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Editing Duemila - Riassunto del manuale.

Filologia digitale (Università degli Studi di Catania)

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Editing Duemila, Capitolo 1

1.1 L’indecisione dell’autore


La rivoluzione antropologica dettata dal digitale ha cambiato la nostra percezione del testo, e la sua
funzione autoriale. Se nel 1900, il testo era rappresentato da autore, curatore redattore, adesso
l’unitarietà dell’autore è messa in discussione. Infatti, i testi nativi digitali hanno cambiato tutto, e
sono proprio questi testi relativamente gratuiti a competere con i costi di un cartaceo. Sono tre le
innovazioni introdotte dal supporto digitale: variabilità, iconicità e interattività. La variabilità è la
possibilità dell’autore di intervenire nel testo in qualsiasi momento, e cambia del tutto la sua funzione e il
rapporto col destinatario del testo.

Il testo digitale può essere modificato in qualunque momento, e l’autore può intervenire anche dopo che
il lettore l’ha scaricato sul proprio device, e correggerlo senza avvisarlo, facendo sì che i due testi siano
anche del tutto diversi tra loro. Le conseguenze di questa mutevolezza sono molto importanti:
all’”ultima volontà dell’autore” si sostituisce una continua correzione, di cui il testo digitale è solo la
manifestazione della volontà. Possiamo quindi dire che esiste solo l’ultima indecisione dell’autore, il
quale non ha più bisogno né dell’editore né del curatore. Il testo che non viene certificato da un editore
non è un testo autorevole, e di conseguenza non lo è nemmeno l’autore. Un testo può essere “salvato”
solo se un editore cartaceo investe in quel testo digitale, rendendolo reale.

L’iconicità è un aspetto che il testo ha sempre avuto, ma che solo col digitale è diventato importante. Si dà
più importanza al documento piuttosto che al testo, tant’è che l’immagine del cartaceo diventa la
validazione della sua autenticità. L’interattività consiste nel fatto che il lettore perde il ruolo passivo di
fruitore del testo, e diventa collaboratore al processo testuale. Il testo diventa collaborativo e
partecipativo, ma perde di autorevolezza poiché realizzato da molti autori, che non si assumono la
responsabilità del testo. Per questi testi instabili, la filologia del 1900 non è sufficiente, ma è necessario
partire dai criteri che la filologia ha messo a punto per i testi cartacei, e testarli su tutto il lavoro che
porta un testo dall’autore al lettore.

1.2L’impronta del curatore


Nel corso del 1900, lo sguardo dell’autore è sempre stato reader oriented, seguendo le leggi del
marketing e che si basa sull’interesse del lettore. Un’editoria di questo tipo rischia di subordinare le scelte
editoriali a quelle del marketing, spingendo verso un maggiore intervento sul testo per renderlo più
interessante per il lettore, e più vicino al suo sistema linguistico. Con l’avvento del digitale, l’autore che
pubblica online non deve seguire le leggi del marketing, quindi l’editoria digitale diventa author
oriented. I filologi e editori seguono in entrambi i casi le fasi del lavoro filologico e editoriale nelle
proprie specificità. Abbiamo quattro fasi: scelta del testo, restauro della lettera, costruzione della
storia del testo e documentazione della tradizione del testo.

La scelta del testo è una valutazione che richiede lo studio preliminare della tradizione manoscritta o a
stampa, ma anche un’analisi ai destinatari dell’opera. È fondamentale che la scelta sia illustrata e
giustificata al lettore nelle note al testo. Il restauro della lettera è una fase molto delicata, in cui il
filologo deve avere chiara tutta la tradizione testuale e individuare gli usi linguistici, stilemi e
distinguere tra questi e gli errori veri e propri. La costruzione della storia del testo è un compito
dell’editore e del curatore, e sarebbe incompleto se le ricerche e gli studi non venissero mostrate al lettore
nelle paperback. La documentazione è tipica delle edizioni scientifiche e critiche, e la documentazione
può essere integrale o parziale della tradizione del testo.

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Il passaggio successivo è caratterizzato da un protocollo che dà la possibilità ai testi pubblicati di


qualificarsi come testi DOC. Il lavoro dell’editore e filologo è questo: fornire delle garanzie al lettore e
stabilire i requisiti minimi, affinché un testo letterario possa essere definito DOC, e possa essere
provvisto di una certificazione che diventa una garanzia per il prodotto. Questo lavoro è ancora più
urgente con Google Books, dove abbiamo testi privi di garanzia e certificazione. Il lettore deve essere
in grado di orientarsi ed essere in grado di sapere come e cosa scegliere di leggere.

1.3Quali testi per quali lettori?


Il cambiamento del mezzo ha cambiato il rapporto di scrittura tra l’autore e il suo testo, e ha introdotto
nuove relazioni tra autore e editore. Un cambiamento era già avvenuto in precedenza con il passaggio
dal libro d’autore al libro di tipografo, che ha comportato un duplice cambiamento nel rapporto tra
autore e testo: soggettivo, perché dall’autografia del libro si è passati all’autografia del testo;
oggettivo, per la sua perdita di autonomia del letterato in relazione al potere della tipografia, cui è
stata richiesta la realizzazione dell’opera. Con la rivoluzione tecnologica digitale, l’autore è di nuovo al
centro: è nuovamente scrittore e impaginatore del suo testo, e può modificarlo come vuole. Il ritorno al
libro d’autore ha permesso a qualsiasi autore la produzione, confezione e distribuzione digitale di un
qualsiasi libro.

L’autore ha ripreso il potere sulla pubblicazione, ma chi sceglie di scrivere senza alcun criterio editoriale,
spesso non viene considerato. Questo accade per tutti, tranne che per qualche fortunato, ripescato da
Wattpad o blog autoprodotti, e succede perché non vi è l’impronta dell’editore che garantisce il testo.
Il problema è la mancanza di collaborazione tra autore e editore, tant’è che, dopo un iniziale interesse per
il mezzo digitale, gli editori si sono subito raffreddati dinanzi al crescente numero di supporti di
lettura. Nonostante i progetti di edizioni scientifiche abbiano proposto modelli ecdotici vari, nessuno di
questi è stato adottato da un editore di catalogo, aumentando la differenza tra un’editoria digitale
molto raffinata, e una cartacea che non va oltre l’ebook.

Quest’inerzia del mondo editoriale, e la scarsa collaborazione con un’editoria scientifica universitaria
molto attiva, può essere spiegata con la difficoltà nello stabilire un nuovo rapporto di lettura. I dati
sulle vendite degli e-book hanno mostrato una lenta diffusione, ma non abbiamo dati per quanto
riguarda il supporto utilizzato. Scaricando un’applicazione è possibile leggere sul computer, o
smartphone, strumento più diffuso e versatile. Progettando il device, è stato necessario pensare ad una
visualizzazione in grado di sviluppare un nuovo “rapporto di lettura” che fosse facile da consultare, e
permettesse la visualizzazione di due livelli di testo contemporaneamente.

Abbiamo dei criteri per verificare l’attendibilità di un sito digitale, e questi sono composti da cinque
brevi domande che dobbiamo porci. Il primo è l’autore, e il testo dovrebbe dichiarare la responsabilità
dell’autore per evitare il plagio; abbiamo poi il titolo del testo che può variare in base alle edizioni, e
l’edizione; il testo dovrebbe indicare i criteri di marcatura dei testi, e il layout deve essere user
friendly, rendendo l’edizione sostenibile e usabile. Questi parametri ci permettono di classificare i testi in
base al livello di soddisfacimento e di affidabilità. Il livello più basso è detto fast food, quando non
junk food, in cui vengono specificati solo titolo e autore, mentre il livello massimo è detto Digital
Scholarly Editions, che soddisfano tutti i requisiti. Tra il livello più alto e quello più basso abbiamo i
portali generali, come il corpus di testi della biblioteca digitale italiana. Il corpus nasce come luogo di
studio piuttosto che di lettura o consultazione rapida.

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Capitolo 2

2.1Testi da leggere
Autori, curatori e editori non sono più visti come garanti per i testi del mondo digitale. Questo accade sia
per gli scholarly texts sia per i reading texts. Il lavoro di selezione e interpretazione, che un tempo
era affidato al curatore-filologo, adesso spetta all’utente, che non ha le competenze adatte per farlo. Il
concetto di affidabilità in rete è inaffidabile, e abbiamo diversi gradi di affidabilità che vanno dal più
basto, testi inaffidabili, al più alto, testi ad alta affidabilità. I fake texts/testi inaffidabili sono edizioni
non dichiarate e non verificate, in cui troviamo trascrizioni di testi di cui non abbiamo informazioni
sulla provenienza, affidabilità della fonte, e su come è avvenuta la trascrizione. Dalle edizioni digitali
inaffidabili spesso vengono ricavati testi a stampa: editori sprovveduti preferiscono ricavare il testo
dalle edizioni digitali esistenti piuttosto che ricavarlo da edizioni cartacee affidabile.

I testi a media affidabilità sono edizioni dichiarate, ma non verificate. Sono edizioni con errori nella
digitalizzazione, o acquisite tramite un sistema OCR, che spesso dà un riconoscimento fallace, e che
dovrebbero essere riviste con la regola Castellani, quindi controllando la trascrizione parola per
parola. Abbiamo poi altri testi a media affidabilità, che sono edizioni dichiarate, verificate ma
sbagliate. Queste sono edizioni dichiarate, ma sbagliate, ovvero tratte da testi pubblicati prima che fosse
stabilita l’edizione scientifica di quel testo, o pubblicate contro la volontà dell’autore. I testi ad alta
affidabilità sono edizioni dichiarate e verificate. Sono testi dichiarati, verificati e tratti da edizioni
scientifiche digitali affidabili. Tuttavia, si accede a questi portali solo se lo si conosce, perché il sito non è
raggiungibile con una semplice ricerca Google.

Il passaggio dal testo cartaceo al digitale ha reso più fragile la vita dei testi, soggetti a modifiche,
interventi, manipolazioni, e ha modificato la loro vita di relazione. La vita di un testo nell’editoria
cartacea non era isolata. L’impronta dell’editore si era mostrata nella cura della forma dei testi, nella
struttura, nel dialogo con altri testi, cose che adesso stanno sparendo. Una conseguenza di ciò è la
scomparsa dei contenitori che hanno permesso ai testi di essere letti come macrotesti, cosa che dava un
sovrasignificato al loro contenuto e forma che era noto anche ai lettori.

È nel 1900 che il rapporto tra autore, editore e curatore si concretizza nella collana e opere in raccolta.
Per gli autori maggiori, oltre collana, abbiamo la scelta dell’immagine in cui l’opera troverà
realizzazione. Questo si verifica per opportunità editoriali, e perché è un momento di autocoscienza,
innescato dal rapporto tra autore e editore. Questo è più significativo per quegli autori che hanno
trovato in un solo editore un interlocutore unico per le loro opere, in grado di condurli ad una visione
complessiva del proprio lavoro fino all’immagine di sé affidata al canone. Il processo di costruzione
del testo e identità autoriale è costituito da tre momenti: riflessione dell’autore sul suo testo;
interazione con gli editori/curatori; sintesi di compromesso o imposizione, che porta i testi di un
autore alle opere in raccolta, conducendo alla canonizzazione.

Il canone è fortemente influenzato dal marchio dell’editore, che individua un vettore di normalizzazione
dell’opera sotto tre aspetti: ordine cronologico, veste testuale sincronica e prevalenza del progetto
sul documento. L’ordine cronologico è la prima normalizzazione, ed è costituita dalla presentazione
delle opere di un autore in ordine cronologico, che spesso viene conservato. In realtà, molto più spesso, il
curatore postumo è costretto a modificare l’assetto cronologico, poiché, tra un progetto e la
scomparsa dell’autore, sono intervenute opere nuove, o recuperate dal passato. Una conseguenza è
che avremo tutte le opere non postume in ordine cronologico, e quelle successive al piano dell’opera
saranno sincronizzate al momento della stesura.

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La veste testuale sincronica è la seconda normalizzazione. Nella pubblicazione dei testi classici del
1900, se la struttura è diacronica, spesso la lezione è sincronizzata sull’ultima stampa. Dunque, mentre
i testi seguono l’ordine cronologico, la loro lezione corrisponde all’ultima volontà dell’autore. La
prevalenza del progetto sul documento è la terza normalizzazione. Qui si privilegia il progetto
astratto piuttosto che il singolo documento, la ricostruzione di una struttura d’autore piuttosto che la
realtà storia delle edizioni realmente pubblicate. Così facendo, però, si sacrificano nel piano dell’opera
le prime edizioni rispetto alle ultime.

Se la rete è il regno del testo fluido, non è più necessario avere un redattore/curatore, che di faccia
garante della veste editoriale del libro digitale, della sua correttezza, e della conservazione di
questa veste per i lettori futuri. In rete troviamo testi non curati di autori di cui ci si prende cura in
veste cartacea; fuori dalla rete troviamo autori che non si prendono cura dei loro testi, e che non
riflettono sulla forma con cui consegneranno la loro opera al futuro, che non hanno più il momento
autoriflessivo, innescato dall’editore. La ricchezza che la rete offre è lo spazio virtuale per la
pubblicazione dei testi: la carta costa, ma la rete costa meno. Quindi, se i testi sulla cara devono essere
sintetici e abbreviati, in rete i testi possono essere pubblicati senza risparmio.

Se nell’era analogica abbiamo dei vettori di normalizzazione, ora abbiamo vettori di differenziazione,
che rischiano di far perdere il nesso unitario. La prima conseguenza è data dal fatto che il filologo, che
prima ricostruiva e sceglieva un’edizione, ora è sempre meno spinto a farlo, preferendo la
presentazione di tutti i testimoni piuttosto che una selezione. Anche l’apparato ha subito una
rivoluzione dovuta all’introduzione del testo digitale. Se l’apparato nasce per questioni di spazio, ora che
i testimoni si trovano già in rete o possono essere pubblicati, l’apparato non è più necessario. Prima della
sparizione dell’apparato, bisogna preoccuparsi del fatto che quello che potrebbe essere cancellato è il
testo critico. I tre elementi che erano di normalizzazione ora sono di differenziazione.

L’ordine cronologico viene mantenuto, ed enfatizzato dalla possibilità di riprodurre tutti i documenti.
Questo fa la possibilità do leggere le prime edizioni rispetto all’ultima, e ricostruendo l’iter cronologico
dei testi rispetto alle opere in raccolta. La veste testuale diacronica è il secondo elemento di
differenziazione. Se il filologo non deve più scegliere, anche la vesta testuale diventa diacronica, perché
offre al lettore la gamma completa delle variazioni del testo nel corso del tempo. Questo ha il vantaggio
di mostrare le variazioni, ma di aggiungere all’ultima volontà dell’autore, la prima e tutte le seguenti. La
prevalenza del documento sul progetto è il terzo fattore. La possibilità di pubblicare in rete tutti i
testimoni di un testo rende il progetto meno praticabile. Adesso le varianti dei vari documenti sono le
edizioni. Google metterà in rete tantissimi testi, e permetterà di accedere alle prime, seconde e terze
edizioni, e sarà compito del filologo capire e far capire quale testo si legge.

2.2Testi da studiare
Nessuno potrebbe pensare di sostituire la cura del testo con una presentazione di tutti i suoi testimoni,
come se il lettore potesse evincere da solo i criteri per mettere in relazione i vari testimoni, e ottenere da
autodidatta una competenza testuale e filologica. Ogni testo richiede una cura particolare per
poterlo consegnare ai lettori, sulla carta o sul web. Il punto non è se l’informatica e il web siano un
pericolo per la filologia, ma quale filologia vogliamo fare sul web, se author oriented o reader
oriented. Non è stato semplice avvicinare i filologi al mondo digitale: se il loro obiettivo è la
costituzione del testo, l’ambiente digitale è sembrato il meno adatto fin da subito. Per il filologo
analogico, un’edizione digitale è un’edizione cartacea che ha a disposizione uno spazio illimitato; può
disporre l’apparato in sincronia col testo, e può avere più marcatori rispetto all’edizione cartacea.

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Il rapporto tra informatica e filologia è differente. La filologia digitale non è solo una filologia cartacea
sul web, ma è un ripensamento del testo. Le innovazioni dell’ecosistema digitale sono: la variabilità
del testo, piuttosto che la sua invariabilità per la possibilità dell’autore di intervenire su di esso in ogni
momento; l’iconicità, per l’ausilio dei marcatori cromatici e per il dialogo costante con l’immagine; e
l’interattività, per la possibilità da parte del lettore di collaborare alla sua ricezione. Le perplessità dei
filologi riguardo al mondo digitale hanno iniziato a venir meno, quando ci si è accorti che una versione
digitale di un’edizione scientifica permetteva di utilizzare strumenti per la sua rappresentazione, e
di farla conoscere in forma più ampia che con altri mezzi di trasmissione.

Le edizioni scientifiche digitalizzate non sono le edizioni scientifiche digitali. L’edizione


digitalizzata non differisce da quella cartacea per il supporto, e può essere convertita in quella cartacea
senza perdita di dati essenziali. L’edizione critica digitale non può essere convertita in una edizione
critica cartacea, perché perderebbe gli elementi di interattività e dinamicità che sono la particolarità
dell’edizione stessa. Dipendente da quest’ecosistema è l’edizione paradigmatica, che contiene più testo
di quello mostrato, e ha tanti outputs, dove ognuno di loro presenta una differente combinazione di
frammenti di testo.

La rivoluzione digitale e la riproducibilità dei documenti e testimoni hanno prodotto due movimenti
uguali. Il primo privilegia un testo fluido e mobile, che si avvicini alla fluidità del testo in rete, e si
contrapponga al concetto di testo fisso. L’altro fenomeno ha provocato una prevalenza del documento
sul testo. La conseguenza di ciò è la diffusione delle edizioni documentarie. Queste sono edizioni
iperdiplomatiche per la filologia italiana, in cui il rapporto con il documento trascritto non consente
alcun margine di intervento all’editore. Quello che definiamo prestigio, dato dalla facile
riproducibilità, ha prevalso sul valore del testo, promuovendo edizioni critiche che sono solo delle
trascrizioni di documenti irrelati tra loro, uguali all’originale. Questo toglie all’editore qualsiasi
responsabilità sul testo trascritto, perché la fedeltà al documento è l’unico criterio da seguire.

La centralità delle edizioni documentarie riporta la riflessione sul rapporto tra oggettività e
interpretazione. Questa è una relazione pericolosa, perché la categoria di interpretazione rientra nel
testo digitale con la metadatazione necessaria affinché un testo digitale possa definirsi tale. Questo è
evidente soprattutto con la marcatura TEI, Text Encoding Initiative, standard internazionale. Questo ha
1605 pagine di Linee Guida che ogni utente può modificare, e la difficoltà di sovrapporre più
marcatori sono difficoltà oggettive, che rendono le edizioni digitali complesse quanto quelle cartacee. I
filologi del futuro, detti encoders, hanno un lavoro più complesso rispetto al passato. Infatti, è un lavoro
che diventa sempre più collettivo e partecipativo, basti pensare alle edizioni collaborative, realizzate in
crowdsourcing. Bisogna prestare molta attenzione alle edizioni collaborative aperte a tutti, perché
spesso chi collabora può essere che trascriva per volontariato o passatempo.

2.3Testi da commentare
“Non c’è commento senza testo”, e questo è vero se pensiamo al commento letterario di testi
romanzeschi, che taglia la cronologia in un ambito otto-novecentesco, in cui la nascita e diffusione del
romanzo hanno dovuto confrontarsi con due nuovi fattori. Il primo è la nascita di un’idea di
testo/processo, come superamento di un’idea di testo/dato. Questo è dovuto alla maggiore
documentazione disponibile sui testi, alla diffusione e conservazione degli archivi d’autore, e alla nascita
della critica delle varianti. Il secondo fattore è il ruolo dell’editor, che spesso diventa un filtro non
trasparente, esercitando forme di condizionamento sui contenuti e sulle forme del testo. Questi elementi
portano a considerare il fattore tempo come determinante e ineludibile in qualsiasi riflessione sul
commento.

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Se commentare significa inserire il testo nel tempo, ne consegue che il commento alla prosa della
modernità dovrà farsi carico di ciò sia nella traduzione, che nella presa d’atto dei due fattori, che devono
essere riconosciuti come peculiarità del romanzo moderno, e presi in carico dal commento. Abbiamo
la dimensione processuale del testo della sua evoluzione nel tempo, e quella dell’erosione di
responsabilità autoriale, data dal processo editoriale. Se la dimensione temporale deve essere una
linea guida nell’interpretazione del testo, sarà necessario stabilire quale prospettiva temporale adottare
nel commento. Ne consegue una disamina filologica del testo, prima del commento.

2.3.2Il caso Gadda


I cambiamenti dell’ambiente digitale nella pratica e fruizione del commento trovano in Gadda un
esempio importante, sia per la sua peculiarità, sia per l’uso sempre più diffuso di fonti digitali. Il
commento Carocci viene fornito anche su supporto digitale, pensato per un lettore abituato a leggere su
notebook o Ipad. In questo modo la fruizione diventa più semplice, perché il lettore può tenere aperte il
testo del Pasticciaccio e quella del commento, usufruendo della funzione “Trova” per cercare il
termine annotato e la sua posizione nel testo originario. Questo commento non è stato pensato per essere
letto a commento del testo, ma per essere usato come suo commentario. Il commento è un sussidio al
testo commentato, mentre il commentario è un testo autonomo.

Quest’edizione è sicuramente scritta per un lettore colto, che si avvicina al testo dopo averlo già letto,
per studiarlo e proporre ulteriori percorsi interpretativi. C’è da dire che se si tratta di un lettore
specializzato, alcuni elementi paratestuali sono un po’ contrapposti alle scelte editoriali, come il
cappello introduttivo che precede le note esegetiche in ogni capitolo. Il lettore colto troverà poco utili
questi cappelli; mentre il lettore meno colto, vero destinatario del lavoro, avrà difficoltà a distinguere
l’utile dal meno utile. Due aspetti di questo commento lo proiettano in una dimensione digitale: l’aspetto
iconografico, e la dimensione collettiva della metodologia esegetica.

Manzotti, nella sua edizione al Pasticciaccio, propone quattro fasce di commento, due al piede e due in
fondo al testo. La prima fascia è informativa, e riguarda quelle informazioni utili per una comprensione
del testo nel progredire lineare della lettura. La seconda è costruttiva, e comprende osservazioni di
struttura testuale, di logica e stile costruttivi, e intende aiutare il lettore a cogliere la collisione micro-
testuale, particolarità di Gadda. La terza fascia sono schede personaggi/realia, e comprende
annotazioni di carattere generale, che riguardano la costruzione dei personaggi. L’ultima è costituita
dai materiali visuali, e propone una scelta di questo ultimi: immagini di vario genere che possano
aiutare il lettore ad elaborare mentalmente il testo.

2.4Errori in rete
La percezione che abbiamo dei testi digitali potrebbe partire dai cahier de doléances, o da una
dichiarazione di resa alla diffusione degli errori in rete. Una testualità fluida, non autoriale e ibrida
sembrerebbe la condizione ideale per la proliferazione degli errori, legata all’impossibilità di bloccare
tale fenomeno. La diffidenza e chiusura verso la testualità digitale ha ritardato la presa di coscienza
sulla responsabilità che abbiamo verso i testi che leggeranno le nuove generazioni. Roberto Antonelli
riflette sulla differenza tra testo dato e testo processo. Se al concetto di testo fluido sostituiamo il
concetto di testo-processo, abbiamo una categoria interpretativa adatta a rappresentare ciò che accade
in rete, introducendo il concetto di tempo. Se si cita un testo in rete, bisogna citare la data in cui il testo
era disponibile su quel sito.

Sono testi che in un certo momento della loro esistenza in rete hanno avuto una precisa forma, sono
stati scritti da un preciso autore e caratterizzati dalla loro linearità. La vita delle pagine web che hanno

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un certo testo è una vita effimera, perché le pagine vengono sostituite con altre, che ne modificano il
testo, l’autore e il senso. Il fatto che queste pagine non siano più visibili non significa che non siano mai
esistite, dal momento che si trovano negli storage digitali. Anche per i testi in rete valgono le tre fasi che
permettono di riconoscere ed emendare un errore: riconoscere la forma, distinguere tra un errore e
innovazione, conservare o emendare.

Per riconoscere e rispettare una norma, dobbiamo conoscerla. Internet è il regno delle fake news.
Nonostante ciò, questo dà la possibilità di verificare ciò che prima non era possibile valutare sulla base di
controlli campione. Un controllo più approfondito sui testi aveva fatto scoprire che quegli incisi erano
stati introdotti erroneamente nelle edizioni successive a quella vigilata dall’autore, e si erano riprodotti
fino all’edizione dalla Grammatica. Questo permette di ricostruire la tradizione a stampa del testo, e di
distinguere ciò che è autoriale da ciò che è solo la conseguenza di un pesante editing. Un’indagine
sulla tradizione testuale sarà sufficiente a certificare: la presenza di un’esplicita curatela del testo;
indicazione puntuale della nota al testo dell’edizione seguita; differenze con le edizioni precedenti; elenco
delle uniformazioni e correzioni apportate. Senza queste indicazioni il testo è adiaforo, e fornisce solo una
linea di tendenza.

Distinguere tra errore e innovazione è importante. Attraverso un’enorme quantità di dati abbiamo la
possibilità di riconoscere la stessa norme. Sarà più semplice distinguere tra innovazione, idiotismo, e
un errore, fatto per ignoranza, svarione, o distrazione, svista. Non sarà più possibile distinguere tra
errore, e refuso: non si parlerà più di refuso ma di errore congiuntivo, o separativo. Per riconoscere
abbiamo due condizioni: la prima riguarda l’alfabetizzazione filologica di chi naviga in rete, e la
seconda dipende dal web semantico e dalla rapidità con cui i contenuti digitali saranno apparentati
semanticamente cosicché l’intelligenza artificiale possa usare i big data in maniera selettiva. Se sulla
seconda condizione non possiamo intervenire, sulla prima abbiamo una responsabilità formativa.

Bisogna poi capire se dobbiamo conservare o emendare un errore. La distinzione tra errore e
innovazione comporta la correzione degli errori, e la conservazione degli idiotismi, degli usus
scribendi, delle neoformazioni. In un ‘edizione diplomatica è necessaria la conservazione; in un’edizione
critica l’editore non lascia errori, che renderebbero il testo scorretto. Un’edizione per il lettore deve
essere un testo che conservi tutte le caratteristiche di un’edizione curata scientificamente, senza la
presentazione delle ragioni di questa cura.

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Capitolo 33.1 Manzoni


Il lettore Google non sa distinguere tra edizioni affidabili o meno, e non ha la possibilità di trovare le
edizioni affidabili: Google si basa sul SEO, processo che posiziona ai piani alti i siti che sono più
consultati, e che spesso sono inattendibili. L’unico sito affidabile è Biblioteca Italiana, che non ha una
piattaforma di consultazione indicizzata in SEO. La situazione è simile pure per Wikisource, che è la
variante testuale di Wikipedia. Il progetto è teoricamente perfetto: un portale collaborativo in cui i testi
vengono trascritti, e presentati al lettore in forma sinottica, a sinistra il testo trascritto, e a destra il
corrispettivo digitale. Wikisource presenta delle regole di certificazione dei testi, che presentano al
lettore un diverso status a seconda del grado di lavorazione e affidabilità.

Non tutte le edizioni vengono presentate con il testo cartaceo a fronte, anche se averlo implica il livello
più alto di affidabilità. Quello che è l’anello debole del progetto in realtà è il suo punto di forza: le
edizioni cartacee rendono questo lavoro inutilizzabile dal punto di vista scientifico. Il momento della
scelta dell’edizioni dovrebbe essere vagliato alla luce dei principali contributi filologici sull’autore, la cui
opera si consegna alla collettività a partire dall’autorevole edizione a stampa. Per esempio, se
prendiamo in considerazione Manzoni, in Wikisource troviamo un esemplare della Quarantana e uno
della Ventisettana, nei tre tomi del 1825, 1826 e 1827 con trascrizione a fronte, ma senza indicazione
sulla provenienza del testo usato per la trascrizione. Questo, per la filologia manzoniana, toglie
all’edizione ogni affidabilità.

Al lettore Google restano solo due alternative: il sito Biblioteca Italiana, o una consultazione della
Quarantana di Google Books, che non dichiara la provenienza. Per comprendere i cambiamenti nella
considerazione dei testi digitali, bisogna unire ecdotica e editoria, studi sul testo e tecniche per la sua
edizione, e studi sui modi e metodi della sua pubblicazione. Nonostante il digitale abbia pronosticato la
scomparsa del libro cartaceo, siamo ancora lontani dal definire quel modello un dispositivo superato. Il
problema dell’autorevolezza dei testi, e della mancanza di una certificazione per la loro affidabilità
è imprescindibile per il romanzo digitale, ed è anche colpa del lettore Google. Questi può leggere di tutto
senza distinguere tra buoni e meno buoni, o può essere più interessato alla quantità che alla qualità, e
ciò contribuisce al romanzo Google. Il romanzo Google ha le caratteristiche del testo digitale: è fluido,
instabile, collaborativo e a identità autoriale collettiva.

Abbiamo due problemi che riguardano la presenza di romanzi letterari italiani in rete. Il primo è dato
dallo statuto del genere: nel portale Biblioteca Italiana, la categoria “Romanzo” non esiste. Abbiamo la
categoria Narrativa, che comprende anche testi spuri, o testi che non avevano altra categoria in cui
essere inseriti. La situazione digitale del romanzo manzoniano è critica: la maggior parte degli studenti
legge il romanzo online senza sapere la provenienza, la storia testuale. La situazione è migliorata
grazie al Progetto PRIN, che ha già ottenuto risultati notevoli: questo non è dedicato solo ai testi, ma
anche ai volumi delle tre biblioteche d’autore. La marcatura XML/TEI dei testi permette di individuare i
legami tra testi e volumi della biblioteca, e sarà presente anche la piattaforma Philoeditor, che permette
di visualizzare le variazioni tra Ventisettana e Quarantana.

Una situazione diversa è quella dei romanzi nativi digitali. Con gli anni Zero, si è assistito ad un
aumento dello sperimentalismo nei generi della scrittura dei nativi digitali, passati dai blog alle
fanfiction, alle scritture sui social network, ma nessuna di queste è andata oltre il documento
sociologico, per incapacità di gestione di mezzi e strumenti di narrazione. La novità del mezzo non ha
ispirato un rinnovamento nel genere romanzo, che resta legato alla tradizione dei romanzi di formazione.
I pochi esempi di narrativa digitale sperimentata in rete in quegli anni, si trovano in pagine web che
nessuno aggiorna.

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3.2Leopardi
Lo Zibaldone di Leopardi è un esempio importante per testare cosa si legge in rete quando si vuole leggere
un testo. Se cercassimo su Google “Zibaldone”, al primo posto avremmo il sito del CNSL, che è un sito
autorevole, ma non è una biblioteca digitale, e non riporta la fonte. Al secondo posto abbiamo
Wikipedia, che non riporta il testo, ma l’edizione sì, ed è quella di Carducci. Il terzo sito presenta un
PDF; il quarto è un sito che propone riassunti, ma non testi, e al quinto posto troviamo il testo online,
e l’edizione è dichiarata. In ogni caso, l’unica edizione dello Zibaldone presente in rete è quella di
Biblioteca Italiana, cui si è affiancata quella di Digitalzibaldone.net. Questo è interessante, perché è
un’edizione ipertestuale dello Zibaldone, con marcatura XML/TEI, che permette di leggere il testo
spostandosi nelle varie sezioni richiamate all’interno delle note costruttive di Leopardi, etc.

I testi poetici hanno sempre avuto un posto privilegiato nel mondo editoriale, poiché nessun editor
avrebbe potuto correggere la punteggiatura o le strofe in un testo poetico. La poesia resiste al testo
liquido, ma, nonostante ciò, anche il testo poetico non è immune da attentati compiuti sul testo nel
mondo digitale. Inoltre, le modifiche e varianti in un testo poetico sono molto importanti, quindi
bisogna prestare attenzione. La conquista dello spazio digitale è stata indiscriminata per la prevalenza
della quantità sulla qualità. Anche per i testi poetici vale ciò che si può osservare per i testi letterari: una
proliferazione di testi che non danno garanzia al lettore, tra ciò che legge e ciò che l’autore ha deciso di
indicare come sua volontà.

Un esempio è “A Silvia” di Giacomo Leopardi, di cui troviamo 42.100 risultati. I primi selezionati da
Google riguardano i siti più cliccati dagli utenti in rete, e sono i siti che propongono testi con
commenti e parafrasi. L’esperimento didattico di Oil Project è quello fatto meglio, mentre nel secondo sito
non si dice l’anno di pubblicazione, ma viene citato solo il biennio di composizione. Un altro
problema riguarda il copyright: la soluzione trovata è un compromesso. Infatti, non potendo dare
accesso libero a tutti i testi, si è scelto di rappresentarli nelle edizioni fuori dal copyright. Con Google
Books e le numerose digitalizzazioni di massa avviene la stessa cosa: scegliamo le edizioni più vecchie,
quelle non tutelate dal diritto d’autore, quindi è necessario prestare attenzione.

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Capitolo 4

4.1Testualità e responsabilità
È importante pensare al rapporto tra storia della tradizione e critica del testo. Se da un lato
l’ecdotica porta il filologo a valorizzare la critica del testo, dall’altro la spinta digitale porta il filologo
digitale a valorizzare la tradizione, in tutti gli elementi che si possono rappresentare in forma
diplomatica. La rivoluzione digitale, e la riproducibilità dei documenti hanno prodotto due
movimenti uguali e opposti. Il primo è un movimento centrifugo, che porta a far deflagrare il testo nelle
dimensioni diacroniche e storiche del testo/opera, privilegiando così un testo fluido. Il secondo è un
movimento centripeto, che costringe il testo a riferirsi solo a sé stesso, e ha provocato la prevalenza del
documento sul testo.

Non è un caso che molti progetti, presentati come Edizioni Digitali, si rivelino una serie di oggetti
digitali, legati come in un database, ma senza la fase si recensio, collatio, emendatio, e constitutio textus,
che fa dei testi una vera edizione. Alcune edizioni critiche digitali si presentano come Archivi, ed è
questo il caso del Petrarchive, che è un’edizione critica del Canzoniere, che presenta l’edizione
diplomatica e quella critico-interpretativa. Il Petrarchive si presenta come un tool per presentare la
raccolta petrarchesca e per dare accesso al testo originale di Petrarca. In ogni caso, quest’edizione è
diverso da un’edizione critica e diplomatica, perché è un’occasione di disseminazione della poesia.
Inoltre, presenta una serie di indici, una descrizione delle modalità di organizzazione dei fascicoli,
altre informazione, ma il testo non è completo.

Secondo il White Paper, un’edizione scientifica deve: rendere conto del testo pubblicato; descrivere i
metodi editoriali adottati; rivelare i processi con cui è stata creata e deve mantenere traccia delle
modifiche nel tempo; dimostrare uno standard di accuratezza e coerenza nell’applicazione di un
approccio editoriale particolare; dimostrare l’adeguatezza tra metodologia, obiettivi e tipologia di
testimoni esistenti; contenere un’introduzione o una dichiarazione di politica editoriale; chiarezza delle
scelte tecnologiche adottate; sostenibilità dell’infrastruttura; interoperabilità; aggiornamento
delle interfacce e tutela della proprietà intellettuale.

In un’edizione critica cartacea, il testo è stabilito in base a: analisi di tutti i testimoni della tradizione
manoscritta, e la loro collocazione; individuazione dei rapporti tra testimoni, e definizione di un
rapporto critico. Affinché un’edizione sia critica, è necessario che vi sia: presenza della responsabilità
della curatela del testo, nota con storia del testo, criteri di edizione, elenco delle informazioni e
correzioni; presenza o meno di un apparato. Un’edizione scientifica deve presentare un testo che sia
il risultato della scelta motivata dalla migliore edizione disponibile, di cui venga indicata la fonte con:
luogo e data dell’edizione cartacea di riferimento, identità del curatore e rimando al luogo in cui
nell’edizione di riferimento vengono illustrati i criteri di edizione.

Un’edizione critica digitale dovrà avere: analisi di tutti i testimoni della tradizione manoscritta e a
stampa e la loro collocazione; individuazione dei rapporti tra testimoni, e definizione di un testo
critico. Affinché un’edizione digitale sia critica, deve avere: presenza della responsabilità della curatela
del testo; una nota al testo; presenza o meno di un apparato, la presenza del modello editoriale
utilizzato per la codifica del testo, e una dichiarazione dei metadati e della loro modalità di
conservazione. Un’edizione scientifica digitale dovrà avere: l’indirizzo web dell’edizione di
riferimento, con data della consultazione; identità del curatore; e riferimento al modello editoriale
utilizzato per la codifica del testo, con indicazione dei metadati e della loro conservazione.

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Le difficoltà che si riscontrano nell’analizzare le opere riguardano quattro livelli, che riassumono le
principali problematiche delle edizioni critiche digitali, rispetto a cui è possibile trovare delle soluzioni:
modellizzazione, autoreferenzialità, incompletezza e obsolescenza. Per quanto riguarda la
modellizzazione, non è ancora stato scelto un protocollo editoriale valido e generalmente adottato. Le
edizioni hanno tutte modelli digitali diversi, perché la tendenza è stata quella di usare un modello
editoriale nuovo di volta in volta.

Per l’autoreferenzialità, molte edizioni digitali risultano costruite sulla base delle esigenze dello stesso
studioso. Il problema è che, nella fase di pubblicazione, gli editori non hanno alcun ruolo, ed è per questo
che le edizioni critiche vengono pubblicate su carta: per la mancanza di parametri di riferimento
modellizzanti, e perché non possono essere valutate scientificamente. Abbiamo pochi sistemi di
valutazione, che non sono condivisi da tutti. L’incompletezza è data dalla mancanza di un’impronta
editoriale, da cui discendono i problemi della pubblicazione dell’edizione scientifica digitale. Molti
progetti di edizioni scientifiche digitali, una volta finiti i finanziamenti, rischiano di rimanere
incompleti, e a ciò si aggiunge la variabilità e la deperibilità degli output. L’obsolescenza avviene
quando il server che ospita l’edizione digitale non può più sostenerla.

L’affidabilità e autorevolezza di un’edizione sono legati anche alla sua capacità di durare nel tempo,
e proprio la mancanza di un’infrastruttura istituzionale che garantisca parametri scientifici, affidabilità e
manutenzione è la causa della scarsa fiducia nei confronti delle edizioni digitali. Di recente si stanno
facendo dei passi avanti riguardo a ciò. Un primo passo per la condivisione di protocolli è stato fatto
dal Consortium IIIF. Questo consente di inserire un’immagine digitale in un progetto, ma di utilizzarne
solo i metadati, così da lasciare l’originale digitale nel repository dell’istituzione che conserva il
documento materiale. Tramite l’associazione italiana di umanistica digitale si sta muovendo
qualcosa per far tesoro degli errori compiuti, e sviluppare progetti di ricerca che non finiscono nel
cimitero dei motori digitali.

4.2Una nuova proposta


Peter Shillinsburg è un filologo americano che negli anni ’80 gettava le basi dei rapporti tra gli studi
testuali e il mondo digitale. A metà degli anni ’10 affrontava il problema di una standardizzazione
nella rappresentazione elettronica dei testi letterari, e ora mette al centro della sua riflessione il
rapporto tra testualità e sapere. Spesso è la presenza di prove documentarie ad assicurare la
conoscenza, e la loro assenza non può condurre o sostenere la vera conoscenza. È l’evidence a dettare la
legge di una conoscenza non superficiale del testo, e a distinguerla da altre forme di sapere. Non basta
avere i documenti originali, bisogna avere anche disciplina e un metodo per studiarli. La critica testuale
è la disciplina in grado di offrire un metodo valido per questo studio, e questo vale per tutte le discipline
che si basano sui testi. Infatti, la critica testuale offre un atto di self-examination.

Sulla conservazione delle grafie, la posizione del filologo è molto vicina alle prassi ecdotiche italiane.
Un’idea originale è che i testi siano delle occorrenze comunicative, vista dalla parte dell’autore e
editore, differenziando tra l’opera astratta, e le occasioni in cui l’opera ha preso forma. Non è detto
che le intenzioni del lettore coincidano con quelle dell’editore critico, perché spesso i lettori dell’editore
critico preferiscono un testo agevole, che si oppongo la sua fissità alla fluidità dei testi digitali. Le
proposte del filologo sono molto concrete, per evitare gli errori compiuti in passato e fare della pratica
filologica delle edizioni scientifiche una palestra di formazione per nuovi studiosi.

Sono quattro gli elementi che devono caratterizzare le scholarly edition per suscitare la consapevolezza
testuale dei giovani lettori: fare in modo che si possano consultare facilmente le edizioni scientifiche, e
che siano legate agli archivi degli autori di riferimento; costruire edizioni trattabili in forma interattiva;

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rendere le edizioni collaborative, affinché altri studiosi possano aggiungere nuovo materiale; separare
il testo originario dai contributi esterni, cosicché i testi possano essere preservati in modalità solo testo.
Questo è sicuramente un progetto ambizioso, su cui vale la pena che la comunità scientifica degli
scholarly editors cominci a riflettere.

Il problema principale di questo progetto è che la loro interoperabilità è un obiettivo lontano da


raggiungere, sia per l’incapacità dei filologi e imprese digitali di lavorare tra loro, sia per la marcatura
dei testi: questa riguarda sia la sua standardizzazione, che la sua necessità di essere
mantenuta. La scarsa interoperabilità delle marcature è il maggiore ostacolo alla
sistemazione delle edizioni già esistenti. Per Shillinsburg la soluzione sta nella
semplificazione: l’obiettivo è quello di creare testi con una marcatura minima, cui si
possono aggiungere ulteriori marcature anche in seguito. L’obiettivo di queste edizioni
interoperabili è conveniente per il lettore, e anche per l’editore, perché è molto più
semplice segnalare gli errori, e anche per i tecnici informatici che dovranno
occuparsi solo della conservazione, manutenzione e migrazione del progetto su
nuove piattaforme. Shillinsburg afferma che se non si riuscirà a costruire edizioni
sostenibili, non sarà possibile costruire edizioni scientifiche.

4.3Filologie d’autore digitale


Per parlare del rapporto tra filologia d’autore e ambiente digitale, bisogna
ricostruire il rapporto tra questa disciplina e la critica genetica. Due filologie che
sono spesso state considerate in opposizione, ma che ora lavorano su un terreno
comune. La filologia d’autore risale al 1927, anche se la fondazione ufficiale è
avvenuta un trentina di anni fa. La filologia d’autore è la rappresentazione e lo studio
delle varianti d’autore, e deve muoversi in una prospettiva europea. Nel 2018, l’ITEM
ha costruire una rete di rapporti internazionali per consolidare gli studi di varianti
d’autore nel mondo. Questo ha portato alla nascita di una sezione italiana dedicata a
casi di filologia d’autore. Il metodo per la rappresentazione delle varianti è diacronico
e per fasi, ed è applicato in più edizioni critiche.

La dimensione digitale ha accelerato il dialogo e la necessità di uscire da una


dimensione nazionale per confrontare metodi e prassi ecdotiche. Da circa 10 anni, il
portale filologiadautore.net è consultato da coloro che vogliono avere un primo
approccio alla disciplina.. Il sito è apparentemente semplice, ma in realtà abbiamo
numero insidie filologiche, che possono essere rappresentare solo con il metodo
delle fasi discrete. Questo metodo è quello che garantisce la migliore interazione
tra filologia e critica, perché permette di rappresentare le varianti dal punto di vista
lessicale e sintattico. La costituzione di una rete di relazioni stabili e durature
permetterà una condivisione di pratiche per giungere ad una serie di protocolli
comuni nella rappresentazione di fenomeni testuali simili.

La peculiarità della filologia d’autore è costituita da due elementi fondamentali:


distinzione tra tre diversi livelli testuali, e la rappresentazione sistemica,
quindi diacronica e per fasi. La prima è costituita da diversi livelli: il primo è testuale,
quindi il filologo deve scegliere quale lezione trascrivere e pubblicare; il secondi è
intratestuale ed è costituito da varianti alternative, che rimangono in alternativa al
testo; il terzo è quello genetico, quello delle correzioni, rappresentate in un
apparato separato dal testo, che può essere evolutivo o genetico, e può rappresentare

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le correzioni in modo diacronico e per fasi. Abbiamo un ulteriore livello, che è quello
delle postille, ovvero le osservazioni dell’autore, i suoi autocommenti, etc., che sono
ovviamente separati dal testo.

La seconda peculiarità è costituita dalla rappresentazione diacronica e per fasi


delle correzioni. Questa particolarità è un secondo elemento di differenza con la critica
genetica e con altre edizioni con apparati, in cui questi rappresentano la topografia
delle correzioni. Nella filologia d’autore, l’apparato rappresenta la diacronia delle
correzioni, la genesi delle sue fasi da un prima a un dopo.

Il testo digitale, per le sue caratteristiche di variabilità, molteplicità, iconicità e


interattività, enfatizza la dinamicità e mobilità del testo introdotta dalla filologia
d’autore. Tra i vantaggi di una riproduzione digitale delle varianti manoscritte, vi è la
possibilità di offrire una visione sinottica dei vari testimoni. Tra gli svantaggi
abbiamo il fatto che non è possibile, con la marcatura XML/TEI, catalogare in
maniera differente una stessa variante. Uno studio più approfondito delle
stratigrafie correttorie, utile per identificare le correzioni d’autore avvenute in
diverse fasi temporali e per distinguere le correzioni d’autore e quelle dei suoi
collaboratori, è permesso dalla fotonica, che studia la propagazione della luce tramite
i fotoni che la compongono.

Il filologo, nell’era digitale, unisce la visione diretta del manoscritto a quella


indiretta di riproduzione digitale ad alta definizione, su cui è possibile lavorare
per enfatizzare le correzioni effettuate a matita o a penna. La condivisione di modalità
di rappresentazione dei fenomeni correttori è necessaria per riflettere sulle modalità
compositive che accomunano autori diversi, e sull’esistenza di pattern nella pratica
scrittoria. La filologia cognitiva è la scienza che studia i testi intesi come prodotti
dei processi mentali umani, e combina le metodologie della critica del testo e
quelle della psicologia cognitiva per identificare lo specifico autoriale.

4.4Filologia digitale o Digital Forensics?


La filologia dei testi nativi digitali muove i primi passi su un terreno mobile e
senza rete. Non c’è da stupirsi se in panorama così poco rassicurante si preferisce il
manoscritto alla copia digitata a pc, o spedita via e-mail. La filologia dei testi scritti
negli anni 2000 si avvicina sempre di più alla Digital Forensics, il ramo della scienza
forense che si occupa del trattamento dei dati digitali e recupero dell’analisi dei
materiali, che si trovano nei dispositivi digitali a scopo legale e investigativo. Questa è
divisa a sua volta in computer forensics, che tratta hard disk, DVD, CD, pen drive, e
mobile forensics, che tratta tablet, smartphone- Questa è molto più vicina
all’informatica forense al textual criticism.

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