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LEZIONE 6 29/04/2022

ELETTROFORESI CAPILLARE

All’interno il tubo è cavo perché deve poterci passare la soluzione elettrolitica. Indipendentemente
dalla carica espressa dal campione che deve essere separato, questo viene sempre ed esclusivamente
caricato all’anodo, migra all’interno del tubo fino a fuoriuscire al catodo. Poco prima di uscire
attraversa una cella dove c’è un sistema di detection, qui viene misurata la concentrazione. A seconda
del tipo di detector quello che viene fuori è la valutazione di un parametro, che poi al computer
diventa un numero, o meglio ancora un grafico (cosiddetto elettroferogramma).

Il criterio in base al quale campioni di carica diversa migrano comunque tutti verso il polo negativo
sta nella natura interna del capillare. La maggior parte dei capillari sono fatti di silice ed espongono
dei gruppi silanolici che possono essere ionizzati presentando carica netta negativa. Quindi abbiamo
un tubo molto sottile la cui parete interna è carica negativamente. L’esposizione di queste cariche
negative avviene attraverso un processo noto come CONDIZIONAMENTO, che consiste nel
passaggio di una soluzione tampone capace di esporre le cariche della silice. Dopo il condizionamento
viene iniettato all’interno del tubo capillare un’altra soluzione elettrolitica nota come ELETTROLITA
DI FONDO che contiene cariche, anche positive, che vanno a rivestire le pareti negative del tubo. Si
va a formare un flusso, uno strato di controioni (DOPPIO STRATO DIFFUSO).
Cosa succede se si inizia ad applicare una differenza di potenziale? Succede che questo strato di
controioni positivi comincerà a migrare verso il polo positivo, e lo fa creando una vera e propria forza
che trascina con sé tutto ciò che è presente all’interno del capillare.

MOBILITÀ ELETTROFORETICA NELL’ELETTROFORESI CAPILLARE


Il campione che si va a separare mediante elettroforesi è un campione nativo, ossia nella miscela ci
sono molecole cariche positivamente, molecole neutre e molecole cariche negativamente. Le molecole
cariche positivamente già di per sé tenderebbero verso il polo negativo, traggono quindi un grande
vantaggio dalla presenza di questo flusso elettroendosmotico che rappresenta una sorta di
accelerazione. La mobilità, dovuta alla presenza del flusso elettroendosmotico, si somma alla mobilità
dovuta alla natura chimica della specie molecolare. Le specie neutre di per sé non migrerebbero,
perché non espongono nessuna carica, traggono però vantaggio da questo flusso elettroendosmotico
che le accompagna verso il polo negativo. Una molecola anche priva di mobilità elettroforetica, in
quanto non carica o con carica netta nulla, presenterà una mobilità equivalente a quella del flusso
elettroendosmotico. Cosa succede se invece la molecola è carica negativamente? In quel caso la
molecola non migrerebbe mai spontaneamente verso il polo negativo, è costretta però a farlo perché la
mobilità elettroforetica della molecola si sottrae a quella dovuta al flusso elettroendosmotico. Anche
se la molecola carica negativamente oppone resistenza è costretta comunque a migrare verso il polo
negativo, lo farà con la minima mobilità possibile. La molecola è come una persona che si trova in
una folla che procede verso una direzione, se sta ferma ( molecola neutra) verrà inevitabilmente
trascinata nella direzione in cui si muove il flusso di persone, se la persona prova a muoversi
controcorrente (molecola carica negativamente), ogni tentativo è vano, viene spinta sempre verso la
direzione del flusso di persone però in quel caso sta opponendo una resistenza, se questa resistenza è
minore della mobilità dovuta al flusso, comunque sarà spinta verso la direzione del flusso di persone
(molecola negativa viene spinta verso il polo negativo, ovviamente impiegando tempo diverso rispetto
alle molecole che migrano secondo gradiente).
Da tutto ciò viene fuori un grafico, l’elettroferogramma fatto di picchi.
Nell’esempio il detector misura l’assorbanza a 280 nm, ogni volta che una specie proteica raggiunge il
capo opposto del capillare e passa attraverso il detector, quest’ultimo effettua una misura e otteniamo
un picco in funzione del tempo. I picchi che escono prima rappresentano specie chimiche che hanno
una mobilità elettroforetica maggiore rispetto ai picchi che escono nella fase finale del passaggio
all’interno del capillare. Nell'esempio il primo picco è dei cationi, per i quali la mobilità
elettroforetica propria si somma a quella dovuta al flusso elettroendosmotico, la somma di queste 2
mobilità si definisce MOBILITÀ ELETTROFORETICA APPARENTE. Si somma quando la
molecola sta migrando secondo gradiente elettrochimico, si equivale quando la molecola non migra
cioè è neutra. La mobilità invece è inferiore a 0 quando la mobilità elettroforetica apparente è dovuta
alla sottrazione della mobilità della molecola che migrerebbe al lato opposto, però in presenza di un
flusso elettroendosmotico (questo è il motivo per cui è la più piccola di tutte).
Il grande vantaggio dell’elettroforesi capillare quindi è che permette la separazione di specie
elettricamente diverse nella stessa corsa elettroforetica, è molto selettiva (è molto utile un’elettroforesi
capillare perché è capace di separare bene specie chimiche diverse tra loro, si possono separare da
molecole molto piccole come ioni a intere cellule, a seconda del diametro del capillare utilizzato),
grande efficienza, basta piccola quantità di materiale (infatti è una tecnica molto usata anche nella
medicina forense, quando il materiale a disposizione è poco), è rapida, è molto riproducibile e
addirittura è possibile associarla alla spettrometria di massa (se si raccolgono i campioni quando
escono dal tubo e li si divide in maniera selettiva in cationi, anioni e molecole neutre in tre provette
diverse, queste tre provette possono essere poi sottoposte a spettrometria di massa per risalire dove
necessario all'identità della molecola che è stata separata)

CROMATOGRAFIA
Parlando di cromatografia non ci si distanzia molto dall’elettroforesi. Per cromatografia si intende un
insieme di tecniche che hanno l’obiettivo di separare le componenti di una miscela. In questo caso
però non si utilizza un campo elettrico, quindi non ci si basa sulla separazione di molecole cariche su
un campo elettrico ma il criterio in base al quale noi separiamo le componenti di miscela e in base alla
loro affinità per due fasi che sono una FASE STAZIONARIA e una FASE MOBILE. Unica
condizione è che queste sue fasi siano tra loro immiscibili. L’analita può presentare un’affinità
maggiore per una fase piuttosto che per l’altra. Se presenta una maggiore affinità per la fase
stazionaria (fase immobilizzata) sarà trattenuta maggiormente da questa fase, la sua concentrazione
sarà maggiore in questa fase e minore in quella mobile. Viceversa se ha una maggiore affinità chimica
per la fase mobile la concentrazione dell’analita sarà maggiore nella fase mobile rispetto alla fase
stazionaria. Questo determinerà la separazione fisica degli oggetti della stessa miscela.
Nell’immagine si può vedere un esempio di cromatografia su colonna. La colonna è un oggetto cavo
all’intento del quale viene aggiunta la fase stazionaria, sopra la fase stazionaria di stratifica il
campione che deve essere separato, dopodiché si aggiunge la fase mobile che è un liquido, il quale
penetra attraverso il campione e lo trascina lungo la fase stazionaria fino a raggiungere il capo
opposto della colonna da cui il liquido poi fuoriesce. È durante il movimento lungo la colonna che si
stabiliscono le interazioni tra l’analita e la fase stazionaria e l’analita e la fase mobile. Se ha più
affinità per la fase stazionaria, sarà maggiormente trattenuto da quest’ultima durante il percorso da un
capo all’altro della colonna. Mentre l’analita che presenta maggiore affinità per la fase mobile
fuoriuscirà con essa e sarà meno trattenuto dalla fase stazionaria, il risultato sarà quindi che le varie
molecole escono in tempi diversi. A seconda di come è fatta la fase stazionaria si può selezionare in
base a dimensione, in base alla carica, in base a interazione specifica tra ligando e un suo recettore
ecc.

Si definisce coefficiente di distribuzione il rapporto tra la concentrazione dell’analita nelle due fasi, in
particolare la concentrazione dell‘analita nella fase stazionaria/concentrazione dello stesso analita
nella fase mobile. Se la concentrazione è maggiore nella fase stazionaria è perché ha una maggiore
affinità per quest’ultima. Quindi il coefficiente di distribuzione sarà un numero più grande in
un’analita con un’affinità maggiore per la fase stazionaria, rispetto a quello di un’ analita che presenta
una maggiore affinità per la fase mobile e dove dunque risulterà una sua maggiore concentrazione
rispetto a quella della fase stazionaria.

Dal coefficiente di distribuzione dipende poi il TEMPO DI RITENZIONE, cioè il tempo necessario
affinché l’analita fuoriesca al lato opposto della colonna. È in funzione del coefficiente di
distribuzione perché ovviamente se l’analita ha maggiore affinità per la fase stazionaria sarà
maggiormente trattenuto e quindi impiegherà più tempo ad uscire rispetto ad un analita che invece ha
maggiore affinità per la fase mobile. Molecole con coefficiente di distribuzione maggiore
presenteranno tempi di ritenzione maggiore rispetto a molecole con coefficiente di distribuzione
minore.
Nell’ esempio ci sono 3 analiti che appartenevano alla stessa miscela, quello che presenta il tempo di
ritenzione maggiore è l’analita numero 1 che presenterà anche il massimo rapporto concentrazione
fase stazionaria/ concentrazione fase mobile, ossia la massima K (coefficiente di distribuzione). Al
diminuire del coefficiente di distribuzione diminuisce anche il tempo di ritenzione, quindi la molecola
3, che è quella che presenta il minor tempo di ritenzione, è quella che viene eluita prima dalla colonna
perché ha avuto evidentemente poca affinità con la fase stazionaria.
Classificazione delle tecniche cromatografiche in base al meccanismo di separazione
La cromatografia non è una, sono tante. Sotto il nome di cromatografia si identificano una serie di
tecniche che possono essere classificate in base al meccanismo alla base della separazione. La fase
stazionaria quasi sempre è un solido, solo in un caso, nella cromatografia a ripartizione, è un liquido.
Il solido può essere un setaccio come nel caso dell’esclusione molecolare, può essere una molecola
che presenta cariche, come nel caso dello scambio ionico, o può essere una sorta di supporto inerte
che serve solo ad adagiare il campione che poi si separerà. La fase mobile è o un liquido o un gas. E
anche nel caso in cui sia la fase stazionaria che la fase mobile sono 2 liquidi (come nel caso della
ripartizione), saranno comunque 2 liquidi immiscibili.
ADSORBIMENTO

La cromatografia di adsorbimento vede una fase solida fatta da una sostanza capace di interagire con
gli analiti sulla base della generazione di legami deboli (forze di van der waals, legami ionici,
interazioni dipolo-dipolo). L’analita potrà essere attratto da questa fase stazionaria e quindi generare
questo tipo di legami, oppure per la sua natura chimica non avere nessun’affinità per la fase
stazionaria. Si avrà una concentrazione dell’analita legata alla fase stazionaria e una concentrazione
legata alla fase mobile. Quella legata alla fase mobile presenterà il tempo di ritenzione minore e sarà
eluita per primo, rispetto a quelli che vengono maggiormente trattenuti dalla fase stazionaria. Anche
quelli che vengono trattenuti dalla fase stazionaria dovranno essere prima o poi separati da questa,
altrimenti non si avrebbe una separazione ma solo una purificazione della soluzione da una certa
componente che resta adesa alla matrice. Il metodo di distacco dipende dal tipo di cromatografia che
stiamo facendo. In questo caso in cui abbiamo la presenza di interazioni deboli si può modificare ad
esempio la forza ionica della soluzione tampone.
RIPARTIZIONE
Nella tecnica della cromatografia di ripartizione si ha che l’analita si può sciogliere o nella fase
stazionaria o nella fase mobile (semplice questione chimica, simile scioglie il simile). A seconda della
natura chimica dell’analita questo potrà essere più affine ad una o all’altra fase. In questo caso il
coefficiente di distribuzione prende il nome di COEFFICIENTE DI RIPARTIZIONE. A volte la fase
mobile può essere un gas (Gas cromatografo). In una cromatografia a ripartizione la fase S è un
liquido ma comunque vi è un supporto solido inerte nel quale questo liquido è intriso.
CROMATOGRAFIA SCAMBIO IONICO

Abbiamo una fase stazionaria che presenta cariche elettriche, se la fase S presenta cariche negative,
attrarrà analiti carichi positivamente e viceversa, se la fase S presenta cariche positive attrarrà analiti
carichi negativamente. La forza di interazione dipenderà dalla quantità di carica dell’analita.
Nell'esempio c’è una fase S solida positiva, l’analita che interagisce è un analita carico negativamente.
Un analita che presenta una carica ad esempio di 1 sarà attratta con una forza minore rispetto ad un
analita che presenta carica sempre negativa ma di 2, 4 o 8 ecc. Quindi sebbene la matrice sia in grado
di legare tutte le molecole cariche negativamente, si può sempre causare il distacco selettivo di queste
molecole in maniera da differenziarle con l’eluizione. Lo scopo è quello di separare le molecole il più
possibile, non accontentandoci di dividere le molecole cariche negativamente da quelle cariche
positivamente. Nell’ambito di quelle cariche negativamente vogliamo selezionarne varie
sottopopolazioni e quindi dovremo immaginare un metodo per distaccarle selettivamente in funzione
della loro carica.
CROMATOGRAFIA AD ESCLUSIONE MOLECOLARE (GEL FILTRAZIONE)

Questo è il metodo cromatografico che consente la separazione delle molecole in funzione della loro
dimensione. In questo caso la fase solida è un solido setaccio molecolare, fatto poliacrilammide,
agarosio o di destrano, con le maglie più o meno larghe. Finora con l’elettroforesi abbiamo detto che
le molecole più piccole riescono ad attraversare più facilmente il setaccio rispetto a quelle più grandi e
quindi presentano una mobilità elettroforetica maggiore, qui la situazione si ribalta. La molecola
piccola che interagisce facilmente con il supporto ha una maggiore affinità per la fase S, mentre la
molecola più grande viene esclusa dalle maglie e resta nella fase M, quindi risulta avere una maggiore
affinità per la fase M. In termini di coefficiente di distribuzione sarà maggiore quello della molecola
più piccola rispetto a quello della molecola più grande, in termini di tempo di ritenzione, sarà
maggiore quello della molecola di più piccole dimensioni, che sarà trattenuta maggiormente dalla fase
S perché sarà obbligata ad attraversare tutte le maglie prima di raggiungere il capo opposto della
colonna cromatografica rispetto alla molecola di più grandi dimensioni, la quale non penetra
all'interno delle maglie, resta esclusa dalla matrice e viene eluita prima.
CROMATOGRAFIA DI AFFINITÀ

In questo caso abbiamo una fase S sulla quale viene immobilizzato un ligando che fungerà da esca per
catturare la molecola capace di interagire con il substrato, che può essere il substrato di un enzima,
l’interazione tra un antigene e un anticorpo, tutto ciò che non ha un’affinità con il ligando ha una
maggiore affinità per la fase M, viene eluito per primo, presenta un tempo di ritenzione inferiore e un
coefficiente di distribuzione piccolo. Ciò che invece viene legato selettivamente da questa esca,
immobilizzato nella fase S presenterà un tempo di ritenzione maggiore. In realtà non si stacca proprio
da questa esca fino a che non interveniamo noi causandone il distacco. Questo intervento può essere
l’aggiunta di un competitore, un'azione digestiva per distaccare fisicamente il ligando attaccato alla
fase stazionaria.
Sotto il nome di cromatografia rientrano vari metodi volti tutti alla separazione di una miscela
complessa nelle sue componenti, sfruttiamo le caratteristiche chimico-fisiche dell’analita.

Il solido può essere inerte come ad esempio una lastra di vetro o di polisterene, come nel caso della
cromatografia a ripartizione che ha un supporto inerte.
Non per forza la cromatografia deve avvenire all’interno di una colonna, c’è la possibilità di utilizzare
dei supporti come la carta di cellulosa, la silice immobilizzata su una lastra di vetro, tipici metodi con
cui si allestisce una cromatografia per adsorbimento.
In questo caso ho una vaschetta nella quale è contenuta la fase mobile, immergo in questa vaschetta
una delle estremità di questo foglietto di carta o di una lastra di vetro sulla quale è stata fissata la fase
stazionaria (che può essere gel di silice, cellulosa, ecc), in maniera tale che sia immersa solo una
piccola porzione sufficiente ad adsorbire per capillarità la fase mobile che quindi comincia a salire
verso l’alto. L’analita sarà posizionato all’inizio del fronte di migrazione. Man mano che la fase
mobile viene adsorbita le componenti dell’analita si separano. È utile per analizzare alcune
caratteristiche chimiche della miscela ma non utile per separare fisicamente e recuperare determinati
analiti.
Si può misurare il RETARDATION FACTOR che è il rapporto fra la distanza dall’origine dell’analita
e la distanza dall'origine della fase mobile.

Quando vogliamo allestire una separazione preparativa, cioè che ci consente di separare ma anche poi
di recuperare le singole parti della miscela complessa per farne poi altri studi, bisogna preparare una
cromatografia su colonna perché la colonna consente di recuperare le varie frazioni che eluiscono al
capo opposto. Le colonne possono essere in vetro, dei classici cilindri da un lato c’è l’apertura per
inserire la fase S e il campione e dall’altra l’apertura per recuperare ciò che fuoriesce. Una colonna
simile funziona per gravità, quindi a seconda della sua lunghezza, del suo diametro, di quanto è
compatta la fase stazionaria, di quantità di fase mobile che si aggiunge avrà un certo tempo per la
fuoriuscita dal lato opposto delle varie frazioni. Le colonne cromatografiche che ormai si utilizzano
sono invece questo tipo di colonna, sono colonne associate ad apparecchi che non funzionano
esclusivamente per gravità ma intervengono aggiungendo una pressione tale da velocizzare il
passaggio del materiale all’interno della colonna. La cromatografia su colonna quindi non è un tipo di
cromatografia in particolare, ma è un tipo di allestimento di una cromatografia. Infatti all’interno di
una colonna possiamo preparare vari tipi di cromatografie. Possiamo fare una cromatografia a
scambio ionico, per affinità, a esclusione molecolare, a ripartizione.
Prima cosa da fare quando si prepara una colonna, a seconda del tipo di cromatografia che vogliamo
allestire è impaccare la colonna, ossia inserire all’interno della colonna la fase S. A questo punto la
colonna va equilibrata e caricata del campione oggetto di separazione, il campione si stratifica
all’estremità nella fase S, quando aggiungo la fase M o l’eluente questo comincia ad attraversare la
fase S trascinando con sé il campione, il campione fuoriuscirà dalla colonna in funzione del suo
coefficiente di distribuzione.
Ciò che esce viene collezionato, ogni volta che metto un tubo sotto la colonna sto materialmente
recuperando ciò che è stato separato in funzione del coefficiente di distribuzione. Quindi alla fine si
avranno un determinato numero di provette all'interno delle quali c’è una certa quota del volume
utilizzato nella fase mobile, la somma di quei volumi delle provette deve essere uguale al volume
totale di eluizione che ho scelto. In ciascuna di queste provette, se la cromatografia è stata allestita nel
miglior modo possibile, avrò specie chimiche diverse.
Come l‘elettroforesi capillare, anche la colonna presenta la finestra per il detector. Man mano che il
campione scorre passa attraverso il detector che può misurare varie cose, può misurarne
semplicemente l‘assorbanza a una determinata lunghezza d’onda, può misurare la presenza di un
agente fluorescente o di un agente colorimetrico ecc. Riporta alla fine un grafico
(CROMATOGRAMMA). Per ogni specie eluita è rappresentato un picco di eluizione. Naturalmente
questo tracciato ci fornisce informazioni sull’andamento del segnale dato dal rilevatore in funzione
del tempo. Dall’analisi dei picchi del cromatogramma noi traiamo delle informazioni molto importanti
non solo sulla natura chimico-fisica dell’analita, ma anche sull’efficienza e selettività del sistema
cromatografico utilizzato. Il tempo di ritenzione è il tempo necessario all’analita ad essere eluito a
partire da quando è stato caricato nella colonna, si misura fisicamente dal tempo 0 in cui aggiungiamo
il campione fino al momento in cui abbiamo il massimo del picco di eluizione. Più specie chimiche
diverse, e più picchi avrò e più tempi di ritenzione misurerò. Il tempo di ritenzione in realtà è
“sporcato” dal cosiddetto tempo morto, che rappresenta il tempo necessario alla fase M vuota, priva di
qualunque molecola, di fuoriuscire dalla colonna. È una sorta di rumore di fondo che dobbiamo
eliminare dalla lettura del cromatogramma. È la ragione per cui noi più che al tempo di ritenzione
siamo interessati t’R, ossia tR - tempo morto.
Ogni analita avrà il suo t’R.
L’area del picco ci da delle informazioni sulla quantità dell’analita. Il picco può essere basso e largo o
stretto e alto, questo fa molta differenza in termini di qualità del sistema cromatografico. In ogni caso
è importante considerare nel cromatogramma sia l’altezza del picco, sia la larghezza.

In questo esempio la molecola che presenta il tempo di ritenzione maggiore è la F, ha un picco molto
largo e molto basso. Prima di questa abbiamo le molecole E, D e C, in tutti e 4 i casi i picchi sono ben
distanti l’uno dall’altro, ciò significa che la colonna ha fatto un’ottima risoluzione, è stata capace di
separare bene specie chimiche diverse. Il picco C però è ben stretto, il D più largo ed E ancora più
largo, ciò significa che all’interno della colonna l’analita C era ben compatto ed è uscito tutto insieme,
nella stessa colonna l’analita F era distribuito in uno spazio maggiore.
Il picco A non è un picco esclusivo, si sovrappone a quel picco iniziale che rappresenta la quota di
molecole che non hanno interagito con la fase S e sono state eluite con la fase M. Un picco che si
sovrappone ad un altro non è una cosa buona, significa che la colonna non è stata capace di separare
questi due oggetti ritenendoli distanti, differenti tra di loro. Un’ottima colonna cromatografica
dovrebbe:
1. tenere i picchi ben separati
2. far uscire dei picchi stretti e alti per ogni analita
Ciò che garantisce la netta separazione dei picchi si chiama SELETTIVITÀ della colonna.
Una colonna è selettiva quando 2 picchi appartenenti a 2 analiti differenti non si sovrappongono. In
questo caso abbiamo nel primo esempio una colonna abbastanza selettiva per i due analiti che
eluiscono con due picchi distanti. Nell’altro esempio invece abbiamo che i due analiti non si separano
abbastanza all’interno della colonna, per cui quando finisce di uscire B inizia già ad uscire A, i picchi
in parte si sovrappongono. Questo è segno di una scarsa selettività, quindi scarsa capacità da parte
della colonna di separare specie chimiche diverse tra loro.
Per aumentare la selettività si può agire sulla fase S e sulla fase M, per rendere le 2 capaci di attrarre
molecole diverse. Ovviamente anche la temperatura ha un ruolo importante per la regolazione di
questi parametri.

Si parla invece di efficienza come capacità da parte della colonna di compattare la stessa specie
chimica.
Nell'esempio abbiamo la specie chimica A e la specie chimica B. Quando la specie chimica si
distribuisce su una vasta parte di colonna vuol dire che all’interno della stessa specie chimica avrò
molecole che eluiscono a velocità diverse.
Picco B del primo grafico eluirà più lentamente rispetto a quello del secondo grafico. Graficamente
abbiamo un picco basso e largo nel primo caso. Se subito prima abbiamo un altro analita con lo stesso
problema viene fuori che i due picchi bassi e larghi si sovrappongono. La colonna non è stata
sufficientemente efficiente nel separare le 2 specie chimiche. Per migliorare l’efficienza posso cercare
di rendere omogenea la velocità di eluizione delle stesse molecole appartenenti alla stessa specie
chimica. Fisicamente questa cosa può avvenire compattando quest’analita all’interno della colonna.
Solo così, anche se i due analiti sono molto simili tra di loro, si riusciranno ad avere 2 picchi distinti,
perché saranno stretti. Più è piccola l’ampiezza del picco maggiore è l’efficienza della colonna.

L’efficienza dipende da un concerto puramente teorico, quello del PIATTO TEORICO.

Il piatto teorico è un’elaborazione concettuale, rappresenta la più piccola parte di colonna in cui
l’analita raggiunge l’equilibrio tra fase S e fase M. Più è stretto il piatto, più sarà compatto l’analita
all’interno della colonna. Più è largo (o alto) il piatto, più l’analita sarà distribuito e avremo il
problema della scarsa efficienza. Per far diventare più piccoli i piatti bisogna aumentarne il numero.
In linea teorica se riuscissimo a suddividere la colonna in un numero infinito n di piatti, potremmo
nella stessa colonna separare infiniti analiti. Ovviamente non è così, perché siccome è in funzione
della concertazione all’equilibrio dipenderà dalla natura della fase S e della fase M, e dipende anche
dalla lunghezza della colonna. Se la colonna è piccola il numero di piatti, è inferiore rispetto a quello
di una colonna più grande, anche se in teoria si parla di un numero di piatti infinti. Potremmo
erroneamente immaginare che per migliorare l’efficienza del sistema si deve aumentare la lunghezza
della colonna. In realtà non è così, perché all’aumentare della lunghezza della colonna aumentano i
tempi di ritenzione. Ci sono anche altri problemi dovuti alla diffusione del campione, quindi invece
di migliorare andiamo paradossalmente a peggiorare la situazione.
Efficienza equivale alla capacità della colonna di compattare l’analita in maniera tale che tutte le
molecole appartenenti a questo analita fuoriescano con la stessa velocità e che alla fine questo si
risolve con un picco alto e stretto. Questo consente di avere la massima separazione tra analiti anche
relativamente simili.

Unica tecnica cromatografica che separa le molecole esclusivamente in funzione della loro
dimensione. La molecola piccola ha una maggiore affinità per la fase S e quindi avrà un tempo di
ritenzione maggiore rispetto alla molecola più grande, che dunque presenterà un tempo di ritenzione
minore. Le colonne contengono matrici porose, dei setacci a base di polisaccaridi come il destrano,
l’agarosio o anche la poliacrilammide. Si acquistano già pronti, la dimensione delle maglie è in grado
di discriminare diversi range di peso molecolare. Come scegliere una colonna cromatografica adatta
quando si va a fare un gel filtrazione? Si pensa a quale molecola vogliamo andare a isolare
selettivamente dalla miscela, noto il peso molecolare di questa molecola si sceglie la colonna che mi
garantisce la maggiore separazione in quel range di peso molecolare.
Agarosio di solito si utilizza per separare alti peso molecolari, da un minimo di 10 a un massimo di
40000 kD. Molecole come il destrano o come la poliacrilammide invece si utilizzano per analiti di
dimensioni inferiori, addirittura al di sotto del kD fino a un massimo di 600 kD.
Cos’ha di particolare una cromatografia ad esclusione molecolare? Che è estremamente riproducibile.
Ciò ci consente di utilizzare questo metodo cromatografico per stimare il peso molecolare di un
campione incognito.
Dal cromatogramma che viene fuori posso facilmente misurare la costante di avanzamento di ciascun
analita. Per calcolare la costante di avanzamento ho bisogno di conoscere il volume di eluizione di
questi analiti, dato dal cromatogramma. In realtà si può fare anche a mano, cioè una volta noto il
volume totale Vt, che rappresenta il volume totale di fase M che si userà, rappresenta Ve (volume
eluizione) quel volume compreso tra 0 e Vt all’interno del quale sarà stato eluito l’analita.
Rappresenta V0 il volume morto (quantità di fase M che fuoriesce prima della comparsa del primo
picco di eluizione), si può misurare. Vt volume totale della fase M che stabiliamo noi. Ve si misura,
corrisponderà al volume di eluizione, dove in ogni provetta si avrà un analita diverso.
Nel V0 finiscono le molecole che non hanno avuto interazione con la fase S, ossia quelle di più
grande dimensione. Ciò che esce fuori invece con il Vt sono le molecole di più piccole dimensioni,
cioè quelle che sono state maggiormente trattenute dalla fase S. Le molecole di dimensioni intermedie
eluiranno ad un loro Ve intermedio. Per le molecole grandi Ve equivale a V0 e la costante (che è
sempre un numero compreso tra 0 e 1) sarà uguale a 0. La costante diventa 1 quando Ve equivale a
Vt, quindi per le molecole più piccole. Le molecole di dimensioni intermedie avranno una costante di
avanzamento compresa tra 0 e 1.

Esiste una relazione diretta tra il peso molecolare e il volume di eluizione. Questo significa che
possiamo mettere un grafico il peso molecolare in funzione del volume di eluizione, oppure il volume
di eluizione in funzione del logaritmo del peso molecolare.
Che succede se si sottopone a separazione cromatografica una miscela di proteine a peso molecolare
noto? Succede che calcoliamo il volume di eluizione per ciascuna, conosco il peso molecolare quindi
genero dei punti sul grafico e una retta che interpola, una retta di taratura. Il campione con l’analita
incognito di cui si vuole conoscere il peso molecolare, non farò altro che sottoporlo a separazione
cromatografica, con la stessa colonna e lo stesso metodo ecc. l’analita presenterà il suo volume di
eluizione da cui mi ricaverò il peso molecolare, o meglio il logaritmo del peso molecolare.

In questo caso la separazione avviene in funzione delle cariche. Abbiamo una fase S che è uno
scambiatore ionico. L’analita deve avere anch’esso delle cariche. Naturalmente ciò che presenterà il
tempo di ritenzione minore sarà l’analita con la carica uguale a quella della fase S, non interagiranno
fra di loro e l’analita sarà eluito subito. Invece saranno trattenuti con una forza diversa gli analiti con
carica opposta rispetto alla fase S.
Equilibrio fra analita in fase mobile ed analita attaccato alla fase stazionaria. Questo equilibrio è
spostato sempre verso l’adesione alla fase S, ma la forza è crescente in funzione della quantità di
carica presente nell’analita. Quando andrò a causare il distacco selettivo di queste molecole lo dovrò
fare con un criterio per far sì che non si stacchino tutte insieme contemporaneamente, ma per staccare
prima quelle con bassa carica, poi magari carica intermedia e più alta carica.

Come si prepara una cromatografia a scambio ionico? Si inserisce innanzitutto nella colonna uno
scambiatore, che è la fase S. All’inizio lo scambiatore è inerte, bisogna esporre le cariche e questo si
fa equilibrando la colonna in un’opportuna soluzione tampone, che poi è la stessa nella quale viene
disciolto l’analita e che rappresenta anche la fase M. Man mano che il campione scorre sulla fase S
interagirà in varia misura con la resina, ciò che non interagisce fuoriesce per prima.
Per causare il distacco selettivo aumentando la forza ionica della fase M o andando a modificare il
pH. Per aumentare la forza ionica aumentiamo la concentrazione salina della fase M.
In quest’esempio abbiamo una fase S carica positivamente che ha attratto le molecole cariche
negativamente, interazione avviene a bassa concentrazione salina, poi per staccare selettivamente
cominciamo ad aumentare la concentrazione salina. NaCl fungeranno da vettori nel legarsi alla fase S,
scanzando l’analita carico negativamente. Quello che succederà è che in una concentrazione media di
sali saranno distaccate soltanto le molecole che presentano una carica negativa più debole,
all’aumentare della concentrazione salina inizieranno a distanziarsi anche le molecole che sono più
fortemente cariche negativamente.

Un’altra possibilità è quella di modificare il pH della fase M con l’obiettivo di raggiungere il punto
isoelettrico dell’analita. Se raggiunge il punto isoelettrico non avrà più carica e si staccherà dalla fase
S. Questa si usa moltissimo per fare la separazione degli amminoacidi, per i quali il punto isoelettrico
è noto. Lo possiamo fare per separare singole specie amminoacidiche o in generale per separare gli
acidi, dai basici, dai neutri e così via.
C’è sempre il detector che misura, quindi avremo un picco per ogni specie amminoacidica distaccata
dalla fase S.

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