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“Nostalghia” di Tarkovskij e il concetto di cinema puro

Il rapporto tra Gorčakov, il protagonista, e Domenico è il fulcro di tutto il film. Gorčakov è molto
incuriosito da Domenico e si informa su come andare a trovarlo. Domenico frequenta Bagno Vignoni
perché è un luogo dove ha soggiornato Santa Caterina; egli ritiene di essere in contatto con la Santa, ed è
convinto di poter salvare il mondo compiendo un rito da lui inventato: percorrere la piscina di Bagno
Vignoni con una candela accesa in mano, senza farla spegnere, sacrificando se stesso per il bene collettivo.
Domenico è considerato da tutti un pazzo: è una persona apparentemente tranquilla, ma ha tenuto segregati
in casa per sette anni la moglie e il figlio in attesa della fine del mondo. Nella sequenza del lungo dialogo tra i
due, nella casa di Domenico, quest’ultimo spiega allo scrittore russo che non gli è concesso portare a termine
il suo stesso rito, perché ogni volta che inizia viene fermato: temono che voglia suicidarsi dentro la piscina.
Bisognerà dunque che lo faccia un altro, cioè Gorčakov, a cui Domenico affida la candela. Gorčakov
accetterà di fare quello che gli chiede il pazzo solo dopo un sogno, in cui vedrà la fine del mondo e dei suoi
cari, e guardandosi in uno specchio vedrà riflettersi l’immagine di Domenico, come se quest’ultimo fosse un
suo alter ego. Nel discorso riguardo il rito della candela, Domenico afferma:

Ero egoista, prima. Volevo salvare la mia famiglia. Bisogna salvare tutti, invece.

In questa volontà di sacrificare se stesso per il bene dell’umanità è evidente l’accostamento dell’uomo alla
figura di Cristo, del martire. Accostamento richiamato anche dall’offerta del pane e del vino da parte di
Domenico a Gorčakov, che li accetta un po’ titubante, senza comprendere bene il gesto.

In questa sequenza, e in molte altre dell’opera, fondamentale è la presenza dell’acqua. L’incontro tra i due
personaggi, infatti, avviene in un casale molto grande e molto suggestivo; il tetto è rotto e la pioggia penetra
ovunque: ampi teli di plastica e bottiglie di vetro posizionate in terra raccolgono l’acqua che cade dal soffitto.
Inoltre, il tema dell’acqua è ripreso anche dalla frase di Domenico “una goccia più una goccia fanno una
goccia più grande, non due”, affermazione rafforzata dalla scritta “1+1=1”, che si può vedere su una delle
pareti del casale. Quest’immagine potrebbe richiamare l’unità di anima e corpo, che, proprio come due gocce
d’acqua, sommandosi danno origine ad una goccia più grande, ovvero l’uomo. Tema che, inoltre, si può
ritrovare in una poesia di Arsenij Tarkovskij, padre del regista e famoso poeta russo:

L'uomo ha un corpo solo,


solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchie e d'occhi,
quattro soldi di grandezza,
e di pelle - cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
[…]
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito,
né pensiero, né azione,
né progetti, né scritti.[1]

L’acqua è un elemento che affascina particolarmente Andrej Tarkovskij e in un modo o nell’altro non manca
mai in ognuno dei suoi film: gocce, pioggia, pozzanghere, stagni, laghi, fiumi, ruscelli, specchi d’acqua,
nebbia… Diceva egli in merito:

Mi è difficile spiegarlo. Ho usato l’acqua perché è una sostanza molto viva, che cambia forma continuamente, che si
muove. E’ un elemento molto cinematografico. E tramite essa ho cercato di esprimere l’idea del passare del tempo. Del
movimento del tempo. L’acqua, i ruscelli, i fiumiciattoli, mi piacciono molto, è un’acqua che mi racconta molte cose. Il
mare, invece, lo sento estraneo al mio mondo interiore perché è uno spazio troppo vasto per me. […] A me, per il mio
carattere, sono più care le cose piccole, il microcosmo, piuttosto che il macrocosmo. Le enormi distese mi dicono meno
di quelle limitate.[2]

Il concetto di microcosmo si ritroverà, infatti, verso il finale del film, quando Domenico, prima di compiere
il suicidio, proclama che “le cose grandi finiscono, sono quelle piccole che durano”.

Per il regista russo, inoltre, l’acqua è anche metafora stessa del cinema, inteso nel senso “puro” del termine:

«[…] l’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia
d’acqua, in una goccia d’acqua soltanto!»[3]

Per cinema puro si intende un cinema che si rifà alla poesia pura, che tende ad astrarsi dai referenti,
considerando le parole come modelli astratti. È un cinema concentrato interamente sui suoi mezzi, distante
dalla narratività in senso classico e vicino alla visione, che usa un linguaggio audiovisivo che spinge a una
fruizione riflessiva, in cui l’emozione è unita al pensiero. Tarkovskij si pone in questa direzione come regista
dell’immagine pura, nel senso della sua immediatezza: le sue immagini vanno intese in senso letterale, non in
senso figurato. Bisogna allontanarsi dalle immagini che diventano rappresentazioni senza vita: un film deve
nascere dall’osservazione diretta del reale e proprio per questo motivo l’immagine artistica deve richiamare
alla memoria la verità. Nell’immediatezza delle immagini vi è una delle principali differenze fra il cinema e la
letteratura, ovvero fra l’immaginale e il linguistico: mentre la letteratura descrive il mondo per mezzo del
linguaggio, il cinema non ha linguaggio, mostra se stesso senza intermediari, la realtà parla da sé e di sé. Da un
lato si ha la scrittura, basata su codici di lingua scritta e parlata, che in quanto codice è fatta di segni arbitrari
e convenzionali. Invece, dall’altro lato vi è il cinema, una lingua che utilizza segni iconici, che rimandano
direttamente all’oggetto preciso che intendono rappresentare. Il film si potrebbe definire “parola senza
lingua”: infatti i vari film per essere compresi non rimandano al cinema, ma alla realtà stessa.[4] Il codice che
permette la comprensione è il “codice della realtà”, che rievoca nello spettatore le stesse emozioni che
proverebbe se vivesse in prima persona gli eventi mostrati in un film.

Infine, Tarkovskij realizza il concetto di cinema puro anche attraverso una forma di stile estremo, che
impone allo spettatore un’esperienza estrema che non è descritta o allusa, ma è vissuta contemporaneamente
dallo spettatore, mentre il film percorre il suo spazio temporale. Questo è particolarmente evidente nella
scena finale, in cui il protagonista attraversa la piscina con in mano la candela: il cinema è concepito come
una grande prova a cui lo spettatore deve partecipare e si è portati a subire la stessa follia del protagonista.

1
A. Tarkovskij, Lo specchio, 1975
2
A. Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano 1995, p. 186
3
ivi, p. 112
4
P. Pasolini, Essere è naturale?, in «Leggere il cinema», a cura di A. Barbera e R. Turigliatto, Mondadori, Milano 1978,
p. 389

Bibliografia

Francesco Taddio, Tempo e immagine: Bergson e Tarkovskij, tesi di laurea curata da Giuseppe Goisis e Fabrizio Borin,
Università Ca’ Foscari di Venezia 2013
Giacomo Manzoni, Cinema e letteratura, Carocci editore, Roma 2003
Alberto Barbera e Roberto Turigliatto, Leggere il cinema, Mondadori, Milano 1978

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