Sei sulla pagina 1di 4

Quando si parla di cromatografia in fase inversa, dove l’interazione che predomina con la fase

stazionaria è di tipo lipofilico, è importante reprimere la ionizzazione dell’analita (che se acido o


basico potrà esistere in forma protonata o deprotonata dipendentemente dal pH della fase). Se ha
caratteristiche acide bisogna reprimerne la dissociazione, con gruppo carbossilico sarebbe meglio
fosse in forma indissociata, se ne conosciamo la pKa il pH di lavoro dovrà essere 2 unità sotto. Se
parliamo di basi non deve essere in forma protonata, noto il pKa il pH deve essere 2 unità al di
sopra della pKa. Per raggiungere tali soluzioni di pH si usano soluzioni tamponi, sali o acidi diversi
tra loro che saranno scelti dipendentemente dal pH che vogliamo avere nella loro fase mobile.

Un altro parametro che si può modulare per migliorare la risoluzione dei picchi è la temperatura, nei
normali cromatografi è termostatata e si imposta una determinata temperatura. La temperatura ha
influenza sulla viscosità della fase mobile, un aumento di T può avere effetto nemico di diffusione
longitudinale o può agevolare il raggiungimento dell’equilibrio di ripartizione e riduce la
contropressione in testa alla colonna, portando anche a riduziine dei tempi di diluizione. Una
temperatura ottimale per la separazione cromatografica non esiste, a un aumento di T si riducono i
tempi di ritenzione e aumenta l’efficienza dei picchi con risoluzione ottimale a 50 grad, l’aumento di
T non è indiscriminato e non si può andare oltre un certo valore. La temperatura rispetto ai tempi di
ritenzione, con un aumento di T diminuiscono i tempi di ritenzione, aumentando però T aumentano
anche i piatti teorici e l’efficienza cromatografica.

HPLC
è derivazione della cromatografia liquida (cromatografia in fase liquida a elevate prestazioni),
evoluzione strumentale della classica cromatografia ed è quella che ha e viene usata in ambito
analitico usando colonne di acciaio, usa particelle di impaccamento dal piccolo diametro e lavora a
pressioni di esercizio più elevate. La fase stazionaria è particellare, la fase impaccata è formata da
particelle di granulometria bassa tra 3 e 10 micrometri; ciò consente di aumentare notevolmente
l’efficienza cromatografica e per far fluire una fase mobile a un certo flusso si deve aumentare la
pressione di esercizio (la contropressione è quindi alta, perché la colonna è finemente impaccata).
Affinchè questo accada non si usano colonne di vetro ma in grado di supportare tale elevate
pressioni, ovvero colonne in acciaio, ci lunghezza variabile dai 3 ai 50 centimetri mentre il diametro
intero è di pochi millimetri. Per garantire il flusso e vincere la contropressione si usano pompe
particolari in grado di lavorare in pressione elevata. Un HPLC è formato da reservoir con solvente
(se si ha una pompa quaternaria ce ne saranno 4), poi abbiamo la pompa (parte di strumento che
aspira il solvente e lo manda in testa alla colonna), il campionatore (manuale o automatico, che
inietta nel flusso della fase mobile un volume accuratamente misurato di soluzione campione), la
colonna in acciaio e, in uscita, il rivelatore (potrà essere di diverso tipo, con il cuore formato dalla
cella di flusso). Dopo il detector si ha un sistema di rielaborazione dati che consente di lavorare sui
cromatogrammi che il sistema è in grado di acquisire.

Miscelatore
Parte di strumento che miscela i componenti della fase mobile prima dell’ingresso in colonna, sia
per eluzione isocratica sia in gradiente. La miscelazione si può realizzare ad alta pressione
(miscelatore a valle delle pompe e tanti pompe quante sono i reservoir) a bassa pressione (una sola
pompa con il miscelatore che la precede, ha valvole dosatrici che prelevano le fasi mobili in
proporzioni necessarie).

Solventi e sistemi
Non si possono usare solventi qualsiasi, devono avere caratteristiche importanti relativamente alla
purezza, devono essere ultrapuri, privi di gas (usando pompe da vuoto, distillandoli, riscaldandoli,
facendo gorgogliare elio), contenuti in bottoglie di vetro, reservoir, con capacità di 500 ml. Devono
anche essere privi di impurezze solide.
Pompe
Garantiscono la possibilità di fornire pressioni elevate per vincere la resistenza del fine
impaccamento (lavorano fino a 400 atm), devono garantire un flusso costante nel tempo (se non lo
fosse si avrebbero corse cromatorgrafiche non riproducibili) e devono lavorare a flussi diversi (da
0,5 a 10ml al min), devono avere adeguato sistema di smorzamento delle pulsazioni, inerzia
chimica, consentire rapide operazioni di ricambio della fase mobile, essere poco rumorosa e
garantire sicurezza qualora si usino solventi infiammabili o volatili.
Sono pompe meccaniche (inizialmente pneumatiche, che richiedevano gas compresso lasciato
espandere contro un pistone), semplici: formata da un pistone pulsante che va avanti e indietro che
può produrre circa 70 pulsazioni al minuto in condizioni di massimo sforzo. La camera è collegata al
reservoir. Quando il pistone aspira, una valvola si sposta e viene richiamato il liquido nella camera.
Quando il pistone spinge, si apre l’altra valvola mandando il solvente in colonna.
Variante sono le pompe reciprocanti, due pompe fatte nello stesso modo che consentono di attutire
l’oscillazione tipica dell pompe semplici, mentre una carica infatti l’altra spinge.

Iniettori
Hanno il ruolo di iniettare in testa alla colonna un volume esatto di campione. Gli HPLC moderni
possono avere due modalità di iniezione, quella manuale o i campionatori automatici che lavorano in
autonomia e sono in grado di prelevare volumi noti in piccoli campioncini da preparare nel carrello
dell’autocampionatore. Gli iniettori manuali sono valvole a sei vie, ovvero hanno sei uscite a cui
vengono collegati la pompa che comunica con la colonna, poi a queste due vie si collega un
capillare tarato di un determinato volume (volume che si inietterà nella colonna), su tali valvole si
possono montare loop diversi dipendentemente dalla loro capacità. La possibilità di avere una
valvola a sei vie (con caratteristica di lavorare in due configurazioni diverse, ovvero con collegamenti
differenti alcuni collegati tra loro e altri chiusi). Quest’ultima e la configurazione iniziale usata per
caricare il campione, si prende una siringa con soluzione campione e si carica il capillare con il
campione da analizzare, l’eccesso di soluzione andrà in uno scarico (normalmente si usano siringhe
con capacità superiore a quella del loop tarato perché si vuole far sì che il loop sia completamente
riempito). Questa è l’operazione di caricamento; le altre connessioni: una riceve la fase mobile dalla
pompa e la butta in testa alla colonna (svincolata dal loop) [configurazione load]; se si gira la valvola
questa si sposta nella seconda configurazione in cui la pompa non è collegata alla colonna e lo
scarto al sistema di iniezione, cambiando i collegamenti la pompa spinge il flusso nel loop e
trascinato in testa alla colonna (si è fatta l’iniezione) [configurazione injected].

Colonne
Tubi di acciaio inossidabile, di lunghezza diversa, con diametri diversi.

Rivelatore
Dà una risposta nel tempo di ciò che eluisce dalla colonna, in HPLC non esiste un rivelatore
universale (grazie al rivelatore si ricavail cromatogramma). Il rivelatore universale a valle continua a
produrre un segnale di diverso tipo, ma una risposta nel tempo (rivelatore che non si ha in HPLC).
Scelto sulla base dell’applicazione che si vuole avere. I rivelatori devono essere caratterizzati da:
piccolo volume morto (il volume della cella di flusso, cuore del rivelatore, deve essere il più piccolo
possibile per evitare una diluizione della banda cromatografica), compatibile con la fase mobile,
dotato di elevata sensibilità (deve essere in grado di rilevare anche sostanze che sono presenti in
piccola quantità), deve dare una risposta lineare con la concentrazione di soluto, i tempi di risposta
devono essere rapidi, e deve essere versatile (adatto alla rivelazione di un numero elevato di analiti).
UV è rivelatore molto versatile che misura tutte le sostanze che assorbono, a fluorescenza,
l’elettrochimico, il conduttimetrico e lo spettrometro di massa.
RIVELATORE UV-VIS
È il più presente perché versatile, dato che la maggior parte dei compisti assorbe a questo
intervallo, ha dei costi contenuti e una buona sensibilità, è compatibile con l’eluizione in gradiente e
utilizzabile con sostanze che assorbono nell’UV-VIS. Sono di tre tipi, sfruttano gli stessi principi
della spettroscopia UV-VIS ma con una differenza non si ha la cuvette ma la cella di flusso (misura
in continuo ciò che esce dalla colonna cromatografica). I tre tipi sono: a lunghezza d’onda fissa (si
imposta solo una rad di assorbimento, 254 nm che sfrutta la rad emessa da una lampada a
mercurio, è il più economico ma il meno versatile), si ha poi il rivelatore a lunghezza d’onda variabile
(tutto l’intervallo spettrale, sia UV sia per VIS, per questo si hanno due lampade), a serie di diodi
(DAD, con l’ottica invertita, il monocromatore non è più a monte della cella di flusso ma su questa
incide un raggio. La cella di flusso è un capillare, entra l’eluito e dalla colonna esce la fase mobile ??

Rivelatore UV a lambda fissa


Scarica butta fuori la radiazione

Rivelatore a lambda variabile


Il rivelatore a lamda variabile è il più usato in HPLC. La luce UV proveniente dalla lampada a

Rivelatore a diodi
L’elemento disperdente è a valle della cella di flusso, sulla quale va a incidere la radiazione
policromatica che sarà poi scomposta nelle sue componenti spettrali. Tale configurazione è
estremamente vantaggiosa dal punto di vista cromatografico per ricavare in continuo lo spettro di
tutto ciò che è eluito dalla colonna. Siamo quindi in grado di acquisire ben oltre un semplice
cromatogramma, ma grazie a un DAD possiamo acquisire un diagramma con tre dimensioni: tempo,
assorbanza e lunghezza d’onda (si misura l’assorbanza alle varie lunghezze d’onda).

Controllo di purezza
Con miscele complesse si ha il dubbio che qualcosa sia co-eluito con un altro picco.??

Per identificare un composto usando la cromatografia si confronta il tempo di ritenzione del


campione con quello di una sostanza di riferimento (preparo una soluzione standard con questo
particolare analita, lo analizzo nelle stesse condizioni cromatografiche, ricavo un picco e misuro se
si ha diretta corrispondenza nei tempi di ritenzioni). Oppure si frutta il metodo dell’arricchimento,
faccio l’analisi di un campione e poi lo arricchisco con lo standard di riferimento e se si osserva un
incremento dell’altezza del picco su cui sto rivolgendo l’indagine questo è un primo passo verso
l’identificazione di quel particolare analita, se dopo l’arricchimento il picco non sale non si è certi
dell’identificazione di quel composto. Il passaggio successivo è l’informazione che può essere
fornita da un rivelatore specifico, oltre al tempo di ritenzione anche la risposta che fornisce il
rivelatore concorre all’identificazione di un certo composto. I rivelatori più informativi sull’identità di
un composto sono il DAD (perché dà anche lo spettro di assorbimento che si può confrontare con
quello dello standard).

Il rivelatore di massa è quello in grado di fornire il maggior numero di informazioni certe e


identificative di un certo composto.

Potrebbero piacerti anche