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Profili storico-giuridici
Francesco Fasolino - Antonio Palma
(a cura di)
Il gioco
nell’antica Roma
Profili storico-giuridici
Seconda edizione
G. Giappichelli Editore
© Copyright 2018 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO
VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100
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ISBN/EAN 978-88-921-1716-7
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Indice V
Indice
pag.
Introduzione XI
1. Premessa 1
2. Tra iocus e ludus … 3
3. … c’è l’azzardo 10
4. Levitas aleae 19
pag.
1. D. 44.5.2.1 53
2. L’ambito oggettivo di rilevanza dell’exceptio negotii in alea gesti: i
giochi proibiti 54
3. (Segue). L’evizione 57
4. Aspetti funzionali 60
5. Profili processuali 62
6. Sui riflessi nel diritto attuale dell’exceptio negotii in alea gesti 64
1. Il fenomeno ludico 81
2. Normativa di età repubblicana 83
3. De aleatoribus 86
4. Scommesse sulle gare atletiche 88
Indice VII
pag.
pag.
3. Le fonti 143
4. Imperatori e munera gladiatoria 146
ANTONIO PALMA
FRANCESCO FASOLINO
Introduzione
1
J. HUIZINGA, Homo ludens, Torino, 2002.
2
A testimoniare l’attenzione della letteratura contemporanea verso la tematica del
gioco vi è un’estesa ed eclettica bibliografia, tra cui si segnala: F. ABBONDANTE, Com-
patibilità fra il diritto comunitario alla libera prestazione dei servizi e monopoli ad Enti
pubblici sull’esercizio dei giochi di sorte o d’azzardo finalizzati alla tutela di interessi generali,
in Dir. pubblico comparato ed europeo, 2000, 292 ss.; S. BELTRANI, La disciplina penale dei
giochi e delle scommesse, Milano, 1999; L. Buttaro, voce ‘Giuoco – I) Giuoco e scommessa –
Diritto Civile’, in Enciclopedia giuridica Treccani, XV, 1989, 458 ss.; C. Campeggiani, C.
Papi, Il sistema di monopolio statale delle scommesse e la sua compatibilità con la normativa
comunitaria in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (art. 43 e
49 CE), in Giustizia civile, 2004, I, 2529 ss.; M. COCCIA, ‘‘Rien ne va plus’’: la Corte di
Giustizia pone un freno alla libera circolazione dei giochi d’azzardo, in Foro italiano, 1994,
521 ss.; ID., Controllo pubblico sui giuochi d’azzardo e principio comunitario di libera
circolazione dei servizi, in Rivista di diritto sportivo, 1994, 729 ss.; M. CUNECA CABEZA, M.
IZAGUIRRE CASADO (a cura di), Ocio y juegos de azar, Bilbao, 2010; C. DE ROBBIO, Le
principali questioni penali in tema di esercizio abusivo dell’attività di gioco e scommessa, in
Giurisprudenza di merito, 2012, 2230 ss.; F. FILPO, Il gioco d’azzardo tra la direttiva servizi e
XII Introduzione
4
D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.): «Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam rem
familia ludere permittitur».
5
D. 11.5.1.pr. (Ulp. 23 ad ed.): «Praetor ait: ‘Si quis eum, apud quem alea lusum esse
dicetur, verberaverit damnumve ei dederit sive quid eo tempore dolo eius subtractum est,
iudicium non dabo […]’».
6
Imperator Justinianus Alearum lusus antiqua res est et extra operas pugnantibus
concessa, verum pro tempore prodiit in lacrimas, milia extranearum nominationum
suscipiens. quidam enim ludentes nec ludum scientes, sed nominationem tantum, proprias
substantias perdiderunt, die noctuque ludendo in argento apparatu lapidum et auro.
consequenter autem ex hac inordinatione blasphemare conantur et instrumenta conficiunt.
[a. 529 d.C.]
7
In tale prospettiva si segnalano, in particolare, E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De
aleatoribus) y C. 3.43 (De aleae lusu et aleatoribus): Precedentes romanos del contrato de
juego, in Anuario Jurídico y Económico Escurialense, XLII, 2009, 17 ss.; E. NARDI.
Monobolo & C., Milano, 1991; M. J. DIAZ GOMEZ, El origen histórico del contrato de juego,
XIV Introduzione
in Derecho y Conocimiento, vol. 2, Universidad de Huelva, 2003, 285 ss.; S.B. FARIS,
Changing Public Policy and the Evolution of Roman Civil and Criminal Law on Gambling,
in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012, 199 ss.; G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, in
Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, Napoli, 1984, 2331 ss. possono menzionarsi
ID., Il regime del gioco nel corpus iuris in relazione con alcune codificazioni europee, in ID.,
Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 643 ss.; P. ZILIOTTO,
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato, in TSDP, X, 2017, 1 ss.
8
Cfr., ad es., A. CAPPUCCIO, ‘Rien de mauvais’. I contratti di gioco e scommessa nell’età dei
codici, Torino, 2011, 21 ss.; J.L. ZAMORA MANZANO, La regulación jurídico-administrativa del
juego en el derecho romano y su proiección en el derecho moderno, Madrid, 2011; C. MANENTI,
Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto romano e moderno, Appendice ai §§
757-762 di CH.F. GLUCK, Ausführliche Erläuterung der Pandekten nach Hellfeld, Palm,
Erlangen, 1796-1830, tr. it. Commentario alle Pandette, lib. XI, Milano, 1903.
9
A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima
de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58 e EAD, Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto
romano, in BIDR, CXI, 2017, 41 ss.
Introduzione XV
ANTONIO PALMA
FRANCESCO FASOLINO
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Tra iocus e ludus ... – 3. … c’è l’azzardo. – 4. Levitas aleae.
1. Premessa
1
Ludo (= irrido, ingiurio), Ludus (= gioco), Lusus ‘richiama accad. ulsu (= piacere)’.
Mancando studi sintetici sul tema, e per non soffocare nelle ricerche dedicate a singole
aree, basterà ricordare i migliori studi sul ‘gioco’ in senso assoluto, che ne hanno tenuto
conto anche in senso antropologico, il classico Homo ludens di Johan Huizinga (Haarlem,
1938, Amsterdam, 2018, trad. it., C. van Schendel, Homo ludens, Torino, 1945 e 1973, sot-
totitolo, Proeve eener bepaling van het spel-element der aulnur), che mirando a “integrare il
concetto di gioco in quello di cultura”, concludeva che “cultura vera non può esistere sen-
za una certa qualità ludica”, e che “la cultura vuole … essere giocata dopo comune accor-
do, secondo date regole” (e, fra le argomentazioni, adduceva anche un capitolo dedicato a
una vera e propria ricerca onomasiologica sulla nozione del ‘gioco’ nelle diverse lingue). O
il più recente The ambiguity of play (1997) di Brian Sutton-Smith, con vasta bibliografia,
nel quale il tema dell’ambiguità del gioco emerge, anche, in relazione all’alternarsi, nel ruo-
lo dei giocatori, di bambini, insegnanti, atleti, attori, comici, prestigiatori, giocolieri, gente
comune e giocatori di azzardo.
2
Il termine deriva dal latino iocus, gioco, scherzo, burla, beffa, dal verbo iectare (fre-
quentativo di iacere, gettare, andare e mandare oltre), il cui participio passato è iactum,
lanciato. Quindi, nell’etimologia del termine, risulta evidente l’idea del lancio, del movi-
mento che accompagna la primitiva espressione del gioco. Altri (Aristotele) mettono in
relazione il gioco con la felicità. Ci sono attività, si trova scritto nell’Etica Nicomachea, che
meritano di essere scelte per se stesse, non per altro, come la felicità. Tra queste pratiche,
che non sono dettate da interesse né hanno uno scopo al di fuori di sé, ci sono le azioni
2 Carmen Pennacchio
l’istanza, dal momento che questa attività rischia di essere soffocata dai pe-
santi risvolti tecnici (dalle metodiche e strategie, fino ai materiali, passando
per l’economia 3, inteso il gioco come business). Esso, però, non può so-
pravvivere a lungo di pura tecnica e di ricchezza, ed, infatti, emergono –
dai moderni dati fattuali – insufficienze ed antinomie che pongono all’at-
tenzione dell’interprete una serie di dettagli valoriali, i quali a loro volta
esigono riferimento anche alla storia del fenomeno ludico e sportivo 4.
La radice etimologica dei lemmi disvela molto della loro essenza 5 e del-
la, conservata o dimenticata 6, evoluzione 7.
rata dalla persuasione che la fisiologia della donna, diversa da quella dell’uomo, ed il ruolo
da ella stessa giocato nella società civile, la rendessero inidonea all’attività sportiva. Cfr.,
M.V. ISIDORI, Europeizzazione della Carta olimpica, in Studi sulla formazione, XII.1/2,
2009, 207 ss. Inoltre, R. FRASCA, Lo sport nel mondo antico, in Enciclopedia dello Sport,
Roma, 2003, 1 ss.
5
Cfr., A. NUTI, Ludus e iocus, Roma, 1998, 24. L’Autore evidenzia la natura particolare
del ludus per distinguerlo dal gioco come attività pubblica e sociale, (iocus): “Sono qui
presentate le otto delle ventuno attestazioni plautine in cui ludus compare al singolare. In
esse possiamo individuare un valore che non si discosta troppo dai termini italiani quali il
divertimento, gioco; ludus indica cioè qualcosa che è causa di ricreazione e svago per l’ani-
mo umano …”.
6
R. FRASCA, La dimensione ludica nella società romana, in F. CAMBI, G. STACCIOLI, Il
gioco in Occidente. Storia, teorie, pratiche, Roma, 2007, 13 ss.
7
Si potrebbe dire che agli inizi iocus, cioè il ‘gioco di parole/scherzo’ si opponeva a ludus,
ossia la ‘presa in giro/derisione’. Si pensi a ludibrio, ma anche al latino ludius che significa
istrione, ballerino, pantomimo, sebbene pure gladiatore. Da un lato, quindi, alcunché di lieve
e ironico, carnevalesco, dall’altra qualcosa di ‘studiato’, fisico, competitivo. Come a dire, og-
gi, uno spettacolo da circo rispetto a uno da stadio. Tale distinzione è netta nella opposizione
latina fra iocus e ludus. Non a caso nel linguaggio poetico ioci erano i divertimenti, gli spassi e
Iocus era la divinità dello scherzo. Mentre ludi erano gli esercizi militari, le gare pubbliche, i
giochi istituzionali, ma anche la scuola: ‘ludi magister’ era detto il maestro di scuola. Il deca-
dere, poi, del secondo termine rispetto al primo probabilmente si deve alla proibizione dei
giochi pubblici e delle Olimpiadi con Teodorico, su pressione dei cristiani, alla fine del IV
sec. d.C. Anche nella lingua greca c’è una netta distinzione fra paidià e agon/athlon. Il primo
termine rimanda al giocare dei bambini, mentre i secondi alla gara di adulti. E nel mondo
contemporaneo il primo lemma appartiene solamente al lessico colto, mentre dai secondi de-
rivano gli usatissimi agonistico e atletico. Quello che è significativo, tuttavia, è la densità poli-
semantica del verbo paizo, che sta alla base del sostantivo paidià, e che significa: ‘giocare,
danzare, suonare, scherzare, deridere, cacciare’, pure: ‘fare all’amore’. Anche nelle principali
lingue moderne ‘occidentali’ permane simile conglomerato semantico che accomuna tre si-
gnificati fondamentali: giocare, recitare, suonare. L’italiano giocare, anche se desueti ormai,
aveva i sensi pure di ‘suonare’ e ‘fare spettacolo’. Ma si pensi a lemmi come all’inglese to play
(dal sassone plegian/plega (= fare qualcosa solo per divertimento o svago), al tedesco spielen,
(parallelo all’olandese spelen, ne è sconosciuta l’etimologia), entra nel linguaggio medievale
col significato specifico di ‘danza/danzare’. Il significato sportivo è documentato a partire
dalla fine del XVIII sec. Altra ipotesi deriva spielen dalla forma ausspielen (= giocare una car-
ta), che risale al latino allusio (= scherzo) che richiama lusio (= gioco, divertimento e rinvia a
lusus), al francese jouer (come l’italiano, lo spagnolo, il portoghese e il rumeno: a juca, dal la-
tino iocari (= scherzare) e al russo igrat (Vasmer mette in parallelo igrá (= gioco) e igrat (=
giocare) rispettivamente al greco: paignion (= gioco, giocattolo, scherzo, trastullo, divertimen-
4 Carmen Pennacchio
to, scenetta, ludibrio, amante), e paizein [v. supra], cfr.: M. VASMER, Russisches Etymologi-
sches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1953-58, s.v. igrá), e che tutti mantengono i tre signi-
ficati. Anche nello spagnolo jugar oltre al senso di ‘giocare’ c’è quello di ‘aver parte’, ‘interve-
nire’, (juego significa anche stupire il pubblico con giochi di parole) e pure nel portoghese
jogar, oltre a ‘giocare’ e ‘scherzare’, c’è nel sostantivo jogo la valenza teatrale: jogo cénico, e
musicale, dato che allude all’insieme dei registri di un organo. A dire dell’origine del gioco
come emanazione/derivazione dal ritmo, dalla commistione di verbale, musicale e fisico, tipi-
co della antropologia che si manifesta nella religiosità, nella rappresentazione teatrale, nella
festa popolare, non è facile. Il gioco è un agire che collabora al tentativo di interpretazione
dell’enigma dell’esistenza che l’umanità si dà; ma esprime pure una manifestazione dell’indi-
viduo che intenda definirsi. Il gioco, piú che alla struttura dell’io, serve all’autocostruzione
dell’immagine di sé. Mediante il giocare uno ‘realizza’ quello che crede di essere; specie nel-
l’età giovanile. Spesso si tratta di una forma di autoinvestitura fantastica, mediante cui ci si
distingue dalla figura o ruolo sociale che la comunità parentale o sociale attribuisce, perché
non corrispondono a quelli che uno ritiene di rappresentare. Tuttavia non si è giunti finora
ad una definizione soddisfacente del gioco, che rimane, per certi aspetti, un enigma. Si tratta
però di considerarlo come un dato costitutivo per la formazione del pensiero e della creativi-
tà umani. Cfr., A. NUTI, Percorsi di ludicità nella lingua latina, Roma-Treviso, 1998, passim.
8
Anticipando di secoli l’attuale dibattito sulla pedagogia e sull’estetica del gioco, Pla-
tone riconosce l’aspetto educativo dell’attività ludica quando, nelle Leggi, descrive il gioco
dei bambini piccoli come una preziosa occasione educativa, oltre che ricreativa, utile per lo
sviluppo corporeo attraverso il movimento, per la socializzazione (si privilegiava infatti
l’attività in un gruppo eterogeneo) e, infine, efficace per la crescita morale attraverso il
principio che impone il rispetto delle regole e la loro immodificabilità. Solo indirettamente
evocato da Platone, ma fondamentale nella moderna concezione del gioco, è infine la sua
dimensione simbolica e mimetica: attraverso la moltiplicazione di simboli, maschere, fin-
zioni, il gioco si presenta infatti come un grande teatro, una sorta di scena immaginaria la
cui funzione metaforica non riduce, ma anzi esalta la serietà della rappresentazione. Il
connubio tra serio e scherzoso, tra impegno e levità è chiaramente restituito dall’etimolo-
gia greca della parola “gioco”: paignion ha la medesima radice di pais, “bambino”, di
paizein (che significa “giocare”, ma anche danzare, suonare, fare l’amore), e infine di pai-
deia, “educazione” e cultura nel senso più nobile e completo del termine. Nel gioco esiste
un’unione inscindibile tra leggerezza e serietà; pur essendo espressione della massima li-
bertà, il gioco chiede il severo rispetto di regole, senza le quali non solo non funzionereb-
be, ma addirittura non esisterebbe.
9
Cfr., G. CIPRIANI, sv. Iocus, in EO, 2, 1997, 401 s. Il termine è ‘divertimento, gioco; op-
posto a serium, il serio, <iocor, iocaris> scherzo’, collegabile ad ambiti linguistici orientali ac-
cadico-ebraici che significano ‘essere folle’, ‘fare festa’, ‘danzare’, ‘discorrere’, ‘disputare’.
10
Se si riflette sui termini che dicono ‘il giocare’, si vede, secondo alcuni, con nettezza,
come gli etimi rimandino alla sfera del parlare e dello scherzo verbale. Si pensi all’indoeu-
ropeo yok-o (= qualcosa detto), stessa famiglia di yek (= parlare), mentre per altri iocus sta
per diocus dalla radice div-=dju giocare, scherzare. Iocus, secondo Semerano (G. SEME-
RANO, Dizionario della lingua latina e di voci moderne, Firenze, 1994, s.v.), è “divertimento,
Immagini e giochi dell’antichità 5
gioco; opposto a ‘serium’, il serio, <iocor, iocaris> scherzo”, collegabile ad ambiti linguistici
orientali accadico-ebraici che significano ‘essere folle’, ‘fare festa’, ‘danzare’, ‘discorrere’,
‘disputare’.
11
Hor., epist. 2.1.145-155: Fescennina per hunc invecta licentia morem versibus alternis
opprobria rustica fudit, libertasque recurrentis accepta per annos lusit amabiliter, donec iam
saevos apertam in rabiem coepit verti iocus et per honestas ire domos inpune minax. doluere
cruento dente lacessiti; fuit intactis quoque cura condicione super communi; quin etiam lex
poenaque lata, malo quae nollet carmine quemquam describi: vertere modum, formidine fu-
stis ad bene dicendum delectandumque redacti. [In queste usanze nacque la licenza dei Fe-
scennini, che in versi a botta e risposta profondeva rustici improperi e la libertà, ben accet-
ta nella ricorrenza annuale, scherzò amabilmente, finché il gioco, fattosi crudele, cominciò
a mutarsi in rabbia aperta e a portare impunemente minacce per le case degli onesti. Chi fu
provocato dal morso sanguinoso si dolse e anche quelli che non erano toccati si preoccu-
parono della sorte comune e finì che fu proposta una legge e una pena, per impedire che
uno fosse vittima di canzoni diffamatorie: cambiarono sistema, la paura del bastone li ri-
portò a divertire senza parole d’insulto.]. Il costume della festa contadina offre sfogo a
pulsioni liberatorie e aggressive, connesse con rituali di fecondità animale e vegetale. Se-
condo questa ricostruzione oraziana, la primissima fase, quella identificata con la Fescen-
nina licentia, consiste in uno scambio di amabilità rustica in versi: insulti, rozze battute ag-
gressive di carattere contadino, secondo l’accezione sia denotativa che connotativa dell’ag-
gettivo. Il rituale rustico, recepito e in qualche modo ‘regolarizzato’ nell’ambito delle ri-
correnze annuali, (notevole lo slittamento semantico da licentia a libertas) si evolve in un
lusus piacevole e socialmente apprezzato (seconda fase: lusit amabiliter), fino a una terza
fase, in cui il gioco (si noti ancora lo slittamento semantico lusus/iocus) si evolve ulterior-
mente verso l’aggressione violenta, che, con la copertura di impunità assicurata da un con-
testo originariamente rituale, tende a diventare una minaccia incontrollabile per la rispet-
tabilità sociale (per honestas ire domos). Inoltre in Ovidio ritroviamo iocus (Ars amat. 3.
367: mille facesse iocos. turpest nescire puellam/ ludere: ltdendo saepe paratur amor); (Ars
amat. 3.381: hos ignava iocos tribuit natura puellis; / materia ludunt uberiore viri).
12
A. TEDESCHI, Il giogo imperfetto e lo scarto in amore, in Aufidus, 10, Roma, 1990, 53 ss.
13
All’amore visto come passione esclusiva e spesso devastante di Catullo e Properzio,
Ovidio (Remedia 25.6) mette di fronte l’esperienza d’amore a poco più di un “lusus” mon-
dano e galante (un gioco), analizzandola con ironia e distacco intellettuale. Sul punto, G.
MOTTI, Un proemio ovidiano e la presenza di Meleagro: Rem. am., 25-6, in Analecta Brix
iana, 2004, 303 ss.
14
Orazio in Carm. 1.33.11-12 ricorda il gioco feroce (saevus iocus) di Venere che “sot-
topone a un sol giogo di bronzo le difformi nature”, obbligando ad accoppiarsi individui
che non possono stare insieme.
15
Il verbo ludo, come il sostantivo ludus derivano dalla radice indoeuropea *loid – che
ha dato come esito in latino lud – e in greco loid (or) – da cui loidoreuw, “insulto”. Il signi-
ficato del verbo greco non è lontano dal latino ludibrium, derisione, e all’italiano ludibrio. Si
6 Carmen Pennacchio
po Marzio 16, gli spettacoli dei gladiatori 17, gli agoni sportivi. Il gioco, dun-
que, come ludus 18 è una risorsa e un antidoto al disastro sociale 19. Nel
mondo greco erano i Giochi Olimpici a costituire, nella loro scadenza
quadriennale, la principale manifestazione sportiva e insieme religiosa del-
l’Ellade.
In sintesi, il lemma “gioco” (e la proiezione del fenomeno) 20 ha in origi-
ne una semantica ristretta ai giochi di parola, mentre il gioco più propria-
mente d’azione, per i latini, era designato con ludus 21, come abbiamo rileva-
vede dunque che la radice ha una componente negativa che può sempre affiorare. Per
esempio in collusione, delusione, illusione. M. TAGLIAFICO, Ludiones, ludi saeculares e ludi
scaenici, cit., 53 s.
16
Cfr., R. FRASCA, La dimensione ludica, cit., 16, a proposito dell’origine di essi.
17
Apprezzabile appare il collegamento ai ludiones, sul punto vedi, B. ZUCCHELLI, Le
denominazioni latine dell’attore, Brescia, 1964, 20, il quale ipotizza che con il termine lu-
dius si intendesse colui che attivamente o passivamente partecipava al ludus. La derivazio-
ne di ludius da ludere e sostenuta anche da A. ERNOUT, A. MEILLET, Dictionnaire ttymolo-
gique de la langue latine, Paris, 19594, 369. Inoltre, M. TAGLIAFICO, Ludiones, ludi saecula-
res e ludi scaenici, cit., 53 in particolare nota 15, ed altra bibliografia ivi riportata. Interes-
santi appaiono i collegamenti lessicali riferiti dall’Autrice.
18
Miserarum est neque amori dare ludum neque dulci / mala uino lauere aut exanimari /
metuentis patruae uerbera linguae (Horat., carm. 3.12.1-3) Secondo parte della dottrina
(cfr. R.G.M. NISBET, N. RUDD, A Commentary on Horace: Odes Book 111, Oxford, 2004,
167) l’espressione dare ludum è da intendersi nel senso di ‘concerdersi al piacere’ e si rinvia
anche a Plaut., Bacch. 1083: ‘nimi’ nolo desidiae ei dare ludum, e a Cic. Cael. 28 datur enim
concessu omnium huic aliqui ludus aetati.
19
L’associazione iocus ludus è presente, certamente, in Plauto (Capt. 770, ludum iocum;
Merc. 846, ludum iocum; Ps. 65; Cic. Cael. 46, ludus iocus; Verr. 2.1.155, per ludum et io-
cum) ed in Terenzio (Eun. 300, ludum iocumque).
20
Il termine ‘gioco’ richiama, in realtà, come alcuni autori in particolare hanno contri-
buito a chiarire, una classe indefinita di dinamiche, non sussumibili, per le loro divergenti
caratteristiche, ad un unicum definitorio. Su questa linea, ancora Wittgenstein ha afferma-
to che il gioco è un “concetto dai contorni sfumati”, L. WITTGENSTEIN, Philosophische Un-
tersuchungen, Philosophical investigations, a cura di G.E.M. ANSCOMBE e RUSH RHEES, Ox-
ford, 1953, 1958; Ricerche filosofiche, trad. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, a cura di M.
Trinchero, Torino, Einaudi, 1967, 47 s.
21
Il gioco per gli antichi rappresenta uno strumento per lo sviluppo del corpo. Infatti i
ludi sportivi richiedevano ai partecipanti una preparazione con allenamenti durissimi e co-
stanti (a partire dai sette anni di età, quando essi cominciavano a frequentare le scuole-
ginnasi). Inoltre, la stretta connessione tra mente e corpo permetteva di avvertire il gioco
anche come allenamento mentale, strumento per fortificare lo spirito e, in un secondo mo-
mento, mezzo per acquisire sviluppate capacità logiche e mnemoniche, come nel caso dei
giochi matematici, degli enigmi e dei paradossi. In altro senso, L. PÉREZ GÓMEZ, Literacy
en Plauto: Discere et docere o la escritura como ludus, Florentia Iliberritana 18, 2007, 333 ss.
Immagini e giochi dell’antichità 7
22
R. FRASCA, Il corpo e la sua arte. Momenti e paradigmi di storia delle attività motorie,
da Omero a P. de Coubertin, Milano, 2005, passim.
23
R. FRASCA, Educazione e società in Grecia e a Roma, in P. SALADINI, R. LOLLI (a cura
di), Filosofie nel tempo, I, Dalle origini al sec. XIV d.C., Tomo I, Roma, 2001, 461 ss.
8 Carmen Pennacchio
24
J. HUIZINGA, Homo Ludens, cit., 11.
25
J. HUIZINGA, Homo Ludens, cit., 13.
26
J. HUIZINGA, Homo Ludens, cit., 15.
27
P.P. FIORINI, L’essenza del gioco e il tentativo del diritto: Linee di una indagine feno-
menologica, in Rivista della Scuola Superiore dell’economia e delle finanze, Roma, 1, 2004,
277 ss.
28
Cfr., A. FERRARI, “Tenuissimus ingeni fructus”: il riso secondo Cicerone, in Studying
Humour – International Journal, 1, 2014. Per introdurre l’argomento del ridicolo, Cicerone
Immagini e giochi dell’antichità 9
usa due termini: iocus, motteggio, e facetia, facezia, che, insieme, costituiscono l’ars salis
(2.216). Questi termini sono collegabili all’idea della leggerezza: iocus è anche il gioco e
implica l’immagine della levità scherzosa (il suo contrario è il serius sermo).
29
Il gioco si isola dalla vita ordinaria in luogo e durata. Si svolge entro certi limiti di
tempo e di spazio. Ha un decorso proprio e un senso in se stesso. Ecco qui una caratteri-
stica nuova e positiva del gioco. Esso comincia e a un certo punto è finito. Mentre ha luo-
go c’è un movimento, un andare su e giù, un’alternativa, c’è il turno, l’intrigo e il districa-
mento. Alla sua limitazione nel tempo si collega un’altra qualità curiosa. Il gioco si fissa
subito come forma di cultura. Giocato una volta, permane nella memoria come un ricordo,
o come un tesoro dello spirito, e può essere tramandato, e ripetuto in qualunque momen-
to. Oltre alla limitazione nel tempo, il gioco ha una precisa limitazione nello spazio. Ogni
gioco si muove entro il suo ambito, il quale, sia materialmente sia nel pensiero, di proposi-
to o spontaneamente, è delimitato in anticipo.
30
L’arena, il tavolino da gioco, il cerchio magico, il tempio, la scena, il tribunale, tutti
sono per forma e funzione dei luoghi di gioco, cioè spazio delimitato, luoghi segregati, cin-
ti, consacrati, sui quali valgono proprie e speciali regole. Sono dei mondi provvisori entro
il mondo ordinario, destinati a compiere un’azione conchiusa in sé.
10 Carmen Pennacchio
3. … c’è l’azzardo
Nel mondo antico, il gioco d’azzardo (termine che deriva dall’arabo az-
zahr e significa dado 31) consisteva nello scommettere beni sull’esito di un
evento futuro e, per tradizione, le quote si pagavano in contanti. L’azzardo
nacque quando indovinare un evento futuro, da pratica esclusiva di indo-
vini e sacerdoti, si trasformò anche in occasione di sfida tra uomo e fato, e
tra uomo e uomo. Giocare d’azzardo divenne, pertanto, una pratica sociale
in cui furono stabilite delle regole e delle poste in palio. I più antichi giochi
d’azzardo si facevano, infatti, utilizzando dadi e scommettendo sul numero
che sarebbe uscito.
Maschi e femmine, i bambini romani giocavano alle noci 32 e le usavano
spesso in alternativa alle biglie; tali frutti, erano talmente importanti, nel-
l’immaginario collettivo, che la giovane età veniva chiamata il tempo delle
noci, un tempo che sarebbe finito con l’infanzia stessa. L’espressione, in-
fatti, relinquere nuces (lasciare le noci, Catull., 71.131) significava lasciare
l’infanzia, una svolta importante per un giovane romano. Secondo Marzia-
le: “già triste lo scolaro ha lasciato le noci/dietro gli schiamazzi del mae-
stro”. Al compimento del diciassettesimo anno d’età il giovane indossava la
31
Da cui probabilmente discende “zara”, famoso gioco a tre dadi molto praticato nel-
l’antichità, che consisteva nell’indovinare in anticipo il risultato dovuto alle diverse combi-
nazioni dei vari lanci
32
Con le noci si poteva giocare a nuces castellatae (Plin., Nat. Hist. 19.112), per il quale
bastavano quattro noci, non di più. Il gioco consisteva nel fare un triangolo con tre noci
ravvicinate, mettendone poi una in cima, formando così un castello. L’avversario doveva
lanciare una noce addosso al castello: se lo distruggeva vinceva le noci colpite, se non le
colpiva non guadagnava nessuna noce. Noci sull’asse inclinata; si svolgeva prendendo
un’asse di legno e tenendola sospesa, con un’estremità appoggiata per terra; ogni giocatore
faceva rotolare la propria noce sull’asse e cercava di colpirne o sfiorarne qualcuna dei
compagni, tra quelle sparse per terra; quando non riuscivano a colpirne, lasciavano lì la
propria, così gli altri giocatori potevano conquistarla. Orca; consisteva nel cercare di far
entrare nel collo di un’anfora una noce lanciata da una certa distanza. Tropa o fossetta;
bastava realizzare un avvallamento nel terreno che diventava il bersaglio nel quale far en-
trare la noce o la biglia. I greci chiamavano questa variante gioco della tropa. Doveva con-
sistere nel far cadere una noce, secondo una successione stabilita, in tutte le fossette, fino
ad arrivare all’ultima al di là della riga (come il minigolf). In alcuni casi l’ultima buca era
rettangolare per evidenziare la fine del percorso. Il delta (Nux, 81-84) o triangolo, l’indo-
vinello del numero delle noci contenute nel sacchetto, quel sacchetto in cui ogni bimbo
conservava gelosamente le sue noci: erano il suo tesoro, ed egli cercava di accrescerlo, cosa
che riusciva a fare vincendo le gare contro i suoi compagni. Le cinque dita o il par-impar
(Nux, 79), il pari e dispari; alcuni dei giochi che i fanciulli facevano con le noci, li potevano
fare anche con gli astragali, gli ossicini o le biglie.
Immagini e giochi dell’antichità 11
toga virile e appendeva la sua bulla sopra il focolare domestico. Nella ope-
ra Nux, Le noci, attribuita, con qualche perplessità, ad Ovidio, si descrivo-
no almeno sei tipi diversi di gioco 33.
Il segno linguistico alea 34 traduce ‘dado/gioco di sorte con dadi’,
facendo un passaggio successivo, diviene sinonimo di ‘caso’, ‘rischio’
e, infine, ‘azzardo’ 35. Da queste premesse vien fuori aleator 36, aleato-
33
Un po’ come le figurine moderne, le noci erano infatti oggetto di accumulo e sfide
in partite organizzate con i propri compagni di gioco. Le noci erano così identificative
con l’età dei più piccoli, e ne troviamo eco anche nei poeti antichi. Catullo nel carme 61,
un’epitalamio dedicato alle nozze di Manlio e Aurunculeia, nei vv. 119-128, scrive: Ne
diu taceat procax [Non taccia più lo scherzo] / Fescennina iocatio, [fescennino salace,] /
nec nuces pueris neget [non neghi ai bambini le noci] / desertum domini audiens
[l’amante, sapendo di essere]/concubinus amorem [abbandonato dal suo padrone] / Da
nuces pueris, iners [Da’ le noci ai bambini,] / concubine! Satis diu [amante disoccupato;]
/ lusisti nucibus: lubet [che con le noci hai giocato abbastanza:] / iam servire Talasio. [È
ora di servire Talassio;] / Concubine, nuces da. [da’ le noci ai bambini.]. Il poeta ci in-
troduce ad un costume romano, quello dello sposo di donare noci ai bambini come ri-
tuale di passaggio dall’età dell’infanzia a quella della maturità, segnata appunto dal re-
linquere nuces, lasciare le noci, famosa frase di Persio (1.10). In questo caso è il povero
schiavo a dover lasciare il gioco, perché con l’arrivo della sposa, il tempo per questo
amore era finito per sempre. A dispetto di altri giochi di cui non abbiamo un riscontro
letterario o figurato, le noci sono abbastanza rappresentate nell’arte e anche un poemet-
to di 182 versi chiamato, Nux, La noce, come abbiamo già detto sopra, attribuito erro-
neamente ad Ovidio, ci elenca una serie di attività ludiche in cui i frutti erano protagoni-
sti assieme all’abilità dei partecipanti. In relazione all’educazione, R. FRASCA, Il lavoro
“sacro” del puer romano, in E. BECCHI, A. SEMERARO (a cura di), Archivi d’infanzia, Firen-
ze, 2001, 357 ss.; EADEM, Modelli della storiografia dell’educazione antica greca e romana,
in L. BELLATALLA, P. RUSSO (a cura di), La storiografia dell’educazione. Metodi, fonti,
modelli e contenuti, Milano, 2005, 151 ss.
34
F. WAGNER, sv. Alea, in Lexicon Latinum seu […] Universae Phraseologiae Corpus
Congestum [...], Bruges, 1878, 38.
35
G. GRECO, Gioco d’azzardo e deterrenza: brevi note sui susceptores, in Iura and Legal
Systems, 3, 2016, 45 ss. Per definizione, un gioco è d’azzardo quando prevede una scom-
messa in denaro su eventi prevalentemente aleatori, cioè casuali. Il termine arabo az-zahr
che significa dado, oggetto associato per antonomasia al gioco, spiega il termine. Non a
caso, anche aleatorio, dal latino aleatorius, deriva da alea, che significa ‘gioco di dadi’ o
‘rischio’.
36
Nel Digesto troviamo un intero titolo (D. 11.5) dedicato alla figura. In tema l’ar-
ticolo di E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y C. 3.43 (De aleae lusu et aleatori-
bus): precedentes romanos del contrato de juego, in Anuario jurídico y económico escuria-
lense, 42, Madrid, 2009, 17 ss.; ripubblicato con lo stesso titolo, ma con un ampliamento
in Revista General de Derecho Romano, www.iustel.com, 12, 2009, 1 ss.). In relazione alla
loro fama, per le fonti, Cic., Phil. 8.26 e Catil. 2.23; in letteratura, cfr., A. BOTTIGLIERI, Il
gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima de poenis, 1, Napoli,
12 Carmen Pennacchio
2015, 58. Il gioco d’azzardo rappresentava una pratica frequente che non si arrendeva
neanche di fronte alle distinzioni cetuali, essendo forte la sua seduzione. L’alea contrad-
distingueva ogni agone nel quale il superamento vittorioso era retto solo da un dato sog-
gettivo, che era la temerarietà dei partecipanti, e da un elemento oggettivo, che era la ca-
sualità, non contando, ovviamente, le abilità individuali. Aleatores erano quasi sempre
schiavi, anche se non erano indifferenti al gioco gli appartenenti agli alti strati della socie-
tà (vedi gli esempi riferiti da G. GRECO, op. cit., 45 s., in particolare note 4, 5 e 6) ed il
dato emerge, a contrario, dalla lettura dell’ulpianeo D. 21.1.19.1, nel quale si rinviene
l’obbligo del venditore di uno schiavo di garantire che questi possieda le caratteristiche
vantate, ivi compresa la sua estraneità alla pratica del gioco d’azzardo. L’ostilità nei con-
fronti del gioco e, di converso anche, per i giocatori si fondava su varie ragioni che ri-
spondevano alla necessità di concentrazioni di ricchezza non legittimate dallo svolgimen-
to di attività produttive; la volontà di capitalizzare i frutti in risparmio; l’esigenza di legit-
timare fonti di arricchimento attraverso attività illecite. Cfr., A. BOTTIGLIERI, op. cit., 58
ss. L’ordinamento, almeno fino all’epoca repubblicana, radicava il disvalore con il quale
considerava l’azzardo in un’actio in quadruplum, probabilmente de aleatoribus, che vede-
va legittimato, attivamente, qualunque cittadino, contro i giocatori. La Compilazione
Giustinianea sanzionò la nullità del patto di gioco turpe (G. IMPALLOMENI, In tema di gio-
co, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, Napoli, 1984, 2331 ss.). Il vincitore
non poteva reclamare la posta non versata ed anche se vi fosse adempimento spontaneo,
sussisteva la ripetibilità di quanto versato da parte del perdente o, se si trattasse di un sot-
toposto, su iniziativa dell’avente potestà. Nei confronti del padrone si poteva esercitare
un’azione de peculio, se ad incassarla era stato un suo schiavo. Gli emancipati ed i liberti
perdenti potevano attivarsi per il recupero, in via utile, contro il pater familias e il patrono
(D. 11.5.4.1). Il termine prescrizionale dell’azione di ripetizione, ad opera di Giustiniano,
fu fissato in cinquant’anni. Si stabilì anche una ulteriore tutela a favore degli eredi del
perdente, offrendo loro la possibilità di esigere la restituzione di quanto versato dal de
cuius per motivi di gioco. A loro potevano surrogarsi i decurioni della città e i defensores
locorum, sottoposti alla vigilanza dei vescovi ed aiutati dai governatori provinciali (C.
3.43.1.1). Per una rassegna dell’indagine, si veda G. GRECO, op. cit., 47, nota 14. In gene-
rale per la lex (o le leges: D. 11.5.3 [Marcian. 5 reg.]) de alea, cfr., C. SCHÖNHARDT, Alea.
Über die Bestrafung des Glücksspiel im älteren römischen Recht. Eine Strafrechtsgeschi-
chtliche Studie, Stuttgart, 1885, 7 ss., 36 ss.; M. KURYLOWICZ, ‘Leges aleariae’ und ‘leges
sumptuariae’ in antiken Rom, in Studia E. Polay, Szeged, 1985. Inoltre. G. IMPALLOMENI,
In tema di gioco, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, V, Napoli, 1984, 2331 ss. (=
Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 499 ss.).
37
Individua cosa pericolosa o incerta (come un contratto assicurativo) che dipende
esclusivamente da circostanze fortuite. Se aleatorio subisce la perdita del suo stretto lega-
me col gioco, subentra, invece, propriamente connesso col gioco, azzardo, che esprime il
rischio che si corre puntando anche grosse cifre di denaro, ma non solo.
Immagini e giochi dell’antichità 13
38
Fonti sulla storia dell’alea si rinvengono pure in Plaut., Mil. 164; cfr. Horat, carm.
3.24.58; Ovid., trist. 2.470 s.; in tal senso C. CASCIONE, Tresviri Capitales. Storia di una Ma-
gistratura Minore, Napoli, 1999, 190 in particolare nota 95.
39
G. RIDOLFI, sv. Alea-Aleatorii (Contratti), in Digesto italiano, 1, Torino, 1929, 253.
40
S. MAIORCA, Il contratto. Profili della disciplina generale. Lezioni di diritto privato, To-
rino, 19962, 78.
41
In proposito, G. GRECO, Ludi, Sponsiones e Autonomia Privata, in Ludi Universum –
Gioco Pubblico, Sport e Tempo Libero, Rivista Scientifica dell’osservatorio Internazionale sul
Gioco, 1, 2016, 115 ss.
42
Così, R. NICOLÒ, sv. Alea, in ED., II, Milano, 1958, 1029.
43
Antenati dei dadi potrebbero essere gli astagali.
44
Plauto, in una battuta del Curculio (354), propone la differenza tra talus e alea, no-
nostante entrambi possano nominare i dadi: Talos poscit sibi in manus. Provocata me in
aleam, ut ego ludam. [Prese in mano i dadi (talos), e provocatomi a sfidare la sorte (aleam)
perché io giocassi].
45
Il Thesaurus Linguae Latinae (1900) – facendo eco allo studio di grammatica compa-
rativa di Leo Meyer (1861) – deriva alea dalla parola sanscrita aksáh (dado) e repertoria il
termine sotto l’uso proprio, da riferirsi ai dadi e al gioco; ed altra rubrica che fa appello al
l’uso traslato e proverbiale, riconducibile al significato più astratto di caso e di fortuna.
Nell’Etymologicum (1662) Vossius connette alea al verbo greco ἀλάομαι che significa
‘andare errando’, o ‘girare qua e là’, con una sottile sfumatura d’incertezza. In certi casi
può significare ‘esser esiliato’ (G.J. VOSSIUS, Etymologicon linguae latinae. Praefigitur eju-
14 Carmen Pennacchio
Leggiamo il parere di
Isidoro, Etym. 63.1: Tesserae vocatae quia quadrae sunt ex omnibus partibus.
Has alii lepuscolos vocant, eo quod exiliendo discorrant. Olim autem tesserae ia-
cula appellabantur, a iacendo 46.
fati, ‘incertezza del destino’, si riconosce il senso di un evento arbitrario e non governabile,
presente anche nella costruzione subire aleam. Da notare, in limine, è l’estensione con cui il
segno alea si avvicini a luoghi semantici afferenti il tempo, sia nella piega positiva di un
tempo trascorso nel diletto e nello svago in espressioni quali indulgere aleae (‘abbandonar-
si all’alea’) o oblectare se alea (‘occupare il proprio tempo nell’alea’); sia nel senso di un
tempo consumato in perdita, come attestato in alcuni passaggi ciceroniani (Cic., Phil.
13.11: In lustris, popinis, alea, vino, tempus aetatis omne consumere. [Nei bordelli, nelle
bettole, nei dadi, nel vino, si consuma il tempo dell’esistenza.]). Inoltre, anche il riferimen-
to al giovane aristocratico ozioso della satira VIII di Giovenale 7.9-12: Effigies quo / tot
bellatorum, si luditur alea pernox / ante Numantinos, si dormire incipis ortu / Luciferi, quo
signa duces et castra movebant? [A che ti servono i ritratti di tanti guerrieri, se tutta la notte
(pernox) tu giochi ai dadi (alea) sotto gli occhi di chi vinse Numanzia, se inizi a dormire
quando sorge Lucifero, nell’ora in cui quei generali dagli accampamenti movevano le inse-
gne?]. Le conseguenze estreme prospettate alimentarono riprovazione etica del tempo
sprecato in alea e l’adozione di una normativa restrittiva contro il gioco d’azzardo (Lex de
alea) ed il confinamento in una specie di “spazio legale” riservato all’alea, durante la festa
dei Saturnali.
46
I dadi sono stati chiamati tesserae in quanto quadrati da ogni lato. Vi è chi dà loro il
nome di lepusculi [ossia leprotti], in quanto si muovono saltando. Anticamente i dadi era-
no detti iacula, dal verbo iacere, che significa lanciare.
47
J. HUIZINGA, Homo ludens, cit.; R. CAILLOIS, Les Jeux et les hommes: le masque et le ver-
tige, Paris, 1958, trad. it., R. CAILLOIS, L. GUARINO (a cura di), I giochi e gli uomini. La ma-
schera e la vertigine, Milano, 1981.
48
R. CAILLOIS, I giochi e gli uomini, cit., 23.
49
G. SEMERANO, Le origini della cultura europea, 2, Dizionari etimologici. Basi semitiche
delle lingue indeuropee. Tomo I, Dizionario della lingua greca; Tomo II, Dizionario della
lingua latina e di voci moderne, Firenze, 1994.
16 Carmen Pennacchio
50
F.E.J. VALPY, sv. Alea, in Etymological Dictionary of the Latin Language, London,
1928. Cfr., M. SIČ (SZŰCS), L’eredità futura come oggetto del contratto (patto) nel diritto
classico e postclassico, in RIDA, LIX, 2012, 198 ss.
51
Secondo la regola classica, la vendita di eredità futura (della persona vivente) è nulla:
“Si hereditas venierit eius, qui vivit aut nullus sit, nihil esse acti, quia in rerum natura non sit
quod venierit” (Pomp. D. 18.4.1). Secondo parte della dottrina (V. ARANGIO-RUIZ, La
compravendita in diritto romano, 1, Napoli, 1978, 116 ss.), si tratta dell’applicazione di una
regola risalente al tempo in cui l’unica pratica conosciuta era la vendita a contanti (nulla
venditio sine re quae veneat, Pomp. D. 18.1.8 pr.1). In questo contesto, l’eredità della per-
sona vivente non si può vendere, semplicemente perché essa non esiste: quia in rerum na-
tura non sit quod venierit. Senza riferirsi alle fonti, l’Arangio-Ruiz argomentava la nullità
della vendita anche con “la ripugnanza romana verso le convenzioni relative all’eredità di
persone viventi”, e con la difficoltà di realizzare la richiesta di adempimento della presta-
zione dedotta nel contratto.
52
Sul punto F. BARTOL, Emptio lactus missilium, in UNED. Revista de Derecho, 2, 2007,
445 ss. Lo Studioso si esprime nei seguenti termini (445): “Etimológicamente el término
missilia significa lo lanzado, lo enviado. Este vocablo que es propio del lenguaje militar, tal
como puede apreciarse en los historiadores romanos. Tito Livio, Tácito o Amiano Marce-
lino’, generalmente aparece unido al término telum. Así Festo escribe. Tela proprie dici vi-
dentur ea, quae missilia sunt, ex Graeco videlicet transíate eorum. nomine, quoniam illi
τηλόϑξν missa dicunt, quae nos eminus”.
53
Il rischio contrattuale inerente all’alea nell’atto negoziale ha generato la “vendita alea-
toria” nella disciplina giuridica e nel diritto civile italiano (art. 1472 cc.).
Immagini e giochi dell’antichità 17
est: et quod missilium nomine eo casu captum est si evictum fuerit, nulla eo no-
mine ex empto obligatio contrahitur, quia id actum intellegitur 54.
54
Per completezza riferiamo anche il principium: Nec emptio nec venditio sine re quae
veneat potest intellegi. Et tamen fructus et partus futuri recte ementur, ut, cum editus esset
partus, iam tunc, cum contractum esset negotium, venditio facta intellegatur: sed si id egerit
venditor, ne nascatur aut fiant, ex empto agi posse.
55
Cfr., sul punto, A.M. RABELLO, La base romanistica della teoria di Rudolph von Jhering
sulla culpa in contrahendo, in Diritto@Storia. Ius-Antiquum-Древнее-право, 20, 2007, in parti-
colare nota 23, nella quale si riferisce il dibattito dottrinale anche circa la genuinità
dell’esempio e l’opinione della dottrina sull’opportunità della fattispecie. Cfr., TLL., 1900.
56
Da questo il senso di una espressione francese, acheter un coup de filet, il lancio, for-
tunato o no, del filo da pesca (W. FREUND, N. THEIL, Grand dictionnaire de la langue latine,
Paris, 1855).
57
Cfr., F. BARTOL, op. cit., 445 ss. In precedenza, J. ERDŐDY, Some questions concerning
money in Roman law. A new perspective, in Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungari-
cae, 47.3, Sept. 2007, 241 ss.; V. J. BENKE, Emptio spei, in Tanulmányok Dr. Molnár Imre
egyetemi tanár 70. születésnapjára, Szeged, 2004, 71.
58
Cfr. il giulianeo D. 18.1.39.1, e sul tema cfr., V. ARANGIO RUIZ, op. cit., 121. La dot-
trina ottocentesca, fondandosi su questi ragionamenti, tentò di giungere ad un criterio ge-
nerale, in base al quale, riferendosi ad una quaestio voluntatis, si stabilì che la vendita di un
oggetto non ancora venuto ad esistenza determini l’acquisto di una res sperata o di una
spes, a seconda della volontà delle parti. Cfr., A.M. RABELLO, op. cit., nota 25.
18 Carmen Pennacchio
l’azione che il tiro produce 59, i dadi si lanciano (iactare) 60, o cadono (cade-
re) 61, anche se gli stessi possono cadere non solo dalla mano, tant’è che si
introdusse l’uso di un contenitore 62 (bossolo o bussolotto, pyrgus, turricula
[Mart. 14.16], phimus o fritillus [Sidon., Epist. 8.12]) che avrebbe inibito
lanci mirati con la mano di taglio a cercare la caduta migliore e dal lato più
favorevole 63.
I dadi si lanciano e cadono sopra una tavola 64, che il latino esprime con
una variegata gamma lessicale: alveus, alveolus e abacus.
Nell’Apocolocyntosis di Seneca, satira sulla morte e apoteosi per “inzuc-
camento” dell’imperatore, Claudio dopo la sua morte sarà condannato a
ludere aleam (giocare l’alea) in eterno e con un bussolotto bucato (pertuso
fritillo) da cui i dadi cadranno a vuoto 65.
59
La spinta impressa alla caduta dei dadi cancella dalla scena del lancio ‘aleatorio’ l’ele-
mento volontaristico, cioè l’azione della mano. Questo proverebbe, in parte, il degrado del
termine da dado a rischio o azzardo, se possiamo chiamare in causa l’etimologia della pa-
rola francese chance, derivante dal latino popolare cadentia, che designava esattamente la
maniera di lanciare i dadi, da cui ‘jeter la chance’. Cfr., sv. chance, in F. GODEFROY, Lexi-
que de l’ancienne langue française, Paris, 1901, dove si legge un significato specifico e tec-
nico: è il punto segnato col dado o la sua stessa caduta, accezioni che hanno dato luogo
alle espressioni ‘donner la chance’ e ‘livrer la chance’.
60
Iactus è tecnicamente il lancio.
61
I due segnii sono ugualmente presenti, vedi nel proverbio Iacta alea est (Cesare all’attra-
versamento del Rubicone, Suet., De vita Caesarum 32). Simile appare la locuzione con il ver-
bo cadere (iudice Fortuna cadat alea) nel petroniano Satirycon (CXXII, 171) quando Eumolpo
declama i versi sulla guerra civile e le imprese di Cesare. Non sostanziale ma invadente è il
richiamo all’inappellabile giudizio della dea Fortuna, sotto cui giace la caduta del dado.
62
Lo strumento era strutturato con rientranze parallele (gradus) all’interno, cosicché si
producesse un rumore tintinnante quando il dado veniva lanciato (Mart. 4.14; 14. 1; Hor.,
Sat. 2. 7.17, che usa la forma greca phimus).
63
Sofocle ci dice (fr. 895) che solo a Zeus i dadi cadono nel verso giusto. L’uomo che ten-
ta di inserire un elemento volontario non sta praticando correttamente l’alea che, in quanto
tale, non deve possedere alcun rapporto tra causa ed effetto. Il lemma βαρός, ‘baro’, oltre a
significare ‘gravità’ e ‘pesantezza’, vuol dire anche ‘pressione’, ‘influenza’, ‘credito’.
64
Secondo la tradizione (Suet., De vita Caesarum 33), Claudio, imperatore – incallito
giocatore d’azzardo (aleam studiosissime lusit) – fece dotare la sua carrozza da viaggio di
un alveus, in modo da poter lanciare i dadi durante i viaggi attraverso l’impero. Svetonio
accenna anche alla circostanza che l’imperatore scrisse un trattato sull’arte aleatoria, del
quale non ci è giunta traccia.
65
Sen., Apocol. 14: Et iam coeperat fugientes semper tesseras quaerere et proficere. [E
aveva già iniziato a rincorrere i dadi che scappavano sempre e a non concludere niente].
Probabilmente l’aneddoto ha rappresentato l’antecedente cui Dante si ispirò per la legge
infernale del contrappasso.
Immagini e giochi dell’antichità 19
4. Levitas aleae
Una tale idea di levità del gioco aleatorio pare non essere condivisa da
tutti, tant’è che una singolare pratica dell’alea, che non sembra avere affini,
è riferita da Tacito, De origine et situ Germanorum (Germania). 24 68, che
66
In riferimento alla loro fattura ‘ossea’ si ritrova l’ipotesi etimologica (organica) – di
uno dei più recenti dizionari, quello di Michiel de Meen (2008), nel quale, giacché falan-
gette di agnelli o altri animali, dette anche astragali o aliossi (in latino tālı̄), erano usate
come dadi, ed anche il termine ālea, in modo analogo, potrebbe essersi generato da un’al-
tra parte del corpo animale, per esempio da āla, che significa appunto ‘ala’, o ‘ascella’. Tale
congettura, anche se apparentemente stravagante, ha il merito di far intravedere origini
molto remote e arcaiche dell’oggetto-dado, inerenti a strati sacrificali e a sprofondamenti
viscerali delle pratiche divinatorie, ancora attive in età paleocristiana (cfr. Tavola 23a del-
l’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg; Urbini 2011).
67
A noi vecchi, dei molti giochi, lascino gli astragali e i dadi; e di questi quale dei due
vorranno, giacché la vecchiaia può essere felice senza di essi.
68
Il brano si presenta in due parti, corrispondenti a due diverse pratiche ludiche: il ca-
rosello o danza che si eseguiva tra le punte delle spade e delle lance, e il gioco d’azzardo
con i dadi. Nel primo caso, si tratta di una forma di spettacolo (genus spectaculorum, saltus,
ars, decor, voluptas spectantium) e, insieme, di un gioco (ludicrum, lascivia); secondo Taci-
to, questo passatempo è proprio delle popolazioni germaniche. La seconda parte del passo
affronta il gioco d’azzardo con i dadi, che, però, per Tacito non ha carattere ludico (inter
seria exercent); anche il riferimento alla sobrietà dei giocatore rimanda al dettaglio simpo-
siale della alea grecoromana (cfr., F. GIACOBELLO, Giocare a dadi a Pompei, tra vino, salsic-
ce e risse: un passatempo da taverna, in C. LAMBRUGO, F. SLAVAZZI, A.M. FEDELI (a cura di),
I materiali della Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano. 1. Tra “alea” e “agòn”:
giochi di abilità e di azzardo, Firenze, 2015, 37 ss.) per cui viene ribadita una separazione
netta della pratica barbarica del gioco dei dadi dalla sfera ludica propriamente intesa. La
connessione tra la danza delle spade e l’alea sembra essere rappresentata dall’audacia (au-
20 Carmen Pennacchio
descrive una sorta di rituale comunitario alla fine del quale gli uomini gio-
cano a dadi – in modo serio e senza bere, nota lo storico con meraviglia – e
una volta dilapidate le sostanze, con un ultimo e definitivo lancio (extremo
ac novissimo iactu), si giocano (contendant) la libertà ed il corpo (de liberta-
te ac de corpore) 69.
Il perdente si assoggetterà ad una servitù volontaria ed i Germani han-
no tanta ostinazione in questa perversione (re prava) e la chiamano fides.
Anche se Tacito non avesse fatto ricorso a materiali di prima mano (come
si sospetta), resta poco usuale l’aggiogare l’alea alla fides, apparendo i due
concetti, affiliati in prova di forza, distinti per addestrare lealtà, prestigio e
fede, le accezioni più comuni del termine fides, che può significare anche
‘credito’. Più una pratica superstiziosa che ludica 70. Non è da sottovalutare
che il lemma alea, seppur con le dovute precauzioni, lambisca spazi vici-
niori alle fides; anche se, avventurarsi in questo accidentato terreno, com-
porterebbe un maggiore approfondimento dal momento che l’associazione
di alea a questioni di fides, rimanda a problemi di scambio, simbolico e
non, tra uomini e cose 71.
Se, poi, poniamo mente ad alea, mettendo in pratica una operazione di
stiramento del termine, congetturando in prospettiva, fino a toccare l’acce-
zione che la forma aggettivale (aleatorio) ha raggiunto negli idiomi neolati-
ni, ci accorgiamo di come le espressioni della latinità letteraria/giuridica ne
avesse già apprezzati i destini, dissodato i luoghi di senso e determinato le
afferenze 72.
dax lascivia nel primo caso, temeritas nel secondo), cioè dal fatto che in entrambi i casi i
Germani arrivano a giocarsi la vita.
69
Cfr., C. TORRE, “Barbarus ludens”. I barbari e il gioco nelle fonti latine, in Acme, 1,
2016, 57 ss.
70
Non dimentichiamo che anche nel mondo greco-latino ai dadi (e agli astragali) era at-
tribuito un valore divinatorio, Cfr., A.A. NUÑO, ΑΝΕΡΡΙΦΘΩ ΚΥΒΟΣ. Áyax y Aquiles tiran
los dados, in MHNH: revista internacional de investigación sobre magia y astrología, 6, 2006,
15 ss.
71
Pare che in età tardo-antica e medievale il lemma alea fosse associato – forse fantasio-
samente – al pronome alter, in relazione alla circostanza che il gioco dei dadi e delle tavole
inscenano l’alterità e la reciprocità. Altro è colui che siede accanto e al quale si cede la ma-
no e, forse, anche la fortuna (P. CANETTIERI, Il gioco dei dadi nel medioevo [Internet]. Ver-
sion 1. Paolo Canettieri. 2009 Ott 6. Available from: https://paolocanettieri.wordpress.
com/article/il-gioco-dei-dadi-nel-medioevo-vyvpjuoxc2n0-62/).
72
Pure se il termine è presente, almeno fino al XVI secolo, in particolar modo nei trat-
tati (in latino) sui giochi da tavolo, il transito in Europa alle lingue volgari concentra in alea
l’oggetto, il concetto e il gesto, e durante questa lenta trasmigrazione lessicale il lemma
perderà la sua oggettiva tecnicità, conservandone solo l’astratto. In tal senso: “Something
Immagini e giochi dell’antichità 21
Nel suo liberarsi dalle pastoie concrete con l’oggetto, alea prende posto,
in alcuni luoghi fondativi del pensiero occidentale, come capacità, comun-
que, già avvertita dall’estrema e favorevole motilità della lingua latina.
La questione è complessa ma le due estreme linee di sviluppo possono
essere tracciate. La prima si riferisce al pericolo, insito nel gioco aleatorio,
di alterare il tempo dell’otium e del negotium, denuncia raccolta a larghe
mani dalla concezione protestante e calvinista della festa, nella quale af-
fondano snodi della riflessione sul capitale 73. La seconda prende l’avvio
dalla tradizione rinascimentale, il cui punto aureo è dato dal De Ludo
aleae, ad opera del matematico e astrologo Girolamo Cardano, la quale
rappresenta un punto di svolta nella concezione dei giochi di dadi e delle
sue tecniche ed apre le porte alle prime teorie circa il calcolo combinatorio
delle probabilità, che traghetterà verso scienze matematiche moderne.
In ultimo potremmo dire che nel termine alea alloggerebbe qualcosa di
suo proprio, caratteristica che non tutte le parole possiedono e che certi
linguisti individuano come la “vita pulsante” dei lemmi. Nel caso di alea
concorrerebbero i gesti e le voci che si alzano intorno al getto, nella frazio-
ne di tempo della puntata; cioè le interiezioni, gli accidentia (bestemmie?);
la messa in gioco di anima e moglie; la pronuncia del nome della fanciulla
amata; le parole auspicali in favore delle persone care; le acclamazioni al
lancio buono (Venus), o al lancio sfortunato (Canis) 74. In definitiva ciò che
Orazio, nelle Odi (II,1,6), chiama Opus aleae.
Quando la parola alea decadrà per fare posto ai termini corrispondenti
delle lingue neo-latine, ne sopravviverà il lascito (bollato dalla permanenza
dell’aggettivo ‘aleatorio’) di ciò che il dado richiede come condizione ulti-
ma: quella di affidarsi, nella cessione più incondizionata, al lancio nel-
l’aperto – che è il fato o la morte, in una immagine: il gioco del Phersu.
È databile intorno al 530 a.C. la comparsa, nelle tombe dipinte di Tar-
quinia, di una strana figura: indossa cappello a cono con lunghi copriorec-
chie, quasi copri guancia, ruvida pelle selvatica – in alcuni casi, invece, ve-
ste una corta giacca a scacchi colorati – ed il viso è coperto da una masche-
ra barbuta.
which involves uncertainty, a risk enterprise or purchase” secondo l’Oxford Latin Diction-
nary (1968). In italiano alea si conserva nel linguaggio colto, o in quello contrattuale.
73
M. WEBER, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, ed. it., P. BURRESI, Firenze,
1983, passim; L. ALTHUSSER, Sul materialismo aleatorio, Milano, 2000.
74
F. LÜBKER, sv. Alea, in Lessico ragionato dell’antichità classica, Roma, 1898, traduzio-
ne di Carlo Alberto Murero (ristampa anastatica con una premessa di S. Mariotti, Bologna,
1989).
22 Carmen Pennacchio
75
M. MARTINELLI, Il gioco del Phersu, in Spettacolo e sport in Etruria. Musica, danza, ago-
nismo e rappresentazioni tra Italia e Mediterraneo, Toscana beni culturali, 9, 2007, 165 ss.
76
Molti ritengono che il termine persona (equivalente a maschera) derivi dall’etrusco
Phersu. Il phersu era un uomo con una maschera in volto e cappuccio in testa al cui braccio
era una fune che teneva legato un cane. Il gioco consisteva nell’aizzare il cane contro l’altro
uomo che, anch’esso incappucciato, brandiva una specie di clava per tentare la difesa dagli
attacchi del cane e del Phersu. Era un gioco mortale al pari di tanti altri, come la lotta, ad
esempio; ma era anche un rito funerario etrusco, uno tra i tanti che accompagnavano il de-
funto attraverso la porta che accedeva all’aldilà. Purtroppo era anche un fatto reale, violen-
to, crudele e perverso, ma come gioco fu introdotto a Roma diventando uno dei più seguiti
e richiesti giochi gladiatori. Nel gioco entrambe le persone non mostrano il volto. Entram-
bi sono contemporaneamente umani e bestiali. Al di là il Phersu, il carnefice, c’è un uomo
che incarna il bestiale come espressione di violenza e di godimento nell’atto violento. Die-
tro il prigioniero, la vittima, c’è un uomo che incarna la bestia mandata al macello, colui
che non avrà altra consolazione se non quella di morire il prima possibile. Dietro la ma-
schera del Phersu, la persona agisce come vuole, senza essere riconosciuta: i suoi gesti, le
sue azioni, forse anche le sue parole, diventano legittimi. Non è la persona che si esprime,
è la maschera che indossa, è l’altra parte di sé, la sua parte oscura. Un lato oscuro che
emerge e si rende visibile e reale attraverso la maschera che la persona indossa. Sotto il vol-
to coperto del prigioniero c’è la paura e il terrore, che non devono essere mostrati né visti
da altri. Non a caso le paure personali più oscure sono segrete, invisibili a tutti; e l’uomo,
chiunque esso sia, non può dimostrare nemmeno di temere la morte. Incutere timore è il
potere di esercitare il controllo, anche sulla paura della morte. Il rito sacro, il rito funerario
che serve ad esorcizzare lo spettro, diventa il gioco del Phersu perché solo così può essere
accettato e perché solo così può essere riproposto ad un pubblico che applaude la vittoria
del più forte. Il più forte, attraverso una maschera dietro cui si nasconde una persona, riu-
scirà ad incarnare quel ruolo anche in altri momenti di ogni epoca. Quando il condannato
a morte, a viso scoperto, sale sul patibolo ha davanti a sé il Phersu, il boia con il suo cap-
puccio e le sue armi di morte; quando il carnefice non ha la sua maschera, è il condannato
ad essere bendato per non guardare in faccia la morte. A volte, il prigioniero, in un gesto
Immagini e giochi dell’antichità 23
gli Auguri dallo scopritore Luigi Dasti) esso 77 è riprodotto in due diverse
scene.
Sulla parete destra è rappresentato un gruppo costituito da un indivi-
duo con maschera rossa barbata, corto giubbetto maculato, stretta fascia
rossa ai lombi ed alto berretto a punta, che tiene al laccio un cane (molos-
so?) che assale un condannato a morte. Quest’ultimo, con evidenti tracce
di ferite sul corpo, ha la vista impedita da un sacco che gli avviluppa la te-
sta e tenta di difendersi dagli attacchi del feroce animale con una clava che
impugna con la mano destra. Sulla parete sinistra della tomba il personag-
gio mascherato, seppur con abbigliamento diverso, appare impegnato in
una corsa con il capo rivolto all’indietro 78.
La cruenta scena di combattimento sopra descritta si riconosce, nono-
stante il cattivo stato di conservazione della pittura, anche su una delle pa-
reti della Tomba delle Olimpiadi 79 (ultimo venticinquennio del VI secolo
di rivalsa e ribellione, si toglie la benda, mostrando il viso al carnefice che, nonostante stia
per eseguire la condanna, sentirà per la prima volta la propria paura della morte. Chi in-
dossa la maschera è persona e può essere contemporaneamente vittima e carnefice. Solo
chi non porta maschera è se stesso. Il cane non porta maschera, non è persona. Solo il cane
è se stesso. Solo l’animale è unico; l’uomo è sempre doppio. Per la tomba degli Auguri cfr.
G. BECATTI, F. MAGI, Le pitture della Tomba degli Auguri e del Pulcinella, in Monumenti
della pittura antica scoperti in Italia, Sez. I, fasc. III-IV, Poligrafico dello Stato, Roma,
1956; anche M. CRISTOFANI, L’arte degli Etruschi, Produzione e consumo, Torino, 1978, 68
ss.; sul passaggio linguistico etrusco/latino, cfr. A. ERNOUT, Les èlèments ètrusques du vocabu-
laire latin, in Bullettin de la Sociètè linguistique, 30, 1930, 82 ss. Nell’antico Egitto inoltre è
intorno agli inizi del II millennio che viene introdotta la maschera che successivamente ebbe
quella vasta diffusione in ambito funerario con valenza altamente magica.
77
La pratica di gare (agones/ludi), in funzione di rito funerario, fu usanza diffusa in tutto
il mondo antico e variamente documentata presso gli Etruschi (cfr. B. D’AGOSTINO, L.
CERCHIAI, Il mare la morte l’amore. Gli etruschi, i Greci, l’immagine, Roma, 1999, 38). Si
spiegano così, le rappresentazioni di scene di gara e di banchetto nelle pitture tombali. Varie
erano le forme; dallo spettacolo di saltimbanchi, alle gare ginniche, al pugilato, alla corsa con
carri trainati da cavalli ed ai duelli all’ultimo sangue (Cfr. F. PAOLUCCI, Gladiatori: i dannati
dello spettacolo, Firenze, 2003, 12; inoltre, Tert. De spect. 12.2, riferisce dei giochi, in partico-
lare della gladiatura, come conseguenza di un rito propiziatorio per placare i defunti). Le ga-
re funebri rappresentavano nell’aspetto del combattimento, la precarietà della vita nei con-
fronti della morte. Un duello gladiatorio, il così detto gioco del Phersu, è dipinto, come ab-
biamo detto già, nella tomba degli Auguri a Tarquinia. Ma qual’era il significato di questo
duello? Phersu simboleggiava più che probabilmente un demone infernale, apportatore di
morte, la cui azione funesta veniva evocata e forse dissolta, mediante il rito gladiatorio.
78
M. MORETTI, Pittura etrusca in Tarquina, Milano, 1974.
79
La Tomba delle Olimpiadi risale al VI sec. a.C. (rinvenuta nel 1958) e i suoi affreschi
sono stati staccati dalle pareti al momento della scoperta del sepolcro, e conservati presso
24 Carmen Pennacchio
a.C.): in particolare sono visibili le teste del Phersu e del prigioniero incap-
pucciato che tiene in mano un’arma.
Sulla parete sinistra della Tomba del Pulcinella (anni finali del VI seco-
lo a.C.) e della Tomba del Gallo (inizi del IV secolo a.C.) il solito perso-
naggio con maschera barbata è invece rappresentato in scene di danza.
La raffigurazione in argomento sarebbe inoltre proiettata anche in alcu-
ne tombe di Chiusi: nella Tomba della Scimmia 80 (prima metà del V secolo
a.C.), dove un piccolo Phersu accompagna, suonando il flauto, la danza di
un guerriero e forse anche nella Tomba del Montollo 81, oggi distrutta e le
cui raffigurazioni ci sono giunte solo grazie alle riproduzioni ed alle descri-
zioni fornite dalla Gori 82.
Su un anfora del Pittore dei satiri danzanti 83, oggi a Karlsruhe, infine, è
rappresentato un phersu che danza con scudo e clava nodosa.
Nella Tomba delle Leonesse 84 è un Phersu agile che insidia una lieve,
succinta fanciulla che non fugge, lo affronta con un gesto apotropaico delle
dita: le corna hanno un lontano crisma celeste perché riproducono i cre-
scenti lunari. Un remoto motivo della melodia di Schubert: Der Tod und
das Mädchen.
SOMMARIO: 1. Cenni sui più antichi divieti in età repubblicana. – 2. La disciplina di età
imperiale. – 3. Gli interventi di Giustiniano.
1
Tra gli studi maggiormente approfonditi dedicati al tema del gioco, dal punto di vista
storico-sociologico-antropologico, cfr. soprattutto G. IMBUCCI, Il gioco. Lotto, totocalcio,
lotterie. Storia dei comportamenti sociali, Venezia, 1997 e, l’ormai classico, J. HUIZINGA,
Homo ludens (prima ed. italiana: Torino, 1946), Torino, 2002.
2
Le fonti non giuridiche ci forniscono molte notizie in ordine ai vari giochi, tra cui i
più popolari sembra che fossero le partite a dadi (aleae). Per più ampi ragguagli, cfr., in
part., J CARCOPINO, La vita quotidiana a Roma, trad. it., Roma-Bari, 1993, 287 s.
3
Per la letteratura romanistica più recente in tema di giochi e scommesse si segnalano:
G. IMPALLOMENI, Il regime del gioco nel ‘Corpus Iuris’ in relazione con alcune codificazioni
europee, in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 643 ss.; ID.,
In tema di gioco, in AA.VV., Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, vol. V, Napoli,
1984, 2331 ss., ora in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996,
499 ss.; M.G. ZOZ, La disciplina giuridica del gioco e della scommessa: varianti e punti in
26 Francesco Fasolino
Per tutte queste ragioni, il gioco d’azzardo sin dall’epoca più antica è
stato, quindi, oggetto di una legislazione repressiva, le c.d. leges aleariae
(precisamente, le leggi Titia, Publicia e Cornelia 4), ricordate dal giurista
Marciano in un passo dei Digesta di Giustiniano, D. 11.5.3; di tale com-
plesso normativo, in parte risalente già alla fine del III secolo a.C., tuttavia,
ben poco sappiamo quanto al suo contenuto specifico, sia in termini di di-
vieti concreti che di tipologia di sanzioni previste.
Avendo a disposizione soltanto fonti indirette, sia letterarie che giuridi-
che 5, dalla loro lettura ricaviamo, in definitiva, che le leggi alearie vietava-
no il gioco d’azzardo e le scommesse in denaro ma, a quanto parrebbe,
senza sanzionare con la nullità il negozio di gioco bensì prevedendo la sola
applicazione di multe ad opera di alcuni magistrati, gli aediles.
Ad una delle ricordate leges alearie deve ricondursi, poi, probabilmente,
l’introduzione della c.d. actio de aleatoribus, un’azione penale privata in virtù
della quale i giocatori d’azzardo erano puniti mediante il pagamento di una
somma, pari al quadruplo di quanto illegittimamente vinto, la quale veniva
consegnata ai delatori che avevano sporto la denuncia (i c.d. quadruplatores,
personaggi che godevano di una pessima reputazione sociale) 6.
comune delle varie legislazioni, in ID., Fondamenti romanistici del diritto europeo. Aspetti e
prospettive di ricerca, Torino, 2007, 61 ss.; E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y
C. 3.43 (De aleae lusu et aleatoribus): Precedentes romanos del contrato de juego, in Anua-
rio Jurídico y Económico Escurialense, XLII, 2009, 29; A. CAPPUCCIO, ‘Rien de mauvais’. I
contratti di gioco e scommessa nell’età dei codici, Torino, 2011, 21 ss.; J.L. ZAMORA MANZANO,
La regulación jurídico-administrativa del juego en el derecho romano y su proiección en el
derecho moderno, Madrid, 2011; S.B. FARIS, Changing Public Policy and the Evolution of
Roman Civil and Criminal Law on Gambling, in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012,
199 ss.; A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Mini-
ma de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58; EAD, Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto
romano, in BIDR, CXI, 2017, 41 ss.; P. ZILIOTTO, Disciplina privatistica classica del gioco
d’azzardo vietato, in TSDP, X, 2017, 1 ss. Sempre utile è la lettura di C. MANENTI, Del
giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato romano e moderno, in appen-
dice a F. GLÜCK, Commentario alle pandette tradotto e arricchito da copiose note e confronti
col Codice Civile del Regno d’Italia, Libro XI, titolo V, De aleatoribus, Milano, 1903, 547 ss.
4
G. ROTONDI, Leges publicae populi Romani, Milano, 1912, rist. Hildesheim, 1962, 261,
riesce ad ipotizzare una datazione (204 a.C.) solo per la legge Publicia, sulla scorta di
Plaut., Mil. glor. 2.2.166: atque adeo, ut ne legi fraudem faciant aleariae, adcuratote ut sine
talis domi agitent convivium.
5
Per una completa rassegna si rinvia a J.L. ZAMORA MANZANO, La regulación, cit., 59 ss.
6
Amplius, vd. A. POLLERA, In tema di repressione del gioco d’azzardo: dati e problema, in
Studi per L. De Sarlo, Milano, 1989, 522 ss., nonché a C. RUSSO RUGGERI, Leggi sociali e
quadruplatores nella Roma postannibalica, in Labeo 47.3, 2001, 361 ss. Da ultima, sull’argo-
mento, anche A. BOTTIGLIERI, Le scommesse, cit. 44 ss.
“Alea iacta est”: la disciplina di giochi e scommesse a Roma 27
Non rientravano, tuttavia, nel divieto previsto dalla legge le scommesse ri-
ferite a gare sportive: è nota, infatti, la passione dei Romani per questo genere
di competizioni (per lo più gare di corsa o di lotta o ludi circensi), in relazio-
ne al cui esito le scommesse venivano, per l’appunto, effettuate; l’esenzione si
giustifica in considerazione del fatto che si tratta di gare nelle quali la casuali-
tà viene ad avere un ruolo solo marginale mentre hanno valore preponderan-
te le doti e la perizia dei giocatori. La scriminante tra competizioni lecite (per
le quali sono ammesse le scommesse) e gioco d’azzardo, sempre illecito, viene
individuata, dunque, nella virtus che connota le prime, nelle quali appunto si
esprime il valore dei contendenti, mentre il secondo si caratterizza per la me-
ra sorte, poco o nulla valendo l’abilità dei giocatori 7.
D. 11.5.1pr.-4 (Ulp. 23 ad ed.): Praetor ait: “si quis eum, apud quem alea lusum
esse dicetur, verberaverit damnumve ei dederit sive quid eo tempore dolo eius
subtractum est, iudicium non dabo. In eum, qui aleae ludendae causa vim intule-
rit, uti quaeque res erit, animadvertam”. 1. Si rapinas fecerint inter se collusores,
vi bonorum raptorum non denegabitur actio: susceptorem enim dumtaxat prohi-
buit vindicari, non et collusores, quamvis et hi indigni videantur. 2. Item notan-
dum, quod susceptorem verberatum quidem et damnum passum ubicumque et
quandocumque non vindicat: verum furtum factum domi et eo tempore quo alea
7
Per approfondimenti sul regime dei giochi virtutis causa si rinvia al lavoro di A. BOT-
TIGLIERI, Le scommesse, cit. 41 ss., ora pubblicato anche in questo volume, 81 ss.
8
I passi del Digesto sono di seguito riportati nella traduzione italiana a cura di S. SCHIPA-
NI, Iustiniani Augusti Digesta seu Pandectae. Testo e Traduzione, vol. II, Milano, 2005, 361 ss.
28 Francesco Fasolino
ludebatur, licet lusor non fuerit qui quid eorum fecerit, impune fit. Domum au-
tem pro habitatione et domicilio nos accipere certum est. 3.Quod autem praetor
negat se furti actionem daturum, videamus utrum ad poenalem actionem solam
pertineat, an et si ad exhibendum velit agere vel vindicare vel condicere. Et est
relatum apud Pomponium solummodo poenalem actionem denegatam, quod non
puto verum: praetor enim simpliciter ait ‘ si quid subtractum erit’ iudicium ‘non
dabo’. 4.‘In eum’ inquit ‘ qui aleae ludendae causa vim intulerit, uti quaeque res
erit, animadvertam’. Haec clausula pertinet ad animadversionem eius qui conpu-
lit ludere, ut aut multa multetur aut in lautumias vel in vincula publica ducatur 9.
9
D. 11.5.1 (Ulpiano, nel libro ventitreesimo all’editto): “Afferma il pretore: se taluno
avrà percosso colui, presso il quale si dica essersi giocato d’azzardo, o gli avrà provocato
un danno, oppure se con dolo di quest’ultimo in quell’occasione gli sarà stato sottratto
qualcosa, non darò l’azione. Punirò, a seconda delle circostanza del fatto, chi avrà com-
messo violenza per giocare d’azzardo. 1. Se i giocatori avranno commesso rapine tra di lo-
ro, non sarà denegata l’azione per la rapina: infatti, il pretore ha proibito di rivendicare
soltanto a chi riceve le poste, non anche ai giocatori, sebbene anche costoro si considerino
indegni. 2. Del pari è da notare che chi riceve le poste, se sia stato percosso o abbia subito
un danno, ovunque e in qualsiasi momento ciò sia avvenuto, non può rivendicare; ma il
furto, compiuto in casa ed in quel momento in cui si giocava d’azzardo, sebbene non sia
stato un giocatore chi l’abbia commesso, resta impunito. È certo, poi, che per casa dob-
biamo intendere sia la residenza che l’abitazione. 3. Quanto poi al fatto che il pretore nega
che darà l’azione di furto vediamo se riguardi la sola azione penale o anche il caso in cui si
voglia agire per l’esibizione o rivendicare o chiedere la restituzione per intimazione. Ed in
Pomponio è stato riferito che è stata denegata soltanto l’azione penale, il che non reputo
vero: infatti, il pretore afferma semplicemente: Se gli sarà stato sottratto qualcosa, non darò
l’azione. 4. Punirò – dice il Pretore – a seconda delle circostanze del fatto chi avrà com-
messo violenza per giocare d’azzardo. Questa clausola riguarda la punizione di chi ha co-
stretto a giocare, perché sia multato o sia condotto nelle latomie o nel carcere pubblico”.
“Alea iacta est”: la disciplina di giochi e scommesse a Roma 29
D. 11.5.2pr. (Paul. 19 ad ed.): Solent enim quidam et cogere ad lusum vel ab ini-
tio vel victi dum retinent.
10
Per approfondimenti, si rinvia a G. GRECO, Giochi d’azzardo e deterrenza: brevi note sui
susceptores, in Iura and Legal Systems, 3, 2016, 45 ss. e ID., “Quamvis et hi indigni videan-
tur …”: l’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo, in questo volume, 35 ss., in part. 41 ss.
11
D. 11.5.22pr.-1 (Paolo, nel libro diciannovesimo all’Editto): Taluni, infatti, sono soliti
anche costringere altri a giocare o fin dall’inizio oppure quando li trattengono per aver
perso. 1 Un senatoconsulto ha vietato di giocare denaro, tranne nel caso in cui si competa
nel lancio dell’asta o del giavellotto, oppure nella corsa, nel salto, nella lotta, nel pugilato,
che sono gare fatte per esaltare il valore.
30 Francesco Fasolino
12
Cfr., a tale riguardo, U. GUALAZZINI, s.v. «Giuochi e scommesse», in Enciclopedia del
Diritto, 19, 1970, 32 s.; M.G. ZOZ, La disciplina giuridica del gioco, cit., 64, la quale ritiene
che l’elenco di Paolo sia meramente esemplificativo; nonchè A. CAPPUCCIO, “Rien de mau-
vais”. Contratti di gioco e scommesse nell’età dei codici, Torino, 2011, 32, il quale reputa
questi giochi assimilabili a quelli del pentathlon greco, sulla scia delle argomentazioni già
proposte da D. GOTOFREDO, Corpus iuris civilis Romani 1, Napoli, 1928, 558, nt. 15.
13
D. 11.5.3 (Marciano, nel libro quinto Delle regole): in questi casi, in base alla legge
Tizia e Publicia e Cornelia è anche lecito fare una promessa formale; ma negli altri, ove
non si compete per il valore sportivo, non è lecito. Sul rapporto tra questo frammento e il
precedente, vd. R. FERROGLIO, Ricerche sul gioco e la scommessa fino al secolo XIII, in Rivi-
sta di storia del diritto italiano, 71, 1988, 280.
14
Comunemente si ritiene che si trattasse di leges minus quam perfectae, le quali, pur
non sancendo la nullità del negozio di gioco, avrebbero prevista una pena pubblica per i
contraenti e presumibilmente anche per gli organizzatori: così G. IMPALLOMENI, In tema di
gioco, cit., 502.
15
In tal senso, da ultima, anche A. BOTTIGLIERI, Il gioco, cit. 54.
“Alea iacta est”: la disciplina di giochi e scommesse a Roma 31
ripetizione viene concessa, in via utile, anche agli emancipati e ai liberti che
abbiano perso al gioco, rispettivamente, contro i loro ascendenti e patroni:
D. 11.5.4pr.-2 (Paul. 19 ad ed.): Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam
rem familia ludere permittitur. 1. Si servus vel filius familias victus fuerit, patri vel
domino competit repetitio. Item si servus acceperit pecuniam, dabitur in dominum
de peculio actio, non noxalis, quia ex negotio gesto agitur: sed non amplius cogen-
dus est praestare, quam id quod ex ea re in peculio sit. 2. Adversus parentes et pa-
tronos repetitio eius quod in alea lusum est utilis ex hoc edicto danda est 16.
Proprio sulla base del commento di Paolo ed Ulpiano, il Lenel ha rico-
struito la rubrica edittale de aleatoribus 17, ipotizzando, peraltro, che in essa
dovesse probabilmente essere contenuta un’ulteriore disposizione, in base
alla quale sarebbe stato negato al vincitore di poter agire in giudizio contro
colui che avesse perso al gioco. Si tratta, tuttavia, di una mera congettura,
che l’insigne giurista tedesco avanza sulla scorta del contenuto di D. 44.5
(Quarum rerum actio non datur): sotto tale rubrica, infatti, sono raccolte al-
cune exceptiones, tra cui l’exceptio negotii in alea gesti, correlate a fatti per i
quali, in altre sue parti, l’editto contempla espressamente una denegatio
actionis: di qui, dunque, la deduzione del Lenel circa l’esistenza anche di
una presunta denegatio che avrebbe colpito tutte le eventuali pretese fon-
date su contrattazioni connesse con il gioco18.
Per una completa ricostruzione del quadro della disciplina privatistica
del gioco d’azzardo va tenuto conto, infine, anche dell’exceptio ricordata
da Paolo in D. 44.5.2.1 (Paul. 71 ad ed.):
Si in alea rem vendam, ut ludam, et evicta re conveniar, exceptione summovebi-
tur emptor.
16
D. 11.5.4pr.-2 (Paolo, nel libro diciannovesimo all’editto): È permesso ai componenti
della famiglia giocarsi d’azzardo ciò che è posto per mangiare in un convito. 1 Se a perdere
sia stato un servo o un figlio in potestà, la ripetizione compete al padre o al padrone. Del
pari, se un servo avrà ricevuto denaro, sarà data azione contro il suo padrone nei limiti del
peculio, e non nossale, in quanto si agisce per la gestione di un affare altrui, ma il padrone
non deve essere costretto a prestare di più di ciò che per tale fatto si trova nel peculio. 2
Contro gli ascendenti e i patroni, in base a questo editto, deve essere data in via utile la ri-
petizione di quanto si è giocato d’azzardo.
17
O. LENEL, Das edictum perpetuum, Leipzig, 1907, 170. Secondo G. IMPALLOMENI, In
tema di gioco, cit., 503, “la denegatio potrebbe avere avuto una sfera maggiore, tale da col-
pire tutte le pretese fondate su contrattazioni connesse con il gioco, concluse da giocatori
anche con estranei”. Da ultima, in tal senso, anche A. BOTTIGLIERI, Il gioco, cit. 55.
18
Sul tema, cfr. A. METRO, La “denegatio actionis”, Milano, 1972, 81 ss. Si veda, altresì,
più di recente, A. PALMA, Il luogo delle regole. Riflessioni sul processo civile romano, Tori-
no, 2016, in part. 95 ss. Da ultima, sul punto, anche P. ZILIOTTO, Disciplina, cit. 28 s.
32 Francesco Fasolino
CI. 3.43.1pr.: Alearum lusus antiqua res est et extra operas pugnantibus conces-
sa, verum pro tempore prodiit in lacrimas, milia extranearum nominationum su-
scipiens. Quidam enim ludentes nec ludum scientes, sed nominationem tantum,
proprias substantias perdiderunt, die noctuque ludendo in argento apparatu lapi-
dum et auro: consequenter autem ex hac inordinatione blasphemare conantur et
instrumenta conficiunt. 1. Commodis igitur subiectorum providere cupientes hac
generali lege decernimus, ut nulli liceat in privatis seu publicis locis ludere neque
in specie neque in genere: et si contra factum fuerit, nulla sequatur condemnatio,
sed solutum reddatur et competentibus actionibus repetatur ab his qui dederunt
vel eorum heredibus aut his neglegentibus a patribus seu defensoribus locorum.
2. Non obstante nisi quinquaginta demum annorum aliqua praescriptione. 3.
Episcopis locorum hoc inquirentibus et praesidum auxilio utentibus. 4. Deinde
vero ordinent quinque ludos, ton monobolon ton condomonobolon ke kondacca
ke repon ke perichyten. Sed nemini permittimus etiam in his ludere ultra unum
solidum, etsi multum dives sit, ut, si quem vinci contigerit, casum gravem non
sustineat. Non solum enim bella bene ordinamus et res sacras, sed et ista: inter-
minantes poenam transgressoribus, potestatem dando episcopis hoc inquirendi et
auxilio praesidum sedandi [a. 529 d.X.K. Oct. Constantinopoli Decio cons.].
19
Sull’argomento vd., amplius, G. GRECO, L’exceptio regotii in alea gesti, in questo vo-
lume, 53 ss.
20
Si tratta di CI. 3.43.1 e di CI. 3.43.2. Secondo G. PIOLETTI, s.v. «Giochi vietati», in
ED, 19, 1970, 72, le due costituzioni sarebbero due diverse traduzioni di un unico origina-
le in lingua greca.
“Alea iacta est”: la disciplina di giochi e scommesse a Roma 33
21
Per l’identificazione di tali giochi, cfr., in particolare E. NARDI, Monobolo & C., in
Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, 75, 1987-1988, 15 ss. ora in
AA.VV., Scritti in onore di Angelo Falzea 4, Milano, 1991, 297 ss. A. CAPPUCCIO, Rien de
mauvais, cit., 35, vi ravvisa una variante del quinquertium, traendo conferma alla sua tesi
anche da Teodoro Balsamone (metà del XII sec.), secondo cui: “monobolo è detta la corsa,
contomonobolo il salto, cuntano contace senza la fibula il lancio senza la fibula di ferro …,
pericuté la lotta, e ippica la corsa dei cavalli”.
22
In tal senso, G. PIOLETTI, s.v. «Giochi vietati», cit., 72; della stessa opinione già R. NOTA-
RISTEFANI, sv. Giuoco d’azzardo, in Digesto italiano, XII, Torino, 1901, 439. Secondo A. BOT-
TIGLIERI, Il gioco, cit. 56 nt. 25, “sembra si trattasse di una struttura di legno, composta da vari
gradini sui quali erano stati praticati dei fori; i giocatori ponevano sui gradini quattro palline di
quattro colori, poi le lasciavano cadere e la prima delle palline che, passando attraverso i fori,
usciva dall’ultimo di essi, assegnava la vittoria a colui che aveva puntato su quella pallina”.
34 Francesco Fasolino
CI. 3.43.2pr.: Imperator Justinianus. Prohibemus etiam, ne sint equi lignei: sed
si quis ex hac occasione vincitur, hoc ipse recuperaret: domibus eorum publicatis,
ubi haec reperiuntur. 1. Si autem noluerit recipere is qui dedit, procurator noster
hoc inquirat et in opus publicum convertat. 2. Similiter provideant iudices, ut a
blasphemiis et periuriis, quae ipsorum inhibitionibus debent comprimi, omnes
penitus conquiescant [a. 529 d.X.K. Oct. Constantinopoli Decio cons.].
23
Con ogni probabilità, la legislazione imperiale interdittiva del gioco per gli eccle-
siastici fu influenzata dai Canoni Conciliari: il Decretum di Graziano (Distinctio 35, Ca-
none Episcopus) riferisce che già nei c.d. Canones Apostolorum (risalenti al IV sec.) veniva-
no previste sanzioni assai gravi, quali la deposizione e la scomunica, nei confronti degli
ecclesiastici dediti abitualmente al vizio del gioco: cfr., sul punto, G. CECCARELLI, Il gioco e
il peccato. Economia e rischio nel tardo medioevo, Bologna, 2003, 50 ss.
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 35
SOMMARIO: 1. Diffusione e contrasto del gioco d’azzardo a Roma. – 2. La figura dei su-
sceptores. – 3. Il diniego di tutela giurisdizionale. – 4. Osservazioni conclusive.
1
Si veda la voce corrispondente in F. WAGNER, Lexicon Latinum seu […] Universae
Phraseologiae Corpus Congestum [...], Bruges, 1878, 38.
2
Il gioco d’azzardo più diffuso era quello dei dadi, di cui si conoscevano due tipologie:
le tesserae e i tali. Le prime presentavano sei facce, marcate con i numeri I, II, III, IV, V,
VI. Dei secondi si consideravano solo le quattro facce in senso longitudinale su cui erano
impressi, in reciproca opposizione, i numeri uno, sei, tre e quattro. Ciascun lancio preve-
deva l’impiego di tre tesserae e quattro tali. Il lancio maggiormente fortunato, detto ‘Ve-
nus’, si aveva realizzando tre sei con le tesserae e numeri diversi quanto ai tali. Il lancio più
sfortunato, denominato ‘canis’, era quello in cui ciascuna tessera mostrava la faccia con il
numero uno e i tali davano numeri identici. Con un altro gioco, simile all’odierna morra, si
chiedeva ai partecipanti di indovinare i numeri che l’avversario avrebbe mostrato con le
dita. Diffusamente v. A. ADAM, Roman antiquities: or, An account of the manners and cu-
stoms of the Romans; designed to illustrate the Latin classics, by explaining words and phra-
ses, from the rites and customs to which they refer, New York, 1819, 436 ss.
36 Giovanbattista Greco
3
“Plane, si dixerit aleatorem non esse, furem non esse, ad statuam numquam confugisse,
oportet eum id praestare”.
4
Relativamente all’esercizio del commercio degli schiavi v. R. ORTU, Note in tema di or-
ganizzazione e attività dei venaliciarii, in Diritto@Storia, 2, 2003 <http://dirittoestoria.it/
tradizione2/Ortu-Venaliciarii.htm>; ID., Brevi note in tema di societas venaliciaria, in Ar-
chivio storico giuridico sardo di Sassari, 19, 2014, 152 ss. Sull’editto degli edili curuli e le
garanzie in favore degli acquirenti v., per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli,
Padova, 1955; R. MONIER, La garantie contre les vices cachés dans la vente romaine, Paris,
1930; R. ORTU, Alle origini della tutela giuridica del consumatore: fondamenti romanistici
della disciplina europea, in Archivio storico e giuridico sardo di Sassari, 2016, 131 ss.; A. PE-
TRUCCI, Osservazioni minime in tema di protezione dei contraenti con i venaliciarii in età
commerciale, in AA.VV., Filìa. Scritti per Gennaro Franciosi, III, Napoli, 2007, 2079ss.; D.
PUGSLEY, The Aedilician Edict, in A. WATSON (a cura di), Daube Noster, Edinburg-
London, 1974, 253 ss.; L. SOLIDORO, Gli obblighi di informazione a carico del venditore.
Origini storiche e prospettive attuali, Napoli, 2007.
5
Cfr. C.E. ROJAS PERALTA, Los vicios ocultos en la compraventa (emptio et venditio-
ne) del derecho romano, in Revista electronica del trabajador judicial, <https://erwin
rodriguez.wordpress.com/los-vicios-ocultos-en-la-compraventa-emptio-et-venditione-del-
derecho-romano/>.
6
Tanto è riferito in Cic., Phil. 2,23,56: “Restituebat multos calamitosos. In iis patrui nul-
la mentio. Si seuerus, cur non in omnis? Si misericors, cur non in suos? Sed omitto ceteros;
Licinium Denticulum de alea condemnatum, conlusorem suum, restituit; quasi uero ludere
cum condemnato non liceret; sed ut, quod in alea perdiderat, beneficio legis dissolueret”.
7
“[…] Inter cenam lusimus geronticos et heri et hodie; talis enim iactatis, ut quisque ca-
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 37
nem aut senionem miserat, in singulos talos singulos denarios in medium conferebat, quos
tollebat universos, qui Venerem iecerat”. Et rursus aliis litteris: “Nos, mi Tiberi, Quinqua-
trus satis iucunde egimus; lusimus enim per omnis dies forumque aleatorium calfecimus. Fra-
ter tuus magnis clamoribus rem gessit; ad summam tamen perdidit non multum, sed ex ma-
gnis detrimentis praeter spem paulatim retractum est. Ego perdidi viginti milia nummum
meo nomine, sed cum effuse in lusu liberalis fuissem, ut soleo plerumque. Nam si quas manus
remisi cuique exegissem aut retinuissem quod cuique donavi, vicissem vel quinquaginta milia
[…]”. (Suet., Aug. 71).
8
“Nullam vestem bis induit. Quadringenis in punctum sestertiis aleam lusit […]” (Suet.
Nero., 30,3).
9
Tanto risulta da Cic., Phil. 8,26 e Catil. 2,23.
10
A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima
de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58.
11
Le fonti giuridiche romane operavano una suddivisione degli intrattenimenti compe-
titivi in ‘giochi’ e ‘scommesse’ attraverso il ricorso ai lemmi ‘ludus’ e ‘sponsio’ e alle relative
forme verbali ‘ludere’ e ‘spondere’. Di questi, l’alea costituiva la manifestazione deteriore.
La materia non sembra aver conosciuto un compiuto sforzo classificatorio e il discrimine
terminologico di cui si è dato conto, benché ricorrente e non degradabile al rango di mera
variante lessicale, è rimasto appena abbozzato. A spiegare la mancata codificazione degli
elementi distintivi di ciascuna classe di occupazioni ludiche potrebbe validamente richia-
marsi la ridotta propensione della giurisprudenza romana verso i processi di astrazione (F.
SCHULZ, I principi del diritto romano, trad. it. V. Arangio Ruiz, Firenze, 1946, 34). Nem-
38 Giovanbattista Greco
meno va trascurata, però, la concreta difficoltà di segnare un confine tra le attività di svago
che fosse oggettivamente percepibile e presentasse un quid pluris rispetto alle mutevoli de-
nominazioni con cui quelle venivano designate nella pratica quotidiana. Analoghe difficol-
tà di approccio sono venute in luce quando ci si è proposto di stabilire il significato delle
nozioni di ‘gioco’ e ‘scommessa’ impiegate nelle codificazioni contemporanee. Così, valo-
rizzando l’elemento oggettivo della fattispecie, si è giunti a riconoscere nel gioco una gara a
contenuto agonistico e ricreativo e nella scommessa una contesa sulla verità di un fatto o di
una osservazione (C.A. FUNAIOLI, Il giuoco e la scommessa, in Trattato Vassali, IX, 2, Tori-
no, 1961). Concentrando l’attenzione sul profilo soggettivo, si è concluso che solo nel gio-
co si riscontrerebbe la partecipazione diretta dei contendenti alla realizzazione dell’evento
oggetto di competizione, laddove nella scommessa questi vi rimarrebbero estranei (M. PA-
RADISO, I contrati di gioco e scommessa, Milano, 2003, 43 ss.). In una prospettiva teleologi-
ca, è stato infine osservato che il gioco sarebbe animato dal desiderio di lucro laddove la
scommessa risulterebbe retta dalla mera volontà di veder prevalere la propria affermazione
(B. BELOTTI, voce ‘Giuoco’, in Il Digesto italiano, XII, 1900-1904, 403 ss.). Difficilmente
dall’incerto panorama definitorio odierno potrebbero derivarsi elementi utili ad acclarare
l’essenza di fenomeni passati. Ci sembra piuttosto che i caratteri cumulativamente richiesti
affinché un’attività di svago potesse incontrare l’interesse del ius fossero due: a) il confron-
to intersoggettivo di energie fisiche, psichiche o capacità previsionali; b) l’esistenza di un
premio o posta costituiti da denaro o altra utilità. Per converso, quando l’intrattenimento
si esauriva nella sfera individuale o non implicava lo spostamento di ricchezza, la sua prati-
ca si iscriveva a pieno titolo nell’area del giuridicamente indifferente, mancando qualun-
que possibilità che fossero pregiudicate istanze collettive. In quest’ottica, la discriminazio-
ne tra giochi e scommesse si diluiva al punto che essi ben potevano ricostruirsi come “fra-
telli siamesi” (T. SANFELICI, voce ‘Giuoco e scommessa’, in Enciclopedia giuridica italiana,
VII, 1903, I, 611), “quasi una tautologia” (G. IMPALLOMENI, Il regime del gioco nel ‘Corpus
Iuris’ in relazione con alcune codificazioni europee, in ID., Scritti di diritto romano e tradi-
zione romanistica, Padova, 1996, 643).
12
D. 11.5.2.1 (Paul. 19 ad ed.): “Senatus consultum vetuit in pecuniam ludere, praeter-
quam si quis certet hasta vel pilo iaciendo vel currendo saliendo luctando pugnando quod vir-
tutis causa fiat”; D. 11.5.3 (Marc. 5 reg.): “In quibus rebus ex lege Titia et Publicia et Corne-
lia etiam sponsionem facere licet: sed ex aliis, ubi pro virtute certamen non fit, non licet”.
13
Si trattava indubbiamente di un’actio popularis, per come descritta in Plaut., Persa,
62-74: “Neque quadruplari me volo; neque enim decet/ sine meo periclo ire aliena ereptum
bona / neque illi qui faciunti mihi placent. Planen loquor? / Nam publicae rei causa quicum-
que id facit / magis quam sui quaesti, animus induci potest / eum esse civem et fidelem et bo-
num. / Sed si legirupam qui damnet, det in publicum / dimidium; atque etiam in ea lege ad-
scribier / ubi quadruplator quempiam inieit manum / tantidem ille illi rursus iniciat manum,
/ ut aequa parti prodeant ad trisviros. / Si id fiat, ne isti faxim nusquam appareant / qui hic
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 39
“Si quis sponsionis causa anulos acceperit nec reddit victori, praescriptis verbis
actio in eum competit: nec enim recipienda est sabini opinio, qui condici et furti
agi ex hac causa putat: quemadmodum enim rei nomine, cuius neque possessio-
nem neque dominium victor habuit, aget furti? Plane si inhonesta causa sponsio-
nis fuit, si anuli dumtaxat repetitio erit”.
albo rete aliena oppugnant bona”. In tema v. Y. RIVIÈRE, Les quadruplatores: la rèpression
du jeu, de l’usure et quelques autres délits sous la Republique romaine, in Mélanges École
Française de Rome (MEFRA), 109.2, Roma, 1997, 577 ss.; F. DE MARTINO, I “quadruplato-
res” nel “Persa” di Plauto, in Labeo, 1955, 32 ss.
14
C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato romano
e moderno, in appendice a F. GLÜCK, Commentario alle pandette tradotto e arricchito da
copiose note e confronti col Codice Civile del Regno d’Italia, Libro XI, titolo V, De aleatori-
bus, Milano, 1903, 547.
40 Giovanbattista Greco
15
D. 11.5.4.1: “Si servus vel filius familias victus fuerit, patri vel domino competit repeti-
tio. Item si servus acceperit pecuniam, dabitur in dominum de peculio actio, non noxalis, quia
ex negotio gesto agitur: sed non amplius cogendus est praestare, quam id quod ex ea re in pe-
culio sit”.
16
C. 3.43.1.1: “Imperator Justinianus Commodis igitur subiectorum providere cupientes
hac generali lege decernimus, ut nulli liceat in privatis seu publicis locis ludere neque in spe-
cie neque in genere: et si contra factum fuerit, nulla sequatur condemnatio, sed solutum red-
datur et competentibus actionibus repetatur ab his qui dederunt vel eorum heredibus aut his
neglegentibus a patribus seu defensoribus locorum” [a. 529 d.C.].
17
Oltre ai già segnalati A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LU-
CREZI (a cura di), Minima de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 45 ss. e G. IMPALLOMENI, In tema
di gioco, in AA.VV., Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, Napoli, 1984, 2331 ss.
possono menzionarsi ID., Il regime del gioco nel corpus iuris in relazione con alcune codifica-
zioni europee, Vienna-Manz, 1993; C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di
vista del diritto romano e moderno, Appendice ai §§ 757-762 di CH.F. GLUCK, Ausführliche
Erläuterung der Pandekten nach Hellfeld, Palm, Erlangen, 1796-1830, trad. it., Commenta-
rio alle Pandette, lib. XI, Milano, 1903; E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y C.
3.43 (De aleae lusu et aleatoribus): Precedentes romanos del contrato de juego, in Anuario
Jurídico y Económico Escurialense, XLII, 2009, 17 ss.; J.G. CAMINˇAS, Sobre los “quadrupla-
tores”, in Studia et Documenta Historiae Iuris, 50, 1984, 472 ss.; A. POLLERA, In tema di re-
pressione del gioco d’azzardo: dati e problemi, in AA.VV., Studi per Luigi De Sarlo, Milano,
1989, 323 ss.; E. NARDI, Monobolo & C., Milano, 1991; M.J. DIAZ GOMEZ, El origen históri-
co del contrato de juego, in Derecho y Conocimiento, vol. 2, Universidad de Huelva, 2003,
285 ss.; S.B. FARIS, Changing Public Policy and the Evolution of Roman Civil and Criminal
Law on Gambling, in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012, 199 ss.; A. BOTTIGLIERI, Le
scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano, in Bullettino dell’Istituto di Diritto
Romano “Vittorio Scialoja”, XCI, 2017, 1 ss.; P. ZILIOTTO, Disciplina privatistica classica del
gioco d’azzardo vietato, in Teoria e Storia del Diritto Privato, X, 2017, in www.teoria
estoriadeldirittoprivato.com/media/rivista/2017/contributi/2017_Contributi_Ziliotto.pdf.
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 41
“Praetor ait: ‘Si quis eum, apud quem alea lusum esse dicetur, verberaverit
damnumve ei dederit sive quid eo tempore dolo eius subtractum est, iudicium
non dabo […]’”.
18
Tra gli altri, G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, cit., 2335; E. QUINTANA ORIVE, D.
11.5 (De aleatoribus), cit., 24; S.B. FARIS, Changing Public Policy, cit., 204.
42 Giovanbattista Greco
“[…] Finem tamen hunc praestabit orator, ut videatur optimam causam optime
egisse. Illud certum erit neminem peius agere quam qui displicente causa placet;
necesse est enim extra causam sit quod placet. [7] Nec illo fastidio laborabit ora-
tor non agendi causas minores, tanquam infra eum sint aut detractura sit opinio-
ni minus liberalis materia. Nam et suscipiendi ratio iustissima est officium, et op-
tandum etiam ut amici quam minimas lites habeant; et abunde dixit bene, qui-
squis rei satisfecit. [8] At quidam, etiamsi forte susceperunt negotia paulo ad di-
cendum tenuiora, extrinsecus adductis ea rebus circumlinunt ac, si defecerint alia,
conviciis implent vacua causarum, si contingit, veris, si minus, fictis, mode sit
materia ingenii mereaturque clamorem dum dicitur”.
19
Trattasi di tipologie di taberna. Le cauponae, a differenza delle popinae, potevano di
solito offrire anche alloggio ai viaggiatori. Per un approfondimento v. N. MONTEIX, Cau-
ponae, popinae and “thermopolia” standard literary and historiographic Pompeian reality, in
Contributi di archeologia vesuviana, III, Roma, 2007, 119 ss.; F. GROSSI, Bar, fast food e ta-
vole calde: nomi e funzioni dei locali di ristoro nelle città romane dell’Impero, in Lanx. Rivi-
sta della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Milano, 9,
2011, 1 ss.
20
Si fa menzione dell’illustrazione, ad esempio, in C. JIMÈNEZ CANO, Estudio preliminar
sobre los juegos de mesa en Hispania, in Antesteria, 3, 2014, 125 ss.
21
Il primo significato accordato alla voce ‘Susceptor’ in W. FREUND, Grand dictionnaire
de la langue latine, Paris, 1883, è proprio quello di ‘entrepreneur’, ‘imprenditore’ (p. 385).
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 43
approvazione e seguito. Quindi, mette in guardia sul fatto che taluni, pur
difendendo ragioni per le quali ci sarebbero spazi angusti per l’eloquenza
(“etiamsi forte susceperunt negotia paulo ad dicendum tenuiora”), le abbelli-
scono con argomenti non pertinenti e colmano le lacune del ragionamento
con insulti.
Un oratore può dirsi susceptor, quindi, nella misura in cui si fa carico
della responsabilità di perorare – prendere su di sé – le ragioni di una par-
te. In questo modo si onera dello svolgimento di una serie di attività pro-
pedeutiche al raggiungimento di un risultato, costituito dalla raccolta di
consenso rispetto a una tesi.
La trasposizione tecnico-giuridica del concetto può leggersi nel noto D.
44.7.5, dove viene illustrata la liceità della negotiorum gestio 22 con riferi-
mento all’amministrazione di un affare altrui senza il preventivo rilascio di
un mandato (“sine mandatu suscipere negotiorum administrationem”):
22
Circa la gestione d’affari altrui in diritto romano rimandiamo, tra gli altri, ad A. CEN-
DERELLI, La negotiorum gestio: Corso esegetico di diritto romano. I. Struttura, origini, azioni,
Torino, 1997; G. FINAZZI, Ricerche in tema di negotiorum gestio, azione pretoria ed azione
civile, I, Napoli, 1999; ID., Ricerche in tema di negotiorum gestio, II. 1. Requisiti delle actio-
nes negotiorum gestorum, Cassino, 2003; G. NICOSIA, voce ‘Gestione di affari altrui’ (sto-
ria), in Enciclopedia del Diritto, XVIII, Varese, 1969, 628 ss.; F. GALLO, Per la ricostruzione
e l’utilizzazione della dottrina di Gaio sulle obligationes ex variis causarum figuriis, in Bul-
lettino dell’Istituto di Diritto Romano ‘Vittorio Scaloja’, 76, 1973, 171 ss.; P. STEIN, The Na-
ture of Quasi Delictual Obligations in Roman Law, in Revue internationale des droits de
l’antiquité, 5, 1958, 563 ss.; E. BETTI, Appunti di teoria dell’obbligazione in diritto romano,
Roma, 1958.
44 Giovanbattista Greco
“Si quis sponsionis causa anulos acceperit nec reddit victori, praescriptis verbis
actio in eo competit […]” 24.
23
S. SCHIPANI (a cura di), Iustiniani Digesta Seu Pandectae. Testo e traduzione, vol. II: 5-
11, Milano, 2005, 362.
24
Il testo è analizzato da G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, cit., 2332 ss. il quale ravvisa
che “[i]l negozio di gioco, nel caso la sponsio, non deve ritenersi invalido ancorché vietato.
Diverrebbe invalido qualora sfociasse nella turpitudine. Dunque, le sanzioni sia d’ordine
privatistico, come la denegatio actionis, l’exceptio e la ripetibilità del pagato, sia d’ordine
pubblicistico come eventuali ammende, dovevano operare all’esterno di esso, senza colpir-
ne la validità”.
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 45
“Qui ex voluntate domini servum recepit, quin neque fur neque plagiarius sit,
plus quam manifestum est: quis enim voluntatem domini habens fur dici potest?
[3] Quod si dominus vetuit et ille suscepit, si quidem non celandi animo, non est
fur, si celavit, tunc fur esse incipit. Qui igitur suscepit nec celavit etsi invito do-
mino, fur non est”.
25
Sul plagium, da ultimo, v. F. LUCREZI, L’asservimento abusivo in diritto ebraico e ro-
mano, Studi sulla ‘Collatio’, V, Torino, 2010.
46 Giovanbattista Greco
26
G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, cit., 2339 ss.
27
Tra quanti ritengono che Plauto sia fonte attendibile per la ricostruzione degli istituti
del diritto romano possono includersi, senza pretesa di esaustività: M. BERCEANU, La vente
consensuelle dans les comedies de Plaute, Parigi, 1907; E. COSTA, Il diritto privato romano
nelle commedie di Plauto, Torino, 1890; L. PERNARD, Le droit romain et le droit grec dans le
théâtre de Plaute et de Térence, Lione, 1900; J. VAN KAN, La possession dans les comedies de
Plaute, in Mélanges de droit romain dédiés a G. Cornil, II, Gand-Parigi, 1926, 3 ss.; E. VOL-
TERRA, Studio sull’‘arrha sponsalicia’, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, 2, 1927,
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 47
sta solo a partire dall’ultimo secolo e mezzo della res publica, comunque
dopo il 205 a.C., anno presumibile di composizione del Miles gloriosus 28.
In secondo luogo, la deroga non avrebbe comunque riguardato qualun-
que tipo di giocata svolta in convivio ma unicamente quelle vescendi causa,
la cui posta, cioè, fosse consistita in una modesta cena o un bicchiere di vi-
no all’osteria 29.
MANCUSO, Decretum praetoris, in Studia et Documenta Historiae Iuris, 63, 1997, 381; S.
SCIORTINO, “Denegare actionem”, decretum e intercessio, in Annali del seminario giuridico
dell’Università degli Studi di Palermo, 55, 2012, 659 ss.
32
“Transeamus nunc ad obligationes, quae ex delicto nascuntur, ueluti si quis furtum fe-
cerit, bona rapuerit, damnum dederit, iniuriam commiserit” (Gai Inst. 3.182).
33
Per tutti v. F. BELLINI, Delicta e crimina nel sistema quiritario, Padova, 2012.
34
Quanto alla fattispecie, D. 47.10.5.1 ci informa che la verberatio ricorreva quando si
percuotesse altri in modo da arrecare dolore, dovendosi parlare altrimenti di pulsatio.
35
La repressione del danneggiamento quale delictum fu introdotta, nel corso del III se-
colo a.C., dai capitoli primo e terzo della lex Aquilia de damno. L’intervento normativo in
questione è stato oggetto di scrutinio sotto numerosi aspetti. Della vastissima letteratura
prodotta a riguardo, ci limitiamo a segnalare: G. VALDITARA, Damnum iniuria datum, in J.
APARICIO (a cura di), Derecho Romano de Obligaciones. Homenaje al profesor José Luis
Murga Gener, Madrid, 1994, 825 ss.; ID., Sulle origini del concetto di damnum, Torino,
1998; ID., Damunm iniuria datum, Torino, 2005; C.A. CANNATA, Delitto e obbligazione, in
Atti del convegno internazionale di Diritto Romano. Copanello 4-7 giugno 1990, Napoli,
1992, 37 ss.; S. SCHIPANI, Responsabilità ‘ex lege Aquilia’. Criteri di imputazione e problema
della ‘culpa’, Torino, 1969; ID., Contributi romanistici al sistema della responsabilità extra-
contrattuale, Torino, 2009; A. BIGNARDI, Teoph. Par. 4.3.15: ancora sulla data della lex
Aquilia, in Annali dell’Università di Ferrara – Scienze Giuridiche, III, 1989, 3 ss.; A. BI-
SCARDI, Sulla data della lex Aquilia, in AA.VV., Scritti in memoria di Antonino Giuffrè, I,
1967, 77ss.; B. PERRIN, Le caractère subjectif dell’“iniuria” aquiliana à l’epoque classique, in
AA.VV., Studi in Onore di Pietro De Fracisci, IV, 1956, 263 ss.; M.F. CURSI, Iniuria cum
damno. Antigiuridicità e colpevolezza nella storia del danno aquiliano, Milano, 2002; F.M.
DE ROBERTIS, Damnum iniuria datum. Trattazione della responsabilità extracontrattuale nel
diritto romano con particolare riguardo alla lex Aquilia de damno, Bari, 2000; F. LUCREZI,
La responsabilità aquiliana tra criterio oggettivo e soggettivo nell’esperienza antica e moder-
na, in Index. Quaderni Camerti di Studi Romanistici, vol. 30, 2002, 199 ss.
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 49
36
Sulla possibilità che la casa accresca la propria aura sacrale in ragione della persona
che la occupa o delle attività che vi sono svolte si esprime con particolare enfasi Cic., De
or. 1,45,200: “Est enim sine dubio domus iuris consulti totius oraculum civitatis [...]”. In
tema cfr. F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza medio repubblicana, Napoli, 1988.
37
Sulla genesi del principio in discussione, anche per quanto concerne i risvolti di natu-
ra processuale, v. O. LICANDRO, Domicilium. Il principio dell’inviolabilità dalle XII Tavole
all’età tardoantica. Lezioni di esegesi, Torino, 2009 e ID., Domicilium habere. Persona e ter-
ritorio nella disciplina del domicilio romano, Torino, 2004.
38
Le modalità di svolgimento della risalente quaestio lance et licio, prevista proprio in te-
ma di furtum conceptum, testimoniano l’assoluto rispetto serbato verso sede del nucleo fami-
liare e di quanto in essa vi si trovava. È Gai. 3.192-193 a descrivere questa procedura di ispe-
zione della dimora del presunto ladro da parte del derubato. Il rituale imponeva che chi vo-
lesse cercare la cosa sottrattagli in casa altrui vi entrasse vestito di una semplice tunica legata
in vita da un filo (“nudus quaerat, licio cinctus”) e con l’uso delle mani impedito da un piatto
o da un disco che doveva reggere per tutto il tempo (“lancem habens”). Sebbene il principio
di inviolabilità della domus cedesse il passo, in occasione del sopralluogo, ad esigenze di giu-
stizia, le formalità che ne accompagnavano lo svolgimento sembrano dirette ad evitare non
solo che il derubato potesse a sua volta sottrarre beni nell’abitazione del presunto reo ma an-
che che la sua interazione con quell’ambiente fosse il più neutra possibile. Sulla procedura
appunta l’attenzione, tra gli altri, A. PALMA, Iura vicinitatis. Solidarietà e limitazioni nel rap-
porto di vicinato in diritto romano dell’età classica, Torino, 1988, 89 ss. Più in generale, sul
furtum si vedano M. PAMPALONI, Studi sopra il delitto di furto, in Bullettino dell’Istituto di Di-
ritto Romano ‘Vittorio Scaloja’, 12, 1908, 205 ss.; F. MESSINA VITRANO, Note intorno alle azio-
ni ‘in factum’ di danno e di furto, contro il nauta, il caupo, lo stabularius, Palermo, 1909; P.
HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain I. Les sources, Lyon-Paris,
1915; V. ARANGIO RUIZ, La répression du vol flagrant et du non flagrant dans l’ancien droit
romain, in Al Qanoun Wal Iqtisad, II, 1932, 109 ss.; poi pure in ID., Rariora, Roma, 1946, rist.
Camerino, 1970, 197 ss. e ID., Scritti di diritto romano, II, Napoli, 1974, 371 ss.; J.A.C. THO-
MAS, Furtum and locatio-conductio, in The Irish jurist, 11, 1976, 170 ss., ID., Textbook of Ro-
man Law, Amsterdam-New York-Oxford, 1976, 353 ss., O.F. ROBINSON, The Criminal Law
of Ancient Rome, Baltimore, 1995, 23 ss., M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Paler-
mo, 1999, 522 ss.; F. AMARELLI, L. DE GIOVANNI, P. GARBARINO, A. SCHIAVONE, U. VINCENTI,
Storia del diritto romano, Torino, 2000, 261 ss., D. DALLA, R. LAMBERTINI, Istituzioni di diritto
romano, Torino, 2001, 386 ss., A. GUARINO, Diritto privato romano, Napoli, 2001, 985 ss., V.
GIUFFRÈ, Istituzioni di diritto romano. Corso, Napoli, 2001, 201 ss., L. PEPE, Ricerche sul furto
nelle XII Tavole e nel diritto attico, Milano, 2004, P. FERRETTI, Complicità e furto nel diritto
romano, Milano, 2005; I. FARGNOLI, Ricerche in tema di furtum. Qui sciens indebitum accipit,
Milano, 2006; L. FASCIONE, Storia del diritto privato romano, Torino, 2006, 138 ss. e 417 ss.;
F. LUCREZI, Il furto di terra e di bestiame in diritto ebraico e romano. Studi sulla ‘Collatio’, VII,
Torino, 2015.
50 Giovanbattista Greco
4. Osservazioni conclusive
C. 3.43.1 pr.: “Imperator Justinianus Alearum lusus antiqua res est et extra ope-
ras pugnantibus concessa, verum pro tempore prodiit in lacrimas, milia extra-
nearum nominationum suscipiens. Quidam enim ludentes nec ludum scientes,
39
“Si rapinas fecerint inter se collusores, vi bonorum raptorum non denegabitur actio: su-
sceptorem enim dumtaxat prohibuit vindicari, non et collusores, quamvis et hi indigni vi-
deantur”.
L’avversione verso i facilitatori del gioco d’azzardo 51
1. D. 44.5.2.1
D. 44.5.2.1 (Paul. 71 ad ed.): “Si in alea rem vendam, ut ludam, et evicta re con-
veniar, exceptione summovebitur emptor”.
1
Sulla disciplina del fenomeno in diritto romano cfr. C. MANENTI, Del giuoco e della
scommessa dal punto di vista del diritto privato romano e moderno, in appendice a F.
GLÜCK, Commentario alle pandette tradotto e arricchito da copiose note e confronti col Codi-
ce Civile del Regno d’Italia, Libro XI, titolo V, De aleatoribus, Milano, 1903; G. IMPALLO-
MENI, Il regime del gioco nel ‘Corpus Iuris’ in relazione con alcune codificazioni europee, in
54 Giovanbattista Greco
ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 643 ss.; ID., In tema di
gioco, in AA.VV., Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, vol. V, Napoli, 1984, 2331
ss., ora in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 499 ss.; M.G.
ZOZ, La disciplina giuridica del gioco e della scommessa: varianti e punti in comune delle va-
rie legislazioni, in ID., Fondamenti romanistici del diritto europeo. Aspetti e prospettive di
ricerca, Torino, 2007, 61 ss.; E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y C. 3.43 (De
aleae lusu et aleatoribus): Precedentes romanos del contrato de juego, in Anuario Jurídico y
Económico Escurialense, XLII, 2009, 29; A. CAPPUCCIO, ‘Rien de mauvais’. I contratti di
gioco e scommessa nell’età dei codici, Torino, 2011, 21 ss.; J.L. ZAMORA MANZANO, La regu-
lación jurídico-administrativa del juego en el derecho romano y su proiección en el derecho
moderno, Madrid, 2011; S.B. FARIS, Changing Public Policy and the Evolution of Roman
Civil and Criminal Law on Gambling, in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012, 199 ss.; A.
BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima de poe-
nis, vol. I, Napoli, 2015, 58.
2
Dei numerosi scritti che hanno approfondito il tema dell’autonomia privata ci limi-
tiamo a segnalare: P. PERLINGIERI, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, Napoli,
2000; A BELVEDERE, C. GRANELLI (a cura di), Confini attuali dell’autonomia privata, Pado-
va, 2001; L. FERRI, L’autonomia privata, Milano, 1959; M. NUZZO, Utilità sociale e autono-
mia privata, Milano, 1974; L. MENGONI, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa
e titoli di credito, 1997, I, 1 ss.; R. SACCO, voce ‘Autonomia nel diritto privato’, in Digesto
delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, I, Torino, 1990, 517. In ambito romanistico v.,
per tutti, i recenti V. GIUFFRÈ, L’autonomia dei privati. Prospezioni e prospettazioni futuribi-
li, Napoli, 2013 e G. ZARRO, Aspetti dell’autonomia negoziale dei romani. Dalla fides ai no-
va negotia, Napoli, 2015.
3
Cfr. voce ‘Alea’ in A. FORCELLINI, Lexicon totius latinitatis, vol. I, 1940, 174.
L’exceptio negotii in alea gesti 55
quali la vittoria dipendeva in massima parte dal caso e a cui il diritto guar-
dava con sfavore per numerose ragioni.
Tra queste potevano annoverarsi senz’altro la necessità di impedire spo-
stamenti di ricchezza che non fossero collegati allo svolgimento di attività
produttive; la volontà di preservare risorse per finalità di risparmio; l’esi-
genza di contrastare il radicamento di attività illecite. Né può tacersi una
specifica preoccupazione imposta dal carattere timocratico delle strutture
sociali e costituzionali romane: “Il depauperamento di un pater familias, che
perde le proprie sostanze al gioco, porta all’iscrizione della famiglia in una
classe inferiore del censo, precludendo anche la possibilità di una brillante
carriera politica ai membri della famiglia stessa” 4. Il negozio di gioco – che
poteva esprimersi in un contratto, in un nudo patto o in stipulazioni reci-
procamente condizionate – non risultava di per sé invalido 5 ma poteva ve-
dere la sua efficacia sostanzialmente paralizzata dal ius honorarium.
L’editto del pretore sanciva, infatti, la ripetibilità di ciò che era stato
spontaneamente pagato dal perdente 6.
4
A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima
de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58.
5
Depone nel senso indicato l’esegesi di D. 19.5.17.5 (Ulp. 28 ad ed.) suggerita da G. IM-
PALLOMENI, In tema di gioco, in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova,
1996, 500. La fattispecie presa in considerazione riguarda due scommettitori che hanno de-
positato degli anelli presso un terzo affinché questi, all’esito del confronto, li consegni al vin-
citore. Ulpiano ipotizza che il fiduciario ometta di consegnare i monili quando sia richiesto di
farlo dall’avente diritto. Sorge allora il problema di individuare lo strumento processuale di-
sponibile contro il depositario. Il giurista dichiara la propria preferenza verso l’actio prae-
scriptis verbis. Esclude invece, contro il parere di Sabino, che il victor possa validamente
promuovere un’actio furtiva: infatti, egli non dispone né del possesso né della proprietà dei
beni contesi. Dalla circostanza che il commentatore dell’editto ritenga esperibile l’azione con-
trattuale piuttosto che quella extracontrattuale Impallomeni desume quale logica conseguen-
za che la scommessa conclusa dai proprietari degli anelli dovesse ritenersi pienamente valida
sul piano negoziale e ciò anche quando fosse intervenuta in relazione a giochi di cui era vieta-
ta la pratica (cfr. D. 11.5.2.1-2). Contra, però, v. C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa,
cit., 547. In obiettivo dissenso si pone pure J.L. ZAMORA MANZANO, La regulación jurídico-
administrativa del juego en el derecho romano, cit., 39, secondo il quale, stando alla termino-
logia usata, la puntata a cui fa riferimento Ulpiano in D. 19.5.17.5 non riguarderebbe affatto i
giochi proibiti ma fattispecie rispetto alle quali era lecito piazzare scommesse, come il verifi-
carsi di un generico evento futuro e incerto o l’esito di giochi circensi.
6
D. 11.5.4.1-2: “Si servus vel filius familias victus fuerit, patri vel domino competit repe-
titio. Item si servus acceperit pecuniam, dabitur in dominum de peculio actio, non noxalis,
quia ex negotio gesto agitur: sed non amplius cogendus est praestare, quam id quod ex ea re
in peculio sit. [2] Adversus parentes et patronos repetitio eius quod in alea lusum est utilis ex
hoc edicto danda est”.
56 Giovanbattista Greco
7
“Quadriplatores delatores erant criminum publicorum, in qua re quartam partem de pro-
scriptorum bonis quos detulerant consequebantur. Alii dicunt quadriplatores esse eorum re-
rum accusatores qui convicti quadrupli damnari soleant aut aleae aut pecuniae gravioribus
usuris feneratae quam pro more maiorum aut eiusmodi aliorum criminum” (Ps. Asc. in Div.
Caec., 24).
8
D. 11.5.2.1-2 (Paul. 19 ad ed.): “Senatus consultum vetuit in pecuniam ludere, praeter-
quam si quis certet hasta vel pilo iaciendo vel currendo saliendo luctando pugnando quod vir-
tutis causa fiat”.
9
C. 3.43.1.4: “Deinde vero ordinent quinque ludos, ton monobolon ton condomonobolon
ke kondacca ke repon ke perichyten. Sed nemini permittimus etiam in his ludere ultra unum
solidum, etsi multum dives sit, ut, si quem vinci contigerit, casum gravem non sustineat
[…]” [a. 529 d.C.].
10
D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.): “Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam rem
familia ludere permittitur”.
11
Doveva trattarsi di utilità di scarsa consistenza, quali la quota di partecipazione al
L’exceptio negotii in alea gesti 57
3. (Segue). L’evizione
banchetto, una modesta cena o un bicchiere di vino (G. IMPALLOMENI, Il regime del gioco
nel ‘Corpus Iuris’, cit., 649).
12
T. DALLA MASSARA, Per una ricostruzione delle strutture dell’evizione, in C. RUSSO
RUGGERI (a cura di), Studi in onore di Antonino Metro, II, Milano, 2010, 100 osserva signi-
ficativamente che “nel regime dell’evizione trova composizione un conflitto emergente tra
il soggetto che rivendica la proprietà di un bene e il soggetto che, in forza della compra-
vendita, reputa di avere legittimamente acquistato da altri il diritto sul medesimo bene.
[...] [I]l tema si colloca in quel territorio di confine – tra problematiche del contratto e di-
ritti reali – che si è soliti definire della circolazione della proprietà”. Per una bibliografia
essenziale: P.F. GIRARD, La garantie d’éviction dans la vente consensuelle, in Nouvelle Re-
vue historique de droit francais et etranger, VIII, 1884, 395 ss.; ID., Études historiques sur la
formation du système de la garantie d’eviction en droit romain, in Mélanges de droit romain,
II, Droit privé et procédure, Paris, 1923, 5 ss.; ID., L’‘auctoritas’ et l’action ‘auctoritatis’. In-
ventaire d’interpolations, in Mélanges de droit roman, II, cit., 153 ss.; G. IMPALLOMENI, voce
‘Evizione’ (dir. rom.), in Novissimo digesto italiano, VI, Torino, 1960, 1048 s.; M. SARGEN-
TI, L’evizione nella compravendita romana, Milano, 1960; A. BURDESE, voce ‘Vendita’ (dir.
rom.), in Novissimo digesto italiano, XX, Torino, 1975, 597 s.; A. CALONGE, Evicción. Hi-
storia de un concepto y análisis de su contenido en el Derecho romano clásico, Salamanca,
1968; M. TALAMANCA, voce ‘Vendita in generale’ (dir. rom.), in Enciclopedia del diritto,
XLVI, Milano, 1993, 303 ss.; H. ANKUM, Alcuni problemi concernenti la responsabilità per
evizione, in Atti dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, LVII, Messina, 1989, 6 ss.; ID.,
Problemi concernenti l’evizione del compratore nel diritto romano classico. (La relazione fra
le azioni spettanti al compratore in riguardo all’evizione: ‘actio de auctoriatate’, ‘actio ex sti-
pulatu’ basata su una ‘stipulatio de evictione’ e ‘actio empti’), in L. VACCA (a cura di), Vendi-
ta e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti del Congresso
Internazionale Pisa-Viareggio-Lucca, I, Milano, 1991, II, 610 ss.; T. DALLA MASSARA, Ga-
ranzia per evizione ed interdipendenza delle obbligazioni nella compravendita romana, in L.
GAROFALO (a cura di), La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto
romano, II, Padova, 2007, 277 ss.
58 Giovanbattista Greco
13
Gai. 2.42: “Usucapio autem mobilium quidem rerum anno completur, fundi vero et ae-
dium biennio; et ita lege XII tabularum cautum est”.
14
D. 45.1.38 pr.-9.
L’exceptio negotii in alea gesti 59
D. 22.3.19 pr. (Ulp. 7 disp.): “In exceptionibus dicendum est reum partibus acto-
ris fungi oportere ipsumque exceptionem velut intentionem implere: ut puta si
pacti conventi exceptione utatur, docere debet pactum conventum factum esse.
[1]. Cum quis promisisset iudicio se sisti et rei publicae causa afuisse dicat et ob
15
D. 21.1.31.20 (Ulp. 1 ad ed. aed. curul.): “Quia adsidua est duplae stipulatio, incirco
placuit etiam ex empto agi posse, si duplam venditor mancipii non caveat: ea enim, quae sunt
moris et consuetudinis, in bonae fidei iudiciis debent venire”.
16
La bona fides si poneva tanto come limite quanto come fondamento di numerose fat-
tispecie giuridicamente rilevanti. Costituiva un paradigma di comportamento che il ius ho-
norarium modellò ispirandosi al contegno non già di un soggetto concreto ma di un agente
artificiale, il bonus vir. Quest’ultimo rappresentava una trasposizione ideale della persona
onesta e corretta, un modello di azione che si imponeva a tutte le parti di un rapporto giu-
ridico nel loro reciproco relazionarsi. Come è stato condivisibilmente sostenuto, gli iudicia
bonae fidei, dove il parametro trovava la sua più pregnante espressione, implicavano che
“quando il pretore ordina al giudice di stabilire quel che NN deve ad AA ex fide bona, non
gli dice di valutare quel che NN avrebbe fatto e farebbe se fosse buono ed onesto, ma quel
che NN avrebbe fatto rispetto a quel che ha fatto AA se fossero entrambi vissuti in una
dimensione esistenziale di buoni ed onesti” (C.A. CANNATA, Bona fides e strutture proces-
suali, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridi-
ca storica e contemporanea. Atti del convegno internazionale di studi in onore di Alberto
Burdese, II, Padova, 2003, 261. Sempre in argomento v. L. LOMBARDI, Dalla fides alla bona
fides, Milano, 1961; C. BEDUSCHI, I profili giudiziali della fides, in L. PEPPE (a cura di), Fi-
des, Fiducia, Fidelitas, Padova, 2008, 16 ss.; R. FIORI, Fides e bona fides. Gerarchia sociale e
categorie giuridiche, in ID. (a cura di), Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto
privato, III, Napoli, 2008, 237 ss.; R. CARDILLI, ‘Vir bonus’e ‘bona fides’, in A. LOVATO (a
cura di), ‘Vir bonus’. Un modello ermeneutico della riflessione giuridica antica, Bari, 2013,
179 ss.; A. PALMA, Violazione del principio della buona fede e risarcibilità del danno conse-
guente: brevi profili comparatistici, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede og-
gettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, cit., III, 27 ss. Nella stessa raccolta
di atti, segnaliamo: M. TALAMANCA, La bona fides nei giuristi romani (IV, 1 ss.); F. GALLO,
Bona fides e ius gentium (II, 117 ss.).
60 Giovanbattista Greco
id non stetisse, vel dolo malo adversarii factum quo minus sisteretur, vel valetu-
dinem sibi impedimento fuisse vel tempestatem, probare eum id oportet. [2] Sed
et si procuratoria quis exceptione utatur, eo quod non licuisset adversario dare
vel fieri procuratorem, probare id oportet obicientem exceptionem. [3] Idem erit
dicendum et si ea pecunia petatur, quae pensata dicitur. [4] Hoc amplius, si iudi-
catae rei vel iurisiurandi condicio delata dicatur de eo quod nunc petitur, sive in
alea gestum esse contendatur, eum implere probationes oportet”.
4. Aspetti funzionali
17
D. 11.5.1.1 (Ulp. 23 ad ed.): “Si rapinas fecerint inter se collusores, vi bonorum rapto-
rum non denegabitur actio: susceptorem enim dumtaxat prohibuit vindicari, non et colluso-
res, quamvis et hi indigni videantur”.
L’exceptio negotii in alea gesti 61
cativa la fruibilità dell’exceptio negotii in alea gesti ai casi in cui la vendita del
bene sia avvenuta per procurarsi la liquidità necessaria a partecipare al gioco.
Quando venditore e acquirente siano gli stessi giocatori, ci sembra che
l’exceptio concorra con il rimedio della ripetibilità di quanto versato dal
perdente, senza tuttavia confondersi con esso. Ed infatti, per come ci viene
presentato da Paolo, il primo dei due rimedi difensivi, diversamente dal-
l’altro, non risulta nella disponibilità esclusiva di chi soccombe nel gioco
ma risulta azionabile da chiunque abbia liquidato una componente del pa-
trimonio per coltivare un disimpegno ritenuto fortemente nocivo.
La necessità che il venditore sia messo al riparo dalle conseguenze pre-
giudizievoli che gli deriverebbero dal dover prestare la garanzia per l’evi-
zione, quali che siano le sue fortune al gioco, dipende dalla necessità di evi-
tare che, con l’escussione del garante, si realizzi un passaggio di ricchezza
la cui origine, oltre ogni apparenza, è comunque riconducibile ad una pra-
tica di gioco proibita.
Exceptio e repetitio sono strettamente dipendenti tra loro. Se non fosse
stata prevista l’eccezione, sarebbe venuta meno l’efficacia deterrente dello
stesso diritto del perdente al rimborso di quanto pagato per debiti di gio-
co, che si sarebbe potuto neutralizzare attraverso il compimento di attività
negoziali in frode.
Quando invece l’emptor non appartenga alla cerchia degli aleatores, egli
è costretto a subire l’eccezione dal momento che fornisce al giocatore le
risorse necessarie a rafforzare la propria dipendenza dall’azzardo.
La sanzione è perfettamente coerente con la politica di intervento del pre-
tore in tema di giochi e scommesse, che fa registrare provvedimenti di assolu-
ta severità contro quanti, non necessariamente per ricavare un lucro, consen-
tivano che si giocasse in luoghi che si trovavano nella loro disponibilità (i c.d.
‘susceptores’) 18 o, con l’uso della forza, costringessero altri a giocare 19.
18
D. 11.5.1 pr. (Ulp. 23 ad. ed.): “Praetor ait: ‘si quis eum, apud quem alea lusum esse
dicetur, verberaverit damnumve ei dederit sive quid eo tempore dolo eius subtractum est, iu-
dicium non dabo. in eum, qui aleae ludendae causa vim intulerit, uti quaeque res erit, ani-
madvertam’ [...]. [2] Item notandum, quod susceptorem verberatum quidem et damnum pas-
sum ubicumque et quandocumque non vindicat: verum furtum factum domi et eo tempore
quo alea ludebatur, licet lusor non fuerit qui quid eorum fecerit, impune fit. Domum autem
pro habitatione et domicilio nos accipere debere certum est. [3] Quod autem praetor negat se
furti actionem daturum, videamus utrum ad poenalem actionem solam pertineat an et si ad
exhibendum velit agere vel vindicare vel condicere. Et est relatum apud Pomponium solum-
modo poenalem actionem denegatam, quod non puto verum: praetor enim simpliciter ait ‘si
quid subtractum erit, iudicium non dabo’”.
19
D. 11.5.1.4 (Ulp. 23 ad ed.): “‘in eum’, inquit, ‘qui aleae ludendae causa vim intulerit,
62 Giovanbattista Greco
5. Profili processuali
uti quaeque res erit, animadvertam’. Haec clausula pertinet ad animadversionem eius qui
compulit ludere, ut aut multa multetur aut in lautumias vel in vincula publica ducatur”.
20
A. PALERMO, Studi sulla “exceptio” nel diritto classico, Milano, 1956, 89 ss.
21
D. 1.1.7.1 (Pap., 2 def.) “Ius praetorium est, quod praetores introduxerunt adiuvandi
vel supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia propter utilitatem publicam. Quod et honora-
rium dicitur ad honorem praetorum sic nominatum”.
22
Gli effetti spiegati dall’exceptio sul processo possono variare in dipendenza delle con-
crete circostanze che ne sono oggetto. Così, le stesse fonti distinguono tra exceptiones pe-
remptoriae e dilatoriae, a seconda che ostacolino in maniera durevole l’actio o ne differi-
scano la realizzazione in un’epoca successiva, quando le circostanze allegate dall’eccipente
avranno cessato di spiegare efficacia.
L’exceptio negotii in alea gesti 63
23
D. 44.1.1 (Ulp. 4 ad ed.): “Agere etiam is videtur, qui exceptione utitur: nam reus in
exceptione actor est”.
24
A. METRO, La “denegatio actionis”, Milano, 1972, 76 ss. È stata di recente approfondi-
ta una variazione lessicale nelle fonti, alla cui stregua potrebbe distinguersi tra la decisione
del magistrato di ‘denegare iudicium’ e quella di ‘denegare actionem’. Nel primo caso, si
sarebbe verificato il rifiuto di concedere il programma di giudizio sia in senso astratto –
ossia come modello affisso all’albo (come accade nell’editto de aleatoribus) – sia in senso
concreto – ossia come formula autorizzata dal magistrato e concordata dalle parti. Il lem-
ma iudicium avrebbe quindi trovato impiego in un significato aderente alla sua etimologia,
connessa all’atto del giudicare. Il diniego dell’actio, invece, pur potendo talora accompa-
gnarsi ai medesimi esiti segnalati per l’ipotesi alternativa, non era astrattamente incompa-
tibile con una datio exceptionis, per cui la formula richiesta dall’attore veniva opportuna-
mente integrata per consentire l’accertamento delle allegazioni difensive articolate dal con-
venuto (S. SCIORTINO, Denegare iudicium e denegare actionem, in Annali del Seminario
Giuridico dell’Università degli Studi di Palermo, LVIII, 2015, 199 ss.). Sui meccanismi di
formazione del convincimento del decidente v. A. PALMA, Note sulla autonomia e discre-
64 Giovanbattista Greco
zionalità del giudicante: non liquet e denegatio actionis, in KOINΩNIA, 35, 2015, 557 ss. e
ID., Il luogo delle regole. Riflessioni sul processo civile romano, Torino, 2016.
25
Cfr. Cass. civ., 27 marzo 2007, n. 7524; Cass. civ., 21 settembre 2011, n. 19211; Cass.
civ., 11 giugno 2001, n. 7852; Cass. civ., 13 febbraio 1992, n. 1751.
L’exceptio negotii in alea gesti 65
26
Cass. civ., 2 aprile 2014, n. 7694.
27
Cass. civ., 17 novembre 1999, n. 12752.
66 Giovanbattista Greco
28
“Sobre tal cuestión caben dos vías que se traducen en una misma solución, consistente
en que la empresa explotadora del casino no tendrá derecho a exigir al jugador lo que este
perdió jugando o apostando a crédito o con dinero prestado. La primera vía que permite llegar
técnicamente a esta solución está constituida por los arts. 1798 y 1799 del Código Civil en
relación con sus arts. 1800 y 1801, porque el juego en el casino habría dejado de ser lícito o
no prohibido a partir del momento en que se prestó dinero al jugador y, en consecuencia, la
empresa explotadora del casino carecerá de acción, conforme al art. 1798, para reclamar lo
ganado en el juego; y la segunda vía por la que también se llega a idéntica solución se encuen-
tra en el art. 1306 del mismo Cuerpo legal, ya que el préstamo o crédito a una persona para
jugar, concedido por la empresa titular del casino o sus directivos o empleados, no constituye
delito pero sí introduce en el contrato de juego o apuesta una causa torpe que impide al pre-
stamista, ganador a su vez en el juego, reclamar la devolución del dinero que prestó para ju-
gar”.
L’exceptio negotii in alea gesti 67
1
In assenza di una figura contrattuale tipica, deve presumersi che, in diritto romano,
l’impegno a giocare fosse formalizzato per mezzo di un nudo patto, di un contratto o di
due stipulationes inversamente condizionate. La dottrina più risalente non ha mancato di
esprimersi nel senso che l’accordo concluso in ambito ludico, quando avesse ad oggetto
intrattenimenti colpiti da proibizione, fosse da ritenersi nullo per il fatto di non produrre
azione (C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato ro-
mano e moderno, in appendice a F. GLÜCK, Commentario alle pandette tradotto e arricchito
da copiose note e confronti col Codice Civile del Regno d’Italia, Libro XI, titolo V, De aleato-
ribus, Milano, 1903, 547). L’opinione che attualmente incontra maggior seguito ritiene in-
vece che il peculiare oggetto del negozio di gioco non fosse sufficiente a decretarne l’invali-
dità, potendo questa prospettarsi solo in ipotesi di causa turpe. Ad avvalorare l’assunto è
risultata decisiva l’esegesi di D. 19.5.17.5 (Ulp. 28 ad ed.).
La fattispecie presa in considerazione nel testo riguarda due scommettitori che hanno
depositato degli anelli presso un terzo affinché questi, all’esito del confronto, li consegni al
vincitore. L’ipotesi è che il fiduciario, giunto il momento di liberarsi dei monili, rifiuti di
farlo. Ulpiano dichiara in maniera perentoria che l’avente diritto è legittimato ad agire con-
70 Giovanbattista Greco
tro il depositario con l’actio praescriptis verbis. Esclude invece, contro il parere di Sabino,
che trovi ingresso un’actio furtiva, non potendo il victor vantare né il possesso né la pro-
prietà dei beni contesi. Qualora la causa sponsionis fosse stata inhonesta, soggiunge il giuri-
sta, l’interessato avrebbe potuto recuperare solo il proprio anello. La preferenza dichiarata
da Ulpiano verso l’azione contrattuale contro il depositario della posta in gioco è stata in-
terpretata come logica conseguenza del fatto che la scommessa presupposta dovesse rite-
nersi pienamente efficace per il ius civile e ciò anche quando avesse ad oggetto giochi di
cui era proibita la pratica (G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, in AA.VV., Sodalitas. Scritti
in onore di Antonio Guarino, vol. V, Napoli, 1984, 2331 ss., ora in ID., Scritti di diritto ro-
mano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 499 ss.).
2
D. 11.5.4.1-2 (Paul. 19 ad ed.): “[1] Si servus vel filius familias victus fuerit, patri vel
domino competit repetitio. Item si servus acceperit pecuniam, dabitur in dominum de peculio
actio, non noxalis, quia ex negotio gesto agitur: sed non amplius cogendus est praestare, quam
id quod ex ea re in peculio sit. [2] Adversus parentes et patronos repetitio eius quod in alea
lusum est utilis ex hoc edicto danda est”.
3
Cfr. C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato ro-
mano e moderno, cit.; G. IMPALLOMENI, Il regime del gioco nel ‘Corpus Iuris’ in relazione
con alcune codificazioni europee, in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica,
Padova, 1996, 643 ss.; ID., In tema di gioco, cit.; M.G. ZOZ, La disciplina giuridica del gioco
e della scommessa: varianti e punti in comune delle varie legislazioni, in ID., Fondamenti
romanistici del diritto europeo. Aspetti e prospettive di ricerca, Torino, 2007, 61 ss.; E.
QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y C. 3.43 (De aleae lusu et aleatoribus): Prece-
dentes romanos del contrato de juego, in Anuario Jurídico y Económico Escurialense, XLII,
2009, 29; A. CAPPUCCIO, ‘Rien de mauvais’. I contratti di gioco e scommessa nell’età dei co-
dici, Torino, 2011, 21 ss.; J.L. ZAMORA MANZANO, La regulación jurídico-administrativa del
juego en el derecho romano y su proiección en el derecho moderno, Madrid, 2011; S.B. FARIS,
Changing Public Policy and the Evolution of Roman Civil and Criminal Law on Gambling,
in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012, 199 ss.; A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in di-
ritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58.
4
Va opportunamente sottolineato come la nozione giuridica di ‘autonomia’ presenti un
ambito di rilevanza particolarmente vasto e acquisti numerose accezioni, in dipendenza
delle aggettivazioni che le sono accordate. Si suole distinguere tra un’‘autonomia indivi-
duale’ ed una ‘collettiva’ a seconda che gli interessi oggetto di regolamento pertengano al
singolo o siano piuttosto espressione di categorie professionali o sociali considerate nella
loro interezza. Si parla di ‘autonomia di scambio’ quando le parti addivengano ad un ne-
gozio muovendo da posizioni opposte verso scopi non coincidenti, versandosi, in caso con-
Sul valore della posta in gioco in D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.) e C. 3.43.1.4 71
strumenti attraverso i quali, anche nel mondo antico, veniva segnato il pe-
rimetro dell’agire individuale ha il pregio di evidenziare quel nucleo di
meccanismi, idee e valori che, tra rivolgimenti e confluenze, ha accompa-
gnato il cammino delle comunità organizzate nel corso delle epoche.
Le suggestioni in tema di autonomia privata offerte da esperienze stori-
camente più risalenti hanno per lungo tempo incontrato scarsa attenzione,
talvolta sul presupposto che l’attività di scambio e, quindi, l’agire autono-
mo, avessero assunto carattere residuale in contesti dominati dall’organiz-
zazione autarchica della comunità familiare e di villaggio 5.
Un simile approccio non sembra potersi però ritenere ulteriormente
appagante. In primo luogo, per sua stessa natura, la questione della rile-
vanza giuridica dell’azione umana e dei limiti che essa incontra è connatu-
rata al diritto di ogni tempo perché questo, non va trascurato, è essenzial-
mente norma di comportamento 6. Per altro verso, recenti indagini sulle di-
namiche commerciali e migratorie hanno contribuito a ridimensionare si-
gnificativamente l’assunto per cui le società arcaiche vivessero in condizio-
ni di segregazione e i loro membri fossero tendenzialmente sedentari 7.
“Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam rem familia ludere permitti-
tur”.
8
M.G. ZOZ, La disciplina giuridica del gioco e della scommessa, cit., 66.
9
G. IMPALLOMENI, Il regime del gioco nel ‘Corpus Iuris’, cit., 649.
10
Un frammento plautino, tratto da Mil. Glor. II, 164-165, richiama la vigenza, tra la
fine del III e l’inizio del II secolo a.C., di un non meglio circostanziato divieto di giocare
d’azzardo anche in ambito domestico, nelle occasioni conviviali: “Atque adeo, ut ne legi
fraudem faciant aleariae / adcuratote ut sine talis domi agitent conuiuium”. Quanto alla da-
Sul valore della posta in gioco in D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.) e C. 3.43.1.4 73
tazione della commedia, in M. ACCI PLAUTI, Miles gloriosus, Edizione critica con introdu-
zione e commento di E. Cocchia, Torino, 1893, III, si ipotizza un anno tra il 206 e il 205
a.C.; E. PARATORE, La letteratura latina dell’età repubblicana e augustea, Milano, 1993, 43
propende per il 205 a.C.
11
G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, cit., 2340. Sembra doversi tuttavia ipotizzare che
alla prassi in questione si facesse ricorso in maniera generalizzata e non solo in contesti
conviviali (v. supra, nt. 1).
12
A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di), Minima
de poenis, vol. I, Napoli, 2015, 58.
13
È assolutamente significativo che, in uno dei momenti più accesi delle lotte politiche
repubblicane, Cicerone, allo scopo di gettare discredito sull’avversario Marco Antonio,
arrivi a richiamarne la torbida amicizia che quegli intratteneva con un tale Lucio Lenticola,
condannato per essere giocatore d’azzardo (Cic. Phil. 2,23,56).
14
Juv. Sat. 1, 88-93.
15
Tanto risulta, ad esempio, da Cic., Phil. 8,26 e Catil. 2,23.
74 Giovanbattista Greco
Uno stigma tanto odioso doveva però risultare inappropriato per chi si li-
mitasse a giocare nel corso di un convivio, commisurando il rischio a beni
di valore assolutamente modico. A queste condizioni, non era possibile
prefigurare alcun pericolo né per le sostanze né per la rispettabilità del
giocatore, specie alla luce della progressiva rivalutazione del concetto di
sumptus registratasi a partire dal principato 16.
La qualificazione in termini di liceità del gioco vescendi causa formulata
da Paolo interviene allora a sottrarre all’apparato sanzionatorio un intrat-
tenimento innocuo e apprezzato dalle elite cittadine 17.
A differenza di altre occasioni di incontro, il rito della tavola presenta
per gli antichi una forte valenza simbolica, oltre che sfumature sacrali. La
mensa è il luogo di aggregazione di chi vi è ammesso e, al contempo, si ve-
ste da simbolo di esclusione per chi non viene invitato: “mangiare alla stes-
sa mensa è il segno indicatore di un vincolo sociale” 18. Perciò, nel silenzio
delle fonti, le attività ludiche poste in essere fuori dall’ambito conviviale,
anche quando si accompagnassero a premi di scarso rilievo, non sembrano
escluse dall’intento repressivo del legislatore.
16
Cfr., anche per la letteratura richiamata, il recente intervento di A. BOTTIGLIERI, Le
leggi sul lusso tra Repubblica e Principato: mutamento di prospettive, in Mélanges de l’École
française de Rome – Antiquité <http://mefra.revues.org/3158>.
17
Non deve meravigliare, quindi se il fatto di essere di buona compagnia ai banchetti è
considerato dai romani una virtù di cui vantarsi con i propri conoscenti, come fa Periple-
comeno in Plaut., Mil. Glor., III,1,639-660: “Per.: [...] et ego amoris aliquantum habeo
umorisque etiam in corpore / neque dum exarui ex amoenis rebus et voluptariis. / Vel cavilla-
tor facetus vel conviva commodus / item ero, neque ego oblocutor sum alteri in convivio: /
incommoditate abstinere me apud convivas commodo / commemini et meae orationis iustam
partem persequi / et meam partem itidem tacere, quom aliena est oratio; / minime sputator,
screator sum, itidem minime mucidus: / post Ephesi sum natus, non enim in Apulis; non sum
Animulas. / Pal.: O lepidum senem, in se si quas memorat virtutis habet, / atque equidem
plane educatum in nutricatu Venerio. / Per.: Plus dabo quam praedicabo ex me venustatis
tibi. / Neque ego umquam alienum scortum subigito in convivio, / neque praeripio pulpa-
mentum neque praevorto poculum, / neque per vinum umquam ex me exoritur discidium in
convivio: / si quis ibi est odiosus, abeo domum, sermonem segrego; / Venerem, amorem
amoenitatemque accubans exerceo. / Pal.: Tu quidem edepol omnis moris ad venustatem ~
vacet; / cedo tris mi hominis aurichalco contra cum istis moribus. / Plevs.: At quidem illuc
aetatis qui sit non invenies alterum / lepidiorem ad omnis res nec qui amicus amico sit ma-
gis”.
18
M. MONTANARI, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola. Dall’antichità al Me-
dioevo, Bari, 1989, IX.
Sul valore della posta in gioco in D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.) e C. 3.43.1.4 75
3. Il limite di un solidum
19
“Commodis igitur subiectorum providere cupientes hac generali lege decernimus, ut
nulli liceat in privatis seu publicis locis ludere neque in specie neque in genere: et si contra
factum fuerit, nulla sequatur condemnatio, sed solutum reddatur et competentibus actionibus
repetatur ab his qui dederunt vel eorum heredibus aut his neglegentibus a patribus seu defen-
soribus locorum”.
20
C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto privato romano
e moderno, cit., 68 ss.
21
Il solido era una moneta d’oro, del peso di 1/72 di libbra (circa 4,5 g.), circolante sul-
la base del valore ponderale. Un quadro della monetazione di epoca postclassica è traccia-
to in F. CARLÀ, Il sistema monetario di età tardoantica: spunti per una revisione, in Annali
dell’Istituto italiano di numismatica, vol. 53, 2007, 155 ss.
76 Giovanbattista Greco
“Alearum lusus antiqua res est et extra operas pugnantibus concessa, verum pro
tempore prodiit in lacrimas, milia extranearum nominationum suscipiens. Qui-
dam enim ludentes nec ludum scientes, sed nominationem tantum, proprias sub-
stantias perdiderunt, die noctuque ludendo in argento apparatu lapidum et auro.
Consequenter autem ex hac inordinatione blasphemare conantur et instrumenta
conficiunt.” [529 d.C.].
22
P. GARBOLINO, I giochi d’azzardo, Milano, 1998, 15.
23
C. 4.32.26.1-2: “[1] Super usurarum vero quantitate etiam generalem sanctionem facere
necessarium esse duximus, veterem duram et gravissimam earum molem ad mediocritatem
deducentes. [2] Ideoque iubemus illustribus quidem personis sive eas praecedentibus minime
licere ultra tertiam partem centesimae usurarum in quocumque contractu vili vel maximo
stipulari: illos vero, qui ergasteriis praesunt vel aliquam licitam negotiationem gerunt, usque
ad bessem centesimae suam stipulationem moderari: in traiecticiis autem contractibus vel
Sul valore della posta in gioco in D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.) e C. 3.43.1.4 77
sce nel più ampio quadro di una politica legislativa volta a preservare l’or-
dine sociale evitando che il pesante indebitamento di cospicue masse di
debitori potesse essere motivo di disordini 25.
Nella stessa prospettiva si colloca la Nov. 122 del 23 marzo 544, per
mezzo della quale l’autorità imperiale si attiva per contrastare la formazio-
ne di monopoli privati attraverso la fissazione dei prezzi di determinati be-
ni e servizi da praticare nelle vendite al minuto 26. L’occasione di questo in-
tervento normativo è data dall’avidità dimostrata dai ceti produttivi e mer-
cantili a breve distanza da una grave epidemia che, tra la primavera e l’au-
specierum fenori dationibus usque ad centesimam tantummodo licere stipulari nec eam
excedere, licet veteribus legibus hoc erat concessum: ceteros autem omnes homines dimidiam
tantummodo centesimae usurarum posse stipulari et eam quantitatem usurarum etiam in aliis
omnibus casibus nullo modo ampliari, in quibus citra stipulationem usurae exigi solent”.
24
Sulla regolamentazione giustinianea delle usurae v., tra gli altri, F. FASOLINO, Studi
sulle usurae, Salerno, 2006, 153 ss.; ID., Per una storia giuridica dell’anatocismo. La discipli-
na delle usurae usurarum nel diritto romano, Napoli, 2016, 200 ss.; B. BIONDI, Giustiniano
primo principe e legislatore cattolico, Milano, 1936, 34 s.; E. BIANCHI, In tema d’usura. Ca-
noni conciliari e legislazione imperiale del IV secolo (II), in Athenaeum, LXII, 1984, 136 ss.;
L. SOLIDORO, Sulla disciplina degli interessi convenzionali nell’età imperiale, in Index, XXV,
1997, 555 ss.; M. BIANCHINI, La disciplina degli interessi convenzionali nella lesgislazione
giustinianea, in AA.VV., Studi in onore di A. Biscardi, II, Milano, 1982, 389 ss.; ID., Temi e
tecniche della legislazione tardoimperiale, Torino, 2009, 123 ss.
25
F. FASOLINO, Studi sulle usurae, cit., 156 s.
26
Praefatio. Cognovimus post castigationem quae secundum domini dei clementiam con-
tigit eos qni negotiationes et artificia exercent et diversarum artium opifices et agricultores
nec non nautas, cum potius meliores fieri deberent, avaritiae se dedisse, et duplicia atque tri-
plicia pretia mercedesque contra veterem consuetudinem exigere.
I. Placuit igitur nobis per sacrum edictum omnibus eiusmodi avaritiam interdicere, neve
ullus in posterum negotiator aut agricola aut artifex ex quacumque arte vel negotiatione vel
agricultura maiora quam secundum veterem consuetudinem pretia mercedesve exigere. Iu-
bemus autem eos quoque qui aedificiorum et agrorum colendorum aliorumque operum men-
suras faciunt nihil amplius operariis imputare, sed ipsis quoque antiquam consuetudinem ser-
vare. Atque haec eos quoque observare iubemus, qui qualiacumque opera imperant vel etiam
species quasdam redimunt: quibus ne ipsis quidem ut plus quam more constitutum est prae-
stare liceat permittimus. Sciant autem qui quicquam amplius quam vetus consuetudo fert
exigunt, se triplicem quantitatem fisco inferre coactum iri, si contra id quod ab initio constitu-
tum erat eos accepisse vel dedisse appareat.
Epilogus. Haec autem examinari atque vindicari iubemus et a tua sublimitate et a
gloriosissimo praefecto huius felicis urbis. Per vos enim ab iis qui hanc nostram
constitutionem violaturi sint multam definitam exigi eosque poenis subici volumus; cum
officiis quae vobis apparent quinque librarum auri poena immineat, si quid eorum quae a
nobis constituta sunt neglectum fuerit. Dat. x. k. Apr. CP. <imp.> dn. Iustiniani pp. Aug.
anno XVII. post cons. Basilii vc. anno III.
78 Giovanbattista Greco
tunno del 542, aveva flagellato l’impero e la stessa capitale, finendo per in-
sidiare anche la vita del sovrano. L’applicazione delle remunerazioni stabi-
lite per legge è disposta sotto la minaccia di una sanzione pecuniaria a fa-
vore del fisco, pari a tre volte il prezzo indebitamente convenuto, a carico
di entrambi i contraenti 27. I funzionari incaricati di vigilare sull’osservanza
delle disposizioni sono a loro volta passibili di una multa nel caso ometta-
no i controlli.
Sebbene le modalità di realizzazione degli obiettivi di politica legislativa
che l’imperatore si prefigge prevedono, in tutti i casi menzionati, l’introdu-
zione di soglie dimensionali predefinite all’oggetto di attività negoziali, la
riduzione ad un solidum del valore della giocata lecitamente effettuabile si
segnala per il carattere assolutamente voluttuario della transazione presa in
considerazione.
4. Osservazioni conclusive
Il confronto tra l’ipotesi trattata dal giurista Paolo in D. 11.5.4 pr. e l’ec-
cezione regolata in C. 3.43.1.4 consente alcune utili acquisizioni.
In primo luogo, sembra essere smentita l’idea che le opzioni in materia
di legislazione alearia conosciute dal diritto romano nelle varie epoche pos-
sano leggersi in un’ottica di continuità, come suggerirebbe l’omologazione
in forma di codice impressa dal Corpus Iuris ai materiali dell’antica tradi-
zione 28.
In secondo luogo, è fatto palese che l’autonomia privata non può essere
sufficientemente indagata in un’ottica meramente quantitativa, attraverso
cioè la semplice ricognizione del numero e dell’intensità delle facoltà nego-
ziali accordate a giocatori e scommettitori nel corso dei secoli. I rapporti
tra eteronormazione e autonormazione presentano, al contrario, anche una
dimensione qualitativa, che investe il loro modo di essere e di atteggiarsi.
Proprio in argomento è stato autorevolmente osservato che, almeno si-
27
Proprio sul rilievo che anche il contraente debole possa subire l’applicazione della
sanzione del triplo, non sono mancati dubbi sul fatto che il vero scopo perseguito dalla
Novella fosse quello di salvaguardare i consumatori. Si è suggerito, in alternativa, che
l’editto sui prezzi rispondesse a ragioni di ordine pubblico, intendendo riportare in vita i
valori di scambio praticati prima dell’epidemia allo scopo di combattere lo spettro della
fame e delle rivolte (M. BIANCHINI, Temi e tecniche della legislazione tardoimperiale, cit.,
194 ss.).
28
A SCHIAVONE (a cura di), Diritto privato romano. Un profilo storico, Torino, 2010, 3-
12.
Sul valore della posta in gioco in D. 11.5.4 pr. (Paul. 9 ad ed.) e C. 3.43.1.4 79
29
V. GIUFFRÈ, L’autonomia dei privati. Prospezioni e prospettazioni futuribili, Napoli,
2013, 56.
30
Cfr. C. 3.43.1.1-3.
31
Per tutti, v. L. FERRI, L’autonomia privata, Milano, 1959, 3 ss.
32
R. SACCO, voce ‘Autonomia nel diritto privato’, in Digesto delle Discipline Privatisti-
che, Sezione Civile, I, Torino, 1990, 517.
80 Giovanbattista Greco
33
V. O. DE ROSA, Il mercato del gioco. Evoluzioni e tendenze, in O. DE ROSA, D. VERRA-
STRO (a cura di), Gioco e Società, Bologna, 2012, 15 ss.
34
B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, Milano, 1952, vol. I, 115 ss. e vol. II, 279 ss.
35
Un’interpretazione della costituzione accolta in C. 3.43.1 pr. alternativa a quella da
noi avvalorata si deve a S.B. FARIS, Changing Public Policy and the Evolution of Roman Ci-
vil and Criminal Law on Gambling, in UNLV Gambling Law Journal, 3, 2012, 199 ss. L’A.
assume che lo scopo perseguito dall’intervento normativo fosse quello di preservare l’inte-
grità dell’impero attraverso il contrasto della pratica della blasfemia. Quest’ultima, costi-
tuendo un’offesa gravissima alla divinità, sarebbe stata interpretata da Giustiniano quale
causa di una serie di disastri (terremoti, carestie, guerre) verificatisi sotto il suo regno e su-
scettibili di minarne l’esistenza (215). Riteniamo che il tenore del provvedimento in esame,
incentrato sulle conseguenze prodotte dal gioco smodato nella sfera individuale, non auto-
rizzi contestualizzazioni tanto ampie.
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 81
1. Il fenomeno ludico
* Questo lavoro, già pubblicato in BIDR (Quarta serie – vol. VII. Dell’intera collezione
vol. CXI (2017), pp. 41 ss.), è qui riprodotto con l’aggiunta di alcune note.
1
Cfr. A. CAPPUCCIO, Rien de mauvais. I contratti di gioco e scommesse nell’età dei codici,
Torino, 2011, 29 ss.
2
I propositi normativi di limitazione dei giochi d’azzardo sono destinati a naufragare di
fronte alla necessità dello Stato di trovare, in circostanze eccezionali, quei fondi che sono
indispensabili per far fronte a situazioni di emergenza, come ad esempio nel caso del c.d.
decreto Abruzzo, volto ad aiutare le persone di questa regione colpita dal terremoto: sul
punto vd. A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo in diritto romano, in F. LUCREZI (a cura di),
Minima de poenis, Napoli, 2015, 47 ss.
82 Anna Bottiglieri
mina il gioco; altri sostengono che la diversità stia nello scopo perseguito,
che nel gioco sarebbe il conseguimento di un vantaggio, nella scommessa il
desiderio di far valere la propria affermazione 3.
Se si volge lo sguardo all’indietro, si può notare nelle fonti romane da
un lato il disprezzo sociale in cui erano tenuti coloro che scommettevano
danaro, mettendo a rischio i propri averi 4, dall’altro l’amore che per i gio-
chi d’azzardo nutrivano personaggi importanti dell’epoca. La passione
smodata per tali passatempo arrivava al punto di rischiare e perdere som-
me esorbitanti, che incidevano poi sull’economia domestica fino a non per-
mettere al padrone di comprare una tunica per lo schiavo 5. Numerosi era-
no i pregiudizi che potevano derivare da tali sconsiderati svaghi. Nella so-
cietà romana depauperare il proprio patrimonio sperperandolo con i gio-
chi d’azzardo, comportava un declassamento, cioè l’iscrizione in una classe
inferiore del censo, precludendo anche la possibilità di una brillante car-
3
In tal senso B. BELOTTI, s.v. Giuoco, in Digesto Italiano, 1900-1904, 403 ss., ma vd. pure
M. PARADISO, I contratti di gioco e scommessa, Milano, 2003, 43 ss. Analisi approfondita del
rapporto tra gioco e scommessa in diritto romano in S. BREMBILLA, Provocat in me aleam ut
ego ludam. Scommessa e giuoco nella prospettiva della dottrina e delle fonti, in SDHI 75, 2009,
343 ss. L’A. opera una distinzione tra gioco e gioco con scommessa, mettendo in rilievo come
a Roma fosse vietata la sola scommessa e non il gioco, e collega tale divieto con la necessità di
evitare il depauperamento dei patrimoni.
4
Cic. Phil. 2.27.67: domus erat aleatoribus referta, plena ebriorum; Cicerone accomuna i
giocatori in un unico giudizio negativo ai commedianti e ai lenoni: Phil. 8.9.26 Cavet mimis,
aleatoribus, lenonibus; e, in Catil. 2.10.23, agli adulteri, agli immorali e agli spudorati: In his
gregibus omnes aleatores, omnes adulteri, omnes impuri impudicique versantur. Per la cattiva
considerazione in cui erano tenuti i giocatori vd. anche D. 17.2.59.1 (Pomp. lib. 12 ad Sab.),
D.21.1.19.1 (Ulp. lib. 1 ad ed. aedil. cur.), D.50.16.225 (Tryph. lib.1 disp.).
5
Giov. Sat. 1.89-93: Alea quando hos animos? Neque enim loculis comitantibus itur ad
casum tabulae, posita sed luditur arca. Proelia quanta illic dispensatore videbis armigero!
Simplexne furor sestertia centum perdere et horrenti tunicam non reddere servo; Tacito
documenta la passione dei Germani che arrivavano a puntare ai dadi persino la propria
libertà personale: Germ. 24.2 Aleam quod mirere, sobrii inter seria exercent, tanta
lucrandi perdendive temeritate, ut, cum omnia defecerunt, extremo ac novissimo iactu de
libertate ac de corpore contendant.Victus voluntariam servitutem adit; quamvis robustior
alligari se ac venire patitur. Svetonio è ricco di testimonianze sulla propensione per
l’azzardo degli imperatori: Svet. Aug. 71: Alea rumorem nullo modo expavit lusitque
simpliciter et palam oblectamenti causa etiam senex ac praeterquam Decembri mense, aliis
quoque, festis et profestis diebus; Calig. 41: Ac ne ex lusu quidem aleae compendium
spernens plus mendacio atque etiam periurio lucrabatur; Claud. 33.2: Aleam studiosissime
lusit, de cuius arte librum quoque emisit, solitus etiam in gestatione ludere, ita essedo
alveoque adaptatis ne lusus confunderetur; Nero 30.3: Quadringenis in punctum sestertiis
aleam lusit; Vitel. 4: Precipuum in aula locum tenuit, Gaio per aurigandi, Claudio per
aleae studium familiaris; Domit. 21: Quotiens otium esset, alea se oblectabat, etiam
profestibus diebus matutinisque horis.
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 83
6
A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo, cit., 58.
7
D. 21.1.19.1 (Ulp. lib.1 ad aed. cur.): Plane si dixerit aleatorem non esse, furem non esse,
ad statuam numquam confugisse, oportet eum id praestare. Le fonti parlano a tal proposito di
un vizio morale; cfr. Quint. Inst. 2.4.22: de hiis loquor, quibus circa personas in ipsa vitia moris
est perorare, ut in adulterium, aleatorem, petulantem. Ma vd. anche D. 21.25.6 (Ulp. lib. 1 ad
ed. aed. cur.): Hoc autem, quod deterior factus est servus, non solum ad corpus, sed etiam ad
animi vitia referendum est, ut puta si imitatione conservorum apud emptorem talis factus est,
aleator forte vel vinarius vel erro evasit. Su questi temi diffusamente, M. KURYLOWICZ, “Servus
aleator”, in Studi in onore di A. Biscardi, 4, Milano, 1983, 532.
8
G. ROTONDI, Leges publicae pouli Romani, Milano, 1912, rist. Hildesheim, 1962, 261,
colloca, con qualche dubbio, la prima legge alearia nel 204 a.C. sulla base della testimo-
nianza di Plauto, Miles glor. 2.2.166, il quale ricorda la legge che vieta il gioco degli ossi-
cini; esprime dubbi per la datazione delle altre due. Leggi alearie sono menzionate da
Cicerone (cfr. Cic. Phil. 2.23.56), il quale, nel tratteggiare la figura di Antonio e le sue
malefatte, ricorda che costui aveva fatto graziare un certo Licinio Denticola, condannato
de alea e suo compagno di gioco, per pagare con il prezzo di questo favore ciò che aveva
perso. Per giustificare l’annullamento della condanna, Antonio non addusse ragioni tecni-
che (non disse che non vi era una legge che vietasse il gioco d’azzardo, che era stato giu-
dicato senza essere stato ascoltato, che era stato accusato in sua assenza, che il giudice era
stato corrotto), ma affermò che Licinio Denticola era un uomo dabbene e degno della
repubblica, sebbene Cicerone lo tratteggi come uno dei più perversi, dedito al gioco d’az-
zardo perfino nel foro, già condannato in forza della legge che regolava questi giochi.
9
S. BREMBILLA, Provocat me in aleam ut ego ludam, cit., 367 ss., ipotizza che le tre leggi
abbiano contenuti differenti: “dalla lettura del testo si evince che nel discorso di
Marciano la legge Cornelia si differenzia dalle altre due: se Marciano avesse voluto so-
stenere che le tre leggi avevano il medesimo contenuto avrebbe certamente costruito la
frase in altro modo”. Già M. VOIGHT, Ueber die lex Cornelia sumptuaria, Berichten der
Königl. Sächs. Gesellschaft der Wissenschaften, 42, 1890, 244 ss., supponeva che la lex Titia
fosse da collocare tra il 339 e il 328 a.C., sicuramente prima del 327, anno della lex
Publicia, e, in considerazione dell’origine plebea della gens Titia, riteneva che fosse un ple-
biscito. Quanto alla lex Cornelia, citata in D.11.5.3, Voight la identifica con la lex Cornelia
sumptuaria, forse una legge di contenuto molto vasto, che conterrebbe una più generale
regolamentazione dei costumi attribuibile a Lucio Cornelio Silla. Tale legge avrebbe rego-
lamentato le spese per la tavola, il gioco a scopo di lucro e le garanzie per le promesse di
84 Anna Bottiglieri
che la repressione per la loro violazione fosse affidata agli edili, come sem-
bra attestare un brano di Marziale 10. La competenza di questi magistrati
venne mantenuta in epoca imperiale, successivamente essa fu demandata al
praefectus urbi, in quanto responsabile dell’ordine pubblico 11. In Plauto si
legge che qualsiasi cittadino poteva essere legittimato all’esercizio di un’actio,
un’azione penale privata introdotta da una lex alearia. In particolare, nel
Persa, Saturione, dopo aver ricordato che risaliva ai suoi antenati, chiamati
con il nomignolo Duricapitones (Duricapocchioni), la sua abilità di rosicare
come un sorcio la roba del prossimo, lamenta l’attività di coloro che de-
nunziano un trasgressore della legge per il proprio tornaconto personale e
non per il bene della patria: egli non vuole fare il delatore, non vuole qua-
drupulari. A tal proposito si augura che sia approvata una legge che sanci-
sca che ogni qual volta un delator (quadrupulator) denunzi un trasgressore
della legge, questi abbia l’obbligo di sporgere una controdenunzia in modo
che, quando andranno davanti al pretore, saranno alla pari. Se così si fa-
cesse sparirebbero dalla circolazione quei tali che si servono dell’albo del
pretore come di una rete per pescare ed appropriarsi dei beni altrui 12. Il
pagare i debiti di gioco, l’ammontare delle somme per cui si poteva prestare garanzia, le
spese per i funerali, la protezione dei monumenti funebri e alcuni illeciti rapporti sessuali.
Ma vd. le efficaci critiche di S. PEROZZI, in RISG. 11, 1891, 261 ss. e cfr. A. BOTTIGLIERI, La
legislazione sul lusso nella Roma repubblicana, Napoli, 2002, 164 s.: “Questa ricostruzione,
se da un lato potrebbe confortare l’idea della formazione di cataloghi che raggruppano
leggi con un contenuto normativo inquadrabile in fattispecie affini, rimane pur sempre
ipotetica, dal momento che i dati forniti dalle fonti sono troppo esigui per poter avanzare
un’ipotesi probabile e ancora le leggi che vengono legate dal comune denominatore del
lusso sembrano troppo eterogenee”.
10
Mart. 5.84: Iam tristis nucibus puer relictis / clamoso revocatur a magistro, / et blando
male proditus fritillo, / arcana modo raptus e popina, / aedilem rogat udus aleator. / Saturnalia
transiere tota, / nec munuscula parva nec minora / misisti mihi, Galla, quam solebas. / Sane sic
abeat meus December: / scis certe, puto, vestra iam venire / Saturnalia, Martias Kalendas; / tunc
reddam tibi, Galla, quod dedisti.
11
Così E. QUINTANA ORIVE, D. 11.5 (De aleatoribus) y C. 3.43 (De alea lusu et
aleatoribus): Praecedentes romanos del contrato de juego in Anuario Jurìdico y Econòmico
Escurialense, 42 (2009), 22, nt. 21. Cfr. pure Y. RIVIERE, Les “quadruplatores”: la répression
du jeu, de l’usure et de quelques autres délits sous la République romaine, in MEFRA
109.2,1997, 616 ss.
12
Plaut. Pers. 1.3.52-76: Veterem atque antiquum quaestum maio <rum meum> servo
atque obtineo et magna cum cura colo. Nam numquam quisquam meorum maiorum fuit,
quin parasitando paverint ventres suos: pater, avos, proavos, abavos, atavps, tritavos quasi
mures semper edere alienum cibum, neque edacitate eos quisquam poterat vincere; atque is
cognomentum era Duriscapitonibus. Unde ego hunc quaestum optineo et maiorum locum.
Neque quadrupulari me volo, neque enim decet sine meo periculo ire aliena ereptum bona,
neque illi qui faciunt mihi placent. Plane loquor? Nam publicae rei causaquicumque id facit
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 85
magis quam sui quaesti, animus induci potest, eum esse civem et fidelem et bonum. Sed ***si
legirupam qui damnet, det in publicum dimidium; atque etiam in ea lege adscribier: ubi
quadrupulator quem piam iniexit manum tantidem ille illi rursus iniciat manum, ut aequa
parti prodeant ad tris viros: si id fiat, ne isti faxim nusquam appareant, qui hic albo rete
aliena oppugnant bona. Sed sumne ego stultus, qui rem curo publicam, ubi sint magistratus,
quos curare oporteat? Nunc huc intro ibo, visam hesternas reliquias, quierintne recte necne,
num afuerit febris, opertaen fuerint, ne quis obreptaverit. Sed aperiuntur aedes, remorandust
gradus. Nella lettura dei testi di Plauto è indispensabile usare cautela in quanto, come si sa,
essi spesso sono costruiti utilizzando schemi di commedie greche. Cfr. E. COSTA, Il diritto
privato romano nelle commedie di Plauto, Torino, 1890, 410; E. FRAENKEL, Elementi plau-
tini in Plauto, trad. it. 1960, 1972, 82 ss.
13
F. DE MARTINO, I quadruplatores nel Persa di Plauto, in Labeo 1, 1955, 32, ora in
Diritto economia e società nel mondo romano, Napoli 1996, 99 ss., ritiene, a mio avviso giu-
stamente, che ci sia un vuoto nel testo, nella parte i cui si parla di colui che agisce più nel
pubblico interesse che nel proprio e le proposte successive: “il sed dovrebbe introdurre
un’antitesi che però non c’è. Ci si attenderebbe o la descrizione di un quadruplator, il quale
intenti l’azione solo per brama di illecito guadagno, ovvero la menzione di una legge che
costringa l’attore a versare all’erario la metà del profitto”. Inoltre, l’A. sottolinea che nel
brano si parla di “ea lege”, cosa che presuppone che si alluda a una determinata disposi-
zione normativa che nel testo non è riportata. Si deve quindi accettare l’ipotesi che dopo il
sed sia caduto un verso nel quale vi era un riferimento alla legge di riforma.
14
DE MARTINO, I quadruplatores, cit., 104.
15
Fest. s.v. quadruplatores 309 L., cfr. Apul. Apol. 89; Sen. De benef. 7.25.1, 7.25.5-6;
Asc. In div. 24.
86 Anna Bottiglieri
3. De aleatoribus
Il titolo quinto del libro undicesimo del Digesto, de aleatoribus 19, con-
tiene quattro frammenti, relativi agli interventi del pretore in materia di
gioco d’azzardo. In D. 11.5.1 20, tratto dal commento di Ulpiano all’editto,
vengono prese in considerazione e regolamentate le fattispecie relative ai
susceptores, soggetti identificabili con i tenutari di bische o i custodi della
16
Un esempio è in Cic. in Verr. 2.2.8.22 cfr. 7.21 e Liv. 3.72.4.
17
Ps. Asc. in div. 24: … alii dicunt quadruplatores esse eorum reorum accusatores, qui
convicti quadrupli damnari soleant, [aut <ut> aleae aut pecuniae gravioribus usuris
foeneratis … aut alius modi aliorum criminum.
19
Così DE MARTINO, I quadruplatores, cit., 111.
19
S. BREMBILLA, Provocat me in aleam ut ludam, cit., 343, ritiene che la rubrica de
aleatoribus non trovi corrispondenza con il contenuto del titolo, dato che tale figura non
compare nei frammenti inseriti.
20
D. 11.5.1 (Ulp. lib. 23 ad ed.): Praetor ait: “si quis eum, apud quem alea lusum esse
dicetur, verberaverit damnumve ei dederit sive quid eo tempore dolo eius subtractum est,
iudicium non dabo. in eum, qui aleae ludendae causa vim intulerit, uti quaeque res erit,
animadvertam. Si rapinas fecerint inter se collusores, vi bonorum raptorum non denegabitur
actio: susceptorem enim dumtaxat prohibuit vindicari, non et collusores, quamvis et hi indi-
gni videantur. Item notandum, quod susceptorem verberatum quidem et damnum passum
ubicumque et quandocumque non vindicat: verum furtum factum domi et eo tempore quo
alea ludebatur, licet lusor non fuerit qui quid eorum fecerit, impune fit. domum autem pro
habitatione et domicilio nos accipere debere certum est. Quod autem praetor negat se furti
actionem daturum, videamus utrum ad poenalem actionem solam pertineat an et si ad exhiben-
dum velit agere vel vindicare vel condicere. et est relatum apud Pomponium solummodo
poenalem actionem denegatam, quod non puto verum: praetor enim simpliciter ait “si quid
subtractum erit, iudicium non dabo”. “In eum”, inquit, “qui aleae ludendae causa vim intu-
lerit, uti quaeque res erit, animadvertam”. Haec clausula pertinet ad animadversionem eius
qui compulit ludere, ut aut multa multetur aut in lautumias vel in vincula publica ducatur.
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 87
posta in gioco 21, i quali erano privati della tutela nascente dalla concessio-
ne delle azioni derivanti dai delitti di iniuria, di damnum iniuria datum e di
furtum, perpetrati nei suoi confronti o presso di lui in occasione del gio-
co 22. Ulpiano riporta l’opinione di Pomponio in relazione al quesito se sarà
possibile denegare l’actio penale o se sarà possibile agire per l’esibizione o
per la rivendica o per la restituzione, e, contrariamente all’opinione di
Pomponio, il quale ritiene che è possibile denegare solo l’azione penale,
afferma quod non puto verum, ritenendo possibile un’ampia applicazione
della denegatio 23. Ulpiano prende in considerazione quindi il caso di un
soggetto che costringa altri a giocare, iniziando un nuovo gioco, o a conti-
nuare quello già iniziato: costui sarà punito o con una multa o sarà condot-
to nelle latomie o nel carcere pubblico. Il frammento ulpianeo si lega al
successivo di Paolo in quanto quest’ultimo spiega, – introduce il discorso
con un enim, – che si era soliti indurre le persone a giocare o a continuare
il gioco in caso di perdita. Paolo poi ricorda che un senato consulto aveva
vietato di scommettere danaro tranne nel caso in cui la competizione avve-
nisse nel lancio dell’asta, del giavellotto, nella corsa, nel salto, nella lotta,
nel pugilato, cioè in quelle gare fatte per esaltare l’abilità dei concorrenti 24.
21
Analisi dettagliata in G. GRECO, Gioco d’azzardo e deterrenza: brevi note sui susceptores,
in Iura and Legal Systems, 3, 2016, 45 ss.
22
Per gli aspetti connessi con i problemi derivanti dalla denegatio iudicium e dalla
denegatio actionum, vd. S. SCIORTINO, Denegare iudicium e denegare actionum, in AUPA 58,
2015, 199 ss., il quale utilizza tale testo per dimostrare che “l’attività di denegare iudicium si
dovette concretare nel solo rifiuto del programma di giudizio e non nella concessione di una
formula dotata di exceptio”, come invece ritengono G. Impallomeni, In tema di gioco, in
Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, 5, Napoli, 1984, 2331 e A. POLLERA, In tema di
repressione del gioco d’azzardo: dati e problemi, in Studi L. De Sarlo, Milano, 1989, 535.
23
S. BREMBILLA, Provocat me in aleam ludere, cit., 357.
24
D. 11.5.2.1 (Paul. lib. 19 ad ed.): Senatus consultum vetuit in pecuniam ludere, praeter-
quam si quis certet hasta vel pilo iaciendo vel currendo vel saliendo luctando pugnando quod
virtutis causa fiat. La posta in gioco per le scommesse virtutis causa può essere o in moneta
sonante, in pecuniam ludere, o come promessa, in sponsionem facere. Nella posta in pecu-
niam, i partecipanti ponevano come posta un oggetto di valore (in D. 19.5.17.5 si parla di
anelli) e il giocatore, in caso di vittoria, recuperava la sua posta e otteneva un guadagno.
Nella scommessa come promessa il rischio che correva il giocatore poteva essere grave per-
ché costui poteva scommettere più di quanto aveva e quindi indebitarsi, a differenza della
scommessa con moneta, dove si poteva perdere solo ciò che si aveva materialmente. La
sponsio che originariamente era un modo di contrarre obbligazione mediante domanda e
risposta orale, caratterizzato dal formalismo e solennità verbale, venne in seguito usata af-
finché il promittente assumesse la responsabilità per la propria prestazione; essa non è più
presente nelle fonti giustinianee e nei pochi testi in cui ancora si conserva, la parola sponsio
si riferisce esclusivamente alla scommessa comune. Così A. WACKE, Juegos y apuestas (espe-
88 Anna Bottiglieri
Dunque erano escluse dal novero delle scommesse proibite quelle fatte sui
risultati delle gare sportive e quelle fatte durante le feste dei Saturnalia 25.
Nel frammento seguente, Marciano richiama, a tale proposito, le leggi Ti-
tia, Publicia e Cornelia, che consentivano le scommesse per i giochi ricor-
dati da Paolo, nei quali si gareggiava per il valore sportivo, mentre erano
vietate negli altri 26.
L’esclusione del divieto delle scommesse fatte nei giorni di festa 27, è fa-
cilmente comprensibile, dal momento che in quei giorni si può dare sfogo
a comportamenti licenziosi, come è testimoniato da numerosi autori 28. In-
vece è opportuno indagare, sull’esclusione del gioco d’azzardo legato alle
gare atletiche dal novero dei comportamenti illeciti 29.
Ripercorriamo, attraverso la lettura delle fonti, il concetto che i Romani
avevano dell’atleta.
Tale figura, così come viene tratteggiata dagli autori antichi, appare con
30
Liv. 1.35.7.
31
Liv. 1.35.8-9: Tum primo circo, qui nunc maximus dicitur, designatus locus est. Loca
divisa patribus equitibusque, ubi spectacula sibi quisque facerent.
32
Liv. 39.22.1-2: Per eos dies, quibus haec ex Hispania nuntiata sunt, lidi Taurii per biduum
facti religionis causa. Decem deinde dies magnifice apparatos ludos M. Fulvius, quos voverat
Aetolico bello, fecit. Multi artifices ex Graecia venerunt honoris eius causa. Athletarum quoque
certamen tum primo Romanis spectaculo fuit, et venatio data leonum et pantherarum. Et
prope huius saeculi copia ac varietate ludicrum celebratum est. Cfr. Val. Max. 2.4.7: Nam
gladiatorum munus primum Romae datumest in foro boario Appio Claudio Q. Fulvio con-
sulibus. Dederunt Marcus et Decimus filii Bruti Parae funebri memoria patris cineres hono-
rando. Athletarum certamen a M. Scauri tractum est munificentia.
33
Appian. Bell. Civ. 1.99, Val. Max. 2.4.7, Plutarc. Pomp. 52, Plin. N. A. 36.120, Svet.
Iul. 39.
90 Anna Bottiglieri
Gli atleti erano uomini liberi, esclusi dal novero di coloro che artem lu-
dricam faciunt 34 come si legge in Ulpiano che riporta l’opinione di Sabino e
Cassio.
D. 3.2.4pr. (Ulp. lib. 6 ad ed.): Athletas autem Sabinus et Cassius responderunt
omnino artem ludicram non facere: virtutis enim gratia hoc facere. Et generaliter
ita omnes opinantur et utile videtur, ut neque thymelici neque xystici neque agi-
tatores nec qui aquam equis spargunt ceteraque eorum ministeria, qui certamini-
bus sacris deserviunt, ignominiosi habeantur.
34
Sullo status sociale e giuridico degli atleti vd. E. FRANCIOSI, Athletae, agitatores,
venatores. Aspetti del fenomeno sportivo nella legislazione postclassica e giustinianea, Torino,
2012, 74.
35
M. AMELOTTI, La posizione degli atleti di fronte al diritto romano, in SDHI. 21, 1955,
124, ora in Scritti giuridici, a cura di L. MIGLIARDI ZINGALE, Torino 1996, 327.
36
Per una completa ricognizione dei privilegi concessi agli atleti vd. M. AMELOTTI, La
posizione degli atleti, cit., 329 ss. e nt. 13, in cui si ricorda che il pugile e pancraziaste
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 91
Marco Aurelio Demostrate Damas fu insignito di una quindicina di tali cittadinanze ono-
rarie, dato che era invalso l’uso di concedere tale cittadinanza a tutti gli atleti che avessero
conseguito una vittoria nella città. Questo uso così generalizzato portò alla svalutazione
dell’onore stesso.
37
M. AMELOTTI, La posizione degli atleti, cit., 341, che riporta la disposizione contenuta
in P. Lond. 1178, fornendone un esaustivo commento.
38
Tale lettera è conservata in un papiro di origine egizia, v. M. AMELOTTI, La posizione
degli atleti di fronte al diritto romano, cit., 329.
39
AMELOTTI, La posizione degli atleti, cit., 332.
40
D. 27.1.6.13 (Modest. lib. 2 excus.).
41
Permettendo tali scommesse, non si incoraggiavano i cittadini romani a praticare uno
sport, quindi non si vede alcun collegamento con la virtus. Vi era solo, attraverso il tifo per
un concorrente o per l’altro, un incremento dello spirito di rivalità, che veniva considerato
un interesse degno di essere protetto giuridicamente. I tifosi, pur non partecipando attiva-
mente alla gara, avevano attraverso le scommesse un interesse personale a che il risultato
fosse per loro favorevole. V. A. WACKE, Juegos y apuestas, cit., 3735.
92 Anna Bottiglieri
42
D. 11.5.4 (Paul. lib. 19 ad ed.): Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam rem
familia ludere permittitur. Si servus vel filius familias victus fuerit, patri vel domino competit
repetitio. Item si servus acceperit pecuniam, dabitur in dominum de peculio actio, non
noxalis, quia ex negotio gesto agitur: sed non amplius cogendus est praestare, quam id quod
ex ea re in peculio sit. Adversus parentes et patronos repetitio eius quod in alea lusum est
utilis ex hoc edicto danda est.
43
G. PIOLETTI, s.v. Giochi vietati, in ED. 29, 1970, 72, ritiene che le due costituzioni
contenute sotto il titolo De alea lusu et aleatoribus sembrano due diverse traduzioni di
un’unica costituzione greca.
44
CI. 3.43.1: Imperator Iustinianus. Alearum lusus antiqua res est et extra operas pugnan-
tibus concessa, verum pro tempore prodiit in lacrimas, milia extranearum nominationum
suscipiens. Quidam enim ludentes nec ludum scientes, sed nominationem tantum, proprias
substantias perdiderunt, die noctuque ludendo in argentio apparatu lapidum et auro. Conse-
quenter autem ex hac inordinatione blasphemare conantur et instrumenta conficiunt. Commodis
igitur subiectorum provvidere cupientes hac generali lege decernimus, ut ulli liceat in privatis seu
publicis locis ludere neque in specie neque in genere: et si contra factum fuerit, nulla sequatur
condemnatio, sed solutum reddatur et competentibus actionibus repetatur ab his qui dederunt vel
eorum heredibus aut his negligentibus a patribus seu defensoribus locorum: Non obstante nisi
quinquaginta demum annorum aliqua praescriptione: Episcopis locorum hoc inquirentibus et
presidum auxilio utentibus. Deinde vero ordinent quinque ludos, ton monobolon ton condomo-
nobolon ke kondacca ke repon ke perichyten. Sed nemini permittimus etiam in his ludere ultra
unum solidum, etsi multum dives sit, ut, si quem vinci contigerit, casum gravum non sustineat.
Non solum eim bella bene ordinamus et res sacras, sed et ista: interminantes poenam trasgresso-
ribus, potestatem dando episcopis hoc inquirendi et auxilio praesidum sedandi.
45
Il giocatore per procurarsi il danaro che gli occorreva per giocare, con la consapevo-
lezza del compratore, gli vendeva un bene poi evitto dal terzo: quando non immediata-
mente denegata l’azione del compratore per l’evizione, era comunque paralizzabile dall’ec-
cezione: D. 44.5.2.1 (Paul. lib.71 ad ed.): Si in alea rem vendam, ut ludam, et evicta re
conveniar, exceptione summovebitur emptor.
Le scommesse sui giochi virtutis causa in diritto romano 93
46
Si è molto discusso sull’identificazione di tali giochi. Sul punto vd. E. NARDI,
Monobolo & C, in Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, ora in Scritti in
onore di A. Falzea, 4, Milano 1991, 297 ss. Cappuccio, Rien de mauvais, cit., 35, li iden-
tifica con una variante del quinquertium e ricorda il commento di Teodoro Balsamone,
autore della metà del XII secolo, il quale afferma che monobolo è detta la corsa, conto-
monobolo è il salto, cuntano contace senza la fibula il lancio senza la fibula di ferro,
pericuté la lotta e ippica la corsa dei cavalli.
47
CI. 3.43.2: Imperator Iustinianus: Proibemus etiam, ne sint equi lignei: sed si quis ex
hac occasione vincitur, hoc ipse recuperet: domibus eorum publicatis, ubi haec reperiuntur. Si
autem noluerit recipere is qui dedit, procurator noster hoc inquirat et in opus publicum
convertat. Similiter provideant iudices, ut a blasphemiis et periuriis, quae ipsorum inhibi-
tioonibus debent conprimi, omnes penitus conquiescant.
48
Non si sa nulla di preciso su tale gioco. Sembra si trattasse di una struttura di legno,
composta da vari gradini su cui erano stati praticati dei fori; i giocatori ponevano sui gradini
quattro palline di colore diverso poi le lasciavano cadere e la prima delle palline che, pas-
sando attraverso i fori, usciva dall’ultimo di essi, assegnava la vittoria a colui che aveva pun-
tato su quella pallina: vd. A. BOTTIGLIERI, Il gioco d’azzardo, cit., 56 nt. 25 e POLETTI, s.v.
Giochi vietati, cit., 72, che lo identifica con un gioco simile alla nostra roulette.
49
Ne fanno fede numerose opere di scrittori cristiani, la più significativa delle quali è
Pseud. CIPRIANO, Il gioco dei dadi, a cura di C. NUCCI, Bologna, 2005, 76 ss., scritta da un
vescovo preoccupato per il diffondersi del gioco d’azzardo.
50
CI. 1.4.34.1-7 part. 7: … Et si quaestione ex omni parte divinis oraculis propositis
instituta accusatio iusta esset apparebit et probabitur diaconum vel presbyterum aut aleatorem
94 Anna Bottiglieri
vieto è ribadito in Nov. 123 51 per gli ecclesiastici che partecipino anche co-
me semplici spettatori al gioco del tavoliere. In caso di trasgressione saranno
sospesi dalle loro funzioni per tre anni e rinchiusi in un monastero.
Il gioco d’azzardo fu avversato in tutte le epoche, anche se vi fu un pe-
riodo in cui si cercò di allargare le maglie della legislazione introducendo
per gli aleatores la possibilità di scommettere sui giochi che si svolgevano
virtutis causa. Quando i giochi atletici vennero esercitati da professionisti,
che ricavavano lauti guadagni dalla loro attività, cambiò anche l’atteggia-
mento del legislatore, che introdusse restrizioni sempre più stringenti per i
giocatori fino a vietare il gioco, sanzionandolo pesantemente. Un ulteriore
colpo in tal senso fu fornito dall’affermarsi della religione cristiana, i cui
ministri teorizzarono che il gioco d’azzardo era opera del diavolo 52 e per
tale ragione era fatto assoluto divieto ai fedeli di praticarlo. Tale concezio-
ne verrà recepita dalla legislazione del tardo impero e influenzerà notevol-
mente anche le epoche successive.
esse aut cum aleatoribus conversatum esse aut eiusmodi vanitatibus adsedisse aut memoratis
spectaculis interfuisse, vel fortasse etiam religiosissimorum episcoporum quis (quod plane non
eventurum confidimus) tale spectaculum passus erit vel tesseris ludentibus adsidere et cum iis
esse in futurum ausus erit, talis statim a beatitudine tua vel a metropolita vel religiosissimo
episcopo sub quo constitutus est, si e clericis qui dicuntur est, a sacro ministerio removeatur
eique canonica poena imponatur et tempus definiatur, intra quod eum conveniat ieiunia ac
supplicationes subeundo magnum deum super tali delicto placare.
51
Nov. 123.10.1: Interdicimus autem sanctissimis episcopis et presbyteris et diaconibus et
subdiaconibus et lectoribus et omnia lii cuiuslibet venerandi collegii aut schematis constitutis ad
tabulam ludere aut talia ludentibus participes aut inspectores fieri aut ad quodlibet spectaculum
spectandi gratia venire. Si quis autem ex eis hoc delinquerit, iubemus hunc in tribus annis
venerabili ministerio prohiberi et monasterio redigi. Si autem in medio tempore ostenderit
dignam sui vitii paenitentiam, liceat et sacerdoti sub quo constitutus est minuere tempus et hunc
rursus proprio reddere ministerio, scvientibus quoque sanctissimis episacopis debentibus haec
vindicare, quia si tale agnoscentes non vindicaverint, ipsi rationem deo pro tali cauisa persolvent.
52
Pseud. CIPRIANO, Il gioco dei dadi, cit., 89 ss. Un esempio è fornito dall’omelia di
questo vescovo, il quale afferma che nel gioco dei dadi è presente il laccio del diavolo, che
inietta il mortale veleno del serpente; la mano che lancia i dadi è una mano abituata ad
un’occupazione viziosa; tutto il gioco è un male provocato dal diavolo.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 95
SOMMARIO: 1. Il contenuto del titolo 11.5 ‘De aleatoribus’ del Digesto. – 2. ‘Exceptio nego-
tii in alea gesti’ e ‘denegatio actionis’. – 3. L’azione per la ripetizione delle perdite paga-
te. – 4. Paul. 19 ‘ad ed.’ D. 11.5.4.1 e le tracce di una pena da perseguire nelle forme
del processo civile contro il giocatore che abbia incassato la vincita. Il divieto senatorio
di ‘in pecuniam ludere’ e l’azione di ripetizione pretoria non penale. – 5. ‘Exceptio negotii
in alea gesti’, ‘denegatio actionis’ e azione di ripetizione.
1
Come ha notato E. VALIÑO, ‘Actiones utiles’, Pamplona, 1974, 202, si tratta di un tito-
lo poco studiato. Si vedano essenzialmente F. GLÜCK, Commentario alle Pandette, XI, Mi-
lano, 1903, 533; C. SCHOENHARDT, ‘Alea’. Über die Bestrafung des Glücksspiels im älteren
römischen Recht. Eine Strafrechtsgeschichtliche Studie, Stuttgart, 1885, che però se ne oc-
cupa solo sotto il profilo del diritto penale; O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, Leip-
zig, 1901, 1347 ss.; M. KURYŁOWICZ, Die Glücksspiele und das römische Recht, in Studi in
onore di C. Sanfilippo, IV, Milano, 1983, 278 ss.; ID., Das Glücksspiel im römischen Recht,
in ZSS, CII, 1985, 185 ss.; G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, in Sodalitas. Scritti in onore di
A. Guarino, V, Napoli, 1984, 2331 ss., ora in Scritti di diritto romano e tradizione romani-
stica, Padova, 1996, 499 ss.; A. POLLERA, In tema di repressione del gioco d’azzardo: dati e
problemi, in Studi per L. de Sarlo, Milano, 1989, 519 ss.; E. NARDI, Monobolo & C., in Scrit-
ti in onore di A. Falzea, IV, Milano, 1991, 299 ss.; M.G. ZOZ, Fondamenti romanistici del
diritto europeo. Aspetti e prospettive di ricerca, Torino, 2007, 61 ss.; S. BREMBILLA, ‘Provocat
me in aleam ut ego ludam’. Scommessa e giuoco nella prospettiva della dottrina e delle fonti,
in SDHI, LXXV, 2009, 331 ss., spec. 343 ss.
2
A scanso di equivoci dico subito che, quando parlo di gioco d’azzardo, non intendo
riferirmi a uno specifico gioco d’azzardo, ma a qualunque gioco dal cui esito incerto (di-
96 Paola Ziliotto
mai chiamati aleatores 3-4. Esso infatti consta di soli quattro frammenti, dei
quali il primo e più lungo (di Ulpiano), nonché il principium del secondo
(di Paolo), riguardano un editto del pretore relativo a colui apud quem alea
lusum esse dicetur, cioè al susceptor (al quale viene negata ogni tutela per il
caso in cui sia stato vittima di ingiurie, danni o furti), e a colui qui aleae
ludendae causa vim intulerit (al quale sarà irrogata una pena diversa a se-
conda delle circostanze del caso concreto) 5. Di seguito vengono menziona-
ti un non meglio precisato senatoconsulto che vetuit in pecuniam ludere,
salvo nelle gare che si fanno virtutis causa, quali il lancio del giavellotto, la
corsa, il salto, la lotta e il pugilato (fr. 2.1); quindi tre leggi altrettanto in-
certe, le leggi Titia, Publicia e Cornelia, in base alle quali, nei certamina fatti
virtutis causa, era lecito etiam sponsionem facere (fr. 3, di Marciano). Nel
quarto e ultimo frammento, di nuovo Paolo, dopo aver ricordato che è per-
messo giocarsi quod in convivio vescendi causa ponitur, si sofferma sui ri-
medi utilizzabili per recuperare la perdita al gioco d’azzardo quando la po-
sta sia stata pagata da uno schiavo o da un filius familias, quando sia stata
ricevuta da uno schiavo, e quando sia stata pagata al parens e al patronus,
caso in cui ex hoc edicto danda est una repetitio utilis.
Questo, in sintesi, il contenuto del titolo De aleatoribus del Digesto.
Dalla sua lettura, alcuni dati saltano subito all’occhio.
Innanzi tutto, salvo a voler identificare le tre leggi menzionate da Mar-
ciano con le leges aleariae di cui è traccia nelle fonti letterarie 6, leggi che
pendente solo dal caso) i giocatori facciano discendere la perdita e la vincita di una somma
di denaro o di altra posta. È chiaro poi che il divieto di gioco per denaro non colpisce il
gioco in sé (v. C. MANENTI, Del giuoco e della scommessa dal punto di vista del diritto priva-
to romano e moderno. Appendice del traduttore, in F. GLÜCK, Commentario, cit., 591 ss.),
bensì per l’appunto il gioco per denaro, l’azzardo, sanzionando, come vedremo, il capere
denaro a titolo di gioco, oppure il negozio di gioco. Sul punto v. S. BREMBILLA, ‘Provocat
me in aleam’, cit., 331 ss., spec. 336 ss., che distingue il gioco, fatto di per sé irrilevante per
il diritto, e la scommessa sull’esito del gioco, negozio vietato o consentito dalla legge.
3
Sul punto v. S. BREMBILLA, ‘Provocat me in aleam’, cit., 331 ss.
4
Sulla rilevanza sociale del fenomeno v. M. KURYŁOWICZ, Die Glücksspiele, cit., 269 ss.;
J. CARCOPINO, La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’impero, Roma-Bari, 1978, 287 ss.
5
Il testo dell’editto è riportato in Ulp. 23 ad ed. D. 11.5.1 pr.: Praetor ait: ‘Si quis eum,
apud quem alea lusum esse dicetur, verberaverit damnumve ei dederit sive quid eo tempore
[dolo] <e domo> eius subtractum est, iudicium non dabo. in eum, qui aleae ludendae causa
vim intulerit, uti quaeque res erit, animadvertam’. Sulla prima clausola di questo editto, ol-
tre agli autori citati nella nt. 1, v. A. METRO, La ‘denegatio actionis’, Milano, 1972, 111 ss.;
S. SCIORTINO, ‘Denegare iudicium’ e ‘denegare actionem’, in AUPA, LVIII, 2015, 211 ss.
6
Pl. Mil. 164-165: Atque adeo ut ne legi fraudem faciant aleariae,/adcuratote, ut sine talis
domi agitent convivium (per il doppio senso contenuto nel secondo verso, v. C. SCHOENHARDT,
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 97
‘Alea’, cit., 8; M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 193; E. NARDI, Monobolo, cit., 300);
Hor. carm. 3.24.58: Seu malis vetita legibus alea (sul plurale legibus, v. C. SCHOENHARDT,
‘Alea’, cit., 8 s.); Cic. Phil. 2.23.56: Licinium Denticulum de alea condemnatum … Hominem
nequissimum, qui non dubitaret vel in foro alea ludere, lege, quae est de alea, condemnatum.
Esclude che queste leggi possano identificarsi con quelle menzionate da Marciano, C.
SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 15 ss., spec. 18 s. V. però F. GLÜCK, Commentario, cit., 540 s.;
G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 501.
7
Uso qui l’aggettivo ‘penale’ in senso ampio, in riferimento cioè sia a pene irrogabili in
forza della coercitio magistratuale o nell’ambito di processi criminali, sia a pene perseguibi-
li nelle forme del processo privato.
8
Sul punto v. C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 11 ss., spec. 14.
9
Sul punto v. C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 15 ss.
10
O. LENEL, Das Edictum Perpetuum3, Leipzig, 1927, 176.
11
Paul. 19 ad ed. D. 11.5.4.1.
12
Questo problema non sarà peraltro affrontato nel presente studio, dedicato – come si
dirà subito – alla disciplina privatistica del solo gioco vietato (v. però l’ultima nota).
98 Paola Ziliotto
venuto in modo parziale, e forse anche del fatto che non sembra residuare
alcuna traccia delle sanzioni penali comminate agli aleatores, si ha dunque
l’impressione di un titolo incompleto, di un titolo in parte anche oscuro, di
un titolo soprattutto che disciplina aspetti di contorno o di dettaglio rispet-
to a quello che doveva costituire lo ‘zoccolo duro’ della normativa classica
sul gioco d’azzardo e sulle sue conseguenze giuridiche per i giocatori, vale
a dire la disciplina privatistica 13.
Le ragioni della scelta dei Compilatori si possono intuire quando si pas-
si a leggere il titolo 3.43 del Codice giustinianeo 14, il quale, sotto la rubrica
De aleae lusu et aleatoribus, nella edizione di Krüger contiene l’epitome la-
tina di due costituzioni greche di Giustiniano del 529, epitome che può es-
sere integrata con gli indici di Taleleo e di Anatolio. Ebbene, la prima di
queste costituzioni vieta il gioco d’azzardo disciplinandone gli aspetti pri-
vatistici, vale a dire il dovere di restituire quanto ricevuto come vincita e il
diritto di ripetere, con azione che si prescrive in cinquant’anni, quanto pa-
gato come perdita; essa elenca poi cinque giochi nei quali è permesso gio-
care per denaro, ma solo entro i limiti di un solidum, riconoscendo forse in
questo caso il diritto di esigere la vincita. Non è chiaro, invece, se la costi-
tuzione abbia previsto delle sanzioni per i giocatori 15.
Si può dunque facilmente ipotizzare che l’esistenza di questa legge ab-
bia indotto i Commissari giustinianei a considerare, nella compilazione del
Digesto, i soli aspetti della disciplina del gioco d’azzardo non contemplati
nella costituzione di Giustiniano e non contrastanti con essa 16. Ciò nono-
stante, qualche traccia della disciplina privatistica classica del gioco d’az-
zardo vietato è rimasta, e su di essa si concentrerà l’attenzione in questo
studio.
13
Comprensiva di una eventuale azione penale esperibile nelle forme del processo per
formulas. Su questa congettura, v. oltre, § 4.
14
Pervenutoci, peraltro, in pessime condizioni: sul punto v. C. SCHOENHARDT, ‘Alea’,
cit., 89 s.
15
Su questa costituzione, oltre agli autori citati nella nt. 1, v. B. BIONDI, Il diritto roma-
no cristiano, II, La giustizia – Le persone, Milano, 1952, 283 s.
16
Cfr. M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 204 s.
17
Cfr. E. NARDI, Monobolo, cit., 306 s.; G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 503 s.; M.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 99
negare l’azione non solo al susceptor per i delitti da questi subiti, ma anche
al giocatore che intendesse agire contro il perdente per ottenere la vincita.
L’ipotesi poggia su di una constatazione di Lenel 18. Lo studioso osserva
infatti che sotto la rubrica Quarum rerum actio non datur (D. 44.5) sono
raccolte alcune eccezioni relative a fatti per i quali, in una precedente parte
dell’editto, era prevista una denegatio actionis. Le eccezioni menzionate so-
no tre e una di queste è l’exceptio negotii in alea gesti 19. Per le altre due,
cioè per l’exceptio iurisiurandi 20 e per l’exceptio onerandae libertatis causa 21,
risulta anche la corrispondente denegatio actionis 22, mentre per il negotium
in alea gestum è documentata la sola eccezione: si ritiene, però, che dovesse
essere contemplata anche la denegatio actionis.
Più incerto resta invece l’ambito di applicazione dei due rimedi, o me-
glio, non è chiaro se l’ambito di applicazione dei due rimedi, denegatio e
exceptio, fosse coincidente.
L’unico caso a noi noto in cui viene utilizzata l’eccezione è infatti quello
tramandato in D. 44.5.2.1 dove il rimedio serve per paralizzare non già la
pretesa del vincitore contro il perdente, bensì quella di un soggetto divenu-
to creditore del giocatore sulla base di un negozio contratto ai fini del gioco.
KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 205; A. POLLERA, In tema, cit., 534 s.; M.G. ZOZ, Fon-
damenti, cit., 65.
18
O. LENEL, Das Edictum3, cit., 176, 46 e 512.
19
Paul. 71 ad ed. D. 44.5.2.1; v. anche Ulp. 7 disp. D. 22.3.19.4.
20
Ulp. 76 ad ed. D. 44.5.1 pr.-3; Paul. 71 ad ed. D. 44.5.2 pr.
21
Ulp. 76 ad ed. D. 44.5.1.4-12; Paul. 71 ad ed. D. 44.5.2.2; v. anche Paul. 3 ad Plaut.
D. 44.1.7.1.
22
Per il giuramento, v. Ulp. 22 ad ed. D. 12.2.7; Ulp. 22 ad ed. D. 12.2.9 pr. Per l’onere im-
posto alla libertà, v. O. LENEL, Das Edictum3, cit., 338, in riferimento a Ulp. 38 ad. ed. D. 38.1.2.
100 Paola Ziliotto
23
Così G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 504; M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 206.
24
M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 206.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 101
mento anticipato della posta, il vincitore non avrebbe mai avuto necessità
di agire contro il perdente perché o la posta era sul tavolo, e allora se la sa-
rebbe accaparrata, oppure era stata consegnata a un terzo, e allora, in caso
di mancata restituzione, avrebbe semmai dovuto agire contro questi 25. E
allora, delle due l’una: o si ritiene che la pretesa del vincitore potesse essere
paralizzata solo in via di eccezione e si ipotizza un diverso ambito di appli-
cazione della denegatio actionis; o si ritiene che l’azione potesse essere non
solo paralizzata in via di eccezione, ma anche denegata dal pretore, cosa
però che non è detta da Kuryłowicz.
Del resto, l’ipotesi avanzata dallo studioso poggia sull’idea della nullità
del negozio avente ad oggetto un gioco vietato 26, idea che però non è paci-
fica in dottrina. In particolare, Giambattista Impallomeni ritiene che il ne-
gozio di gioco, ancorché vietato, fosse tuttavia valido salvo il caso in cui
sfociasse nella turpitudine 27. La validità del negozio di gioco vietato risul-
terebbe da D. 19.5.17.5, testo ritenuto particolarmente attendibile in quan-
to fuori della sedes materiae.
Ulp. 28 ad ed. D. 19.5.17.5: Si quis sponsionis causa anulos acceperit nec reddit
victori, praescriptis verbis actio in eum competit: nec enim recipienda est Sabini
opinio, qui condici et furti agi ex hac causa putat: quemadmodum enim rei nomi-
ne, cuius neque possessionem neque dominium victor habuit, aget furti? plane si
inhonesta causa sponsionis fuit, sui anuli dumtaxat repetitio erit.
25
Si potrebbe ipotizzare il caso che il terzo, anziché consegnare al vincitore la posta an-
ticipatamente versata dal perdente, la abbia restituita al perdente, e che dunque il vincito-
re, intenzionato a ottenere la soddisfazione del credito di gioco, debba rivolgersi al compa-
gno sconfitto. In tal caso, però, si ritorna all’ipotesi precedente, ossia che il vincitore sa-
rebbe munito di azione nel solo caso di accordo versato in una stipulatio astratta.
26
Nullità che i giocatori avrebbero aggirato ricorrendo alle stipulazioni astratte.
27
G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 499 ss., seguito da M.G. ZOZ, Fondamenti, cit., 64.
28
Sulla diversa soluzione di Sabino e di Ulpiano, v. M. KASER, Aktivlegitimation zur ‘ac-
tio furti’, in ‘De iustitia et iure’. Festgabe für U. von Lübtow zum 80. Geburtstag, Berlin,
1980, 310 s.
102 Paola Ziliotto
29
E la repetitio del pagato (sulla quale v. oltre, §§ 3 e 4), nonché quelli di ordine pub-
blicistico, come eventuali ammende.
30
Se non capisco male, quindi, il negozio di gioco vietato ma non turpe, in quanto vali-
do, avrebbe consentito al vincitore, al pari del negozio di gioco permesso, la richiesta di
restituzione di entrambi gli anelli tramite actio praescriptis verbis, azione che però avrebbe
potuto essere paralizzata dal pretore con la denegatio actionis o con l’exceptio negotii in
alea gesti. Nel solo caso di negozio vietato e turpe, infatti, l’invalidità del negozio avrebbe
consentito al vincitore esclusivamente la repetitio del proprio anello.
31
Leggi che G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 501 s. (seguito da M.G. Zoz, Fondamenti,
cit., 64) identifica con le leges aleariae tramandate nelle fonti letterarie (v. sopra, nt. 6).
32
B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, II, trad. it., Torino, 1925, 626, e nt. 5, 629, e
nt. 2.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 103
33
Ulp. 23 ad ed. D. 11.5.1.1: Si rapinas fecerint inter se collusores, vi bonorum raptorum
non denegabitur actio: susceptorem enim dumtaxat prohibuit vindicari, non et collusores,
quamvis et hi indigni videantur.
34
Ulp. 1 ad ed. aed. cur. D. 21.1.19.1; Tryph. 1 disp. D. 50.16.225; Pomp. 12 ad Sab. D.
17.2.59.1 (sul quale v. F. STURM, Gesellschafterausgaben für Weib und Würfel, in Iura,
XXX, 1979, 78 ss.). Sul punto e per le fonti letterarie, v. M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel,
cit., 207, nt. 99, ID., Die Glücksspiele, cit., 274 s.; S. BREMBILLA, ‘Provocat me in aleam’, cit.,
332 s.
35
Cfr. Paul. 3 quaest. D. 12.5.8: Si ob turpem causam promiseris Titio, quamvis, si petat,
exceptione doli mali vel in factum summovere eum possis, tamen si solveris, non posse te re-
petere, …. Sul punto v. M. KASER, Über Verbotsgesetze und verbotswidrige Geschäfte im
römischen Recht, Wien, 1977, 80 ss., spec. 86 s.
104 Paola Ziliotto
Paul. 19 ad ed. D. 11.5.2. pr.: solent enim quidam et cogere ad lusum vel ab ini-
tio vel victi dum retinent. 1. Senatus consultum vetuit in pecuniam ludere, prae-
terquam si quis certet hasta vel pilo iaciendo vel currendo saliendo luctando pu-
gnando quod virtutis causa fiat.
Paul. 19 ad ed. D. 11.5.4 pr.: Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam
36
Salvo ipotizzare che, nel caso contemplato in Ulp. 31 ad ed. D. 17.1.12.11 (Si adule-
scens luxuriosus mandet tibi, ut pro meretrice fideiubeas, idque tu sciens mandatum susceperis,
non habebis mandati actionem, quia simile est, quasi perdituro pecuniam sciens credideris), si
sarebbe denegata l’azione per la restituzione a chi avesse consapevolmente fatto un mutuo
a chi intendeva utilizzare il denaro per un gioco vietato: in questo senso v. F. GLÜCK, Com-
mentario, cit., 549 ss. Ammesso che la parte finale del passo possa riferirsi (anche) al caso
del prestito fatto a fini di gioco, il silenzio del testo spingerebbe però a credere che la pre-
tesa del mutuante sarebbe stata paralizzata non già con una denegatio actionis, bensì con
una exceptio negotii in alea gesti, così come la pretesa del compratore evitto (D. 44.5.2.1)
di cui si è detto all’inizio di questo paragrafo.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 105
rem familia 37 ludere permittitur. 1. Si servus vel filius familias victus fuerit, patri
vel domino competit repetitio. item si servus acceperit pecuniam, dabitur in do-
minum de peculio actio, non noxalis, quia ex negotio gesto agitur: sed non amplius
cogendus est praestare, quam id quod ex ea re in peculio sit. 2. Adversus parentes
et patronos repetitio eius quod in alea lusum est utilis ex hoc edicto danda est.
37
alea Cuiacius.
38
G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 505 s., seguito da M.G. ZOZ, Fondamenti, cit., 65.
39
La tesi di Impallomeni è accolta da A. POLLERA, In tema, cit., 538, il quale però poi
(p. 544) ritiene «molto probabile che già l’editto concedesse il diritto generalizzato», rica-
vabile da D. 11.5.4.1-2, «a ripetere quanto era stato perduto e pagato in un gioco illecito».
106 Paola Ziliotto
ottenere l’azione prevista dall’editto in via utile, ossia una azione mantenuta
entro limiti moderati non identificabili se non in via del tutto congetturale
con quanto l’ascendente o il patrono conservasse ancora della vincita 40.
Fermo restando che ci troviamo davanti a un titolo del Digesto oscuro e
lacunoso, e che dunque ogni tentativo di ricostruzione per quanto merite-
vole e ingegnoso presta inevitabilmente il fianco a qualche critica, mi pare
che anche la assai suggestiva ricostruzione di Impallomeni presenti qualche
punto debole che vale la pena di evidenziare.
Innanzi tutto, l’espressione ‘repetitio … utilis ex hoc edicto danda est’ fa
pensare non già a una azione utile prevista nell’editto, ma piuttosto, come
si è detto, a una azione utile che viene accordata sulla base di una azione
(diretta) prevista nell’editto. Del resto, se è vero che i verbi competere e da-
re sono in molti casi usati promiscuamente, cosa che è riconosciuta dallo
stesso Impallomeni 41, non è vero che essi alludano sempre rispettivamente
all’azione civile e a quella pretoria nei contesti in cui appaiono in contrap-
posizione 42: non è quindi detto che quella che competit al padre o al pa-
drone per i debiti di gioco pagati dal figlio o dallo schiavo sia una repetitio
civilis, da contrapporre alle applicazioni pretorie della stessa. Si può quindi
dubitare dell’originaria derivazione dell’azione di ripetizione dal senato-
consulto e ritenere che questa azione fosse invece effettivamente concessa
dal pretore in una parte dell’editto non pervenutaci. Del resto, l’identifica-
zione e la datazione di questo senatoconsulto sono assolutamente incerti 43,
40
In senso analogo, A. POLLERA, In tema, cit., 543 s.
41
G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 505 s., nt. 29; A. METRO, La ‘denegatio’, cit., 85 s., e
nt. 39.
42
Come invece ritiene G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 505 s., nt. 29. V. però, ad esem-
pio, in riferimento all’actio de in rem verso, Scaev. 5 dig. D. 15.3.21 (… quaero, an de in
rem verso adversus patrem actio competat. respondit, … dandam de in rem verso utilem
actionem).
43
Il problema per lo più discusso è se esso abbia preceduto o seguito le leggi Titia, Pu-
blicia e Sempronia (anch’esse di data incerta) menzionate da Marciano in D. 11.5.3. Per la
anteriorità del senatoconsulto, v. C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 11 ss., spec. 72 ss.; P. ROSSI,
L’opinione di Pomponio sulle origini del potere legislativo del senato, in Studi Senesi, VI,
1889, 125; G. CRIFÒ, Attività normativa del senato in età repubblicana, in BIDR, LXXI,
1968, 44 s., il quale inoltre, pur non entrando nel problema della datazione per assenza di
elementi decisivi, lo colloca in età repubblicana; in senso analogo, S. BREMBILLA, ‘Provacat
me in aleam’, cit., 347 s. e 353 s. Per l’anteriorità delle leggi, v. B. LORETI LORINI, Il potere
legislativo del Senato romano, in Studi in onore di P. Bonfante, IV, Milano, 1930, 389, la
quale afferma che nulla proverebbe l’anteriorità del senatoconsulto, a suo avviso risalente
all’età imperiale; in senso analogo, A. POLLERA, In tema, cit., 537 s. e nt. 42; in forma del
tutto congetturale, E. NARDI, Monobolo, cit., 305.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 107
e dunque è anche possibile che esso abbia preceduto l’editto del pretore 44.
Volendo attenersi all’ordine espositivo di Paolo, si potrebbe allora anche
ipotizzare che egli, dopo il commento all’editto relativo ai susceptores e a
coloro che usano la violenza per indurre altri a giocare, abbia ricordato la
delibera del senato relativa al divieto di in pecuniam ludere, in base alla
quale il pretore avrebbe concesso fra l’altro l’azione di ripetizione 45.
A una azione di ripetizione concessa dal pretore pensa anche Kuryło-
wicz 46. Egli parte dalla considerazione che la repetitio, menzionata in D.
11.5.4.1-2 come anche nella parte finale di D. 19.5.17.5 47, potrebbe astrat-
tamente essere tanto una rei vindicatio, quanto una condictio. Escluso, pe-
rò, che si trattasse di una rei vindicatio per la pratica impossibilità di una
identificazione delle monete presso il destinatario, egli si domanda a quale
condictio farebbero riferimento i testi citati. D. 19.5.17.5, nella parte in cui
parla della repetitio per il caso della inhonesta causa sponsionis, potrebbe
far pensare alla condictio ob turpem causam 48. L’ipotesi viene però scartata
perché in contrasto con la regola ‘ubi autem et dantis et accipientis turpitudo
versatur, non posse repeti’ (Paul. 10 ad Sab. D. 12.5.3) 49. E vengono scarta-
te pure le ipotesi di una condictio ob iniustam causam e di una condictio in-
debiti 50, in quanto non suffragate da dati testuali. Lo studioso pensa quindi
che, essendo stata giudicata inapplicabile la condictio del ius civile, il preto-
re avrebbe colmato il vuoto con il suo editto De aleatoribus, con il quale
avrebbe accordato al perdente una actio in factum 51 per la ripetizione (re-
44
Come ritiene H. KRÜGER, Verweisungsedikte im prätorischen Album, in ZSS, L, 1916,
296 s.
45
Sul punto si tornerà nel § 4.
46
M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 206 ss. e 209.
47
Riportato sopra, § 2.
48
In questo senso, v. R. VON MAYR, Die ‘condictio’ des römischen Privatrechtes, Leipzig,
1900, 159; F. SCHWARZ, Die Grundlage der ‘condictio’ im klassischen römischen Recht,
Münster-Köln, 1952, 183, nt. 42.
49
A questo proposito, M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 207, evidenzia da un la-
to la turpitudo di entrambi i giocatori derivante dal divieto di gioco, dall’altro il frequen-
te paragone dell’alea a stuprum e adulterium (lo studioso cita Cic. Catil. 2.10; 2.23; Iuv.
11.176 s.; Plin. pan. 82.9; Quint. Inst. 2.4.22; Sen. ben. 7.16.3; Svet. Cl. 5; Vit. 4; Macr.
Sat. 3.16.15; Pomp. 12 ad Sab. D. 17.2.59.1) entrambi assoggettati alla regola di Paul. 10
ad Sab. D. 12.5.3 (Ulp. 26 ad ed. D. 12.5.4 pr.).
50
Entrambe sostenute da E. VALIÑO, la prima in Las relaciones básicas de las acciones
adyecticias, in AHDE, XXXVIII, 1968, 431, e la seconda in ‘Actiones’, cit., 203.
51
A una actio in factum pensa anche O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit.,
1348.
108 Paola Ziliotto
petitio ex hoc edicto, Paul. D. 11.5.4.2) 52. Per quanto riguarda la fattispecie
considerata in D. 11.5.4.2, lo studioso pensa che essa sia la stessa contem-
plata nella seconda parte di D. 11.5.4.1 (dove viene accordata l’actio de pe-
culio contro il padrone e, a suo modo di vedere, anche contro il padre del-
lo schiavo e del figlio che abbiano incassato denaro vinto al gioco 53). La
particolarità starebbe nel fatto che, dopo aver vinto, lo schiavo sarebbe sta-
to manomesso e il filius familias emancipato: l’azione sarebbe perciò ac-
cordata in via utile perché lo schiavo e il figlio non erano più soggetti a po-
testà.
Se l’idea di una azione di ripetizione concessa dal pretore mi pare con-
vincente, altrettanto non posso dire per l’interpretazione di D. 11.5.4.2 of-
ferta da Kuryłowicz. Una volta promessa nell’editto l’azione di ripetizione
e una volta riconosciuto che il padrone dello schiavo (o il padre del filius
familias) poteva essere convenuto de peculio per le vincite incassate dal
soggetto a potestà ‘quia ex negotio gesto agitur’, nel caso in cui lo schiavo
fosse stato successivamente manomesso (o il figlio fosse stato successiva-
mente emancipato), non sarebbe stato necessario il ricorso a una repetitio
utilis, potendosi applicare le regole generali dettate in tema di actio de pe-
culio per il caso di cessazione del rapporto potestativo conseguente a ma-
nomissione ed emancipazione 54. Assai più probabile pare dunque l’ipotesi
secondo la quale la repetitio utilis di cui in D. 11.5.4.2 alluda all’azione
esperibile da figli emancipati e da schiavi manomessi per i debiti di gioco
pagati a parentes e patroni 55.
52
Non vi sarebbe però, secondo lo studioso, una relazione tra questo editto e il senatu-
sconsultum di cui in Paul. 19 ad ed. D. 11.5.2.1, in quanto la delibera del senato sarebbe
l’ultimo provvedimento di età classica a noi noto in materia di alea: M. KURYŁOWICZ, Das
Glücksspiel, cit., 196 s.
53
M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 209 ss.
54
Cfr. A. BURDESE, Diritto privato romano3, Torino, 1975, 510 s.; M. TALAMANCA, Istitu-
zioni di diritto romano, Milano, 1990, 88. Ancora meno convincente è la tesi di E. VALIÑO,
‘Actiones’, cit., 203, il quale ipotizza che l’azione utile fosse esperibile per far valere la resti-
tuzione delle vincite incassate dai figli emancipati e dagli schiavi manomessi e poi trasmes-
se ai loro parentes manumissores e patroni che sarebbero stati gli impresari del gioco: la
condictio sarebbe data in via utile perché gli impresari ricevevano la datio non direttamen-
te, ma per il tramite dei figli emancipati e degli schiavi manomessi, e dunque la finzione
inserita nella formula sarebbe stata o che figli emancipati e schiavi manomessi fossero filii
familias e servi, oppure che il pagamento del debito di gioco fosse stato fatto direttamente
a parentes manumissores e patroni. Come ha notato anche M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel,
cit., 212, nt. 118, questa ipotesi oltrepassa i limiti del testo.
55
In questo senso, oltre G. IMPALLOMENI, In tema, cit., 506, v. già anche F. GLÜCK, Com-
mentario, cit., 548; G.R. POTHIER, in Opere contenenti i trattati del diritto francese, I ed. ita-
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 109
liana, II, Livorno, 1836, 174, secondo il quale figli e liberti non erano ammessi a intentare
l’azione diretta in quanto famosa: a figli e liberti veniva dunque concessa un’azione utilis o in
factum che non portava con sé l’infamia del condannato; Lenel, il quale, nella prima edizione
dell’Edictum Perpetuum (O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, Leipzig, 1883, 135, e nt. 10),
riteneva che l’azione di ripetizione fosse accordata in via utile contro parentes e patroni in
quanto quella prevista nell’editto probabilmente prevedeva un supplemento a titolo di pena;
O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1348, il quale, escluso che l’azione diretta fosse
infamante, ritiene che essa non fosse esperibile contro parentes e patroni in quanto, essendo
concepita in factum, avrebbe menzionato nell’intentio la circostanza che l’oggetto della repe-
titio era stato vinto in alea dal convenuto; e siccome il guadagno al gioco era immorale, con-
tro parentes e patroni si sarebbe concessa una actio utilis priva di questo riferimento.
56
Il dato viene evidenziato da O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1348, per
rilevare che l’azione non era penale e che dunque l’affermazione di Paolo impedisce di ac-
cogliere l’idea avanzata da Lenel (ricordata nella nota precedente), secondo il quale l’azio-
ne di ripetizione prevedeva probabilmente un supplemento a titolo di pena. Sulla base del-
la giusta osservazione di Karlowa, Lenel ritratterà la sua precedente ipotesi, affermando
che non si può ipotizzare un supplemento penale (O. LENEL, Das Edictum3, cit., 176, nt. 6).
Per un rilievo relativo alla vasta concezione di negotium gestum emergente dal passo, v. E.
LEVY, Die Konkurrenz der Aktionen und Personen im klassischen römischen Recht, I, Berlin,
1918, 441; M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 210.
57
V. sopra, nt. 6.
58
Vale a dire, quella già nota ai tempi di Plauto (Mil. 164-165, sopra nt. 6), che per lo più
è datata al 204 a.C. (v. la lett. citata in S. BREMBILLA, ‘Provocat me in aleam’, cit., 342, nt. 25).
59
L’ipotesi poggia sullo scolio del Ps. Ascon. in div. 24: … alii dicunt quadruplatores es-
se eorum reorum accusatores, qui convicti quadrupli damnari soleant, [aut] <ut> aleae aut
pecuniae gravioribus usuris foeneratis … Sul punto v. W. REIN, Das Criminalrecht der
110 Paola Ziliotto
vece discusso se gli aleatores fossero puniti nell’ambito del processo civile
o nell’ambito di quello criminale 60. L’unico autore che ha studiato a fondo
il tema delle conseguenze penali del gioco d’azzardo 61, ipotizza però che le
diverse leggi alearie succedutesi nel tempo avrebbero previsto diverse pe-
ne: una più antica poena quadrupli esigibile nella forma della manus iniectio
pura e una più recente multa irrogabile nell’ambito del processo edilizio 62.
A noi interessa la più antica. L’ipotesi avanzata da Schoenhardt è che
l’actio quadrupli ex lege alearia farebbe parte delle azioni difensive teorizza-
te da Jhering 63. La più antica lex alearia, dunque, analogamente alla lex
Furia testamentaria, sarebbe stata una lex minus quam perfecta che avrebbe
consentito a chi avesse perso al gioco di reagire all’azione del creditore o di
prevenirla con una manus iniectio pura per il quadruplum 64-65. Schoenhardt
rileva però come, contro questa sua ipotesi, si potrebbe a ragione obiettare
che considerando il gioco d’azzardo quale fondamento di una azione del
Römer von Romulus bis auf Justinianus, Leipzig, 1844, 833; C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit.,
36 ss.; O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1347; G. HUMBERT, voce ‘Alea’, in
DS, I, 1877, 180; O. LENEL, Das Edictum3, cit., 176, nt. 6; F. DE MARTINO, I ‘quadruplato-
res’ nel ‘Persa’ di Plauto, in Labeo, I, 1955, 43 s.; F. LA ROSA, Note sui ‘tresviri capitales’, in
Labeo, III, 1957, 238, nt. 28; G. LONGO, voce ‘Lex alearia’, in Noviss. dig. it., IX, Torino,
1968, 769; F. STURM, Gesellschafterausgaben, cit., 81; S. DI SALVO, ‘Lex Laetoria’. Minore età
e crisi sociale tra il III e il II a.C., Napoli, 1979, 135 s. e nt. 91; M. KURYŁOWICZ, Das
Glücksspiel, cit., 200; il collegamento della plautina lex alearia con la chiusa di Ps. Ascon.
in div. 24 resta ipotetico per E. NARDI, Monobolo, cit., 300 s. Contro l’idea – sostenuta ad
esempio da TH. MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig, 1899, 861, e nt. 4 – che l’alea
fosse punita con l’esilio, v. diffusamente C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 20 ss. Su questa ipo-
tesi, v. anche M. KURYŁOWICZ, Das Glücksspiel, cit., 201 s.
60
Sulla questione v. per tutti C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 39 ss.
61
C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 36 ss.
62
Tale sarebbe stato il processo contro Licinio Denticula cui accenna Cic. Phil. 2.23.56:
C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 45 ss., spec. 55 ss. Per una duplice forma di repressione, pe-
raltro già esistente all’epoca di Plauto, v. anche A. POLLERA, In tema, cit., 522 ss., spec. 526 ss.
63
R. VON JHERING, L’esprit du droit romain dans les diverses phases de son développe-
ment, IV, tr. franc., Paris, 1878, 107 ss.
64
V. anche O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1347, secondo il quale il vin-
citore era damnas a restituire il doppio e la manus iniectio pura esperibile contro di lui au-
mentava al quadruplo se egli negava e manum sibi depellebat.
65
Secondo C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 70 e nt. 4, non è però improbabile che il legi-
slatore, qui come in altri casi, arrivasse al punto di accordare la ‘controazione’ nel quadru-
plo anche se il vincitore avesse accettato il volontario pagamento del debito di gioco. In tal
caso l’actio quadrupli esperita dal giocatore sconfitto avrebbe ricompreso la ripetizione del
pagato. In seguito il pretore avrebbe accordato la ripetizione spogliata del suo accresci-
mento penale nel quadruplo. Sotto questo profilo, dunque, anche questo a. critica l’ipotesi
inizialmente avanzata da O. LENEL, Das Edictum, 1883, 135 (v. sopra, ntt. 55 e 56).
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 111
66
C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 71.
67
Sul punto v. anche C. FADDA, L’azione popolare. Studio di diritto romano e attuale, I,
Torino, 1894 (rist. anast., Roma, 1972), 25, il quale, partendo dall’idea di cui si dirà subito
nel testo, e cioè che questa manus iniectio quadrupli fosse un’azione popolare, osserva che
«l’interesse pubblico vuole in prima linea farsi valere: e a tal uopo la legge non si preoccupa
delle conseguenze. Sia pure che il perdente possa arricchire: non importa. Quel che impor-
ta è di far balenare davanti agli occhi dell’attore lo spauracchio di quella gravissima pena».
68
In questo senso, oltre C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 70 ss., v. C. FADDA, L’azione, cit.,
21; O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1347; F. DE MARTINO, I ‘quadruplatores’,
cit., 43 s.; S. DI SALVO, ‘Lex Laetoria’, cit., 135 s., nt. 90; A. POLLERA, In tema, cit., 527 ss.
69
C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 71 s.
70
M. KASER, Über Verbotsgesetze, cit., 33 ss.
71
Fatta eccezione per la lex Laetoria che lo studioso ritiene di poter attribuire a questa
categoria di leggi (M. KASER, Über Verbotsgesetze, cit., 39 s.).
72
Così anche R. VON JHERING, L’esprit, cit., 108 s.
112 Paola Ziliotto
capere, cioè contro l’atto di acquisto basato sul negozio di attribuzione, cape-
re che veniva punito con una poena quadrupli 73: l’acquisto contrario al divie-
to non sarebbe divenuto inefficace e dunque l’acquirente lo avrebbe conser-
vato, accontentandosi il legislatore dell’efficacia intimidatoria della pena 74.
Chiusa questa parentesi sull’azione penale nel quadruplum esperibile con-
tro il vincitore sulla base della più antica lex alearia, è ora possibile tornare al
passo in cui Paolo precisa che l’azione esperibile contro il dominus per la
vincita incassata dal suo schiavo è una actio de peculio, e non una azione nos-
sale, quia ex negotio gesto agitur. La precisazione sembra diretta a chiarire
che il capere dello schiavo non costituisce un atto illecito perseguibile con
azione penale, fugando un possibile dubbio al riguardo. In essa si può dun-
que vedere il ricordo, oltre che una ulteriore conferma, dell’antica azione,
che spinge il giurista a sottolineare come l’azione di ripetizione non sia ormai
più una azione penale, ma una normale azione di ripetizione nei limiti del
peculio. Ma è possibile anche un’ipotesi più azzardata. Non si può infatti
escludere che, almeno in un primo momento, il pretore abbia accordato una
azione di ripetizione con caratteristiche analoghe a quelle dell’antica manus
iniectio quadrupli, ossia una azione di ripetizione penale e popolare 75, ancora
diretta contro l’illecito capere da parte del vincitore, azione che con il pas-
sare del tempo, vuoi per interpretazione giurisprudenziale, vuoi per suc-
73
Così nella lex Furia testamentaria, che puniva con poena quadrupli esigibile con ma-
nus iniectio pura chi – fatta eccezione per certi parenti – avesse accettato per legato o in
base ad altra disposizione mortis causa, più di 1000 assi; così nelle XII Tavole, che puniva-
no con poena quadrupli chi avesse accettato interessi eccedenti il fenus unciarium; così, in-
fine, nella lex Cincia, che puniva con poena quadrupli l’avvocato che avesse accettato doni
per la sua prestazione (M. KASER, Über Verbotsgesetze, cit., 33 ss., spec. 38).
74
Con il progressivo affinamento della coscienza giuridica si sarebbe cercata una giustifica-
zione per tale acquisto, forse trovato nel fatto che l’acquisto contrario alla legge veniva rimbor-
sato mediante la corresponsione della sanzione pecuniaria, così che la poena finiva per avere
nello stesso tempo una funzione ‘sachverfolgende’: M. KASER, Über Verbotsgesetze, cit., 39.
75
La congettura che l’azione pretoria di ripetizione, nel caso in cui il perdente o il suo
erede non avessero voluto o potuto agire, sarebbe stata popolare come l’antica manus
iniectio, è avanzata da O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, cit., 1348, il quale eviden-
zia che del resto la natura popolare si ritroverà anche nell’azione di ripetizione accordata
da Giustiniano. Poiché però, sulla base di Paul 19 ad ed. D. 11.5.4.1 (… dabitur in domi-
num de peculio actio, non noxalis, …), lo studioso giustamente esclude che l’azione di ripe-
tizione fosse penale (sopra, nt. 56), e poiché le azioni pretorie popolari sono tutte pe-
nali, mi pare che l’idea della popolarità dell’azione possa essere sostenuta solo in riferi-
mento a una ipotetica azione originaria non pervenutaci, sostituita poi dalla azione di ripe-
tizione non penale cui allude Paolo in D. 11.5.4.1. È infatti difficile pensare che la stessa
azione fosse reipersecutoria se esperita dal perdente e diventasse invece penale se esperita
dal quivis de populo.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 113
76
H. KRÜGER, Verweisungsedikte, cit., 296 s.
77
Cfr. Ov. tr. 2.471-472: sunt aliis scriptae, quibus alea luditur, artes; / hoc est ad nostros
non leve crimen avos, dal quale sembra desumersi che ai suoi tempi l’infrazione del divieto
fosse considerata con minor rigore che al tempo degli avi. Sul punto v. S. BREMBILLA, ‘Pro-
vocat me in aleam’, cit., 340 s., e E. NARDI, Monobolo, cit., 303, il quale forse non a torto
rileva che «però ‘crimen’ ha l’aria d’esser qui solo un termine generico; che il giurista non
può utilizzare per deduzioni sull’ordinamento punitivo, bensì unicamente per valutazioni
sociali (o, si direbbe oggi, ‘sociologiche’)». V. inoltre le considerazione di M. KURYŁOWICZ,
Das Glücksspiel, cit., 197 s., relative al fatto che le leggi sul gioco, senatusconsultum com-
preso, erano applicate principalmente a persone appartenenti agli strati più bassi della so-
cietà romana, le quali peraltro erano poco sensibili alle sanzioni in esse previste, come ri-
sulterebbe da Mart. 14.1: nec timet aedilem.
78
Volendo accettare l’idea che Giustiniano (C. 3.43.1.1: … hac generali lege decerni-
114 Paola Ziliotto
compito di dare attuazione al divieto, cosa che il pretore avrebbe fatto ac-
cordando (fin dall’inizio o modificando il precedente editto) l’azione di ri-
petizione di cui è rimasta traccia nelle fonti 79. Di qui la precisazione di
Paolo, per cui l’azione esperibile contro il dominus dello schiavo che ha in-
cassato la vincita non è una azione nossale, ma una actio de peculio, quia ex
negotio gesto agitur.
L’idea che il più antico rimedio contro il gioco d’azzardo sia stata una
manus iniectio quadrupli la quale, se esperita dal perdente, conteneva in sé
la ripetizione, e che in un modo o nell’altro questo antico diritto alla ripeti-
zione sia stato fin dall’inizio recepito nell’editto del pretore, consente infi-
ne un’ulteriore congettura.
Si è detto che la menzione dell’exceptio negotii in alea gesti nel titolo
44.5 del Digesto ha fatto ipotizzare la presenza di una corrispondente de-
negatio actionis nell’editto del pretore, e precisamente nell’editto De alea-
toribus, denegatio di cui però non è rimasta alcuna traccia 80. Se però si ri-
tiene che l’editto De aleatoribus abbia sempre contenuto un’azione di ripe-
mus, ut nulli liceat in privatis seu publicis locis ludere neque in specie neque in genere: et si
contra factum fuerit, nulla sequatur condemnatio, sed solutum reddatur et competentibus ac-
tionibus repetatur ab his qui dederunt vel eorum heredibus aut his neglegentibus a patribus
seu defensoribus locorum:) avrebbe inteso combattere il dilagante fenomeno del gioco
d’azzardo solo sul piano civilistico, abolendo ogni conseguenza penale dello stesso a carico
dei giocatori (il dato non è però sicuro in quanto nell’Indice di Taleleo, B. 60.8.5, si legge
che la costituzione di Giustiniano vietò i giochi e, fatta eccezione per cinque, stabilì τινα
ἐπιτίμια κατὰ τῶν κυβευόντων), e che proprio per questa ragione il Digesto non conter-
rebbe più alcun riferimento alle antiche leges aleariae (cfr. C. SCHOENHARDT, ‘Alea’, cit., 90
s.), la congettura appena fatta a proposito del senatoconsulto potrebbe anche spiegare
perché esso sarebbe stato invece conservato nel Digesto.
79
Il vincitore, dunque, sarebbe stato tenuto alla restituzione non già in base al senato-
consulto, bensì sul piano del ius honorarium. La congettura è dunque che il senatoconsulto
faccia parte di quei provvedimenti con i quali il senato, a partire dall’età repubblicana e
fino al I sec. d.C., è intervenuto nella disciplina dei rapporti privatistici con decisioni che
«vincolavano – forse più politicamente che giuridicamente – il magistrato, ma non avevano
un’efficacia normativa diretta nei confronti dei soggetti dell’ordinamento, che erano invece
tenuti, sul piano del ius honorarium, in base all’esercizio dell’imperium pretorio»: M. TA-
LAMANCA, Istituzioni, cit., 28.
80
V. sopra, § 2.
Disciplina privatistica classica del gioco d’azzardo vietato 115
tizione del perdente contro il vincitore (penale e popolare prima e poi rei-
persecutoria, oppure immediatamente reipersecutoria), una espressa previ-
sione edittale della denegatio actionis, salvo ipotizzare che essa fosse oppo-
nibile a terzi divenuti creditori del giocatore sulla base di negozi conclusi a
fini di gioco 81, potrebbe apparire superflua in quanto ‘ricompresa’ nella
previsione della ripetibilità del pagato. Se quindi il vincitore avesse avuto la
sfrontatezza di agire sulla base di un negozio dal quale risultava la causa il-
lecita della sua pretesa, anche a prescindere dalla validità del negozio stes-
so, il pretore, pure in assenza di una specifica previsione edittale, gli avreb-
be potuto denegare l’azione in base al principio dolo facit, qui petit quod
redditurus est 82; se invece avesse agito sulla base della ipotizzata stipulatio
concepita astrattamente, il pretore avrebbe concesso al convenuto l’exceptio
negotii in alea gesti; idem, nel caso in cui ad agire fosse il terzo. La conget-
tura è dunque che nel caso dell’alea, il rimedio corrispondente all’exceptio
negotii in alea gesti fosse non già la denegatio actionis, bensì l’azione per la
ripetizione accordata al perdente, che ricomprende in sé il rifiuto dell’azio-
ne al vincitore 83.
81
Ipotesi che però non è parsa convincente: sopra, § 2 i.f. e nt. 36.
82
Paul. 6 ad Plaut. D. 44.4.8 pr. = D. 50.17.173.3.
83
Resta fuori da questa riflessione – dedicata agli aspetti civilistici della disciplina classica
del gioco d’azzardo vietato – l’analisi del caso menzionato in Paul. 19 ad ed. D. 11.5.4 pr.
(Quod in convivio vescendi causa ponitur, in eam rem [familia] <alea> ludere permittitur),
nonché quella dei provvedimenti che riguardano il ludere in pecuniam consentito dall’ordi-
namento, ossia il ludere in pecuniam nei giochi virtutis causa (sui giochi consentiti, e in parti-
colare sul confronto tra quelli menzionati in Paul 19 ad ed. D. 11.5.2.1 e in C. 3.43.1.4, v. E.
NARDI, Monobolo, cit., 305 s., spec. 318 ss.). Si è detto che la liceità di questo gioco per dena-
ro risulta dal senatoconsulto menzionato in D. 11.5.2.1, il quale stabilì una eccezione al gene-
rale divieto di giocare per soldi per il caso delle competizioni atletiche. I Compilatori hanno
poi collegato a questo passo di Paolo un passo di Marciano che, per lo meno in questa con-
nessione, ci informa della esistenza di tre leggi (la lex Titia, la lex Publicia e la lex Cornelia) in
base alle quali, nei giochi atletici, sarebbe lecito anche il ricorso alla sponsio, mentre negli altri
casi sarebbe illecito (Marc. 5 reg. D. 11.5.3). La assoluta indeterminatezza di queste leggi e
del senatoconsulto ha indotto la dottrina a formulare diverse ipotesi sulla loro datazione, sul
loro contenuto e sui loro reciproci rapporti, ipotesi sulle quali non mi soffermo ulteriormente
(per qualche cenno, v. sopra, nt. 43) per la ragione appena indicata. Poiché però il tema del
gioco è poco esplorato dalla dottrina, credo meriti una breve considerazione l’ipotesi da ul-
tima avanzata da S. BREMBILLA, ‘Provocat me in aleam’, cit., 352 ss. Sulla base della struttura
sintattica della frase di Marciano (in quibus rebus ex lege Titia et Publicia et Cornelia etiam
sponsionem facere licet: sed ex aliis, ubi pro virtute certamen non fit, non licet), la studiosa ipo-
tizza che la lex Cornelia avrebbe avuto un contenuto diverso dalle altre due leggi in quanto
«l’uso del termine etiam dopo e non prima di Cornelia sta a significare che la legge in esame
prevede un qualche cosa in più e di diverso rispetto alle altre due» (p. 354). Fermo restando
116 Paola Ziliotto
che sulle leggi Titia e Publicia ci è consentito di sapere molto poco, la studiosa ipotizza che la
lex Cornelia possa identificarsi con la lex Cornelia de sponsu sulla quale ci informano le Isti-
tuzioni di Gaio (3.124). Gaio dice che in sede di interpretazione di questa legge, la quale fis-
sava un tetto massimo per le garanzie personali dello stesso garante per lo stesso debito nello
stesso anno, si era ritenuto che il beneficio della riduzione in essa previsto non si applicasse
nel caso in cui il debito principale fosse sottoposto a condizione. Brembilla nota quindi co-
me, considerando che nel negozio di gioco l’obbligazione sarebbe sottoposta a condizione, si
dovrebbe escludere l’applicabilità della legge ai garanti di obbligazioni nascenti da contratto
di gioco. Tuttavia, osserva la studiosa, nel negozio di gioco la vittoria è un evento che co-
munque si verificherà e dunque l’alea incide solo sull’individuazione di chi sarà creditore e
debitore, ma non sulla nascita dell’obbligazione, che è appunto certa. Contro questa ipotesi
si deve però osservare che essa reggerebbe solamente se il garante fosse tale per entrambi
gli scommettitori: è chiaro, invece, che per il garante di uno dei due giocatori il debito garan-
tito è condizionato, perché non si sa se il garantito vincerà o no, e dunque è incerto se diven-
terà debitore oppure no. D’altra parte, non pare convincente nemmeno il presupposto da
cui parte Brembilla, ossia che la struttura grammaticale della frase induce a pensare ad un
diverso contenuto della lex Cornelia rispetto alle due leggi precedentemente menzionate: col-
legando l’etiam solo a Cornelia, non si riesce infatti a capire il senso delle parole ex lege Ti-
tia et Publicia et, le quali restano in sospeso. Nonostante questo ulteriore tentativo di spiega-
zione, resta dunque ancora incerto cosa sia questa sponsio di cui le tre leggi avrebbero dispo-
sto la liceità in riferimento ai giochi per denaro consentiti dal senatoconsulto e l’illiceità in
riferimento a quelli vietati, fra i quali rientra evidentemente il gioco d’azzardo. In uno studio
come questo, dedicato alla disciplina privatistica del gioco d’azzardo vietato, una analisi di
queste leggi sarebbe quindi doverosa. Siccome, però, la completa ignoranza sulla datazione
di queste leggi e quindi sul loro rapporto con le leges aleariae menzionate nelle fonti letterarie
(le tre leggi sono le leges aleariae o sono leggi diverse?) e con il senatoconsulto, rende impos-
sibile qualsiasi ipotesi che non sia meramente congetturale, ritengo velleitario aggiungerne
una ulteriore a quelle che già sono state avanzate, alle quali dunque mi limito a fare rinvio.
Brevi note in tema di debiti di gioco e obbligazioni naturali 117
Com’è noto 1, è solo nel 1767, con la pubblicazione del Traité du jeu di
Robert Joseph Pothier 2, che viene ad essere riconosciuta al gioco la natura
di contratto giuridico vero e proprio; l’insigne giurista francese, abbando-
nando definitivamente i pregiudizi relativi agli effetti perniciosi delle prati-
che ludiche, di cui erano intrise le opere medioevali sull’argomento 3, giun-
1
L’iter formativo della disciplina dei contratti aleatori nel codice francese è ampiamente
illustrato da A. CAPPUCCIO, “Rien de mauvais”. I contratti di gioco e scommessa nell’età dei
codici, Torino, 2011, 90 ss. Da ultimo, sul tema, si veda l’interessante lavoro di D. BOSCHI,
L’obbligazione naturale come categoria non unitaria. Il modello canonistico e l’archetipo ro-
manistico nel sistema, Pisa, 2012.
2
R.J. POTHIER, Traité du jeu, Paris, 1767 (trad. it., Opere di G.R. Pothier, Livorno,
1836, 159 ss.). Sulla significativa influenza esercitata da questo giurista sulla codificazione
francese, cfr., per tutti, P. GROSSI, Un paradiso per Pothier (Robert-Joseph Pothier e la pro-
prietà moderna), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1985,
401 ss.
3
Nel medioevo, come è noto, i giuristi nutrirono una forte avversione nei confronti del
gioco in generale, e in particolare di quello d’azzardo, considerato vero e proprio “ventre
del vizio”: per approfondimenti, si rinvia a A. CAPPUCCIO, Rien de mauvais, cit., 97, ed ivi
ampia bibliografia. Sulla repressione del gioco negli statuti comunali medievali, cfr. R.
FERROGLIO, Ricerche sul gioco e sulla scommessa fino al secolo XIII, in Riv. storia dir. it.,
1998, 309 ss. Per la distinzione, nell’ambito della trattatistica medievale, tra gare sportive,
giochi di intelligenza e gioco d’azzardo, cfr. U. GUALAZZINI, voce “Giochi e scommesse”
118 Francesco Fasolino
(storia), in Enc. dir., XIX, 1970, 39; si veda anche A. GUALAZZINI, Premesse storiche al di-
ritto sportivo, Milano, 1965, 199. Mentre per il gioco d’azzardo il pagamento era irripetibi-
le per il noto principio in pari causa turpitudinis, invece, con riguardo al ludus mixtus
(quello cioè nel quale rilevano tanto la sorte che l’abilità dei giocatori), nonostante fosse
considerato lecito, si ritenne che non fosse possibile agire in giudizio né per il pagamento
né per la sua ripetizione: amplius, in proposito, cfr. M. LUCCHESI, Ludus est crimen?, Mila-
no, 2005, 159, nonché A. CAPPUCCIO, op. cit., 45 s.
4
J.R. POTHIER, Opere, cit., 159: “la convenzione con la quale due giocatori stabiliscono
che quegli tra loro che rimarrà perdente, darà una certa somma all’altro che resterà vincitore,
è un contratto della classe che diconsi interessata da ambedue le parti ed aleatori. Quan-
tunque il vincitore riceva la somma convenuta, senza nulla retribuire in cambio, ei non la riceve
gratuitamente ma la riceve come prezzo del rischio che ha corso … ”.
5
Sulla sistematica elaborata da Pothier in relazione ai contratti di sorte, cfr. amplius L.
BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, Padova, 2000, 14 ss.
6
J.R. POTHIER, Opere, cit., 166.
7
J.R. POTHIER, op. ult. cit., 162 ss.
8
J. BARBEYRAC, Traité du jeu: où l’on examine les principales questions de droit naturel
et de morale qui ont du rapport à cette matiere, Amsterdam, 1709, 36. Secondo quest’autore,
op. cit., 104 ss., si può parlare di “liberté dans l’engagement”, cioè di accordo liberamente
preso, quando la volontà dei giocatori non risulti viziata da violenza o raggiri; l’“égalité
Brevi note in tema di debiti di gioco e obbligazioni naturali 119
dans les conventions”, invece, sussiste allorquando la ripartizione del rischio tra i giocatori
è proporzionata; la “fidélité dans l’exécution”, infine, attiene alla corretta osservanza delle
regole del gioco. Analogamente J.R. POTHIER, Opere, cit., 160 ss.
9
Dunque, “le jeu (…), consideré qu’en lui-même, et sans aucun rapport à la fin que se
proposent les joueurs, ne paraît contenir rien de mauvais (…)”: così, testualmente, J.R.
POTHIER, op. ult. cit., 166.
10
Ciò vale per Pothier, op. ult. cit., 330 s., anche nel caso del gioco d’azzardo. A
fondamento della nascita dell’obbligazione naturale tanto da contratto di gioco vietato
quanto da contratto di gioco tollerato vi è dunque, secondo il giurista, l’essenziale distin-
zione tra “une cause qui est mauvaise et iniuste en elle même et intrinsèquement, et qui n’est
mauvaise que par quelque vice qui lui est extrinsque”: così J.R. Pothier, op. ult. cit., 330.
11
Cfr. A. CAPPUCCIO, Rien de mauvais, cit., 61 s., il quale sottolinea, altresì, che: “le
voci dei due francesi, e le altre egualmente autorevoli che a loro si uniscono, non riescono
a fare immediatamente breccia nel muro innalzato dalle ordonnances; l’apparato di san-
zioni penali con cui devono confrontarsi è troppo solido, e l’interesse verso i giochi d’az-
zardo non tende a scemare. Ciononostante sarà merito delle parole di questi giuristi la de-
finitiva assoluzione di molte pratiche ludiche, le quali, decenni dopo, verranno celebrate
come contratti o quantomeno ammesse come fonte di obbligazioni naturali. I loro trattati
du jeu guideranno le scelte della Commissione legislativa incaricata di redigere il progetto
destinato al successo e prevarranno sulle idee dei componenti del Consiglio di Stato, del
Tribunato e del Corpo legislativo”.
12
In tale categoria Pothier ricomprende quei giochi virtutis causa che ricevevano piena
tutela pure nel diritto romano, estendendola ad altri tipi di competizioni quali il tiro col
fucile: cfr. J.R. POTHIER, Opere, cit., 176. Sulla disciplina dei giochi virtutis causa nell’ordi-
namento giuridico romano vd., da ultima A. BOTTIGLIERI, Le scommesse sui giochi virtutis
causa in diritto romano, in BIDR CXI, 2017, 41 ss., ora anche in questo volume, 81 ss.
120 Francesco Fasolino
stinata ad avere una lunga fortuna, definisce giochi “piuttosto tollerati che
autorizzati”), colui che vince non può agire in giudizio per il pagamento
della posta ma, d’altro canto, chi perde non può chiedere la restituzione
della prestazione da lui volontariamente adempiuta 13.
Viene, dunque, effettuata una distinzione non soltanto tra causa illecita
e causa lecita ma anche, all’interno di quest’ultima categoria, a seconda che
la causa (lecita) riceva o meno piena tutela in giudizio. Secondo l’insigne
giurista, infatti, mentre non vi è dubbio alcuno che qualora la causa sia ille-
cita, la prestazione è sicuramente non coercibile e, se eventualmente adem-
piuta, essa è comunque ripetibile da colui che la ha eseguita (salvo che non
sussista una turpis causa, in ragione della quale, come è noto, trova applica-
zione il principio in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis),
non sussiste, invece, una situazione speculare nell’ipotesi di causa lecita; ed
invero, in tal ultimo caso, se la pretesa del creditore è, di regola, coercibile
ed irripetibile, tuttavia, con riferimento ad alcuni particolari contratti, tal-
volta sussistono circostanze tali da escluderne l’azionabilità in giudizio, fer-
mo restando però che non si può comunque richiedere indietro quanto il
debitore abbia pagato: il contratto di gioco rientra, appunto, in quest’ulti-
ma categoria 14.
In altri termini, per Pothier non è corretto sovrapporre il piano della
liceità della causa e quello della meritevolezza: pur quando la causa è le-
cita, infatti, l’assetto di interessi, per come concretamente voluto dalle
parti, può, invero, non essere idoneo a giustificare anche la piena tutela
del vincolo che è così sorto, bensì soltanto la stabilità dell’attribuzione pa-
trimoniale eventualmente effettuata da parte dell’obbligato; con riguardo
al gioco, infatti, sulla scorta della complessiva valutazione degli interessi
sottostanti all’intera vicenda, il costo di cui la società dovrebbe farsi cari-
co per consentire che la pretesa del vincitore sia azionabile in giudizio è
considerato eccessivamente alto: la denegatio actionis, in tal caso, si spie-
ga in ragione delle finalità di smodato guadagno che solitamente animano
i giocatori, e che l’ordinamento ed il costume sociale disapprovano radi-
calmente, in una con le conseguenze negative tipicamente derivanti dalla
13
Riguardo ai giochi di puro azzardo, Pothier opta per la soluzione applicata nelle
aree di droit coutumiér, nelle quali si riteneva sussistente l’obbligazione naturale del debi-
tore e quindi la soluti retentio, in caso di adempimento da parte di questi; non accoglie,
invece, l’orientamento vigente nelle regioni meridionali della Francia, di tradizione roma-
nistica, nelle quali al vincitore non si concedeva azione verso il perdente e, nel caso questi
adempisse spontaneamente, avrebbe potuto comunque agire per la ripetizione della
prestazione.
14
In tal senso, D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit. 149 ss.
Brevi note in tema di debiti di gioco e obbligazioni naturali 121
pratica del gioco d’azzardo e che, in quanto tali, non devono essere in-
centivate 15.
La riflessione di Pothier, come è noto, costituì il quadro logico sistema-
tico sulla base del quale venne costruito l’impianto del codice civile france-
se del 1804 in materia di giochi e scommesse. La relativa disciplina, invero,
contemplava due regole fondamentali: da un lato, la denegatio actionis per i
debiti scaturenti da giochi o scommesse (art. 1965), fatta eccezione per i
giochi di abilità e di destrezza (art. 1966) 16; dall’altro, la ripetibilità della
prestazione eventualmente eseguita, nelle sole ipotesi, però, in cui la vinci-
ta al gioco fosse stata ottenuta con dolo, angherie o imbrogli di qualunque
sorta (art. 1967): nel caso, invece, che il gioco si fosse svolto regolarmente,
l’eventuale esecuzione della prestazione da parte del perdente escludeva
qualunque condictio indebiti.
L’evidente correlazione che il giurista (presup)pone tra gli effetti del
contratto di gioco e l’obbligazione naturale in senso canonistico, intesa
cioè quale dovere della sfera etico-sociale, è tuttavia, come subito vedremo,
la causa di un’aporia sistematica che dalla teoria di Pothier si trasfonderà
nel code Napoléon e dalla quale prenderanno origine le principali controver-
sie dottrinali sul tema, ancora oggi in gran parte non sopite.
15
In tal senso anche D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit. 151 s., cui si rinvia per
maggiori approfondimenti.
16
Si tratta precisamente, secondo la lettera della norma citata, dei giochi atti ad eserci-
tare al maneggio delle armi, delle corse, del gioco della palla ed “altri di tal natura che con-
tribuiscono alla destrezza ed all’esercizio del corpo” .Vd. anche nota 12.
122 Francesco Fasolino
guente degradazione anche della relativa fonte, ossia del gioco tollerato, che
dovrebbe essere ricostruito non più come contratto ma quale semplice fat-
to. In questa prospettiva, l’indifferenza dell’ordinamento cesserebbe soltan-
to allorquando trovi esecuzione il dovere morale/sociale in parola: solo in
tale ipotesi, invero, il negozio (di gioco o di scommessa) concluso tra le par-
ti e il volontario adempimento, ad opera del perdente, dell’obbligazione che
ne è derivata, costituirebbero una giusta causa a fondamento dell’attribu-
zione patrimoniale effettuata 17.
È stato già rilevato a tal proposito, tuttavia, che, in tal modo, si verrebbe
a qualificare il gioco tollerato come semplice fatto, ed al contempo, se ne
subordinerebbe l’efficacia, vale a dire la sua idoneità a dar luogo ad una
obbligazione naturale, alla sussistenza di tutti i requisiti di un valido con-
tratto, con tutte le evidenti ed insuperabili difficoltà legate ad “un fatto
consistente in un puntuale accordo a contenuto patrimoniale che deve avere
tutti i requisiti di struttura di un contratto affinché, esclusane la natura nego-
ziale sulla base dell’evento assunto a base del rischio, possa poi recuperare ef-
fetti e caratteri negoziali in virtù dell’adempimento degli obblighi che da quel
‘non contratto’ derivano. Un vero icocervo …”, insomma 18.
In realtà, sembra condivisibile l’opinione al riguardo di recente sostenu-
ta 19, secondo la quale il collegamento tra il gioco tollerato e l’obbligazione
naturale può recuperare una propria coerenza interna soltanto a c ondi-
zione che si ritenga che il c oncetto di obbligazione naturale racchiuda in sé
tanto il riferimento ad un’obbligazione giuridica imperfetta perché sprov-
vista di azione, quanto quello ad un’obbligazione (solo) eticamente e so-
cialmente fondata; proprio considerando il gioco come un contratto a tutti
gli effetti, ma a causa “debole”, si può, dunque, qualificare l’obbligazione
che ne scaturisce non come un dovere della morale sociale bensì come un
vero e proprio rapporto giuridico, anche se imperfetto perché non coerci-
bile: ciò in aderenza al modello romanistico di obbligazione naturale, qua-
le obbligazione di fatto che trova il suo fondamento in contratti obbligato-
17
Sulla qualificazione del gioco come fatto nella dottrina moderna, cfr. C.A. FUNAIOLI,
Il gioco e la scommessa, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, IX, Torino,
1950, 30 e A. CAPPUCCIO, Rien de mauvais, cit., 210. Si veda anche, in proposito, D. BO-
SCHI, L’obbligazione naturale, cit., 152 s.
18
Cfr. M. PARADISO, I contratti di gioco e scommessa, in Trattato di diritto civile, diretto
da R. SACCO, VIII, Milano, 2003, 16, il quale sottolinea come la ricostruzione del gioco
e della scommessa tollerati nella prospettiva dell’obbligazione naturale canonistica deter-
mini, in definitiva, una distorsione della realtà del fenomeno che è e resta, invece, intrinse-
camente giuridica.
19
D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit. 153.
Brevi note in tema di debiti di gioco e obbligazioni naturali 123
ri, validi ed efficaci, ma non tutelabili mediante actio in ragione della pecu-
liare situazione di alcune delle parti.
Secondo la dottrina più accreditata 20, infatti, nell’ordinamento giuridico
romano, l’idea di ius naturale o comunque di vincolo a fondamento etico ex-
tragiuridico sarebbe del tutto estranea al concetto classico di naturalis
obligatio, almeno in ordine alle obbligazioni contratte da personae alieni
iuris, vale a dire prive di soggettività giuridica; in tale prospettiva, dunque,
le obbligazioni naturali in senso stretto sarebbero esclusivamente quelle
che scaturiscono da un fatto che potrebbe essere qualificato come con-
tratto, e dunque produrre obbligazioni civili, laddove venga posto in esse-
re tra soggetti dotati di piena autonomia patrimoniale e capacità giuridica
(cd. soggetti sui iuris) 21.
Si tratta, insomma, di recuperare quella che era stata la prospettiva a
suo tempo già prescelta da Jean Domat, il quale nella sua famosissima ope-
ra Le loix civiles dans leur ordre naturel 22, faceva rientrare nell’obbligazio-
ne naturale solo il caso dell’obbligazione contratta da un soggetto sprovvi-
sto della capacità giuridica di agire ma fornito di quella naturale, circoscri-
vendo quindi la figura all’ipotesi dell’obbligazione giuridica imperfetta del
diritto romano classico, da ritenersi valida ma non tutelabile in giudizio
mediante actio proprio per i problemi relativi all’incapacità di almeno una
delle parti contraenti.
In definitiva, il modello romanistico di obbligazione naturale, intesa co-
me obbligazione imperfetta, consentirebbe di concepire la possibile coesi-
20
A. BURDESE, La nozione classica di naturalis obligatio, Torino, 1955, in part. 500 ss.
21
Secondo questa tesi, l’obligatio naturalis del servo costituirebbe, dunque, l’archetipo
dell’obbligazione naturale, trattandosi di un’obbligazione di fatto che trova il suo fon-
damento in contratti che, se posti in essere da soggetti dotati di autonomia giuridica e
patrimoniale, avrebbero dato luogo ad obbligazioni civili e sarebbero stati pertanto aziona-
bili “se a ciò non avesse ostato, ab antiquo, da parte dello ius civile, il mancato riconosci-
mento, a uno almeno dei soggetti del rapporto obbligatorio, della capacità di essere intesta-
tario delle conseguenze della relativa fattispecie”: cfr. A. BURDESE, La nozione classica, cit.
485 ss. In tal senso anche E. NARDI, In tema di confini dell’obbligazione naturale, in Studi in
onore di Pietro de Francisci, Milano, 1956, 582. Di recente, tuttavia, una prospettiva par-
zialmente differente, maggiormente critica circa il collegamento tra obbligazione naturale e
regime patrimoniale dei soggetti alieni iuris, è stata proposta da L. DI CINTIO, Natura debere.
Sull’elaborazione giurisprudenziale romana in tema di obbligazione naturale, Soveria Man-
nelli, 2009, sviluppando quanto dalla stessa A. già sostenuto in L. DI CINTIO, Considera-
zioni sulla naturalis obligatio del filius familias (a proposito di Afr. D. 112.6.38 e Ven. D.
14.6.18), in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité, 2006, 204 e ss.
22
J. DOMAT, Le loix civiles dans leur ordre naturel, Paris, 1745, 31. Per approfondimenti
si rinvia a L. BALESTRA, Il contratto aleatorio, cit. 23.
124 Francesco Fasolino
stenza della natura contrattuale del gioco, della liceità della sua causa e
della denegatio actionis; solo, infatti, rinunciando preliminarmente alla no-
zione canonistica di obbligazione naturale, nel senso di dovere a fonda-
mento etico, non sembra ravvisarsi più alcuna contraddizione logica tra il
contratto di gioco, a causa lecita, e la nascita da esso di un’obbligazione
naturale.
Soltanto pochissimi tra i giuristi francesi del XIX secolo, tuttavia, giunse-
ro, nella prospettiva appena delineata, ad escludere ogni collegamento con-
cettuale tra il fenomeno dell’obbligazione naturale in senso canonistico e
quello del gioco, qualificando le obbligazioni nascenti da gioco o da scom-
messa come obbligazioni civili imperfette 23: tra essi, il Pont, il quale, nel sot-
tolineare la natura contrattuale del gioco e la liceità della relativa causa, so-
stenne che da tale convenzione nascessero obbligazioni giuridiche a tutti
gli effetti, ma sprovviste di azione in giudizio; è in virtù degli abusi cui il
fenomeno del gioco dà spesso origine, infatti, che si spiega la denegatio
actionis, poiché una piena tutela viene valutata dal legislatore come un co-
sto sociale eccessivo, in quanto potenziale incentivo ad una smodata prati-
ca del gioco 24, foriera di perniciose conseguenze.
23
Anche costoro, tuttavia, non sempre giunsero a conclusioni logicamente rigorose e
consequenziali. Il Laurent, ad esempio, pur accogliendo la tesi dell’obbligazione giuridica
imperfetta, proprio con riferimento al gioco, tuttavia, dichiara espressamente che non si
può prescindere dall’azione per l’esistenza di un contratto giuridico: cfr. F. LAURENT, Prin-
cipes de droit civil français, XXVII, Paris-Bruxelles, 1875, 165. Invece, C.B.M. TOUILLER,
Le droit civil français suivant l’ordre du code, III, Bruxelles, 1847, 372 s., pur intuendo la
distinzione tra valutazione di liceità della causa e meritevolezza della coercizione, ritenne
che la denegatio actionis si giustificasse in quanto l’ordinamento intendeva rimettere al de-
bitore perdente la scelta sul se adempiere la prestazione in quanto era solo questi a poter
valutare se il gioco si fosse svolto correttamente.
24
P. PONT, cit., 236. Per approfondimenti, cfr. D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit.
155 ss., al quale si rinvia anche per un circostanziato esame delle posizioni della dottrina
francese del XIX secolo a tale specifico riguardo.
Brevi note in tema di debiti di gioco e obbligazioni naturali 125
25
In tal senso, da ultimo, anche D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit., 156.
26
D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit., 156.
27
Come invece ritiene R. FERCIA, Le obbligazioni naturali, in Trattato delle obbligazioni,
diretto da L. GAROFALO e M. TALAMANCA, vol. 1: La struttura e l’adempimento, Tomo III,
Obbligazioni senza prestazione e obbligazioni naturali, Padova, 2010, 292 ss. e 437 ss.
28
Così, D. BOSCHI, L’obbligazione naturale, cit., 157, il quale sottolinea che il ricorso
alla figura dell’obbligazione giuridica imperfetta consente, altresì, di attribuire un signi-
ficato pieno ed autonomo a quanto disposto dall’art. 1322, 2° comma, c.c., il quale esige
che venga effettuato un controllo ulteriore rispetto a quello di mera esistenza e liceità della
causa, consistente, per l’appunto, nel valutare se gli interessi in gioco nell’assetto nego-
ziale voluto dalle parti abbiano effettivamente una rilevanza tale da giustificare la conces-
sione di una loro piena tutela giudiziale.
126 Francesco Fasolino
zione della piena coercibilità del vincolo, fondata sul nesso, apparentemen-
te indefettibile, tra giuridicità e tutela in giudizio: invero, ben può ricorrere
una terza ipotesi, un quid medium, per così dire, in cui la causa, pur essen-
do di per sé idonea a giustificare il sorgere di un rapporto giuridico, non è
tuttavia sufficiente a far sì che l’ordinamento si preoccupi di garantire a ta-
le rapporto una piena attuazione, sia nel senso che l’obbligazione che ne
scaturisce è incoercibile, sia nel senso che, laddove venga volontariamente
eseguita la prestazione, non ne è consentita la ripetizione.
In definitiva, causa (lecita) e tutela giudiziale solo normalmente coesi-
stono: infatti, come è stato autorevolmente affermato 29, “mentre l’esisten-
za della causa è assicurata da quegli interessi che attribuiscono un senso
razionale al contratto e che rivelano l’intenzione delle parti di obbligarsi
giuridicamente secondo il comune apprezzamento (cause raisonnable), la
coercibilità del vincolo sussiste solo se tali interessi rendono anche tollera-
bile il costo sociale della coercizione (cause iuste)”.
Il gioco è, per l’appunto, una di quelle ipotesi in relazione alle quali il
legislatore non ha tipicamente reputato sufficiente l’esistenza di una causa
lecita a fondamento dell’obbligazione delle parti, non ravvedendovi pure
gli altri presupposti necessari per la previsione di una tutela piena; al con-
trario, anzi, ha ritenuto mancante qualunque possibile giustificazione, in
termini di utilità economica, dell’elevato costo sociale che comporterebbe
la coercizione in giudizio dell’adempimento delle obbligazioni che dal gio-
co scaturiscono, così come dell’eventuale pretesa di restituzione di quanto
spontaneamente pagato dal perdente.
29
Da G. GORLA, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e
casistico, I, Lineamenti generali, Milano, 1954, 60 e 170 ss.
I ludi romani tra politica, società e diritto 127
1
S.v. Ludi publici, DS. III.2, Paris, 1900, 1362 ss.
2
G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, München, 1912, 451 ss.
3
Sui ludi publici: Liv. 23.30.15; 28.21.1, 10; 31.50.4; 39.46.2; 41.28.11. Sui ludi privati:
CIL II, 1479; V 8664, XI 3811=ILS 6583.
128 Valeria Carro
4
Svet. Calig. 27.1: munera ferarum.
5
ILS 5053; CIL IV 1190, 1184.
6
Aug. Res gestae 22-23.
7
M. FORA, I munera gladiatoria in Italia: considerazioni sulla loro documentazione epi-
grafica, Napoli, 1996.
8
CIL I 593=ILS 6085.
9
CIL I 590 cap. 4 ll. 32-38=ILS 6086.
10
CIL I 594=ILS 6087.
11
Capp. 70/71-128.
12
Capp. 125-127.
13
A. PALMA, Le ‘curae’ pubbliche, Napoli, 1980.
I ludi romani tra politica, società e diritto 129
2. Ludi e rituali
14
Dion. Hal. 6.95 Tac. Ann 1.15,2-3.
15
Cic. De leg. 2.24.61 Si quid ludorum, dominus funeris utatur accenso atque lictoribus.
16
Marco Aurelio ispirò il senatusconsultum de sumptibus ludorum gladiatorum minuen-
dis e con la grave crisi finanziaria del III secolo si introdusse il rimedio della excusatio ac-
cordata di volta in volta dagli imperatori ai meno agiati editores di ludi o munera.
17
V. CARRO, … et ius et aequom postulas. Studio sull’evoluzione del significato di postu-
lare, Napoli, 2006.
130 Valeria Carro
nella festività dei Consualia. Questi ludi detti Consuales o Magni si celebra-
vano nella valle Murcia tra il Palatino e l’Aventino con corse di cavalli e
carri. Poi si celebrarono nel Circo Massimo nelle solennità religiose in
giorni fissi (ludi ordinarii), e, in occasione di dedicazioni di templi, di inau-
gurazioni di basiliche o altri edifici pubblici, di vittorie e di altri eventi che
celebravano la gloria del popolo romano (ludi exstraordinarii). I ludi erano
preceduti da una processione solenne, pompa, che faceva il giro del circo
attorno alla spina. Al termine della processione rituale si compivano sacri-
fici propiziatorı̂ in onore della divinità. Il preludio era dato da una compa-
gnia di desultores che intrattenevano il pubblico con i loro esercizi di acro-
bazie. Seguivano gare di corse di carri e cavalli che formavano la parte es-
senziale dei ludi del circo, seguite dal certamen gymnicum, dal ludus Troiae
o da venationes, da pugna pedestris o equestris. Talvolta chiudeva lo spetta-
colo un combattimento navale, naumachia, nell’arena inondata di acqua. A
completare il lungo programma non mancavano esercizi di mimi, saltatori,
istrioni, funamboli, ma se durante la celebrazione fosse avvenuta una pro-
fanazione, questi dovevano essere rinnovati, ludi instaurativi. Con propor-
zioni più modeste, i ludi circenses erano celebrati anche nelle città italiche e
nei castra.
I ludi scaenici furono introdotti a Roma nel 394 a.C. per placare l’ira
degli dei durante una pestilenza. Furono rappresentati da artisti dell’Etru-
ria con danze mimiche in un teatro ligneo improvvisato. S’introdussero,
poi, exodia e atellane e più tardi, tragedie e commedie greche e latine.
Gli agoni ginnici e musicali furono, invece, istituiti da Augusto in me-
moria della battaglia di Azio. Nerone introdusse i ludi Iuvenales con corse
di cavalli e gare ginniche e musicali.
I ludi Apollinares, in onore di Apollo, furono, invece, dapprima votivi e
poi resi annuali per ottenere la conservazione della salute pubblica.
I ludi Augustales erano celebrati in ricordo del ritorno di Augusto dal-
l’Oriente e dell’erezione dell’Ara pacis. Celebrati la prima volta nell’11
a.C., dopo la morte di Augusto, a iniziativa di Tiberio, divennero stabili e
annuali.
Si ricordano, poi, i ludi scaenici graeci che si distinguevano in ludi astici
che derivavano dai giochi ateniesi e consistevano in rappresentazioni tea-
trali di tragedie e commedie e ludi thymelici che consistevano in vari generi
di intrattenimenti, svolti nell’orchestra, quali audizioni di canti a solo e co-
rali e danze.
I ludi bubetii erano celebrati nel giorno delle Parilia, festa dei pastori ri-
cordati da Plinio in Nat. Hist. 18.12. Furono forse in relazione con la dea
Bubona come si legge in August. De civit. Dei 4.24.34.
132 Valeria Carro
I ludi capitolini furono stabiliti, secondo Livio 5.20, dopo la cacciata dei
Galli nel 390 a.C. Si celebravano sul Campidoglio ed erano presieduti non
da un magistrato ma dai magistri di un collegio formato da abitanti delle
due alture del sacro colle detto Collegium Capitolinum. Consistevano in
gare di pugilato e di corsa cui si univano vari divertimenti fra i quali la cor-
sa con l’otre.
I ludi Castoris erano dati a Ostia in onore dei Dioscuri.
I ludi cereales e Megalenses erano rispettivamente celebrati in onore di
Cerere e della Mater Magna. Questi ultimi in principio furono scenici, cele-
brati sul Palatino avanti il tempio della divinità, poi anche circensi. Nei
giorni in cui si svolgevano, si recavano doni alla divinità e si facevano scam-
bievoli banchetti che degeneravano spesso in orge. I primi, invece, in origi-
ne erano votivi e poi divennero annuali. Iniziavano con una pompa che si
svolgeva dal Campidoglio al Circo Massimo e avevano carattere espiatorio.
I ludi compitalicii erano celebrati ogni anno nei compita della città in
onore dei Lares compitales. Consistevano in una gioiosa festa popolare cui
prendevano parte gli abitanti del vicinato. Ciascuno vi contribuiva con of-
ferte di cibo e partecipava al banchetto.
I ludi florales, istituiti per oracolo della Sibilla nel 238 a.C. furono dap-
prima votivi e furono, poi, scenici e circensi. Nel circo si davano cacce di
animali domestici e campestri, simulando corse e combattimenti.
I ludi Martiales si celebravano con la erezione dell’edicola di Marte sul
Campidoglio e la dedicazione del tempio di Marte Ultore, nel Foro di Au-
gusto. Erano giochi di circo e duravano un giorno.
I ludi Palatini avevano carattere per lo più privato e furono dati da Livia
in onore dell’imperatore Augusto per la durata di tre giorni e consistevano
in ludi scaenici.
I ludi piscatorii erano celebrati sulle rive del Tevere nella festa dei Nep-
tunalia. Le spese si sostenevano con il ricavato della vendita di quei piccoli
pesci che nel giorno dei Volcanalia si gettavano nel fuoco a fine espiatorio.
I ludi plebeii erano ludi fissi celebrati dopo il banchetto sacrificale in
onore di Giove che soleva essere solennizzato nel tempio di Giove Capito-
lino. Furono istituiti in memoria della riconosciuta e confermata sovranità
popolare, la secessione della plebe sul monte Aventino.
I ludi romani o Magni erano feste del patriziato e furono istituiti con
corse di cavalli e gare di pugilatori venuti dall’Etruria.
I ludi saeculares sarebbero stati istituiti per invocare la prosperità e la li-
bertà del popolo romano. Furono celebrati per la prima volta da Valerio
Publicola, per l’oracolo dei libri sibillini, nell’anno 509 a.C., nei campi già
di Tarquinio e da questo consacrati a Marte, presso il Tevere, nel Taren-
I ludi romani tra politica, società e diritto 133
tum, ove esisteva un’ara sotterranea sacra a Dite e a Proserpina, sulla quale
si soleva sacrificare per allontanare ogni male dal popolo romano.
I ludi Taurii erano celebrati in onore degli dei sotterranei e furono rin-
novati per espiazione ed erano accompagnati da sacrifici notturni.
I ludi venatorii erano dati in onore di Minerva e consistevano in giochi
scenici e venatorı̂.
I ludi Victoriae Caesaris furono istituiti da Cesare in occasione della de-
dicazione del tempio di Venere Genitrice.
I ludi Victoriae Sullanae furono istituiti in ricordo della vittoria di Silla
alla porta Collina.
Nel calendario Filocaliano del IV secolo si trovano poi menzionati ludi
di nuova istituzione del regno di Diocleziano, dei tetrarchi e di Costantino
relativi a vittorie imperiali e ai genetliaci degli imperatori.
3. Donne e ludi
18
Tac. Annales 15.32; Cass. Dio. 62.17.3-4.
19
Suet. Domit. 4; Cass. Dio. 67.8.3-4.
20
Cass. Dio. 76.16.1.
21
Cfr. C. RICCI, Gladiatori e attori nella Roma giulio-claudia. Studi sul senatoconsulto di
Larino, Milano, 2006.
134 Valeria Carro
4. Cristianità e ludi
De spectaculis 27: “Dobbiamo odiare queste riunioni e adunanze dei gentili, per-
ché vi si bestemmia il nome di Dio, vi si reclamano ogni giorno i leoni contro di
noi, vi nascono i decreti di persecuzione, vi fioriscono le tentazioni. Che farai tu,
preso in mezzo a quella tempesta di empi applausi? Non che tu possa patire qual-
cosa dagli uomini (nessuno sa che tu sei cristiano), ma pensa un po’ cosa accadrà
di te in cielo. Puoi dubitare che in quel momento, in cui il diavolo infuria contro
la Chiesa, tutti gli angeli non guardino dal cielo e notino uno per uno chi abbia
detto una bestemmia, chi l’abbia ascoltata, chi abbia offerto l’orecchio o la lingua
al diavolo contro Dio? Non fuggirai dunque quegli scanni dei nemici di Cristo,
quella scuola di morbosità, quella stessa aria, che vi incombe, insozzata da scelle-
rate voci? Si ammetta pure che alcuni di questi spettacoli siano dolci e graditi e
semplici, alcuni anche onesti. Nessuno nasconde il veleno nel fiele e nell’ellebo-
ro, ma in torte gustose e saporite e proprio tramite queste dolcezze introduce quel
nocumento. Così anche il diavolo imbeve quello che prepara per la nostra morte
delle cose di Dio più grate e più accette”.
San Cipriano Ad Donatum Ep. 1.6, scriveva: “Il mondo gronda sangue fraterno:
l’omicidio che, commesso dai singoli è un delitto, fatto in massa assume il nome
di eroismo; così i delitti diventano impuniti non già per la loro incolpabilità, ma
per la loro mostruosa ferocia. Di più, se ti soffermi a guardare le città, t’imbatti in
una folla che ti parrà più insopportabile di qualunque solitudine. Vi si preparano
i giuochi gladiatori per sollecitare col sangue la libidine di uomini crudeli; si nu-
trono bene i corpi con cibi sostanziosi e s’ingrassano erculee membra robuste, af-
finché colui che è ben pasciuto muoia in pena recando un maggior guadagno al
padrone; si uccide un uomo per saziare la voluttà di un altro uomo e si chiama
perizia, abilità, arte il saper uccidere. Ma i delitti non solo vi si commettono, si
insegnano anche. Non c’è nulla di più barbaro e di più crudele. È un’arte il saper
ammazzare ed è una gloria l’ammazzare. Che cosa è questo, dimmelo, e perché si
getta in pasto alle belve gente da nessuno condannata, di fresca età, di bell’aspet-
to, vestita come a festa? Sciagurati! Mentre sono ancora in vita si adornano per
una morte da essi voluta, si gloriano persino della loro sventura. Combattono
contro le belve non per una condanna qualsiasi, ma per pazzia. E intanto i padri
guardano i figli battersi nell’arena; i fratelli e le sorelle stanno tra gli spettatori. E
sebbene una più solenne messa in scena accresca il prezzo dello spettacolo – oh
sventura! – anche la madre paga il prezzo dello spettacolo per essere presente an-
136 Valeria Carro
che lei alle sue sciagure. Così tutti, padre, fratello, sorella, madre, in mezzo a così
empio, barbarico e funereo spettacolo, non pensano di essere anch’essi parricidi
con i loro occhi”.
“Alipio mi aveva preceduto a Roma per studiare diritto. Qui fu preso in maniera
indicibile da una incredibile passione per gli spettacoli dei gladiatori. Egli li av-
versava e li detestava, ma alcuni suoi amici e condiscepoli, avendolo un giorno
incontrato mentre tornava da colazione, benché egli si rifiutasse ed energicamen-
te resistesse, con violenza amichevole lo trascinarono nell’anfiteatro proprio nei
giorni di crudeli e sanguinosi spettacoli”. Egli diceva: “Se riuscirete a trascinare
ed a far sedere il mio corpo in quel luogo, potrete forse far rivolgere la mia atten-
zione ed il mio sguardo allo spettacolo? Vi assisterò come un assente, riportando
vittoria su voi e sullo stesso spettacolo”. Udito ciò, essi non rinunziarono al pro-
posito di portarlo con loro, mossi di più, forse, proprio dal desiderio di vedere se
riusciva nell’intento. Giunti colà si misero, così come poterono, a sedere: tutto
era un fremito di disumana voluttà. Alipio chiuse le porte degli occhi, vietò al suo
animo di muoversi fra tanto orrore; ma avesse potuto chiudere anche le orecchie!
In un incidente della lotta, avendolo fortemente scosso un immenso grido di tut-
to il pubblico, vinto dalla curiosità e come se fosse preparato a disprezzare ed a
vincere qualunque cosa essa fosse, anche dopo averla veduta, aprì gli occhi e fu
colpito nell’anima da una ferita più grave di quella che ricevette nel corpo colui
che egli desiderava vedere. Cadde perciò più miseramente di chi cadendo aveva
suscitato quel chiasso che, penetratogli per gli orecchi, gli aprì gli occhi … Come
vide quel sangue vi bevve insieme la ferocia; né volse altrove lo sguardo, anzi lo
tenne fisso, assorbendo inconsciamente passioni violente e si dilettava per la scel-
leratezza della lotta, ebbro di gioia sanguinaria. Egli non era più quello che era
entrato, ma uno della moltitudine tra cui era venuto; era oramai un vero compa-
gno di coloro dai quali si era fatto trascinare.
Assistette allo spettacolo, lo acclamò, si entusiasmò e portò via di là il pazzo desi-
derio di ritornarvi non solo con quelli che poc’anzi ve lo avevano trascinato a for-
za, ma precedendoli e trascinandovi anche altri.
Il gioco crudele dei munera gladiatoria tra religione e propaganda politica 137
1
G. FERRARI, Ludi, in NNDI, IX, Milano, 1968, 1104 s.; U. GUALAZZINI, Giuochi, in
ED, XIX, Milano, 1970, 30 ss.
140 Valeria Carro
2
Sat. 6 v. 365. Cfr. R. ISIDORI FRASCA, Ludi nell’antica Roma, Bologna, 1980.
Il gioco crudele dei munera gladiatoria tra religione e propaganda politica 141
davano man mano restringendo verso l’alto, pegma; nei ripiani della mac-
china si ponevano i difensori pegmatarii che dovevano proteggerla dagli as-
salti di altri gladiatori i quali cercavano di espugnarla per impossessarsi di
armi, spade ed elmi posti sulla sommità di essa quale premio ai vincitori. I
sagittarii si difendevano lanciando frecce. I gladiatori ingaggiati per com-
battere durante le cerimonie funebri erano detti bustarii da bustum il rogo
su cui si bruciavano i cadaveri.
Alle volte si svolgevano spettacoli gladiatorii nelle abitazioni private a co-
ronamento di un banchetto. I gladiatori che si esibivano in tali luoghi erano
detti cubicularii da cubiculum. Infine erano chiamati retiarii quei gladiatori
che combattevano coperti da una corta tunica, non indossavano nessun ca-
sco o indumento di protezione ed erano quasi disarmati: in Giovenale 3 si
legge: nec galea frontem abscondit e … nudum ad spectacula vultum 4.
Tali gladiatori recavano in mano un tridente fuscina e una reticella iua-
culum oltre ad un corto pugnale. La loro specialità prevedeva l’incontro
con altri gladiatori regolarmente armati e protetti che essi mostrando note-
vole abilità e coraggio, tentavano di imbrigliare nelle maglie della rete, tra-
scinare a terra e finire con il pugnale, dopo aver ferito col tridente che per
la sua forma, provocava orrende lesioni.
Se il lancio della rete andava a vuoto, essi sfuggivano all’assalto dell’av-
versario correndo fino a che non riuscivano a riafferrare la rete e a tentare
un nuovo lancio. Tali incontri raramente avevano esito favorevole per i re-
ziarii e quasi sempre offrivano uno spettacolo crudele a loro danno. Alle
volte si combatteva in gruppi gregatim. In Svetonio 5 si legge: “Cinque re-
ziarii in tunica battendosi in gruppo erano stati vinti senza opporre resi-
stenza da un numero pari di gladiatori. Ne fu ordinata l’uccisione, allora
uno di essi, avendo ripreso il tridente, uccise tutti i vincitori. Caligola in un
editto rimproverò questa come una ferocissima strage e maledì coloro i
quali erano riusciti a sopportare … qui spectare sustinuissent … un tale
spettacolo”.
Nei combattimenti in gruppi che potevano essere costituiti anche da
molte centinaia di uomini, erano specializzati i catervarii.
Un frammento marmoreo conservato nel chiostro di S. Paolo a Roma,
offre utili informazioni sull’abbigliamento di retiarii e secutores.
Ogni scena presenta il numero d’ordine dei combattimenti, ma essendo
3
Sat. 8 v. 203.
4
Cfr. Sat. 5.5 v. 13.
5
Caligola 34.
142 Valeria Carro
6
Sat. 8.
Il gioco crudele dei munera gladiatoria tra religione e propaganda politica 143
3. Le fonti
7
Sat. 6.
8
Sat. 2.7. vv. 95 ss.
9
Claud. 21.
144 Valeria Carro
10
Nero 12.
11
Sat. 2. vv. 143-148.
12
Ad Lucil. 8.1.
13
Ad Lucil. 8.11.
Il gioco crudele dei munera gladiatoria tra religione e propaganda politica 145
14
Tertul. De spect 27.
15
Ad Lucil. 1.7.
146 Valeria Carro
che a quelli delle coppie ordinarie di gladiatori oppure concessi poi a ri-
chiesta. E perché li preferiscono? Qui non vi è elmo né scudo con cui si
respinga la spada, sono superate difese e schermaglie, che servono a ri-
tardare la morte. Alla mattina questi uomini sono offerti ai leoni e agli or-
si e nel pomeriggio ai loro spettatori. Coloro che hanno ucciso sono poi
gettati avanti a quelli che li uccideranno e il vincitore viene così serbato
per un’altra strage. Tutti i combattenti sono destinati alla morte o col fer-
ro o col fuoco”.
Non sempre il gladiatore sconfitto moriva.
Il pubblico poteva gridare mitte cioè ‘rimandalo’ levando in alto il pol-
lice, pollice recto, altrimenti al grido iugula ‘scannalo’ sollevava la mano con
il pollice rivolto all’ingiù, pollice verso, e ne decretava la morte.
I cadaveri dei gladiatori erano trascinati fuori dall’arena con unci attra-
verso la porta libitina e raccolti nello spoliarum.
Il pubblico, in caso di parità tra gladiatori, poteva chiedere per entram-
bi la grazia. Essi erano stante missi cioè avevano ottenuto la grazia essendo
ancora abili al combattimento.
Marziale 16 ci narra di due gladiatori Prisco e Vero che combatterono a
lungo senza che nessuno dei due prevalesse. Alla fine tutti e due morenti
ricevettero dal lanista la palma.
Marziale 17, cita uno spettacolo inaugurale del Colosseo. Al tempo di
Caligola si soleva rappresentare un mimo che rievocava la morte del famo-
so brigante Laureolo. Ma sotto il regno di Tito quella che era stata una fa-
bula divenne uno spettacolo realistico disumano: a un condannato a morte
si fece fare la stessa fine del brigante Laureolo.
16
De spect. 29.
17
De spect. 7.
18
Svet. Caligola 18.
Il gioco crudele dei munera gladiatoria tra religione e propaganda politica 147
19
Svet. Nero 12.
20
Svet. Domit. 4.
21
Svet. Claud. 21.
22
Svet. Nero 12.
23
Svet. Domit. 4.
24
Svet. Claud. 21; Nero 12.
148 Valeria Carro
25
Svet. Caligola 27.
26
Svet. Claud. 33.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 149
1. Il testo epigrafico
Agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, in quella che era stata l’antica
Larinum, municipium della secunda regio augustea (oggi Larino, in Molise),
veniva rinvenuta una tavoletta bronzea recante inciso il testo di un senato-
consulto dell’età di Tiberio, datato 19 d.C.
Il reperto ha restituito solo una parte del testo della deliberazione sena-
toria che era diretta a reprimere la partecipazione a spettacoli pubblici,
nell’arena o in teatro, di membri appartenenti al ceto senatorio ed al ceto
equestre, uomini e donne, i quali, attraverso forme di assoggettamento di
sé a vari tipi di impresari, subivano consapevolmente l’espulsione dalla
classe sociale di provenienza, perché colpiti dall’infamia, per potersi dedi-
care alle attività loro interdette.
Il testo epigrafico, noto come Tabula Larinas, pur presentandosi lacu-
noso a causa di un riutilizzo della tavola bronzea su cui era inciso, nelle 21
linee superstiti permette di ricostruire la struttura del senatoconsulto di
epoca giulio-claudia, distinto in due parti essenziali 1.
All’esame autoptico la lastra si presenta opistografa, cioè incisa su en-
1
Il testo inciso sulla lastra venne pubblicato per la prima volta nel 1978, in M. MALA-
VOLTA, A proposito del nuovo senatoconsulto da Larino, in Studi pubblicati dall’Istituto Ita-
liano per la storia antica XXVII (Sesta Miscellanea greca e romana), 1978, 347 ss., mentre
della scoperta della lastra era stata data comunicazione orale dal suo scopritore, Adriano
LA REGINA (cfr. Ann. Epigr., 1978, 145).
150 Carla Ricci
trambi i lati: di essi, uno reca il senatoconsulto, l’altro una tabula patrona-
tus, che attesta, con data 1° aprile 344 d.C., su 14 righe, il processo verbale
di conferimento del patronato da parte degli universi cives larinatium a C.
Herennius Lupercus.
Per ottenere la tabula patronatus la tavoletta originale (con il testo per
intero del senatoconsulto) ha subito degli interventi di mutilazione che ne
hanno ridotto le dimensioni; la lastra è stata infatti rivoltata ed utilizzata
perpendicolarmente rispetto al testo del senatoconsulto, sono stati elimina-
ti i due angoli superiori per ottenere un vertice triangolare, e sono stati ef-
fettuati altri due interventi: uno, consistente nel tagliare la tavola orizzon-
talmente così da avere un bordo inferiore, un altro, nel tagliarla in senso
verticale, dal lato destro, per determinare un nuovo bordo.
Tutti questi interventi hanno prodotto una serie di tagli, e quindi di la-
cune, nel testo della deliberazione senatoria, di cui sono sopravvissute so-
lamente 21 linee.
Le prime due lacune sono conseguenza dell’intervento che ha prodotto il
vertice triangolare: entrambe sul lato sinistro, una procede in senso decre-
scente dalla parte superiore fino al centro del testo, e riguarda le linee da 1 a
8; è stato conservato solo l’inizio delle linee 9-13, grazie alla presenza di un
margine a sinistra del testo del senatoconsulto; la seconda lacuna è invece di
dimensione crescente, va dal centro della tavola (linea 14) fino al bordo infe-
riore (linea 21). Vi è poi una lacuna costante, a destra, conseguenza del se-
condo degli interventi su descritti, che ha determinato la perdita della parte
terminale di ogni rigo; infine, il terzo intervento ha determinato la scomparsa
della parte inferiore del senatoconsulto, ovvero quella successiva alla linea 21.
Quello che segue è il testo del senatoconsulto, la cui trascrizione è av-
venuta in seguito ad un esame diretto della tavola:
1- s c
2- (…) in palatio, in porticu quae est ad apollinis scr adf c ateius l f ani capito
sex pomp (…)
3- (…) octavius c f ste fronto m asinius curti f arn mamilianus c gavius c f pob
macer q a did (…)
4- (…) us l norbanus balbus cos v f commentarium ipsos composuisse sic uti
negotium iis (…)
5- (…) rum pertinentibus aut ad eos qui contra dignitatem ordinis sui in
scaenam ludumv (…)
6- (…) us sc quae d e r facta essent superioribus annis adhibita fraude qua
maiestatem senat (…)
7- (…) cere ne quis senatoris filium filiam nepotem neptem pronepotem
proneptem neve que (…)
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 151
8- (…) el paterno vel materno aut fratri neve quam cuius viro aut patri aut avo
paterno ve (…)
9- fuisset unquam spectandi in equestribus locis in scaenam produceret
auctoramentove rog (…)
10- ret aut pinnas gladiatorum raperet aut ut rudem tolleret aliove quod eius rei
simile min (…)
11- praeberet conduceret neve quis eorum se locaret idque ea da causa
diligentius caveri dum (…)
12- eludendae auctoritatis eius ordinis gratia quibus sedendi in equestribus locis
ius erat aut p (…)
13- ut acciperent aut ut famoso iudicio condemnarentur dederant operam et
postea quam ei des (…)
14- (…) tribus locis auctoraverant se aut in scaenam prodierant neve quis eo-
rum de quibus (…)
15- (…) i faceret libitinam habep<r>et praeterquam si quis iam prode<i>sset in
scaenam operasve s (…)
16- (…) tus natave esset ex histrione aut gladiatore aut lanista aut lenone
17- (…) c quod m lepido t statilio tauro cos referentibus factum esset scriptum
compren (…)
18- (…) am an xx neve cui ingenuo qui minor quam an xxv esset auctorare se
operas (…)
19- (…) s locare permitteretur nisi qui eorum a divo augusto aut ti caesare aug
(…)
20- (…) niectus esset qui eorum is qui ita coniecisset auctorare se operasve suas
(…)
21- (…) arem redducendum esse statuissent id servari placere praeterquam (…).
2
Così MALAVOLTA, A proposito del nuovo senatoconsulto da Larino, cit., 362, e B. LE-
VICK, The SC from Larinum, in JRS, LXXXIII, 1983, 97 ss.
152 Carla Ricci
3
Quest’ultima stima è del Malavolta (e probabilmente già del La Regina).
4
Il senatoconsulto di Larino ha suscitato, sin dal suo ritrovamento, enorme interesse,
ed è stato oggetto di svariati studi sin dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Merita di
essere ricordata la bibliografia sul documento, a testimonianza dell’importanza assunta
nella giusromanistica e nella storia romana. I riferimenti essenziali sono costituiti da diversi
scritti dedicati all’epigrafe, che hanno offerto dei contributi originali a riguardo. Oltre a
quelli, sopra citati, essenziali, di MALAVOLTA e LEVICK, sono da menzionare V. GIUFFRÈ,
Un SC ritrovato: il SC de matronarum lenocinio coercendo, in AAN, XCI, 1980, P. MOREAU,
A propos du sénatus-consulte èpigraphique de Larinum: gladiateurs, arbitres et valets d’arene
de condition sénatoriale ou èquestre, in REL, LXI, 1981, S. DEMOUGIN L’ordre èquestre sous
les Julio-Claudiens, in B.E.F.A.R., CVIII, 1988, T.A.J. MC GINN, Prostitution and Julio-
Claudian Legislation. Tthe Formation of Social Policy in Early Imperial Rome, Ann Arbor,
1986, 284 ss., ora in ZSS, CVII, 1990, 315 ss.; ID., The SC from Larinum and Repression of
Adultery at Rome, Nashville, 1992, ora in ZPE, XCIII, 1992, 273 ss., W. FORMIGONI CAN-
DINI, Ne lenones sint in ullo loco reipublice Romane, in AUFeG (Ann. Univ. Ferrara, Sez. V,
Sc. Giuridiche), IV, 1990, 97 ss., W.D. LEBEK, Standeswurde und Berufserverbot unter
Tiberius. Das SC der Tabula Larinas, in ZPE, LXXXI, 1990, 37 ss.; ID., Das SC der Tabula
Larinas: Rittermusterung und Andere Probleme, in ZPE, LXXXV, 1991, 41 ss., E.
BALTRUSH, Regimen morum. Die Reglementierung des Privatlebens der Senatoren und der
Ritter in der Romischen Kaiserzeit, in Vestigia, XLI, 1989, 185 s., M. BUONOCORE Epigrafia
teatrale dell’Occidente Romano. III (Regiones Italiae II-V Sicilia Sardinia Corsica), in Vete-
ra, VI, 1992, 118 ss.; ID., Il Senatus consultum così detto di Larino: nuove proposte, in Pano-
rami, IV, 1992, 293 ss., e C. RICCI, Gladiatori e attori nella Roma Giulio-Claudia. Studi sul
Senatoconsulto di Larino, Milano, 2006. Il senatoconsulto di Larino è stato oggetto di at-
tenzione anche in alcuni studi “minori” sulla tavola bronzea, nonché in diversi lavori che
di esso tengono conto: M. MALAVOLTA, s.v. Larinum, in Diz. epigr., IV, 1978, 2138 ss., B.
BIONDO, in Labeo XXVI, 1980, 227-8, P. SABBATINI TUMOLESI, Gladiatorum Paria. Annun-
ci di spettacoli gladiatori a Pompei, in Tituli I, Roma, 1980, 128, nt. 48, 157; EADEM, Inediti,
in Tituli VI, Roma, 1987, 98, nt. 394, J. REINOLDS, Roman Inscriptions 1976-80, in JRS,
LXXI, 1981, 126 ss., S. DEMOUGIN, Uterque ordo. Les rapports entre l’ordre sénatorial et
l’ordre èquestre sous les Julio-Claudiens, in Tituli IV, Epigrafia ed ordine senatorio, I, Ro-
ma, 1982 (= Atti del colloquio internazionale AIEGL), 73 ss., M.A. LEVI, Un senatoconsul-
to del 19 d.C., in Studi Biscardi I, Milano, 1982, 69 ss., C. SALLES, Les bas-fonds de l’antiqui-
tè, Parigi, 1982, 283-4, L. SENSI, Praescriptio del senatoconsulto larinate, in Tituli IV, Epi-
grafia ed ordine senatorio, I, Roma, 1982 (= Atti del colloquio internazionale AIEGL su
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 153
epigrafia e ordine senatorio), 515 ss., R.A.J. TALBERT, The Senate of Imperial Rome, Prince-
ton, 1984; M.A. CAVALLARO, Spese e spettacoli. Aspetti economici e strutturali degli spettaco-
li nella Roma Giulio-Claudia, Bonn, 1984, 41-2, 86-8; D. DAUBE, Fraud n. 3. The legal
Mind, Essays for Tony Honorè, London, 1986, 1 ss., M. ZABLOCKA, Le modifiche introdotte
dalle leggi matrimoniali augustee sotto la dinastia Giulio-Claudia, in BIDR, XXVIII, 1986,
403 ss., M. AMELOTTI, L’epigrafia giuridica in Italia nell’ultimo decennio, in SDHI, LIII,
1987, 378 ss., M.T. RAEPSET-CHARLIER, Prosopographie des femmes de l’ordre sénatorial (I-
II siècles), I, 1987, 3 ss., A. GUARINO, L’apporto delle epigrafi, Giusromanistica elementare,
1989, 193 ss.; idem, in Labeo, XXXVI, 1990, 134 ss., B. SANTALUCIA, Diritto e processo pe-
nale nell’antica Roma, Milano, 1989, 97 ss.; S. TREGGIARI, Roman Marriage. Iusti coniuges
from the Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford, 1991, 163, 297; A. CHASTAGNOL,
Le senat Romain a l’epoque imperiale, Parigi, 1992, 169 ss.; T. WIEDEMANN, Emperors and
Gladiators, Londra-New York, 1992; C. EDWARDS, The Politics of Immorality in Ancient
Rome, Cambridge, 1993 (rist. 1996), 132-33; G. PUGLIESE, Un nuovo esame della ciceroni-
ana Pro Cluentio, in Labeo, XL, 1994, 253, nt. 4; V. GIUFFRÈ, Altre notazioni esegetiche sul
senatoconsulto di Larino, in SDHI, LXI, 1995, 795 ss.; K. COLEMAN, The Contagion of the
Trong: Absorbing Violence in Roman World, in Hermathena, 164, 1998, 65-88; M. VESLEY,
Gladiatorial Training for girls in the Collegia Iuvenum of the Roman Empire, in Echos du
Monde Classique, 62 (17), 1998, 85-93; V.A. SIRAGO, Il Sannio Romano. Caratteri e persis-
tenze di una civiltà negata, Napoli, 2000, R. FREI-STOLBA, Le donne e l’arena, in Labeo, II,
2000, 282; R. VAN DE BERGH, The Role of Education in the Social and Legal Position of
Women in Roman Society, in RIDA, 3a serie, XLVII, 2000; R. VIGNERON, J.F. GERKENS,
The Emancipation of Women in Ancient Rome, in RIDA, 3a serie, XLVII, 2000; A. TOR-
RENT, Sul diritto penale matrimoniale, in Labeo, I, 2002, 127, A. ZOLL, Gladiatrix: the true
story of history’s unknown woman warrior, New York, 2002; C. FRANCO, Circe e le belve
spettacolari. Nota a Virgilio, Eneide, 7-24, in AuFe, vol. 2, 2008, 67; M. MALAVOLTA, Orazio
adultero, in C.C. BRAIDOTTI, E. DETTORI, E. LANZILLOTTA (a cura di), Ou pan ephemeron.
Scritti in memoria di Roberto Pretagostini, Roma, 2009, 329; C. MANN, Gladiators in the
Greek East: a case studi in Romanization, in The International Journal of the History of
Sport, vol. 1, 2009, 284; A. MANAS, New evidence of female gladiators: the bronze statuette
at the Museum für Kunst und Gewerbe of Hamburg, in The International Journal of the Hi-
story of Sport, vol. 28, n. 18, 2011, 2746 s.; M. MALAVOLTA, Auctoramentum: l’attrazione
irresistibile del modello proibito, in Civiltà Romana, Rivista pluridisciplinare di studi su Ro-
ma antica e le sue interpretazioni, II, 2015, 66 s.
154 Carla Ricci
1- Senatoconsulto
2- … sul colle Palatino, nel portico presso il tempio di Apollo. Assistettero
alla stesura C. Ateio Capitone, figlio di Lucio, della tribù Aniense, Sesto
Pompeio …
3- … Ottavio Frontone, figlio di Caio, della tribù Stellatina, Marco Asinio
Mamiliano, figlio di Curzio, della tribù Arnense, C. Gavio Macro, figlio di
Caio, della tribù Publilia, questore, Aulo Didio (Gallo, figlio di … della
tribù (?) questore …)
4- I consoli M. Silano e L. Norbano Balbo hanno dichiarato di aver elabora-
to, conformemente all’incarico loro affidato, una relazione su
5- quanto appartiene a (…? dei senatori?) o a quelli che contro la dignità del
proprio rango, come veniva stabilito da senatoconsulti precedentemente
adottati, (si sono esibiti) su palcoscenico o nell’arena,
6- raggirando la legge ed offendendo in questa maniera l’autorità del Senato.
Si era di questa opinione su quali misure adottare in questo caso:
7- ordinare che nessuno presenti sulla scena il figlio, la figlia, il nipote, la ni-
pote, il pronipote, la pronipote di un senatore, né un uomo (il cui padre
8- o nonno) paterno o materno, o il cui fratello, né alcuna donna il cui mari-
to o padre o nonno paterno o materno o il fratello
9- abbiano mai avuto il diritto di assistere agli spettacoli dai posti riservati ai
cavalieri, nessuno li presenti sulla scena né li faccia lottare dietro auctora-
mento (…)
10- o strappare i pennacchi dei gladiatori o alzare il bastone, o prestare assi-
stenza a svolgere qualunque altro servizio di questo genere; e che nessuno
li
11- impegni, (se qualcuno di loro) si offre; e che nessuno di loro si lochi per
un impegno simile. E ci si guardi da ciò con particolare attenzione, (affin-
ché non perseverino in intenzioni fraudolente quelli
12- che), per aggirare l’autorità di questo rango, hanno agito intenzionalmente
affinché coloro che avevano il diritto di sedere nei posti riservati ai cava-
lieri,
13- ottenessero (pubblica censura) o venissero giudicati in un procedimento
infamante, e, dopo aver (abbandonato spontaneamente il diritto a sedere)
14- nei posti riservati ai cavalieri, si impegnassero come gladiatori o si esibis-
sero sulla scena, (Inoltre si ordina) che nessuno
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 155
15- (di quelli su citati, se abbia fatto ciò contro la dignità del proprio rango),
abbia sepoltura, ad eccezione di quelli che si erano già esibiti prima (del
presente decreto) sulla scena o che si erano (impegnati per l’arena)
16- o fossero nati o nate da un attore o da un gladiatore o da un lanista o da
un lenone.
17- (E come nel SC) che fu emanato su richiesta dei consoli M. Lepido e T.
Statilio Tauro è scritto che … a nessuna
18- nata libera minore di 20 anni e a nessun nato libero minore di 25 si debba
permettere di impegnarsi o di vendere (le proprie prestazioni nell’arena
…)
19- ad eccezione di coloro che dal divo Augusto o da Tiberio Cesare Augusto
siano stati spinti (? alla partecipazione
20- nei giochi o nell’arena?), se colui che è stato spinto ad auctorarsi o i pro-
pri servigi a (…)
21- abbiano ordinato che fosse ricondotto, ciò deve avere validità, tranne ….
Tac. Ann. 2.85.1. Eodem anno gravibus senatus decretis libido feminarum coer-
cita cautumque ne quaestum corpore faceret cui avus aut pater aut maritus eques
Romanus fuisset. 2. Nam Vistilia praetoria familia genita licentiam stupri apud
5
M. MALAVOLTA, op. cit., che ha offerto il testo di riferimento per tutte le altre edizioni,
ha identificato il senatoconsulto di Larino con quello di Tac. 2.85.1, commentato nel testo,
datato 19 d.C., che attesta provvedimenti del senato contro la prostituzione delle donne di
rango. Collegati all’interpretazione del testo di Malavolta sono l’edizione francese del sena-
toconsulto (Ann. Epigr., 1978, n. 145), lo studio di V. GIUFFRÈ (Un SC ritrovato, cit.), che
vuole il senatoconsulto di Larino essere rimedio contro la prostituzione delle matrone (de
matronarum lenocinio coercendo), e la descrizione della tavola di P. MOREAU, cit., che ap-
porta delle correzioni alla trascrizione di Malavolta. Lungo la seconda linea di ricerca si
collocano i lavori citati in nota 4) di S. Demougin ed E. Baltrush che rigettano le conclu-
sioni di Malavolta e Giuffrè, argomentando con la mancanza nel testo del SC superstite di
supporti per la tesi originaria. Si allontana spesso dal testo di Malavolta anche Barbara Le-
vick che, pur esprimendo profondo scetticismo per le conclusioni degli studi precedenti, è
alquanto titubante nel rigettarle recisamente.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 157
aedilis vulgaverat, more inter veteres recepto, qui satis poenarum adversum im-
pudicas in ipsa professione flagitii credebant. 3. Exactum et a Titidio Labeone
Vistiliae marito cur in uxore delicti manifesta ultionem legis omisisset. Atque illo
praetendente sexaginta dies ad consultandum datos necdum praeterisse, satis vi-
sum de Vistilia statuere; eaque in insulam Seriphon abdita est.
Svetonio Tib. 35. Feminae famosae, ut ad euitandas legum poenas iure ac digni-
tate matronali exoluerentur, lenocinium profiteri coeperant, et ex iuuentute
utriusque ordinis profligatissimus quisque, quominus in opera scaenae harenae-
que edenda senatus consulto teneretur, famosi iudicii notam sponte subibant; eos
easque omnes, ne quod refugium in tali fraude cuiquam esset, exilio adfecit.
suas in scaenam locare. Ciò che tuttavia conta, ai fini del discorso che si va
svolgendo, è il fatto che sia Tacito che Papiniano, nominando solamente la
disposizione relativa alle donne, non possono costituire una garanzia asso-
luta per la corrispondenza tra queste loro testimonianze e quella epigrafica
del senatoconsulto di Larino, che di quella disposizione, allo stato attuale,
non reca alcuna traccia evidente. Al contrario, le testimonianze analizzate
depongono in favore del fatto che i tre autori si riferiscano a provvedimen-
ti diversi. Oltretutto Tacito parla al plurale di gravibus senatus decreta, e
questo nello stesso Svetonio non incontra palese smentita, visto che lo sto-
rico attesta l’impiego di due forme di espedienti elusivi: il lenocinium profi-
teri (per le donne), e la famosa iudicii nota (per i giovani).
Il confronto tra le tre fonti tanto invocate a sostegno della tesi tradizio-
nale ed il testo dell’epigrafe di Larino, che presenta una troppo ampia la-
cuna, permette di concludere affermando che, non essendoci nella parte
superstite dell’iscrizione alcun elemento che possa far ipotizzare dei colle-
gamenti con la repressione dell’esercizio della prostituzione da parte delle
nobildonne, sotto forma di volontaria adesione all’esercizio “professiona-
le” di tale attività, l’unica fonte di cui ci si può avvalere in termini di paral-
lelo attendibile è Svetonio, con il suo riferimento ad un caso che sembra
evocare quello del senatoconsulto di Larino; Tacito e Papiniano non pos-
sono essere di aiuto per completare l’epigrafe, data la semplice affinità, allo
stato attuale del reperto, delle tematiche affrontate.
Tutto ciò, tuttavia, non esclude, anzi suggerisce l’opportunità di formu-
lare delle ipotesi che trovino riscontro nei dati presenti nel testo. Sebbene
infatti si ritenga che non si possa parlare in termini di identità tra le fonti
citate e l’epigrafe stessa, è tuttavia forte la convinzione che vi sia tra esse
una profonda connessione, per l’affinità delle tematiche affrontate, per il
contesto in cui si collocano, ed infine per la relazione cronologica e di plau-
sibili influenze reciproche tra i provvedimenti di cui sono testimonianza.
Non concordandosi con le obiezioni mosse ai primi commentatori che sia
errato avvicinarsi allo studio del documento epigrafico con un supporto di
diverse fonti con le quali armonizzarlo, si è al contrario convinti che queste
ultime costituiscano un bagaglio indispensabile per collocare nella realtà
socio-giuridica del tempo il documento larinate.
6
Si vedano, tra gli altri, B. BIONDI, La legislazione di Augusto, in Conferenze augustee
nel bimillenario della nascita, Milano, 1939 = Scritti giuridici II, Milano, 1965; K. GALIN-
SKY, Ideas, Ideal and Values, in ID., Augustan Culture: an Interpretative Introduction, Prin-
ceton 1996; C. EDWARDS, The Politics, cit., passim.
7
La letteratura sulla legislazione matrimoniale augustea è, come noto, assai vasta. Tra i
contributi più risalenti, B. BIONDI, op. cit.; si vedano, tra gli altri, anche L. FERRERO RA-
DITZA, Augustus’ Legislation Concerning Marriage, Procreatio, Love affairs, and Adultery, in
ARNW, II, 13, 1980, 278 ss.; R. ASTOLFI, La lex Iulia et Papia, Padova, 1970; P.E. COR-
BETT, The Roman Laws of Marriage, Oxford, 1969; P. GARNSEY, Adultery Trials and the
Survival of the “quaestiones” in the Severian Age, in JRS, LVII, 1967, e Social Status, cit.,
186 ss., 230 ss., 258 ss., 276 ss.; P.G. VITALI, Premesse romanistiche a uno studio sull’impe-
160 Carla Ricci
La c.d. Lex Iulia et Papia recava norme disciplinanti sia i matrimoni che
le loro conseguenze, ed assolveva ad una duplice funzione: quella di garan-
tire le unioni matrimoniali ‘dignitose’ per gli ordini superiori 8, in partico-
lare quelli senatori, nonché quella di incoraggiare i matrimoni stessi attra-
verso un meccanismo di incentivi e premi alle famiglie più prolifiche 9, con
evidenti fini di incremento demografico, prevedendo forti penalizzazioni e
svantaggi sul piano economico per i celibi e le coppie senza figli. La ripro-
duzione veniva imposta per fronteggiare il calo delle nascite di quegli anni
nonché per assolvere al compito principale del matrimonio, ovvero il dove-
re civico di generare cives Romani, dovere di cui vengono investite le don-
ne in generale, ed a fortiori quelle di rango 10.
Coerentemente con tali previsioni, la Lex Iulia de adulteriis colpiva con
estrema severità di pene le unioni tra uomini e donne liberi che non fosse-
ro matrimonio, individuando precisi reati 11.
14
Pietro BONFANTE, nel suo Corso di diritto romano, 1, Diritto di famiglia, (rist.) Mila-
no, 1963, 348, definì la Lex de adulteriis “tanto severa” quanto “nessuna legge al mondo”.
15
Senatusconsulta del 38 e 22 a.C., dell’11 d.C. e del 19 d.C. (Tabula Larinas).
16
Ulp. I ad l. Iul. et Pap. D. 23.4.43.6: ‘Lenocinium facere non minus est quam corpore
quaestum exercere’. V. F.S. ALVAREZ DE CINFUEGOS, Algunas observaciones a proposito de
la represiòn de ‘lenocinium’ en la ‘lex Iulia de adulteriis’, in St. Iglesias, 1988, 565 ss.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 163
17
Va rapidamente precisato che il concetto di ‘infamia’ si pone in diritto romano in una
posizione non compiutamente definita, a cavallo tra l’ordinamento giuridico e l’insieme di
convinzioni morali di una struttura sociale. Da tale ibrida collocazione è derivata un’evolu-
zione della nozione stessa, ispirata ad una continua fusione tra norme giuridiche e valuta-
zioni etico-religiose, di cui è fortemente permeata la compilazione giustinianea. Dapprima
collegata alla ‘nota’ comminata dai censori, collegata alla posizione politico-militare e con-
sistente nell’esclusione da una tribù, dalla classe senatoria o dei cavalieri, e nel trasferimen-
to ad una classe inferiore, nel tempo si arricchì di distinti divieti ed incapacità giuridiche,
sebbene fondasse sempre la sua ratio nel degradarsi della ‘fama’, cioè nella cattiva reputa-
zione dettata dal giudizio comune, di cui i censori restavano gli interpreti e garanti. Per un
approccio al tema dell’infamia v. soprattutto B. BIONDI in B. BIONDI, L. GIAMBENE, s.v.
Infamia, in Enciclopedia Italiana, XIX, Roma, 1933, 186, A. MAZZACANE, sv. Infamia (sto-
ria), in ED, XXI, 1971, 382 ss.; M. KASER, ‘Infamia’ und ‘Ignominia’ in den Rom. Rech-
tsquellen, in ZSS, LXXIII, 1956, 220 ss.; V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano,
Napoli, 1977, 59 ss., tutti con copiosi riferimenti bibliografici; v. anche M. TALAMANCA,
Istituzioni di Diritto romano, Milano, 1990, 344, che si occupa principalmente della cosid-
detta infamia pretoria e ricorda gli auctorati accanto a prostitute, lenoni ed attori. Circa
l’infamia di questi ultimi nel sistema pretorio, si veda il contributo di E. BIANCHI, Appunti
minimi in tema di ‘infamia’ dell’attore nel regime pretorio, in Teoria e storia del Diritto pri-
vato, VI, 2013.
164 Carla Ricci
18
In tale sede non si ritiene di approfondire il tema legato all’esistenza di una sorta di
‘registro in cui censire le prostitute’, tenuto dagli edili e di cui pure si è argomentato; basti
affermare che i riferimenti di Tacito e Svetonio (nel brano ricordato, Tib. 35,2) ad una au-
todichiarazione di esercizio del meretricio sono dei dati invocabili a sostegno della convin-
zione che una manifestazione di tal genere ai magistrati da parte delle matronae diventasse,
per esse, titolo legittimante e giuridicamente valido ai fini dell’esenzione dai divieti imposti
dalla legislazione augustea. Per un approfondimento sul tema della dichiarazione di eserci-
zio della prostituzione, si veda T. MOMMSEN, Rom. Straf., cit., 159, n. 2, dove si ritiene, sul-
la scorta di Plaut. Asin. 131, di identificare il registro delle prostitute con il registro tenuto
dai ‘tresviri capitales’. Quello che può affermarsi con maggior certezza è che gli edili ebbe-
ro una certa “autorità” nel controllo del fenomeno della prostituzione. Cfr. ‘Lex Lenonia’,
menzionata in un frammento di Plauto (conservato a Festo p. 127 L), e Svet. Tib. 34, in cui
viene menzionato l’incarico attribuito da Tiberio agli edili di “sorvegliare strettamente le
taverne ed i bordelli”. Per i vari aspetti concernenti la pratica della prostituzione, su cui vi
è vasta letteratura, v. T.A.J. MC GINN, Prostitution and Julio-Claudian Legislation. The
Formation of Social Policy in Early imperial Rome, Ann Arbor, 1986, ora in ZSS, CVII,
1990, 315 ss.; ID., Prostitution, Sexuality and Law in Ancient Rome, New York-Oxford,
1998; C. SALLES, I bassifondi dell’antichità, Parigi, 1982, passim; A. SICARI, Prostituzione e
tutela giuridica della schiava. Un problema di politica legislativa nell’impero romano, Bari,
1991, passim; W. FORMIGONI CANIDINI, Ne lenones, cit.; M. ZABLOCKA, Le modifiche, cit.,
97 ss.; C. FAYER, La familia romana. Aspetti giuridici ed antiquari, III, Concubinato Divorzio
Adulterio, Roma, 2005, 345-350. V. anche V. GIUFFRÈ, Un senatoconsulto ritrovato, cit., 13
sul caso di Vistilia.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 165
tera, ma lo fece quando non avrebbe potuto più negarlo in alcun modo,
ovvero nel momento in cui fu scoperta in pieno adulterio. Appellandosi ad
una pratica in uso dai tempi più remoti (more inter veteres recepto) tentò
così, attraverso un atto in frode alla legge 19, di eludere le norme imperative
alle quali per la sua condizione, proprio in quanto uxor in adulterio depre-
hensa, sarebbe stata sottoposta. Se la reazione di Vistilia fu ragionevolmen-
te il frutto del panico provato per una condanna imminente, il suo com-
portamento, tuttavia, violò ben più che lo spirito della legge: la donna si
pose oltre la stessa fraus, professandosi prostituta dopo aver commesso
adulterio, e non invece – come facevano le altre matrone – in via precau-
zionale, ottenendo per questa “sfrontatezza” una condanna rapida e seve-
rissima, con una pena ben più grave di quella prevista dalla stessa Lex Iu-
lia, come conferma Svetonio, che testimonia l’exilium 20. La punizione in-
flitta a Vistilia fu esemplare: oltre a perseguirsi il fine punitivo del caso
concreto, si era ottenuto anche un risultato preventivo, posto a regolamen-
tazione dei casi futuri, per scongiurare che la pratica della confessio quale
prostituta potesse continuare a giustificare impunite frodi alla legge in vi-
gore 21.
E proprio come le matrone, per evitare i rigori della legislazione matri-
moniale, non esitavano ad autodichiararsi prostitute o mezzane, così i gio-
vani membri, uomini e donne, della classe senatoria e del cavalieriato, at-
traverso forme (anche contrattuali e/o pseudo-contrattuali) di offerta delle
proprie operae ai vari tipi di impresari di ludi gladiatori, cercavano (ed ot-
tenevano) l’espulsione dal loro ceto, divenendo sì infames, ma conseguen-
do – proprio in tal modo – la totale possibilità di disporre di sé, liberi da
vincoli.
Prima che si arrivasse a questa configurazione era molto difficile, oltre
che arbitrario, distinguere tra comportamenti solo degradanti e compor-
tamenti ufficializzati in negozi fraudolenti.
Il senatoconsulto di Larino, indirizzando le sue prescrizioni a tali casi,
si colloca nel discorso appena svolto mostrando come esso sia una parte,
molto significativa sul piano giuridico, del disegno normativo di mora-
lizzazione dei costumi e di rafforzamento dei vincoli e dei doveri “di ce-
19
Paul. D. 1.3.29; Ulp. D. 1.3.30. HONSELL, Fs. Kaser, 1976; O. BEHERENDS, Die fraus
‘legis’, Gottingen, 1982, passim; L. FASCIONE, Fraus legi, Milano, 1983, passim.
20
C. CRIFÒ, sv. Esilio, in ED, XV, 1966, con bibliografia; P.S. 2.26.14; Ulp. D.48.5.30.1;
v. G. BRANCA, ED, I, cit., GRASMÜCK, Exilium: Untershungenzur Verbannung in der Antike,
Paderborn, 1978; M. ZABLOCKA, op. cit., 415; ROGERS, Criminal Trials, cit.
21
Così anche per il Sc Turpillianum: Tac. Ann. 14.41. Cfr. V. GIUFFRÈ, op. ult. cit., 20 ss.
166 Carla Ricci
to” posti alle classi dirigenti romane. Il documento non introduce infatti
nel tessuto normativo un divieto, peraltro già esistente, oggetto di pre-
cedenti deliberazioni senatorie, limitandosi a confermarlo; introduce in-
vece l’originale novità di considerare esplicitamente le contrattazioni po-
ste in essere per esibirsi nell’arena ed in teatro quali figure di negozi
fraudolenti.
Colpendo questi ultimi, il senatoconsulto di Larino compie un’azione
analoga a quella compiuta dal senatoconsulto di Vistilia: reprime dei tenta-
tivi di frode a delle norme vigenti, partendo da situazioni giuridiche simili.
L’interpretazione della Tabula Larinas spinge dunque in una chiara di-
rezione: il documento è una valutazione giuridica del comportamento dei
giovani nobili, le cui “scappatoie” divenivano prive di efficacia in quanto
esplicitamente bollate come un facere adversus senatus consulta.
Altro elemento interessante ed innovativo nel contesto che si va spie-
gando, è che nel SC di Larino il senato prende di mira in maniera alquanto
inconsueta anche i datori di lavoro, come testimoniano le righe da 7 ad 11
del documento (‘ne quis … (…) … conduceret’), ponendo un divieto di re-
clutare gladiatori ed attori tra i nobiles rivolto esclusivamente agli eventuali
impresari (‘lanistae’, ‘magistri’, etc.). L’accortezza nel tener conto anche
della controparte contrattuale dei giovani aristocratici rivela il preciso in-
tento giuridico di porre un efficace freno ai meccanismi fraudolenti sopra
descritti. Il Senato infatti, indirizzando dei divieti specifici al partner con-
trattuale della gioventù “ben nata” e tanto ingegnosa nell’escogitare truc-
chi per eludere norme imperative, esercita una pressione giuridica che si
vuole in grado di vanificare qualsiasi potenziale, futura scappatoia dei pre-
statori d’opera.
In tal modo si provvedeva non solo a preservare i giovani di buona fa-
miglia dal degrado morale e sociale, ma anche a “ricompattare” l’autorità
senatoria compromessa dalle tattiche fino ad allora escogitate.
È proprio la simmetria tra le ragioni che giustificavano le azioni dei tra-
sgressori, ovvero la volontà di evitare le conseguenze giuridiche dell’atto
illecito, ed il canale utilizzato, la fraus, reale o virtuale (come nel caso di
Vistilia), a costituire la compiuta testimonianza del mutuo rapporto esi-
stente tra il senatoconsulto di Larino e quello citato da Tacito, Svetonio e
Papiniano.
La vicinanza cronologica, lo stesso momento storico, le stesse classi so-
ciali destinatarie, iscrivono i due documenti nello stesso contesto, ovvero
quello di far fronte alle scappatoie escogitate contro un quadro normativo
troppo rigido e restauratore per i gusti “emancipati” e sensibili al fascino
del proibito di buona parte della giovane classe dirigente.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 167
22
Per un quadro complessivo, relativo alla civiltà greca, etrusca e romana, DS, III/2,
p. 1362 ss., sv. Ludi publici. In riferimento ai tanti e vari aspetti che contraddistinguevano
il mondo della gladiatura, la letteratura è particolarmente vasta; tuttavia si ritiene necessa-
rio rinviare, sia per un inquadramento generale che per approfondimenti su singoli aspet-
ti, al classico studio di G. VILLE, La Gladiature en Occident des origines à la mort de Do-
mitien, in Bibliotheque des Ecoles francaises d’Athenes et de Rome, 245, Rome, 1981; più
recentemente, con ulteriore bibliografia, v. DUNKLE, Gladiators. Violence and Spectacle in
Ancient Rome, Londra, 2008 e la Review di H. DODGE, in The American Historical Revi-
ew, CXVI, 2011, 3, 854; su aspetti particolari, v. C. VISMARA, Il supplizio come spettacolo,
Roma, 1991.
168 Carla Ricci
23
Per l’analisi più risalente di questa tripartizione, v. G. WISSOWA, Religion und Kultus
der Römer, Monaco, 1912, 451 ss. Nonostante si faccia costantemente riferimento a questa
tripartizione, essenziale per la comprensione storica del fenomeno, non può tuttavia negar-
si che un’intima connessione con la componente mistico-cultuale non venne mai meno,
nemmeno nel periodo imperiale, quando si affermò il culto degli imperatori. Sul punto,
cfr. V. WEISMAN, Kirche und Schaüspiele, Würzburg, 1972, passim; H.F. SOVERI, De ludo-
rum memoria praecipue Tertullianea capita selecta, Helsingforsiae, 1912, 167 ss. Quanto
alle diverse forme di spettacoli, durante il periodo imperiale esse possono facilmente in-
quadrarsi, data la loro possibile suddivisione in funzione del luogo in cui venivano rappre-
sentati: nello stadio si tenevano gli agones di origine greca; nell’anfiteatro avevano luogo i
combattimenti dei diversi gladiatori (munera gladiatoria), i combattimenti con animali fe-
roci o spettacoli di cacce ad animali selvaggi (venationes) e le messinscene di battaglie na-
vali, agite da gladiatori in bacini naturali o artificiali (naumachie), nel circo e nel teatro,
infine, si rappresentavano quegli spectacula che soli venivano considerati e chiamati ludi:
circenses e scaenici. Sul punto, cfr. G. VILLE, La gladiature en Occident, cit., L. ROBERT, Les
gladiateurs dans l’Orient grec, Amsterdam, 1971, passim; G. TRAVERSARI, Gli spettacoli in
acqua nel teatro tardo-antico, Roma, 1960, passim. L’enumerazione degli spectacula fatta da
Augusto (Res gest. 22-23) trova un riscontro nell’elenco presente in Svetonio (Caes, 39; DA
43-45; Tib 7.1 e 34.1; Ner. 11; Dom. 4), nonché nella suddivisione di Tertulliano (De spect.
7-9, 10, 11 e 12: ludi circenses, ludi scaenici, agones e munera). La grande quantità di iscri-
zioni di provenienza latina e greca riguardanti le più diverse forme di rappresentazioni
pubbliche costituisce un sintomo evidente del livello di diffusione ed importanza raggiun-
to da questo fenomeno storico-sociale. Sul punto si rimanda a M. FORA, I ‘munera gladia-
toria’ in Italia: Considerazioni sulla loro documentazione epigrafica, Napoli, 1996, passim.
Un quadro sintetico delle principali disposizioni legislative in materia di ludi si può ricava-
re dalle leges municipali, che contengono precise disposizioni riguardo alla funzione eserci-
tata dai magistrati nello svolgimento dei ‘ludi publici’. Già la Tabula Heracleensis (CIL I
593=ILS 6085), ad esempio, disponeva (ll. 62-65) la possibilità di transito in città nelle ore
diurne, quando il traffico urbano era proibito, per i carri delle vergini vestali e dei ‘reges
sacrorum’ che si recavano ai ‘ludi’; concedeva (ll. 77-79) a quelli tenuti alla ‘cura ludorum’
di occupare il ‘loco publico’ necessario per allestire palchi; proibiva (ll. 135-39) ai semplici
cittadini, durante gli spettacoli, di occupare i posti di ‘senatores’ e ‘decuriones’. La ‘Lex
municipii Tarentini’ (CIL I 590 cap. 4 ll. 32-38=ILS 6086) prevedeva che l’ammenda per i
trasgressori del divieto di demolire o danneggiare pubblici edifici andasse per metà messa
a disposizione del magistrato in carica, che poteva usarla alternativamente per la celebra-
zione dei ‘ludi’ annuali, ovvero per far erigere un proprio monumento celebrativo. Il più
vasto complesso di informazioni di carattere legislativo sui ‘ludi publici’ è offerto dalla ‘Lex
Coloniae Genetivae Iuliae Ursonensis’ (CIL I 594=ILS 6087), di cui ben otto rubriche era-
no dedicate alla regolamentazione delle pubbliche rappresentazioni, dalle previsioni delle
competenze magistratuali (capp. 70/71-128), a quelle in materia economica (di sostegno
delle spese), all’attribuzione dei posti d’onore (capp. 125-127) durante gli spettacoli.
Quanto sinteticamente riportato riguarda chiaramente una legislazione sui ‘ludi’ in genera-
le, in un quadro d’insieme che può ottenersi collazionando gli statuti municipali conserva-
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 169
Nel corso del tempo, infatti, i giochi subirono una significativa evolu-
zione che vide in particolare, nei ludi circensi e gladiatori, il passaggio dal-
l’originaria affermazione di componenti “positive”, quali il coraggio, l’au-
dacia, o la padronanza delle tecniche atletiche e di combattimento, alla rea-
lizzazione di spettacoli finalizzati esclusivamente al divertimento puro degli
spettatori, con rappresentazioni che, soprattutto in età imperiale, furono
caratterizzate da violenza e forti emozioni; le stesse condanne a morte, ad
esempio, furono trasformate in spettacoli per il popolo, intrisi di crudezza.
I ludi andarono così progressivamente snaturandosi rispetto al periodo re-
pubblicano, diventando allo stesso tempo un mezzo con cui gli imperatori
ottenevano il consenso del popolo, oltre che un efficace modo per disto-
gliere l’attenzione della popolazione urbana dagli avvenimenti politici: quel-
l’ormai famoso panem et circenses che alla lunga avrebbe screditato l’intera
categoria dei giochi.
L’entusiasmo per gli spettacoli nell’arena era enorme, tanto da eccitare
e scatenare vere e proprie passioni popolari; ciononostante, non va trala-
sciato il fatto che i Romani ebbero con i loro protagonisti un rapporto am-
biguo: sebbene, infatti, nell’immaginario collettivo il gladiatore costituisse
senza dubbio il gradino più basso dell’abiezione e del degrado sociale 24,
altrettanto vero è che esso abbia sempre rappresentato un modello proibi-
to, di assoluto fascino, in grado di esercitare un’attrazione irresistibile:
amant quos multant, dirà Tertulliano per definire tale ambiguo rapporto 25.
I gladiatori, pur collocati in una condizione sociale profondamente de-
teriore, erano infatti l’equivalente delle moderne celebs dello spettacolo e
dello sport, spesso venerati da schiere di fans di ogni estrazione sociale.
Provenivano dagli strati sociali più bassi, spesso erano prelevati fra gli
schiavi, i prigionieri di guerra, ovvero fra i condannati alle pene più dure
(come nel caso dei noxii condannati a morte), e le loro operae venivano
“affittate” presso impresari, molto spesso liberti, la cui denominazione
26
Per le diverse categorie di impresari, v. Diz. Epigr., IV p. 370 sv. Lanistatura; ib., p.
2137 ss. sv. Ludicra, ars; ib. II, p. 1945a s.v. Dominus; ib. IV p. 1448 sv. Locator. Riguardo
all’ars ludicra, dal punto di vista dei temi di interesse per il presente contributo cfr. E.
FRANCIOSI, Gloriae et virtuti causa. Status sociale e giuridico degli atleti nel mondo romano,
in Studi per Giovanni Nicosia, I, Milano, 2007, 437-468 (449-450), con riferimenti anche
alla gladiatura. Su prostituzione e lenocinio v. ampiamente T.A.J. MC GINN, Prostitution,
cit., passim.
27
Cfr. V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni, cit., 59, che tratta dell’infamia in riferimento al te-
ma delle minorazioni della “capacità giuridica”: “Nel concetto d’infamia si comprendono
più istituti del diritto antico. […]. Una limitazione della capacità per ragioni morali si ebbe
quando talune categorie di persone, che la pubblica opinione considerava ignominiosae,
vennero comprese nelle clausole dell’Editto pretorio che vietavano di postulare pro aliis,
cioe di rappresentare persone estranee in giudizio”. L’infamia, termine che il diritto roma-
no trovò nel linguaggio comune e provvide a codificare, laddove comminata comportava
infatti delle conseguenze precise, che si riflettevano sulla capacità giuridica del soggetto
colpito, legandosi a determinati atti o professioni che mediante condanna penale, o noto-
riamente, si consideravano tali, da rendere infamis colui che li compiva o esercitava. Un
intero capitolo del III libro del Digesto (3.2: ‘de his qui notantur infamia’) commenta ap-
punto le disposizioni contenute nell’edictum perpetuum praetoris urbani; tra le limitazioni
previste da leges per gli infames vanno ricordate le previsioni della lex Iulia municipalis,
connesse a condanne in iudicia publica o privata (per diverse cause, tutte citate), nonché
per l’esercizio dei mestieri di gladiatore, istrione, lanista, lenone (queive depugnandei causa
auctoratus est erit fuit fuerit … queive lanistaturam artemve ludicram fecit fecerit, quive le-
nocinium faciet). A tal riguardo, L. Iul. mun., ll. 120-122: condanne per calunnia o prevari-
cazione (v. anche lex agraria =Bruns, Fontes, cit., 81; D. 3.2.1 pr.; Cod Iust. 9.2.11); l. 112:
condanna per frode a danno di minori (Cic. De nat. Deor. 3.30.74); l. 110: condanne in
‘iudicia privata’ (v. lex Atestina l. 35=Bruns, cit., 101; Cic. Pro Cluent. 42.119; D. 3.2.1 pr.);
l. 113: condanna per falso giuramento del debitore (D. 3.2.1, pr.; cfr. Cic. ad Att. 1.8.3); l.
121: degradazione e cancellazione dall’esercito (D. 3.2.1 pr.); l. 113 s.: fallimento (Cic. pro
Quinct. 8.30. 1); ll. 123-124: pederastia e lenocinio (D. 3.1.1.6; D. 3.2.4.2); l. 123-133: me-
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 171
stieri di gladiatore, istrione, lanista e lenone (cfr. ‘lex repetundarum’ l. 13=Bruns, cit., 61;
D. 3.2.1 pr: ‘qui artis ludicrae pronuntiandive causa in scaenam prodierit’; D. 3.1.1.6; Tert.
De spect. c. 22). L’iscrizione di Sarsina (CIL I 2123), attesta la riprovazione sociale per le
attività in esame e, sebbene non sia una fonte giuridica, è ugualmente indicativa della con-
siderazione in cui erano auctorati e compromessi in quaestum spurcum.
28
V. Diz. Epigr., II sv. Dominus (gladiatorum), p. 1945; ib., III, sv. Familia, 32; V. P.
SABBATINI TUMOLESI, Epigrafia anfiteatrale, cit., Tituli I, passim; eadem, Gladiatorum Paria,
cit., in Vetera, 2, passim; AUGUET, Cruautè, cit., passim.
29
V. principalmente E. POLLACK, s.v. Auctoramentum, auctoratus, in P.W., II.2 (1896),
coll. 2272-2274, A. BISCARDI, Nozione classica ed origini dell’‘auctoramentum’, in St. De
Francisci, IV, Roma, 1956, 112 ss.; A. GUARINO, Spartaco. Analisi di un mito, Napoli, 1979,
147 ss.; ID., Spartaco professore?, in Labeo, XXVI, 1980, 325 ss.; ID., I gladiatores e l’aucto-
ramentum, in Labeo, XXIX, 1983, 7 ss.; C. SANFILIPPO, Gli “auctorati”, in St. Biscardi, I,
Milano, 1982, 181 ss.; O. DILIBERTO, Ricerche sull’“auctoramentum” e sulla condizione giu-
ridica degli “auctorati”, Milano, 1981, passim, e specialmente, per quanto qui interessa, 81
ss. Per una bibliografia sull’‘auctoramentum’, v. soprattutto O. DILIBERTO, op. ult. cit., 1 nt.
1. V. anche M. MALAVOLTA, Auctoramentum, cit., passim.
172 Carla Ricci
30
Iuro per … me uri vinciri verberari virgis ferroque necari et quidquid aliud iusseris vel
invitum me pati passurum. Il testo di questa formula, tramite la quale si assumeva la qualità
di auctoratus è ricostruita sulla base di Hor. Sat. 2, 7, 58-59; Sen. ep. 37, 1; Petron. Satyr.
117. Cfr. M. MALAVOLTA, op. ult. cit., 66.
31
Si tratta di un atto diverso dalla locazione di opere, dal momento che nei testi si regi-
stra la distinzione tra il ‘bestiarius, locator operarum’ e l’auctoratus: Coll. 4.3.2 (Paul. Sing.
De adult.): “… eum qui auctoramento rogatus est ad gladium, vel etiam illum qui operas suas
ut cum bestiis pugnaret locavit”; Coll. 9.2.2 (Ulp. 8 off. proc. s.t. ad l. Iuliam de vi publ. et
priv.): “… quive depugnandi causa auctoratus erit, quive ad bestias depugnandas se locavit”.
Il ‘bestiarius/locator’ è dunque identificabile come un contraente posto “giuridicamente”
su un piano di parità con il ‘conductor’, ed assume un’obbligazione di facere che non com-
prende, però, anche l’assoggettamento del proprio corpo.
32
Gai. 3.199, Interdum autem etiam liberorum hominum furtum fit, velut si quis libero-
rum nostrorum, qui in potestate nostra sint, sive etiam uxor, quae in manu nostra sit, sive
etiam iudicatus vel auctoratus meus subreptus fuerit.
33
W. KUNKEL, “Auctoratus”, in Symb. Taubenshlag, III, 1957, 207 ss. La teoria dell’A. è
stata criticata da C. SANFILIPPO, op. cit., 189 s. e O. DILIBERTO, op. cit., 71 ss.
34
Sebbene, aderendo a tale ipotesi, non si potrebbe spiegare compiutamente la quanti-
tà di fonti da cui risulta che i gladiatori e gli ‘auctorati <depugnandi causa>’, se giuridica-
mente capaci, furono, in vari momenti, privati dei diritti che non spettarono mai ai servi.
Sul punto, B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979, 10, nt. 7, e
O. DILIBERTO, op. cit., 63 s. e 70 s.
35
Cfr. C. SANFILIPPO, op. cit., 188, e prima di lui già A. BISCARDI, op. cit., 407, nt. 280.
36
V. A. GUARINO, Labeo, XXIX, cit., 11.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 173
37
Tale osservazione può valere per il vindemiator auctoratus di Plin. NH 14.10, non
trattandosi di un qualunque contadino, ma un contadino ad alta specializzazione, impe-
gnato in un lavoro particolarmente difficile. E vale per Publio Rupilio in Val. Max. 6.9.8,
che in una prima fase della sua carriera al servizio di una societas publicanorum, operas de-
dit, mentre successivamente provvide a se stesso auctorato sociis officio, prestando dunque
alla società un’attività di particolare impegno, che non sembra potersi collegare ad una
semplice locatio operarum. Sul punto, A. GUARINO, op. ult. cit., 13, con bibliografia. In
Roma antica, la condizione di auctoratus non si collegava solo all’auctoramentum gladiato-
rio, ma con molta probabilità in origine l’auctoramentum consisteva in una forma partico-
lare di sacramentum militiae, prestato in vista di attività militari speciali. V. sul punto O.
DILIBERTO, op. cit., 87 ss.
38
In A. ZOLL, Gladiatrix: the true story of history’s unknown woman warrior, New
York, 2002, 33, viene richiamata la teoria di M. VESLEY, esposta in Gladiatorial Training,
cit., dove si è ipotizzato che gli auctorati ricevessero il loro allenamento non nelle palestre
gladiatorie, ma attraverso “private instruction or enrolled in the college iuvenum”. L’A. so-
stiene che la preparazione degli auctorati, proprio perché sancita da un suggello sacrale,
fosse più “professionale”, consistendo di “all manner of physical activity, from gymnastics
to martial arts”, le cui lezioni venivano impartite in “organised social clubs”, quali i collegia
Iuvenum. L’A. ritiene tale tesi confermata proprio dal contenuto della Tabula Larinas e
delle tre iscrizioni CIL XIV, 4014; CIL VIII, 1885 e CIL IX, 4696, e giunge alla conclu-
sione che anche le donne appartenenti ai ceti elevati, nei ‘collegia iuvenu’, si allenassero per
esibirsi in pubblico.
174 Carla Ricci
39
Come ipotizzato dal A. GUARINO, op. ult. cit., 13 ss.
40
Per i riferimenti epigrafici e la traduzione v. P. SABATINI TUMOLESI, Tituli, VI, cit., 97
s.; EADEM, Gladiatorum, cit., 101; L. ROBERT, Gladiateurs, cit., 287 ss.; contra, G. VILLE,
Gladiature, cit., 246 ss.
41
Gladiatori liberi, liberti od anche servi, secondo il A. GUARINO, op. ult. cit., 11.
42
Questa interessante ipotesi è esposta in P. SABATINI TUMOLESI, opp. ultt. citt., passim.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 175
la dei colleghi che avevano giurato uri, vinciri, verberari ferroque necari. Si
spiegherebbe così anche il silenzio delle fonti giuridiche sul punto, dove si
preferisce, per operare una distinzione, usare i termini tecnici di locatio
operarum e auctoramentum 43.
E proprio dall’esame della Tabula Larinas, dove costante appare l’alter-
nanza tra la locatio operarum e l’auctoramentum quali schemi giuridici di
reclutamento dei gladiatori, può venire un contributo a favore della tesi
esposta.
***
43
Si intuiscono degli spunti in tal senso anche in A. GUARINO, op. ult. cit., 12.
44
Svet. Iul. 39,1; Cass. Dio. 43.23.5.
45
V. Cass. Dio. 43.23.5.
176 Carla Ricci
46
Sat. 2.3.7 ss.
47
Svet. Iul. 39.2.
48
Le esibizioni di cavalieri e senatori successive a quella data rappresentarono sempre
delle eccezioni, collegate di solito ad avvenimenti altrettanto eccezionali, come avvenne in
occasione dell’inaugurazione del tempio del Divus Iulius nel 29 a.C., quando combattè un
senatore (Cass. Dio. 51.22.4), e delle celebrazioni del 28 a.C. (Cass. Dio. 53.1.4), alle quali
dei nobiles parteciparono guidando delle bighe.
49
Cass. Dio. 54.2.5. Si tratta con ogni probabilità dello stesso provvedimento menzio-
nato da Svetonio, DA 43.3: ad scaenicas quoque et gladiatorias operas et equitibus Romanis
aliquando usus est, verum priusquam senatoconsulto interdiceretur. V. anche che in V.
ARANGIO-RUIZ (e B. BIONDI), “Senatusconsulta”, in Acta Divi Augusti, cit., 245, ora in Scr.
dir. rom., IV, Napoli, 1977, 87 è registrato solo il senatoconsulto menzionato da Svet., DA
43.3, sotto il n. 30, rubricato ‘ne equites operas scaenicas et gladiatorias exerceant’, datando-
lo intorno all’11 a.C. Bisogna tuttavia precisare la differenza tra i resoconti dei due storici,
dal momento che Dione si riferisce certamente a delle esibizioni teatrali “professionali”,
conseguenti ad un “contratto di lavoro” (conducere/se locare), mentre l’espressione di Sve-
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 177
detto di prodursi in teatro oltre che ai senatori, anche ai loro figli, nipoti ed
ai membri dell’ordo equester. Nonostante il provvedimento annotato da
Dione, nel tardo periodo augusteo troviamo ancora delle testimonianze di
esibizioni teatrali di cavalieri e matrone 50, a riprova del fatto che il divieto
posto in precedenza era stato perfettamente inutile, dal momento che mol-
ti giovani nobiles restavano incuranti dell’infamia che li colpiva, facendo al
contrario il possibile per conseguirla. Augusto tornò quindi sulla legisla-
zione relativa alla materia e, nell’11 d.C., autorizzò i cavalieri a partecipare
a combattimenti gladiatori senza incorrere nell’infamia 51. Nel 19 d.C., con
il nostro senatoconsulto, il divieto di esercitare attività sceniche e circensi
viene ribadito nei confronti di meglio specificate categorie di destinatari 52,
parentela maschile, viene data rilevanza anche a quella femminile. Riguardo alla delimita-
zione degli effetti della dignitas equestris sulla discendenza maschile, nel senatoconsulto si
considerano soggetti ad essa gli individui di sesso maschile i cui genitori, nella discendenza
di agnazione o cognazione, erano appartenuti all’ordo equester, dunque i due nonni, dal
lato paterno e materno, il padre, il fratello. Per le donne, a questo elenco si aggiunge il ma-
rito, di cui si segue con il matrimonio la condizione sociale. Il riferimento alla moglie non
ricorre, invece, per i senatori, le cui spose non godevano del prestigio del rango, come in-
vece la loro posterità. Questa interruzione della trasmissione della dignitas senatoria per
parte femminile è forse comprensibile se si pensa che, con il matrimonio, la figlia di un se-
natore entrava in un’altra famiglia, quella del marito, di cui acquistava il rango, potendosi
quindi verificare, in caso ad esempio di nozze con un eques, una retrocessione nella gerar-
chia sociale: non più clarissima femina, ma matrona equestris. Su tale punto, v. A. CHASTA-
GNOL, Les femmes de l’ordre senatorial: titolature et rang social à Rome, in Rev. Hist.,
CCLXII, 1979, 1 ss.; S. DEMOUGIN, La definizione della parentela equestre secondo il ‘sena-
tus consultum’ di Larino, estratto dalla Collection de l’Ecole Française de Rome, vol. 108,
ID., L’ordre èquestre sous les Julio-Claudiens, Roma, 1988, 561 ss.; H. DEVIJVER, M.T. RAE-
e e
PSAET CHARLIER, L’Ordre équestre: histoire d’une aristocratie (II siècle av. J.C.-III siècle ap.
J.C), Actes du colloque international, Bruxelles-Leuven, Parigi, 1995. Si segnala poi la dif-
ferenza nel numero di generazioni colpite dal divieto, quattro per i senatori e tre per i ca-
valieri, per i quali l’efficacia del provvedimento si estende fino ai nipoti. Infine, la parente-
la senatoria è descritta seguendo un ordine discendente; quella equestre, invece, seguendo
un ordine ascendente: dal nipote al nonno, sia in linea maschile che femminile.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 179
nenti al ceto senatoriale e alla restante parte del cavalierato erano poveri” 53,
e rischiavano dunque di fuoriuscire dai propri ordines di appartenenza.
Dunque, accanto alla leggerezza dell’età ed al fascino esercitato da quel
mondo, dietro la scelta del mestiere di attore o gladiatore potevano spesso
nascondersi anche dei precisi interessi materiali, se non addirittura dei bi-
sogni, che inducevano a tentare la fortuna nell’arena o sul palcoscenico 54.
Il mondo gladiatorio in genere garantiva guadagni minori, sebbene si
abbiano anche in questo caso testimonianze di ingenti compensi 55. Deci-
dere di darsi alla gladiatura per denaro, e non solamente per amore delle
arti militari o per altre irrazionalità, significava essere caduti notevolmente
in basso, come i nobiles ricordati da Seneca, “portati all’arena dai loro
sperperi” 56. Il tema della paga è un motivo interessante, dal momento che
la corresponsione o meno di un compenso costituiva un elemento di diffe-
renziazione nella valutazione morale e giuridica delle diverse attività, per-
ché per i ceti dominanti ridursi ad accettare dei compensi rappresentava
motivo di ulteriore declassamento, con conseguente perdita inappellabile
del livello di considerazione sociale 57.
53
Cass. Dio. 55.13.6.
54
Riguardo al tema del compenso, v. B. LEVICK., The Sc., cit., 110, che sottolinea pro-
prio il ruolo degradante della paga, rispetto all’esibirsi gratuitamente, per puro spirito di-
lettantesco. Il teatro costituiva un’attività estremamente redditizia, e gli attori più famosi
erano spesso ingaggiati con somme in grado di far impallidire anche i detentori di patri-
moni da cavaliere: le pagine della letteratura e della storiografia latina sono ricche di testi-
monianze in proposito. Cicerone, nel Q. Rosc. 23 ricorda che il famoso attore ‘Q. Roscius
Gallus’ avrebbe potuto in dieci anni accumulare sei milioni di sesterzi, se non si fosse esibi-
to gratuitamente. Somme notevoli sono riportate da Macrobio, in Sat. 3.14.13 in relazione
a ‘Roscius’, ed in Sat. 3.14.14, in relazione all’attore tragico Aesopus, che avrebbe lasciato
20 milioni di sesterzi. ‘Pylades’, il più famoso pantomimo, in età avanzata potè permettersi
di finanziare delle pubbliche rappresentazioni (Cass. Dio. 55.10.11).
55
Svet. Tib. 7.1; Claud. 21.5, e dettagli economici sono presenti anche in reperti epigra-
fici, quali ILS 9340 e CIL II 6278=ILS 5163.
56
Epist. 99.13.
57
Cicerone, ad esempio, formula un appunto preciso, quando collega tra loro l’infimo
livello dell’esercizio di un’arte ed il compenso (De off. 1.150), ed è chiaramente sprezzante
Seneca (Epist. 88.1) quando parla di ‘meritoria artificia’. Erano consapevoli delle conse-
guenze del ricevere un compenso ‘Q. Roscius Gallus’, quando si presentò sulla scena gra-
tuitamente (Cic. Pro Rosc. Com. 23), ed il pompeiano ‘Fadius’, che ‘Balbus quaestor’ fece
combattere durante i giochi organizzati a Cadige nel 43 a.C. Questi ‘in ludum bis gratis de-
pugnasset’, ma si rifiutò di ‘auctorare sese’ (‘Asinius Pollio apud Cic. ad Fam.’ 10.32.2), mo-
strando in tal modo considerare la sua onorabilità, ed allo stesso tempo di aver ben chiaro
quanto vergognoso fosse ritenuto l’esibirsi per denaro.
180 Carla Ricci
Non a caso il tema del compenso ricorre da un capo all’altro del senato-
consulto di Larino, nelle linee 9, 14, <15>, 18, <19>, 20, dove sono esplici-
tati i riferimenti alle diverse forme di contrattazione e di “vendita” di sé al
fine di esercitare i turpi mestieri.
4. Donne e gladiatura
Uno degli aspetti più interessanti che emerge dall’esame della tabula La-
rinas è quello relativo al rapporto delle donne con la gladiatura, dal mo-
mento che il costante riferimento ad esse, presente nelle linee del decreto
senatorio, come destinatarie dei divieti di esibirsi in teatro e di scendere
nell’arena, costituisce un elemento incontrovertibile di conferma della dif-
fusione e della dimensione (visto proprio il carattere generalizzato delle
norme imposte) del fenomeno di donne dedite all’esercizio dell’ars gladia-
toria.
Il mondo gladiatorio, è risaputo, fu sempre un terreno di attrazione ir-
resistibile per le donne romane, soprattutto per quelle di rango: basti ri-
cordare il profilo, tracciato da Giovenale nella sua celebre Satira VI contro
le donne, di Eppia, moglie di un senatore, che abbandonò figli, marito e
casa, scegliendo di unirsi alla famiglia gladiatoria del suo amante Sergiolus,
un gladiatore di cui il poeta, a voler sottolineare l’indecenza della donna,
tramanda un ritratto impietoso: mutilato di un braccio, in mezzo al naso
una bozza sporgente scorticata dalla visiera e un fastidioso malanno che gli
fa lacrimare gli occhi senza tregua 58.
Ciononostante, il solo fatto che si trattasse di un gladiatore era suffi-
ciente a garantirgli l’ammirazione della donna, in aderenza ad un modello
ispirato al fascino della forza virile, della brutalità, del dominio sull’altro
sesso, accertato sul piano antropologico, che costituiva un fatto di cui nel-
l’antichità si era perfettamente consapevoli, tanto che anche la casa impe-
riale non andò esente da passioni ardenti nei confronti dei gladiatori, icone
della virilità per eccellenza 59.
58
Iuv. 6, 82-112.
59
I gladiatori costituivano un vero e proprio fenomeno divistico, con fenomeni parago-
nabili a quelli dei moderni fans: CIL 5142a e 5142b testimoniano la fama del gladiatore
trace Celado, ‘decus puellarum’, ‘suspirium puellarum’. Né va dimenticata la malignità sto-
rica che tramanda che l’imperatore Commodo, di cui è nota la passione per l’arena, ove si
esibì personalmente, sarebbe stato il frutto di una relazione che legò la consorte di M. Au-
relio, Faustina Minore, ad un gladiatore di Gaeta. La tradizione letteraria su Commodo è
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 181
62
Tert., XVII, T. WIEDEMANN, op. cit., 148.
63
Cass. Dio., LXII, 17, 3-4; Tacitus, Annales, XV, 32. Nerone, in occasione di un mu-
nus a Pozzuoli, fece combattere donne di colore contro nani: Cass. Dio. LXVII, 8.
64
45,4.
65
Suet. Domitianus 4.
66
Cass. Dio., LXXVI, 16.1.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 183
67
V. K. COLEMAN, Missio at Halicarnassus, in Harvard Studies in Classical Philology,
2000, 487-500. Si veda anche M. CEBEILLAC GERVASIONI, F. ZEVI, Rèvision et nouveautès
puor trois inscriptions d’Ostie, in M.E.F.R.A., LXXXVIII, 1976, 612-618 e M. CEBEILLAC
GERVASONI, M.L. CALDELLI, F. ZEVI, Epigrafia Latina. Ostia: cento iscrizioni in contesto,
Roma, 2010, 289-290.
68
V. R. JACKSON, Gladiators in Roman Britain, in British Museum Magazine, n. 38,
Londra, 2000, 16-21.
69
Cfr. M. MALAVOLTA, s.v. Ludio, in Diz. Ep., IV, Roma, 1978, 2139 e A. PASQUALINI,
op. cit., 59, che suggerisce potersi trattare del pegno di un rapporto, forse amoroso, tra i
due.
70
La statuetta era tradizionalmente ritenuta raffigurare un’atleta. A riguardo, v. E.
KOHNE, C. EWIGLEBEN, R. JACKSON (ed.), Gladiators and Caesars: The Power of Spectacle in
Ancient Rome, London, 2000, 136, n. 155A. La nuova identificazione è in A. MANAS, New
evidence of female gladiators: the bronze statuette at the Museum für Kunst und Gewerbe of
Hamburg, in The International Journal of the History of Sport, XXVIII, 2011, issue 18,
2726-2752. Per un commento, v. A. PASQUALINI, op. cit., 59.
184 Carla Ricci
senterebbe una donna vestita del subligaculum che alza il tradizionale col-
tello ricurvo di origine tracia, la sica, in segno di vittoria.
Ma è un’altra testimonianza archeologica quella che si vuole ricordare,
che ben si colloca nel contesto che si esamina. Si tratta del rinvenimento
(avvenuto a fine anni ’90 del secolo scorso), durante gli scavi di una necro-
poli nella zona meridionale di Londra (Southwark), nei pressi dei resti del-
l’Anfiteatro dell’antica Londinium, di una sepoltura contenente i resti car-
bonizzati di quella che, con buona probabilità, doveva essere stata una
donna gladiatrice. Questo speciale ritrovamento è stato senza precedenti e
rappresenta la prima prova su reperto umano dell’effettiva presenza di
donne dedite alla gladiatura.
La sepoltura era posta al di fuori del muro di cinta dell’area cimiteriale,
nelle vicinanze dell’anfiteatro, a conferma della perdita del diritto ad una
onorevole sepoltura cui erano soggetti i gladiatori, in quanto infames, così
come attestato proprio dal senatoconsulto di Larino nella linea 15.
Inoltre, era collocata in un bustum – una sorta di fosso in cui era posta
la pira sulla quale veniva arso il corpo; busta sono alquanto rari in Britan-
nia, costituendo meno dello 0,5% di tutte le sepolture Romane tra il I ed il
III secolo d.C. 71.
Tali tipi di sepolture erano collocate soprattutto nei pressi di siti militari
– con una significativa concentrazione lungo il Vallo di Adriano – e rap-
presentano un costume importato dal continente, dove invece erano molto
più diffuse 72.
Sui resti rinvenuti nella sepoltura di Southwark sono state effettuate
delle indagini; in particolare, l’esame di un frammento di osso pelvico
scampato alla cremazione ha permesso di identificare il reperto come ap-
partenente ad una giovane donna di circa vent’anni.
Sepolti con la donna sono stati rinvenuti diversi oggetti del corredo fu-
nebre, tutti posti sulla cima della pira su cui la giovane è stata bruciata, tra
cui spiccano quattro lucerne, una delle quali mostra un gladiatore Sannita
seduto 73, che indossa il suo elmo piumato, mentre le altre tre raffigurano il
71
V. N. BATEMAN, Gladiators at Guildhall, Londra, 2000.
72
Cfr. M. STRUCK, Romerzeithiche Graber als Quellen zu Religion, Bevolkerungsstruktur
und Sozialgeschichte, in Archaologische Schriften des Instituts fur Vor-Fruhgeschichte der
Iohannes Gutenburg – Universitat Mainz, Band 3, 1993.
73
A. MACKINDER, op. cit., 33: “The discus shows a fallen gladiator, a Samnite, wearing a
crested helmet, sword in right hand, his left arm raised to his face, with his shield in front of
him”. Per il gladiatore di tipo sannita, cfr. C. DAREMBERG, E. SAGLIO, Dictionnaire, cit.; A.
HONLE, A. HENZE, Romische Amphitheatre und Stadien, Freiburg, 1981, 24.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 185
dio egizio Anubi, che controllava l’ingresso nel mondo dei defunti, che ri-
manda al culto di Iside, diffuso soprattutto tra le donne e che è tradizio-
nalmente associato al greco Hermes ed al romano Mercurio Psychopompus,
l’accompagnatore delle anime nell’aldilà.
Quest’ultimo, nella rappresentazione rituale dell’arena, è colui che con-
duce le anime e trasporta i morti fuori dalla Porta Libitina, l’ingresso attra-
verso il quale venivano fatti uscire i gladiatori caduti in combattimento.
Quando un gladiatore veniva ucciso, degli schiavi entravano nell’arena ab-
bigliati come Mercurio Psychopompus, guida delle anime negli inferi, e
conducevano i corpi nello spoliarium.
Il culto di Isis (in cui Anubi gioca il suo ruolo) si diffuse rapidamente
nell’impero, e suscitò interesse soprattutto fra le donne 74.
Riguardo al sepolcro della gladiatrice, si è per l’appunto ipotizzato che
nella sepoltura vi fosse una prova indiretta, oltre che di un indiscutibile ri-
to di origine orientale, proprio del culto di Isis 75.
Tornando al corredo funebre, in particolare alle condizioni di ritrova-
mento, va precisato che gli oggetti sono stati rinvenuti non bruciati, sebbe-
ne collocati in cima alla pira. Tale collocazione, ed il fatto che essi non re-
cassero tracce d’uso, ha fatto ipotizzare che costituissero più che altro un
equipaggiamento per l’aldilà 76.
La funzione doveva dunque essere prevalentemente simbolica ed iscrit-
ta nel contesto di un complesso rituale funebre, in cui si definisce anche il
ruolo degli altri resti rinvenuti: pigne e pinoli (l’unico posto della Londra
romana dove trovare le pigne era l’anfiteatro, dove venivano arse per co-
prire gli odori spesso nauseabondi che da lì provenivano), frammenti di ve-
tro, nonché residui di un pasto comprendente pollo, pane, datteri, fichi e
mandorle.
La tipologia del corredo funebre – in particolare la raffigurazione del
gladiatore su una delle lucerne – nonché il significato simbolico, connesso
al mondo della gladiatura di Anubi, ed i resti arsi di pigne, oltre a conferire
una assoluta originalità alla sepoltura, hanno sin da subito fatto ipotizzare
che i resti rinvenuti appartenessero ad una donna gladiatrice, probabil-
mente – come detto – anche adepta del culto di Iside.
Tutto, nella sepoltura, indica che dovette essersi verificato un rito fune-
74
Cfr. C. JOLMS, “Isis, not Cybele: a bone hairpin from London”, in J. BIRD, M. HASSALL,
H. SHELDON, Interpreting Roman London, Londra, 1996.
75
A. WARDLE, apud A. MACKINDER, op. cit., 27-28.
76
A. MACKINDER, op. cit., 28.
186 Carla Ricci
77
Si veda A. MACKINDER, “A Romano-British Cemetery on Watling Street – Excavations
at 165 Great Dover Street, Southwark, London, MOLAS, Londra, 2000 e N. BATEMAN,
Gladiators, cit.
78
Cfr. A. MACKINDER, op. cit. e N. BATEMAN, op. cit. Le considerazioni sopra esposte
sono state redatte tenendo conto delle riflessioni emerse durante gli incontri avuti presso il
Musem of London Archaeology Service (oggi MOLA) con il Dr. Bateman, che ha curato
gli scavi e svolto diversi studi sulla sepoltura.
Amant quos multant. La passione per l’arena in un senatoconsulto del 19 d.C. 187
79
V. A. PASQUALINI, Passione e repulsione, cit., 51 ss.
80
Così M. MALAVOLTA, Auctoramentum, cit., 70.
81
V. M. MALAVOLTA, op. ult. cit., 71.
82
V. A. MAGDELAIN, Ius Imperium Auctoritas, in Etudes de droit romain, Collection de
l’Ecole francaise de Rome, 133, Rome, 1990; C. LANZA, Auctoritas principis, I, Milano,
1996, L. FANIZZA, Autorità e diritto. L’esempio di Augusto, Roma, 2004.
188 Carla Ricci
83
Tale ruolo, per le donne, si traduceva nel rispettare il modello di moglie sottomessa e
fedele, di madre laboriosa e feconda, compensato da alcune libertà e da un rispetto sociale
particolarmente intenso. In letteratura, si vedano, a mero titolo esemplificativo, tra i nume-
rosi contributi sul tema, E. CANTARELLA, Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sul-
picia, Milano, 1996; EAD., Figlie romane, in L. ACCATI, M. CATTARUZZA, M. VERZAR BASS (a
cura di), Padre e figlia, Torino, 1994; C. PETROCELLI, La stola e il silenzio. Sulla condizione
femminile nel mondo romano, Palermo, 1989; F. GESTRI GRECO, Le donne di Roma antica:
le vergini Vestali e le altre, Firenze, 2000; S. TREGGIARI, Women in Roman Society, I, Clau-
dia, Women in ancient Rome, New Haven, 1996; J.F. GARDENER, Woman in Roman Law
and Society, Blooming-Indanapolis, 1986; A. RICHLIN, Julia’s Jokes, Galla Placidia and the
Roman Use of Women as Political Icons, in STEREOTYPES OF WOMEN IN POWER, Historical
Perspectives and Revisionist Views, Westport, 1992; F. SAMPOLI, Le grandi donne di Roma
antica, Roma, 2011; F. CENERINI, La donna romana, modelli e realtà, Bologna, 2011.
Ludi gladiatori e crimen ambitus 189
1. Il ‘crimen ambitus’
1
Sulle leggi tabellarie, si rinvia a F. SALERNO, ‘Tabella quasi vindex libertatis’, Napoli,
2001; e con riferimento all’insieme delle disposizioni volte a garantire il regolare svolgi-
mento delle operazioni di voto e delle campagne elettorali a T. WALLINGA, ‘Ambitus’ in the
Roman Repubblic, in RIDA, 41, 1994, 422.
2
Tra la vasta bibliografia si segnalano: U. COLI, voce ‘Ambitus’, in NNDI, 1.1, Torino,
190 Margherita Scognamiglio
1957, 534 ss.; E.S. GRUEN, The last Generation of the Roman Republic, Berkeley-Los Ange-
les-London, 1974, 212 ss.; L. FASCIONE, ‘Crimen’ e ‘quaestio ambitus’ nell’età repubblicana.
Contributo allo studio del diritto criminale romano, Milano, 1984; A. LINTOTT, Electoral
Bribery in the Roman Repubblic, in JRS, 80, 1990, 1 ss.; T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 411
ss.; J.L. FERRARY, La legislation ‘de ambitu’, de Sulla à Auguste, in AA.VV., ‘Iuris Vincula’.
Studi in Onore di Mario Talamanca, III, Napoli, 2001, 159 ss.; A. TRISCIUOGLIO, Studi sul
‘crimen ambitus’ in età imperiale, Torino, 2017.
3
Sul valore dei termini ambire, ambitio e ambitus, si veda da ultimo A. TRISCIUOGLIO,
Studi, cit., 20 ss.
4
Liv. 40.19.11.
5
Liv. Per. 47.
6
L’annalistica ricorda anche provvedimenti precedenti, ma si trattò di interventi del
tutto sporadici e occasionali, il cui contenuto e la cui finalità non risultano sempre chiari.
Così, possiamo ricordare una lex de ambitu del 432 a.C. (Liv. 4.25.13-14; Isid. Orig.
19.24.6), la quale sembra abbia proibito ai candidati di indossare vesti imbiancate, e una
lex Poetelia del 358 a.C. (Liv. 7.15.12), che vietò di circolare per i mercati con l’intento di
accaparrare voti. Su questi provvedimenti di epoca risalente si veda in particolare: L. FA-
SCIONE, Alle origini della legislazione ‘de ambtu’, in F. SERRAO (a cura di), Legge e società
nella repubblica romana, I, Napoli, 1981, 255 ss.; A. LINTOTT, Electoral Bribery, cit., 3 s.; T.
WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 414 ss.
7
Pol. 6.56.4.
8
Sul contenuto di queste due leggi si rinvia a A. BERGER, voce ‘Lex Cornelia Baebia de
ambitu’, in PWRE, 12.2, Stuttgart, 1925, 2344; ID., voce ‘Lex Cornelia Fulvia de ambitu’, in
PWRE, 12.2, cit., 2344 ss.; U. COLI, voce ‘Ambitus’, cit., 534; L. FASCIONE, ‘Crimen’, cit.,
27 ss.; A. LINTOTT, Electoral Bribery, cit., 5; T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 420 ss.; B. SAN-
2
TALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma , Milano, 1998, 69 s.
9
Plut. Mar. 5.2-10; Val. Max. 6.9.14.
10
Sul processo contro Mario si rinvia a E.S. GRUEN, Roman Politic and the Criminal
Ludi gladiatori e crimen ambitus 191
Courts. 149-78 B.C., Cambridge, 1968, 123 ss.; A.H.M. JONES, The criminal Courts of the
Roman Republic and Principate, Oxford, 1972, 52 ss.; L. FASCIONE, ‘Crimen’, cit., 51 ss.; D.
MANTOVANI, Il problema d’origine dell’accusa popolare, Padova, 1989, 212 ss.; A. LINTOTT,
Electoral Bribery, cit., 6; T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 423.
11
In particolare T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 423. Non condivisibile mi sembra la teo-
ria proposta da L. FASCIONE, ‘Crimen’, cit., 51 ss., il quale sostiene che la prima quaestio
perpetua de ambitu fosse stata creata dalla lex Cornelia Fulvia e che dunque i riferimenti ad
una lex Cornelia de ambitu istitutiva della corte permanente per i brogli elettorali non ri-
guardassero la legge sillana (che secondo Fascione non fu mai promulgata), bensì, appun-
to, la lex Cornelia Fulvia. La tesi è stata contestata in modo particolare da B. SANTALUCIA,
Diritto, cit., 127, nt. 76, 144 s., nt. 124; e da J.L. FERRARY, La legislation, cit., 162, alle cui
argomentazioni rinvio.
12
In questo senso, A. LINTOTT, Electoral Bribery, cit., 6; B. SANTALUCIA, Diritto, cit.,
127 e nt. 76. Altri processi de ambitu svolti dinanzi a una quaestio verosimilmente non
permanente sono documentati nel 116 a.C. (Cic. Brut. 113; Cic. de orat. 2.280), nel 98 a.C.
(Cic. de orat. 2.274), nel 92 a.C. (Flor. 2.5) e nel 90 a.C. (Cic. Brut. 180). Contra: E.S.
GRUEN, Roman Politic, cit., 260 s.; J.L. FERRARY, La legislation, cit., 163, che data la prima
quaestio perpetua de ambitu al 116 a.C.
13
A. BERGER, voce ‘Lex Cornelia de ambitu’, in PWRE, 12.2, cit., 2344; U. COLI, voce
‘Ambitus’, cit., 534; W. KUNKEL, voce ‘Quaestio’, in PWRE, 24, Stuttgart, 1963, 744 ss.,
ora in ID., Kleine Schriften, Weimar, 1974, 61 ss.; L. FASCIONE, ‘Crimen’, cit., 47 ss.; A.
LINTOTT, Electoral Bribery, cit., 7 s.; T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 425; B. SANTALUCIA, Di-
ritto, cit., 144.
14
Schol Bob. 9, 28-10, 3 (H.).
15
Cic. Corn. 1.40-41; Dio Cass. 36.38.4.
192 Margherita Scognamiglio
16
Cic. Mur. 46; Cic. Corn. 1.25; Ascon. 69.11-13 (Cl.); Ascon. 88.15-16 (Cl.); Schol.
Bob. 9, 25-28 (H.); Dio Cass. 36.38.1. In letteratura: A. BERGER, voce ‘Lex Calpurnia de
ambitu’, in PWRE, 12.2, cit., 2338; E.S. GRUEN, The last Generation, cit., 213 ss.; L.
FASCIONE, ‘Crimen’, cit., 66 ss.; T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 425 ss.; B. SANTALUCIA, Dirit-
to, cit., 154; J.L. FERRARY, La legislation, cit., 167 s.
17
Ascon. 75.24-76.2 (Cl.).
18
T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 427; J.L. FERRARY, La legislation, cit., 169, il quale di-
scute la datazione del provvedimento, affermando che permane il dubbio circa l’anno della
sua promulgazione.
19
Cic. Mur. 71; Plut. Cato min. 8.4.
20
A. BERGER, voce ‘Lex Calpurnia de ambitu’, in PWRE, 12.2, cit., 2416; E.S. GRUEN,
The last Generation, cit., 222 ss.; L. FASCIONE, ‘Crimen’, cit., 72; T. WALLINGA, ‘Ambitus’,
cit., 427 s.; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 154; J.L. FERRARY, La legislation, cit., 172 ss.
21
Dio Cass. 37.29.1; Cic. pro Mur. 89; Cic. pro Planc. 83.
22
Cic. pro Mur. 47.
Ludi gladiatori e crimen ambitus 193
Cic. pro Mur. 72: … Quod enim tempus fuit aut nostra aut patrum nostrorum
memoria quo haec sive ambitio est sive liberalitas non fuerit ut locus et in circo
et in foro daretur amicis et tribulibus? …
Cic. pro Mur. 74: … Horribilis oratio; sed eam usus, vita, mores, civitas ipsa re-
spuit … 75. Qua re noli, Cato, maiorum instituta quae res ipsa, quae diuturnitas
imperi comprobat nimium severa oratione reprehendere …
Cic. pro Mur. 77: … Qua re nec plebi Romanae eripiendi fructus isti sunt ludo-
rum, gladiatorum, conviviorum, quae omnia maiores nostri comparaverunt, nec
23
Cic. pro Mur. 47.
24
T. WALLINGA, ‘Ambitus’, cit., 428.
25
Cic. pro Sest. 133, 135; Cic. in Vat. 37; Schol. Bob. 105, 14-18 (H.).
26
Cic. pro Mur. 67.
194 Margherita Scognamiglio
candidatis ista benignitas adimenda est quae liberalitatem magis significat quam
largitionem.
Cic. de off. 2.16.56: Itaque miror, quid in mentem venerit Theophrasto, in eo li-
bro, quem de divitiis scripsit, in quo multa praeclare, illud absurde: est enim mul-
tus in laudanda magnificentia et apparitione popularium munerum taliumque
sumptuum facultatem fructum divitiarum putat. Mihi autem ille fructus liberali-
tatis, cuius pauca exempla posui, multo et maior videtur et certior. Quanto Ari-
stoteles gravius et verius nos reprehendit, qui has pecuniarum effusiones non
admiremur, quae fiunt ad multitudinem deleniendam … 27.
27
Il tema è affrontato in modo particolare da A. BOTTIGLIERI, La legislazione sul lusso
nella Roma repubblicana, Napoli, 2002, part. 58 ss., 132 ss.; C. VENTURINI, ‘Leges sumptua-
riae’, in ID., Studi di diritto delle persone e di vita sociale in Roma antica, a cura di A. PAL-
MA, Napoli, 2014, 569 ss.; A. TRISCIUOGLIO, Studi, cit., 32.
28
In questo senso: G.L. GREGORI, Aspetti sociali della gladiatura romana, in ID., ‘Ludi’ e
‘munera’. 25 anni di ricerche sugli spettacoli d’età romana, Milano, 2011, 15; P. PASQUINO,
Gli edifici per spettacoli in Roma antica quali ‘res publicae’, in L. GAROFALO (a cura di), I
beni di interesse pubblico nell’esperienza giuridica romano, II, Napoli, 2016, 83, nt. 4.
Ludi gladiatori e crimen ambitus 195
Cic. pro Mur. 72: At spectacula sunt tributim data et ad prandium volgo
vocati …
Cic. pro Mur. 67: … Dixisti senatus consultum me referente esse factum, si mer-
cede obviam candidatis issent, si conducti sectarentur, si gladiatoribus volgo locus
tributim et item prandia si volgo essent data, contra legem Calpurniam factum
videri. Ergo ita senatus iudicat, contra legem facta haec videri, si facta sint; de-
cernit quod nihil opus est, dum candidatis morem gerit. Nam factum sit necne
vehementer quaeritur; sin factum sit, quin contra legem sit dubitare nemo potest.
29
C.J. CLASSEN, Diritto, retorica, politica, trad. it., Bologna, 1985, 123 ss.
30
Cic. pro Mur. 1-10.
31
C.J. CLASSEN, Diritto, cit., 168 s.
196 Margherita Scognamiglio
Cic. pro Mur. 72: … Etsi hoc factum a Murena omnino, iudices, non est, ab eius
amicis autem more et modo factum est …
Cic. pro Mur. 73: Senatus num obviam prodire crimen putat? Non, sed mercede.
Convince. Num sectari multos? Non, sed conductos. Doce. Num locum ad spec-
tandum dare aut <ad> prandium invitare? Minime, sed volgo, passim. Quid est
volgo? Vniversos. Non igitur, si L. Natta, summo loco adulescens, qui et quo
animo iam sit et qualis vir futurus sit videmus, in equitum centuriis voluit esse et
ad hoc officium necessitudinis et ad reliquum tempus gratiosus, id erit eius vitrico
fraudi aut crimini, nec, si virgo Vestalis, huius propinqua et necessaria, locum
suum gladiatorium concessit huic, non et illa pie fecit et hic a culpa est remotus.
Omnia haec sunt officia necessariorum, commoda tenuiorum, munia candidato-
rum.
Cic. pro Mur. 77: … Qua re nec plebi Romanae eripiendi fructus isti sunt ludo-
rum, gladiatorum, conviviorum, quae omnia maiores nostri comparaverunt, nec
candidatis ista benignitas adimenda est quae liberalitatem magis significat quam
largitionem.
32
Così, C.J. CLASSEN, Diritto, cit., 173 s.
Ludi gladiatori e crimen ambitus 197
lare. Cicerone si era dovuto giustificare per aver assunto la difesa di Mure-
na, pur essendo stato promotore della lex de ambitu che portava il suo no-
me. Ebbene, proprio quel ruolo diviene per Cicerone un argomento per
rafforzare l’interpretazione dei fatti e delle disposizioni normative che sta-
va per proporre alla giuria. Un’asserzione, dunque, che si presenta quasi
alla stregua di un’interpretazione autentica: “ho perseguito il broglio e non
l’innocenza” 33.
Cic. pro Sest. 133: … Acta mea sibi ait displicere. Quis nescit? qui legem meam
contemnat, quae dilucide vetat gladiatores biennio quo quis petierit aut petiturus
sit dare. 135. … Sed habet defensiones duas, primum “do,” inquit, “bestiarios; lex
scripta de gladiatoribus.” Festive! Accipite aliquid etiam acutius. Dicet se non
gladiatores sed unum gladiatorem dare et totam aedilitatem in munus hoc
transtulisse. Praeclara aedilitas! unus leo, ducenti bestiarii. Verum utatur hac
defensione; cupio eum suae causae confidere …
Cic. in Vat. 37: Atque illud etiam audire (de) te cupio, qua re, cum ego legem de
ambitu tulerim ex senatus consulto, tulerim sine vi, tulerim salvis auspiciis,
tulerim salva lege Aelia et Fufia, tu eam esse legem non putes, praesertim cum
ego legibus tuis, quoquo modo latae sunt, paream; cum mea lex dilucide vetet
BIENNIO QUO QUIS PETAT PETITURUSVE SIT GLADIATORES DARE NISI EX
TESTAMENTO PRAESTITUTA DIE, quae tanta in te sit amentia ut in ipsa petitione
gladiatores audeas dare? Num quem putes illius tui certissimi gladiatoris similem
tribunum plebis posse reperiri qui se interponat quo minus reus mea lege fias?
Schol. Bob. 105, 14-18 (H.): Praescribebatur enim inter cetera, ne candidatus
inter biennium quam magistratus petiturus esset, munus populo ederet, propter
ambitum scilicet, ne hoc ipso popularis animus eblanditus designationi eius
succumberet.
33
Interessanti osservazioni sul confine tra lecito e illecito, proprio a proposito dell’am-
bitus, possono leggersi in F. LUCREZI, La corruzione elettorale nel ‘Commentariolum peti-
tionis’, in Fundamina, 17.2, 2011, 83 ss., in part. 97 ss.
198 Margherita Scognamiglio
34
M.C. ALEXANDER, Trials in the Late Roman Republic, 149 BC to 50 BC, Toronto-
Buffalo-London, 1990, 133 s., n. 274.
35
La controversia sembra costituire perciò un caso di qualitas iuridicialis absoluta, su
cui si veda L. CALBOLI MONTEFUSCO, La dottrina degli ‘status’ nella retorica greca e romana,
Hildesheim-Zürich-New York, 1986, 108 ss.
36
Sul punto si veda G. VILLE, La Gladiature en Occident des origines à la mort de Domi-
tien, Rome, 1981, 55 s.
Ludi gladiatori e crimen ambitus 199
Cic. pro Sest. 135: … Dicet se non gladiatores, sed unum gladiatorem dare … 38.
Egli, quindi, fu ben attento a non utilizzare mai il termine venatio e a ri-
condurre, invece, alla categoria dei munera ogni spettacolo al quale avessero
partecipato dei gladiatori, indipendentemente dal ruolo da essi rivestito 39.
37
Discussione delle fonti in G. VILLE, La Gladiature, cit., 57 ss., e, relativamente al caso
di Vatinio, 64 s., 82 ss.
38
Su questo punto si veda G. VILLE, La Gladiature, cit., 64.
39
Sull’impiego da parte di Cicerone della topica argomentativa caratteristica delle con-
troversie di scriptum et voluntas, si rinvia a M. SCOGNAMIGLIO, Tra retorica e diritto: alcuni
esempi di interpretazione delle ‘leges iudiciorum publicorum’ nelle orazioni di Cicerone, in B.
200 Margherita Scognamiglio
Scol. Bob. 105, 21-29 (H.): Cum Vatinius invidiam sibi magnam conflasset de
apparatu gladiatorum, simulaverat se bestiarios potius habere quam gladiatores et
unum gladiatorem confitebatur, cui nomen Leoni fuit. Hanc igitur stultitiam M.
Tullius inridens unum leonem dicit, ducentos bestiarios, id est venatores; sine
dubio volens intellegi omnem hanc manum gladiatoriam seditionis causa compa-
ratam. Hoc etiam dictum de Leone Tullius Tiro, libertus eiusdem, inter iocos
Ciceronis adnumerat.
Cic. pro Mur. 72: … tamen admonitus re ipsa recordor quantum hae conquestio-
nes in senatu habitae punctorum nobis, Servi, detraxerint …
SANTALUCIA (a cura di), La repressione criminale nella Roma repubblicana fra norma e per-
suasione, Pavia, 2009, 273 ss.
Indice delle fonti 201
Marius
5.2: 190 nt. 9
FONTI LETTERARIE
5.3: 190 nt. 9
5.4: 190 nt. 9
1. FONTI GRECHE 5.5: 190 nt. 9
5.6: 190 nt. 9
Aeschilus 5.7: 190 nt. 9
Agamemnon 5.8: 190 nt. 9
191: 14 nt. 45 5.9: 190 nt. 9
192: 14 nt. 45 5.10: 190 nt. 9
193: 14 nt. 45
194: 14 nt. 45 Pompeus
52: 89 nt. 33
Cassius Dio
Historia Romana Polybius
36.38.1: 192 nt. 16 Historiae
36.38.4: 191 nt. 15 6.56.4: 190 nt. 7
37.29.1: 192 nt. 21
43.23.5: 175 nt. 44, 175 nt. 45 Sophocles
51.22.4: 176 nt. 48 Philoctetes
53.1.4: 176 nt. 48 895: 18 nt. 63
54.2.5: 176 nt. 49
55.2: 160 nt. 9
55.10.11: 177 nt. 50, 179 nt. 54 2. FONTI LATINE
55.13.6: 179 nt. 53
56.25.7: 177 nt. 51 Apuleius
56.25.8: 177 nt. 51 Apologia
62.8: 182 nt. 63 89: 85 nt. 15
62.17.3: 133 nt. 18, 182 nt. 63
62.17.4: 133 nt. 18, 182 nt. 63 Asconius
67.8.3: 133 nt. 19 Orationes Ciceronis quinque enarratio
67.8.4: 133 nt. 19 (Clark)
76.16.1: 133 nt. 20, 182 nt. 66 69.11: 192 nt. 16
69.12: 192 nt. 16
Dionysius Halicarnassensis 69.13: 192 nt. 16
Antiquitates Romanae 75.24: 85 nt. 15
6.95: 129 nt. 14 76.2: 158 nt. 17
206 Indice delle fonti
Philosophica 2.1.6: 21
De legibus 2.7.17: 18 nt. 62
2.24.61: 129 nt. 15 3.12.1: 6 nt. 18
3.12.2: 6 nt. 18
De natura Deorum 3.12.3: 6 nt. 18
3.30.74: 170 nt. 27 3.24.58: 13 nt. 38, 97 nt. 6
De officiis Epistulae
1.150: 179 nt. 57 2.1.145-155: 5 nt. 11
2.16.56: 194
Saturae
De senectute 1.6.72: 127
16.58: 19 2.7.17: 18 nt. 62
2.7.58: 172 nt. 30
Rhetorica 2.7.59: 172 nt. 30
Brutus
113: 191 nt. 12 Isidorus Hispaliensis
180: 191 nt. 12 Etymologiae (Origines)
19.24.6: 190 nt. 6
De oratore 60.1: 13
1.45.200: 49 nt. 36 63.1: 15
2.216: 9 nt. 28
2.274: 191 nt. 12 Juvenalis
2.280: 191 nt. 12 Saturarum libri
1.88: 73 nt. 14
Cyprianus Carthaginensis 1.89: 73 nt. 14, 82 nt. 5
Ad Donatum 1.90: 73 nt. 14, 82 nt. 5
1.6: 135 1.91: 73 nt. 14, 82 nt. 5
1.92: 73 nt. 14, 82 nt. 5
Festus grammaticus 1.93: 82 nt. 5
De verborum significatu 2.143: 144 nt. 11
cum Pauli epitome (Lindsay) 2.144: 144 nt. 11
s.v. Tippula (L 127): 164 nt. 18 2.145: 144 nt. 11
s.v. Quadruplatores (L 309): 85 nt. 15 2.146: 144 nt. 11
2.147: 144 nt. 11
Florus 2.148: 144 nt. 11
Epitoma 2.7.95: 143 nt. 8
2.5: 191 nt. 12 5.5.13: 141 nt. 4
6: 143 nt. 7
Horatius 6.82: 180 nt. 58
Carmina (Odes) 6.83: 180 nt. 58
1.33.11: 5 nt. 14 6.84: 180 nt. 58
1.33.12: 5 nt. 14 6.85: 180 nt. 58
208 Indice delle fonti
Domitianus Varro
4: 133 nt. 19, 147 nt. 20, 168 nt. 23, De re rustica
182 nt. 65 1.4: 14 nt. 45
21: 82 nt. 5 1.5: 14 nt. 45
1.6: 14 nt. 45
Tacitus 1.7: 14 nt. 45
Annales 1.8: 14 nt. 45
1.15: 129 nt. 14 1.9: 14 nt. 45
2.85.1: 122, 122 nt. 5, 156, 163 1.10: 14 nt. 45
2.85.2: 156, 163 1.11: 14 nt. 45
2.85.3: 157, 163 1.12: 14 nt. 45
14.41: 165 nt. 21 1.13: 14 nt. 45
15.32: 133 nt. 18, 1.14: 14 nt. 45
1.15: 14 nt. 45
De origine et situ Germanorum 1.16: 14 nt. 45
24: 19 1.17: 14 nt. 45
24.2: 82 nt. 5 1.18: 14 nt. 45
212 Indice delle fonti
Gli Autori