifica la morte del lavoratore, l'art 590 cp se c'è la
lesione). Potremmo poterle applicare tutte in un unico caso.
– d.lgs 231/01, per gli infortuni sul lavoro non rispondono solo le persone fisiche, ma anche le
imprese (l'ente collettivo privato qualsiasi natura giuridica abbia: società di persone, società
di capitali, l'associazione, la fondazione (ospedali)).
Anche la società può rispondere dell'infortunio in aggiunta al datore di lavoro, ai dirigenti,
preposti ecc, per effetto di una responsabilità amministrativa dipendente dal reato
d'infortunio, ossia è una responsabilità amministrativa dell'ente che risponde in conseguenza
degli artt 589-590 cp e che si aggiunge alla responsabilità penale del datore di lavoro,
dirigente, preposto ecc/di chiunque sia chiamato a rispondere di quell'infortunio.
Nel processo per infortuni sul lavoro abbiamo sempre molti imputati. Perchè?
Abbiamo il mondo delle persone fisiche e il mondo delle persone giuridiche. Alle persone
fisiche si applica il d.lgs 81/2008 e artt 589 e 590 cp, mentre alle persone giuridiche si
applica il d.lgs 231/01.
Ci sono solo alcuni articoli del d.lgs 231/01 che vedremo: artt 5, 6, 7, 8 e 25 septies che
regola la sanzione che si applica all'ente nel caso di infortuni sul lavoro.
Queste sono le nostre fonti.

Vedremo quando un soggetto può essere penalmente responsabile, cosa serve perchè un soggetto sia
penalmente responsabile, analizzeremo come si compone ogni reato. Una volta che abbiamo visto
come si imputa un reato, andiamo a costruire, nella nostra materia, l'imputazione. Vedremo i
soggetti, chi risponde, cosa devono fare, quali sono le sanzioni tanto per le persone fisiche quanto
per le persone giuridiche.
Vedremo quanto bisogna dimostrare perchè si arrivi ad un accertamento pieno e secondo i principi
costituzionali della responsabilità. Questo è un percorso obbligato per il legislatore ordinario
quando scrive le leggi (perchè soggetto a Cost) e ancora di più per il giudice che deve stabilire se
quel soggetto è responsabile oppure no. Se questo percorso non si completa in tutti i passaggi,
l'imputato non è condannabile.
Il giudice penale non si deve far condizionare dall'esigenza di giustizia che ha la
collettività/opinione pubblica, ma esso è soggetto alla legge. Deve seguire tutti i passi/regole per
arrivare all'accertamento della responsabilità. Se segue il percorso completo e si convince
condanna, altrimenti deve assolvere. Il giudice non si può fare portatore dell'esigenza di giustizia,
perchè è soggetto alla legge e deve applicarla.
Ci sono dei principi che vincolano il giudice al rispetto pedissequo/tassativo della legge (il giudice
deve applicare parola per parola, applicare interpretazioni strette, non può allargare la
responsabilità).
L'accusa nel processo penale la gestisce un magistrato, il PM, che rappresenta lo Stato. Anche lui è
soggetto alla legge, deve accusare solo se ha gli elementi.
Quindi lo schema per cui c'è un infortunio e dunque c'è la responsabilità del capo/datore di lavoro
è vietato per il penale. Non può esserci questa automaticità nel penale. Nel civile no, se cagioni un
danno risarcibile/monetizzabile il cc prevede che il datore di lavoro risponda per il fatto del suo
dipendente. Se il dipendente cagiona un danno (civile) ad un terzo o se si fa male nell'esercizio
dell'attività lavorativa, il datore lo deve risarcire anche se non ha colpa.
La responsabilità penale segue un percorso molto più severo perchè colpisce la libertà personale.
Nell'ambito civile è possibile rispondere per responsabilità oggettiva, si può rispondere
oggettivamente (c'è stato un danno civile, l'imprenditore paga e generalmente si assicura), ma
quando si entra nel penale il datore di lavoro non può rispondere né del fatto commesso da un altro,
né può rispondere per il solo fatto di essere datore di lavoro.
La responsabilità oggettiva vale nel civile, ma non nel penale.
Questo è stabilito da un art della Cost, l'art 27, 1°co: la responsabilità penale è personale.
L'art 27 cost dispone un principio supremo, quello di personalità.
Il principio di personalità indica proprio che nessuno può rispondere del reato commesso da un
altro soggetto e anche che nessuno può rispondere di un reato senza colpa.

Ci sono due corollari/conseguenze di questo principio:


– divieto di una responsabilità per fatto altrui, il datore di lavoro non può rispondere del reato
commesso dal suo dipendente, dal suo dirigente che non ha garantito la sicurezza.
Risponderà il dirigente.
– divieto di una responsabilità per fatto proprio incolpevole. Questo secondo corollario si
indica anche come principio di colpevolezza.
Il datore non può rispondere di un reato (art 589 e 590 cp per noi) se non c'è colpa. Deve
esprimere un fatto suo colpevole. Se non lo esprime e venisse condannato ci sarebbe una
responsabilità oggettiva o una “responsabilità da posizione” (rispondi per la posizione che
occupi). La responsabilità da posizione ancora oggi, nella giurisprudenza, si afferma perchè
il datore è il capo, ha tutti i poteri, ha il profitto dell'attività. È un pregiudizio che porta a
condanne inique. Perchè? Non perchè il soggetto non dovrebbe rispondere (ad es in sede
civile), ma perchè quel soggetto non supera il vaglio di tutto il percorso che vedremo e che
serve a garantire il principio di personalità. Il datore non può rispondere perchè è il vertice
dell'impresa, ma deve rispondere per quello che ha fatto o non fatto e in più che ha fatto o
non fatto con colpa. Se ci sono più imputati nel processo, questa domanda il giudice se la
deve porre per ciascun imputato (Tizio ha commesso un comportamento che ha causato un
effetto, l'infortunio, in modo colpevole?).

L'art 42, 3 co, cp indica che la responsabilità può essere dolosa, colposa (elemento soggettivo della
nostra materia) e preterintenzione (va oltre l'intenzione). Poi l'art prevede che la legge regola i casi
in cui l'evento è posto altrimenti a carico del soggetto. Quali sono questi altri casi senza dolo,
colpa o preterintenzione? Sono i casi di responsabilità oggettiva.
La clausola dell'art 42, 3 co, cp c'è e rimane nel cp. Il cp è del 1930, nel periodo fascista la
responsabilità oggettiva era prevista anche in sede penale.
Ma questa responsabilità contrasta con la Cost. La Cost è del 1948.
La Corte Cost ha iniziato, fin dagli anni'50 in poi (sent 364/1988 e sent 1085/1988 sono le prime
poi ce ne sono state tante altre), a dire che tutte le norme del cp del 1930, che prevedono le ipotesi
di responsabilità oggettiva, sono incostituzionali.
Però l'art resta nel cp e ci sono altre disposizioni che sono es di quell'art ed applicano una
responsabilità oggettiva (aberratio ictus, aberratio delicti, direttore di stampa, mutamento del titolo
di reato). Come si devono interpretare oggi?
La Corte Cost ci dice che, visto che il principio è quello di colpevolezza (non c'è pena senza colpa),
il giudice penale deve interpretare tutte queste ipotesi come se richiedessero la colpa. La colpa
diventa implicito criterio d'imputazione di tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva, che non si
possono più applicare perchè sono incostituzionali.
Il cp del 1930 prevede l'ipotesi di responsabilità penale oggettiva, ma la Cost la vieta. Oggi quindi
non esistono e non possono esistere nemmeno nella nostra materia in cui c'è molto rischio di
responsabilità oggettiva. Perchè? Perchè dall'altra parte c'è il bene più importante: la vita.
Possiamo attribuire una responsabilità penale al datore di lavoro ai limiti della colpa quando c'è il
morto, non per un delitto contro il patrimonio, non per un furto o appropriazione indebita.
La Giurisprudenza, a volte, cade in errore. La Cassazione arriva a confermare delle sent che stanno
ai limiti della responsabilità oggettiva (talvolta lo so!) e sono condanne definitive.

Il principio di colpevolezza prevede che:


– ci voglia sempre un fatto,
– un comportamento proprio,
– la colpa.
Se ci sono tutti questi presupposti condanno, altrimenti il giudice deve assolvere. Non sarà
penalmente responsabile, ma magari lo sarà civilmente.

Prima ci sono i principi costituzionali e poi legge ordinaria, che non può derogare ai primi.

Il principio di personalità vale sia per le persone fisiche sia per le persone giuridiche.
La società risponde dell'infortunio solo se anche la società ha espresso una colpa rispetto a
quell'infortunio.
La colpa del datore è requisito per la responsabilità individuale, tanto quanto un altro tipo di colpa
è requisito fondamentale per la responsabilità della società: la colpa d'organizzazione.
La colpa non è la stessa. Anche per l'ente occorre una responsabilità amministrativa da reato
personale, che passa attraverso l'accertamento di una colpa che si chiama colpa d'organizzazione.
Il principio di personalità si dirama e cade sia sulle persone fisiche che giuridiche per effetto di
un'interpretazione evolutiva del dettato costituzionale.
Nel 1948 se avessimo chiesto ai costituenti: “ il 1 co, art 27 cost vale anche per le società?”. I
costituenti si sarebbero ribaltati sulla sedia perchè vigeva ancora il brocatdo latino “societas
delinquere non potest”. Non posso applicare il diritto penale ad una società. Solo il diritto civile.
Dal 2001 invece c'è stata un'inversione e discutiamo di un altro principio “societas delinquere et
puniri potest”. La società può delinquere, può essere punita e vale il principo di personalità perchè
diventa una responsabilità punitiva/penale. Quindi anche la società deve esprimere una colpa che
si chiama colpa d'organizzazione. Questo è il portato di un'interpretazione evolutiva dell'art 27, 1
co, cost.
Oggi i giudici applicano l'art 27 cost al d.lgs 231/01, alla responsabilità dell'impresa per l'infortunio
sul lavoro. Se nel processo verrà accertata una colpa d'organizzazione dell'impresa, si applicheranno
le sanzioni del d.lgs 231; altrimenti sarà assolta.
Bisogna accertare che il soggetto sia in colpa perchè se quel soggetto non è in colpa e gli viene tolta
la libertà, la pena non svolge più la funzione educativa che serve a rieducarlo e rimetterlo nella
società, ma lo fa diventare un criminale.
Noi parliamo di “colletti bianchi”, di un datore di lavoro che non è un criminale, un mafioso, non
vuole la morte di nessuno, ma dimentica la sicurezza del lavoratore/non ha controllato bene. Però
gli viene tolta la libertà personale al pari di un criminale per aver sbagliato (al netto di tantissimi
benefici: strumenti penitenziari, modi di evitare, sanzioni alternative). Però la reclusione è sempre la
stessa e viene solo graduata. La garanzia è sempre la personalità: nessuno deve rispondere per fatto
altrui e si risponde solo di un fatto per cui si è colpevole.
Per riempire l'art 27, co 1, Cost, il Legislatore nel cp ci indica quali sono i presupposti:
Cosa bisogna accertare perchè vi sia la responsabilità penale?
Lezione 12 Ottobre,

Come si imputa un reato?


Il reato ha sempre un soggetto che l'ha commesso. Il diritto penale si disinteressa dei fatti naturali e
s'interessa ai fatti umani.
Il soggetto dell'infortunio sul lavoro sarà il datore di lavoro, il dirigente, il preposto, il medico
competente, rspp. È il soggetto attivo del reato: il soggetto che commette il reato. Spesso è indicata
nella fattispecie con il pronome “Chiunque”. Se c'è l'aggravante della violazione delle norme sugli
infortuni sul lavoro sarà uno dei soggetti definiti nell'art 2 d.lgs 81/2008.
C'è una differenza tra:
– i reati c.d comuni → possono essere commessi da chiunque, ad es l'omicidio (colposo di
tutti);
– i reati propri → possono essere commessi solo da certi soggetti, ad es infortunio sul lavoro,
omicidio aggravato dalla violazione delle norme infortunistiche (omicidio infortunio sul
lavoro di alcuni). Queste norme hanno solo determinati destinatari.
Quando il reato è proprio, il soggetto ha già un'identità definitita dalla legge. Quando il reato
è proprio dobbiamo andare a cercare chi ricopre quella qualifica. Ecco perchè il Legislatore
definisce chi è il datore di lavoro nel d.lgs e le altre figure. Esso vuole indicarci la strada per
trovare, rispetto all'infortunio in un certo momento e in un certo luogo, quel soggetto che
può realizzare il reato, il reato proprio di quel soggetto.

Dobbiamo quindi individuare prima un soggetto.


Questa persona deve aver posto in essere una condotta. Non c'è reato senza un soggetto che ha
posto in essere una condotta.
La condotta di una persona è il primo nucleo fondante dell'oggettività della fattispecie.

Questa condotta può essere di due tipi:


– azione, la volontà può essere attiva, il soggetto ha posto in essere un'azione (il soggetto ha
fatto qualcosa ad es chi uccide sparando o strangolando). Quest'azione avrà un soggetto che
la compie, un momento in cui è stata realizzata e un luogo;
– omissione, il soggetto non ha fatto qualcosa che doveva fare. L'omissione ha un contenuto
normativo espresso dal presupposto dell'obbligo di fare: non c'è omissione penalmente
rilevante se non c'è un obbligo di fare. Altrimenti l'omissione sarebbe irrilevante.
Se una persona muore davanti a me non ho un obbligo di impedire la morte, ma un obbligo
di soccorrere e chiamare l'ambulanza. Rispondo del reato di omissione di soccorso. Se non
ci fosse quell'obbligo per legge, l'omissione non rileva.

Quando c'è un infortunio, ossia un evento come la morte o la lesione (artt 589 e 590 cp), la legge
non valorizza solo la condotta, ma sposta l'attenzione sull'evento.
La condotta (azione o omissione) produce un evento. L'evento è l'effetto di una condotta.
Nel caso dell'infortunio è la morte o le lesioni.
Nel caso in cui la condotta sia un'omissione e ci sia un evento prodotto come l'infortunio, qui il
presupposto della condotta omissiva è un particolare obbligo che assume una rilevanza speciale:
obbligo giuridico d'impedimento dell'evento.
Si può imputare un evento (morte o lesione per noi) al soggetto che pone in essere un'omissione
solo se il soggetto ha un obbligo giuridico d'impedire l'evento.
Questo obbligo è previsto nell'art 40, 2°co, cp “Non impedire un evento, che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Questa disposizione equipara chi quell'evento l'ha
prodotto con un'azione a chi quell'evento non l'ha impedito (clausola di equivalenza).
Non è uguale la situazione di chi produce l'evento con un'azione e di chi semplicemente non
l'impedisce, l'omissione ha qualcosa in meno. Essa però è compensata dalla sussistenza dell'obbligo
giuridico d'impedire l'evento. Questo obbligo giuridico d'impedire l'evento deve preesistere alla
condotta del soggetto. Il soggetto, quando omette, deve essere titolare di quest'obbligo giuridico
d'impedimento dell'evento. Quest'obbligo giuridico d'impedimento dell'evento si chiama anche
obbligo di garanzia o determina anche una posizione di garanzia.
I garanti della sicurezza sono coloro che hanno l'obbligo giuridico d'impedire l'infortunio ai sensi
dell'art 40, 2°co, cp.
Se la condotta è omissiva e c'è un evento, il soggetto deve essere titolare di un obbligo giuridico
d'impedirlo. Quest'obbligo giuridico o di garanzia o posizione di garanzia costituisce un
presupposto della condotta. C'è già prima della condotta.
Questo è lo schema del reato omissivo improprio detto anche commissivo mediante omissione.
È come se avessi commesso l'omicidio mediante l'omissione.
L'obbligo dell'art 40, 2°co, cp come deve essere? Giuridico. Non è un obbligo morale, etico,
religioso, ma un obbligo posto dal diritto. Deve discendere da una fonte giuridica.
Ad es il datore di lavoro è stato condannato a rispondere dell'infortunio per non aver previsto la
sicurezza, dato in tempo i dispositivi, non aver valutato quel rischio (omissione: non ha fatto quello
che doveva fare) e dobbiamo quindi applicare l'art 40, 2°co, cp. Per imputare quell'evento
d'infortunio art 589 e 590 cp, dobbiamo stabilire se il datore di lavoro era titolare di un obbligo
giuridico d'impedire quell'evento, di un obbligo di garanzia.
Dobbiamo quindi trovare la fonte giuridica di quell'obbligo. Da dove deriva?
La fonte di quest'obbligo, secondo la Giurisprudenza, sta in un art del cc. L'art 2087 cc.
L'art 2087 cc prevede che il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure, a fare quanto
possibile per tutelare la salute e l'integrità fisica dei prestatori di lavoro.
L'art 2087 cc è una norma che pone in capo al datore di lavoro l'obbligo di proteggere il lavoratore
dall'infortunio, l'obbligo d'impedire l'infortunio.
Il datore è titolare di questa posizione di garanzia che deriva dall'art 2087 cc, sta fuori dal penale,
ma lo recupero con l'art 40, 2°co, cp, essendo la fonte dell'obbligo giuridico d'impedimento
dell'evento, che serve ad imputare l'evento al soggetto.
Quando voglio imputare un evento devo applicare l'art 2087 cc tramite l'art 40, 2°co, cp.
Il datore esercita il potere direttivo? Gode dell'attività del lavoratore e ne ottiene un profitto? Allora
la legge l'obbliga a tutelare la vita, la salute, l'integrità del lavoratore con l'art 2087 cc. Nel diritto
penale del lavoro l'imputazione più importante è quella omissiva. Il datore ha omesso di fare, ha
omesso di tutelare, ha omesso di proteggere, ha omesso di valutare, ha omesso di formare il
lavoratore, ha omesso di dare i dispositivi etc. non ha fatto quanto avrebbe dovuto e potuto per
evitare l'infortunio. Quando c'è l'evento, dobbiamo applicare l'art 40, 2°co, cp e quindi l'art 2087 cc.

Aggiungiamo un tassello.
Se il soggetto ha un dovere di impedire l'infortunio (art 2087 cc) intanto ne rispondo in quanto, oltre
ad avere il dovere d'impedire, ne abbia avuto anche il potere d'impedire.
Il datore di lavoro per esprimere una responsabilità personale rispetto all'infortunio deve avere il
dovere d'impedire l'evento (e ce l'ha art 2087 cc), ma il giudice deve accertare che abbia anche il
potere di impedirlo. È solo la corrispondenza tra poteri e dovere che salva il principio di personalità.
La responsabilità è personale se ai doveri corrispondono i poteri.
Altrimenti il soggetto rispondere di una violazione di un obbligo che non ha il potere di adempiere.
Ad es lo studente deve garantire la sicurezza dei lavoratori dell'università, non può!non ha potere!
Il dovere deve corrispondere al potere o viceversa. “Ultra posse nemo tenetur” oltre i poteri
nessuno è obbligato. Nessuno può rispondere della violazione di doveri che non ha il potere di
adempiere.
Mentre l' 40, 2°co, cp insiste sul dovere d'impedimento, la Cost c'impone di valutare anche il
corrispondente potere. Per questo il datore di lavoro non può essere chiamato a rispondere sempre
di qualsiasi infortunio. Il potere va valutato in concreto e bisogna verificare se il datore ce l'ha.
Al dovere dell'art 40, 2°co, cp deve corrispondere il potere.
Che cosa significa obbligo giuridico d'impedimento?
Non è un obbligo di fare qualcosa, di mezzi, un obbligo di attivarsi.
È un obbligo di risultato, il soggetto deve impedire. Se c'è l'infortunio hai fallito, non hai impedito.
L'obbligo giuridico d'impedimento è costruito su un risultato. Alla fine l'infortunio non ci deve
essere. Se l'infortunio c'è, il soggetto ha violato l'obbligo d'impedimento.

Quindi distinguiamo:
– gli obblighi di fare, di attivazione;
– gli obblighi d'impedire, sono obblighi di risultato. Questi sono rilevanti nel caso
dell'omissione. Il datore di lavoro risponde perchè l'infortunio si è realizzato e non l'ha
impedito. Ha i poteri? Si e si va avanti nell'accertamento (c'è un soggetto, c'è un'omissione,
c'è un evento, l'omissione è tipica perchè c'è il presupposto dell'obbligo giuridico
d'impedimento art 40, 2°co, cp e art 2087 cc e ha anche il potere d'impedire...stiamo
andando avanti e ricostruendo il reato).
Siamo dentro una condotta omissiva che realizza un evento.
Il nesso che unisce la condotta all'evento è il nesso di causalità.
L'evento è l'effetto della condotta, che dunque è la causa.
La condotta è la causa.
L'evento è l'effetto.
Tra i due c'è una linea che è il nesso di causalità.
Ho il soggetto: datore.
Ho una condotta: un'azione o un'omissione con un obbligo giuridico d'impedimento dell'evento.
Ho un potere.
Si è realizzato l'evento, cosa devo accertare a questo punto?
Che quell'evento sia riconducibile alla condotta del datore di lavoro e non sia un evento che si è
realizzato per altra causa. Ad es un fulmine che uccide 10 lavoratori in un'azienda. La causa della
morte è il fulmine, ma il fulmine non rientra nella condotta del datore di lavoro. In questo caso non
c'è nesso di causalità tra l'evento morte e condotta del datore. Il datore non ha la possibilità di
governare l'evento naturale. Il morto però sul luogo di lavoro c'è. Manca il nesso di causalità, causa-
effetto.
Cosa c'è in gioco? Sempre lo stesso principio quella di personalità.
Se attribuisci la responsabilità di un evento ad un soggetto che non l'ha causato, si viola l'art 27,
1°co, Cost. Questo vieta la responsabilità per un fatto altrui. L'evento non è del soggetto se non è
dipeso dalla sua condotta.
L'assenza del nesso causale = esclusione del fatto di reato = responsabilità non personale.
Perchè parliamo di esclusione del fatto di reato?

Perchè il fatto di reato consiste in questi elementi:


– condotta, (presupposto della condotta in caso di omissione);
– nesso di causalità,
– evento.

Ora guardiamo il fatto dell'infortunio:


– la condotta del datore di lavoro, nel caso di omissione ci deve essere un obbligo giuridico
d'impedire l'evento
– con il potere,
– che ha causato la morte o la lesione.

Questo è il fatto tipico dell'art 589 e 590 cp.


Il giudice deve accertare questo fatto di reato dal punto di vista oggettivo.
Questo è il fatto oggettivo di reato, c'è o non c'è.
C'è una condotta del datore di lavoro che ha prodotto l'evento morte? Si, allora il fatto c'è.
Non c'è ancora una responsabilità per questo fatto perchè manca l'altra parte dell'accertamento, però
il fatto di reato esiste.
Posso mettere in discussione l'obbligo d'impedimento o il nesso causale.
Ad es se si pensa ai reati ad evento differito, un lavoratore Rai esposto all'amianto durante la sua
attività lavorativa per 10 anni senza determinate cautele. Smette di lavorare in Rai, va da un'altra
parte e 80 anni muore di tumore. In questo caso qual'è il problema per accertare il fatto di reato?
C'è un datore di lavoro Rai. C'è un soggetto che è morto (evento). C'è un obbligo giuridico
d'impedire l'evento infortunio da amianto (art 2087 cc). Manca il nesso causale.
Quella morte, che avviene a distanza di anni, è dovuta all'esposizione d'amianto o viene fuori che il
lavoratore fumava tanto, aveva una predisposizione genetica a quel tumore, ha condotto una vita
dissennata e magari è morto per altra causa. L'esposizione all'amianto c'era, ma non posso stabilire
nel processo, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'amianto l'ha fatto morire 10-15-20 anni dopo.
Entra in crisi il nesso causale.
Stessa cosa per il caso Ilva, la centrale emette sostanze inquinante nell'aria, a Taranto cominciano a
nascere dopo anni bambini malformati o i lavoratori dell'Ilva muoiono.
Saranno queste sostanze o come questi soggetti conducono la loro vita a portare al decesso? Oppure
sono solo concause (elementi che si aggiungono, ma non escludono il nesso causale)?
Diverso è l'infortunio istantaneo fulmineo. Ad es il lavoratore che ristruttura un palazzo e non ha il
casco, cade dalle impalcature, sbatte la testa è evidente che c'è una causalità.

Tutto quello che abbiamo detto fino ad ora sta dentro un grande cerchio, il fatto di reato:
(cosa il giudice deve provare per arrivare alla responsabilità penale)
– condotta (attiva o omissiva) e soggetto che la tiene;
– nel caso di omissione, ci deve essere un obbligo giuridico d'impedimento dell'evento art
40, 2°co, cp (art 2087 cc) e il potere d'impedirlo;
– evento, morte o lesione (artt 589 e 590 cp);
– nesso causale, artt 40, 1°co e 41 cp disciplina del nesso causale.
Questo è il fatto tipico di reato infortunistico.
Questo è il fatto oggettivo. Manca un pezzo.
L'art 27, 1° co, Cost vieta la responsabilità penale per un fatto altrui e vieta la responsabilità penale
senza colpa.
Il fatto di reato che abbiamo visto fino ad ora ci può anche stare: il giudice ha accertato che il datore
di lavoro con una condotta poteva e doveva impedire l'evento, non l'ha fatto e l'evento è dipeso da
questa omissione (finita la ricostruzione del fatto). Poi deve passare dalla ricostruzione
dell'elemento oggettivo a quello soggettivo del reato.
Dobbiamo chiederci se c'è colpa.

L'elemento soggettivo del reato in generale può assumere tre forme:


– dolo, è volonta/intenzione. Un soggetto che uccide un altro con dolo, lo vuole uccidere e la
vittima per effetto della condotta del carnefice muore.
– colpa,
– preterintenzione, oltre l'intenzione.
Nel diritto penale del lavoro rileva la colpa.
Il dolo non è l'elemento soggettivo della nostra materia perchè nessun datore di lavoro vuole la
morte del lavoratore, gli costa troppo (risponde penalmente, deve risarcire il danno, ha un danno
reputazionale, deve sostituire il lavoratore).
Non ci sono casi in cui il datore di lavoro, in via definitiva, sia stato condannato per omicidio
doloso. C'è stato un solo caso, il caso Thyssenkrupp, solo in primo grado: l'amministratore
delegato era stato condannato per omicidio doloso perchè esiste una tipologia di dolo c.d eventuale.
Secondo la Giurisprudenza c'è dolo eventuale quando il soggetto non ha voluto l'evento morte.
L'amministratore delegato non voleva che gli operai morissero perchè costa avere 7 morti in
azienda, ma era ben consapevole dell'elevato rischio incendio e ha accettato che si verificasse
questo evento pur di produrre. Era stata sequestrata della corrispondenza email dell'amministratore
Espenam in cui dei dirigenti di Torino o delle compagnie assicurative che avvisavano del rischio
infortunio e rischio incendio elevatissimo e l'amministratore rispondeva di esserne a conoscenza,
che non gli interessava, che i lavoratori sanno che lì c'è questo pericolo e si autotutelano da soli
(sanno cosa fare o non fare). Per di più l'amministratore voleva trasferire quegli impianti da Torino
a Terni e per questo non avrebbe investito a Torino.
Queste mail e questo comportamento per la Corte d'Assise di Torino in primo grado, si è ritenuto
qualificasse addirittura il dolo eventuale: l'amministratore ha accettato che questi lavoratori
morissero bruciati pur di produrre.
L'amministratore si è difeso dicendo che non voleva, sperava non succedesse “avevo la ragionevole
speranza che non succedesse”. Era ragionevolmente confidente nelle capacità di autotutela dei
lavoratori. Non voleva, altrimenti avrebbe avuto il dolo pieno.
Il fatto però che ha scelto di continuare a produrre, nonostante avesse piena conoscenza del
pericolo, è grave e il giudice di primo grado gli ha riconosciuto la condanna per omicidio doloso
(non è stato applicato l'art 589 cp, ma l'art 575 cp omicidio doloso con reclusione non inferiore ad
anni 21). Questo in primo grado. In secondo grado è stato condannato per colpa cosciente e poi in
Cassazione.
Nella sent Thyssenkrupp 2014 Cassazione a sez unite si è confermata la condanna per omicidio
colposo plurimo e aggravato. La pena è stata di 16 anni.
Nel diritto penale del lavoro non ci riguarda il dolo, non ci riguarda la responsabilità oggettiva,
non ci riguarda la preterintenzione, ma solo la colpa.
L'elemento soggettivo del reato lo dobbiamo valutare e studiare come colpa.
Il fatto d'infortunio è colposo? Se si, il giudice ha completato l'accertamento.
Quel soggetto risponde di un fatto proprio colpevole.
Così il giudice ha rispettato il principio di personalità.
Solo se il giudice fa tutti questi passaggi può arrivare a condannare il soggetto imputato.
Non per la posizione che copre il soggetto.
Non per la logica del risarcimento nell'ambito civile che è automatico (responsabilità patrimoniale).
La responsabilità civile per l'infortunio è automatica, il datore risponde civilmente anche se il fatto
non l'ha commesso lui ma il suo dipendente (art 2049 cc responsabilità dei padroni e committenti:
dobbiamo accertare che il soggetto è dipendente, che ha commesso il fatto nell'esercizio della sua
attività lavorativa e quindi il datore di lavore risponde per il fatto del dipendente).
Questo art mai potrebbe mutuarsi in sede penale perchè avremmo violato l'art 27, 1°co, cost.
Nel penale c'è la reclusione (responsabilità sulla sua pelle).
Nel penale dobbiamo accertare: la condotta del datore, la causalità con l'evento e la colpa. Sia
l'elemento oggettivo del fatto di reato che l'elemento soggettivo, la colpa.
Prima il giudice deve accertare il fatto oggettivo e poi l'elemento soggettivo.
Colpa di cosa? Per che cosa? Per non aver impedito l'infortunio. Prima avviene il fatto e poi ci si
abbina una colpa.
Qual'è l'errore che fa spesso il giudice? Siccome c'è colpa, sicuramente c'è il fatto.
Il datore di lavoro può essere in colpa perchè si è dimenticato delle cautele, ma se il lavoratore è
morto sul lavoro per altra causa non è il datore che deve rispondere dell'infortunio.
La colpa spesso supplice alla mancanza di prova sulla causalità. Così si violano le regole
sull'accertamento della responsabilità penale e l'art 27 Cost.
Il soggetto non è in colpa rispetto a quell'evento, ma è in colpa perchè ha violato le regole di
sicurezza. Il giudice, quando applica l'art 589 e 590 cp, gli applica la responsabilità penale per quel
morto per quelle lesioni. Prima accerto il fatto e poi se quel fatto è colposo.
I delitti (artt 589 e 590 cp) sono tutti imputati a titolo di dolo, salvo i casi espressamente previsti
dalla legge come colposi. Quando è in gioco la vita e la salute, la legge ammette anche la colpa. La
legge fa rispondere il soggetto anche se non li ha voluti.
L'omicidio dell'art 589, 2°co, cp è un omicidio colposo e le lesioni dell'art 590, 3°co, cp sono lesioni
colpose, aggravati dalla violazione delle norme del d.lgs 81/08. Sono le fattispecie che ci
interessano nel diritto penale del lavoro, si tratta di reato proprio d'infortunio sul lavoro.
Esistono comunque l'omicidio doloso (art 575 cp) e le lesioni dolose (art 582 cp), che non ci
riguardano.

RIASSUNTO
Se c'è un infortunio, il giudice deve accertare:
– c'è un soggetto?
– C'è una condotta? È attiva o omissiva?
– Se c'è un'omissione, il soggetto è garante (titolarità)?
– Se è garante, esso poteva e doveva impedire (potere)?
– L'evento è causato?
– L'evento è riconducibile alla condotta del soggetto?
– C'è colpa?
Se il giudice risponde affermativamente a queste domande, allora c'è responsabilità penale e se la
prova è certa al di là di ogni ragionevole dubbio.
Se così non è, il giudice non ha superato il ragionevole dubbio e non può condannare (è norma del
cp).
L'art 533 cpp disciplina le sent di condanna e prevede che queste sent si pronunciano quando è
provata al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità.
Se invece guardiamo l'art relativo alle sent di proscioglimento, l'art 530 cpp, nel 2° co troviamo
scritto che nel caso di prova insufficiente, contraddittoria o illogica il giudice assolve.
Se la prova è insufficiente non è chiara, c'è un irragionevole dubbio, non è certa.
Il giudice è in dubbio che ci sia causalità? È in dubbio che ci sia colpa? In questi casi il giudice deve
assolvere. Se c'è certezza, il giudice condanna.
Il giudice deve raggiungere una prova piena dell'elemento oggettivo e della colpa. Questa prova
piena nel processo la deve dare il PM. Lo Stato contro il datore di lavoro.
Il PM deve dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che, rispetto alla morte di un soggetto
avvenuta in un certo tempo, ad un certo orario e in un certo luogo, il datore di lavoro abbia posto in
essere una condotta (attiva o omissiva), causale rispetto alla morte del soggetto e con colpa. Se la
prova nel processo è piena, il giudice condanna; altrimenti assolve.
Se la prova non è certa e il giudice condanna, c'è appello. Se anche la Corte d'appello si sbaglia, ci
sarà il terzo grado in Cassazione.
La Cassazione, a differenza del primo e secondo grado di giudizio che sono giudizi di merito
(giudicano il fatto), giudica il diritto (giudica la corretta applicazione della legge a quel fatto. È un
giudizio di legittimità). L'imputato della Cassazione è la sentenza. La sent è corretta o presenta dei
vizi di legittimità? Se i giudici di merito hanno applicato male il diritto, la Cassazione annulla la
sent; altrimenti la conferma e diviene definitiva.
L'onere della prova nel processo penale ce l'ha l'accusa e deriva da un principio costituzionale
contenuto nell'art 27, 2°co, cost, ossia il principio di non colpevolezza. Nessuno è colpevole fino a
condanna definitiva.
Nel processo penale il giudice deve provare la responsabilità, non l'innocenza.
Il soggetto è presunto innocente (salvo provaria contraria) fino a condanna definitiva.
Il soggetto non deve provare la sua innocenza, ma è l'accusa che deve provare la sua colpevolezza.
Il giudice si deve chiedere se il PM ha dimostrato la colpevolezza? Il fatto e la colpa dell'infortunio?
Se si, lo condanno. Se non l'ha dimostrato, anche se il datore non si è difeso o non si è difeso bene,
lo deve prosciogliere. Il datore di lavoro non ha l'onere della prova.
Nel processo penale c'è il diritto a rimanere in silenzio, di non presentarsi in udienza, di mentire.
L'imputato non deve contribuire all'accertamento dei fatti. L'imputato non ha l'obbligo di
autoaccusarsi, “nemo tenetur se detegere”: nessuno può mai essere posto in condizioni di essere
obbligato ad autoaccusarsi. Mai il datore può essere obbligato a venire al processo e dire che si è
disinteressato della sicurezza, che conosceva il rischio etc. Il PM deve dimostrarlo. L'accusa ha
anche dei poteri straordinari: di indagine, interrogatorio, sequestro dei documenti...
L'imputato, durante l'interrogatorio, può avvalersi della facoltà di non rispondere oppure può
mentire perchè non c'è l'obbligo di collaborare.
Fatto e colpa nel processo deve essere oggetto di prova certa da parte dell'accusa.

Quindi abbiamo visto:


– cosa va provato (tema probandum: soggetto, condotta: azione o omissione, nesso causale,
evento + colpa)
– chi lo deve provare (il PM)
– secondo quali criteri (norme cp, cpp, principi Cost).

Il giudice come fa ad es ad accertare un nesso causale o una colpa?


A queste domande risponde la Cassazione perchè è il giudice del diritto. Essa dice al giudice di
merito come fare. Bisogna tenere conto delle sent della Cassazione, ci dicono quale regola di diritto
dobbiamo applicare.
La Cassazione svolge una funzione di nomofilattica, di indirizzo: indica ai giudici di merito come
fare. La sent di Cassazione definisce un caso, ma in realtà va oltre. In futuro un altro giudice di
merito guarderà a quella sent. Non farà lo stesso errore che ha fatto il giudice precedente.
La Cassazione, svolgendo una funzione nomofilattica, dovrebbe garantire anche certezza del
diritto. Rispetto a fatti analoghi, se un datore è prosciolto, l'altro non dovrebbe essere condannato.
Se il giudice di Brescia per un fatto mi condanna, per lo stesso fatto il giudice di Roma non mi può
prosciogliere.
Se si applicano le regole di diritto in modo corretto, per lo stesso fatto dovrei avere lo stesso
risultato.
Seguire le sent della Cassazione serve a garantire certezza del diritto e uguaglianza di fronte alla
legge.
Anche la Cassazione si può dividere.
La Cassazione che dice A e la Cassazione che dice B. Cosa succede?
Quando il caso è di particolare rilevanza oppure quando c'è un contrasto giurisprudenziale, se faccio
ricorso in Cassazione contro una sent di merito: la sezione potrebbe non sapere come decidere. Ci
sono due indirizzi (A e B). Allora si solleva la questione alle sezioni unite dela Cassazione.
Le sent delle sez unite (gli esponenti delle varie sez della Cassazione) hanno una efficacia
vincolante perchè la sez semplice della Cassazione, dopo che intervengono le sez unite che dicono
A, non può dire B, non si può discoscare se non sollevando la stessa questione di nuovo alle sez
unite della Cassazione (art 618 cpp).
Le sent delle sez unite possono cambiare solo attraverso un'altra pronuncia delle stesse sez unite.
Regola introdotta nel 2017 proprio per garantire la certezza del diritto.
Se alla Cassazione semplice non va bene quell'indirizzo, deve sollevare la questione alle sez unite
perchè sono solo loro che possono cambiare idea. Altrimenti la Cassazione semplice deve rispettare
quella sentenza.

*su come si accerta il nesso causale, c'è stata una sent delle sez unite della Cassazione 2002
Franzese che applico ancora oggi. Sent ripresa dalle sez unite Cassazione 2014 Thyssenkrupp.
Alla domanda d'esame: come si accerta il nesso causale nell'infortunio? Dobbiamo rispondere con il
criterio delle sez unite Franzese che poi è ripreso dalla Thyssenkrupp.
Lezione 13 Ottobre,

Chi risponde degli infortuni sul lavoro?


Abbiamo detto che i reati sono propri, ossia reati commessi da determinati soggetti, che hanno
determinati obblighi, e che, se violati, possono comportare un infortunio.
C'è tutto: la condotta, il soggetto, il nesso causale, l'evento e la colpa.
Chi definisce i soggetti?
Dove li troviamo i soggetti penalmente responsabili per la sicurezza sul lavoro?
Nell'art 2 del d.lgs 81/08.

Il TU si divide in tre parti:


– soggetti;
– doveri e obblighi;
– sanzioni.

Partiamo dai soggetti.


Studieremo tutti i soggetti dell'art 2 d.lgs.
Abbiamo realtà d'imprese molto grandi o piccole, ramificate a livello territoriale, nell'ambito delle
quali bisogna andare ad individuare chi risponde in caso d'infortunio.
Come lo troviamo?
Dobbiamo partire dalla definizione normativa.
L'identikit del soggetto sta nell'art 2 d.lgs.
Dobbiamo fare l'esegesi/spiegazione, parola per parola, di ogni definizione di soggetto rilevante
dentro l'art 2 d.lgs.
L'art 2 d.lgs è un art che definisce tantissimo il concetto di prevenzione, di salute, ma ora ci
concentriamo sui soggetti.
Premessa: l'art 2 d.lgs inizia “Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto
legislativo si intende per” e quindi le definizioni che vedremo sono definizioni che il legislatore
detta solo per applicare questo decreto. Se si vuole applicare la responsabilità penale per infortunio,
allora è il Legislatore a dirci chi è il datore di lavoro, il dirigente, il preposto ecc e non lo dice a
tutti gli effetti di legge, ma in quanto coinvolto in un procedimento penale. Il giudice penale dovrà
individuare ad es questo datore di lavoro. Dovrà applicare le disposizione di questo decreto a quel
lavoratore o preposto, quello definito dall'art 2 d.lgs.
→ Sono definizioni che valgono solo agli effetti del decreto 81.
Potremmo trovare in questi soggetti definiti dalla legge penale anche soggetti diversi da quelli che
ricoprono la stessa qualifica in altri settori dell'ordinamento, ossia posso ad es trovare un datore di
lavoro penalmente responsabile che è diverso dal datore di lavoro che è la controparte del rapporto
di lavoro (rispetto al quale faccio una vertenza davanti al giudice del lavoro o impugno il
licenziamento).
Studiamo il datore di lavoro penale, che potrebbe coincidere oppure no con il datore di lavoro
civile. Perchè? Perchè le definizioni che detta l'art 2 d.lgs, le detta solo ai fini delle disposizioni
del decreto 81.
Chi è il lavoratore?
Art 2, punto 1 «lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge
un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con
o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi
gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: […].
Il lavoratore (che deve rispettare gli obblighi del d.lgs 81/08 e che è il soggetto protetto dal datore
di lavoro) è chiunque esegue un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione.
Dobbiamo trovare un'entità che abbia un'organizzazione anche minima/rudimentale/semplice e un
soggetto che vi presta attività lavorativa. L'attività lavorativa è un'attività che produce un bene, un
servizio, un valore e che è diretta, essendo un'attività lavorativa ci sarà un soggetto che dirà fai
questo o quello.
Non conta il contratto (a tempo determinato, indeterminato, apprendistato), non conta che ci sia una
retribuzione (il lavoratore può essere d'accordo per prestazioni di cortesia, amicizia, gratuite).
Se si svolge un'attività lavorativa nell'ambito di un'organizzazione, quell'organizzazione deve
garantire sicurezza al lavoratore.
La legge penale è più ampia di quella civile.
La legge civile riguarda il lavoratore dipendente, il collaboratore coordinato e continuativo, il
lavoro prevede una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato. Per il
penale non è così. Quando si tratta della salute e della vita, si tutela chiunque svolga un'attività
lavorativa pure se la svolge gratuitamente, senza contratto o con qualsiasi contratto.
Ad es il parroco della parrocchia voleva rifare la verniciatura delle pareti chiama i parrocchiani di
buona volontà. Il parroco compra solo i materiali e non paga la manodopera. Se uno degli aiutanti
cade dalla scala, sbatte la testa e muore oppure riporta una lesione. Questo è un lavoratore ai sensi
dell'art 2, punto 1, d.lgs 81/08? Si e il parroco è il datore di lavoro dal punto di vista penale (il
datore di lavoro civile con il quale si stipula il contratto non c'è). È un lavoratore cui il parroco deve
protezione, gli applico gli obblighi del d.lgs 81/08.
Il decreto 81 sul lavoratore adotta una definizione lata di lavoratore perchè tutela la salute e la vita
di chiunque svolga attività lavorativa. Guarda ad un criterio di fatto, l'attività svolta. Se un
soggetto si giova dell'attività lavorativa di un altro, che ha un valore, come contropartita deve
garantire condizione minime di sicurezza.
Questa definizione di lavoratore è semplice, non conta nulla, ma rileva solo un'attività lavorativa
presso un'organizzazione (perchè se fosse da solo sarebbe il datore di lavoro di sé stesso e dovrebbe
garantirsi la salute da solo, rispetto all'organizzazione invece ha figure che devono garantire la
sicurezza).
Il lavoratore non ha solo diritti, ma anche lui può rispondere di un infortunio.

Il lavoratore può rispondere dell'infortunio di un altro lavoratore?


Art 20 Obblighi dei lavoratori
“1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre
persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni,
conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
In quasi tutti gli infortuni il lavoratore è in colpa. Pure quando muore.
Statisticamente ha sempre fatto qualcosa che non doveva fare: non ha usato un determinato
dispositivo di sicurezza, è andato in un luogo dove non doveva andare (cantiere delimitato), si è
distratto e non ha seguito le istruzioni del datore (deve seguire le direttive del datore), non è stato
attento a sé stesso e agli altri lavoratori perchè non gli ha dato un'informazione, un mezzo, per
distrazione.
Il lavoratore è creditore e debitore di sicurezza.
Quando il lavoratore s'infortuna ha senso dire che si è esposto a pericolo e ha concausato le sue
lesioni o, se si è fatto male un collega, ha concausato le lesioni del terzo, magari sarà meno
responsabile ma l'art 20 d.lgs l'ha violato. È quindi possibile una responsabilità per l'infortunio del
lavoratore.

Ora dobbiamo passare alla definizione di datore di lavoro.


2.«datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore\ o, comunque, il
soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la
propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto
esercita i poteri decisionali e di spesa.
Nella prima parte riporta la definizione di datore di lavoro nel settore privato (nella seconda invece
di datore di lavoro nel settore pubblico che è simile).
Se sono assunto da una società, chi è il datore di lavoro titolare del mio rapporto di lavoro?
Il datore di lavoro è la società che però è personificata dal rappresentante legale, il quale firmerà il
contratto con il nuovo assunto. Questo sarà il titolare del rapporto di lavoro. La prima parte della
definizione del datore di lavoro penale guarda proprio a questo soggetto, lo stesso che assume o
licenzia il lavoratore o contro il quale va davanti al giudice del lavoro.
Sembrerebbe che ci sia coincidenza tra datore di lavoro penale e datore di lavoro civile perchè il
datore di lavoro civile è il titolare del rapporto di lavoro.
La prima parte è denominata: qualifica formale del datore di lavoro.
Il datore di lavoro in senso formale.
L'altro soggetto che compare nella definizione di datore di lavoro: è il datore di lavoro in senso
funzionale.
L'art 2 d.lgs è una norma penale e c'è un vincolo d'interpretazione tassativa: ogni parola il giudice
deve riempirla di contenuto e deve trovare il soggetto che risponde a tutte le parole di quella
definizione. Se anche una sola sfugge, non abbiamo davanti a noi il datore di lavoro in senso penale.
L'art 2 d.lgs non si può applicare in via analogica, ossia a casi e soggetti diversi da quelli che non
rientrano precisamente ed espressamente all'interno di queste parole della disposizione.
Qui troviamo lo specchio del principio di personalità.
Cosa garantisce il rispetto del principio di personalità?
Per stabilire se la responsabilità penale è personale, il giudice deve valutare la corrispondenza tra
poteri e doveri. Se il dovere è più del potere non si può punire (“ultra posse nemo tenetur”), se
invece si ha un potere, ma non il dovere di esercitarlo non si risponde penalmente. Devo avere il
dovere di esercitare quel potere.
La corrispondenza tra potere e dovere è anche qui.
Chi è il soggetto datore di lavoro in senso funzionale?
Chi ha la RESPONSABILITÀ DELL'ORGANIZZAZIONE O DELL'UNITÀ PRODUTTIVA.
La responsabilità allude al concetto di dovere, il datore ha la responsabilità dell'organizzazione e
perchè? Perchè ha il potere. Infatti la disposizione ci dice “ in quanto esercita i poteri decisionali e
di spesa”.
Il legislatore afferma che il datore di lavoro è responsabile dei doveri in quanto (nei limiti in cui/se)
eserciti poteri decisionali e di spesa.
Il giudice penale deve trovare il datore di lavoro non per la posizione di vertice che il soggetto ha,
perchè è il soggetto che comanda, che guadagna o che dirige, semmai deve guardare al titolare del
rapporto di lavoro (datore di lavoro civile), che risponde civilmente secondo l'art 2049 cc, ma
penalmente la legge ci dice “in quanto esercita” e quindi bisogna andare a verificare se quel
soggetto va ad esercita i poteri decisionali e di spesa.
La legge, nella disposizione, già applica la corrispondenza tra poteri e doveri. Poi questa
corrispondenza va rispettata: allora bisogna andare a cercare un soggetto che è responsabile
dell'organizzazione, che è datore di lavoro perchè ed in quanto esercita i poteri decisionali e di
spesa.
Ci vogliono tutte e due questi poteri? Sono la stessa cosa o sono diversi e bisogna verificare
entrambi?
Sono poteri diversi e ci devono stare entrambi, c'è una “e”. Non sono alternativi.
Se ho solo il potere decisionale e non di spesa, posso essere datore di lavoro penale? No.
Che s'intende per potere decisionale?
Che s'intende per potere di spesa?
La legge non ci dice nulla.
La Giurisprudenza gli ha attribuito un significato.

Il potere decisionale è il potere di assumere decisioni vincolanti in materia di sicurezza, ossia il


soggetto deve poter impegnare l'organizzazione di cui è responsabile per es all'acquisto di
dispositivi, ad un'attività di messa in sicurezza di luoghi o persone, ad un investimento per la
sicurezza. Quel soggetto, se assume la decisione, vincola tutti/l'organizzazione. Se ad es il soggetto
decide che si deve rifare il sistema antincendio, si rifarà e basta. Nell'organizzazione non ci potrà
essere un veto/un blocco. Se c'è un blocco, vuol dire che quel soggetto non ha potere decisionale.
Semmai avrà un potere di proposta o d'iniziativa. La decisione deve essere presa fino in fondo e
deve vincolare l'organizzazione. L'organizzazione deve fare quello che ha deciso quel soggetto.
Il potere di decidere vuol dire potere di disporre della sicurezza, di impegnare l'organizzazione a
fare o non fare qualcosa in materia di sicurezza.

Il potere di spesa viene dopo.


Il soggetto ha deciso che si rinnova il sistema antincendio, ma quanto spendiamo per questo nuovo
sistema? Assumo diverse proposte o metto a gara. Ho 3 o 4 fornitori: uno con €100.000 me lo rifa,
l'altro me lo rifà con €200.000 e l'ultimo con €1.000.000 per avere la migliore tecnica.
Il giudice deve verificare se il soggetto ha un potere di spesa e se ce l'ha fino a che punto.
Il potere di spesa è il potere di impegnare l'ente all'esborso economico. Non solo il soggetto ha
deciso che si rinnova il sistema antincendio, ma se decide che si spede €1.000.000 l'ente paga e
basta. Chiaramente non lo fa direttamente lui perchè in un ente organizzato ci sono delle procedure
di acquisto, ma se nelle procedure d'acquisto c'è un limite, c'è qualcuno che può bloccare quella
procedura, vuol dire che quel soggetto non ha un potere di spesa di €1.000.000.
Magari ce l'ha di € 100.000 o non ce l'ha per nulla. In questo caso non sarà datore di lavoro.

Il potere decisionale è di stabilire l'an dell'investimento dell'acquisto.


Il potere di spesa è di stabilire il quantum e di impegnare l'esborso economico.

Dobbiamo distinguerli perchè il soggetto potrebbe avere il potere decisionale senza avere il potere
di spesa (ad es il soggetto decide che si rifà il sistema antincendio e poi dobbiamo andare a vedere
chi ha il potere di spendere e quello deciderà quanto spendere) oppure il contrario (ad es l'ufficio
acquisti della società ha il potere di spesa, ma per una decisione che hanno preso altri).
Se non ci sono entrambi i poteri in capo a quel soggetto non è datore di lavoro penale.

Questi sono poteri fondamentali. Cosa serve per garantire sicurezza?


Decidere di spendere.
Ci sono anche degli obblighi di sicurezza che non necessariamente impongono una spesa
immediata. Si possono garantire anche senza spesa. In questo caso basta il potere decisionale, ma il
soggetto per essere il datore di lavoro penale deve averli tutti e due perchè è un soggetto in senso
funzionale.
La legge guarda a quello che fa il soggetto, alla funzione che esercita, quindi ai poteri che ha. È
sulla base di quei poteri che ricostruisce i doveri. Altrimenti ci sarebbe la violazione dell'art 27,
1°co,Cost.
C'è quindi una corrispondenza tra i poteri decisionali e di spesa e i doveri di tutela (art 2087 cc).
Il datore di lavoro penale è titolare dell'obbligo d'impedire l'infortunio (art 40, 2°co, cp), è titolare
degli obblighi del d.lgs 81/08 (doveri del datore di lavoro) solo in quanto abbia poteri decisionali e
di spesa rispetto all'organizzazione o rispetto alla singola unità produttiva.
Abbiamo un soggetto che, per funzione, l'ente individua come il suo datore di lavoro. L'ente da a
quel soggetto i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza. Li spende lui, li valuta lui e li
esercita lui. Però per la legge penale questo soggetto è il datore di lavoro. Se c'è un infortunio, quel
soggetto risponde penalmente.

Per quanto riguarda il riferimento all'unità produttiva.


Possiamo avere un datore di lavoro che ha poteri decisionali e di spesa sull'unità produttiva e non
su tutta l'organizzazione.
La legge autorizza l'organizzazione dell'impresa ad individuare come vuole l'unità produttiva e a
decidere quale sarà il soggetto che risponderà? La legge lascia libertà assoluta?
No, la legge detta una definizione di unità produttiva. Altrimenti l'impresa si sceglierebbero i datori
di lavoro che vuole.
Dobbiamo andare a vedere la lett T, dell'art 2 d.lgs.
«unità produttiva»: stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di
servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale.
Non tutto è unità produttiva.
Può essere una struttura o uno stabilimento, non importa come lo chiamo. Però la legge prevede
delle caratteristiche:
– deve essere deputata alla produzione di beni o all'erogazione di servizi. Fa parte dell'attività
economica o produci beni o servizi;
– deve avere un'autonomia finanziaria, vuol dire che deve essere attribuita a quella struttura
un badget/fondi che ha di suo. Non deve chiedere dei fondi. È come se avesse un suo
“patrimonio spendibile”. Non deve chiedere per spendere per la sicurezza.
– deve avere un'autonomia tecnico funzionale, vuol dire che spende per la sicurezza come
vuole. Dal punto di vista tecnico quell'unità si regola come vuole ad es si fa il sistema
antincendio che vuole, adotta i dispositivi di protezione che vuole. Ha un'autonomia nel
decidere come spendere i soldi. Va però verificato! A volte ciò non esiste, la struttura non ha
dei fondi e quindi il capo della struttura, quando deve spendere per la sicurezza, chiama il
vertice della società. Dunque non si trarebbe di un'unità produttiva. Oppure ha dei fondi, ma
non spende perchè i processi d'acquisto sono centrali e tecnicamente non si sa quale tutela
assumere, quindi non si ha un'autonomia tecnico-funzionale.

Non posso baypassare queste definizioni perchè è una norma penale, che serve a punire e si deve
applicare tassativamente. Il giudice deve andare a vedere se quella stuttura o stabilimento è davvero
un'unità produttiva? Problema enorme. Il vertice dell'azienda vuole essere tranquillizzato che in
quell'unità produttiva c'è il datore di lavoro.
La legge accetta che la qualifica di datore di lavoro si sposti verso il basso, in corrispondenza di
ogni unità produttiva perchè la società può avere n° unità produttive (solo se sono vere!), che
devono avere le carattestiche riportate dal d.lgs (deputata alla produzione di beni o servizi, badget
di funzionamento e libertà nella spesa).
In questo caso c'è autonomia e il soggetto a capo dell'unità, che esercita poteri decisionali e di
spesa, è datore di lavoro dell'unità produttiva.
Se un'impresa ha 100 unità produttive, potrebbe avere 100 datori di lavoro penali. Ciascuno
chiamato a rispondere dell'infortunio che si realizza nell'ambito della propria unità produttiva.
Gli obblighi del datore di lavoro del decreto 81 saranno moltiplicati per il n° di datori di lavoro e di
unità produttive. Il datore deve valutare il rischio? Ogni unità produttiva avrà il suo documento di
valutazione dei rischi. Il datore deve nominare il rspp? Ogni unità produttiva avrà il suo rspp
nominato dal suo datore di lavoro. Come se fossero tante piccole imprese organizzate dentro una
grande organizzazione.
Bisogna però rispettare tutti i requisiti.
Non è possibile creare una struttura dove c'è maggior pericolo di sicurezza, mentre io continuo a
decidere e metto un fantoccio dandogli tutti i poteri sulla carta che però non esercita mai. Il
fantoccio non sarà il datore di lavoro penale.
C'è libertà d'iniziativa economica, l'impresa la puoi organizzare come vuoi, ma se la società vuole
creare tante unità produttive dovrà farlo secondo i requisiti di legge. Se non lo fai, ti tieni la
responsabilità penale. Non ti puoi tenere solo i poteri e lasciare i doveri, altrimenti si rompe la
corrispondenza, si rompe il rapporto di personalità.
La definizione funzionale di datore di lavoro gioca intorno alla corrispondenza tra
doveri/responsabilità e poteri decisionali di spesa. Abbiamo distinto i poteri decisionali da quelli
di spesi. Ci devono essere tutte e due e possono essere poteri e doveri parametrati sull'intera
organizzazione o su singola unità produttiva. Per parlare di un'unità produttiva si deve trattare di
una struttura o stabilimento con autonomia finanziaria e tecnico funzionale. Quindi la lett b e t
dell'art 2 d.lgs vanno letti insieme.
Ci sono tante conseguenze:
– possiamo avere più datori di lavoro penali dentro un'azienda? Si. Ci potrebbero essere più
unità produttive, ciascuno delle quali ha un datore di lavoro penale che avrà poteri
decisionali e di spesa in materia di sicurezza.
Mentre il datore di lavoro civile è sempre uno. È sempre il rappresentante legale di
quell'azienda che mi assume. Il titolare del rapporto di lavoro è la Società A che mi assume
tramite il suo legale rappresentante.
Si rompe la corrispondenza tra datore di lavoro civile e penale. Quello civile è uno, quelli
penali possono essere tanti.
– Anche se fosse uno il datore di lavoro penale potrebbe non coincidere con quello civile.
Se trovo un soggetto che, nell'ambito di un'organizzazione, ha attribuiti tutti i poteri
decisionali e di spesa (magari illimitati) e li esercita, ma non è il rappresentante legale,
abbiamo due datori di lavoro diversi: l'uno è il datore di lavoro penale e l'altro è il datore di
lavoro civile.
Es la Spa ha un consiglio di amministrazione (più soggetti amministratori e un Presidente),
nel caso semplice in cui tutti i poteri di amministrazione e gestione della società siano in
capo al Cda fatto da tre soggetti, chi è il datore di lavoro penale se c'è un'infortunio?
Tutti e tre i consiglieri. Il Cda personificato dal Presidente, che ha la rappresentanza legale, è
anche il datore di lavoro civile.

Se però il Cda, che sa essere datore di lavoro, decide di attribuire ad un altro soggetto, il
delegato alla sicurezza, tutti i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza per tutta
l'impresa, in questo caso chi è il datore di lavoro penale? Solo il soggetto delegato perchè
risponde ai requisiti dell'art 2, seconda parte, d.lgs.
Quindi a titolo originario il datore di lavoro penale sarebbe tutto il Cda con il Presidente
(datore di lavoro civile), ma a livello penale, per effetto della decisione del Consiglio, il
delegato alla sicurezza diventa datore di lavoro penale (ha poteri decisionali e di spesa su
tutta l'organizzazione e quindi sta dentro l'art 2, lett.b) d.gls). Il datore di lavoro penale sarà
diverso dal datore di lavoro civile.

Se l'amministratore fosse anche l'amministratore delegato con tutti i poteri di rappresentanza


legale (classico AD plenipotenziario della società), allora avremmo una coincidenza: è sia il
rappresentante legale titolare del rapporto di lavoro sia il datore di lavoro penale. Ma non è
detto che così sia. I tre componenti del Cda potrebbero dire che è lui il soggetto AD che
gestisce l'azienda e il business e l'altro, che è più esperto di sicurezza, sarebbe il responsabile
per la sicurezza nel Consiglio. Il soggetto che assume quei poteri di decisione e di spesa in
materia di sicurezza diventa il datore di lavoro penale.
Il rappresentante legale dell'azienda è solo il datore di lavoro civile che potrebbe coincidere
oppure no con il datore di lavoro penale.

Il giudice come fa ad accertarlo? Guarda le delibere del Cda, valuterà gli atti attraverso
l'amministratore designato esercita poteri decisionali e di spesa, ordini di servizio,
disposizioni organizzative, ordini di spesa/acquisto (il giudice vedrà se il soggetto decide e
spende). Il giudice deve guardare la funzione, quello che fa.

Il datore di lavoro penale non può mai mancare. C'è sempre un datore di lavoro civile semmai è lui.
La definizione di datore di lavoro è sia in senso formale che funzionale.
La forma e la sostanza potrebbero coincidere in un unico soggetto oppure potrebbero non
coincidere. In questo caso avremo un datore di lavoro civile che non è datore di lavoro penale.
Tutti i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza di base ce l'ha il Cda di una società.
Tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione il cc li attribuisce, nelle società di
capitali, al Cda. Questa è la partenza, i Cda non si tengono tutti i poteri, li ripartiscono
internamente.
Nello schema tipico c'è un AD, amministratore delegato, e degli amministratori deleganti.
All'amministratore delegato vengono dati tutti i poteri, salvo quelli che la legge riserva al Cda art
2381 cc (ossia approvazione del bilancio, fusioni, scissioni, trasformazioni). Se l'amministratore
delegato ha tutti i poteri e non ci sono distinzioni, egli ha anche i poteri decisionali e di spesa in
materia di sicurezza ed è il nostro datore di lavoro sia civile che penale.
Se il Cda vuole togliere i poteri decisionali e di spesa all'AD e attribuirli al terzo consigliere lo può
fare. L'AD sarà il datore di lavoro civile e il terzo consigliere il datore di lavoro penale.
Non può non esserci un datore di lavoro penale, al massimo è tutto il Cda.

Il datore di lavoro in senso formale e quello funzionale sono entrambi nella lett b, dell'art 2 d.lgs.
La legge penale dice chi risponde dell'infortunio è sicuramente il datore di lavoro civile, il titolare
del rapporto di lavoro perchè è anche datore di lavoro penale, però bisogna fare attenzione perchè
ci potrebbe essere anche un altro soggetto che lo è o nell'ambito dell'organizzazione o nell'ambito
dell'unità produttiva.
Domanda: Quando compare un altro soggetto che è datore di lavoro funzionale diverso dal datore di
lavoro formale (civilistico), il datore di lavoro civile rimane responsabile penalmente? sono
alternative le figure o si aggiunge l'una all'altra (tutte e due sono datori di lavoro in senso penale)?
Ad es nello stabilimento di Brescia dell'impresa A che ha sede a Roma muore un soggetto, quel
soggetto dentro lo stabilimento operava alle dipendenze e con tutti i poteri decisionali e di spesa,
autonomia finanziaria e autonomia tecnico-funzionale di Marco. Marco è il datore di lavoro penale
funzionale, ma a capo dell'impresa, il datore di lavoro civile, il titolare del rapporto continua a
rispondere? Si o no?
Bisogna capire l'interpretazione delle parole “o, comunque” nella disposizione.

Lezione 18 Ottobre,

Il datore di lavoro civile e il datore di lavoro potrebbero non coincidere.


Nelle società di capitale, l'AD è il titolare del rapporto di lavoro (il rappresentante legale) e in nome
e per conto della società assume o licenzia i lavoratori. Potrebbe avere i poteri decisionali e di spesa
in materia di sicurezza nell'azienda e quindi ci sarà coincidenza anche qui tra datore di lavoro civile
e datore di lavoro penale.
Potrebbe però esserci un altro soggetto che ha questi poteri oppure più soggetti datori di lavoro
penali nelle unità produttive.
Questi soggetti, tutti a capo di un'unità produttiva, con poteri decisionali e di spesa effettivamente
esercitati, valutano i rischi, nominano gli rspp, fanno i datori di lavoro per unità produttiva. C'è un
infortunio all'interno di un'unità produttiva. Il soggetto a capo dell'unità produttiva sembrerebbe
datore di lavoro perchè risponde pienamente alla descrizione dell'art 2, lett.b, seconda parte. Ma il
titolare del rapporto di lavoro non risponde più? Queste due figure sono in rapporto cumulativo o
alternativo?
Ci sono due orientamenti diversi della Dottrina e della Giurisprudenza che rispondono a questa
domanda.
Per la Dottrina la responsabilità dovrebbe essere alternativa proprio per un'interpretazione
costituzionalmente orientata.
Se il soggetto ha poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza, è su quei poteri che si appunta
il disvalore della mancata osservanza dei corrispondenti doveri. Il soggetto può rispondere della
violazione di un dovere se ha il potere d'adempiere. Se il soggetto ha tutti quei poteri diventa il
nostro datore di lavoro. Altrimenti il rischio qual'è?
Il titolare del rapporto di lavoro, che non ha quei poteri decisionali e di spesa, verrebbe gravato di
doveri che non ha più visto che i poteri sono stati affidati ad un altro.
Potrebbe essere quindi un soggetto in capo al quale si attribuisce una responsabilità che non è
personale. Certo resta un dovere di vigilanza, ma questo non può essere coincidente con il dovere
d'impedire l'infortunio che si lega all'esercizio non di poteri di controllo, ma di decisione e di spesa.
La Giurisprudenza invece non la vede così.
Il titolare del rapporto di lavoro che è al vertice dell'impresa non si può spogliare in toto della sua
posizione di garanzia (art 2087 cc) e allora, quando c'è un soggetto diverso che esercita poteri
decisionali e di spesa in materia di sicurezza, il datore di lavoro civile è tenuto a vigilare, ma questa
vigilanza è forma/contenuto di una posizione di garanzia che si articola come impedimento del reato
altrui. Il datore di lavoro civile deve impedire il reato del soggetto che esercita i poteri decisionali e
di spesa. Siccome i reati d'infortunio sono reati colposi che si imputano senza dolo, l'AD che è
quello che ha dato quei poteri ad un altro soggetto, datore di lavoro in senso funzionale, verrà
rimproverato perchè non ha vigilato. Il datore di lavoro penale in senso funzionale risponderà
perchè non ha provveduto con i suoi poteri. Entrambi risponderanno in concorso dell'infortunio.
La disposizione sembrerebbe diventare: il titolare del rapporto di lavoro è sempre datore di lavoro,
se poi c'è un soggetto diverso, che ha poteri decisionali e di spesa, anche lui risponde.
Quindi la prima posizione di garanzia non sarà più impedire direttamente l'infortunio, ma impedire
il reato altrui sotto forma di vigilanza come portato dell'art 2087 cc (che sarebbe in capo al titolare
del rapporto di lavoro perchè, secondo la legge/la definizione, è datore di lavoro a titolo originario).
Questi soggetti non sembrerebbero rispondere alternativamente, ma in maniera cumulativa.
Questo è l'indirizzo eclettico della giurisprudenza.
La Cassazione ha ragionato in questo modo, anche se la Dottrina lo contesta.
La Cassazione ci ha detto che l'AD se ha invocato un'altra qualifica datoriale, si è dimostrato nel
processo che c'è un altro soggetto che esercita poteri decisionali e di spesa, li esercita e sarà
responsabile. Il primo però non è totalmente liberato. Se si vuole liberare, devi lasciare la carica,
non deve essere il vertice dell'impresa.
Questo però è a rischio forte di responsabilità oggettiva, senza colpa, da posizione.
Se pensiamo all'ipotesi in cui un'impresa ha più unità produttive, il vertice, titolare del rapporto di
lavoro, come può prevedere gli infortuni, conoscere le situazioni, controllare tutte le sedi delle unità
produttive a capo delle quali c'è un datore di lavoro che esercita tutti i poteri decisionali e di spesa?
C'è un problema che la Cassazione non risolve sul piano della qualifica (il soggetto rimane datore
di lavoro), semmai risolve sul piano della colpa.
Se ci ricordiamo lo schema dell'accertamento della responsabilità: il giudice deve accertare il fatto
oggettivo (condotta, nesso causale, evento) + colpa.
La condotta è la condotta propria del soggetto titolare della posizione di garanzia. Nel nostro caso
la Giurisprudenza è come se dicesse “rimani datore di lavoro”, sei un soggetto che pone una
condotta penalmente rilevante, che può essere anche causale rispetto all'infortunio (il datore di
lavoro originario, titolare del rapporto di lavoro). Quando però se c'è il datore dell'unità produttiva
o dell'intera organizzazione che ha i poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza, la
Giurisprudenza può semmai scusare il titolare del rapporto di lavoro per mancanza di colpa.
Il datore di lavoro, titolare del rapporto di lavoro, è in questo caso lontano dall'infortunio, non può
prevedere tutto, quindi si è datore di lavoro che ha posto in essere una condotta penalmente
rilevante, ma non c'è colpa. Viene scusato perchè in un'impresa grande non può prevedere tutto e ci
sono poi i datori delle singole unità produttive o quello che in tutta l'organizzazione esercita poteri
decisionali e di spesa.
(Nel processo penale il PM, se ritiene che ci siano gli elementi anche per dimostrare in futuro una
colpa, lo porta a processo; altrimenti dovrebbe richiedere l'archiviazione nella fase d'indagine. Non
lo fa perchè tutto questo discorso di “accertare se potevi prevedere ecc” in materia di
dibattimento/processo, in base a quello che è avvenuto con tutti i testimoni, documenti ecc, capire
se poteva prevedere, fa si che il soggetto venga portato in giudizio e semmai lo prosciolgono dopo).
Ad es un AD di una grande azienda che produce auto in tutto il mondo può essere responsabile
dell'infortunio che si realizza nello stabilimento X nel mondo. È difficile che quell'AD possa
esprimere una colpa. Rimane datore di lavoro, ma non in colpa ed essere prosciolto.
Mentre per la Dottrina in radice il problema dovrebbe essere eliminato. Questo soggetto, AD, non è
il nostro datore di lavoro o meglio ce n'è un altro che lo esclude e non che si aggiunge.
La violazione dell'obbligo di vigilanza dell'AD non lo porta a rispondere dell'infortunio, semmai
risponderà di un altro reato per omessa vigilanza ( e che ha una pena molto più bassa di quella che
va attribuita per omicidio colposo o lesioni colpose).

Per la Giurisprudenza: il datore di lavoro civile e il datore di lavoro funzionale sono messi sullo
stesso piano e sono sottoposti alla stessa pena. L'uno adempie attraverso i poteri decisionali e di
spesa, quindi provvedendo alla sicurezza; l'altro adempie vigilando, ma la vigilanza è un aspetto
dell'art 40, 2 co, cp: ha sempre non impedito attraverso la mancata vigilanza. Se avesse vigilato,
l'altro avrebbe provveduto. C'è una cooperazione nel delitto colposo art 113 cp. Chiunque cagiona
per colpa un evento, cooperando anche con altri, risponde con la pena prevista. Omicidio art 589 cp,
lesioni art 590 cp + art 113 cp perchè sono due soggetti.

Per la Dottrina: non si può più qualificare il datore di lavoro civile sullo stesso piano del datore di
lavoro funzionale, è un datore di lavoro solo formale e semmai gli volessimo rimproverare una
omessa vigilanza si dovrà applicare una fattispecie penale di omessa vigilanza che sicuramente lo
punirà in maniera meno grave rispetto a chi ha cagionato l'infortunio.

Questo definizione di datore di lavoro un po' risolve e un po' complica perchè è oggetto essa stessa
di interpretazione. È la stessa definizione di datore di lavoro che si deve interpretare perchè c'è un
datore di lavoro formale e un datore di lavoro funzionale. Bisogna stabilire se “o, comunque” è
alternativo o cumulativo. Sono tutti problemi che si deve porre il giudice.
La legge non è così chiara, tanto che ci sono due interpretazioni.
Questo però non dovrebbe mai avvenire.
Prima di tutto perchè siamo nel campo della responsabilità penale dove vige il divieto di analogia, il
principio di tassatività e quindi la legge deve essere chiara, precisa, tutto scritto, il giudice non può
inventare, creare, estendere e poi, essendo una definizione, ci dovrebbe aiutare.

Esistono due tipi di delega che la legge ha individuato:


– delega gestoria, è la delega che da il Cda, l'organo che a titolo originario è il nostro datore di
lavoro.
Nella società di capitali, in via originaria, tutto il Cda è datore di lavoro, salvo che deleghi
ad uno o più dei soggetti facenti parte del Consiglio poteri e funzioni.
Dunque potremmo avere un AD che ha tutti i poteri gestionali, di ordinaria e straordinaria
amministrazione, salvo quelli riservati al Cda dalla legge, ed in questo caso l'AD sarà
titolare di tutti i poteri di sicurezza. Quindi abbiamo datore di lavoro formale e funzionale
che coincidono per delega gestoria ex art 2381 cc.
La delega gestoria ha anche effetti penali perchè, attraverso essa, possono passare anche i
poteri decisionali e di spesa.
Però si potrebbe avere anche una divergenza tra i due datori di lavoro se il Consiglio
attribuisse ad un soggetto tutti i poteri di AD, ma ad un altro consigliere tutti i poteri sulla
sicurezza. Qui avremo il titolare del rapporto di lavoro da un lato e il datore di lavoro
funzionale dall'altro, ma sempre entrambi per delega gestoria.
– delega di funzioni, non sta nell'art 2 d.lgs e non sta nell'art 2381 cc, ma nell'art 16 d.lgs
81/2008. ne parleremo in seguito.

La delega di cui stiamo parlando ora è quella gestoria.


C'è una recente sent di Cassazione 8476/2023 che spiega la differenza tra delega di funzioni e
delega gestoria.
Passiamo al secondo soggetto, il dirigente.
Questo soggetto nell'organigramma della sicurezza è sotto il datore di lavoro.
Art 2, lett.d) «dirigente»: persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri
gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di
lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa.
È un soggetto che ha un incarico.
È un soggetto che esercita poteri gerarchico-funzionali adeguati a questo incarico.
È esattamente il dirigente che ci possiamo immaginare in un'azienda.
Dirigente con quale incarico? Il dirigente delle risorse umane, finance, marketing.
Ci possono essere dirigenti che hanno dei rami dell'attività, dei servizi, un incarico appunto. Hanno
un CV per essere impiegato nelle risorse umane o per fare finance o marketing.
Questi dirigenti hanno un incarico e hanno un team, delle persone che rispondono gerarchicamente
e funzionalmente a quel dirigente.
Se andiamo a fare un colloquio in un'azienda non incontriamo il Direttore delle risorse umane, ma
l'impiegato che si occupa del reclutamento e che fa parte del team risorse umane a capo del quale
c'è il Dirigente risorse umane.
Il dirigente ha dei poteri visto che quei tot dipendenti che fanno parte del team risorse umane
rispondono a lui.
Il dirigente del decreto 81 è il dirigente che ci immaginiamo tutti in un'azienda, però la legge lo
definisce sulla base di due funzioni:
– organizza l'attività lavorativa,
– vigila su di essa.

Il datore di lavoro esercita i poteri decisionali e di spesa. Decide tutto sulla sicurezza e spende.
Dà anche delle direttive.
Compra tutti i dispositivi, decide che si fa così per la sicurezza poi dirà a tutti i dirigenti di attuare le
direttive.
Il dirigente cosa fa rispetto al datore di lavoro?
Organizza l'attività dei suoi dipendenti e vigila sulla loro attività.
Tutta la popolazione aziendale risponderà innanzittutto ai n° dirigenti, non all'AD, datore di lavoro.
Stiamo parlando di una grande società di capitali, ben strutturata.
Cosa significa organizzare?
Cosa significa vigilare?
Il potere di organizzare implica la divisione dei compiti, il dare degli obiettivi e il coordinare il
lavoro.
Ad es vuole verificare chi gli ha dato tra i dipendenti più profitto in modo tale che gli attribuirà un
premio di produttività sullo stipendio dell'ultimo mese dell'anno.
*job description: è l'identikit di una figura aziendale. Quando intervisti una figura aziendale ti dice
cosa fa, quali sono le sue funzioni.
Il potere di vigilare implica farsi rendicontare l'attività svolta dai propri dipendenti.
Un po' vigila il dirigente, un po' chiede, un po' si fa dire (il dirigente da un compito e poi chiede
cosa ha fatto il lavoratore).
A questo punto se abbiamo il dirigente di azienda che ha un incarico (risorse umane), ha dei poteri
gerarchico-funzionali (su 10-100 risorse), organizza il lavoro ossia divide i compiti e controlla che i
compiti siano stati rispettati e gli obiettivi raggiunti, abbiamo il dirigente del decreto 81.
Questo dirigente deve attuare le direttive del datore, diventa titolare degli obblighi del decreto 81.
È possibile che questo dirigente non sia assunto come dirigente?
Ad es abbiamo un soggetto quadro, che non ha un inquadramento dirigenziale, viene pagato come
un quadro, ma gli vengono date delle funzioni da dirigente. Il lavoratore allora chiederà di essere
fatto dirigente. Infatti spesso ci sono delle cause di lavoro che nascono da questo, gli vengono date
delle funzioni da dirigente restando quadro, non può rifiutarsi di svolgerle perchè il datore ha un
potere direttivo art 2086 cc. Il datore stabilisce cosa fanno i suoi e questi rispondono a lui.
Al massimo il lavoratore può andare davanti al giudice del lavoro per farsi riconoscere una qualifica
in più e chiedere che gli venga applicato il regime dirigenziale, ma non può dire di non fare le
mansioni se ha i mezzi e le competenze.
Il soggetto potrebbe non essere un dirigente d'azienda per la premessa iniziale, ossia le definizioni
del decreto servono per applicare il TU.
La definizione di dirigente del decreto coincide con la definizione di dirigente d'azienda e quindi
tutti i dirigenti d'azienda sono dirigenti 81, ma non è scontato il contrario: che tutti i dirigenti 81
siano dirigenti in azienda. Non c'è una coincidenza necessaria.
È possibile che un soggetto abbia funzioni dirigenziali in materia di sicurezza pur essendo un
soggetto quadro/impiegato/terzo estraneo.
Bisogna applicare la definizione del decreto e trovare il soggetto che vi rientra (vedi che ci sono n
persone che riportano a lui, lui mi dice cosa fare, mi da degli obiettivi, organizza e vigila sul lavoro,
il giudice penale non dirà certo che mancando l'inquadramento il soggetto non risponde).
Sono i poteri e la funzione che esercita il soggetto quelli che determinano la responsabilità penale.
Il giudice penale ragiona sul fatto che quei dipendenti rispondono a quel soggetto e quest'ultimo
deve tutelare la sicurezza dei suoi, non serve la qualifica formale di dirigente. Risponde alla
definizione che la legge penale da di dirigente.
Nell'azienda abbiamo due organigramma:
– uno è l'organigramma aziendale,
– l'altro è l'organigramma della sicurezza.
Potrebbero non essere sovrapponibili perchè per es nell'organigramma della sicurezza potrebbero
comparire dei dirigenti che non compaiono nell'organigramma aziendale.
Quando c'è l'infortunio, il dirigente si può difendere dicendo che nessuno gli ha detto che è un
dirigente 81? È assunto come quadro, ha le sue responsabilità, nessuno gli ha detto che è dirigente,
non ha mai fatto corsi sulla sicurezza. Questa è una difesa sostenibile davanti al giudice penale? No.
Questi obblighi/Questa responsabilità penale per la sicurezza da dove deriva?
Ha i poteri, risponde alla definizione di dirigente, qual'è la fonte dei suoi obblighi?
Dalla legge. La legge non ammette ignoranza.
Se la legge c'è, che il soggetto non la conosca, che non sappia di avere obblighi di sicurezza non è
scusabile.
Nelle imprese strutturate c'è un'informativa, ti dicono sei dirigente 81 e devi fare A, B e C.
I dirigenti sono sottoposti a corsi di formazione per la sicurezza a cadenza quinquennale.
Non regge la difesa di non avere procure per la sicurezza, deleghe o responsabilità per la sicurezza,
è la legge che lo responsabilizza, non c'è bisogno che te lo dica nessuno.
Il dirigente 81 quindi non è detto che sia un dirigente d'azienda come tale inquadrato (ma se lo è,
sarà anche dirigente 81), ma quel soggetto, diversamente inquadrato, potrà di fatto svolgere delle
funzioni dirigenziali e se le svolge per la legge penale prevale la sostanza e non la forma.

Il dirigente può avere gli stessi obblighi di sicurezza del datore di lavoro?
Chi decide per la sicurezza e spende è il datore di lavoro.
Chi organizza e vigila è il dirigente.
Ci può essere coincidenza?
Se gli obblighi sono diversi, lo sono per qualità o per ampiezza?
Ci sono sia degli obblighi diversi tra datore e dirigente, sia per l'ampiezza (sono condizionati dalle
risorse che il datore mette a disposizione).
Artt 17 e 18 d.lgs.
L'art 17 d.lgs fa riferimento a due obblighi indelegabili del datore di lavoro:
a) la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza in azienda che deve essere formalizzata il un
documento, il DVR (documento di valutazione dei rischi). La valutazione è del datore e non può
che essere sua.
b) nomina del Rspp, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
Questi due obblighi sono solo del datore di lavoro e non del dirigente.
L'art 18 d.lgs è intitolato “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”.
L'art 18 d.lgs prevede tutti obblighi che spettano al datore e al dirigente, ma qual'è la differenza?
La vediamo leggendo il 1 co “Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all'art 3, e i dirigenti,
che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite,
devono:”.
Il dirigente è tenuto ad adempiere agli stessi obblighi del datore di lavoro, ma limitatamente alle
proprie attribuzioni e competenze. Sarebbe un datore di lavoro pro quota, rispetto al suo ambito di
responsabilità.
Ad es Il direttore delle risorse umane organizza l'attività di 100 dipendenti, deve adempiere gli
obblighi dell'art 18 d.lgs entro i suoi poteri e limitatamente ai suoi 100, all'ambito risorse umane.

Facciamo un es per capire meglio.


Prendiamo un obbligo dell'art 18 d.lgs, dotare i lavoratori dei dispositivi individuali e collettivi di
protezione. È un obbligo che spetta al datore e al dirigente.
Il datore di lavoro, per adempiere a questo obbligo che ha nei confronti di tutta l'azienda, deve
decidere quali dispositivi comprare (i più sicuri) e deve spendere quanto serve.
Il dirigente deve verificare che tutti li abbiano, che qualcuno li distribuisca e se mancano deve
richiederli al datore subito, ma non può comprarli lui.
Se il lavoratore il dispositivo non ce l'ha e il dispositivo non arriva, cosa dovrebbe fare il dirigente?
Lo esonera dall'attività perchè si possono richiedere al lavoratore solo le attività che può svolgere in
sicurezza. Se quell'attività non è sicura, il dirigente non può costringere il lavoratore a svolgerla
comunque perchè deve terminare il progetto.
Finchè non arriva il dispositivo e c'è un pericolo di sicurezza, non può richiedere a quel lavoratore
di svolgere l'attività. Magari lo richiederà ad un altro che il dispositivo ce l'ha.
Lo stesso es vale anche se il lavoratore non è formato.

Lo stesso obbligo ha un perimetro diverso: da un lato il datore per tutta l'azienda, dall'altro il
dirigente per il suo incarico/attribuzione.
C'è anche una differenza rispetto ai poteri: il datore decide, spende e provvede; il dirigente
organizza e vigila. Lo stesso obbligo è calato nell'esercizio di diversi poteri, quelli più
forti/primari/impeditivi diretti del datore di lavoro e quelli intermedi del dirigente.
La responsabilità del dirigente è una responsabilità a livello intermedio.
Non è primaria come quella del datore, ma non è nemmeno ultima.
È intermedia perchè attua gli obblighi organizzando e vigilando. Non decidendo e spendendo.

Il dirigente ha degli obblighi sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro, li ha pro
quota e tenuto conto dei poteri di cui dispone. Ce l'ha a livello organizzativo e di vigilanza. Ecco
perchè attua le direttive.
Il datore compra i dispositivi, il dirigente li fa distribuire e vigila sull'attività in sicurezza.
Il primo ha una responsabilità primaria. Il secondo una responsabilità intermedia.

Il dirigente, nel momento in cui c'è un infortunio perchè il lavoratore non ha fatto la visita medica o
non ha il dispositivo ecc, può rispondere penalmente?
Il PM che deve formulare l'imputazione, cosa gli contesta al dirigente?
Gli dirà che lui ha contribuito perchè non ha organizzato o vigilato in modo tale da garantire lo
svolgimento dell'attività in sicurezza e quindi di impedire l'evento.
Il dirigente che si difende affermando che non può comprare i dispositivi, ma se non c'è il
dispositivo idoneo a svolgere l'attività in sicurezza deve esonerare il lavoratore e se non c'è la
possibilità di agire in sicurezza non deve richiedere quell'attività.
Il dirigente può fare qualcosa di diverso dal datore per impedire l'infortunio? Si.
Allora la Cassazione dice che è un soggetto responsabile insieme al datore di lavoro che doveva
acquistare il dispositivo di sicurezza.
La responsabilità intermedia del dirigente si aggiunge a quella primaria del datore di lavoro.
Tutti e due rispondono in concorso dell'infortunio (stessa pena per tutti i concorrenti: il giudice può
decidere tra il minimo e il massimo degli artt 589 e 590 cp. Il datore non decide e non compra, il
dirigente non segnala. C'è cooperazione. Entrambi hanno posto in essere condizioni essenziali alla
verificazione dell'evento. Il dirigente se avesse segnalato in tempo o bloccato l'attività, l'infortunio
non ci sarebbe stato), ovviamente il dirigente solo nel caso in cui l'infortunato rientri nel suo ambito
di responsabilità. Altrimenti il dirigente non risponderebbe.
Il datore invece questi poteri ce l'ha per tutta l'impresa.

Siamo sicuri che il dirigente d'azienda non deve mai valutare il rischio e mai nominare il Rspp? O
c'è un caso in cui lo deve fare?
Lo deve fare il dirigente che è a capo di una unità produttiva perchè abbiamo detto che i datori di
lavoro in un'azienda di grande dimensioni possono essere tanti e possono essere anche dirigenti
responsabili di una unità produttiva.
C'è una impresa di produzione, essa ha stabilimenti che producono in tutta Italia e a capo dello
stabilimento, che ha un budget/fondo che spende come vuole, c'è il dirigente “capo stabilimento”,
quel dirigente è datore di lavoro dell'unità produttiva.
Se è datore dell'unità produttiva la legge lo obbliga a valutare i rischi e a nominare il Rspp.
Abbiamo così tanti dirigenti che diventano datori di lavoro perchè gli viene attribuita la
responsabilità dell'unità produttiva. A questo punto è la legge che gli attribuisce tutti gli obblighi
dell'art 17 d.lgs perchè quel dirigente (datore di lavoro dell'unità produttiva) ha poteri decisionali e
di spesa in materia di sicurezza sull'unità produttiva.

Il dirigente è soggetto che sta sotto al datore di lavoro nell'organigramma aziendale, ma in taluni
casi può diventare datore di lavoro e condividere gli unici obblighi che altrimenti non avrebbe mai e
mai gli potrebbero essere delegati (art 17 d.lgs).
Altro discorso va fatto per i dirigenti delegati, quelli destinatari della delega di funzioni dell'art 16
d.lgs.

Lezione 19 Ottobre,

L'art 18 d.lgs 81/08 prevede gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente. Coincidono.
Sono previsti per il datore di lavoro per tutta l'azienda, per il dirigente nei limiti dell'attribuzione e
delle competenze e secondo i poteri che ha. Il dirigente ha dei poteri di organizzazione e di
vigilanza, ma non ha poteri decisionali e di spesa.
Il dirigente segnala al datore che i lavoratori non hanno i dispositivi, non li fa lavorare e chiama il
datore per acquistarli e spendere risorse in materia di sicurezza. Per dire invece ai lavoratori di fare
la visita medica, il dirigente può farlo e non gli servono i poteri decisionali e di spesa. Se non fa la
visita, non lavora.
Ci sono degli obblighi che necessitano di poteri che il dirigente non ha per essere completati,
altri no: ad es assicurarsi che i lavoratori abbiano le informazioni e la formazione per svolgere
quelle mansioni.

Art 18 d.lgs “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”


“Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all'art 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le
stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:
a) nominare il medico competente, è nominato dal datore di lavoro e dal dirigente. Se è scelto dal
datore, non è necessario che il dirigente lo rinomini;
b) designare preventivamente gli addetti di primo soccorso o addetti alle emergenze perchè la legge
richiede che in azienda alcuni soggetti siano formati per gestire la situazione in caso di incendio.
Datore e dirigente possono scegliere quali lavoratori formare con dei corsi e nominarli addetti. Se il
datore nomina tutti gli addetti, non è necessario che il dirigente ripeta la nomina.
Se non sono nominati chi è il soggetto responsabile? Tutte e due, datore e dirigente. (vale anche per
il medico);
b-bis) individuare il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza (aggiunto nel
2021);
Finora sono obblighi di individuazione, obblighi di nomina di figure strategiche per la sicurezza.
c) affidare i compiti ai lavoratori, tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in
rapporto alla loro salute e alla sicurezza. Per questo compito non servono i poteri decisionali e di
spesa. Il dirigente, quando organizza e divide i compiti e poi quando vigila e chiede di rendere
conto, deve tenere in considerazione la situazione del lavoratore e adibirlo ad attività che non lo
espongano al pericolo d'infortunio;
d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il Rspp e il
medico competente;
e) prendere le misure appropriate affinchè solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni
e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico.
Ad es nell'ambito della ricerca, dove nei laboratori si maneggiano sostanze pericolose.
In un processo in cui era coinvolto Teleton, in uno dei laboratori vicino Pozzuoli si è infortunato un
ricercatore. Ci sono dei luoghi in cui non possono entrare soggetti se non adeguatamente formati,
che sanno come muoversi, cosa toccare e non toccare perchè si rischia di commettere condotte
inconsapevoli e autolesioniste. Il capo dei ricercatori è responsabile, non può far entrare chi non è
adeguatamente formato. Non ci vuole il potere decisionale e di spesa. Il datore di lavoro, il vertice
di Teleton, e il capo ricerca sono entrambi responsabili se un soggetto non formato entra nel
laboratorio e si infortunia.
Dientro ognuno di questi obblighi c'è l'infortunio.
f) richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle
disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione
collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione.
Questo è un obbligo facile da contestare. Pensiamo a tutte le ipotesi in cui il lavoratore ha colpa nel
proprio infortunio (non usa il dispositivo, non rispetta le regole, agisce di fretta). Il datore e il
dirigente devono richiedere l'osservanza. Se il lavoratore non osserva quella regola, va sanzionato
fino a bloccare l'attività.
Perchè è avvenuto l'infortunio?
Perchè nessuno è intervenuto?
Perchè non è stata richiesta l'osservanza delle regole?
Ci sono dei casi di possibile assenza di responsabilità perchè in modo del tutto episodico,
estemporaneo, occasionale il lavoratore, che ha sempre rispettato le regole, in quel caso non le
rispetta e produce l'infortunio. Lì va richiesta l'osservanza, ma se il datore e dirigente l'hanno
sempre richiesta non possono essere responsabili visto che non riescono a stare dietro a tutti.
Altrimenti sarebbe una responsabilità oggettiva.
Il co 3-bis dell'art 18 d.lgs, che è stata nominata norma “salva manager”, prevede un obbligo di
vigilanza del datore e del dirigente sul lavoratore sul rispetto degli obblighi dell'art 20 d.lgs.
Quando il lavoratore viola i suoi obblighi, il datore/il dirigente nel processo invoca sempre questa
difesa (il lavoratore ha violato le istruzioni e ha violato i dispositivi), ma l'obbligo della lett.f) e
quello dell'art 3-bis richiedono la richiesta di osservanza delle regole e di vigilare.
Se il dirigente dimostra che il controllo sui suoi lavoratori lo fa e che richiama puntualmente chi
commette delle violazioni, una volta sola che quel soggetto ha violato le regole e si è infortunato
non gli si potrà addebitare l'infortunio. Se invece non riesce a provare di aver strutturato un sistema
di controllo e di aver adempiuto all'art 18 d.lgs, il dirigente (o datore) sarà responsabile.
Siamo nella condotta (violazione dell'obbligo), vanno dimostrati il nesso causale e la colpa.
g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza
sanitaria. Se non fanno la visita, il datore e dirigente li devono inviare. Se continuano e non si è a
conoscenza della loro idoneità psico-fisica alla mansione, il datore o dirigente non può attribuire
mansioni. Ci si ferma finchè non fa la visita. Se lo faccio lavorare, si fa male e non ha fatto la visita,
colpa del dirigente o datore che non ce l'ha mandato.
g-bis) quando cessa il rapporto di lavoro va comunicato tempestivamente al medico competente che
così non lo convoca per la sorveglianza. Obbligo meno collegato all'infortunio.
h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare
istruzioni affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il
posto di lavoro o la zona pericolosa. È compito del dirigente monitorare le situazioni di emergenza.
Il dirigente dell'università deve porsi il problema, nel caso in cui scoppi un incendio, chi c'è per
gestire l'emergenza? Ha dato al personale di vigilanza e di controllo le istruzioni affinchè si
abbandoni il posto di lavoro, si sappia muovere, sappia sgombrare le aule? Se il datore e il dirigente
non si sono posti questo problema e ci scappa il morto rispondono penalmente per l'art 18 d.lgs.
j) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato
circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione.
È legato alla situazione d'emergenza: dare istruzioni, informare, il lavoratore deve essere messo
nella condizione di sapere. Spesso vengono fatte firmare al lavoratore delle informative scritte sulla
sicurezza all'atto dell'assunzione. Ripetuta e aggiornata ogni volta cambi. Se manca l'informativa, il
datore e dirigente rispondono penalmente.
l) adempiere agli obblighi d'informazione, formazione e addestramento di cui agli artt 36 e 37.
Bisogna garantire che il lavoratore sia formato. La formazione può essere generica o specifica. C'è
un limite minimo di formazione c.d generica (per tutti) e poi c'è quella specifica per mansione.
Questo è importante quando ci sono le Agenzie di somministrazione del personale. Ad es una
società che organizza grandi eventi si rivolge a delle Agenzie di somministrazione per le hostess o
per il servizio di vigilanza. C'è una differenza tra formazione generica e specifica perchè l'Agenzia
di somministrazione deve dare una formazione generica, però poi c'è una formazione specifica che è
connessa alla prestazione, al tempo e al luogo della prestazione che è tenuta a svolgere per la
Società che recluta tramite l'Agenzia (che organizza gli eventi). La Società è tenuta a dare una
formazione specifica, a quest'obbligo può adempiere il datore o dirigente oppure può trasferirlo
sull'Agenzia.
Quindi il lavoratore fa un corso minimo di preparazione, poi se l'Agenzia ti chiama per andare
presso il terzo a svolgere una prestazione farà un corso aggiuntivo se la mansione è specifica (se si
tratta solo di staccare i biglietti non servirà, al massimo servirà l'informativa del luogo: il luogo
com'è fatto, dove sono le uscite d'emergenza ecc).
n) astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in
cui persiste un pericolo grave e immediato.
Se c'è una situazione di pericolo, il datore o dirigente non può dire al lavoratore di riprendere
l'attività. Deve dargli l'istruzione per gestire quella situazione di pericolo, deve abbandonare il posto
e non può chiedere di riprendere il lavoro finchè quel pericolo non è cessato o prevenuto in modo
adeguato. Se lo manda in una situazione di pericolo e poi si infortunia, viola l'art 18 d.lgs.
o) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all'art 50.
Il Rls, che rappresenta tutti i lavoratori, deve essere consultato in determinati casi contenuti nell'art
50: ad es quando il datore di lavoro (o dirigente) nomina il Rspp.
p) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di
lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all'art 43.
Si tratta di disposizioni speciali sull'antincendio, sono situazioni particolari di emergenza codificate
dal legislatore, ma la logica è quella di regolamentarle, dare istruzioni, che tutti siano pronti, se le
regole cambiano fai il corso d'informativa.
q) nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori
di apposita tessera di riconoscimento, corredata da fotografia, contenente le generalità del
lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.
Ad es sono una Società incaricata di ristrutturare un edificio, l'appaltatore deve munire i lavoratori
di una tessera di riconoscimento e dovrebbe essere anche esibita (art 26, 8 co: “Nell'ambito dello
svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa
appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento).
Ad es un omicidio ad Ostia nei cantieri navali. Il committente (datore di lavoro) chiama l'impresa
per installare una darsena dove approdano le barche. Il committente produce navi da crociera, da
l'appalto all'impresa A, la quale inizia i lavori e gli dice quali sono i lavoratori che impiegherà.
Nel cantiere però sono entrati dei lavoratori di un'altra impresa, che si è scoperta subappaltatrice
della principale contraente con il datore di lavoro. Questi lavoratori entrano in un luogo che è nella
disponibilità giuridica e fattuale del committente a realizzare il lavoro. Al committente però veniva
detto che questi erano i lavoratori dell'impresa A e non che i tre lavoratori erano dell'impresa B. Uno
dei tre però è morto. L'appaltatore non ha esposto con la tessera fotografica di riconoscimento i suoi
e i tre come lavoratori del subappaltatore. L'appaltatore avrebbe dovuto informare il committente
del subappalto. Essendo due le imprese che operano, scatta la normativa dei cantieri temporanei o
mobili, ossia scatta un obbligo diverso per il committente di nominare dei coordinatori, i quali
coordinano più imprese che entrano nello spazio di disponibilità del committente.
C'è una distizione tra l'appalto monoimpresa (art 26 d.lgs) (ad es una impresa mi deve rifare
l'impianto idraulico) e l'appalto che riguarda più imprese (ad es devo ristrutturare l'immobile e viene
l'impresa che rifà l'impianto idraulico, l'impresa che rifà l'impianto elettrico, quella che fa la
muratura) qui c'è la necessità di nominare dei coordinatori. Sono altre figure di garanzia (per la
progettazione e per l'esecuzione).
L'appaltatore ha violato delle regole (non indicare chi entra) e anche il subappaltatore (che doveva
indicare quale fossero i suoi e dotarli di tessera).
Il committente è andato in giudizio per culpa in vigilando: il PM gli dice “non ti rendi conto che a
casa tua entrano soggetti che sono imprese diverse?”. Il committente doveva fare dei controlli. C'è
un problema causale e di colpa. Siamo nella fase dell'accusa (in udienza preliminare).
La difesa del committente dirà che è stato ingannato e manca il presupposto dell'obbligo, non sa che
c'erano più imprese e quindi non può adempiere al compito di nominare il coordinatore. Ma se
anche avesse nominato il coordinatore, per la dinamica dell'infortunio, che sarebbe cambiato?
Questo è un tema che riguarda il nesso causale e la colpa.
r) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all'art 35.
Almeno una volta l'anno si deve svolgere una riunione periodica tra datore di lavoro (o soggetto da
lui delegato ad es un dirigente), Rls, medico competente e Rspp (che di solito la convoca oppure
datore o dirigente).
È quella riunione prevista dall'art 35 d.lgs, che presuppone un verbale, che riguarda l'analisi di
tutta l'attività della sicurezza dell'anno precedente (*domanda d'esame).
Si analizza tutto: situazione attuale della formazione, infortuni verificatosi nell'anno precedente,
certificazioni ottenute per la sicurezza, segnalazioni, incidenti. Tutte queste informazioni vengono
condivise tra i soggetti presenti alla riunione, i quali facendo tesoro delle esperienze dell'anno
precedente potranno fare meglio l'anno dopo.
Almeno una volta l'anno, si possono fare anche più riunioni periodiche (se serve).
Se non viene fatta e arriva l'ispettore: prescrizione, responsabilità.
Recentemente c'è stato questo problema ad es nel parco archeologico del Colosseo, che è gestito da
una società in house del Ministero della cultura (modello d'impresa pubblica e agiscono come longa
manus dell'amministrazione) e nel quale ad agosto arriva un ispettore che richiede il verbale della
riunione periodica dell'anno 2022. La società non aveva fatto la riunione periodica, non hanno
adottato il DVR aggiornato, non hanno fatto tutta una serie di cose che avrebbero dovuto fare.
Non c'è alcun infortunio, però di corsa ad agosto si è fatto tutto in modo tale che l'ispettore possa
verificare che è stata sanata la mancanza. Finchè non c'è l'infortunio non ci sono problemi, paghi
una sanzione amministrativa, sani la mancanza e hai risolto. Ma se ci fosse stato l'infortunio sarebbe
stato un dramma per la società.
z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che
hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della
tecnica della prevenzione e della protezione.
aa) comunicare in via telematica all'INAIL, nonché per suo tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all'art 8, in caso di nuova elezione o
designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Il Rls è sottoposto agli obblighi del lavoratore, è un lavoratore eletto dagli altri lavoratori.
Quando il Rls viene comunicato al datore o dirigente, questi devono comunicarlo sul portale INAIL
(ente assicurativo che ti da l'indennizzo in caso d'infortunio).
Il datore paga un premio assicurativo e, in caso d'infortunio, l'INAIL corrisponde (per te datore) al
lavoratore un indennizzo (non è il risarcimento del danno, è qualcosa di meno).
Il datore deve fare la denuncia d'infortunio, deve andare sul sito ed informarne l'INAIL (in caso di
morte entro 3 giorni, altrimenti c'è una sanzione amministrativa per il ritardo). Qualche volta lo fa il
lavoratore prima del datore.
bb) vigilare affinchè i lavoratori per i quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria non siano
adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.
2) il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente
informazioni in merito a:
a) la natura dei rischi;
b) l'organizzazione del lavoro, la programmazione e l'attuazione delle misure preventive e
protettive;
c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
d) i dati di cui al co 1, lett.r e quelli relativi alle malattie professionali;
e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza.

Gli obblighi importanti sono:


– di nomina,
– di formazione,
– di avere i dispositivi,
– le istruzioni per l'emergenza
poi ce ne sono altri sullo sfondo, un po' più formali:
– l'informativa,
– Rls,
– l'INAIL,
– la cessazione del rapporto.

(*domanda d'esame)
3-bis) il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all'adempimento degli
obblighi di cui agli artt 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l'esclusiva responsabilità dei soggetti
obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia
addebitabili unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro
e dei dirigenti.
Norma che nei processi si applica tanto e porta quasi sempre ad una responsabilità oggettiva
incostituzionale.
Il datore e i dirigenti devono vigilare sul rispetto di obblighi di cui agli artt 19 (obblighi del
preposto), art 20 (obblighi del lavoratore), art 22 (obblighi dei progettisti), art 23 (obblighi dei
fabbricanti e dei fornitori), art 24 (obblighi degli installatori) e art 25 (obblighi del medico
competente).
Se il datore o dirigente deve utilizzare un'attrezzatura, un macchinario, un impianto ad es di
smaltimento dei rifiuti, ci sarà qualcuno che l'ha progettata. Il datore va sul mercato e se la compra.
Il datore deve controllare che i progettisti abbiano rispettato la sicurezza nella progettazione.
Ad es nel caso della Diga del Vajont in cui il progettista si ammazzò visto che il difetto era nella
progettazione. Uno grande masso di roccia del monte Toc precipitò nel bacino della diga, creò
un'onda tale da superare la struttura e distruggere il paese di Longarone sottostante (2000 morti).
Il datore, che utilizza un'attrezzatura o impianto progettato da altri, deve vigilare sul rispetto degli
obblighi di sicurezza dell'altro, del progettista.
Il datore e i dirigenti devono quindi vigilare sul rispetto degli obblighi dei progettisti, fornitori,
fabbricanti, installatori, lavoratori, preposti.
Il lavoratori e i preposti sono soggetti interni, ma gli altri sono tutti esterni.
Il fabbricante va a giudizio quando c'è un difetto di fabbricazione che causa un infortunio, ma il
datore di lavoro, che ha utilizzato il risultato di quella fabbricazione, gli contestano l'art 18, co 3-
bis, d.lgs. Gli contestano la violazione di un obbligo di vigilanza sul rispetto di questi obblighi.
Il datore nel processo si difende dicendo che ha sbagliato il progettista, lavoratore, fornitore ecc,
però spesso il difetto si imputa anche a lui per aver violato un obbligo di vigilanza. È un obbligo
pesante perchè è una vigilanza su terzi (non su soggetti che rispondono a lui, sono autonomi, hanno
la loro impresa, la loro competenza, la loro specializzazione).
La legge prevede che questo datore di lavoro e questo dirigente non rispondano in quali casi?
“ferma restando l'esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli
qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabili unicamente agli stessi e non sia
riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
La disposizione è stata modificata ed è stato introdotto il co 3-bis in questa versione per attutire
questa responsabilità altrimenti tendenzialmente illimitata del datore e del dirigente introducendo
una clausola di esclusiva responsabilità del terzo.
Il datore non deve essere portato in giudizio e l'infortunio è dovuto al difetto di progettazione,
d'installazione, di fabbricazione, di fornitura, alla violazione dell'obbligo del preposto o del
lavoratore. Questo è un meccanismo di risalita della responsabilità fino al datore o al dirigente per
colpa in vigilando che si blocca attraverso questa clausola normativa. Ad un certo punto però si
ferma ed è esclusiva responsabilità di quello che progetta, di quello che installa, del lavoratore, del
preposto. È un processo di verticalizzazione della responsabilità. Tende ad andare verso l'alto
attraverso una colpa di vigilanza, un difetto di vigilanza. È un obbligo positivamente imposto
dall'art 18 d.lgs, salvo l'esclusiva responsabilità del terzo del co 3-bis. Nel processo penale
l'imputato sarà il terzo che ha cagionato l'infortunio.
Perchè questa norma si chiama “norma salva manager”?
La disposizione fu introdotta nel 2009 e ci fu un appello di alcuni penalisti su vari giornali contro
questa disposizione perchè la chiamavano Salva manager.
Questa norma salva i manager che non rispondo più perchè introduce l'esclusiva responsabilità del
terzo. La consideravano una norma a favore dell'imprenditore e dell'impresa.
Il datore che si giova del bene, dell'attrezzatura, dell'impianto e mette persone a lavorare su
quell'attrezzatura è esente da responsabilità proiettata solo sul terzo che ha progettato male,
installato male, fabbricato male.
Però questa disposizione non ci aiuta tanto.
Questa disposizione anche oggi porta nei processi a responsabilità oggettiva.
Cosa ne può sapere il datore o dirigente del difetto di progettazione o di fabbricazione? Spesso è
inerme e non ha proprio gli strumenti. Se gli manca il potere, non gli puoi dare il dovere.
Alcuni non firmarono l'appello: perchè l'esclusiva responsabilità di chi ha i poteri è un principio
costituzionale.
Però questa disposizione che aveva una ratio corretta, è scritta malissimo: “qualora la mancata
attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un
difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
Il datore e dirigente hanno un obbligo di vigilanza sul rispetto degli obblighi di alcuni terzi
soggetti, ma non rispondono solo nel caso in cui ci sia esclusiva responsabilità di questi, ossia
quando c'è un difetto dell'altro, salvo però che non ci sia stato un difetto di vigilanza. Ma allora c'è
stata una violazione di vigilanza dell'obbligo originario.
Questa disposizione invece dovrebbe essere intesa: il datore o dirigente ha vigilato, perfetto ha
adempiuto l'obbligo. Se non l'ha adempiuto (non ha vigilato correttamente), allora risponde salve
alcune ipotesi in cui, pur se avesse vigilato, non si sarebbe reso conto del difetto.
Se riproponi il difetto di vigilanza alla fine, allora torniamo all'inizio.
La disposizione è scritta male rispetto alla ratio di tutela che era corretta, ma non è sbagliata in
origine per la sua logica.
È una disposizione terribile che inchioda perchè il giudice dirà al datore di aver difettato nella
vigilanza e con l'ultima parte del co 3-bis non può applicare la disposizione di esenzione perchè
non ha vigilato.

Quindi qual'è l'equilibrio?


Introduciamo un criterio generale importante: lo vedremo con riferimento al rapporto tra datore e
Rspp, ossia la vigilanza del datore di lavoro sul Rspp e vigilanza del datore di lavoro committente
sull'appalto che viene eseguito e svolto dall'impresa appaltatrice. Sono casi che seguono lo stesso
principio.
Quali sono i casi nei quali questo difetto di vigilanza non c'è e quindi si può esclusivamente
attribuire la responsabilità al terzo o al lavoratore o al preposto?
Sono i casi in cui la Giurisprudenza ritiene percepibile, con l'ordinaria diligenza, la mancanza
altrui, ossia il difetto di sicurezza.
C'è un difetto di altri (di installazione, di fabbricazione, di fornitura) dal quale si origina un rischio
per la sicurezza, il datore deve vigilare ma fino a che punto? Fino a che punto gli si può
contestare un difetto di vigilanza?Non aver vigilato sul percepibile, su quello di cui ti puoi
accorgere con l'ordinaria diligenza.
Il datore di lavoro e il dirigente non possono non avere l'ordinaria diligenza, non possono non
accorgersi di quel pericolo. Quel pericolo che intravedono e scorgono a prescindere dal fatto che
non sei il progettista, il fornitore, l'installatore. Quell'attività non è la sua attività specifica, ma la
vigilanza è cosa sta intorno nell'ordinaria percepibilità.
Ad es per i macchinari la Giurisprudenza spesso applica il criterio del marchio UE.
L'Ue mette un marchio di sicurezza, vuol dire che c'è stato un controllo a monte, prima della messa
in commercio del macchinario, del prodotto ecc.
Se l'attrezzatura ha il marchio UE, il datore potrà confidare che non ci sia un progetto di
progettazione? Altrimenti sarebbe stata già l'Ue a rilevare il difetto di sicurezza.
Questo potrebbe essere un punto sulla base del quale il difetto di vigilanza non c'è più.
Però se il datore prende l'attrezzatura che non ha il marchio UE, come si fa a dimostrare al giudice
che non c'è stato un difetto di vigilanza? Il giudice dirà “non l'ha visto che non c'era il marchio UE?
Perchè l'ha acquistata? perchè costava meno.
Se però il datore ha preso l'attrezzatura con marchio UE e il difetto non è immediatamente
percepibile ritengo che, pur applicando l'art 18, co 3-bis, d.lgs o il giudice mette il vincolo della
immediata e normale percepibilità oppure rischiamo di attribuire sempre un difetto di vigilanza ad
un soggetto che non poteva fare altro. Se non può fare altro e gli viene attribuita una responsabilità
ulteriore, abbiamo violato la Costituzione, l'art 27, co1 (non c'è corrispondenza tra dovere e potere).
Nella pratica però la Cassazione spesso condanna. Siamo ai confini della responsabilità oggettiva.
Si tratta dell'obbligo di vigilanza del datore di lavoro o del dirigente sul preposto o lavoratore
interno o su terzi che dovrebbe vedere un limite nel principio dell'ordinaria percepibilità.

Art 17 obblighi del datore di lavoro


art 18 obblighi del datore e del dirigente, nei limiti delle sue attribuzioni e competenze
poi il datore e i dirigenti hanno anche un obbligo di vigilanza su altri soggetti: preposto e lavoratore,
poi progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori.
Come funziona il 3-bis? C'è un obbligo di vigilanza, c'è un esonero derivante dall'esclusiva
responsabilità di questi soggetti, ma c'è sempre il problema del difetto di vigilanza dell'ultima parte
risolto per lo più dalla Giurisprudenza con il criterio della immediata percepibilità. È il giudice che
lo deve stabilire se è immediatamente percepibile: o si mette al posto dell'imputato e sulla base dello
standard medio dice no, non era immediatamente percepibile perchè ci voleva una competenza
oppure si dovrebbe escludere il difetto di vigilanza perchè non era immediatamente percepibile e
prosciogliere il datore. Attribuirà l'infortunio all'esclusiva responsabilità del terzo.
Lezione 20 Ottobre,

Il d.lgs 146/2021, convertito in legge l.n. 215/2021 (Riforma 2021), ha introdotto qualche novità
importante sul preposto.
Andiamo a vedere la definizione di preposto all'art 2, lett E, d.lgs 81/08:
« Preposto»: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici
e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e
garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei
lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
Vediamo cosa ha di simile con il dirigente e cosa di diverso.
Per quanto riguarda le analogie, in entrambi i casi c'è un incarico, preposto a cosa? Ad un'area? Ad
uno stabilimento? Ad un ufficio? A quale struttura? Ad una squadra?
Ha poteri gerarchici e funzionali adeguati visto che è preposto (posto prima) ad un'area.
Fino a qui è come il dirigente, cosa manca?
Il dirigente attua le direttive del datore, cosa che non fa il preposto.
Il preposto invece garantisce che le direttive siano attuate. È ad un livello più basso. Siamo al livello
dei lavoratori, infatti il preposto è un lavoratore. È un lavoratore che non rientra nell'art 2, lett A e
negli obblighi dell'art 20, ma rientra nella lett E, dell'art 2 e deve adempiere agli obblighi dell'art
19 d.lgs.
È messo prima degli altri lavoratori. Ha una responsabilità in più e sugli altri lavoratori esercita
poteri gerarchici e funzionali. Quindi non è un lavoratore e basta.
Cosa fa il preposto?
Sovrintende all'attività lavorativa.
Garantisce l'attuazione delle direttive.
Controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori.
Esercita un funzionale potere d'iniziativa.
Come il dirigente attua le direttive del datore, il preposto garantisce che siano eseguite.
Come il dirigente organizza e vigila, il preposto sovrintende, controlla e prende iniziativa.

Analogie dirigente-preposto:
- c'è un incarico,
- hanno poteri gerarchici e funzionali.
Differenze:
-Dirigente attua le direttive; Preposto garantisce che siano eseguite;
-Dirigente organizza e vigila; Preposto sovrintende, controlla e assume l'iniziativa.
La funzione del preposto è minus rispetto al dirigente.
Il preposto non ha il potere-dovere di organizzazione.
Quindi il potere di fissare l'obiettivo, dividere i compiti ecc è un potere dirigenziale che il preposto
non ha.
Il preposto sovrintende, che è qualcosa meno dell'organizzazione.
Ricordiamoci che sono norme penali che vanno interpretate tassativamente.
Se il legislatore utilizza il verbo sovrintende e non organizzare vuol dire che dobbiamo attribuirgli
significati diversi. Altrimenti potremmo avere un dirigente di fatto. Se il preposto organizza, non
abbiamo più un preposto, ma un dirigente e risponde degli obblighi dell'art 18 d.lgs.
Dietro ogni questione di questo tipo c'è la responsabilità penale.
Se il soggetto è un preposto non gli si può contestare di non aver garantito la formazione dei
lavoratori, non spetta a lui. Gli potrai contestare solo di non aver esercitato il potere di
sovrintendere, controllare o di non aver assunto l'iniziativa quando era necessario.
Il preposto non ha il potere-dovere di organizzare. Non vigila perchè la vigilanza è la contropartita
dell'organizzazione. Se dice cosa fare al lavoratore, il dirigente vigila anche che lo faccia.
Per il preposto non è così. I lavoratori non prendono ordini da lui, non indica ai lavoratori cosa fare.
Il preposto è uno dei lavoratori. L'es tipico del preposto è il caposquadra.
Se ci sono delle squadre di lavoratori che vanno a realizzare un'attività, ad es (Fastweb) mettere la
linea telefonica in un grande centro commerciale, in quella squadra c'è un caposquadra (formato)
che è il preposto. Però cosa devono fare, in quanto tempo, come lo devono realizzare quell'attività
non l'hanno stabilito loro né il preposto per loro. È compito del dirigente ad es addetto alle nuove
linee o all'assistenza. L'organizzazione non spetta la preposto.
Il soggetto formato come preposto però deve sovrintendere l'attività, ossia deve controllare che
l'attività sia svolta in sicurezza (da lui e dagli altri). Se qualcosa non va, deve assumere l'iniziativa.
Quale sarà quest'iniziativa?
Se c'è una situazione di insicurezza, il preposto non può decidere e spendere perchè altrimenti
sarebbe datore di lavoro di fatto.
Il preposto non organizza e dice ai lavoratori cosa fare, non cambia attività o mansione, altrimenti
sarebbe un dirigente di fatto.
Quindi il preposto cosa fa?
Il preposto segnala la situazione di insicurezza. A chi? Al dirigente responsabile, se non c'è al datore
di lavoro.
La Giurisprudenza attribuisce al preposto un obbligo di segnalazione e di segnalare
immediatamente la violazione di sicurezza.
Il preposto potrebbe anche essere assegnato ad ogni ufficio che il datore ha in tutta Italia.
Decide l'azienda quali e quanti preposti avere.
Però il datore di lavoro deve garantire una rete adeguata di preposti, non può pensare che un
preposto possa sovrintendere 5.000 dipendenti ramificati a livello territoriale. Perchè cosa accade?
La violazione di sicurezza non viene immediatamente rilevata in loco, al momento precedente
all'infortunio, perchè? Perchè mancano i preposti. Se mancano, chi segnala? Nessuno. Non c'è sul
luogo chi segnala e se c'è un infortunio risponderà il datore di lavoro. Sarà imputato al datore il
difetto di non aver strutturato la rete adeguata di preposti.
Il datore o il dirigente deve verificare quanti preposti mi servono, quali caratteristiche devono avere,
dove li devo mettere, quali incarichi gli devo assegnare. È un ragionamento che va fatto a monte e
di carattere organizzativo-strutturale.
Non c'è nessun soggetto che può sanzionarli dicendo che non ci sono x preposti, però se poi non ci
sono e non viene rilevata la violazione sulla sicurezza...come provvederanno? La legge parte dal
presupposto che, se ci fosse stato il preposto e avesse segnalato in tempo la violazione, il datore o
dirigente avrebbe provveduto. È un errore che il datore di lavoro si portano dietro.
Il preposto, nell'ottica del legislatore, è lo strumento più vicino per il controllo del datore a luogo e
al momento dell'infortunio. Il preposto vede se le direttive sono state ricevute, attuate, controlla se i
lavoratori sono formati, se sanno cosa fare, se ha avuto i dispositivi che servono, controlla perchè il
preposto sta lì con i lavoratori. Al datore di lavoro non si può chiedere un controllo capillare,
quotidiano, continuativo sulle prestazioni lavorative perchè il datore di una grande impresa questo
non lo può fare, si tratterebbe di una responsabilità oggettiva.
La legge si rende conto di questo, se il datore di lavoro non può farlo, gli chiede di individuare il
preposto e gli attribuisci obblighi tipici del soggetto che sta lì.

Nelle more della segnalazione, il preposto e i lavoratori cosa fanno?


Fino al 2021 il preposto poteva solo segnalare subito.
Se non segnala e c'è l'infortunio, risponde penalmente il preposto.
Se segnala e il datore non provvede, il preposto non risponde più. Perchè?
Perchè ha esercitato tutti i suoi poteri.
Il preposto rileva che c'è una violazione della sicurezza, il lavoratore avrebbe ex art 20 d.lgs di
fermarsi per non esporre se stesso ed altri ad un pericolo. Se il lavoratore è infortunato ha si la sua
colpa, ma il datore risponde anche se c'è la colpa del lavoratore.
Se il lavoratore va avanti, vuole finire il lavoro prima, come nel caso di Fastweb in cui il lavoratore
è caduto, ha sbattuto la testa, ha perso la memoria e non riconosceva più i figli, sul posto di lavoro
dovevano andare in tre (uno faceva una cosa, uno ne faceva un'altra e il terzo controlla) invece loro
erano in due. Caso della linea telefonica di un negozio di un centro commerciale.
C'è stato l'infortunio perchè il lavoratore non si è astenuto dal proseguire e poi mancava il terzo che
doveva controllare. Il preposto controlla che i lavoratori siano in tre e non in due.
Il preposto ha una funzione importantissima perchè è colui che davvero può impedire l'evento.
Il datore in giudizio si difenderà che non ha ricevuto alcuna segnalazione e non può stare ovunque.
Il dirigente dirà che è il direttore di tutta l'assistenza vendita di auto mercedes.
Caso di un soggetto responsabile italiano di tutta l'assistenza dei veicoli mercedes chiamato a
giudizio perchè un lavoratore si è infortunato in una di queste sedi, come faceva a prevederlo? Deve
mettere i preposti di officina, di stabilimento. Se l'officina è grande, ci saranno i turni e ci saranno
più preposti che dovrà valutare il datore (dipende dal tipo d'impresa, da quant'è grande, da quanto
produce, dall'orario di lavoro ecc).
Il preposto è fondamentale perchè può intervenire ed evitare l'infortunio, dopo è troppo tardi.
Fino al 2021 il preposto era un soggetto un po' passivo, controllava e segnalava (subito e in modo
idoneo: ci sono dei canali di segnalazione e dei numeri telefonici appositi). Se non è così, il datore
si è organizzato male ed è responsabile.
Incidono i modelli organizzativi: quanti preposti, come segnalano, dove arriva la segnalazione, in
quanto tempo viene gestita.
Altro caso: parcheggio a villa borghese è gestito da una società, Saba, c'è stato un problema di notte,
il cliente manda la segnalazione di notte con il tasto, c'è stato un infortunio e l'allarme arrivava in
Spagna, ha un controllo spagnolo. Il lavoratore da una cabina di regia spagnola poi attiva a sua volta
il sistema (ma l'infortunio c'è già stato). C'è la necessità di strutturare l'organizzazione in modo
adeguato. Queste sono responsabilità apicale, non decide il preposto.
Il preposto controlla che le direttive siano adeguate e ricevute, ne garantisce l'attuazione, che i
dispositivi di sicurezza ci siano, che ci sia la formazione dei lavoratori, che le squadre si muovano
correttamente e semmai segnala.
Nel 2021 però il legislatore si rende conto che il preposto può fare qualcosa di più.
Il problema delle morti bianche è gravissimo in Italia.
Il legislatore è intervenuto sulla figura del preposto.
Se c'è un pericolo è possibile che il preposto si limiti solo alla segnalazione? E non blocca l'attività?
Quindi è stato introdotto nel 2021 l'obbligo del preposto di bloccare/sospendere l'attività nel caso
di pericolo grave ed imminente.
Questo potere-dovere del preposto lo avvicina a chi organizza. Lo avvicina di più al dirigente.
È comunque lontano dal dirigente perchè ha solo un potere interdittivo, di bloccare l'attività.
Però è un potere fondamentale perchè se il preposto blocca l'attività, l'infortunio non avviene.
Se però non blocca e l'infortunio avviene, allora il preposto risponde penalmente.
Il datore non può intervenire in tempo per bloccare l'infortunio (dipende dalla dinamica: un conto
che l'infortunio si realizzi un mese dopo e un altro è 10 min dopo), se c'è un pericolo grave ed
imminente il preposto deve bloccare l'attività, non solo segnalare. La responsabilità sarà solo del
preposto.
Quindi si sposta la possibilità della traslazione verso il basso della responsabilità penale.

Questo è il motivo di resistenza della riforma: facciamo rispondere il preposto e non il dirigente o
datore?
Si, perchè è un lavoratore formato ad hoc, art 37 d.lgs, è formato ogni due anni, fa i corsi (se non lo
forma è responsabilità del datore art 18 d.lgs).
L'art 19, lett f-bis), d.lgs “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di
lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere
temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al
dirigente le non conformità rilevate”.
Il segnalare tempestivamente c'era anche prima, ma dal 2021 si chiede al preposto di interrompere
temporaneamente l'attività. Grossa novità che responsabilizza il preposto.
Quali sono le altre novità introdotte nel 2021? che sono anche un po' conseguenti.
Quale potrebbe essere la difesa del preposto? Se responsabilizzo il lavoratore, primus inter pares,
che deve interrompere l'attività, questo teme una sua responsabilità penale e quindi come si
difenderà in giudizio?
La prima cosa che asserisce è “non sono un preposto”. Capita spesso!
Il lavoratore affermerà che nessuno l'ha individuato come preposto. La legge penale però non scusa
e il soggetto, se è un preposto, risponde se non ha interrotto l'attività quando avrebbe dovuto farlo.
Però qual'è stato l'altro intervento che responsabilizza anche formalmente il preposto?
L'art 18, lett b-bis, d.lgs. L'obbligo, che prima non c'era, del datore e del dirigente di individuare
il preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'art 19 d.lgs.

*(domanda esame) Cosa succede oggi se il preposto non è individuato? E non interrompe l'attività/o
non segnala e c'è un infortunio, risponde?
SI, perchè l'art 299 d.lgs valorizza il preposto di fatto.
Il soggetto, se è messo lì come caposquadra a vigilare, non importa che non è stato formalmente
individuato come preposto perchè è preposto di fatto ed essendo preposto di fatto l'art 19 d.lgs ti
obbliga ad interrompere l'attività e a segnalare tempestivamente.
Se però non è individuato dal datore o dal dirigente, questi rispondono della violazione dell'art 18
d.lgs. Questi non rispondono necessariamente dell'infortunio che ne è derivato perchè il lavoratore è
sempre un preposto di fatto.
Ad es il dirigente risorse umane ha sotto di lui 100-1000 persone, nomina il preposto se non lo fa il
datore, ci sono 4 uffici e per ogni ufficio individuerà un preposto.
Se non lo fa risponde di una violazione che è prevista nel decreto 81 per non averlo individuato, ma
non necessariamente risponde dell'infortunio che ne è derivato perchè quel soggetto è sempre un
preposto di fatto.
La Riforma 2021 non ha voluto restringere le responsabilità, ma allargarle. Il datore non ha
individuato il preposto, non importa, se ci sono dei preposti di fatto rispondono come rispondevano
prima. Il datore risponde di una contravvenzione: è una sanzione per il solo fatto di non averlo
nominato. Pena ad hoc lieve. Il datore non sarà responsabile dell'infortunio solo per non aver
individuato il preposto.
La mancata individuazione del preposto non ha tolto nulla rispetto alla verificazione
dell'infortunio.

Spesso in azienda succede che il lavoratore rifiuti di essere preposto o se nel diventarlo chieda un
aumento di stipendio. In realtà il caposquadra che afferma di non voler essere preposto e non
accetta la nomina, lo è gia di fatto ex art 299 d.lgs.
L'unico modo per non essere preposto è non fare più quello che già fa. Fai un'altra cosa in azienda o
ti licenzi. Se il lavoratore è caposquadra, per la legge, sei un preposto che deve controllare,
segnalare e, se necessario, interrompere l'attività.
Quell'individuazione/nomina a cosa serve allora?
Perchè responsabilizza ancora di più il preposto e soprattutto consegna al giudice domani
un'organizzazione che ha una forma che coincide con la sostanza.
Le qualifiche di fatto andrebbero sempre evitate e dovrebbero essere formalizzate.
Come si fa l'individuazione?
– si può fare ad personam, ossia Tizio è caposquadra, datore o dirigente lo indicano come
preposto;
– oppure una individuazione per funzione, ossia tutti i capisquadra/capiufficio sono preposti
(come fanno le grandi aziende). Questo si trova nell'organigramma della sicurezza
dell'azienda all'interno del DVR. Così chi diventa caposquadra sa già che è preposto e non
serve la nomina ad personam ed è già individuato.
Se il lavoratore non vuole questa individuazione, non cambia nulla rispetto al profilo della
responsabilità. Lo sarebbe di fatto e sarebbe comunque responsabile penalmente.
Oggi più di prima perchè l'obbligo nuovo vale sia per il preposto individuato che di fatto.
Questa nomina non è stata introdotta perchè altrimenti il preposto non è responsabile, non si è
toccato il preposto di fatto. In questo caso la legge avrebbe tolto il preposto dall'art 299 d.lgs, ossia
avrebbe detto sei preposto solo se individuato (cosa che non è avvenuta).
Il preposto di fatto rimane, ma il datore o dirigente è obbligato formalmente ad individuarlo.
È un modo per responsabilizzare il datore e il dirigente: ti sei posto il problema di quali sono i tuoi
preposti? Li hai individuati? Sono in numero adeguato?

Cos'è successo con la Riforma del 2021? (*domanda esame)


1) si è introdotta l'obbligo di individuazione formale del preposto per il datore di lavoro e
dirigente, pur essendo il preposto di fatto sempre responsabile;
2) si è aggiunto un obbligo per il preposto, lett f-bis) art 19, d.lgs, di interrompere
temporaneamente l'attività, oltre che segnalare tempestivamente al datore e al dirigente,
quando c'è un pericolo grave e imminente;
3) art 26, co 8-bis, d.lgs “Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o
subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al
datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto”. Perchè?
La controparte, l'appaltatore, essendoci l'obbligo b-bis art 18 d.lgs, deve individuare i suoi
preposti e comunicarlo al committente, che lo richieda, serve a garantire che siano
individuati. Ma qual'è la vera finalità? Avere un referente.
Il committente ha l'obbligo di controllare che il lavoro avvenga in sicurezza e a chi si riferirà
del personale dell'appaltatore (non sono suoi dipendenti)? Vorrà parlare con il preposto, gli
chiederà s'è tutto sotto controllo.
Il fatto che l'appaltatore individui i suoi preposti e li comunichi al committente serve ad
agevolare la cooperazione/il coordinamento tra committente ed appaltatore.
Il committente, sulla base dell'art 26 d.lgs, ha un obbligo di cooperazione e coordinamento
che adempie attraverso un documento, DUVRI.
Il Legislatore vuole obbligare l'appaltatore a comunicare i suoi preposti perchè questo
consente di agevolare la cooperazione. Il committente non conosce l'impresa, non sa chi è
competente in materia di sicurezza, chi è formato e quindi glielo deve deire l'appaltatore.
4) L'art 37d.lgs: la formazione del preposto.
Come si forma il preposto? Co 7 “Il datore, i dirigente e i preposti ricevono un'adeguata e
specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia
di salute e sicurezza sul lavoro”.
Poi sono stati introdotti i co 7-bis e 7-ter.
Co 7-bis “La formazione di cui al co 7 può essere effettuata anche presso organismi
paritetici di cui all'art 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei
datori di lavoro o dei lavoratori”.
Co 7-ter “Per assicurare l'adeguatezza e la specificità della formazione nonché
l'aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del co 7, le relative attività formative devono
essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute con cadenza
almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell'evoluzione
dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi”.
Se il datore non fa il corso in presenza cosa accade? Non vale la formazione e ha violato l'art
18 d.lgs.
Le parole “in presenza” sono state interpretare nel senso che l'attività formativa non può
essere in modalità e-learning, ossia deve essere didattica frontale in diretta. Quindi è
possibile farla a distanza/collegati da remoto, ma deve esserci la didattica frontale, il
preposto deve ascoltare in diretta, può intervenire, fare domande. Ci deve essere il formatore
e il preposto che viene formato nello stesso momento, non per forza nello stesso luogo.
Il preposto non può vedersi da solo le slides e poi fare il quiz perchè in questo caso la
formazione non è valida e il datore risponde per omessa formazione.
La figura del preposto è molto più rilevante di prima.
Per questo arriva la speculazione da parte delle organizzazioni sindacali, che richiedono per il
lavoratore di essere pagato di più, l'assicurazione in più, benefit in più. Però non è cambiato nulla,
lo eri anche prima preposto. Ha solo un obbligo in più, non è che per ogni obbligo si aumenta lo
stipendio.
Molte organizzazioni sindacali strumentalizzano questa situazione e non fanno il bene dei lavoratori
in questo modo perchè il preposto deve accogliere questa responsabilità, deve essere formato di più,
deve avere la sensibilità d'interrompere l'attività.
Ad es Piva segue un ospedale noto a Roma e si è impuntato che nelle sale operatorie ci fossero più
preposti perchè è nelle sale operatorie che avvengono gli infortuni tipicamente. Il preposto deve
stare in sale e, se necessario, interrompere.

Il primario capo di ginecologia al Gemelli o al Policlinico Sapienza o al Campus Biomedico cos'è in


materia di sicurezza? Un dirigente. Divide il lavoro, fa i turni, vigila. Anche se non è individuato è
dirigente di fatto e fa la formazione in materia di sicurezza. Risponderebbe dell'infortunio
comunque. Quindi lo individuo, lo metto nell'organigramma e fa il corso.
Il caposala invece sarà un preposto. Controlla, segnala e semmai interrompe l'attività. Si riferisce al
primario per assumere decisioni.
Il Direttore generale dell'ospedale Gemelli non può saper tutto, sono 6000 persone, nel campus 3-
4000. Però poi è sempre l'amministratore delegato/direttore generale che va a processo perchè è
datore di lavoro.
Bisogna cominciare a spostare la responsabilità sul livello più vicino.
Ad es Nelle sale operatorie si possono verificare degli incendi, c'è l'estintore? Funziona? Non può
essere il Direttore generale del Gemelli a controllare gli estintori. Il preposto si.
Gli ospedali fanno ad es i preposti di piano, di reparto, di sala.
Il datore vuole essere più sicuro? Nomina e forma più preposti. Spende di più per la sicurezza,
l'importante è che non ci sia l'infortunio.
Un preposto per piano non è sufficiente, solo di giorno e non di notte.
Il datore in questo caso risponderà perchè non ha nominato un numero adeguato di preposti.
Però quando il datore struttura tutto bene, fa si che i preposti siano di quantità e qualità adeguata, se
c'è l'infortunio è ora che il preposto risponda.
Il preposto è colui che ha meno poteri sulla carta, ma ha più potere di tutti di impedirlo l'infortunio.
Questo obbligo d'interruzione del preposto vale dalla fine del 2021 e quindi la norma è entrata in
vigore dal 2022. Dunque tutti gli infortuni che si sono verificati dopo quella data possono essere
imputati al preposto che non ha interrotto.
Gli effetti di questa disposizione li valuteremo negli anni.

Riassunto:
Sappiamo che il preposto è nominato dal datore e dal dirigente.
Sappiamo che può essere di fatto responsabile ex art 299 d.lgs.
Sappiamo cosa fa: sovrintende, controlla e assume l'iniziativa.
L'iniziativa è oggi soprattutto interrompere nel caso di pericolo l'attività.
Vediamo gli obblighi del preposto art 19 d.lgs.

Obblighi del preposto art 19 d.lgs.

“In riferimento alle attività indicate all'art 3, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze,
devono:
a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge,
nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di
protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso
di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di
lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il
comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata
attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l'attività del
lavoratore e informare i superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone
che li espongono ad un rischio grave e specifico; (il preposto deve controllare che i lavoratori non
istruiti non accedano alle zone pericolose)
c) richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di
emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile,
abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato
circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro
attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di
pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della
formazione ricevuta;
f-bis) in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni
condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere l'attività e,
comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate
(riforma 2021);
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall'art 37 d.lgs.

Prima del 2021 il preposto ce l'aveva un dovere di bloccare l'attività? (*domanda esame)
Si, solo nel caso di mancanta attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della
inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti.
Il preposto ha detto al lavoratore di non andare in quel luogo e il lavoratore ci va comunque, allora
lo blocca. Lo blocca nel caso di persistenza dell'inosservanza.
Il preposto deve far rispettare le regole, in quella zona il lavoratore non ci può andare, gli dice che
non può entrare senza casco o senza una tuta protettiva: questa è una funzione che il preposto aveva
e ha tuttora. Il lavoratore non rispetta le regole, allora il preposto lo blocca.
Si tratta però di un caso diverso dall'interrompere l'attività nel caso di pericolo di sicurezza.
Il potere della lett f-bis) è più alto di quello della fine della lett a).
Nel primo caso (lett.a) il preposto bloccava il (singolo) lavoratore che persisteva nella violazione.
Nel secondo (lett.f-bis) non è detto che ci sia una violazione, c'è proprio un pericolo di sicurezza e
deve interrompere l'attività.
Questi obblighi vanno interpretati in senso tassativo.
Se l'obbligo è specifico devi applicarlo come previsto dalla legge, non è possibile estenderlo.
La legge penale non si può applicare in via analogica, ma solo nei casi espressamente previsti.
Da più sicurezza l'obbligo della lett.f-bis) rispetto a prima, perchè inizialmente bisognava avere il
richiamo e la persistenza della violazione, poi il blocco dell'attività del lavoratore e segnalazione. Il
lavoratore è passibile di segnalazione disciplinare.
Mentre oggi al preposto, in condizione di pericolo, gli viene affidato il potere di interrompere
temporaneamente tutta l'attività.
Ad es prima il preposto diceva di non andare in quel luogo, il lavoratore ci andava comunque e
bloccava la sua attività.
Ora c'è una situazione di pericolo in quell'aula, il preposto blocca l'attività di tutti che devono uscire
ed informa tempestivamente il datore di lavoro e dirigente.
Ultima precisazione: le qualifiche di fatto art 299 d.lgs.
“Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art 2, co 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì
su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a
ciascuno dei soggetti ivi definiti”.
Intanto troviamo che il Legislatore utilizza un'espressione che abbiamo già utilizzato parlando del
reato omissivo improprio, ossia la posizione di garanzia, che è legata all'art 40, 2 co, cp, l'obbligo
giuridico di impedire l'evento.
Gli obblighi impeditivi, di garanzia (artt 17, 18, 19 d.lgs) del datore, del dirigente e del preposto li
ha anche chi, indipendentemente dall'investitura/qualifica formale, esercita in concreto i poteri
giuridici corrispondenti.
Questa disposizione rispetta il principio di personalità?
Si attua il principio. C'è corrispondenza tra poteri e doveri. Il soggetto ha i poteri giuridici e non
rileva che non sia formalmente investito della qualifica. Anche il datore di lavoro, dirigente o
preposto di fatto è responsabile.
Il datore, dirigente e preposto formalmente individuati continuano a rispondere?
Si, continuano a rispondere.
L'art 299 d.lgs non vuole eliminare nessuna responsabilità, in caso aggiunge una responsabilità
per chi di fatto esercita le funzioni pur senza essere formalmente investito della qualifica.
Ad es c'è un soggetto che decide sulla sicurezza, non è datore di lavoro, potrebbe non essere anche
nell'organigramma aziendale , ma è quell'amministratore occulto, di fatto e c'è però il datore (testa
di legno) formale. Rispondono tutte e due. Il datore di lavoro formale ha i poteri decisionale e di
spesa (formalmente), ma se c'è di fatto un soggetto che esercita questi poteri si aggiunge al primo.
Tutti e due esprimono una responsabilità personale perchè il primo avrebbe i poteri, ma non li
esercita; il secondo ce li ha di fatto e li esercita. La legge si disinteressa della qualifica formale.
La qualifica di fatto si aggiunge alla qualifica di diritto.
È costituzionalmente corretto perchè di fatto il soggetto ha il potere e quindi è giusto attribuirgli
anche il dovere. Quale norma gli attribuisce il dovere? L'art 299 d.lgs. Il soggetto, se ha i poteri, ha
anche i doveri. Ricopre una posizione di garanzia anche lui.

Quindi abbiamo:
-datore di lavoro di diritto e datore di lavoro di fatto;
-dirigente di diritto e dirigente di fatto;
-preposto di diritto e preposto di fatto.

Se abbiamo un preposto di diritto che non ha i poteri organizzativi, ma si accerta (il PM) che questo
soggetto organizza, divide i compiti e gli altri prendono ordini da lui, abbiamo davanti un dirigente
di fatto e il giudice gli applicherà gli obblighi dell'art 18 d.lgs e non dell'art 19 d.lgs.
Il preposto non potrà difendersi dicendo che nessuno l'ha nominato dirigente.
La legge gli risponde che è anche lui dirigente, insieme al suo formale dirigente responsabile perchè
di fatto organizza.
Il PM, se accerta che il preposto di fatto organizza, porterà in giudizio come dirigente che ha violato
l'art 18 d.lgs sia il dirigente di diritto, sia il preposto che di fatto è dirigente.

Le migliori aziende sono quelle dove forma e sostanza coincidono, non ci sono qualifiche di fatto
ma sono tutte formalizzate. Così l'azienda sa prima chi sono i suoi datori, dirigenti e preposti e
riesce prima ad allocare obblighi e responsabilità.
Però di fronte ad un fatto che supera la forma, la legge valorizza il fatto.
Per la Giurisprudenza si chiama principio di effettività.
Le massime della Cassazione ci dicono che l'individuazione dei soggetti garanti si fa secondo il
principio di effettività. La cui dimostrazione puntuale è l'art 299 d.lgs.
Quindi le lettere b,d,ed e dell'art 2, 1 co, d.lgs le dobbiamo sempre leggere + art 299 d.lgs.
Nell'organigramma della sicurezza di Cassa depositi e prestiti Piva ha chiesto di scrivere un
Memorandum, ossia tutti i dirigenti e tutti i preposti ricevono una comunicazione. Chi è
dirigente? tutti quelli che hanno qualifica dirigenziale (per contratto) e sono a capo di
divisioni/direzioni. Chi è preposto? È stato individuato per funzione, sono tutti i responsabili
di unità organizzativa non aventi qualifica dirigenziale.
Cassa depositi e presti ha distinto: se l'unità organizzativa ha un dirigente per contratto è un
dirigente per la sicurezza perchè ha delle funzioni organizzative; se invece c'è un team di
persone dell'unità organizzativa ha come riferimento un soggetto che è un quadro, allora
questo soggetto riceve la qualifica ai sensi della sicurezza di preposto.
A quel punto Cdp scrive che tutti i dirigenti hanno gli obblighi dell'art 18 d.lgs, secondo le
rispettive attribuzioni e competenze, e tutti i preposti hanno gli obblighi dell'art 19 d.lgs e lo
diffondono. Hanno fatto anche un video di 10 min che racconta il contenuto di questo
Memorandum in modo che ne siano a conoscenza in particolare i neo-dirigenti e i preposti
che diventano tali in virtù della funzione. Perchè? Così si escludono le qualifiche di fatto.
Poi si adempie all'obbligo di legge art 18, 1 co, b-bis, d.lgs e diamo al dirigente
un'informativa.
Ecco perchè poi si motiva anche la partecipazioni ai corsi di formazione in materia di
sicurezza (ogni 5 anni il dirigente, ogni 2 anni il preposto). Il dirigente ha gli obblighi
dell'art 18 d.lgs, il preposto ha gli obblighi dell'art 19 d.lgs.

Lezione 25 Ottobre,

RLS, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, è un lavoratore che rappresenta i lavoratori se
lo eleggono, è sottoposto agli obblighi dell'art 20 d.lgs, partecipa alla Riunione periodica art 35
d.lgs e sottoscrive il documento di valutazione dei rischi.

Mancano due soggetti: il medico competente e Rspp.


Partiamo dal medico competente.
Il medico competente è un medico, un soggetto laureato in medicina e svolge l'attività di medico.
Perchè competente?
Non è un medico generico, è il medico del lavoro. Ha una specializzazione nella gestione degli
adempimenti che spettano alla medicina ex decreto 81/2008.
Il datore di lavoro deve nominare il medico competente ex art 18 d.lg. È un obbligo anche del
dirigente. È un obbligo delegabile perchè non sta nell'art 17 d.lgs.
Il datore o dirigente deve reclutare un soggetto che abbia un titolo di studio in medicinaa e una
specializzazione come medico del lavoro e attribuirgli questa funzione: tu sei il medico competente
della mia azienda.
È un soggetto esterno che può lavorare per più aziende.
Il medico competente nominato riceve una nomina (atto di nomina) dal datore o dirigente, che
sottoscrive per accettazione, avrà un compenso e si impegnerà a svolgere tutti gli obblighi che il
decreto 81 gli attribuisce, in particolare quello di sorveglianza sanitaria.
La sorveglianza sanitaria è una parte importante del decreto 81 perchè individua l'accertamento, le
funzioni di accertamento, alle scadenze e con le modalità previste dalla legge, della idoneità psico-
fisica alla mansione.
Il medico competente attesta o non attesta periodicamente l'idoneità psico-fisica alla mansione.
Chi è il medico competente?
Il medico competente è un medico specializzato, nominato dal datore o dirigente, che in virtù
dell'icarico conferito deve attestare innanzittutto l'idoneità psico-fisica dei lavoratori alla mansione
nel tempo (secondo le scadenze di legge), attraverso la visita di sorveglianza sanitaria, che avviene
almeno 1 volta l'anno ex art 41 d.lgs.
Questo “almeno 1 volta l'anno” significa che se il datore di lavoro non la garantisce o il medico
competente non la esegue entro l'anno possono rispondere. Oltre l'anno siamo fuori dal limite
dell'art 41 d.lgs. La sorveglianza sanitaria potrebbe non essere adeguata anche se non faccio più
visite durante l'anno. Perchè?
Pensiamo ad alcune mansioni particolari che comportano stress fisico e psichico e poi i lavoratori
non sono tutti uguali tra di loro e avere condizioni di salute tali da doversi rivedere per la mansione
ogni x mesi.
La regola è una volta volta l'anno, se non avviene datore e dirigente commettono una violazione del
decreto 81, ma non è scontato essere in regola anche quando si fa la visita una volta l'anno (per
alcuna mansioni il limite può essere anche una visita ogni 2 anni). Il medico competente potrebbe
dover fare più visite durante l'anno.
L'art 41, 2 co, lett.b) “La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa
normativa viene stabilita, di norma, in una volta l'anno”.
Quindi è possibile che per determinate mansioni la visita non sia una volta l'anno, ma una volta ogni
3 o 6 mesi.
Chi la indica questa normativa?
Il medico competente dirà che la normativa prevede che in quel caso la visita va fatta ogni tot mesi.
Il medico competente ha una competenza che il datore di lavoro è legittimato dalla legge a non
avere. Il datore è il manager, l'imprenditore non conosce la normativa e molte norme tecniche del
decreto 81 perchè per quello c'è il Rspp.
Se il medico competente sbaglia, non segnala l'esigenza della visita, non si fa la visita nei limiti
minimi previsti dalla legge, il lavoratore si infortunia e poi si scopre che era inidoneo alla
mansione. Il datore di lavoro risponderà penalmente. Non potrà dire che il medico competente non
glielo ha detto. Non esclude la responsabilità del datore di lavoro, potrà essere correo.
Chi è che ha l'obbligo della sorveglianza? Chi ha l'obbligo di valutare la mansione? Di non adibire a
mansioni per cui non vi è idoneità? Art 18, 1 co, lett c), d.lgs datore di lavoro e dirigente. Sono loro
i soggetti obbligati. Se hanno sbagliato a scegliere il medico competente, devono revocargli
l'incarico, ma non può difendersi dicendo che il medico competente gli ha assicurato che la visita
andava fatta solo una volta l'anno e tutto era apposto.
Bisogna scegliersi bene il medico competente e se la visita di sorveglianza sanitaria non si effettua
nei limiti stabiliti dalla legge e poi c'è un infortunio sul lavoro dovuto all'inidoneità alla mansione il
datore è messo male. Il medico competente può essere chiamato a rispondere in concorso.
Il datore di lavoro è responsabilizzato dalla legge e deve scegliersi un medico competente bravo
perchè della normativa anche il datore di lavoro deve avere una minima conoscenza, è conoscibile
se si informa. Diverso è per la norma tecnica, ossia per la tecnologia che sta dietro una norma di
sicurezza, lì il datore non può capirlo. Come fa a sapere se il sistema anticendio è a norma? Mentre
la normativa per la visita la può reperire.

Il medico competente fa la visita ai lavoratori. Quale comunicazione gli deve arrivare al medico
competente dal datore prima della visita? Che mansione svolge il lavoratore.
Non faccio l'autista, il muratore, l'infermiera, ma bisogna dirgli “il come”, dargli contezza di quello
che il lavoratore fa.
Ad es il lavoratore è un'autista, ma fa 20 km al giorno o 200?
L'infermiere sta in reparto o sta in sala operatoria?
Il medico competente, nel caso in cui non riceva queste informazioni, le deve chiedere.

Il medico competente attesta l'idoneità alla mansione, ma gli vengono date informazione errate. Chi
risponde? Il datore di lavoro, è lui che decide le mansioni. Il medico attesta l'idoneità rispetto alle
mansioni che gli vengono comunicate.
Un lavoratore è idoneo ad una mansione e lo si mette a fare quella cosa, un altro è idoneo ad altra
mansione, ma poi ad un certo punto non è più idoneo e il datore gli fa cambiare mansione, prima
però deve fare una nuova visita.
Il medico competente deve avere l'elenco dei lavoratori e gli deve essere comunicato da datore e
dirigente quando cessa un rapporto di lavoro ex art 18, 1 co, lett.g-bis), d.lgs, quando cambia la
mansione, quando c'è una nuova assunzione.
Il medico deve ricevere l'informazione rispetto alla mansione svolta dal lavoratore e solo a quel
punto lo visita.
All'esito degli accertamenti, il medico competente può attestare che:
– il lavoratore è idoneo alla mansione;
– il lavoratore non è idoneo alla mansione; se il lavoratore è inidoneo il datore non può
mettere in discussione il certificato, gli deve cambiare mansione o lo deve licenziare.
A volte il contrasto è tra il lavoratore e il medico competente. Il lavoratore ha interesse a
lavorare e sa che se non è idoneo a quella mansione e in quell'azienda non ci sono altre
posizioni aperte, rischia di andare a casa. C'è la giusta causa di licenziamento, salvo le
assunzioni obbligatorie (quote di assunzioni riservate a chi ha particolari invalidità).
– il lavoratore è idoneo alla mansione con prescrizioni; ossia il lavoratore è un
videoterminalista, esso è idoneo alla mansione, ma avendo un problema alla vista deve fare
ogni due h di lavoro 30 min di intervallo. Ogni anno si ripete la visita e il datore è
legittimato ad usarlo in quel modo.
Ma quali accertamenti vanno fatti e quale sia il risultato/diagnosi di questi accertamenti non sono
ambiti rispetto ai quali il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere.
È però oggetto di possibile impugnazione da parte del lavoratore, il quale si può rivolgere ad una
commissione medica territoriale per contestare l'attezione del medico. Il datore non può farlo, anzi
deve attuarla.
Anche nel caso di idoneità con prescrizioni, se il datore non consente al lavoratore di fare la pausa
alla vista ogni 2 h e gli cala la vista, derivandone una lesione, il datore risponde.

Il datore di lavoro può chiedere il perchè di quella attestazione? Quali accertamenti ha svolto?
No, ci sono motivi di privacy. I dati della salute sono dati sensibili. Sono coperti da segreto e il
datore di lavoro non li può chiedere e non può mettere in discussione l'esito.
Il datore deve dire quali sono i suoi lavoratori, quali sono le mansioni ricoperte descrivendole, deve
sottoporli a visita e se il lavoratore non ci va?
Ad es in una nota università romana con il Policlinico, un professore dell'università, oltre ad
insegnare, opera anche nel Policlinico della stessa università. Il problema è che non si vuole fare la
visita sanitaria doppia.
I professori universitari fanno la visita per accertare l'idoneità psico-fisica alla mansione: attività
didattica e di ricerca. Si verificano se ci sono problemi relativi alla parola, alla vista, motori. Se il
soggetto è inidoneo non può essere pagato.
Se il professore opera al Policlinico e ha già fatto la visita come professore, ne deve fare un'altra di
visita di sorveglianza sanitaria? Si, perchè la mansione è diversa.
Il datore di lavoro diventa l'amministratore delegato/direttore generale dell'ospedale perchè è lui che
ha i poteri decisionali e di spesa. Sulla sicurezza dell'ospedale non decide il Rettore
dell'università/AD o Direttore generale se è una università privata, ma il Direttore generale
dell'ospedale. È lui che lo paga, che lo dirige, che gli da i turni. Quindi il professore/medico deve
fare una doppia visita.
Quindi i due enti che si scambiano il docente che va a fare attività assistenziale possono mettersi
d'accordo e prevedere la nomina di uno o più medici competenti (se l'azienda è grande), che in una
sola visita, attesta l'idoneità alle due mansioni.
Potrebbero anche cambiare: l'uno resta sempre idoneo e l'altro diventa idoneo con prescrizioni
perchè sono diverse le attività.
Qui perchè si tratta di due attività convenzionate, altrimenti bisogna fare la doppia visita (due
attestati).
Questa doppia visita il medico competente a chi l'attesta?
A due diversi soggetti.
Invece nel caso delle attività convenzionate, il medico competente attesta e invia ai due datore di
lavoro la stessa attestazione dell'unica visita.
Al massimo se la prestazione non richiede una visita ogni anno, tutte e due si fanno lo stesso ogni
anno. Si fa più sorveglianza sanitaria dal lato universitario (anche se ne basterebbe 1 ogni 2 anni),
mentre per valutare l'idoneità ad operare è una volta l'anno perchè è più sensibile la prestazione.
Una volta l'anno si fa comunque la doppia visita.

Questa è l'attività principale del medico competente (quante visite fare e quale sorveglianza medica
fare a seconda della mansione), ma non è la sola.
Un'altra attività fondamentale del medico competente è contribuire alla valutazione del rischio.
La valutazione del rischio è obbligo indelegabile del datore di lavoro.
Chi firma il documento di valutazione dei rischi?
Datore, Rspp, medico competente, Rls.
Perchè il medico competente lo sottoscrive? Perchè partecipa alla valutazione dei rischi?
Perchè alcuni rischi sono rilevabili solo dal medico.
Ad es 2020 col covid i medici competenti delle aziende sono stati protagonisti della valutazione del
rischio da contagio. C'è il rischio da contagio nell'azienda? Un rischio da agente biologico?
Il covid è un virus sconosciuto, c'è quindi un nuovo rischio. Prima nessuno lo aveva valutato.
Come si passa il contagio, la distanza da mantenre, quanto resta sulle superfici, quali mascherine
usare. In quel momento parte delle imprese sono state chiuse, quelle essenziali come supermercati,
farmacie, grandi opere e cantieri rimasero aperte.
I datori di lavoro avevano un problema: bisogna valutarlo questo rischio di contagio sul lavoro?
Si avviano interlocuzioni tra i vari enti, Inail, Inps.
Certo che va valutato perchè nella normativa sulla valutazione dei rischi prevista nel decreto 81 c'è
anche l'agente biologico. Il covid è un virus, è un agente biologico e il rischio da agente biologico
va valutato.
Lo deve in particolare valutare il datore di lavoro di mansioni che sono strutturalmente votato al
contagio come gli ospedali, case di cura. Questi hanno un'esposizione per definizione al virus
perchè curano i malati colpiti dal virus. Anche gli altri settori, seppur in modo diverso, devono
valutare il rischio e il protagonista di questa valutazione è stato il medico competente.
Si tratta di una valutazione dei rischi sempre compiuta dal datore di lavoro, che è sempre il
responsabile della valutazione. Se l'ha valutata male, c'è stato il contagio, ha violato le regole, ha
adottato delle misure di prevenzione inidonee, il datore risponde. Però questa valutazione la fa
tramite il medico competente: avrà detto di mantenere le distanze di 3 metri, mettere il plexiglass, le
mascherine, come fare le pause pranzo, evitare le riunioni, aumentare lo smartworking ecc.
Le conoscenze all'inizio erano molto limitate, poi sono aumentate, si sono introdotti i vaccini.
Il Ministero del lavoro, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro si sono messi
a tavolino e hanno redatto un Protocollo nazionale, dettando delle regola. Che mano a mano
cambiavano e si allentavano.
Ma inizialmente nei Protocolli per le imprese era previsto l'istituzione di un Comitato di crisi o
emergenza anticovid, che era composto dal Rspp, il datore di lavoro, medico competente e Rls. Era
una sorta di Riunione periodica costante in cui si stabiliva cosa fare. Il covid era il tema più
importante di tutti.
Quando il lavoratore contagiato, poi negativizzato, che voleva tornare al lavoro, il medico
competente doveva visitarlo prima del suo rientro a lavoro. A parte l'attestazione della negatività, il
tema riguardava i sintomi, se fosse una persona fragile o meno e disponesse l'autorizzazione al
rientro. Il ruolo del medico competente negli ultimi due anni è stato davvero importante.
Funzioni principali medico competente:
– sorveglianza sanitaria,
– partecipazione alla valutazione dei rischi.
L'art 18, 1 co, lett.a), d.lgs: il datore o dirigente deve nominare il medico competente per
l'effettuazione della sorveglianza sanitaria; lett.g): il datore o dirigente deve inviare i lavoratori alla
visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria.
Se il lavoratore non va alla visita, viola gli obblighi dell'art 20 d.lgs, si deve attenere alle regole di
sicurezza e alle disposizioni/istruzioni impartite dal datore, dai dirigenti e dai preposti.
Il lavoratore potrà subire una sanzione penale e una sanzione disciplinare.
Se il lavoratore non va alla visita e nessuno lo controlla, anche il datore e il dirigente sono
responsabili. Non potranno dire che l'hanno detto al lavoratore e poi lui non c'è andato perchè
compito dela datore e del dirigente è accertarsi dell'idoneità alla mansione e metterlo a fare
un'attività che il lavoratore sia in grado di svolgere rispetto alle sue condizioni di salute. Se ciò non
avviene, è vero che il lavoratore ha commesso una violazione, ma anche il datore e dirigente che
non ce l'hanno mandato. Il lavoratore non potrà lavorare finché non sarà considerato idoneo. Il
lavoratore va fermato prima che si verifichi l'infortunio, altrimenti il giudice penale condanna.

L'art 41 d.lgs Sorveglianza sanitaria


“La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente:
a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva
di cui all'art 6;
b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata
ai rischi lavorativi.
(oltre ai limiti di legge, la visita si può fare sempre su richiesta del lavoratore rispetto alle sue
mansioni perchè i dati relativi alla salute sono sensibili, può non divulgarli ma sapere che possono
incidere sulla mansione. Il medico si può rifiutare di effettuare la visita se chiesta per fare altro
rispetto alle mansione proprie del lavoratore).
La sorveglianza sanitaria comprende:
a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il
lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;
b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio
di idoneità alla mansione specifica.
(Dove e quando il medico competente relazione il datore sull'andamento della sorveglianza? Abbia
3000 persone, quest'anno il medico ne ha visitate 1000. 900 sono idonee, 100 sono idonee con
prescrizioni ecc. Nel verbale della Riunione periodica c'è una parte dedicata alla sorveglianza
sanitaria dove il medico competente relaziona.)
La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa viene stabilita, di
norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico
competente in funzione della valutazione del rischio.
(ad es sotto covid, c'è un rischio nuovo che non si conosceva, il lavoratore è positivo, dopo 7 giorni,
lo rivisita. È una normativa dinamica che lascia sempre al soggetto tecnico/competente di prevedere
diversamente. La legge non può fissare una regola che valga per sempre. Magari la normativa
ancora non è intervenuta e quindi interviene il medico “il medico chiede che” ma anche “il
lavoratore chiede che”).
L'organo di vigilanza (Asl), con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della
sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
(Asl viene, fa una ispezione e chiede di sottoporre tutti a visita. Ci può essere un'indicazione
dell'organo di vigilanza, inquesto caso il medico competente si adegua. L'organo di vigilanza non
necessariamente attesta una violazione, ma potrebbe indicare una cadenza diversa da quella minima
stabilita dalla legge, anche in mancanza di una normativa specifica.
Ad es nei casi di lavoratori che sono a contatto con l'amianto e che potrebbero sviluppare dei tumori
in futuro, ci sono degli studi che accertano che una certa sostanza è dannosa, arriva l'Asl e chiede al
medico competente di visitare i lavoratori esposti alla sostanza anche se da poco visitati. In questo
caso il medico dovrà valutare le conseguenze derivanti da questa nuova situazione).
c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuto dal medico competente correlata ai
rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività
lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione
specifica;
e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente.
E-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva;
e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di
durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l'idoneità alla mansione. [...]

Art 25 d.lgs Obblighi del medico competente


(*da sapere bene)
“Il medico competente :
a)collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei
rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla
predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica
dei lavoratori, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di
competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di
lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla
attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi
della responsabilità sociale;
(Il medico valuta il rischio nel DVR, forma e informa i lavoratori, collabora in funzioni che non
sono proprio le sue, ma per quanto di sua competenza sul nuovo rischio).
b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'art 41 attraverso protocolli sanitari
definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più
avanzati;
(In ogni azienda ci dovrebbe essere un Protocollo sanitario, che è quel documento di
programmazione delle attività di sorveglianza sanitaria a seconda del luogo, dell'attività, della
mansione, del lavoratore. Il Protocollo è una sorta di programma del medico competente, il medico
detta delle regole che il datore dovrà valutare).
c) istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di
rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con
salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l'esecuzione
della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia
concordato al momento della nomina del medico competente;
(Il datore di lavoro riceve l'attestato sull'idoneità del lavoratore, ma al medico competente resta la
cartella, coperta da segreto perchè sono dati sensibili. In modo tale che il medico competente possa
ricostruire la storia di quel lavoratore a distanza di tempo).
d) consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo
possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al d.lgs 196/2003 (Codice della privacy) e con la
salvaguardia del segreto professionale;
(perchè il medico competente alla cessazione dell'incarico ridà la documentazione sanitaria al
datore? Perchè serviranno al successivo medico competente. Il datore non può stare senza.)
e) consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di
rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima;
l'originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di quanto disposto dal
d.lgs 196/2003, da parte del datore di lavoro, per almeno 10 anni, salvo il diverso termine previsto
da altre disposizioni del presente decreto;
e-bis)in occasione della visita medica preventiva o della visita medica preventiva in fase
preassuntiva di cui all'art 41, richiede al lavoratore di esibire copia della cartella sanitaria e di
rischio rilasciata alla risoluzione del precedente rapporto di lavoro e ne valuta il contenuto ai fini
della formulazione del giudizio di idoneità, salvo che ne sia oggettivamente impossibile il
reperimento;
g) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono
sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di
sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta
l'esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza;
(Ad es i lavoratori vogliono sapere se quella sostanza è pericolosa e vanno dal medico competente.
È il dotto medico che da informazioni, diffonde il sapere, fa le visite, valuta i rischi, partecipa alla
formazione. A 360° è il riferimento medico dell'azienda. Si tratta di adempimenti/funzioni che
girano tutti intorno alla sorveglianza medica e alla valutazione del rischio.)
h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all'art 41 e, a
richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; comunica per iscritto, in
occasione delle riunioni di cui all'art 35, al datore di lavoro, al Rspp, ai RLS, i risultati anonimi
collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati
ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei
lavoratori (relaziona sulla sorveglianza sanitaria);
(Ad es emerge un problema al cuore e il lavoratore vuole avere copia della cartella per poter
approfondire degli esami dal suo cardiologo).
l) visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che stabilisce in base
alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall'annuale deve essere
comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi;
m) partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli
sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza;
n) comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui all'art 38 al
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali entro il termine di 6 mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto.
N-bis) in caso di impedimento per gravi e motivate ragioni, comunica per iscritto al datore di
lavoro il nominativo di un sostituto, in possesso dei requisiti di cui all'art 38, per l'adempimento
degli obblighi di legge durante il relativo intervallo temporale specificato.

Questi sono gli obblighi del medico competente, girano tutti intorno alla sorveglianza sanitaria e
alla valutazione dei rischi. Collabora con le altre figure in azienda nel rispetto della riservatezza.
Ha obblighi di formazione, di documentazione, d'informazione, di programmazione (Protocollo
sanitario) e di rendicontazione nell'ambito della Riunione periodica.

Lezione 26 Ottobre,

RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Oggi parliamo dell'ultimo soggetto chiamato a garantire sicurezza: art 2, lett.f, d.lgs,
il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il Rspp è un soggetto che può essere da solo o accompagnato.
Se è solo, c'è soltanto il Responsabile di un servizio di prevenzione e protezione.
Se non è solo, lui è Responsabile di un servizio che è composto anche da altri soggetti che si
chiamano Addetti al servizio di prevenzione e protezione.
Quello che bisogna nominare è almeno il Responsabile da parte del datore di lavoro ed è un obbligo
indelegabile/personale art 17 d.lgs. Solo il datore di lavoro nomina il Rspp, non può delegare a
nessuno questa scelta.
Il datore di lavoro può scegliere se nominare un solo soggetto o se istituire un servizio collegiale
con a capo il Responsabile (sempre nominato) e poi degli addetti suoi collaboratori, gli Aspp
(rispondono al responsabile).
Abbiamo quindi:
– un servizio di prevenzione e protezione collegiale con a capo il Responsabile;
oppure
– solo ed esclusivamente un Responsabile.

(*a differenza del medico competente che il datore di lavoro può delegare come nomina ad altri e
che può spettare anche al dirigente. Mentre Rspp è nominato solo dal datore e non può delegare a
nessuno questa scelta).

L'atto di nomina del Rspp è un atto formale: c'è un atto scritto attraverso il quale il datore di lavoro
incarica il soggetto di questa funzione.
Il soggetto assume la funzione con l'accettazione dell'incarico.
Il Rspp può essere un soggetto esterno (un consulente esterno, ci sono molte società di consulenza
che forniscono i Rspp alle aziende. Il datore chiama la società esperta di sicurezza, gli offre un
soggetto competente che abbia esperienza in quel settore e per effetto di questo contratto il soggetto
assume la funzione di Rspp per il datore di lavoro) o un soggetto interno all'azienda (un dipendente
dell'azienda).
In alcuni casi il Rspp deve essere necessariamente interno, ad es nelle organizzazioni
sanitarie/ospedali. Il datore di lavoro non può attingere il Rspp all'esterno.
Sempre, sia quando interno che esterno, il Rspp può avvalere di consulenti esterni/collaboratori.
Nelle grandi aziende, dove i rischi della sicurezza sono molti, è possibile che il Rspp non abbia la
competenza a gestirli tutti e quindi per la valutazione di un determinato rischio attinga al consulente
esterno specializzato. Ad es per rischio da esposizione da amianto, il Rspp chiama l'esperto di
amianto che gli valuta il rischio oppure se c'è un rischio da lavoro correlato, c'è bisogno per valutare
lo stress di una valutazione fatta dallo psicologo del lavoro.
Generalmente il servizio di prevenzione e protezione di una grande azienda ha un badget, ha un
fondo che gli viene destinato proprio per poter svolgere le sue attività e nel momento in cui il Rspp
dovesse avere bisogno di un consulente esterno, il servizio di prevenzione e protezione attinge al
fondo.
Ad es Piva è stato incaricato dal servizio di prevenzione e protezione di una grande azienda (Wind o
Fastweb) di un approfondimento normativo. La normativa si evolva, si crea un problema, ma il
Rspp non è un giurista. Queste società hanno un fondo apposito a cui attinge il servizio di
prevenzione e protezione.
Se il fondo non c'è, il servizio di prevenzione e protezione o solo Rspp devono andare dal datore e
si devono far dare un fondo perchè il datore viene informato che la competenza all'interno non basta
per gestire un problema di sicurezza 81/08.
Se il datore non da il fondo necessario, la valutazione non è compiuta e il datore risponderà in sede
penale dell'infortunio che ne deriva.

Chi è Rspp?
É un soggetto che deve essere munito dei requisiti richiesti dalla legge.
Sono requisiti che riguardano la professionalità (titoli di studio: principalmente ingegneri o
architetti, corsi di specializzazione e di aggiornamento perchè evolvendosi la struttura organizzativa
di un'azienda o la normativa Rspp che oggi è capace, domani potrebbe non esserlo).
Il Rspp deve essere munito ex ante di requisiti e poi li deve conservare nel tempo.

Cosa fa? Quali sono i compiti del servizio di prevenzione e protezione?


Rspp lo possiamo definire come il consulente qualificato del datore di lavoro.
Qualificato per i requisiti che ha, ha delle competenze specializzate.
È un consulente perchè è privo di poteri di qualsiasi tipo.
Non ha i poteri decisionali e di spesa del datore, non ha i poteri organizzativi e di vigilanza del
dirigente, non ha poteri di sovrintendere, controllo e iniziativa del preposto.
Il Rspp non ha poteri operativi/gestionali, non può provvedere alla sicurezza, ma è un consulente,
deve indicare al datore di lavoro cosa fare per garantire sicurezza.
Il processo tecnologico, l'evoluzione scientifica, nuovi dispositivi o impianti, nuovi macchinari che
oggi garantiscono più sicurezza di ieri sono oggetto di segnalazione del Rspp. Segnala che non ci
sono più i dispositivi a norma, che bisogna cambiare il sistema anticendio o di condizionamento,
che ci sono vizi della sicurezza, che ci sono rischi nuovi, rischi che da bassi sono diventati alti.
Tutto questo viene evidenziato dal Rspp al datore di lavoro. Perchè? Perchè il datore di lavoro non
ha la competenza che ha il Rspp.
Nelle imprese più piccole il datore di lavoro può anche svolgere la funzione di Rspp, però deve
munirsi di questi titoli.
Nelle imprese di grandi dimensioni questa coincidenza non è possibile.
Rspp è consulente qualificato perchè ha delle competenze specializzate ed è un consulente, ossia
non ha poteri dispositivi. Ti da la sua valutazione, ma la decisione spetta al datore di lavoro (potere
decisionale e di spesa).
Il datore comunque sente Rspp perchè lo ha nominato, si fida di lui, se non segue quello che dice lo
paga inutilmente. È difficile che il datore si sostituisca alla competenza del Rspp.

Qual'è l'obbligo che il datore di lavoro adempie più di tutti affidandosi al suo Rspp?
La redazione del documento di valutazione dei rischi.
Documento che viene predisposto dal Rspp.
Il datore da le informazioni, struttura i luoghi, divide i compiti, decide, ma chi valuta il rischio, chi
ha la competenza tecnica per sottoporre a valutazione un rischio e soprattuto per ipotizzare le
misure di prevenzione adeguate (dato questo rischio, cosa bisogna fare per evitare l'infortunio?) è il
Rspp.
Il Documento di valutazione dei rischi è obbligo indelegabile del datore di lavoro ed è sottoscritto
dal datore, Rspp, medico competente, Rls. Questi soggetti lo sottoscrivono, ma la paternità della
valutazione è sempre del datore di lavoro. Quindi se un rischio non è valutato e si verifica un
infortunio risponde sicuramente il datore di lavoro.
Il datore però si è affidato al Rspp che tra i suoi compiti contribuisce alla valutazione dei rischi e
contribuisce all'elaborazione delle procedure di sicurezza.
Il documento di valutazione dei rischi ha due anime: valuta il rischio e stabilisco qual'è la misura
di prevenzione e protezione.
Posso attaccare il DVR:
– o ab origine perchè ritengo che l'infortunio sia la concretizzazione di un rischio che non è
proprio valutato (il DVR non lo valuta questo rischio, invece c'era). Sei finito!
– Il rischio c'è, è stato valutato, ma sono state predisposte misure non adeguate.

Nelle organizzazioni sanitarie si parla molto della prevenzione dell'infortunio sul lavoro del medico
picchiato dal paziente: piani anti violenza. Ci sono anche delle linee guida regionali.
C'è un tema sul DVR che è oggetto di aggiornamento: cosa fa l'organizzazione sanitaria per
prevenire gli infortuni del personale medico ospedaliero?
L'ospedale x ha medici ed infermieri, il rischio c'è? Lo valuto. Poi qual'è la misura?
L'informativa ai pazienti, il servizio di vigilanza, le distanze tra le prenotazioni, segnaletiche ecc.
Il rischio classico negli ospedali è in realtà la presenza di virus, malattie, dispositivi ecc.
Tutto questo sta nel DVR.
Ma chi lo monitora, chi lo stabilisce, chi lo propone? Rspp nel DVR.
Certo che il Rspp va poi dal datore, nel caso di covid per il rischio contagio ascolta il medico
competente, sente i lavoratori sui rischi nel quotidiano ad es il movimento carichi degli infermieri in
ospedale. Passare il paziente da una barella all'altra. Se l'infermiere ha problemi di schiena, gli viene
fatta la sorveglianza sanitaria e il medico gli dice che è idoneo alla mansione però non può sollevare
più di tot. Che succede? È un rischio quello della movimentazione dei pazienti? Certo. Lo troviamo
nei DVR in ospedale.
Come viene gestito?
Con le visite mediche, l'attenzione sulle prescrizioni, turnazione.
Il datore di lavoro (amministratore delegato dell'ospedale) lo capisce che questo è un rischio, ma
non sa come prevenire, le misure da adottare.
La valutazione del rischio, obbligo più importante del datore, lo si fa affidandosi al servizio di
prevenzione e protezione (agli studi, alla pratica, alle consulenze del servizio). Poi il datore di
lavoro lo fa suo. È però Rspp che lo deve allertare, preoccupare o rassicurare.
Ad es in sala operatoria il rischio incendio è monitorato? Se il Rspp dice si, il datore si affida. Il
datore non deve girare per le sale per assicurarsi che sia realmente così. Ecco perchè la legge
prevede Rspp come soggetto obbligatorio, solo nelle piccole imprese può coincidere con il datore;
altrimenti deve essere sempre diverso.
Il Rspp non fa solo questo.
In generale Rspp coadiuva il datore di lavoro nella gestione di tutti gli obblighi di sicurezza e non
solo, anche il dirigente.
Ad es dare istruzioni ai lavoratori affinchè svolgano le loro attività solo quelli che possono farlo in
sicurezza. Chi le elabora queste istruzioni? Rspp. Chi le firma ed impartisce? Il datore di lavoro e il
dirigente.
Ad es per la formazione degli art 36 e 37 d.lgs (5 anni per i dirigenti, 2 per i preposti, 5 anni per i
lavoratori) chi provvede? Datore e dirigente. Chi predispone il piano formativo, le scadenze? Rspp.
Ad es vanno acquistati 100 dispositivi, no 150 perchè questi dispositivi invecchiano e Rspp segnala
questa esigenza. Chi deve provvedere? Datore di lavoro e dirigente.
Perchè nell'art 3-bis, art 18, d.lgs non c'è il riferimento al Rspp?
Rspp è il soggetto definito come responsabile, è un consulente che deve adempiere ai compiti
dell'art 33 d.lgs, ma non ha sanzioni. È un soggetto che nel decreto 81 ha obblighi, ma non
sanzioni. Gli altri soggetti che abbiamo visto hanno obblighi e sanzioni, salvo Rls che non ha
sanzioni perchè non ha nemmeno gli obblighi, tranne gli obblighi del lavoratore art 20 d.lgs.
Non esistono delle sanzioni ad hoc per la violazione degli obblighi del Rspp.
Ad es il Rspp non ha avvisato il datore che doveva formare i dipendenti, non l'ha avvisato che
doveva cambiare i dispositivi. Tutto questo rimane senza sanzione penale.
C'è una sanzione contrattuale o disciplinare.
Se il Rspp è interno, può subire una sanzione disciplinare (non ha fatto la sua attività).
Se il Rspp è un esterno, c'è la revoca del contratto: risoluzione per inadempimento del contratto e
risarcimento del danno.
Per questo Rspp potrebbe avere un'assicurazione professionale che lo tuteli da questo rischio.
Ma Rspp risponde in sede penale dell'infortunio che è derivato dalla sua
negligenza/mancanza/trascuratezza?

Vediamo ora i compiti del Rspp.


Art 33 d.lgs.
1.Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle
misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente
sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale; (art 17, lett A, d.lgs)
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'art 28, co 2, e i
sistemi di controllo di tali misure;
(art 28 d.lgs descrive il documento di valutazione dei rischi. Cos'è il DVR? *(domanda esame)
Il DVR è il documento nel quale sono individuati i rischi e stabilite le misure di prevenzione e
protezione. Il DVR costituisce obbligo indelegabile del datore, art 17, lett.A, d.lgs, ed è regolato
dalla legge agli artt 28 e 29 del decreto 81. Il documento è sottoscritto dal datore, medico
competente, Rspp, Rls.
Quanti sono i DVR in un'azienda?
Uno, ma possono essere di più?
Si, nel caso di più unità produttive. In ogni unità produttiva c'è un datore di lavoro e ogni datore
deve nominare Rspp dell'unità produttiva e fare il DVR dell'unità produttiva).
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
(È l'altra parte del DVR: le misure di prevenzione).
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
(È il Rspp che propone i programmi, indica l'oggetto, la modalità, da remoto o in presenza, indica i
casi e le tematiche).
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla
riunione periodica di cui all'art 35;
(La riunione avviene almeno una volta l'anno ed è tra Rspp, datore, medico competente, Rls).
f)a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'art 36.
(Gli obblighi dell'art 36 e 37 d.lgs, informazione e formazione, sono per lo più adempiuti attraverso
l'attività del Rspp. Rientra tra i compiti del Rspp proporre la formazione e dare le informazioni).
2. I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto in ordine ai processi
lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni di cui al presente decreto
legislativo.
(Questi soggetti sono consulenti, interni o esterni, hanno un vincono di segreto esattamente come il
medico competente sulle condizioni di salute.
Si tratta di segreti aziendali.
Rspp non può dire che c'è un problema di sicurezza nell'azienda x perchè gli potrebbero contestare
la violazione dell'obbligo di segreto dell'art 33 d.lgs e potrebbero querelarlo per diffamazione e
chiedere i danni in sede penale o civile).
3.Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro.
Disposizione molto richiamata dalla Giurisprudenza.
Ci fa capire il rapporto tra datore di lavoro e Rspp.
È una disposizione utile al Rspp per non rispondere in sede penale.
Il Rspp è utilizzato dal datore, la sua competenza è utilizzata ed essendo utilizzata dal datore è lui
(datore) che adempie agli obblighi. È il datore che resta il gestore della sicurezza, utilizzando come
strumento Rspp.
Tutte le mancanze del Rspp ricadono sul datore di lavoro.
Il datore l'ha nominato, informato e lo deve controllare.
Controlla se il Rspp ha i requisiti? Si, ab origine. Li ha mantenuti?si, si è aggiornato. Compie la sua
attività?
Il datore deve controllare Rspp? Certo, se sbaglia Rspp, sbaglia anche il datore perchè è la sua longa
manus. Se non agisce correttamente, lo deve richiamare, comminargli una sanzione disciplinare o
contrattuale, anche se non c'è una sanzione penale decreto 81.

Come si articola il rapporto datore-Rspp?


Ci sono degli incontri periodici tra i due, al di là della riunione una volta l'anno.
Rspp si relaziona continuamente con il datore, ci deve essere un contatto diretto e il datore deve
avere contezza di quello che Rspp fa.
Si fanno dei piani: programmazione, attività. Degli obblighi dell'art 33 d.lgs il Rspp cosa sta
facendo? cosa è stato fatto e cosa si farà nell'anno? A che punto siamo con la formazione? Con i
dispositivi? Quando aggiorniamo il DVR? Il servizio di prevenzione e protezione è adeguato?
Tutte queste domande il datore di lavoro deve farle al Rspp.
Ad es al Gemelli sono 6.000 dipendenti, non può certo bastare un Rspp. Ci vuole una struttura di
Aspp adeguata.
5 Aspp che rispondono al Rspp sono sufficienti? No, ne servono altri o si riorganizza il servizio. È
un tema del datore di lavoro. È lui che lo deve strutturare il servizio di prevenzione e protezione. È
lui che deve controllare che questo servizio adempia correttamente i compiti dell'art 33 d.lgs.
Ad es il Gemelli ha acquisito il Fatebenefratelli sull'isola Tiberina. Siccome il Gemelli si è allargato,
il direttore generale non può pensare che il servizio di prevenzione e protezione sia adeguato visto
che c'è un'altra realtà ospedaliera da gestire.
Se non c'è un servizio di prevenzione e protezione adeguato, il direttore generale del Gemelli
risponderà per mancata/difettosa valutazione. Rspp non ha gli strumenti adeguati per 9.000/10.000
persone o per i locali e gli ambienti.
Bisogna valutare sulla base della struttura aziendale quali sono le esigenze organizzative del
servizio di prevenzione e protezione, valutare i titoli, incontrare Rspp, controllarlo perchè tutti i
suoi errori ricadono sul datore.

Arriviamo a questo punto alla domanda.


C'è un infortunio, lesione o morte, si accerta che il rischio non è stato correttamente valutato
oppure non è stato quantificato correttamente (non era un rischio basso, ma alto) oppure è stato
valutato ma non c'era una misura adeguata a prevenirlo.
Il datore prenderà il DVR con la sua firma e dirà “non conosco questo rischio” “mi sono affidato al
mio Responsabile”. Che cosa succede in sede penale?
Rspp risponde in sede penale dell'infortunio che è derivato dalla sua negligenza, mancanza,
superficialità?

Altro es Il datore non provvede ad una cautela perchè Rspp non gli segnala l'esigenza di farlo.
Quell'esigenza doveva rilevarla Rspp: qui c'è un rischio e bisogna far meglio.
Altro caso il datore dimostra che Rspp lo ha rassicurato sulla sicurezza di un luogo, mentre il luogo
non era a norma e si verifica l'infortunio.
In tutte queste ipotesi come ci regoliamo in sede penale?
Risponde il datore, risponde Rspp o tutte e due?
Abbiamo detto che il Rspp non ha poteri, è un consulente che consiglia ed è utilizzato dal datore.
Rspp ha consigliato male? Il datore si è scelto male Rspp. È culpa in eligendo e in vigilando e per
effetto di questa colpa si è realizzato l'infortunio colposo. È giusto questo ragionamento?
Il datore si difende “avrei provveduto, se Rspp mi avesse segnalato di farlo” “ho sempre provveduto
quando Rspp mi ha detto di farlo” “stavolta non me l'ha detto, sono in buona fede”. Però ci
dovrebbe essere un rapporto diretto tra i due, che consente al datore di controllare lui e i suoi addetti
anche se l'azienda è grande. Il giudice penale però si chiede: “Rspp non ha valutato un rischio, ma il
datore ha controllato?”.
Il datore generalmente nel processo invoca un affidamento nel suo consulente (lo ha nominato, ha i
titoli (se non li ha, risponde il datore), ha fatto quest'attività presso altre aziende, il servizio di
prevenzione e protezione è adeguato alla dimensione e natura dell'azienda, ha dato al Rspp tutti gli
strumenti ed informazioni per esercitare bene la sua attività) perchè non si dovrebbe affidare a lui?
Fuori una prima fetta di responsabilità del datore per strutturazione e nomina del servizio di
prevenzione e protezione: c.d colpa d'organizzazione del datore nel servizio di prevenzione e
protezione.
Prima ipotesi in cui il datore potrebbe rispondere: il datore ha scelto male Rspp (culpa in
eligendo), ha strutturato male, non ha dato informazioni o mezzi adeguati.

Se il datore ha invece organizzato bene e scelto bene Rspp,


il datore di lavoro non ha provveduto alla sicurezza perchè non ha avuto la segnalazione del
Rspp oppure ha avuto una rassicurazione del suo Rspp che si rivela errata.
C'è un errore del Rspp, l'omissione colpevole del soggetto competente.
Se c'è l'infortunio risponde il datore? Rspp? Entrambi?
Ragioniamo sulle possibili risposte.
Prima soluzione: Risponde il datore perchè Rspp è un consulente e basta, chi provvede è sempre il
datore che utilizza Rspp, male ha fatto il datore ad utilizzare quel Rspp. L'errore dello strumento
(Rspp) ricade su chi lo utilizza. Datore risponde dell'infortunio perchè poteva e doveva provvedere,
tutti i poteri decisionali e di spesa li ha lui, Rspp non ha alcun potere. Quindi risponde solo il datore
di lavoro.
Seconda soluzione: c'è un concorso. Tutte e due rispondono penalmente perchè l'infortunio è certo
derivato dall'omissione del datore di lavoro che non ha provveduto, ma tale omissione deriva
causalmente dall'errore del Rspp. C'è il nesso causale tra errore/omissione Rspp e l'infortunio
passando dall'omissione del datore.
La Giurisprudenza ci dice c'è una presunzione ragionevole, sulla base delle massime di esperienza,
che ci dice questo: se il datore ha ben strutturato il servizio di prevenzione e protezione, ha scelto
Rspp con i giusti titoli, è ragionevole presumere che se Rspp segnala di fare A il datore farà A.
Se Rspp segnala e il datore non provvede, ovviamente risponde il datore. Non c'è alcun errore. Non
c'è alcuna colpa Rspp. Infatti gli Rspp sono soggetti molto propensi a scrivere e riferire per tutelarsi.
Se il datore, che dispone dei mezzi, non provvede, al Rspp non si può rimproverare nulla.
L'ipotesi complicata è se Rspp non fa bene il suo lavoro: rassicura sul rischio o non rileva una
situazione di rischio.
Si può ipotizzare, in questo caso, che Rspp risponda in concorso?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo prendere l'art 113 cp, la cooperazione nel delitto
colposo (ossia nel caso di infortunio art 589, 2 co e 590, 3 co, cp).
L'art 113 cp stabilisce che chiunque cooperi alla realizzazione di un delitto colposo risponda con la
pena per esso previsto.
Art 113 cp “Nel delitto colposo, quando l'evento e' stato cagionato dalla cooperazione di piu'
persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”.
Rspp ha cooperato perchè ha determinato lui l'infortunio per errore e poi c'è l'omesso intervento
del datore di lavoro. Rspp ha cagionato insieme al datore quell'evento. Rspp risponde in concorso ai
sensi dell'art 113 cp.
È vero che il datore ha l'obbligo d'impedire l'infortunio, mentre Rspp quest'obbligo non ce l'ha
perchè non ha i poteri. Rspp non ha poteri decisionali e di spesa da poter ad es acquistare lui il
dispositivo mancante. Altrimenti diventa un altro soggetto. Rspp puro non ha poteri, viene utilizzata
la sua competenza. È per questo che non sono previste sanzioni per lui nel decreto 81.
L'unica responsabilità che può avere Rspp è nel caso d'infortunio perchè pur non avendo poteri
impeditivi diretti, con il suo errore/omissione ha causato l'evento. Rspp non poteva impedirlo, ma
poteva mettere il datore nelle condizioni di evitarlo se avesse segnalato la situazione. Quindi
coopera. Se Rspp segnala, il datore provvede (presunzione). Se non segnala, il datore non provvede.
Rspp è un soggetto che ha cagionato insieme al datore il delitto colposo e risponde con la stessa
pena.
La Giurisprudenza responsabilizza Rspp solo nel caso in cui ne sia derivato l'infortunio a titolo
di cooperazione nel delitto colposo.
Quando l'errore o la mancanza del Responsabile abbia determinato, come condizione essenziale,
l'omissione del datore di lavoro, Rspp risponde in concorso col datore. Il datore ha violato
l'obbligo di garanzia, non ha impedito l'infortunio (comprando i dispositivi, strutturando
diversamente i luoghi, rinnovando il sistema anticendio), perchè è stato rassicurato o non
correttamente informato dal suo Rspp. Se l'avesse informato, il datore avrebbe provveduto. Non l'ha
informato, il datore non ha provveduto.
1(errore o omissione Rspp)+1(mancato intervento del datore)=Infortunio.

Prima soluzione: risponde solo il datore di lavoro, subisce l'errore del soggetto che utilizza.
Seconda soluzione: rispondono insieme in concorso.
Ce ne sarebbe una terza di soluzione: risponde solo Rspp.
Si può ritenere che il datore di lavoro non abbia colpa perchè la legge l'autorizza a non avere quelle
competenze, lo obbliga a nominare un soggetto che quelle competenze ce l'ha, l'errore è dovuto al
mancato esercizio di quella competenza. Il datore non può da solo rilevare quel difetto. Lo può fare
solo Rspp che ha determinati titoli ed esperienza, al quale il datore ha dato tutte le informazioni, che
ha i requisiti ecc.
Che cosa si potrebbe rimproverare al datore? La colpa dovrebbe essere solo Rspp.
Questo soggetto non ha i mezzi, non ha i poteri però questi poteri non sono stati esercitati solo per
effetto di un errore che è solo il suo. Il datore come può correggere l'errore Rspp? Rspp ha una
competenza che il datore non ha.
Il datore tenta la strada del proscioglimento per sua mancanza di colpa con addebito esclusivo nei
confronti Rspp.
Stessa cosa si potrebbe ipotizzare per le violazioni degli obblighi del medico competente, però in
quel caso il medico è soggetto a sanzioni. Non fa la sorveglianza, risponde. Non partecipa alla
riunione, risponde. Mentre Rspp, se non partecipa alla valutazione, non è sanzionato. Non partecipa
alla riunione periodica, non è sanzionato. Ovviamente ci saranno le sanzioni disciplinari e
contrattuali (revoco l'incarico), ma non sono previste sanzioni penali del decreto 81.
Nel caso d'infortunio non vale il decreto 81, ma le pene degli artt 589 e 590 cp.

Nel caso in cui l'infortunio è dovuto ad un difetto di competenza del Rspp, che non ha avvisato il
datore di lavoro o l'ha erroneamente rassicurato (e per questo il datore non ha provveduto), abbiamo
tre possibilità:
– risponde solo il datore di lavoro;
– rispondono il datore di lavoro e Rspp a titolo di concorso;
– risponde solo Rspp.

IPOTESI DI RESPONSABILITÀ
1. è colpa solo del datore, quando? Quando c'è colpa d'organizzazione nella strutturazione della
prevenzione, non da informazioni, non sceglie Rspp con i titoli giusti;
oppure
2. sbaglia Rspp e conseguentemente il datore di lavoro.
Qui abbiamo tre possibilità:
A) Risponde solo il datore di lavoro;
B) Rispondono il Datore e Rspp a titolo di cooperazione;
C) Risponde solo Rspp. (far rispondere solo Rspp a livello processuale è la più difficile).

Lezione 27 Ottobre,

La responsabilità primaria del datore di lavoro per organizzare il servizio di prevenzione e


protezione in modo corretto la possiamo riassumere in due formule:
– la culpa in eligendo, il datore di lavoro è responsabile se ha scelto male Rspp (Rspp non ha
i titoli o è un soggetto inadeguato/non ha esperienza). Questo tipo di colpa è più ampia del
non avere i titoli previsti dalla legge oppure non essersi specializzato o aggiornato.
– la culpa in vigilando, la scelta idonea del Rspp fatta a monte dal datore deve rimanere tale
nel tempo perchè il soggetto non si è adeguato/non si è aggiornato o l'attività è mutata. Ci
può essere una inadeguatezza sopravvenuta dell'incarico e il datore deve vigilare che
questa adeguatezza si mantenga nel tempo. Deve vigilare anche sull'operato del Rspp per
questo hanno rapporti continuativi, s'incontrano periodicamente, l'uno si relaziona all'altro.
Se Rspp viene lasciato solo e dimenticato, il datore omette di viglare e del suo errore
risponde.
Si tratta di una culpa in vigilando sul suo funzionamento, non sul merito della competenza
del Rspp, ossia di una vigilanza organizzativa dove il datore vuole sapere cosa sta facendo
Rspp (come si organizza, come cura la formazione, quanti si stanno formando, quali pericoli
ha valutato, quale attività ha programmato, perchè ancora non ha fatto alcune azioni ecc).
Queste sono le responsabilità primarie del datore che deve scegliere bene Rspp e lo deve
controllare.
La culpa in eligendo ed in vigilando rimangono indefettibili, sarà sempre responsabile il datore.
Se ci vogliamo porre il problema della responsabilità del datore, nel caso di errore Rspp, intanto
deve essere a posto sotto il profilo della culpa in vigilando e della culpa in eligendo.
Altrimenti il giudice dirà che Rspp ha sbagliato per sua incompetenza, ma il datore a monte è stato
incompetente perchè l'ha scelto male e non ha verificato che svolga l'attività lavorativa.
Ad es il dirigente che riferisce al datore che Rspp è assente, non da risposte, le azioni correttive non
si chiudono in tempo o non convoca la riunione periodica (può farlo al posto del datore di lavoro).
La riunione periodica è un obbligo di legge, si devono riunire almeno una volta l'anno e
verbalizzare tutto quello che è stato fatto in materia di sicurezza l'anno precedente.
Se Rspp non fa bene il suo lavoro, il datore deve revocare l'incarico e nominarne un altro.
Quindi se c'è un errore del Rspp, ma a monte c'è una colpa in eligendo o in vigilando in questi
termini (c.d colpa di organizzazione del servizio di prevenzione e protezione), il datore è
responsabile. Questa colpa, che il datore ha, è personale. È il datore che ha i poteri di organizzare, di
decidere, di spendere, di nominare Rspp. È il datore il dominus del servizio di prevenzione e
protezione. Se non funziona, il datore deve modificarlo. Non può scaricare la colpa sul Rspp, ma
deve sceglierlo bene e vigilare.

Solo se il datore di lavoro ha nominato un soggetto valido e ha organizzato bene il servizio (non c'è
alcun addebito per culpa in eligendo o in vigilando), allora si può discutere di cosa accade quando
l'infortunio è dovuto ad un errore professionale Rspp che non segnala o rassicura.
Rspp non segnala il rischio che c'è e poi si verifica e si concretizza nell'infortunio.
Rspp rassicura su un rischio che c'era o su una misura di prevenzione.
Rspp infatti valuta il rischio e stabilisce misure di prevenzione atte a prevenirlo, visto che
contribuisce ad elaborare le procedure di sicurezza.
Se Rspp ha errato e il datore non ha posto in essere la culpa in eligendo e in vigilando, allora ci si
può porre un problema.
Mettiamo in discussione il rapporto datore-Rspp.
1.Prima soluzione: continua a rispondere solo il datore di lavoro. Perchè?
Perchè ha scelto male. È vero che, se il Rspp avesse segnalato, il datore avrebbe provveduto, ma è il
datore che ha i poteri, che provvede, che è il garante e al quale si imputa la mancanza del suo Rspp.
Soluzione molto severa perchè ci dobbiamo intendere su quale scelta e vigilanza il datore ha
sbagliato.
Se gli contestiamo di non aver corretto il suo errore professionale, allora stiamo andando oltre e si
tratta di una responsabilità oggettiva. Il datore di lavoro è legittimato a non avere quella
competenza, anzi nomina Rspp proprio perchè quella competenza lui non ce l'ha. Però si deve
trattare di un rischio rilevabile solo con una particolare competenza, deve essere l'inadeguatezza di
una misura che solo si può rilevare per effetto dell'esercizio di quella competenza specializzata che
il datore non ha. Su questo il processo deve fornire materiale di conoscenza. C'è il problema della
prova. Altrimenti il datore dirà che non avrebbe mai potuto accorgersene e Rspp si difenderà
affermando che l'ha segnalato o che se ne sarebbe potuto accorgersene comunque senza bisogno
della segnalazione, lo sapevano tutti, era di dominio pubblico questo rischio.
Tra i due soggetti ci può essere un conflitto difensivo.
La prima soluzione che la Giurisprudenza, a volte adotta, è una soluzione che si espone al rischio di
attribuire una responsabilità oggettiva al datore di lavoro.
Quali sono i principi violati?
Il principio di colpevolezza.
In che cosa si può rimproverare il datore di lavoro? Nel non aver corretto una previsione altrui che
però deriva da una competenza specialistica che non ha? Come può? Con quali basi può sostituirsi
al Rspp?
Il principio che a volte la Giurisprudenza valorizza per escludere la colpa si chiama principio di
legittimo affidamento. Se il datore ha l'obbligo di nominare un soggetto che ha una competenza
che lui non ha, egli può, per quanto riguarda la gestione di quella competenza, legittimamente
affidarsi all'attività altrui. Se questo soggetto lo rassicura, il datore legittimamente si affida. Se
sbaglia e si verifica l'incedio, però poi l'errore è del Rspp.
La prima soluzione per cui il datore risponde sempre perchè è il garante, perchè ha l'obbligo
giuridico d'impedire l'evento art 40, 2°co, cp derivante art 2087 cc. Questa soluzione valorizza la
garanzia, l'aspetto oggettivo della garanzia (non ha impedito), ma rischia di violare il principio di
colpevolezza. Rischia di punire il datore, anche quando incolpevole, per essersi legittimamente
affidato alla altrui esclusiva competenza. Viene meno il principio di colpevolezza per legittimo
affidamento all'esclusiva altrui competenza.
Ecco perchè quella competenza deve essere però ab origine accertata e controllata nel tempo, se no
non hai la possibilità di affidarti. La Giurisprudenza ritiene unanimemente che chi è in colpa già di
suo, non può legittimamente affidarsi ad altri.
Questo principio di affidamento viene applicato ad es alla circolazione stradale: se un soggetto
passa con il rosso ed investe un pedone che non ha attraversato sulle strisce, il primo non potrà dire
che si è affidato alla altrui condotta e visto che il pedone non ha attraversato sulle strisce è colpa sua
perchè anche l'automobilista è in colpa a monte, è passato con il rosso.
Se l'autista non passa con il rosso, aspetta il suo turno e il pedone si lancia nell'attraversamento,
quest'ultimo avrà colpa.
Altro es è l'equipe chirurgica, il capo equipe può essere chiamato a rispondere anche dell'operato
dell'anestesista? O di chi lo aiuta a ricucire e lascia all'interno del paziente una garza? O nel caso di
cambio turno in ospedale, il paziente muore e i medici cominciano a dire che il paziente non era
loro, era solo di turno, nella cartella non c'era scritto un determinato disturbo, a monte quando il
paziente è stato ricoverato non ci hanno segnalato e quindi si affida a quello che legge o alla
consulenza specialistica. Se a monte non viene trattato correttamente il paziente o nell'ambito di un
intervento chirurgico a monte viene commesso un errore, non ci si può legittimamente affidare
all'operato altrui e ritenere di non essere in colpa.
Il principio di legittimo affidamento vale solo se il soggetto a monte non è in colpa.
Per questo è importante valutare a monte se il datore di lavoro i suoi obblighi li ha adempiuti.
Una volta che li ha adempiuti, c'è l'affidamento alla esclusiva competenza altrui.

Questa è l'ipotesi problematica.


Di fronte a questa, la responsabilità del solo datore di lavoro si fa da parte e compare l'altra, la
responsabilità di entrambi (in concorso art 113 cp, magari anche graduata).
L'art 113 cp prevede che chiunque cagioni, insieme ad altri, il delitto colposo (artt 589 e 590 cp)
risponde con la stessa pena, ma il giudice può dosare questa pena (min e max). La stessa pena in
concorso è un principio che si può in concreto aggiustare (per l'uno più alta, per l'altro più bassa).
La seconda soluzione è una soluzione che potrebbe consentire al datore di lavoro di ottenere una
pena più bassa rispetto al Rspp, che in concorso con lui risponde, ed è colui che davvero ha
sbagliato. Entrambi hanno contribuito: l'uno ha sbagliato, ma l'altro non ha provveduto perchè il
primo ha sbagliato. Il Rspp (che non ha poteri) chiamerà in causa, nella sua difesa, il mancato
esercizio dei poteri del garante.
Seconda soluzione: è il concorso di responsabilità che la Giurisprudenza esplora.

Terza soluzione: risponde solo Rspp. Arriviamo all'esenzione di responsabilità del datore di lavoro e
all'esclusiva responsabilità del Rspp. Perchè?
Perchè se il Rspp è l'unico ad avere la competenza, il datore di lavoro non può avere responsabilità.
Il datore non ha provveduto, ma la ragione della sua omissione risiede in un affidamento
incolpevole perchè non gli hanno segnalato il rischio o perchè l'hanno rassicurato. Altrimenti lui
avrebbe provveduto e allora quale rimprovero è possibile muovergli dal punto di vista della colpa?
Nessuno. Da parte del datore manca il requisito della colpa per l'omicidio o la lesione e risponde
solo chi è in colpa davvero (Rspp) per mancanto esercizio di perizia.

Tutte e tre le soluzioni hanno pregi e difetti.


La prima rischia di violare il principio di colpevolezza, però rimane la garanzia oggettiva che non
basta per essere puniti perchè ci vuole anche la colpa.
La seconda è la soluzione del concorso e il giudice può graduare la sanzione.
Quindi si c'è cooperazione, ma al datore di lavoro rimane sempre la difesa secondo la quale, si ha
cooperato, ma se Rspp avesse segnalato il difetto, lui avrebbe provveduto.
Rspp potrebbe replicare che, nonostante l'errore, non ha poteri e non avrebbe potuto provvedere.
La terza soluzione prevede che Rspp, non essendo un garante in senso tecnico, ha sbagliato ma non
avrebbe avuto comunque i poteri per provvedere.
Tutte e tre le soluzioni fanno trasparire qualche problema.

Com'è orientata la Giurisprudenza?


Prima la Giurisprudenza era tutta sbilanciata a danno del datore di lavoro.
Adesso la Giurisprudenza si è spostata sulla soluzione del concorso.
Se c'è un errore del Rspp, la Giurisprudenza tende a responsabilizzarlo solo attraverso l'art 113 cp
perchè altrimenti non ha le sanzioni nel decreto 81.
L'art 113 cp produce un'efficacia estensiva dell'incriminazione: non punisce solo chi non ha
impedito l'infortunio (datore), ma punisce anche chi non ha consentito al garante di impedire. Lo ha
messo in condizione di omettere l'impedimento. Ha causato l'altrui violazione della garanzia. Ha
dunque contribuito.

In alcuni casi, rarissimi (che sostiene il prof, ma non passa in Giurisprudenza), è solo Rspp che deve
rispondere perchè solo lui pone in essere la vera mancanza dalla quale poi dipende l'omissione del
datore di lavoro (che ha adempiuto a tutti i suoi obblighi).
In quest'ultima soluzione non praticata dal diritto vivente, la Giurisprudenza si rende conto che c'è
una forzatura dal lato del datore di lavoro (si rischia una responsabilità oggettiva) e ha adottato una
formula un po' di stile, che riguarda il limite del dovere-potere del datore di vigilare o addirittura di
correggere l'altrui rilevazione del rischio (quella Rspp): il datore di lavoro risponde dell'infortunio
che deriva da errore del suo Responsabile nel caso in cui il rischio/errore/valutazione sbagliata sia
rilevabile con l'ordinaria diligenza.
La Giurisprudenza dice che se ci sono rischi immediatamente percepibili (percepibili da chiunque e
dunque non serve la competenza esclusiva del Rspp), allora, anche se sbaglia Rspp, il datore di
lavoro rimane responsabile. Perchè?
Perchè la Giurisprudenza vuole salvare il principio di colpevolezza.
Questa è una colpa al limite della culpa in vigilando, ossia non si tratta della colpa per non aver
vigilato sull'operato del Rspp, ma è la colpa per non aver corretto una sua valutazione errata. Ma
quando?
Quando questa valutazione errata si può comprendere con l'ordinaria diligenza.
Ad es il sistema anticendio non è a norma, perchè è di 20 o 5 anni fa e ha dato un principio
d'incendio più volte. Se Rspp tranquillizza il datore, la Giurisprudenza in questo caso ha più
difficoltà ad esonerare il datore. Altri hanno fatto delle segnalazioni, come il fornitore, che
segnalano la necessità di rinnovarlo, mentre Rspp continua a dire che non ce n'è bisogno.
La Giurisprudenza poi si fa influenzare dalla gravità dell'infortunio.
Ad es esplode un incendio gravissimo, il giudice si chiede come ha fatto il datore di lavoro a non
rendersene conto? Nel momento in cui quel rischio era latente da tempo, anche se Rspp non dice
nulla, come fa il datore a non rendersene conto?
Nel caso Thyssenkrupp, oltre ad aver segnalato il problema in tutti i modi all'amministratore
delegato e al datore, in altre società del gruppo Thyssenkrupp in Germania era accaduto già un
incendio di quel tipo senza quei morti. Le compagnie di assicurazione, che provvedono al
risarcimento dei danni, avevano segnalato questo rischio. In questo caso, anche se Rspp
(Thyssenkrupp) avesse rassicurato il datore, come può poi il difensore del datore di lavoro
affermare che il suo assistito non è in colpa se ha avuto tutti questi segnali? Il datore avrebbe potuto
scegliere un consulente diverso o avrebbe potuto chiamare un soggetto terzo per chiedergli se la
valutazione fatta era corretta (evitando l'infortunio).
Qui la vigilanza per i rischi/vizi con l'ordinaria diligenza torna ad essere difetto di vigilanza
primaria. Il datore non ha vigilato, non si è reso conto che il Rspp non lavorava bene nel momento
in cui non ha rilevato o lo rassicura da rischi che con l'ordinaria diligenza sono altrimenti rilevabili.
La vigilanza del datore torna, attraverso questo criterio, ad essere non una vigilanza sull'altrui
rilevazione e basta, ma diventa una vigilanza sull'attività del Rspp che diventa inadeguato/erra.
Quando? Quando se ne potrebbe accorgere anche un soggetto che non è Rspp.
La Giurisprudenza afferma che nel caso in cui Rspp ha sbagliato, la sua valutazione è errata e
dunque è sicuramente responsabile (tornando all'ipotesi del concorso) (Rspp si salva solo se ha
segnalato il rischio e il datore di lavoro non ha provveduto), ma anche il datore di lavoro che, a
fronte di un rischio latente e grave o a fronte della segnalazione aliunde di quel rischio, con
l'immediata percezione non si renda conto dell'errore del Rspp e non provveda altrimenti.
Immediata percepibilità e ordinaria diligenza sono le chiavi di volta. Viene punito il datore.
Quando il Prof ha fatto questi ricorsi la Giurisprudenza gli ha dato torto, motivando che con
l'ordinaria diligenza i rischi erano individuabili. Piva invece è convinto che in quei casi i rischi non
fossero rilevabili con l'ordinaria diligenza perchè è un giudizio che il giudice si forma. Che vuol
dire ordinaria diligenza? La diligenza intanto non è perizia.
La colpa generica in sede penale si può esprimere in tre forme: negligenza, imprudenza e imperizia.
Intanto al datore di lavoro l'imperizia non gliela puoi contestare.
Gli puoi invece contestare la negligenza o l'imprudenza.
La Giurisprudenza si appunta sulla negligenza, ossia con l'ordinaria diligenza il datore avrebbe
potuto rilevare il rischio. Deve trattarsi di un vizio che rileva una persona usando la normale
prudenza, non una perizia specifica. Però quante volte quel difetto si può valutare solo con una
perizia specifica? Qual'è il limite che si può chiedere al datore di lavoro di superare? È troppo labile
e il giudice, alla fine, decide sulla base del caso concreto e questo produce ineguaglianze: un
giudice decide in un modo e un giudice decide in un altro.
Quando i ricorsi arrivano in Cassazione, si fa per nomofilachia, ossia la Cassazione dovrebbe
dettare un principio che guida i giudici. Al momento il principio è questo: se il rischio è rilevabile
con l'ordinaria diligenza risponde anche il datore, se invece è rilevabile solo con l'esclusiva
competenza risponde solo Rspp.
È però un'ipotesi più di scuola perchè in tutti i casi d'infortunio in cui si arriva a processo, la
Cassazione ritiene (in realtà lo ritiene già il giudice di fatto e poi la Cassazione annulla i ricorsi)
che con l'ordinaria diligenza il datore poteva accorgersene. La Cassazione ritiene che il giudice di
merito, che ha ragionato in questo modo, abbia rispettato il principio di diritto (della Cassazione).
La Cassazione giudica solo in diritto, ci dice se la sent è giusta o no in diritto, non rimette in
discussione il fatto.
Cos'è successo, qual'è il rischio, qual'è stato l'infortunio e chi non l'ha rilevato è un giudizio già
compiuto nei due gradi precedenti e quando arriva in Cassazione, questa ci dice solo se il principio
di diritto è stato correttamente applicato. Nelle massime dice praticamente sempre di si, ossia il
datore può rispondere perchè nel caso di specie il giudice di fatto ha ritenuto, con una motivazione
congrua, che ci sia la possibilità di rilevare quel rischio con l'ordinaria diligenza.
La Cassazione non si mette a sindacare o meno perchè quello è un giudizio di fatto.
Se il giudice di merito non si è posto il problema, la Cassazione annulla la sentenza perchè il
giudice non ha applicato il principio e rinvia chiedendo di applicarlo (il principio) e vedendo se il
datore è responsabile.
Di solito si arriva con giudizi di merito dove il datore è dichiarato responsabile, Piva propone il
ricorso per chiedere alla Cassazione di vedere se il principio è sbagliato, il giudice di merito non
l'ha applicato quello dell'ordinaria diligenza perchè questo difetto (quello del caso in questione)
non rientra nell'ordinaria diligenza. Per di più l'ordinaria diligenza è un concetto sfuggente e la
Cassazione ha gioco forza nel rigettargli i ricorsi.
Alla fine il datore di lavoro deve essere molto abile nello scegliersi Rspp, vigilare sul suo operato e
anche nel controllare la sua competenza con un consulente ad hoc e, quando ha dei sospetti,
chiedendo un altro parere. Il datore non può mai dimenticare la sicurezza, nemmeno quella che
richiede una competenza specialistica qualificata perchè c'è il rischio che possa rispondere per poter
rilevare il rischio con l'ordinaria diligenza.
Il datore potrebbe provare in giudizio che ha effettuato tutta una serie di controlli ed è stato
diligente, ma chi glielo assicura il proscioglimento?
Però sono rischi di responsabilità oggettiva perchè il datore è il garante, è il vertice, è il dominus
che si giova della prestrazione altrui, che fa profitto.
Quindi per essere esente ci deve essere un caso straordinario, sono pochissimi i casi in cui il datore
non risponde anche davanti ad un Rspp incompetente o che ha sbagliato.
Pensiamo poi ai casi in cui ci sono errori nella sicurezza incomprensibili al datore di lavoro dove
effettivamente si potrebbe dimostrare l'assenza della sua colpa ed errori più facili da individuare,
magari ripetuti che invece fanno pensare ad una non vigilanza del datore visto che ci sono rapporti
continuativi con Rspp.
È facile contestare con il senno di poi, ma il senno di poi in sede penale non si dovrebbe mai
utilizzare perchè il giudizio di colpa non si può formare sulla base di quello che è avvenuto ex post.
Il giudizio di colpa si deve formulare con una prognosi postuma: prognosi perchè il giudice si deve
mettere dal lato del soggetto agente quando ha agito o non agito, postuma perchè lo fa il giudice
dopo. Il giudice si deve chiedere: se fosse stato al posto del datore di lavoro, avrebbe avuto la
possibilità con l'ordinaria diligenza di rilevare quel rischio. Non oggi che il rischio si è rilevato
gravissimo e c'è l'infortunio, ma prima. Il datore aveva il potere-dovere di correggere?
Se la risposta è no. La responsabilità è oggettiva, incostituzionale.
In questo caso sarebbe responsabile solo Rspp o nessuno.
Altrimenti se riteniamo responsabile un soggetto che non ha colpa, non facciamo giustizia ma
ingiustizia. Alla tragedia (morte o lesione) sommiamo ingiustizia (far rispondere senza colpa).

Riassumiamo. Tre soluzioni:


1.(soluzione più lasciata al passato)Risponde sempre e comunque solo il datore di lavoro. Rspp mai
perchè è un consulente che non ha poteri e resta solo la responsabilità contrattuale e disciplinare.
Rspp non risponde penalmente.
2.Il Rspp ha commesso un errore e posto in essere una condizione essenziale, il datore non ha
provveduto perchè lui non ha segnalato. C'è concorso. Il datore è il garante, ma il Rspp non l'ha
messo in condizione.
3.Solo Rspp risponde perchè lui ha sbagliato (soluzione che si applica pochissimo), salvo il limite
dell'immediata percepibilità/dell'ordinaria diligenza. Questo era il limite anche del controllo del
datore di lavoro e del dirigente sul progettista, fabbricante, installatore ecc. Può essere l'unico
criterio, che non è sbagliato, ma attuarlo è difficile, avere certezza del diritto è difficile. L'ordinaria
diligenza non è una regola scritta, ma che il giudice ricostruisce dopo, a fatto avvenuto (il giudice a
fatto avvenuto ti dice se sei stato diligente o meno).
Blaiotta afferma che il giudice tiene il suo ruolo più delicato quando ha di fronte casi di colpa
generica perchè è il giudice il vero creatore della regola, questa non è scritta. Che vuol dire essere
prudente? Il giudice poi dirà che il soggetto è stato prudente o imprudente perchè...
ma te lo dice il giudice dopo. Quindi il giudice diventa protagonista, ma in sede penale il giudice
non dovrebbe mai creare la regola, semmai constatare/dichiarare una regola che già c'era.
Qual'è il rischio? Il senno di poi...che la regola di prudenza il giudice possa crearla dopo. Prima non
c'erano sentori e si sta attribuendo al soggetto una responsabilità per colpa oggi sulla base del post,
mentre il soggetto se la colpa ce l'ha è ex ante. Ciò avviene ancora di frequente.
Il datore quindi è esposto al rischio di responsabilità oggettiva.
Questo rischio viene meno nei rapporti con Rspp? No, neanche nel caso di erronea valutazione con
esclusiva competenza. Anche il principio di affidamento trova un limite.

Il principio di affidamento dunque trova due limiti:


– la colpa organizzativa del datore di lavoro, se il datore è in colpa di suo non si può affidare,
ha scelto male, non l'hai controllato e non puoi dire che ha sbagliato;
– l'ordinaria diligenza, il limite dell'immediata percepibilità.
(*in questo caso il nesso causale è facile da accertare: il datore di lavoro non ha provveduto e il
morto c'è perchè non ha provveduto.
La sua omissione è causale, il problema è nell'accertamento della colpa.
Se Rspp avesse segnalato, il datore avrebbe provveduto e l'infortunio non ci sarebbe stato. Rspp
pone in essere un contributo causale rilevante. Però se il datore avesse provveduto, l'infortunio non
ci sarebbe stato. Quindi anche lui ha posto in essere un contributo rilevante. Il problema non è
causale, ma soggettivo/di colpa).
(*l'art 113 cp produce un'estensione dell'incriminazione perchè non punisce solo chi realizza
l'evento, ma anche chi coopera alla realizzazione dell'evento. Non punisce solo il garante che ha i
poteri, ma anche chi non l'ha messo in condizione di.
Il problema è quando superare l'art 113 cp e attribuire gli artt 589 e 590 cp solo al Rspp.
Qui il problema è che Rspp non è garante perchè non ha i poteri, però ha un colpa esclusiva.
La Giurisprudenza non c'è arrivata a questo punto (l'esclusiva responsabilità del Rspp), invece
arriva al concorso. Il datore di lavoro però rischia, anche nel concorso, una responsabilità oggettiva
incostituzionale. Ecco perchè fin dall'inizio del corso abbiamo detto che il nostro faro è l'art 27
Cost, lo troveremo tante volte come formula di chiusura o oggetto di violazione implicita/occulta,
ma c'è).

Le responsabilità che abbiamo visto fino ad ora sono responsabilità a titolo originario, ma queste
si possono spostare attraverso uno strumento che si chiama delega di funzioni.

Lezione 2 Novembre,

DELEGA DI FUNZIONI

Un istituto che prevede che un soggetto attribuisca qualche compito/funzione ad un altro.


Un soggetto, titolare di una funzione, la trasferisce ad un altro soggetto.
È una tematica connessa ai soggetti che hanno degli obblighi:
-il lavoratore → art 20 d.lgs;
-il datore → art 17 indelegabili e art 18 d.lgs;
-il dirigente → art 18 d.lgs secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite;
-il preposto → art 19 d.lgs;
-il medico competente → art 25 d.lgs;
-Rspp → art 33 d.lgs.
Tutti questi soggetti hanno sanzioni per inosservanza degli obblighi, tranne Rspp.
Se questi soggetti li studiamo in relazione agli obblighi è evidente che la delega di funzioni è
istituto prossimo alla soggettività, alla reità attiva, a chi deve rispondere perchè quegli obblighi
saranno le nostre funzioni che si trasferiscono ad un altro soggetto.
La delega è l'istituto principe che consente di spostare questi obblighi da un soggetto ad un altro.

Quello che abbiamo visto fino ad ora attiene all'assunzione di obblighi a titolo originario (ex lege).
I soggetti sopra hanno quegli obblighi ex lege e non hanno bisogno di nomine o deleghe, salvo il
preposto che deve essere individuato. Però abbiamo detto che, anche se non individuato, il preposto
è responsabile ex art 299 d.lgs, quindi se è un preposto di fatto (abbiamo datore/dirigente/preposto
di fatto).
Questi sono tutti soggetti che non hanno bisogno di essere investiti di obblighi, tranne il medico
competente e Rspp che devono accettare l'incarico. Non ci sono medici competenti e Rspp di fatto.
Accettano l'incarico e rispondono di quegli obblighi.
Sono tutti soggetti titolari di obblighi e quindi di funzioni.
Determinati obblighi/funzioni possono essere trasferiti da un soggetto titolare ex lege, a titolo
originario, ad un altro soggetto che ne diviene titolare a titolo derivativo.
Per effetto della delega. Se e in quanto delegati.
La delega diventa la fonte costitutiva dell'obbligo del delegato, mentre è la legge la fonte
costitutiva dell'obbligo dei soggetti a titolo originario.

Che differenza c'è tra obblighi e funzioni?


Perchè l'istituto si chiama delega di funzioni? E non di obblighi?
L'art 27, 1 co, Cost principio di personalità significa corrispondenza tra poteri-doveri.
Quindi quando la delega trasferisce al soggetto l'obbligo, deve trasferirgli anche il potere. Dunque si
chiama delega di funzione. Funzione significa potere-dovere.
Se un soggetto trasferisce una funzione, vuol dire che trasferisce poteri-doveri.
Dobbiamo però fissare bene la differenza tra responsabilità a titolo originario e a titolo derivativo
perchè solo chi ha una responsabilità a titolo originario può trasferire, a certe condizioni e limiti,
quelle funzioni ad un soggetto che non le ha. Altrimenti non è delega di funzioni.
Ad es se il datore di lavoro nell'organigramma aziendale indica i dirigenti e li nomina, sono
dirigenti ai effetti della sicurezza tutti coloro che organizzano e vigilano indipendentemente dalla
qualifica giuslavoristica. Sappiamo che i dirigenti da contratto sono anche dirigenti 81, ma non è
necessariamente vero l'inverso. Quando il datore individua i dirigenti, ad es le responsabilità
organizzative delle singole unitè d'impresa (non le unità produttive) come risorse umane o
finance/bilancio o marketing o comunicazioni o relazioni istituzionali, se il datore dice a capo delle
unità aziendali c'è un dirigente 81/08 (lo sta individuando) non sta trasferendo funzioni.
L'atto con il quale il datore nomina il dirigente è un atto informativo attraverso il quale il soggetto
sa di essere dirigente 81/08, lo sarebbe anche di fatto, e che ha, in virtù di ciò, degli obblighi
derivanti dalla legge art 2, lett d e art 18 d.lgs.
L'efficacia di questa nomina dirigenziale è un'efficacia dichiarativa (non costitutiva).
Vale sia per il dirigente che per il preposto art 18, b-bis, d.lgs. Ad es i capi delle singole unità
aziendali sono tutti preposti 81/08, che hanno un potere-dovere di sovrintendere, di controllare, di
prendere l'iniziativa, ma questa qualificazione del datore è solo un atto che dichiara una
responsabilità che ci sarebbe comunque.
La delega è tutta un'altra cosa. Ha efficacia costitutiva.
La delega pone in capo ad un soggetto obblighi che altrimenti lui non avrebbe a titolo originario.
È una distinzione molto importante dove tanti sbagliano perchè si qualifica nella pratica un atto
come di delega quando invece non lo è oppure lo si costruisce in violazione dei suoi precisi requisiti
di legge.
La delega di funzioni è l'istituto più importante del diritto penale del lavoro perchè della delega del
decreto 81/08 si serve la Giurisprudenza anche in altre materie. È un principio generale. Si tratta
dell'applicazione particolare di un principio generale del d.lgs 81/08.
Ogni volta che un reato è connesso all'esercizio di funzioni, che vengono trasferite da un soggetto
ad un altro (che li acquista a titolo derivativo), la Giurisprudenza per individuare i requisiti della
delega fa riferimento ai requisiti dell'art 16 d.lgs. Lo fa in materia ambientale. La stessa delega del
decreto 81 si può utilizzare a presidio di inquinamenti, scavi illeciti, immissioni in aria di sostanze
dannose per l'ambiente o per la salute. Si può trattare di funzioni che passano da un soggetto ad un
altro tramite un atto che non è disciplinato nel TU ambientale (d.lgs 152/2006).
Il Tu ambientale non ha una norma sulla delega, la Giurisprudenza però riconosce ampliamente
l'efficacia della delega nel settore ambientale, ma la riprende dall'art 16 d.lgs.

La delega di funzioni esisteva anche prima del decreto 81/08.


Qual'è antecedente storico del decreto 81?
Il d.lgs 626/94. Tutto abrogato nel 2008.
Il decreto 626 non prevedeva in positivo una disposizione sulla delega come l'art 16 e art 17 del
d.lgs 81.
Gli artt 16 e 17 d.lgs sono articoli sulla delega nel decreto 81.
Prima nel decreto 626 non c'era una disposizione ad hoc sulla costruzione della delega.
Preesisteva la stessa regola dell'art 17 decreto 81, ossia sono indelegabili i due obblighi del datore,
la nomina del Rspp e la valutazione dei rischi. Una delega di questi obblighi era nulla.
Testimonianza del fatto, diceva la Giurisprudenza, che tutti gli altri obblighi sono delegabili.
La delega dal '94 al 2008 è stata un istituto di creazione giurisprudenziale, ossia la Giurisprudenza,
partendo dalla legge che ne riconosceva implicitamente la rilevanza, osservava che non c'era in
positivo la costruzione di requisiti per la delega se non attraverso un'elaborazione giurisprudenziale.
Quando nel 2008 arriva l'art 16 d.lgs, il Legislatore riprende l'esperienza giurisprudenziale che si è
sviluppata in materia di sicurezza sul lavoro.
Il Legislatore fa tesoro dell'esperienza giurisprudenziale e sceglie di prendere molto da essa, ma
non tutto.

Prima del 2008, quando si presentavano deleghe nei processi, la Giurisprudenza della Cassazione
(da gli indirizzi) assumeva un indirizzo molto rigoroso sulla delega di funzioni: in teoria si possono
delegare le funzioni (implicitamente), però in pratica bisogna superare talmente tanti
paletti/requisiti, che nel caso di specie in sostanza l'efficacia della delega non veniva mai
riconosciuta. Mancavano sempre alcuni di questi requisiti, ma non erano scritti da nessuna parte
perchè erano di creazione giurisprudenziale.
1.Il primo requisito della Giurisprudenza ante 2008 era l'atto scritto.
Se si vuole produrre una delega intanto bisogna farlo con atto scritto, altrimenti il datore di lavoro
non può chiedere al giudice di riconoscere l'efficacia a deleghe verbali, organizzative, implicite
nell'organizzazione.
2.Il secondo requisito richiesto dalla Giurisprudenza era la necessità aziendale dell'atto di delega.
Selezionava tantissimo.
Il giudice penale sindacava ex post le scelte imprenditoriali e si chiedeva se quella delega fosse un
pretesto del datore di lavoro per liberarsi dagli obblighi e dalle responsabilità o avesse una
giustificazione nell'organizzazione aziendale.
Ad es si guardava al tipo di attività, alle dimensioni, all'organizzazione ramificata a livello
territoriale, ci si chiedeva se era necessaria questa delega? C'era il requisito della necessità
aziendale, ossia adeguatezza oggettiva della delega (la delega è adeguata oggettivamente a
quell'impresa?).
Era un requisito che consentiva al giudice di dire no, non è efficace la delega perchè era il giudice
che si sostituiva ex post indebitamente alle scelte dell'imprenditore, la Cassazione è giudice di
diritto e affermerà che, essendo una valutazione di merito, la compie il giudice di merito.
Se il giudice di merito ritiene che quella delega è un pretesto, non è giustificata, la motiverà e la
Cassazione non potrà fare nulla. Per questo molte deleghe non venivano riconosciute.
3.Le dimensioni dell'impresa.
Scattava una presunzione di inadeguatezza dell'incarico nelle imprese medio-piccole.
La Giurisprudenza è piena di massime che dichiarano che la delega può valere solo nelle imprese di
grandi dimensioni. Anche dietro questo requisito però si nascondeva una libertà del giudice di non
riconoscere la delega perchè quando l'impresa è di grandi dimensioni? Quando medie? Quando
piccole? Si può fare riferimento al fatturato, si può fare riferimento al numero di dipendenti, ma si
comprende benissimo che anche un'impresa che non abbia un grande fatturato o tanti dipendenti
può avere l'esigenza, ad es per la specializzazione di competenze, di dover delegare.
Le grandi dimensioni dell'azienda era un requisito dietro al quale la Giurisprudenza celava un
pregiudizio sulla delega e faceva fuori tutte quelle medie e piccole. Però poi era il giudice, ogni
volta, che stabiliva se quell'azienda era piccola, media o grande (salvo i grandi gruppi, le
multinazionali, le aziende a partecipazione statale che grandi sono, per il resto il giudice aveva un
margine d'azione molto ampio).
Passiamo ai requisiti di adeguatezza soggettiva.
4.Il giudice valutava se era adeguata la persona delegata. È stata scelta una persona in grado di
adempiere agli obblighi? La c.d culpa in eligendo. Qual'è il rischio?
È possibile giudicare la persona delegata come inadeguata solo perchè si è verificato l'infortunio.
Ogni volta che nel processo si esibisce la delega perchè c'è stato l'infortunio, il giudice potrebbe dire
che la scelta del delegato è stata sbagliata e si poteva scegliere meglio. Ecco il senno di poi. Ecco il
giudizio che non deve essere ex post, ma ex ante. Il giudice deve fare una prognosi postuma, si deve
mettere idealmente nello stesso momento in cui l'obbligo/funzione è stato delegato. Se la funzione è
stata delegata ad una persona che sembrava avere tutti i requisiti, non si può dire che, per il solo
fatto che ha sbagliato ed ha comportato l'infortunio, c'è culpa in eligendo e la delega è in efficace
perchè non è soggetto adeguato.
Alla inadeguatezza oggettiva, si aggiungeva una inadeguatezza soggettiva.
5. Altro requisito riguardava i poteri, la delega non ha effetti ogniqualvolta trasferisca solo i doveri
e non i corrispondenti poteri (soprattutto poteri di spesa che vanno conferiti in maniera autonoma,
adeguata e senza ingerenze rispetto alle funzioni trasferite).
Molte volte si è parlato di deleghe simulate o di deleghe ineffettive. Perchè?
Perchè al soggetto che delega rimane il potere e trasferisce solo il dovere.
In questi casi la delega, ammesso che abbia superato gli altri requisiti, veniva dichiarata ineffettiva.
6.A provare la delega deve essere il datore di lavoro.
Sposta sul datore il rischio di una responsabilità anche da posizione.
Non è un requisito sostanziale, ma di prova.
Nel processo penale la Giurisprudenza ha sempre ritenuto che a provare la delega deve essere il
datore di lavoro. L'onere della prova di una delega, che questa sia valida ed efficace spetta al datore
di lavoro, il quale deve provare tutti i presupposti che abbiamo visto fino ad ora.
La Giurisprudenza non si è mai accontentata di una prova che non fosse piena, certa e rigorosa.
Una prova che andasse al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il datore doveva dimostrare che la delega fosse scritta, che fosse necessaria in azienda, che l'impresa
fosse di grandi dimensioni, che il soggetto fosse adeguato e avesse ricevuto tutti i poteri. Ogni punto
doveva essere provato in modo pieno e certo. Ogni dubbio sulla prova ricade a svantaggio del
datore che verrà condannato come se non avesse delegato.
Nel processo penale onere della prova che significa?
Anche nelle società si applica questo criterio, ossia che le società, come l'imputato, beneficiano del
dubbio. Nel caso di dubbio va prosciolto. Questa è la regola di giudizio, poi ci possono essere delle
inversioni probatorie nel caso del soggetto apicale. Però se si insinua il dubbio nel caso in cui ci sia
un modello, è stato eluso fraudolentemente il giudice dovrebbe prosciogliere.
Invece qui, nel caso in cui si insinui il dubbio della delega, non bastava la Giurisprudenza, si
chiedeva la prova certa e rigorosa. Per aver il soggetto delegato in modo efficace, doveva provare
in modo certo e rigoroso tutti i requisiti. Altrimenti sarebbe prevalso il pregiudizio che la delega è
un modo per scaricare i doveri/le responsabilità.
Nei processi spesso la delega non compariva proprio, se il datore non riusciva a provarla nessuno si
poneva il problema. Cosa significa onere della prova?
Onere della prova significa che se la prova non emerge il soggetto subisce le conseguenze negative.
Se il soggetto onerato non introduce quella prova, questa non c'è nel processo anche se è una prova
a favore/a discarico (come quello relativo alla prova della delega).
Ma questo orientamento giurisprudenziale è corretto o no?
Qui il Legislatore del 2008 fa un bilancio.
La Dottrina critica.
Qualche Cassazione è più sensibile.
Il Legislatore, nel momento in cui codifica in un TU la materia della sicurezza, non può ignorare la
Giurisprudenza di 14 anni sulla delega di funzioni. Il Legislatore ne disciplina i requisiti positivi e
dovrà scegliere se questi requisiti sono tutti normativi o qualcuno si e qualcun altro no.
Su alcuni di questi requisiti il Legislatore quindi esprime un giudizio di rifiuto/una lontananza, in
particolare sulla necessità aziendale. Nell'art 16 d.lgs non si parla di necessità aziendale, ma è un
atto di volontà del datore di lavoro. Il datore deve rispettare la legge rispetto ai requisiti, ma a monte
la sua scelta è insindacabile.
Il Legislatore fa una scelta di politica legislativa ed elimina dai requisiti della delega la necessità
aziendale e le dimensioni dell'impresa. Toglie quel di più che aveva messo la Giurisprudenza
perchè oggetto di un pregiudizio.
Quindi oggi in tutte le imprese (grandi, medie e piccole) il datore, a sua discrezione e salvo gli
obblighi indelegabili, può ricorrere alla delega.
Nessuno può sindacare la delega del datore prima di arrivare ai requisiti positivi previsti dall'art 16
d.lgs, che il Legislatore ha fatto suoi riprendendoli dalla Giurisprudenza precedente, sono tutti temi
connessi alla ripartizione di responsabilità che deve essere personale.
È questo il criterio che guida il Legislatore art 27, 1 co, cost.

Oggi chi ha l'onere di provare la delega in giudizio?


Chi deve dimostrare che ci siano tutti i requisiti dell'art 16 d.lgs?
Nell'art 16 d.lgs non ci sono elementi che facciano pensare ad un cambio di rotta. Non dice nulla
sull'onere della prova. Parla solo dei requisiti, se non ci sono è inefficace.
Quindi le regole della prova dovrebbero trovare una risposta altrove. Dove?
Nella Costituzione.
Il soggetto imputato si presume non colpevole fino a condanna definitiva.
Allora quando il datore di lavoro è imputato, chi è che deve provare la sua colpevolezza?
Il PM. Il datore di lavoro non deve provare la sua innocenza.
Tra gli elementi da cui dipende la sua responsabilità, c'è o non c'è la delega di funzioni?
Si, certo. Se il datore ha delegato i poteri e i doveri a norma dell'art 16 d.lgs, ha delegato l'obbligo in
violazione del quale si è realizzato l'infortunio (ad es il lavoratore non era formato, c'è una
violazione artt 18, 36 e 37 d.lgs), se il datore ha delegato o no l'obbligo di formazione (può farlo
perchè non è tra gli obblighi indelegabili), questa domanda chi se la deve porre? È possibile che nel
processo non se la ponga nessuno, se il datore non produce la delega?
Per la Giurisprudenza è ancora questo, ma è un principio scorretto per i principi costituzionali.
Quando mi pongo il problema di chi ha l'obbligo della formazione, mi sto ponendo il problema di
chi è soggetto responsabile. Non è possibile prendere un soggetto e dire siccome è datore di lavoro
sei responsabile, salvo che provi il contrario.
È il giudice che deve prendere il soggetto titolare dell'obbligo di formazione.
Allora il datore l'obbligo ce l'ha a titolo originario, ma non è detto che ce l'abbia nel concreto perchè
potrebbe averlo trasferito ad altro soggetto.
Quindi il tema della delega (c'è o non c'è), sempre nel rispetto dei requisiti, attiene a quale
elemento del reato? Alla condotta (= violazione degli obblighi). La condotta è tipica, è rilevante
solo se tenuta in violazione di obblighi. (La delega cosa sposta?)
Però se questi obblighi si spostano, vuol dire che la condotta del delegante non è più tipica.
Ad es se il datore l'obbligo di formazione l'ha trasferito ad un altro soggetto, incarica il capo del
personale di tutta la formazione e il lavoratore si infortunia perchè non è stato formato. L'omissione
di formazione fa riferimento ad un obbligo, l'obbligo d'impedire l'evento attraverso la formazione,
questo obbligo se il datore ce l'ha a titolo originario, ma l'ha trasferito ad un dirigente vuol dire che
la condotta del datore, che non ha formato, non è la condotta che ci interessa, ma la condotta di chi
ha ora quell'obbligo, la condotta del dirigente (delegato).
Ecco perchè è sbagliata la prova a carico del datore. Perchè?
Perchè chi deve provare la condotta? L'accusa, come deve provare il soggetto, il nesso causale,
l'evento e la colpa.
Allora la delega è elemento negativo della condotta.
Pone in essere una condotta rilevante quando il datore non ha delegato l'obbligo, quindi la
condotta = condotta - delega.
Se il datore trasferisce quel potere-dovere, non ha più l'obbligo. Quindi il datore non può più
commettere niente di penalmente rilevante. La delega è elemento negativo della condotta, quindi
elemento negativo della responsabilità.
Se la delega è elemento negativo della responsabilità, chi si deve porre il problema di escluderlo
per punire il soggetto (datore)? L'accusa.
L'accusa deve fornire una prova certa che il soggetto (datore) avesse quell'obbligo.
La Cassazione invece continua a dire: il datore di lavoro mi deve dare la prova che non ce l'ha.
Sbagliato! Non è il datore a dover dire di non essere il soggetto colpevole perchè non esprime più
l'obbligo. È piuttosto l'accusa che deve dire chi ce l'ha e deve fornire prova piena che il datore di
lavoro ce l'abbia. Quindi anche un dubbio sulla delega dovrebbe portare a proscioglimento (perchè
si sta mettendo in dubbio la condotta).
Siccome c'è la presunzione d'innocenza, sappiamo che nel ragionevole dubbio c'è proscioglimento
e non condanna. La Cassazione invece dice che se il datore non prova la delega in modo certo,
questo dubbio è a suo sfavore e lo condanna violando l'art 27, 2 co, Cost.
L'onere della prova della delega, nel diritto vivente, è ancora in capo al datore di lavoro, ma
questo in teoria è un errore perchè contrasta con l'art 27, 2 co, Cost. Quando bisogna spiegare il
perchè: la delega attiene alla condotta, è un elemento negativo della condotta tipica. La condotta
però non è più tipica se ha delegato l'obbligo. Ad es il datore ha trasferito l'obbligo di formazione e
poi il giudice vuole renderlo responsabile perchè non c'è stata la formazione. Allora la delega che
effetto ha? Sempre la delega ai sensi dell'art 16 d.lgs con tutti i suoi requisiti, perchè se la delega
non c'è o non è valida, la condotta del datore è tipica.
Se c'è però questo problema deve porselo il PM, non si può dire che visto che il datore di lavoro non
la prova, allora non ci poniamo il problema: sbaglia il PM a non porselo, ma sbaglia anche il
giudice alla fine nel non porsi questo tema perchè il giudice ha il potere nel processo penale di
introdurre un tema o di assumere un mezzo di prova artt 506 e 507 cpp.
Il giudice penale può dire di avere dei dubbi e chiedersi se il datore di lavoro, in una impresa di
grandi dimensioni, è lui che deve adempiere l'obbligo formativo per 2000 o 3000 persone,
verificando se c'è una delega e di chi è l'obbligo. Anche se il PM se lo fosse dimenticato, il giudice
questo accertamento lo dovrebbe compiere prima di condannare. Sbaglierebbe se condannasse
perchè il datore di lavoro non produce una delega.
Questo però spesso non accade: il giudice continua ad applicare l'onere della prova al datore di
lavoro della delega di funzione. Errore! Perchè attiene alla condotta.
L'ultimo requisito che la Giurisprudenza chiedeva in termini di prova rimane ancora nel diritto
vivente, nonostante sia contrastante innanzittutto con il principio costituzionale della presunzione di
non colpevolezza.
Nella pratica allora, come contromisura, i datori di lavoro sono i primi ad interessarsi del rispetto
dei requisiti della delega, in modo da poterla reperire e produrre.
Tecnicamente il datore non ha un onere della prova, ma un interesse all'allegazione.
Non si può parlare nemmeno di onere di allegazione perchè se si trattasse di un onere vorrebbe dire
che se ce l'ha (la delega?) la produce, ma non è così visto che se non la produce il soggetto (datore),
è possibile produrla aliunde, la può trovare il giudice o il PM.
L'onere è quella situazione che porta il soggetto a subire gli effetti negativi del mancato
assolvimento. Onere vuol dire che se il soggetto non adempie, subisce gli effetti negati.
Oggi si abusa del termine onere. Invece certo che c'è un interesse all'allegazione.
Le prove nel processo penale si costruiscono su iniziativa di parte: il PM chiede quali sono le sue
prove, i suoi testimoni, i documenti che vuole produrre. Qui la difesa del datore la produce già la
delega perchè ha un interesse, a meno che non sia già negli atti. Però questo non vuol dire che se
non la produce la difesa, allora non entra nel processo e il soggetto imputato deve subire gli effetti
della condanna per non averla prodotta (altrimenti avrebbe un onere).
L'imputato non ha alcun onere della prova e neanche un onere all'allegazione.
L'imputato ha il diritto di difendersi, di dire quello che vuole, di non partecipare, di mentire, non è
lui che deve contribuire alla prova della sua innocenza ma è l'accusa che deve dare prova piena
della sua colpevolezza.
Il giudice, al di là dell'opinione pubblica, del grave infortunio e delle vittime che chiedono giustizia,
applicando le regole del diritto, dovrebbe porsi un tema di delega. Semmai motiverà che la delega
non è efficace, che il datore non ha vigilato, ma non potrà dire che non c'è delega perchè non c'è la
prova da parte del datore di lavoro. Questo è un errore!
L'onere della prova della delega ancora la Giurisprudenza la fa cadere sul datore di lavoro, ma salvo
questo requisito che rimane nel diritto vivente, quali sono i requisiti della delega che rimangono?
Abbiamo detto no alla necessità della delega e no alle dimensioni dell'impresa.
Per il resto l'art 16 d.lgs fa una valutazione ed introduce gli altri requisiti, codificandoli e dando una
certezza (che prima non c'era perchè creazione giurisprudenziale). Giudice che trovi, regola che
prendi.
Le sentenze prima dicevano “in teoria avrebbe efficacia”, ma “in concreto manca questo o quel
requisito e quindi non ha un'efficacia” e dunque il datore di lavoro tornava ad essere soggetto
responsabile (si difendeva sul nesso causale e sulla colpa perchè l'obbligo era sempre suo, visto che
mancava la delega. In teoria poteva delegare, ma poi non gli riconoscevano efficacia).

Riassunto requisiti della delega per la Giurisprudenza ante 2008:


– atto scritto,
– la necessità aziendale,
– le dimensioni dell'impresa,
– l'adeguatezza soggettiva dell'incaricato,
– i poteri,
– onere di provare la delega spetta al datore di lavoro.

Vediamo i requisiti della delega che la legge prevede oggi.


Delega si, ma a certi presupposti. Mai sulla nomina del Rspp e mai sulla valutazione dei rischi.
(*a memoria)
Art 16 d.lgs Delega di Funzioni
“1.La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa
con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica
natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla
specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni
delegate.
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
2.Alla delega di cui al co 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.”

Vediamo i singoli requisiti, per poi passare a cosa resta al datore di lavoro dopo che la delega è
valida ed effettiva.
1.Primo requisito è il requisito formale: atto scritto recante data certa.
La delega deve essere fatto con atto scritto, poi la legge aggiunge data certa e deve essere accettata
per iscritto dal delegato.
Quindi la delega è un atto bilaterale, recettizio che produce effetti solo se il delegato accetta.
La delega unilaterale (si trova ancora in giro “Ti dlego a fare questo...”) senza accettazione e il
dipendente che fa quanto chiesto (certo che lo fa è un dipendente) non ha efficacia.
La delega ha efficacia solo se accettata. Il Legislatore è molto formale.
Il conferimento della delega e dell'accettazione possono essere contestuali oppure l'accettazione
può avvenire successivamente, ma in questo caso la delega ha effetto solo quando interviene
l'accettazione (da quando formalmente accettata per iscritto).
La delega deve risultare da atto scritto bilaterale avente data certa.
Perchè il Legislatore insiste sulla data certa?
Ci possono essere difese che divergono quanto alla data di decorrenza dell'effetto della delega ed è
importante risolverlo prima perchè se la data non è certa, la delega non ha effetto.
O la data è certa o non venite nel processo a dire il delegante che la delega ha già effetto, mentre il
delegato che non ce l'ha ancora.
Interesse del Legislatore è quello di stabilire chi è titolare di un obbligo, non quando ci pare, ma
quando si è determinato l'infortunio. L'obbligo può anche essere trasferito dopo, ma ciò che
interessa al giudice è il prima. Ad es è morto Tizio sul lavoro il 3 novembre 2023, il giudice vuole
sapere chi era titolare dell'obbligo il 2 novembre (non dal 4 nov in poi), ossia chi doveva adottare i
dispositivi che domani il lavoratore, non avendoli, determinano la sua morte.
La data certa per la Giurisprudenza è importante perchè occorre stabilire chi è titolare di un
obbligo in un certo momento. Per questo il giudice chiede se la delega ha la data certa.
Come si fa a dare data certa alla delega?
Notaio, autentica notarile. Il pubblico ufficiale attesta che Tizio e Caio si accordano Tizio per
delegare e Caio per accettare.
Anche la Pec. Il datore di lavoro manda per Pec il testo della delega al delegato e il delegato manda
per Pec la sua accettazione (quella che conta per la data).
Pensiamo alla delega verbale, c'è sempre un problema di prova.
Pensiamo alla delega che non ha una data, c'è la delega ma si contesta che abbia efficacia ad es 6
mesi dopo (nelle more dell'infortunio).
Per evitare queste contestazioni la legge dice che la delega vale, ma deve essere risultante da atto
scritto con data certa e accettata. Si tratta di una forma richiesta ad substantiam e non ad
probationem (se la devo provare, la devo provare per iscritto).
Se non c'è l'atto scritto la delega è nulla. È come se non ci fosse.

L'altro requisito è quello della adeguata e tempestiva pubblicità.


Questo requisito è a pena di inefficacia della delega per come scritto nell'art 16 d.lgs?
No, infatti non c'è una lett.f, ma sta al comma 2.
Allora perchè il Legislatore la richiede?
È un obbligo, che non sarà a pena d'inefficacia altrimenti l'avrebbe messo tra i requisiti, ma è
richiesto in modo tale che anche i lavoratori siano a conoscenza della delega. Perchè?
Perchè la delega spostando poteri e doveri, c'è la necessità di sapere chi provvede. Quindi per
segnalazione ed informazione. È il tempo smarrito dell'informazione che può essere fatale per
l'infortunio.
Cosa si potrebbe celare dietro una delega di cui nessuno sa niente in azienda? Non c'è stata
pubblicità, nessuno ne è ha conoscenza.
Potrebbe venire meno l'efficacia della delega perchè non pubblicata? Un indizio di un'inefficacia
della delega?
Ad es nessuno sa in azienda che della formazione si occupa Tizio e dei dispositivi Caio, ma lo
sanno solo il datore e il delegato.
Non c'è pubblicità oppure non è adeguata. Ad es non è esposta in un luogo adeguato a renderla nota
ai dipendenti dell'azienda. Ci vuole un rodine di servizio, una circolare, una comunicazione.
Può anche non essere tempestiva. Ad es il datore ha delegato un anno fa, la pubblica solo oggi.
Quale sospetto potrebbe venire?
Se nessuno dei lavoratori è a conoscenza del fatto che dei poteri e doveri sono stati delegati ad un
soggetto, questi continueranno a fare riferimento al soggetto delegante. Non si tratta di inefficacia
(più un sospetto di inefficacia), anche se potrebbe esserlo perchè potrebbe esserci in sopetto che
manchi uno dei requisiti del 1 co, art 16 d.lgs. Quale? La lett.c) che siano attribuiti al delegato tutti i
poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate.
Quindi il delegante continua ad esercitare i poteri. È una delega ineffettiva.
La delega viene fatta, ma il delegante continua ad esercitare la funzione.
Alla adeguata e tempestiva pubblicità corrisponde un obbligo di legge, non un requisito di efficacia
della delega. Tuttavia alla violazione, in determinati casi (non tutti), dell'adeguata e tempestiva
pubblicità potrebbe corrispondere (è un mero indizio) la ineffettività della delega. Quindi la sua
inefficacia.
Delega di funzioni :
Dal 2008 è disciplinata dall'art 16 d.lgs con dei limiti che erano uguali già dal 1994, i due obblighi
indelegabil,i e requisiti che non erano coincidenti con quelli che la Giurisprudenza prima chiedeva
(più rigorosa). Scompare la necessità aziendale e le dimensioni dell'impresa, rimangono requisiti di
forma e di sostanza. I requisiti di forma sono: atto scritto, bilaterale e avente data certa. C'è poi un
obbligo di adeguata e tempestiva pubblicità, che non è un requisito di efficacia, ma può incidere sui
requisiti di efficacia.

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