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Tempo di Quaresima – I

Ufficio delle Letture


LETTURE PATRISTICHE

Terza Settimana di Quaresima


LA LOTTA CONTRO L’IDOLATRIA
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DOMENICA
Rivestite l'uomo nuovo!

Dai Discorsi sulla Quaresima di Pier Lombardo (24)


Fratelli, vegliate per Dio e pregatelo, per non entrare in
tentazione (cf. Mt 26,41 e par.)! Scuotete il sonno dai vostri
occhi, sfregando le palpebre dei vostri cuori con le buone
opere! Alzatevi, voi che giacete, come dice l'Apostolo:
Alzati, tu che dormi, sorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà (Ef 5,14)!
Finora, fratelli, avete dormito molto, finora siete stati pigri,
finora vi siete lasciati andare nelle voluttà dei vizi. Per questo
l'Apostolo chiama ciascuno di noi dicendo: "O tu che dormi
nel letto dei vizi, che ti rigiri nella negligenza e che vivi nella
confusione per la tua dimenticanza di Dio, alzati mediante la
conversione, distenditi nel tuo intimo, disprezza le cose
mondane, odia i vizi e sorgi mediante la confessione della
bocca, e la testimonianza del comportamento, per uccidere
in te l'uomo vecchio e rivestire l'uomo nuovo", come esorta
l'Apostolo quando dice: Deponete l'uomo vecchio con le sue azioni e
rivestite l'uomo nuovo, creato secondo Dio (Col 3,9). Vale a dire:
spogliatevi della forma dell'uomo terreno e vecchio e
rivestite l'uomo nuovo... Sorgi dunque dai morti, cioè dai
peccati, tu che giaci come un morto fra i morti, e Cristo ti
illuminerà, perché tu possa vederlo al presente come in uno
specchio e in enigma, e in futuro faccia a faccia (cf. 1Cor
13,12) ...
Alzatevi dunque, fratelli, da tale sonno pericoloso e
mortifero! Ritornate, o prevaricatori, al cuore (Is 46,8) e
seguite il consiglio del profeta Ezechiele, anzi dello Spirito
santo, con cui esso ci esorta dicendo: Convertitevi e fate
penitenza di tutte le vostre iniquità; un cuore nuovo e uno
spirito nuovo, e non morirete - dice il Signore - poiché non
voglio la morte di chi muore, cioè del peccatore. Ritornate,
dunque, e vivrete (Ez 18, 30-32).
Considerate, fratelli, quanto siano grandi la misericordia e la
pazienza del nostro Redentore, il quale ogni giorno

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ammonisce incessantemente ad alzarci noi che cadiamo, e
richiama sulla via coloro che se ne vanno errando. Noi lo
abbiamo abbandonato, ma lui non abbandona noi, che ha
redento. Egli ci ha fatti suoi servi, e come segno del suo
servizio ci ha dato un nome dal suo Nome. E noi cosa
abbiamo fatto ? Anche se noi vogliamo tacere, Mosè grida: Il
popolo amato si è ingrassato e ha recalcitrato, si è
rimpinzato, dilatato, ha abbandonato Dio, suo creatore, e si
è allontanato da Dio, suo salvatore (Dt 32,15). Infatti, pur
avendogli dato tutti i beni, esso, ingrassato con i beni di Dio
e diventato insolente, ha recalcitrato contro Dio, ha
abbandonato colui che lo aveva fatto e salvato, ha violato il
patto che aveva stabilito con il suo Creatore, al quale nel
battesimo aveva promesso di rinunciare a Satana e a tutte le
sue seduzioni. Ma ecco, avete fatto le opere di Satana e,
abbandonato Dio, a Satana avete aderito.
Perciò la madre chiesa, oggi, con paterna severità corregge
noi e altri suoi figli nei quali essa ha percepito che vi è stato
un danno, per poterli radunare con materna compassione
dopo averli riplasmati con la medicina della misericordia.
Essa invita coloro che sono feriti a mostrare le loro piaghe,
perché non avvenga che, se non sono mostrate e curate,
vadano in cancrena. E per coloro che le mostrano stabilisce
diversi generi di cure, affinché, secondo la qualità e la
grandezza delle ferite, siano applicati appositi rimedi
medicinali.

LUNEDÌ
Lo Spirito sostiene la nostra conversione

Dai Discorsi sulla Quaresima di Pier Lombardo (21)


Convertitevi, figli, ritornando [à me] - dice il Signore - poiché io sono il
vostro Sposo. E vi prenderò, uno dalla città e due da ciascuna famiglia,
e vi introdurrò in Sion (Ger 3,14).

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Non è un consiglio d'uomo, ma dello Spirito santo, il quale
attraverso il profeta Geremia ci esorta alla conversione e ci
promette di prenderci e di introdurci in Sion.
E tuttavia è molto difficile ciò che esso ci propone, è
pesante ciò a cui cerca di persuaderci, cioè di convertirci
ritornando al Signore. Molte cose, infatti, ostacolano la
nostra conversione, e si presentano a noi molti impedimenti
che non lasciano respirare in libertà l'animo avvinto nei
peccati.
Ma tutte le difficoltà vengono infrante se abbiamo come
guida lo Spirito, che con la sua grazia settiforme respinge i
sette ostacoli che cercano di dissuadere l'animo dalla
conversione. Liberarsi da essi e sfuggire ai loro affanni non è
proprio della capacità umana, ma della grazia divina.
Questi sono i sette spiriti malvagi che lo spirito impuro,
uscendo dall'uomo e vagando per luoghi aridi e deserti e non
trovando riposo, prende e con l'aiuto dei quali rivendica il
possesso della casa da cui era uscito (cf. Lc 11,24-26). Questi
sono i sette demoni che il Signore scacciò da Maria
Maddalena (cf. Lc 8,2) e i sette popoli che possedevano la
terra che era stata promessa ai figli di Israele (cf. Dt 7,1).
Lo spirito impuro ha, infatti, molte derivazioni. Le sue prime
derivazioni sono i sette vizi capitali, più malvagi di tutti gli
altri. Vale a dire: la vanagloria, l'ira, l'invidia, l'acedia,
l'avarizia, la gola, la lussuria. La vanagloria gonfia, l'ira turba,
l'invidia consuma, l'acedia prostra, l'avarizia punge e
sollecita, la gola piega e disonora, la lussuria macchia e
inquina.
Queste sette passioni, questi sette spiriti malvagi rivendicano
negli uomini, cioè nelle anime, le loro dimore, nelle quali
non possono abitare insieme alle virtù, poiché non vi è
nessuna intesa fra luce e tenebre (cf. 2 Cor 6,14). Un'anima
presa da tutti questi vizi non può allontanarsi dallo spirito
impuro ed essere strappata da questi sette spiriti peggiori di
tutti gli altri se lo Spirito del Signore, che è buono, con la sua
grazia settiforme non la aiuta a giungere a una liberazione

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spirituale. E ciò in maniera tale che le sante virtù, quali veri
figli di Israele, dopo aver messo in fuga e aver vinto le sette
malvagità spirituali, simboleggiate dai sette popoli nemici, e
dopo averle espulse dalla terra dell'animo umano, entrino in
possesso dei loro territori.
Non manchiamo, perciò, di fiducia, non disperiamo, poiché
lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26). Egli
infatti, per mezzo del profeta, ci dice che ormai siamo figli e
amici e che, rigenerati dalla sua grazia, non siamo più servi,
poiché, come testimonia l'Apostolo, non siamo più servi, ma
figli (cf. Ef 2 1 9) . Cristo infatti dice: Non vi chiamo più servi,
ma miei amici, poiché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io
vi ho chiamati amici perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l'ho
fatto conoscere a voi (Gv 15,15), vale a dire tutto ciò che doveva
esserci reso noto. Non tutto, infatti, essi erano in grado di
comprendere. E noi siamo figli, non servi, se siamo guidati
dallo Spirito di Dio, come dice l'Apostolo: Coloro che sono mos-
si dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio (Rm 8,14). E non è
poco essere figli di Dio, poiché se siamo figli siamo anche eredi,
eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rm 8,17). Ma non possiamo
ottenere ciò se non ci convertiamo e non ritorniamo al
Signore.

MARTEDÌ
Il digiuno gradito a Dio

Dall’Omelia sulla Quaresima di Massimo di Torino


Come attesta la pagina [del vangelo], Satana condusse Gesù
su un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo,
dicendogli: "Tutte queste cose ti darò se, prostrandoti, mi
adorerai" (Mt 4,8-9). Come fallace ingannatore, egli offre ciò
che non ha, e come veramente cieco promette al Signore dei
cieli i regni della terra.
Tutte queste cose - dice - ti darò se, prostrandoti, mi
adorerai. Veramente si prostra e cade colui che ottiene gli

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onori del mondo non per dono di Dio, ma al cenno del
diavolo.
Ma il Signore gli risponde: Vattene, Satana! Sta scritto infatti: il
Signore tuo Dio adorerai e lui solo servirai (Mt 4,10). Il tentatore
giunse fino a questo: a chiedere al Figlio di Dio, degno di
adorazione, di adorarlo, pensando che il Cristo, che non
aveva potuto essere ingannato mediante il suggerimento
menzognero della propria lode 1, si consegnasse a colui che
lo metteva alla prova attraverso l'indignazione per l'offesa
fattagli.
Ma il fortissimo combattente, che per la nostra vita e la
nostra libertà conduceva la sua nuova guerra contro il
tiranno, non venne né spezzato da una carezzevole
adulazione, né smosso da durissime ingiurie, ma rispose a
tutte le tentazioni del nemico in maniera tale che egli non
potesse rapire, nell'unico Dio e uomo, il sacramento del
celeste mistero.
Perciò, fratelli, seguendo l'esempio della lotta e della vittoria
del Signore e guardandoci dalle insidie del diavolo (cf. Ef
6,11), celebriamo il nostro digiuno, gradito a Dio, dei
quaranta giorni. Allora, infatti, potremo vincere gli inganni
dell'avversario: se con preghiere incessanti e con digiuni puri
domiamo i vizi del corpo o purifichiamo il nostro cuore da
ogni vanità e ambizione, come dice lo stesso Salvatore:
Questo genere di demoni non si scaccia se non con i digiuni e la
preghiera (Mt 17,21).
Digiuna bene, poi, chiunque nutre la propria fame con la
sazietà del povero da lui nutrito; digiuna bene colui che, al
ricordo del digiuno del Signore, si trattiene, frenandosi, da
ogni piacere seducente; digiuna bene colui che tratta con
austerità la propria carne, che pullula dei germogli dei vizi,
mediante la meditazione delle sante virtù e l'amore della
sobrietà; digiuna bene colui che, con la dolcezza di un cuore
portatore di pace, perdona le offese infertegli dal fratello;

1L'autore si riferisce alle altre due precedenti tentazioni, nel medesimo


episodio.

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compie un digiuno graditissimo a Dio colui che custodisce la
propria mente dai pensieri cattivi, gli occhi dalla
concupiscenza (cf. 1Gv 2,16) e la lingua e le mani dalla lite.
E dopo tutto ciò sarai beato, o fratello, e bene ti nutrirai di
pane e ti disseterai con una bevanda se, con i sentimenti di
un animo cristiano, comincerai ad avere fame e sete della
giustizia, come il Signore stesso dice: Beati coloro che hanno
fame e sete della giustizia (Mt 5,6), perché di essi è il regno dei cieli
(Mt 5,3.10).
Perciò, carissimi, se vogliamo vincere il diavolo insieme a
Cristo, se desideriamo, passando da questo mondo, regnare
con Dio, se bramiamo di celebrare con animo lieto il
santissimo giorno della resurrezione del Signore, siamo
sobri, secondo le nostre forze, nei confronti del cibo e della
bevanda, e digiuniamo invece dai vizi con tutte le nostre
forze.

MERCOLEDÌ
La lotta contro il proprio demonio

Dai Discorsi di Isacco della Stella (Discorsi 38,6-9)


Gesù [ci dice il vangelo] stava - come sta ancora fino a oggi -
scacciando un demonio (Lc 11,14). Ognuno di noi, o
amatissimi, preghi il benevolo Gesù, e lo preghi
assiduamente, di scacciare da lui completamente, o almeno
di reprimere, il proprio demonio.
Infatti, se è pur vero che tutti i demoni ci sono nemici e si
rallegrano del nostro danno, sia che lo abbiano provocato
essi stessi, sia che ne siano semplicemente venuti a
conoscenza, e se è anche vero che spesso tali demoni, come
vagando qua e là a caso, si danno un gran da fare per
ingannare molti, tuttavia è vero anche che ciascuno ha il suo
demonio familiare, che è estremamente sollecito nei suoi
confronti, che lo osserva dappertutto e in ogni cosa e

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riguardo al quale la Scrittura non tace sul fatto che il monaco
non debba assolutamente ignorarlo.
Io infatti, o amatissimi, ritengo di conoscere e di riconoscere
molto bene il mio. Nulla è a me più noto, poiché nulla per
me è più nocivo. Nulla a me è più familiare, poiché nulla è
più frequente. Non ignoro verso quale e qual genere di
tentazione assai spesso, con grande asprezza, mi spinge
violentemente. So bene qual è l'aspetto sotto il quale mi
affatico più facilmente. Per questo sono come costretto a
esclamare, quale uomo che vede la propria debolezza e che
riconosce il proprio nemico: "Signore Gesù, tu che solo sei
potente, strappa il misero dalla mano dei forti, il bisognoso e
il povero da colui che li depreda (cf. Sal 34,10). Strappa il
povero e libera il bisognoso dalla mano del peccatore (Sal
81,4). Strappa me dalla mano del peccatore, dalla mano di
colui che agisce contro la Legge e dell'iniquo (Sal 70,4)".
Quando, infatti, o amatissimi, nel coro canto queste e simili
parole, senz'altro, nel segreto, dirigo il salmo contro di lui.
E tale demonio - dice il testo - era muto (Lc 11,14). Il mio è
loquacissimo e mi intesse lunghissime e ingannevolissime
fantasie sulla gloria, sulla bellezza e sui piaceri di questo
mondo; mi sussurra mille sospetti su questi e su quelli; mi
promette cose mirabili, e mi minaccia cose spaventose; mille
volte mi dice, mentendo, che io posso fare cose che non
posso, e che non posso fare cose che posso; mi dice che
riguardo a me si narrano cose straordinarie sia in bene che in
male. Mi tiene lunghi discorsi ora sulla mia scienza, ora sulla
mia vita di fede, ora sul mio comportamento, ora sulla mia
stirpe, ora sulle mie doti carismatiche, ora sulla mia
eloquenza, ora sulla mia squisitezza di carattere. Che dire di
più? A tal punto, spesso, distoglie e occupa le mie orecchie,
che non gusto più neanche il leggere o l'ascoltare qualcuno
che legge. Per cui, parlandomi, mi rende completamente
muto, stupido e sordo.
E forse per questo lo spirito maligno viene detto muto, esso
che non cessa di pronunciare cose cattive: poiché coloro che

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esso invade li rende muti, cioè incapaci di lodare Dio e di
svolgere i compiti che spetterebbero a una lingua razionale:
Se qualcuno parla - dice l'apostolo Pietro - lo faccia come con
parole di Dio (1 Pt 4,11). Questo compito di una lingua
razionale io lo conosco: non pronunciare parole vane e di
menzogna, parole di lite o di perdizione, parole di calunnia o
di arroganza, di cupidigia e di lussuria, o anche una
qualsivoglia altra scurrilità sconveniente (Ef 5,4). Quella
lingua che, in tutte queste cose, grida e ciancia al di fuori alle
orecchie degli uomini, o all'interno, nel suo familiare
colloquio con i demoni, è tuttavia muta davanti a Dio, come
sta scritto: Poiché ho taciuto, sono invecchiate le mie ossa, mentre
gridavo tutto il giorno (Sal 31,3).
In tre maniere, invece, una lingua parla con parole di Dio
(1Pt 4,11): quando loda Dio, quando si accusa davanti a lui,
quando edifica il prossimo. Colui che tace in queste cose è
muto, per quanto gridi.

GIOVEDÌ
L’inizio della giustizia è la confessione dei peccati

Dai Discorsi di Isacco della Stella (Discorsi 38,10-15)


O Signore Gesù, scaccia il mio demonio (cf. Lc 11,14) e apri
le mie labbra (Sal 50,17) all'umile confessione dei miei
peccati, affinché la mia bocca proclami la tua lode (Sal
50,17); altrimenti non sarà bella la lode sulla bocca del
peccatore (cf. Sir 15,9). Sta scritto infatti: Ti sei rivestito di
confessione e di bellezza (Sal 103,1 Vulg.). La confessione rende
belli e la bellezza loda. E se io, peccatore, presumo di lodare
nascondendo i miei peccati e rimanendo ingiusto, subito Dio
mi dice: "Perché, tu che sei così, narri la mia giustizia, tu che
passi sotto silenzio le tue ingiustizie e che con una bocca
non purificata, vale a dire tua, parli della mia alleanza? (Sal
49,16). La confessione, dunque, purifica la bocca e il
pentimento il cuore.

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Tu, invece, hai odiato la disciplina (Sal 49,17). La disciplina
comporta questo: che anzitutto vi sia la contri zione del
cuore, poi segua la confessione della bocca e, infine, la
correzione del comportamento. Tu dunque, secondo il tuo
cuore indurito, la tua bocca muta e la mano allentata, hai
odiato la disciplina e ti sei gettato alle spalle le mie parole
(Sal 49,17).
Nelle parole di Dio viene prima di tutto la confessione dei
peccati, senza la quale non è bella la lode di Dio che deve
seguire, né è idonea l'edificazione del prossimo. Chi infatti
desidera lodare con ordine Dio, per prima cosa gli rende
grazie per avergli aperto la bocca alla lode, giacché la
confessione apre la bocca, così come l'ostinazione la chiude.
Colui poi che vuole ammaestrare il prossimo, non gli
insegnerà forse anzitutto la conversione e la confessione? In
tal modo, infatti, iniziarono la loro predicazione sia la stessa
Sapienza, sia l'araldo della Sapienza, dicendo: Convertitevi,
poiché il regno dei cieli si è avvicinato (Mt 3,2; 4,17). E tutto il popolo
- sta scritto - usciva verso Giovanni ed erano battezzati da lui,
confessando i loro peccati (Mt 3,5-6). Troviamo inoltre che
questo fu anche il consiglio dell'apostolo Pietro: Convertitevi e
ciascuno di voi si faccia battezzare (At 2,38); così come anche il
comando di Giacomo: Confessate i vostri peccati gli uni agli altri
(Gc 5,16). Questo dunque, come abbiamo detto, è l'ordine
delle parole di Dio.
E se, nascondendo come oro i tuoi peccati, in maniera tale
che, putrefacendosi, essi generino in te delle ferite e,
trasgredendo l'ordine delle parole di Dio, tu prorompi nelle
sue lodi, ascolta, come sta scritto: Perché narri la mia giustizia e
parli della mia alleanza, che è pura, con la tua bocca impura? (Sal
49,16). Se poi ti volgi ad ammaestrare il prossimo, l'Apostolo
ti rimprovera dicendo: "Tu che insegni agli altri non insegni
a te stesso (Rm 2,21); tu che predichi di confessare [i propri
peccati] non [li] confessi; tu che predichi di non rubare rubi
(Rm 2,21) la confessione! ".

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Perciò, fratello, taci riguardo a tutte le cose buone (cf. Sal
38,2 Vulg.), così come Gesù comandò ai demoni di tacere
dal lodarlo e dal predicarlo (cf. Mc 1,24-25); confessa,
invece, tutti i tuoi peccati, per essere degnamente ammesso
alla lode e alla predicazione. Sta scritto: La tua bocca abbonderà
di malizia (Sal 49,19); abbondi invece di giustizia! L'inizio
della giustizia del peccatore, infatti, è la confessione del
peccato, come sta scritto: Il giusto è anzitutto accusatore di
sé (Pr 18,17 Vulg.), poi è uno che loda Dio e, in terzo luogo,
uno che ammaestra il prossimo.

VENERDÌ
La tristezza secondo Dio

Dai Discorsi di Faustino vescovo (Discorsi 4,2-5)


Fratelli amatissimi, consideriamo ora, come possiamo, in
quale senso può esservi una tristezza secondo Dio e una
tristezza secondo il mondo (2Cor 7,10), affinché possiamo
discernere, con una riflessione spirituale, fra le nostre
afflizioni e le nostre gioie, quali piacciono a Dio e quali gli
dispiacciono.
Quanto è salutare infatti per noi, fratelli, essere rattristati
nella lotta contro il diavolo, per gioire della grazia di colui
che ci salva! E se il nostro cuore volesse accogliere in sé, per
i suoi peccati, una tristezza secondo Dio, dico in tutta
fiducia: mai vi rattristerebbero le miserie dell'inimicizia o i
disagi dell'indigenza!
Senz'altro, tu avrai una santa e lieta tristezza secondo Dio se
ti pentirai o di essere stato di danno al povero o di non
essergli stato di aiuto.
È tristezza secondo Dio se, qualora tu abbia commesso un
peccato molto grave, gemi per il timore, pensando al
giudizio.
È una tristezza salutare se tu, qualora abbia offeso Dio,
maledetto il prossimo, ingannato con una menzogna un tuo

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amico, congiurato per uccidere un uomo, combattuto la
giustizia con zelo per l'iniquità, insozzato la tua vita con
l'ignominia, macchiato la tua coscienza di sacrilegio, te ne
penti, sospirando, con una degna compunzione e,
umiliandoti per aver contristato il Giudice celeste,
supplicando afflitto implori il perdono per tali azioni.
Chiunque, infatti, a partire dal peccato concepisce tristezza,
dalla condizione di colpa partorisce letizia ...
Senz'altro, si rattristò secondo Dio l'apostolo Pietro,
quando, dopo aver rinnegato il Signore di fronte alla
domanda della serva, pianse amarissimamente (cf. Mt 26,69-
75 e par.) e, sciogliendo la sua colpa nelle lacrime e
riparando [al peccato] con una pronta compunzione, ritornò
alacremente alla fede, così come un fortissimo combattente,
eccitato dall'indignazione per la ferita ricevuta, riprende le
armi con ancor più vigore per debellare il nemico.
Si rattristò secondo Dio il patriarca David, il quale, dopo
aver commesso un'azione vergognosa, quando il Signore lo
ammonì mediante il profeta, gemette e confessò il proprio
peccato, con l'intenzione di non peccare più (cf. 2Sam 11,1-
12,13).
Si rattristò secondo Dio quel pubblicano che, entrato nel
tempio, con grande sottomissione chiedeva a Dio
misericordia per sé, tanto che uscì dalla casa di Dio non solo
avendo ottenuto il perdono, ma anche essendo stato messo
[da Gesù] al di sopra del superbo fariseo (cf. Lc 18,9-14).
Cosa significa, dunque, il fatto che ci viene narrato che il
primo fra gli apostoli e colui che in modo particolare fu
profeta hanno peccato e si sono pentiti? Che cos'altro
significa il fatto che essi abbiano commesso un grave
peccato e si siano pentiti se non che anche noi dobbiamo
imparare a non disperare mai per i nostri peccati, qualora,
dopo aver commesso una colpa, facciamo seguire a essa una
pronta conversione? Così infatti sta scritto: Hai peccato? Non
farlo più (Sir 21,1).

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Dobbiamo poi, fratelli, provare timore nei confronti degli
esempi di questi padri, sì, provare molto timore: timore per
non peccare come essi peccarono o, se pecchiamo come
loro, timore di non essere capaci di convertirci come loro.
Chi di noi, infatti, è in grado di gemere con lo spirito di
David, tanto da poter sciogliere con l'efficacia di una sola
confessione un peccato mortale? Chi verserà per me le
lacrime di Pietro, il quale pianse dall'intimo del cuore la
propria caduta con una tale compunzione che il suo stesso
rinnegamento attesta che egli credeva a Dio più di tutti?
Perciò, fratelli, fuggiamo i peccati dei padri, poiché non
possiamo eguagliare le loro virtù.

SABATO
Il Signore è la nostra forza

Dai Discorsi di Martino di Léon (Discorsi 27)


Fratelli amatissimi, [Dio] agisce con noi con mirabile
condiscendenza, facendo sì che il nostro animo non sia mai
libero dai colpi della tentazione. Se infatti l'uomo, nel segreto
del suo intimo, non sentisse mai venirgli meno le forze,
crederebbe di essere un uomo fortissimo. Se invece, con
l'irrompere della tentazione, viene scosso e gli viene richiesta
una fatica quasi maggiore delle sue forze, egli si può
contrapporre alle insidie del nemico con la protezione
dell'umiltà, e proprio lì dove, per la sua debolezza, teme di
cadere, comincia invece a rimanere saldo in piedi.
Una volta tentato, infatti, egli non solo impara da chi riceve
la propria forza, ma comprende anche con quanta vigilanza
deve conservarla, poiché spesso colui che non ha potuto
esser vinto dalla lotta della tentazione viene abbattuto in
modo ancora peggiore dalla propria sicurezza. Se uno,
infatti, lasciandosi andare, si abbandona all'ozio, finisce per
prostituire il proprio animo al tentatore; se invece, per
condiscendenza della compassione divina, sente non tanto

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una tentazione che irrompe con violenza, quanto piuttosto
una tentazione che, accedendo a lui con moderazione, lo
ammaestra, senz'altro egli resta vigilante per prevenirne le
insidie e per affrontare con prudenza, nella lotta, il nemico.
Supplichiamo dunque con grande fervore Dio perché non
permetta che siamo tentati al di sopra delle nostre forze (cf.
1Cor 10,13), e con misericordia ci conceda, mediante lo
Spirito santo, le forze e la grazia per resistere all'antico
nemico. Siamo consapevoli di essere fragili peccatori e,
circondati dalla sua protezione, resistiamo coraggiosamente
al tentatore! Se diciamo che non abbiamo peccato
inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi (1Gv 1,8). E
tuttavia, anche per i peccati gravi, non dobbiamo disperare
della bontà di Dio, poiché, sebbene indegni, abbiamo nei
cieli un Padre pieno di bontà, anzi, anche pieno di
misericordia, il quale non vuole la condanna dei peccatori,
ma la loro conversione (cf. Ez 33,11). Infatti, colui che si
sottomette ai peccati e ai vizi si allontana egli stesso da Dio e
dalla chiesa. Per questo è detto: Alcuni di loro vengono di
lontano (Mc 8,3). Infatti, non appena un uomo, peccando, si
separa dalla chiesa e si allontana da Dio, si rende servo del
potere del diavolo... Per questo il Signore dice nel vangelo:
Chi commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8,34).
Avviciniamoci dunque a questo misericordiosissimo Padre,
come abbiamo detto, chiedendo con lacrime il perdono dei
peccati, poiché egli è solito accogliere benevolmente coloro
che ritornano a lui nella conversione.

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COMUNITÀ DI CAMALDOLI

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