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Mario Piatti

PROGETTARE L’EDUCAZIONE MUSICALE

Cappelli editore
Bologna 1993
Collana “Cultura musicale di tutti“
Diretta da Gino Stefani e Maurizio Vitali
(Il volume è esaurito)
 dell’Autore
INDICE

Premessa
4 Un territorio
4 La mia esplorazione
6 Una guida
7 Finestra 1: Libri e altro

CRITERI

Il vissuto
8 L'uomo-ragno
9 Finestra 2: Imprevedibilità
9 La consapevolezza
10 Finestra 3: Libri
10 Storie di vita (musicale)
11 Finestra 4: Un album dei ricordi (musicali)

La cultura
12 Musica-Musiche
13 Pedagogia-Scienze dell'educazione
13 Musica-Educazione
14 Scuola-Cultura-Società
15 Cultura-Metacultura
15 Finestra 5: Libri

L'identità
18 Identità: una o molteplice?
19 Incontro-integrazione-sviluppo
19 Finestra 6: Atteggiamenti
20 Identità musicale
22 Finestra 7: Libri

METODOLOGIE

Progettazione
23 Progettare l'educazione
24 Finestra 8: Didattica dell'occasionalità
25 Esplorare
26 Ricercare
26 Animare
27 Sviluppare
28 Un esempio
30 Uno schema

Programmazione
32 Analisi della situazione
33 Obiettivi e contenuti
37 Finestra 9: Temario
39 Finestra 10: Prontuari di obiettivi
39 Metodo
40 Finestra 11: Metodi
42 Realizzazione
43 Finestra 12: Unità didattica
44 Verifica e valutazione

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ARGOMENTI

Musica e handicap
46 Handicap + musica = musicoterapia?
44 Finestra 13: Guarire il quotidiano
47 Educazione musicale e/o musicoterapia
48 Star bene
49 Finestra 14: Progetto giovani '93
50 Star bene con la musica
51 Qualche punto fermo
52 Finestra 15: Libri e riviste

Creatività
52 Essere creativi
54 Finestra 16: Libri
55 Un modello operativo
57 Finestra 17: Schema del modello operativo

Formazione degli insegnanti


58 Professione: insegnante di musica
59 La formazione musicale dei maestri

65 Conclusione

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PREMESSA

Un territorio

Una passione che ho ereditato da mio padre è quella di passeggiare nei boschi dove, a secondo delle
stagioni, si possono raccogliere saporitissimi frutti, svariate qualità di funghi, bacche profumate e foglie
ornamentali. Ma il bosco, nei ricordi della mia infanzia, è anche un territorio di avventure e di scoperte, spesso
vissute con amici, ma talvolta anche in solitario; un territorio che, da grande, rivisito spesso non solo per
cercar funghi e frutti, ma anche per incontrare gli inesauribili gnomi.
E forse è stato proprio uno gnomo a suggerirmi una metafora: l'educazione musicale è come un bosco, un
territorio particolare con i suoi sentieri, i suoi profumi, i suoi frutti, i suoi personaggi.
Vorrei allora tentare di descrivere alcuni aspetti di questo territorio che ho esplorato e sul quale mi
piacerebbe che altri si avventurassero, ben felice se, anche con l'aiuto delle tracce da me lasciate, qualcuno
riuscirà a scoprire nuovi sentieri e nuovi paesaggi.
Possiamo considerare il territorio "Educazione musicale" anche come quell'insieme di attività individuali
e/o collettive che, condotte con metodologie, tecniche e materiali specifici, permettono a ciascuno di
sviluppare competenze, attivare comportamenti, acquisire conoscenze relative alla fruizione e alla produzione
di eventi musicali.
Per esplorare questo territorio mi sono servito di alcune mappe elaborate da altri esploratori che mi
hanno preceduto. A mia volta ho elaborato nuove mappe o modificato in parte quelle preesistenti. L'insieme di
queste mappe potrebbe costituire un atlante di "Pedagogia della musica", cioè un insieme organico e
coerente di elaborazioni teoriche che descrivono, interpretano, sviluppano, analizzano, valutano principi,
metodi, procedure, materiali attinenti ad una intenzionale educazione-formazione-istruzione musicale.
La mia attenzione è particolarmente centrata sull'educazione musicale di base, che può essere intesa sia
come qualcosa che deve esser posto alla base, una piattaforma indispensabile sulla quale costruire in seguito
qualcosa di più specifico e/o specialistico, sia come quell'educazione musicale da attivare nella scuola di base
e nelle istituzioni che si prefiggono di offrire, a chiunque lo desideri, una base di criteri, metodi e procedure
per sviluppare e approfondire la propria competenza musicale.
Ci sono altre mappe ed altri atlanti che, per così dire, possono completare quello della Pedagogia della
musica: sono quelli della Didattica della musica, della Psicologia della musica, della (Etno)Musicologia, della
Sociologia della musica, della Musicoterapia, della Filosofia della musica, ecc. ecc. Non sempre è possibile (e
utile) tracciare confini precisi, anche perchè qualcuno sarebbe tentato di renderli visibili con reti e filo spinato,
o con muri di separazione. Talvolta le considerazioni contenute in questo libro prendono a prestito ipotesi e
suggerimenti da mappe dei diversi atlanti. Ma l'intento è quello di stare il più possibile nell'ambito prefissato:
quello pedagogico.

La mia esplorazione

Perchè e come ho esplorato il bosco "Educazione musicale"?

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Il mio interesse per l'educazione musicale nasce un po‘ per caso. Dopo una serie di vicende ed esperienze
personali e professionali nelle quali la musica era presente più come fatto esecutivo e in parte compositivo,
un incontro casuale con le filastrocche di Gianni Rodari e una richiesta di fare musica con bambini di alcune
scuole dell'infanzia ed elementari, mi hanno indotto a comporre qualche canzone utile per fare "animazione
musicale" (così venivano talvolta definiti gli interventi di educazione musicale negli anni '70). Credo che le mie
esperienze di animazione nelle scuole e nei quartieri di Firenze costituiscano un vissuto che ha fortemente
condizionato anche la mia riflessione e i miei studi nel campo pedagogico. Alcune prospettive teoriche che
esporrò sono nate proprio da quelle esperienze, anche se un forte stimolo a una maggiore organicità di
pensiero, di elaborazione teorica, di messa a punto di strumenti e materiali formativi sono stati gli incontri con
le allieve e gli allievi del Corso di didattica della musica nei Conservatori di Venezia e di Castelfranco Veneto e
del Corso quadriennale di studi in musicoterapia di Assisi, nonchè gli incontri avuti con insegnanti di vari ordini
scolastici in occasione di corsi e seminari di formazione e aggiornamento.
L'attenzione, l'interesse, le domande, i problemi, le difficoltà, le gioie e le soddisfazioni, ma anche qualche
incertezza, qualche insuccesso, qualche incomprensione che ho sperimentato nei miei contatti con adulti e
bambini in diverse città italiane, hanno dato quindi un contributo essenziale alla formazione della mia
competenza educativa e della mia identità professionale.
Nel corso delle mie esperienze educative e formative è emersa gradualmente una parziale insoddisfazione
in merito alle risposte correnti su alcuni "perchè" e "per come" delle attività didattiche centrate sulla musica.
Da un iniziale atteggiamento infantile che mi faceva prender per buono tutto ciò che veniva proposto nei
diversi sussidi didattici di cui venivo a conoscenza in modo più o meno occasionale, son passato gradualmente
a un atteggiamento adolescenziale che mi portava a rifiutare quasi totalmente ciò che gli "adulti" mi
proponevano (pur non potendo in parte farne a meno), per arrivare, infine, a comportamenti di maggior
equilibrio. In questa situazione mi sono però reso conto che, dal mio punto di vista, c'era qualcosa che mi
sfuggiva, di cui non mi rendevo ben conto: una specie di apriori inespresso, un qualcosa di apparentemente
insondabile e indimostrabile.
Questo qualcosa si è piano piano materializzato, e ha preso forma in alcune domande: su cosa si fondano
le proposte correnti di didattica della musica? Quale epistemologia sta alla base delle convinzioni, delle teorie
o anche solo delle opinioni più diffuse in merito alla educazione musicale? Di quale cultura (musicale) sono
espressione i documenti più o meno istituzionali? Quali valori guidano le pratiche di educazione musicale e i
progetti di formazione degli educatori?
Per me queste domande erano e sono importanti perchè attivano il proprio senso critico nei confronti di
una realtà musicale (di una cultura musicale e di una didattica della musica) che è profondamente intrecciata
alla realtà sociale, culturale, politica, economica. L'autonomia di giudizio è uno di quei diritti-doveri di cui
nessuno può essere privato. Solo sviluppando il senso critico si possono formare persone libere e creative,
capaci a loro volta di liberare e rendere creativi, e quindi di contribuire alla costruzione di una società in cui si
affermino sempre più i valori di democrazia, uguaglianza, cooperazione, condivisione.
Il nostro senso critico deve essere in grado di scandagliare anche la relazione musica-società. Questo è un
compito educativo prioritario. Più che "imparare (e quindi insegnare) la musica" come atto fine a se stesso,
occorre saper usare le conoscenze e le competenze acquisite nel campo musicale per attivare una relazione
sempre più positiva con gli altri e per contribuire al cambiamento della società sulla base dei valori condivisi.

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Questa prospettiva può modificare sostanzialmente i punti di vista sulla scuola e sull'extrascuola. Per
quanto riguarda la scuola, essa non viene più vista come uno spazio-tempo dove si impara ciò che ci servirà in
futuro, ma come reale centro di formazione e di produzione socio-culturale, in stretta relazione con i problemi
della vita quotidiana, con le contraddizioni della realtà specifica di un territorio circoscritto (che però spesso
interagisce in tempo reale con il resto del mondo), con le difficoltà politiche per la elaborazione e la
realizzazione di progetti finalizzati non tanto alla conoscenza e alla pratica della musica fine a se stesse, ma
funzionali a un miglioramento globale della vita personale e sociale.
Per quanto riguarda ciò che viene normalmente definito come extrascuola, in particolare le strutture
educative e socioassistenziali, queste possono essere considerate uno spazio-tempo dove, superata (almeno
idealmente) l'ideologia del parcheggio o del tempo libero che dir si voglia, si recupera una dimensione di vita
vissuta, e non solo subita; dove sensi e significati della propria esistenza vengono riscoperti nella gioia di un
fare e di un essere che hanno valore in sè, e non perchè inseriti in processi produttivi che devono rispondere
alle leggi dell'economia, della finanza o della massificazione da auditel (e sappiamo come spesso le
manifestazioni di una certa "vita musicale" rispondono ormai a questa logica, con buona pace della "purezza
dell'arte"...).
Sarebbe un errore pensare all'educazione/istruzione musicale come a qualcosa che interessa solo
l'istituzione scolastica. Oggi, per fortuna, l'ottica di una educazione permanente e diffusa (che non è quindi
limitata al "tempo" dell'età evolutiva e agli "spazi" degli edifici scolastici) è ormai abbastanza accettata e
condivisa, anche se poi spesso non vengono predisposti gli strumenti legislativi e operativi per realizzarla.
Possiamo quindi pensare che attori dei processi di educazione/formazione/istruzione non sono più
soltanto bambini/ragazzi/giovani inquadrati nell'istituzione scolastica, ma possono essere tutti coloro che
intendono essere parte attiva del cambiamento sociale, e che quindi vogliono sia acquisire maggiori
competenze per svolgere un ruolo appunto di "attore", e non di semplice "spettatore", sia sviluppare tutte le
potenzialità di comunicazione e di espressione per un più alto grado qualitativo della propria e dell'altrui
esistenza. Si affacciano così, all'orizzonte dell'educazione musicale, anche particolari categorie di persone:
anziani, carcerati, tossicodipendenti, handicappati, emarginati,... Parlare di educazione musicale per loro ha
un senso? Se si, quale?

Una guida

In questo libro ho cercato di descrivere alcuni itinerari, tracciati in base alle mie esperienze e ai miei studi,
che mi auguro siano utili a chi, per necessità o per scelta, debba elaborare programmi e progetti di
educazione musicale (nel senso lato sopra accennato). Gli itinerari proposti possono essere considerati
modelli operativi che dovrebbero, nelle intenzioni dell'autore, favorire l'autoapprendimento; un fai-da-te
metodologico e didattico che può trovare opportuno e utile supporto e/o espansione in situazioni di lavoro di
gruppo, in modo da poter mettere a confronto altri modelli e altri "kit di montaggio" della serie "pedagogia e
didattica della musica". Ovviamente i modelli proposti non esauriscono la modellistica possibile. Sarebbe
presuntuoso anche solo pensarlo. Credo, tra l'altro, che tali modelli non siano applicabili sempre e comunque.
Diciamo che, come tutti i modelli, vanno presi e adattati alla propria taglia, alla propria misura, al tipo di
tessuto scelto, alla funzione dell'abito che si vuole indossare.

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Gli interlocutori privilegiati possono essere gli insegnanti (di musica) dei vari ordini di scuola (e chi si
appresta a diventarlo); gli insegnanti delle diverse Scuole di musica comunali, di quartiere, ecc.; tutti coloro
che (operatori sociali, educatori professionali, operatori pedagogici, animatori e operatori musicali di base,
musicisti, musicanti, musicofili...) intendono elaborare e realizzare progetti educativi in cui la musica svolga un
ruolo primario.
Colgo qui l'occasione per esprimere riconoscenza e gratitudine ai miei genitori che per primi mi hanno
orientato nel mondo della musica; ai bambini e alle insegnanti di numerose scuole che mi hanno costretto
talvolta a uscire dai limbi delle teorie; a tutti gli autori dei libri che ho letto e che mi hanno aiutato a sviluppare
la mia identità, anche se talvolta mi hanno provocato delusioni e qualche arrabbiatura; agli amici e alle amiche
con le quali ho discusso di alcune questioni qui presentate e che mi hanno ascoltato pazientemente; a Gino
Stefani e Maurizio Vitali che hanno voluto correre il rischio di pubblicare questo libro nella collana da loro
curata; a Elena Tamberi che mi ha permesso di uscire un po‘ dalla quotidianità per dedicarmi a questo lavoro;
infine un grazie anticipato a tutti coloro che, dopo aver usato questo libro, mi regaleranno osservazioni e
critiche.

Finestra 1

LIBRI E ALTRO

Nel corso del libro si apriranno di volta in volta "finestre" come quella che contiene questo scritto.
In alcune riporto elenchi di libri che però non costituiscono una "bibliografia" sull'argomento; sono i testi
che personalmente ritengo più significativi tra quelli che ho studiato o consultato per approfondire alcuni
aspetti legati alle mie esperienze e alle mie riflessioni. Per ciascun argomento, chi legge potrà costruirsi una
personale bibliografia di riferimento secondo anche i propri interessi e i propri bisogni.
Altre "finestre" conterranno citazioni, schemi operativi, brevi considerazioni su aspetti particolari. Il tutto
nell'ottica di quel fai-da-te di cui si parla nella premessa.
Per alcune questioni relative a "Pedagogia della musica" mi permetto di rimandare a M. Piatti, "Pedagogia
della musica: quali basi?", in Nuova rivista musicale italiana, n. 2, Aprile-Giugno 1992 (ora anche in M. Piatti (a
cura di), Pedagogia della musica: un panorama, CLUEB, Bologna 1994).

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CRITERI

IL VISSUTO

L'uomo-ragno

Da piccolo mi ha sempre affascinato la figura e il personaggio dell'uomo-ragno dei fumetti, soprattutto per
la sua capacità di muoversi nell'ambiente senza problemi, con agilità, riuscendo a superare qualsiasi tipo di
ostacolo. La sua risorsa è il poter costruire sul momento la ragnatela giusta per quell'occasione.
Questa immagine della ragnatela mi è venuta alla mente quando mi son messo a riflettere su come è
avvenuta la mia formazione, sugli elementi che hanno contribuito alla mia educazione.
Tutti noi possiamo testimoniare che nella nostra esistenza è presente un'alta percentuale di cose che
capitano "un po‘ per caso". Ci muoviamo in un sistema esistenziale dove l'occasionalità, l'imprevisto, il non
cercato intenzionalmente occupano una parte notevole del nostro tempo-spazio e talvolta possono assumere
anche un peso rilevante. Un incontro casuale fa nascere nuove amicizie; la lettura di una pagina di un libro
preso a caso nella libreria di un amico fa scattare un‘idea per un nuovo progetto di ricerca; la deviazione di
una strada interrotta ci fa scoprire nuovi paesaggi; un brano musicale ascoltato alla radio suscita un nuovo
interesse, e così via.
Possiamo considerare le diverse occasioni della vita quotidiana come altrettanti fili di una ragnatela che,
attaccati a supporti individuati nell'ambiente e/o da noi in qualche modo predisposti, ci permettono, come
l'uomo-ragno, di muoverci nella realtà con una certa agilità. Con la nostra ragnatela costruiamo una serie di
rapporti, di connessioni, di relazioni che, interagendo con le nostre esperienze precedenti, ci permettono di
sviluppare, far crescere, modellare la nostra personalità, la nostra intelligenza, il nostro comportamento, le
nostre competenze.
Si potrebbe dire che ciascuno di noi sta costruendo una propria ragnatela di vissuti, dove il modello non è
dato aprioristicamente una volta per tutte, ma è un modello autoformantesi proprio in base all'esperienza, e
dove tecniche e materiali di costruzione vengono scelti e assemblati in base ai reali bisogni del momento, e
dove i tempi di costruzione possono subire accelerazioni o rallentamenti non totalmente prevedibili e
predicibili.
Se questa metafora della ragnatela ci convince (almeno in parte), proviamo allora a proiettarla sul nostro
problema che, lo ricordiamo, è come e perchè progettare l'educazione musicale (dentro e fuori la scuola),
cioè come intervenire intenzionalmente nel processo di costruzione, adattamento, sviluppo della relazione tra
noi e gli eventi musicali.

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Finestra 2

IMPREVEDIBILITÀ

Si può dire che un essere vivente la cui storia fosse interamente prevedibile date le condizioni iniziali,
sarebbe condannato a rapida morte, come del resto morti sono i prodotti dell'uomo, come case, macchine,
ingranaggi derivati da un progetto stabilito una volta per tutte, incapace di modificarsi nel tempo. Per
sopravvivere infatti cellule, organismi, ecosistemi, devono poter rispondere con continui cambiamenti alle
modificazioni non prevedibili dell'ambiente esterno ivi comprese quelle determinate da altri esseri viventi.
Batteri, virus, piante, animali, vivono quindi di casualità, disordine, imprevedibilità, che con reti intricate di
interazioni fra le parti e con uno scambio continuo di materia ed energia con l'esterno, utilizzano per produrre
ordine secondo un progetto che cambia continuamente proprio come cambia di momento in momento il
nostro cervello, apprendendo, assimilando, costruendosi. Ecco perchè modificazioni del mondo effettuate
sulla base di schemi lineari, fondati sulla prevedibilità, sulla assenza di interazioni, sulla non modificabilità dei
progetti umani, provocano morte. Ed ecco perchè chi oggi difende la vita su questo pianeta pensa che i
concetti della non linearità, della imprevedibilità, della complessità, derivanti dallo studio della natura e
soprattutto di quella vivente, debbano essere considerati, come sono, parte della nostra razionalità, della
capacità di comprendere degli esseri umani. (...) Non di un paradigma che spieghi tutto abbiamo bisogno, ma
di strumenti mentali che ci permettano di osservare e comprendere la multiversità della natura e quindi i suoi
molteplici paradigmi accettando l'imprevedibilità non come una nostra colpevole incapacità di comprendere
(possedere?) ma come parte necessaria dei fenomeni naturali e della vita.

(Da: Marcello Buiatti, "Il pianeta imprevedibile“, su l’Unità del 16.2.1990).

La consapevolezza

Chiunque si assuma il compito di educare (insegnante, animatore, genitore, operatore sociale,...) dovrebbe
innanzitutto prendere consapevolezza dell'ampiezza, della consistenza, degli agganci, delle ramificazioni della
propria ragnatela "musicale".
Questo atto di consapevolezza è fondamentale per una serie di ragioni.
La prima è che dobbiamo tener conto del fatto che, come in natura, non c'è una ragnatela uguale a
quell'altra. Il vissuto di ciascuno, quindi, è diverso da quello degli altri. Nessuno può descrivere, meglio di me,
la mia esperienza.
La seconda ragione è che solo prendendo consapevolezza del nostro vissuto siamo in grado di dialogare
con i vissuti degli altri, prendendo atto di ciò che è comune e ciò che è diverso.Terzo, noi possiamo, sulla base
della presa d'atto della nostra situazione, fare progetti di sviluppo, di ampliamento, di approfondimento, di
integrazione, ecc. del nostro vissuto, senza il rischio di rimanere invischiati nella nostra stessa ragnatela, illusi
che il mondo finisca dove finisce il nostro filo più lungo.

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Una quarta ragione (e forse altre se ne potrebbero trovare) è che solo attraverso una autoriflessione
consapevole possiamo far sì che il cambiamento, la trasformazione, l'evoluzione del nostro pensiero e del
nostro comportamento ci rendino sempre più coerenti con i valori e con i principi in cui crediamo.
Prendere consapevolezza, prendere coscienza, autovalutare la propria esperienza, decidere
autonomamente ciò che va mantenuto o ciò che va scartato, ciò a cui dare più o meno importanza, attivando
o disattivando connessioni con la molteplicità degli elementi che compongono il nostro vissuto: sono tutti atti
ai quali la didattica musicale tradizionale non ha (quasi) mai dato importanza. Disattenzione o scelta? Forse è
solo troppa preoccupazione di trovare espedienti per trasmettere meglio contenuti codificati da "esperti" o
per rendere più gradevoli norme e regole di pensiero e di azione propri dell'"alta cultura" o anche
semplicemente della cultura "di massa" che oggi (sembra banale dirlo) è (quasi) totalmente guidata da criteri
di produzione funzionali al guadagno economico e, direttamente o indirettamente, al consenso delle ideologie
dominanti attraverso i centri di potere politico-culturale.

Finestra 3

LIBRI

Sulle tematiche qui sviluppate, mi sono trovato spesso in sintonia con:


* Manfred Eigen, Ruthild Winkler, Il gioco. Le leggi naturali governano il caso, Adelphi, Milano 1986 (ed
or. 1975, 1985).
* Loredano Matteo Lorenzetti, Alessandro Antonietti, Il gatto in gondola. Conoscenza/persona
educazione/società nella prospettiva di K.R. Popper e oltre , Unicopli, Milano 1987.
* Sergio Manghi, Il gatto con le ali. Ecologia della mente e pratiche sociali, Feltrinelli, Milano 1990, in
particolare il Cap. 2, "A scuola dal Barone. Sistema dell'istruzione e coscienza ecologica".
* Rita Levi Montalcini, Elogio dell'imperfezione, Garzanti, Milano 1987.

Storie di vita (musicale)

Prendere consapevolezza del nostro vissuto musicale significa riandare con la memoria alle nostre
esperienze, individuando tutto ciò che in qualche modo riteniamo significativo per noi e per il contesto in cui
abbiamo vissuto.
Quante storie di "vita musicale" si potrebbero scrivere, o anche solo raccontare...
Correva l'anno 1951. Natale, giorno del mio ottavo compleanno. Un regalo quasi inatteso: una fisarmonica
48 bassi, sulla quale il giorno stesso comincio a "improvvisare" qualcosa. Nei mesi precedenti i miei genitori
mi avevano affidato alle cure di una gentilissima signorina, pianista, che aveva cominciato a insegnarmi
qualcosa. Un metodo, il suo, piacevole: quando arrivavo a casa sua mi lasciava per un po' di tempo da solo a
"pasticciare" sulla tastiera, mentre terminava (o faceva finta di terminare?) qualche lavoro domestico; poi si
avvicinava e, dopo avermeli fatti ascoltare suonati da lei, cominciava a farmi leggere brani semplici. Prima di
congedarmi, qualche esercizio di tecnica. Il mio dramma (continuato fino ad oggi) era la ditteggiatura: non

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seguivo mai le indicazioni della partitura; gli occhi vedevano (vedono) i numeri, ma le mani andavano (vanno)
per conto loro.
Mi ricordo che, da piccolo, rimanevo incantato ad ascoltare mia madre che cantava brani d'opera in
playback con la radio, e mio padre che seguiva il testo su libriccini che venivano custoditi con cura. L'opera è
un genere che non mi piace, ma mi è rimasto il ricordo di qualcosa che piaceva (e piace) ai miei genitori,
qualcosa, per loro, di importante. Come era piacevole (e importante), in certe occasioni, fare spazio in cucina,
spostando il grande tavolo sul quale abitualmente mia madre tagliava e cuciva abiti, per poter ballare i valzer
e le mazurke. Forse è stata la loro voglia di musica che li ha spinti a regalarmi la fisarmonica di cui parlavo
prima.
Inizialmente studiavo sotto la guida di un maestro che con il sussidio del "Metodo Anzaghi", in un paio
d'anni mi ha insegnato diversi pezzi divertenti che io puntualmente eseguivo in occasione di feste e di riunioni
di famiglia, e una volta anche in occasione di una cerimonia a scuola (ho ancora una foto...). I miei studi sono
poi proseguiti presso la scuola comunale di musica, affondando però nel solfeggio col "Metodo Bona". I miei
genitori assecondarono il mio desiderio di interrompere questi studi in un momento in cui non sopportavo più
scale e solfeggi, ma anche mi ridarono la spinta per ricominciare a suonare in occasione di feste e ricorrenze,
studiando i pezzi che mi servivano per la circostanza. In questo periodo ricordo che ascoltavo quasi solo
musiche "popolari": valzer, mazurche, polke, tanghi, ecc.
In seguito i miei studi musicali, portati avanti quasi esclusivamente da autodidatta, sono stati dettati più dai
bisogni del momento, che non da criteri di organicità. Negli anni del liceo ho suonato un po' il pianoforte e
l'organo, mentre mi incuriosivano anche altri strumenti (saxofono, flauto dolce, percussioni, chitarra), tanto da
provare comunque a maneggiarli per qualche tempo. Contemporaneamente mi interessavano l'armonia e la
composizione, mentre ovviamente continuavo imperterrito a improvvisare i miei "pasticci". I miei ascolti si
allargarono anche a musiche classiche, al rock, al pop, alle tradizioni popolari. Non ricordo di avere avuto
particolari "preferenze".
Le mie esperienze sono state prevalentemente centrate su un fare musica in contesti di feste di gruppo, di
partecipazione attiva ciascuno con le proprie piccole o grandi capacità, di una produzione fortemente segnata
da motivazioni e contenuti di carattere politico e anche religioso. Questo aggancio a situazioni vissute in prima
persona ha indirizzato i miei interessi anche verso la cosidetta musica popolare, il jazz, i gruppi
dell'avanguardia, le performances di improvvisazione...
...ma non voglio annoiare con la mia autobiografia. Questi brevi cenni mi servono solo come spunto per
ribadire la possibilità, e la necessità, di un percorso di consapevolezza relativo a idee, sentimenti, valori,
credenze, pratiche, teorie musicali che fanno parte del proprio vissuto. Vedremo poi come costruire una
ragnatela di vissuti in un contesto educativo.

Finestra 4

UN ALBUM DEI RICORDI (MUSICALI)

Tutti posseggono un album di fotografie probabilmente ordinato cronologicamente (o anche solo una
scatola dove le immagini sono raccolte in modo disordinato). Sono frammenti (visivi) di vissuto, rivedendo i

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quali riemergono anche sensazioni, emozioni, sentimenti, che si intrecciano con sorrisi, considerazioni,
commenti sul presente e sul passato.
Quasi nessuno pensa a conservare documenti sonori dei propri vissuti (oggi, con le videocamere, qualcosa
in più rimane). Ci sono però suoni, musiche, canzoni, eventi che ci hanno accompagnato nel nostro cammino
sulle strade della vita, e che quando li ricordiamo e li riascoltiamo sono in grado di suscitare in noi particolari
reazioni emotive.
Rovistiamo nella nostra scatola dei ricordi (musicali), attivando la consapevolezza di come ci siamo formati
(o ci hanno formato) musicalmente.
Quali sono le prime musiche che ho ascoltato?
Quali canti della mia infanzia ricordo, e che senso hanno per me oggi?
Quanto ha giocato l'occasionalità nella mia formazione musicale?
Quali eventi musicali, ai quali ho partecipato, hanno orientato in modo significativo i miei gusti?
Come definirei la mia cultura musicale?
Quali sono i punti di "aggancio" (teorie, persone, valori,...) delle mie conoscenze, delle mie capacità?
Quali punti sono indispensabili, e quindi da rafforzare, e di quali posso eventualmente fare a meno?
Dove e come potrei tentare di attivare nuovi agganci per allargare la mia ragnatela musicale?

LA CULTURA

Musica-Musiche

Di quali e quante connotazioni è carico, per noi, il termine /musica/? Se lo mettiamo al centro di una
ipotetica ragnatela, tale termine può essere correlato a innumerevoli altre cose: il genere che preferiamo, la
discoteca, lo strumento che suoniamo, la teoria e il solfeggio, il concerto a cui abbiamo recentemente
partecipato, una partitura, ecc.
/Musica/, quindi, può indicare una molteplicità di esperienze, di pratiche sociali, di teorie, di prodotti.
Quando due persone parlano di musica, in realtà potrebbero anche non capirsi se rimangono troppo sulle
generali, se i loro discorsi ruotano attorno a concetti generici, se le categorie di riferimento non vengono
preventivamente dichiarate. Se qualcuno parla di musica avendo come punto di riferimento il proprio vissuto
fatto quasi esclusivamente di "canzoni", farà probabilmente fatica a intendersi con un interlocutore
convintissimo che la musica sia solo quella che lui suona in modo eccellente sul suo strumento. Fino al punto
estremo che ciò che per qualcuno è musica, per altri non lo è affatto, o per lo meno è un prodotto non degno
di questo nome, un sottoprodotto di una sottocultura.
Problemi terminologici (che sono poi problemi di comprensione, oltre che di prospettive culturali) nascono
anche quando ci si addentra nei tentativi di definizione degli elementi caratteristici di un genere musicale (è il
caso, ad esempio, del "popolare"), dove allora diventa indispensabile un accordo previo su termini, concetti,

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categorie, se non si vuole rischiare un dialogo tra sordi.
Analoga difficoltà può nascere quando si tenta una interazione tra diversi campi del sapere musicale,
articolato in una molteplicità di punti di vista. In questi ultimi anni accanto a discipline tradizionali quali la storia
della musica, la filosofia della musica, la psicologia della musica, l'etnomusicologia, ecc. (che hanno visto
comunque anche al loro interno profondi mutamenti) sono nati e/o si sono sviluppati rapporti tra musica e
nuove discipline quali la semiologia, la medicina, l'elettronica, ecc. Questo ha comportato anche il nascere di
nuovi codici linguistici, di nuove terminologie che talvolta creano qualche difficoltà al dialogo e alla integrazione.
Possiamo allora concludere dicendo che, parlando di "musica", non ci troviamo di fronte a un tutto
monolitico, dai contorni ben delineati e dalle verità definite, a un insieme omogeneo di teorie e/o di pratiche
sociali, a un linguaggio "universale" che permette a tutti di capire le stesse cose e di provare le stesse
emozioni.
"Musica" è piuttosto un insieme variegato di cose, un arcobaleno di prodotti e di eventi, un mosaico di
tradizioni e di riti, un intreccio di teorie e di credenze, di fronte alle quali è assurdo voler anche solo ipotizzare
scale di priorità o gradini più o meno alti di civiltà. In un'ottica pedagogica, un sano relativismo permette di
evitare (inconsce) adesioni ad atteggiamenti di intolleranza e di razzismo culturale.

Pedagogia-Scienze dell'educazione

Molteplicità di sensi e di significati sono attribuiti anche al termine /Pedagogia/, usato talvolta nel senso
di insieme di teorie, oppure di azione educativa, o, ancora, come sinonimo di didattica. Al di là comunque del
significato del termine, una serie di problemi vengono posti in ordine allo statuto epistemologico della
Pedagogia intesa come disciplina di studio, come campo del sapere. Sarebbe fuori luogo fare anche solo una
sintesi delle diverse posizioni espresse dai vari autori sull'argomento. Mi basta sottolineare, in questa sede, il
fatto che le tematiche educative investono parecchie discipline, tanto che si parla ormai comunemente di
"scienze dell'educazione". È evidente e significativo, ad es., l'apporto dato alla pedagogia dalle diverse branche
della psicologia, dall'antropologia, dalle scienze sociali, anche se è ovvio che la conoscenza e lo studio di
discipline formalizzate non assicurano, di per sè, una "buona" azione educativa. È il continuo paradosso del
rapporto tra teoria e prassi, tra riflessione e sperimentazione, tra generalizzazione e specificità, tra sapere e
saper fare, paradosso particolarmente sentito da chi si occupa di formazione degli educatori/insegnanti. Si
ritiene comunque pensabile una specificità dell'ottica pedagogica, pur nella consapevolezza che i problemi
educativi non vengono risolti solo col supporto della pedagogia. Possiamo far consistere questa specificità
nella elaborazione di criteri orientativi e di modelli operativi per la progettazione e la realizzazione di
intenzionali azioni educative, nonchè per la verifica della congruenza e della pertinenza delle scelte
metodologiche e didattiche con il paradigma assunto come fondante l'azione educativa stessa.
Chi si occupa di educazione musicale non può fare a meno, a mio avviso, di confrontarsi con le diverse
teorie pedagogiche che, più o meno esplicitamente, fondano ed orientano le diverse didattiche.

Musica-Educazione

L'articolazione e la complessità dei campi di conoscenza e di esperienza a cui si è fatto cenno nei paragrafi

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precedenti può in parte giustificare l'incertezza e la diversità di opinioni relative a finalità, ambiti, contenuti e
metodologie che si riferiscono al rapporto da stabilire tra musica e educazione, fra tradizioni culturali socio-
storiche e formazione dei giovani, tra modelli e valori del passato e prospettive del futuro.
Il rapporto musica-educazione, in questi ultimi anni, si è trasformato in relazione non solo alla evoluzione
dei modelli teorici del campo pedagogico e delle modificazioni delle strutture scolastiche, ma anche alla
continua trasformazione e mutazione nel campo dell'"arte musicale", sia a livello produttivo che a livello della
fruizione.
Accanto, ad es., a una interrelazione dialettica tra artista e fruitore (che in taluni casi arriva anche allo
scambio dei ruoli), si è avuta una relativizzazione dell'elemento "estetico" come criterio unico e più "alto" per
giudicare il valore di un evento, di un'opera, di un prodotto, di un interprete, ecc. Si è così rivalutato il carattere
funzionale non tanto e non solo del prodotto musicale in sè, quanto del fare musica, del partecipare
attivamente agli eventi musicali nelle varie situazioni sociali e nei vari contesti di comunicazione-espressione.
Questi mutamenti, unitamente ad una serie di evoluzioni nel pensiero e nella pratica didattica, hanno
indotto anche alcuni cambiamenti nelle finalità dell'educazione musicale: si impara a usare e a produrre la
musica e si imparano le regole del linguaggio musicale non con atteggiamento fideistico e rituale nei confronti
dei capolavori del passato, ma per vivere meglio il presente e per progettare un futuro diverso, dove ciascuno
può soddisfare meglio i propri bisogni e veder rispettati di più i propri diritti fondamentali.
Le esperienze e le tradizioni culturali dei vari popoli diventano così un punto di riferimento per evitare errori
già commessi, per progredire nelle ricerche già avviate, per trovare soluzioni adeguate alle finalità e alle
funzioni dei progetti educativi di oggi e di domani.
Le attività musicali, le esperienze di fruizione e di produzione di eventi musicali vanno quindi considerate,
nel contesto educativo, come spazio/tempo per uno sviluppo delle proprie potenzialità creative, e non per un
uso passivo (consumistico), ripetitivo, di prodotti confezionati e scelti dagli esperti del mercato culturale
(didattico); vanno considerate come elemento essenziale di un processo educativo fondato sulla libertà, intesa
come capacità/possibilità per ogni individuo di andare oltre il già dato, il già fatto, il già espresso.

Scuola-Cultura-Società

Ogni progetto di educazione/istruzione musicale (dentro e/o fuori dalla scuola) più che rifarsi in prima
istanza a teorie musicologiche e/o a modelli didattici, dovrà fare i conti con i concreti bisogni e desideri delle
comunità locali, ampliando i propri orizzonti culturali, con prospettive sociali e politiche, non riducendo il tutto
a una presunta "asetticità" dell'intervento educativo. Lo scopo, la finalità, non è di imparare la musica, ma di
sapere usare le conoscenze e le competenze acquisite per attivare una relazione sempre più positiva con gli
altri e con la realtà che ci circonda.
In altri termini, in particolare per quanto riguarda la scuola, si tratta di pensare ai progetti educativi non
già come a mezzi per la trasmissione di saperi disciplinari (più o meno aggiornati e imbellettati con lustrini alla
moda), ma come momenti di relazione tra persone, che in forma cooperativa, cercano di sviluppare tutte le
proprie potenzialità in ordine alle possibilità di cambiamento e di evoluzione positiva della realtà sociale. Si
esige pertanto un cambiamento di prospettiva (e quindi una forte innovazione operativa) per far diventare la
scuola un laboratorio di ricerca, di sperimentazione e di creazione di nuove forme di vita, di modelli sociali, di

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piu' decise e precise forme partecipative e democratiche.

Cultura-Metacultura

In senso generale possiamo considerare "Cultura" un insieme complesso di elementi, interagenti tra di
loro e in continuo mutamento. Tali elementi possono essere raggruppati secondo queste categorie generali
(tenendo presente che essendo ogni categorizzazione una scelta di un punto di vista, è possibile trovare altre
categorie da aggiungere o da sostituire a quelle indicate):
- i comportamenti e le pratiche individuali e sociali (abitudini, consuetudini, modi di vivere);
- i sistemi di valore (credenze, fedi, tradizioni).
- le istituzioni e le leggi (in pratica l'organizzazione sociopolitica di una comunità, di un popolo);
- le attività di lavoro (nei vari settori: agricoltura, industria, servizi);
- la produzione artistica e culturale comunemente intesa (i prodotti, i manufatti);
- le conoscenze (il sapere comune, il sapere scientifico, i linguaggi, ecc.).
Nel momento in cui si osserva, si interpreta, si analizza, si valuta una cultura si fa una operazione meta-
culturale. Ogni cultura, quindi, elabora anche i mezzi e i modi di trasmissione di sè stessa, nonchè i
procedimenti di elaborazione teorica e di descrizione dei modelli culturali. Come esiste, ad es., una cultura del
più forte e una cultura del più debole, così esiste una meta-cultura che cercherà di legittimare la cultura del
più forte e una meta-cultura contraria. Come pure esiste una meta-cultura che si dichiarerà neutrale, e che
pilatescamente cercherà di mantenere la propria (supposta) autonomia (ad es. didattica).
Ogni cultura è "relativa" al proprio contesto e alla propria storia, e quindi non esistono, a priori, modelli più
alti, più validi, più degni di considerazione o di apprezzamento. Ciò che in un contesto culturale è considerato
prioritario, può essere secondario in un altro contesto.
Questo vale anche nel campo della musica, e, a maggior ragione, nel campo dell'educazione musicale. Da
qui l'importanza e la necessità di una educazione (musicale) interculturale fin dall'infanzia, una educazione in
grado di facilitare l'accoglienza, il rispetto, la conoscenza e l'integrazione reciproca, in un mondo che,
affacciandosi ad un nuovo millennio, sembra ripiombare nei vicoli ciechi del razzismo, delle intolleranze per le
diversità etniche, del disprezzo o anche solo dell'indifferenza per modelli culturali non perfettamente collimanti
con il proprio.

Finestra 5

Segnalo alcuni libri che mi hanno fatto riflettere e/o che ritengo significativi e utili per approfondire e
discutere i temi trattati:

Musica-musiche

* AA.VV., "La musica come sistema autonomo?", in Culture musicali. Quaderni di etnomusicologia, nn.
12/13/14, La casa Usher, Firenze 1989.
* Jacques Attali, Rumori. Saggio sull'economia politica della musica, Mazzotta, Milano 1978 (ed. or.

15
1977).
* Diego Carpitella (a cura di), L'etnomusicologia in Italia, Flaccovio, Palermo 1975.
* Diego Carpitella (a cura di), Folklore e analisi differenziale di cultura. Materiali per lo studio delle
tradizioni popolari, Bulzoni, Roma 1976.
* Luigi Del Grosso Destrieri, La sociologia, la musica e le musiche, Unicopli, Milano 1988.
* Franco Fabbri (a cura di), What is popular music? 41 saggi, interventi, ricerche sulla musica di ogni
giorno, Unicopli, Milano 1985.
* Francesco Giannattasio, Il concetto di musica. Contributi e prospettive della ricerca etnomusicologica,
La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992.
* Franco Evangelisti, Dal silenzio a un nuovo mondo sonoro, Semar, Roma 1991.
* Roberto Leydi, L'altra musica. Etnomusicologia. Come abbiamo incontrato e creduto di conoscere le
musiche delle tradizioni popolari ed etniche, Giunti-Ricordi, Firenze 1991.
* Luca Marconi, Gino Stefani (a cura di), Il senso in musica. Antologia di Semiotica musicale, CLUEB,
Bologna 1987.
* Alan P. Merriam, Antropologia della musica, Sellerio, Palermo 1983 (ed. or. 1964).
* Jean-Jacques Nattiez, Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, Einaudi, Torino 1987.
* Janos Marothy, Musica e uomo, Ricordi-Unicopli, Milano 1987 (ed. or. 1980).
* Henri Pousseur, Musica, semantica, società, Bompiani, Milano 1974.
* John Shepherd, La musica come sapere sociale, Ricordi-Unicopli, Milano 1988.

Pedagogia-Scienze dell'educazione

* Piero Bertolini, L'esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza
fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Scandicci 1988.
* Bernard Charlot, La mistificazione pedagogica. Realtà sociale e processi ideologici nella teoria
dell'educazione, Emme, Milano 1980 (ed. or. 1976).
* Francesco De Bartolomeis, La ricerca come antipedagogia, Feltrinelli, Milano 1969.
* Duccio Demetrio, Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extrascolastici, Nuova Italia, Scandicci 1990.
* Paulo Freire, Pedagogia in cammino, Mondadori, Milano 1979 (ed. or. 1977).
* Alberto Granese, Dialettica dell'educazione, Ed. Riuniti, Roma 1976.
* Riccardo Massa, Le tecniche e i corpi. Verso una scienza dell'educazione, Unicopli, Milano 1986.
* Aldo Visalberghi (a cura di), Pedagogia e scienze dell'educazione, Mondadori, Milano 1978.

Musica-Educazione

* Mario Baroni, Suoni e significati. Introduzione alle attività espressive nella scuola, Guaraldi, Rimini-
Firenze 1978.
* Giampiero Cane, Giovanni Morelli, Musica senza padri. Apprendimento della musica e limiti della
pedagogia musicale, Guaraldi, Rimini-Firenze 1976.

16
* Carlo Delfrati, Orientamenti di pedagogia musicale. Scritti 1966-1986, Ricordi, Milano 1989.
* Maurizio Della Casa, Educazione musicale e curricolo, Zanichelli, Bologna 1985.
* Loredano Matteo Lorenzetti, Alessandro Antonietti (a cura di), Processi cognitivi in musica, Angeli,
Milano 1986.
* Loredano Matteo Lorenzetti, Angelo Paccagnini (a cura di), Psicologia e musica, Angeli, Milano 1980.
* Mario Piatti (a cura di), L'educazione musicale tra accademismo scolastico e culture popolari, Edizioni
fonografiche e musicali PCC, Assisi 1989.
* Mario Piatti, Gino Stefani (a cura di), Orizzonti dell'educazione musicale, Edizioni fonografiche e
musicali PCC, Assisi 1987.
* Silvano Sansuini, Pedagogia della musica, Feltrinelli, Milano 1978.
* John A. Sloboda, La mente musicale. Psicologia cognitivista della musica, Il Mulino, Bologna 1988 (ed
or. 1985).
* Gino Stefani, Competenza musicale e cultura della pace, CLUEB, Bologna 1985.
* Johannella Tafuri (a cura di), Didattica della musica e percezione musicale, Zanichelli, Bologna 1988.
* Johannella Tafuri (a cura di), Psicologia genetica della musica, Bulzoni, Roma 1991.

Scuola-Cultura-Società

* Matilde Callari Galli, Antropologia e educazione. L'antropologia culturale e i processi educativi, La


Nuova Italia, Firenze 1975.
* L. Matteo Lorenzetti, L'asino di Buridano a scuola. Il bambino la scuola i programmi, Educazione e
scuola, Ancona 1986.
* Boris Porena, Musica/Società. Inquisizioni musicali II, Einaudi, Torino 1975.
* Christopher Small, Musica educazione società, Feltrinelli, Milano 1982 (ed. or. 1977).
* Gino Stefani (a cura di), Studi musicali: verso un nuovo paradigma, Edizioni fonografiche e musicali
PCC, Assisi 1990.
* Maurizio Vitali, Verso un'operatività musicale di base, Cappelli, Bologna 1991.

Cultura-Metacultura

* Ervin Laszlo, I limiti interni della natura umana. Pensieri eretici sui valori, la cultura e la politica,
Feltrinelli, Milano 1990.
* Luigi M. Lombardi Satriani, Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, Rizzoli, Milano
1980.
* Bruno Pianta, Cultura popolare, Garzanti, Milano 1982.
* Mario Piatti (a cura di), Educazione musicale in una società multietnica, Edizioni fonografiche e
musicali PCC, Assisi, 1992.
* Boris Porena, "Musica e ipotesi metaculturale", in M.Piatti, G.Stefani (a cura di), Orizzonti..., cit.
* Carlo Tullio-Altan, Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1971.

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L'IDENTITÀ

Identità: una o molteplice?

Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti in merito al vissuto e alla cultura ci portano a riflettere
su un aspetto fondamentale per la progettazione educativa: l'intersoggettività, la relazione tra persone, e
quindi, in altri termini, la relazione, il rapporto tra diverse identità.
Il concetto di identità è complesso e si presta ad essere esaminato da più punti di vista: psicologico,
sociologico, antropologico, storico, giuridico, ecc. Vari possono essere quindi i modi per descrivere l'identità di
una persona e/o di un gruppo; qualsiasi modo si scelga, non si potrà comunque ritenere esaustiva la
descrizione, che rimarrà, in ogni caso, una rappresentazione parziale di una realtà articolata, variegata,
molteplice e continuamente mutante.
Una prima questione da affrontare è proprio il rapporto tra identità e mutamento. Noi riconosciamo nei
nostri vissuti un qualcosa che permane e nello stesso tempo un qualcosa che cambia, qualcosa che ci
caratterizza (non solo sul piano fisico, ma anche su quello emotivo, psicologico, mentale, comportamentale) e
qualcosa che ci rende diversi da ieri, qualcosa che ci permette di ritenerci identici a noi stessi e di distinguerci
dagli altri e nello stesso tempo qualcosa che ci permette di cambiare noi stessi e di ritenerci simili agli altri.
Tutto questo non appare contradditorio se consideriamo l'identità non come una "cosa", ma come un sistema
di relazioni e di rappresentazioni. In questo sistema possiamo scegliere, in base anche ai punti di vista a cui
accennavo prima, alcuni elementi, alcuni tratti caratteristici che delineano l'identità individuale e/o del gruppo.
La scelta degli elementi e dei tratti caratteristici implica, ovviamente, la capacità autoriflessiva,
autoosservativa, oltre che la capacità di elaborazione e di uso di sistemi simbolici di rappresentazione (verbali,
ma anche gestuali, grafici, sonori).
Delineare la propria identità è funzionale non tanto a una catalogazione rigida, immutabile appunto, ma a
una maggiore consapevolezza di chi siamo, a un orientamento per una positiva relazione con altre identità, al
tentativo di dare un senso all'immagine che abbiamo noi di noi stessi e che gli altri hanno di noi.
Nella realtà socioculturale contemporanea, l'incidenza dei mezzi di informazione nel condizionamento dei
nostri comportamenti, nella costruzione dei nostri pensieri, nella attivazione dei nostri desideri, nella
stimolazione della nostra fantasia è arrivata a tal punto da far dire a qualcuno che tali mezzi possono essere
considerati mezzi di "formazione" di massa. L'identità personale si trasforma, di fatto, in identità collettiva. Ci
viene fatto credere che il piacere è sentirsi e vedersi uguali agli altri, soprattutto nell'aspetto esteriore e nei
comportamenti: ascoltiamo la stessa opera nello stesso teatro, cantiamo la stessa canzone allo stadio,
compriamo un disco riprodotto in milioni di copie tutte uguali. C'è quindi una forte tendenza al livellamento, alla
omogeneizzazione dei gusti, dei comportamenti, delle idee. Come pure c'è una forte tendenza a identificare
l'identità di una persona con il suo ruolo professionale o col suo status sociale.
Per contro, nascono e si sviluppano forti tendenze a rifiutare il diverso (di razza, di religione, di cultura, di
censo), arroccandosi nelle proprie posizioni ideologiche, propugnando una autonomia funzionale alla pura
difesa di presunti diritti acquisiti.

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Incontro-integrazione-sviluppo

Gli elementi a cui si è accennato, condizionano pesantemente anche l'azione educativa, sia familiare che
scolastica. Non è possibile, in questa sede, soffermarci sulle condizioni educative della famiglia e su come la
famiglia contribuisca alla formazione di una identità personale e sociale. Qualche considerazione, invece, va
fatta sulla scuola per riconsiderarne la funzione. Occorre a mio avviso passare da una concezione di scuola
intesa come spazio-tempo per una alfabetizzazione in ordine ai saperi formalizzati nei linguaggi e nelle
discipline, a quella di comunità educante, uno spazio-tempo, cioè, dove si incontrano persone-identità diverse,
dove questo incontro deve trasformarsi sì in integrazione ma in vista di uno sviluppo, di una evoluzione, di un
cambiamento che deve essere comune, e non limitato solo al "discente", agli allievi, a bambine e bambini
considerati in età "evolutiva".
Spesso, quando vogliamo educare qualcuno, al di là di tutte le nostre buone intenzioni, vogliamo che questo
qualcuno diventi qualcosa a noi simile, anzi, qualcosa di simile a ciò che noi vorremmo essere, qualcosa di
simile al nostro desiderio di unicità, all'immagine deificata di noi. Educare è gestire un potere di costruzione di
identità. Spesso però tale creazione assomiglia più a una riproduzione su modelli standard, in cui qualsiasi
diversità viene compressa, adattata, riformata in funzione di identità preconcepite, prefissate,
predeterminate. Occorre cambiare prospettiva. Potremmo allora dire che educare è offrire stimoli, proporre
esempi, far scoprire tracce, suggerire ipotesi affinchè ciascuno possa "autoeducarsi" attivando continue
relazioni e confronti, disponendosi, in un certo senso, a un continuo gioco di rispecchiamento, carico di
affettività, di desiderio, di rispetto. Educare è anche amarsi.
Gli adulti, per bambini e bambine, sono talvolta lo specchio di una cultura e di una pratica musicale
centrata sulla competizione, sul successo, sull'individualismo (chi non ricorda l'infanticidio musicale della
trasmissione televisiva "Piccoli fans" e di altre cose analoghe?). Idee, emozioni, valori, oggetti, azioni,
sentimenti, parole che l'adulto usa e manifesta in relazione alla musica, ai musicisti, ai cantanti, costituiscono
per certi aspetti uno specchio attraverso il quale bambini e bambine costruiscono la propria identità
musicale. Ma occorre, come Alice di Carrol, fare in modo di entrare nello specchio per andare oltre e
scoprire nuove realtà. Educare, come si è sottolineato più volte, è andare insieme oltre il già conosciuto, oltre
la propria immagine riflessa, far evolvere la propria identità, portandoci dietro il nostro essere globale con il
proprio carico di emotività, di corporeità, di comportamenti, di handicap, di sogni e anche di paure,
consapevoli anche della possibilità dell'errore. Educare è quindi anche andare oltre la storia, superare il
passato, imparare a criticare il presente, progettare il futuro.

Finestra 6

ATTEGGIAMENTI

Una "buona" identità di chi si dedica all'educazione (musicale) dovrebbe esprimersi in atteggiamenti
specifici che potremmo qualificare come:
- innovativi, in quanto promuovono il cambiamento in ordine alla gestione della vita quotidiana, nei suoi
aspetti di espressione-comunicazione-fruizione, favorendo i comportamenti creativi;

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- dialoganti, che hanno quindi una grande capacità di ascolto; il dialogo è qualcosa che matura mentre
si parla e che è funzionale alla ricerca di una "verità" comune e condivisa;
- fluidi, nel senso di capacità, stile, modo di non essere rigido; saper entrare nelle situazioni senza
sostanzialmente modificarsi, mantenendo quindi una propria identità, ma anche disponibile ad adattarsi, a
modificare la propria forma, come i fluidi, appunto;
- flessibili, in quanto occorre saper assorbire colpi e contraccolpi delle diverse situazioni, senza per
questo rinunciare ad essere presenti;
- reticolari, nel senso di interdisciplinarità, di complessità, capacità di accettare e valorizzare le diverse
occasioni cogliendo le connessioni tra i vari elementi;
- formativi, cioè intenzionalmente mirati a favorire lo sviluppo di comportamenti, abilità, conoscenze con
modalità che favoriscano l'autogestione.

Identità musicale

Se concepiamo l'educazione (musicale) primariamente come incontro-integrazione-sviluppo di identità, più


che non come apprendimento (con metodi più o meno aggiornati) di contenuti disciplinari e di abilità
(musicali), dobbiamo porre al centro della nostra attenzione non tanto la "Musica", ma la relazione "Uomo-
Musica", relazione non vista in una dimensione astratta, teorica, basata su "essenze" inesistenti, ma colta
nella sua concretezza fenomenologica, nella sua storicità quotidiana. In tal senso sarebbe più corretto parlare
di "Donna/Uomo-Musica", seguendo i suggerimenti e riflettendo sulle prospettive delle donne che in questi
ultimi anni hanno delineato la "Pedagogia della differenza", e anche sulla scia delle iniziative relative alle pari
opportunità.
Educazione (musicale) come incontro-integrazione-sviluppo di identità (musicali): come passare dalle
enunciazioni di principio a qualche indicazione operativa? Il compito non è tra i più facili: non ho conoscenza di
ricerche e studi sul tema dell'identità musicale (al di là di cenni generali negli scritti di alcuni autori), e chi ne
parla in genere sembra dare per scontato il senso del termine. Ma come spesso succede, nel momento in
cui si cerca di capire meglio cosa indicano certe espressioni linguistiche, si scopre che sensi e significati
possono essere innumerevoli, che i punti di vista sono fortemente condizionati dalla propria cultura, anche
musicale, che i modelli teorici utilizzati fanno talvolta più riferimento al senso comune che non a modelli
epistemologici (il che, in qualche caso, non è detto che sia un male), che il contesto del discorso non sempre
aiuta a uscire dall'ambiguità.
Provo allora a dare alcune indicazioni embrionali che possono orientare la ricerca teorica e pratica
relativamente ai tratti dell'identità musicale, focalizzando l'attenzione su quattro settori.

A) Il primo lo potremmo denominare imprinting originario.


Gli studi e le ricerche nel campo della psicoanalisi, della musicoterapia, della psicologia della musica sono
concordi nel ritenere che ciascun individuo, fin da alcuni mesi prima della nascita, è immerso in un mondo di
suoni e di ritmi che, in qualche modo, "condizionano" la mente e il corpo. Le esperienze primarie nel campo del

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sonoro-musicale sono di fondamentale importanza e hanno incidenza non solo nella formazione del senso
ritmico o musicale in genere, ma anche nello sviluppo del linguaggio e di tutte le capacità di relazione e
comunicazione. Da qui la necessità, sul piano educativo, da un lato, di conoscere le esperienze vissute da
bambine e bambini fin dalla prima infanzia, dall'altro di cominciare a pensare con serietà a una educazione
musicale in famiglia e nell'asilo nido. La prassi di una anamnesi relativa al mondo sonoro-musicale prenatale e
neonatale, presente in alcune pratiche musicoterapeutiche, potrebbe essere utilmente adattata e adottata
anche in campo educativo.
Rivivere la propria nascita può essere un interessante progetto in cui far svolgere alla musica un ruolo
prioritario.

B) Il secondo settore è costituito dal cosidetto vissuto (per cui è inevitabile il rimando alle pagine
precedenti). Si tratta di conoscere e di dare la dovuta importanza alle esperienze che ciascuno ha fatto nel
campo sonoro-musicale, ai sensi e ai significati elaborati attorno a tali esperienze, alle condotte e ai
comportamenti acquisiti e manifestati quotidianamente o in particolari circostanze, ai gusti che ci siamo
formati e che abbiamo cambiato nel corso della vita. Ognuno di noi, ad es., ha le proprie "passioni" musicali:
esprimiamole, cerchiamo di capire perchè e come sono nate, verifichiamo convergenze e divergenze.
Cerchiamo di individuare ciò che è frutto di scelte autonome e ciò che invece è conseguenza di
condizionamenti e stereotipi (non necessariamente della cultura di massa; esistono stereotipi anche nell'"alta"
cultura musicale). Il vissuto personale si innesta quindi in un vissuto di gruppo, in un vissuto culturale sul quale
è importante che operatori educativi e insegnanti svolgano un attento lavoro di analisi e di valutazione.
Quali e quante prospettive si aprirebbero a una educazione musicale che ponesse al centro del proprio
interesse non tanto "musica come linguaggio", ma "musica come vissuto"? (NB. Non si tratta, ancora una
volta, di contrapporre, ma tutt'al più di scegliere un punto di vista prevalente, un orientamento più coerente
con i valori prioritari, un collante in grado di tenere insieme i vari elementi).

C) Come terzo settore possiamo indicare i valori che attribuiamo alla musica (all'esperienza di fruizione
e/o produzione come pure ai diversi prodotti musicali) e i valori che ricaviamo dal mondo musicale. La nostra
riflessione potrebbe partire dal prendere in considerazione e discutere alcuni luoghi comuni, quali ad es.: la
musica è solo un divertimento; la musica rock rappresenta la contestazione, e comunque non è educativa; la
musica la fanno solo i dotati (una piccola parentesi: avete mai sentito dire di un handicappato ammesso a
studiare in un conservatorio di musica? per fortuna esperienze positive cominciano ad esserci in scuole di
musica private); capire la musica è una cosa difficile, il mondo della musica è il mondo dell'arte e agli artisti
tutto è concesso, ecc. ecc.
Si tratterà poi di individuare ed esplicitare i valori "positivi" che noi attribuiamo alla fruizione/produzione di
eventi-oggetti musicali, sia in relazione al nostro vivere quotidiano, sia con riferimento alla intenzionalità
educativa dei nostri progetti formativi. Alcune indicazioni su questi valori si possono trovare nelle altre pagine
di questo libro, ma credo che ciascun insegnante, insieme a colleghi e allieve/i, dovrà individuare, discutere e
anche formalizzare concettualmente i valori che si ritengono condivisi e pertinenti al proprio contesto
educativo.

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D) Un ultimo settore (ma chiunque, se lo ritiene utile, puo' individuarne altri) è costituito dalle abilità e dalle
conoscenze in campo musicale acquisite non solo e non tanto attraverso percorsi didattici scolastici, ma
anche, e talvolta soltanto, dalle occasioni della quotidianità. Oramai sappiamo, ad es., che i giochi dei bambini
sono una "scuola" estremamente efficace per l'apprendimento di molte cose, anche musicali. Il problema,
semmai, è che talvolta l'adulto si illude che catalogando una attività (musicale) come gioco la si renda più
attraente e la si faccia vivere come gioco ai bambini.
Anche il bambino o la bambina handicappata che non usano il linguaggio verbale, o l'anziano
semianalfabeta, sanno e sanno fare molte cose, hanno proprie condotte musicali, sono ricchi di propri vissuti
musicali. Spesso siamo noi a non creare le condizioni, il contesto giusto che permetta loro di esprimersi, o a
non capire, con i nostri codici, che cosa ci dicono e che cosa esprimono; oppure non riusciamo a inquadrare
ciò che fanno, negli schemi didattici che abbiamo elaborato sulla base di una cultura musicale più attenta alla
perfezione formale che ai bisogni e ai desideri della relazione educativa.
Il punto problematico è come fare a individuare e a descrivere abilità e conoscenze che delineino i tratti
personali di una identità musicale, senza correre il rischio di costruire categorie semplicistiche entro le quali
rinchiudere sbrigativamente chi non si conforma alla regola, come un tempo si faceva con gli "stonati".

Finestra 7

LIBRI
Sull'identità:
* Andrea Canevaro, Handicap e identità, Cappelli, Bologna 1986.
* Marco Dallari, Lo specchio e l'altro. Riflessioni pedagogiche sull'identità personale, La Nuova Italia,
Scandicci 1990.
* Duccio Demetrio, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo, La Nuova Italia
Scientifica, Roma 1990.
* Erik H. Erikson, Gioventù e crisi d'identità, Armando, Roma 1974 (ed. or. 1968).
* Laura Fedeli, Individuazione e identità, Borla, Roma 1990.
* Leon e Rebeca Grinberg, Identità e cambiamento, Armando, Roma 1976 (ed. or. 1975).
* Alberto Melucci, Il gioco dell'io. Il cambiamento di sè in una società globale, Feltrinelli, Milano 1991.
* Loredana Sciolla (a cura di), Identità. Percorsi di analisi in sociologia, Rosenberg & Sellier, Torino
1983.
* Gino Stefani, Musica con coscienza, Paoline, Cinisello Balsamo, 1989.

Il punto di vista delle donne e la "Pedagogia della differenza" in:


* AA.VV., Donne a scuola. Bisogno di conoscenza e ricerca di identità, Il Mulino, Bologna 1981.
* Emy Beseghi, Vittorio Telmon (a cura di), Educazione al femminile: dalla parità alla differenza, La Nuova
Italia, Scandicci 1992.
* Anna Maria Piussi (a cura di), Educare nella differenza, Rosenberg & Sellier, Torino 1989.
* Chiara Saraceno, Pluralità e mutamento. Riflessioni sull'identità al femminile, Angeli, Milano 1988.

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METODOLOGIE

PROGETTAZIONE

Progettare l'educazione

Dopo aver proposto alcuni criteri fondamentali che possono orientare le scelte educative, vorrei ora
soffermarmi su una modalità operativa fondamentale per l'organizzazione di attività di educazione /
formazione / istruzione musicale: la progettazione. Vedremo poi, nel capitolo successivo, la programmazione,
cioè il come passare dalla ideazione progettuale, alla organizzazione e alla realizzazione delle attività
didattiche.
Ritengo opportuno far precedere le considerazioni specifiche sulla progettazione da uno schema di
riferimento generale, che riprende e riassume, in qualche modo, le indicazioni esposte nei capitoli precedenti.

INSEGNANTE/EDUCATORE/FORMATORE BAMBINI/RAGAZZI/ADULTI

C CONSAPEVOLEZZA C
U U
L idee INNOVAZIONE BISOGNI L
T capacità CREATIVITÀ T
U sentimenti MOTIVAZIONI U
R valori PROGETTAZIONE R
A vissuti APPLICAZIONE ASPETTATIVE A
A identità A
M condotte ASPIRAZIONI M
B teorie .......... B
I SVILUPPO metodi PIACERI I
E contenuti E
N valutazioni N
T T
E E

Innanzitutto consideriamo qualsiasi contesto educativo come un contesto di relazione / scambio /


interazione tra soggetti che intenzionalmente decidono di compiere un percorso comune di crescita, di

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cambiamento, di sviluppo, usando, nel nostro caso, principalmente la musica come medium privilegiato,
assumendo i propri vissuti (legati principalmente alla cultura/ambiente) come punto di partenza.
È necessario quindi, un momento di presa di coscienza, un atto di consapevolezza dei propri vissuti e della
propria identità, delle idee, dei valori, dei sentimenti, delle capacità, delle conoscenze, delle condotte che i
singoli/gruppo hanno nei confronti dei fatti, degli eventi, dei prodotti musicali. Potremo così verificare punti di
convergenza e di divergenza, territori comuni ed elementi di diversità, modelli mentali, gusti e passioni simili o
contrastanti. L'atto di consapevolezza ci permette anche di verificare bisogni, motivazioni, aspettative,
aspirazioni in ordine allo sviluppo, alla crescita, all'arricchimento di tutte le nostre potenzialità espressive e
comunicative, mettendoci anche in grado di accogliere, conoscere, valutare fatti/eventi/prodotti (musicali) di
culture diverse dalla nostra e/o lontane, nel tempo e nello spazio, dai nostri vissuti.
Oggetto della pedagogia è appunto lo studio e l'elaborazione dei modelli teorici e operativi relativi alla
individuazione dei criteri e dei metodi per l'organizzazione dei percorsi di sviluppo-cambiamento e la scelta
delle direzioni di crescita. Sulla base di questi modelli, la didattica individua strumenti e metodi più adeguati
per la attivazione delle situazioni di apprendimento, l'organizzazione e lo svolgimento delle attività, la verifica e
la valutazione dei nuovi livelli di competenza raggiunti. Pedagogia e didattica ruotano quindi attorno a due poli
indissolubili: la teoria e la pratica intenzionalmente educativa, poli che a loro volta sono continuamente attratti,
condizionati, stimolati, da un lato, dal desiderio di sicurezza che ci spinge a realizzare, ad applicare, a
riproporre metodi, contenuti, materiali che ci vengono dalla tradizione (storica e/o personale); dall'altro, dal
fascino dell'avventura, dall'attrazione dell'originalità, dall'esaltazione creativa che ci spinge a inventare nuove
esperienze, nuove attività, nuovi materiali, nuovi metodi, nuove teorie.
Personalmente ritengo che fine di ogni progetto educativo sia far evolvere il pensiero, l'azione, il
comportamento personale e di gruppo perchè sia sempre più adeguato e funzionale alla costruzione di una
società basata su quei valori e modellata su quegli ideali che riteniamo prioritari, giusti, fondamentali.
Caratteristica di ogni progetto educativo è quindi l'evoluzione innovativa, il mutamento, la trasformazione. La
strutturazione delle situazioni di educazione-formazione-istruzione deve far sì che, partendo dai vissuti, dal
quotidiano, dall'occasionale, dall'esperienza, dal già dato/conosciuto/acquisito, si vada oltre, si allarghino gli
orizzonti, si arricchiscano le emozioni, si diventi più consapevoli delle proprie possibilità e dei propri limiti, si
sviluppi quel pensiero critico e creativo che costituisce il punto di forza della libertà e dell'autonomia
personale. Questo vale anche per i progetti di educazione con/alla/su/attraverso/intorno/dentro "la
musica".

Finestra 8

DIDATTICA DELL'OCCASIONALITÀ

Se concepiamo l'educazione come incontro-integrazione-sviluppo di identità, è necessario adeguare la


nostra didattica a tali presupposti. In una parola si tratta di passare da una didattica centrata sui contenuti
da apprendere (e da insegnare) a una didattica centrata su situazioni, esperienze, eventi che risultino
significativi, condivisi, automotivati; che non siano pura rappresentazione di qualcosa di là da venire (la scuola
come preparazione alla vita!); situazioni, esperienze, eventi legati alle vicende del proprio spazio vitale che oggi

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spesso, in tempo reale, si trova ad avere per confini e orizzonti il mondo. "Didattica dell'occasionalità" è una
denominazione che indica ovviamente solo il punto di partenza (le occasioni della vita quotidiana e dei vissuti
personali) sui quali elaborare i progetti educativi, ma che comprende anche uno "stile" didattico centrato sul
piacere condiviso, sullo sviluppo - anche se a livelli diversi - di tutti coloro che partecipano all'esperienza
educativa, insegnante o operatore compreso, sulla crescita delle capacità di cooperazione nell'accettazione
delle diversità e nella integrazione e valorizzazione delle differenze.
Volendo schematizzare il discorso, potremmo delineare due diverse identità didattiche.
a) Didattica disciplinare (cosa/quanto/contenuti): 1) relazione unidirezionale del rapporto educativo,
eteromodellante; 2) incontro di idee; 3) omogeneizzazione; 4) apprendere dalle discipline; 5) settorialità.
b) Didattica dell'occasionalità (come / perchè / situazioni): 1) relazione bidirezionale, automodellantesi; 2)
incontro di vissuti (valori, sensi, emozioni, sentimenti); 3) valorizzazione delle diversità; 4) apprendere
dall'esperienza; 5) globalità e interdisciplinarità.

Quattro verbi possono sintentizzare gli elementi portanti di una progettazione didattica orientata in questa
prospettiva: esplorare, ricercare, animare, sviluppare. Illustriamoli brevemente uno per uno.

Esplorare

Se è ovvio che ogni progresso nasce dall'avventurarsi nel non conosciuto, nel non sperimentato, nel non
acquisito (sia sul piano personale che sociale, sia in ambito cognitivo che in quello emotivo), non altrettanto
ovvio è il modo, il tempo, il perchè dell'avventura in territori sconosciuti.
Occorre una spinta, un motivo, uno stimolo, una proposta: se il gruppo la condivide, si focalizza meglio lo
scopo dell'esplorazione, attraverso una discussione comune, valorizzando e vagliando le idee di tutti. È il piano
dell'ideazione, dove realtà e fantasia, sensorialità e immaginazione, gusti ed emozioni devono avere la
possibilità di libera espressione: buttiamo lì idee nuove, originali, anche apparentemente strampalate o, a
prima vista, irrealizzabili. È il momento del libero gioco della mente, del brainstorming (lett. attacco di pazzia,
sconvolgimento della mente), del pensiero creativo.
Cosa ci piacerebbe fare?
Quali messaggi vorremmo comunicare agli altri (altri gruppi, altre classi, genitori, politici, coetanei,...)?
Quali fatti (del presente e/o del passato) vorremmo conoscere meglio?
Quali sentimenti, emozioni, sensazioni ci uniscono e/o ci separano?
Quali messaggi, quali valori, quali credenze, quali saperi ci vengono da altre culture, dalle minoranze, dai
settori sociali esclusi dai mass media?
Decidendo di esplorare la realtà che sta attorno a noi (locale, nazionale, mondiale) ci predisponiamo
all'avventura: non c'è una cultura da salvaguardare o una disciplina teorica da imparare. Più che sui contenuti
del sapere, l'attenzione è rivolta al metodo di approccio alla realtà, che comporta atteggiamenti e
comportamenti che potremmo definire di ascolto, di osservazione, di apertura alla molteplicità dei sensi e dei
significati che le persone e le cose circostanti ci comunicano.
Se gli indizi, le tracce, i materiali, le informazioni, i dati qualitativi e quantitativi raccolti nella esplorazione ci

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sembrano significativi e interessanti, possiamo usarli per costruire una prima mappa del territorio esplorato.
La mappa ci potrà servire per elaborare progetti di ricerca più dettagliati in singole regioni del territorio,
perfezionando le nostre attrezzature tecniche, la nostra sensibilità all'ascolto, le nostre abilità osservative.

Ricercare

La ricerca nasce sempre da situazioni problematiche. Chi ha certezze non ricerca. Chi vuole essere unico
gestore del potere preferisce fornire prodotti finiti da consumare piuttosto che far nascere il gusto della
ricerca. I sussidi didattici con le risposte a ogni domanda e con i percorsi già delineati non favoriscono la
ricerca.
Le attività di esplorazione ci portano a evidenziare alcuni aspetti problematici della realtà: problemi di
convivenza sociale, di gestione delle risorse economiche e culturali della collettività e delle minoranze,
problemi del controllo e della utilizzazione delle informazioni e dei mass media, problema della disponibilità di
mezzi, tempi e luoghi per la realizzazione dei progetti educativi, problema dei modelli di vita tipici delle diverse
generazioni, problema dei rapporti tra bisogni sociali e bisogni individuali, e così via.
In tutto questo cosa c'entra "la musica"? Come e perchè deve entrarci? O l'arte (musicale) non deve
essere mescolata con la politica, tanto meno nella scuola di base?
È un dato di fatto che la metodologia della ricerca può essere applicata a contenuti "neutri" o strettamente
"disciplinari", fino a scadere in uno sterile accademismo, che tale rimane anche se si autoetichetta come
"scientifico". Ma una pedagogia che vuole essere teoria critica dei processi educativi, che intende farsi carico
dei fondamentali bisogni e optare per la salvaguardia dei diritti umani, non può accettare la presunta
neutralità della scienza e del sapere, e tanto meno perdersi in amoreggiamenti con discipline (musicologiche)
che sembrano avere l'unico scopo di autoperpetuarsi con giochi solitari di autogratificazione.
Se uno scopo della ricerca è la soluzione dei problemi che il vivere quotidiano pone alla nostra attenzione e
alla nostra coscienza, tale soluzione non può mirare solo a far progredire le conoscenze (sul piano
personale/di gruppo/sociale), ma anche a produrre eventi, fatti, manifestazioni finalizzate alla crescita
culturale e politica di una comunità sociale di cui non fanno parte solo alunni e insegnanti, ma anche genitori,
associazioni, strutture produttive, istituzioni politiche. Senza dimenticare che tra gli scopi di una ricerca c'è
anche quello di interpretare, analizzare, valutare fenomeni, eventi, comportamenti passati e presenti, in modo
da acquisire elementi sempre maggiori per progettare il futuro.

Animare

Attivare e condurre una ricerca, coordinare una discussione, stimolare una curiosità, guidare una
esperienza: queste e altre capacità sono richieste a chi, avendo compiti educativi/formativi, si mette nella
prospettiva dell'innovazione, dell'andare oltre, e deve quindi animare, render vive, interessanti, appassionanti le
situazioni di apprendimento, i contesti intenzionalmente educativi.
Un principio base dell'animazione è il coinvolgimento qui ed ora (che comunque non vuol dire
spontaneismo): non più divisione tra chi sa e chi non sa, tra attori e spettatori, tra esperti e non; ma tutti
coinvolti in un evento, in una azione giocata sulla interazione dei linguaggi espressivi, sulla non direttività, sulla

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stimolazione del pensiero e dell'azione divergente, sulla attivazione e la valorizzazione delle capacità personali
potenziali e in atto, anche se a livelli minimi, offuscate da deficit o compromesse da handicap; rispetto dei
percorsi personali (e dei relativi tempi di maturazione) cognitivo-espressivi, uso limitato del linguaggio verbale
esplicativo, immersione nella realtà sociale del gruppo.
Questi sono alcuni elementi del quadro metodologico dell'animazione. Tali elementi si applicano alla
realizzazione di progetti finalizzati alla creazione di eventi musicali, di messaggi multimediali, di prodotti
culturali, con lo scopo non di "far vedere come si è bravi" (i famigerati saggi di fine anno), ma di comunicare il
proprio pensiero, la propria opinione, la propria denuncia, le proprie aspirazioni, incertezze, speranze come
comunità scolastica, come gruppo classe, come struttura sociale in merito ai problemi dell'oggi e alle
prospettive del domani.
Un progetto può (e deve) essere programmato (seguendo le diverse fasi della programmazione educativa
e didattica - come vedremo più avanti): una programmazione che però tiene realmente conto delle persone
con le quali si lavora, una programmazione che, teoricamente può essere scandita in unità didattiche, ma che
praticamente può seguire i criteri metodologici dell'animazione, dando più importanza alla grammatica della
fantasia che alla logica delle tassonomie.

Sviluppare

Ogni punto di arrivo può costituire un punto di partenza. Come una mappa abbozzata con l'esplorazione e
perfezionata con la ricerca ci permette di progettare interventi mirati (alla attivazione di esperienze di
fruizione/produzione musicale, alla creazione di eventi significativi per noi e per la scuola o la struttura
educativa, a una denuncia per sollecitare la salvaguardia di un paesaggio, alla valorizzazione di elementi tipici
di una civiltà), così le animazioni possono costituire a loro volta uno stimolo per continuare a sviluppare in
determinate direzioni le nostre abilità (di progettazione, di pratica vocale e/o strumentale,
espressivo/artistiche, manuali, organizzative, ecc.), per attivare altre esplorazioni in territori confinanti, per
condurre ricerche nel sottosuolo, partendo dalla ipotesi che ciò che oggi emerge e si vede può essere frutto
di stratificazioni storiche. Ogni oggetto, ogni fatto, ogni parola, ogni evento, ogni prodotto va quindi
considerato come un nucleo generativo dal quale, come in una ragnatela, partono numerosi fili che si
intrecciano con altri fili. Mi piace più l'immagine della ragnatela che non quella della rete: la rete è troppo
regolare, simmetrica. La ragnatela rispecchia meglio la nostra realtà, asimmetrica, giocata su forze di spinta
e controspinta.
Il nucleo sarà tanto più generativo quanto più aperto anche a percorsi pluridisciplinari, quanto più - nel
nostro settore specifico - agganciato a prospettive etnoantropologiche, quanto più valorizza la relazione e la
comunicazione nel gruppo, con una attenzione particolare per chi parte da situazioni di svantaggio fisico e/o
culturale, quanto più promuove l'innovazione in ordine alla soluzione dei problemi e al soddisfacimento dei
bisogni. Ma per questo occorre un educatore-insegnante inventore, e non solo buon esecutore di progetti
(educativi e didattici) elaborati da altri.

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Un esempio

Progettare significa ideare ed elaborare un intervento finalizzato alla soluzione di problemi e/o alla
realizzazione di eventi. In campo educativo/formativo, un progetto dovrebbe (potrebbe?) essere finalizzato
alla realizzazione di un evento articolato e complesso, con caratteristiche di pluridisciplinarità e con
interazione di linguaggi e materiali diversi (musiche, immagini, testi, ...).
Per costruire un progetto seguiamo questa traccia:
1. Presa d'atto di una situazione problema;
2. Ideazione di possibili soluzioni "globali", centrate su attività/esperienze/elaborazioni/... (È opportuno
tener conto di eventuali programmazioni generali già esistenti, e di cio' che si puo' realizzare in base alle
normative e alle strutture a disposizione).
3. Programmazione delle diverse fasi di realizzazione del progetto (può essere utile seguire il modello e
le fasi della programmazione - cfr. più avanti).
4. Realizzazione: è il momento della produzione concreta di cose, fatti, oggetti, eventi, e della applicazione
di tecniche e metodi specifici.
5. Socializzazione: si scelgono - in base anche al punto 2 - le forme più adeguate per far conoscere agli
altri il nostro "messaggio", il nostro "prodotto", le nostre "esperienze": una festa, un audiovisivo, un libro, uno
spettacolo, una animazione, una conferenza.

Ecco alcuni spunti per un progetto da realizzare a scuola.


1. Presa d'atto della situazione/problema.
La classe scolastica è un gruppo obbligato e occasionale. Nessun bambino/ragazzo sceglie di solito in
quale classe andare. È inevitabile quindi che si attivino dinamiche relazionali complesse e che emergano
atteggiamenti, sentimenti, emozioni diverse e talvolta contrastanti.
Quali sono questi atteggiamenti/sentimenti/emozioni?
Quali termini usiamo per indicarli? Simpatia, amicizia, invidia, rabbia, indifferenza, sincerità, collaborazione,
odio, ... Elaboriamo un elenco e una esemplificazione di ciò che emerge dal vissuto della classe.
Quali comportamenti corporei (gestualità, espressione del viso), quali tonalità della voce caratterizzano
atteggiamenti / sentimenti / emozioni?
Quali sono le cause che suscitano sentimenti positivi / negativi?
Con quali mezzi, oltre che con la voce e con il corpo, possiamo far conoscere e comunicare agli altri i
nostri sentimenti e le nostre emozioni (parola scritta, disegno, musica,...)? Facciamo fare ai bambini/ragazzi
alcuni esempi.
Analizziamoli.
Cosa succede, in merito ai temi e ai problemi accennati, nella realtà che ci circonda? Proviamo ad
esplorarla. Raccogliamo tutti i dati e le informazioni relative al nostro problema. I materiali e i dati raccolti ci
permetteranno di elaborare schede, grafici, relazioni che costituiranno una prima mappa relativa ad
atteggiamenti / sentimenti / emozioni. Questa mappa ci servirà per attivare ricerche più mirate e finalizzate.
Tra gli atteggiamenti emergenti da una esplorazione della realtà, non mancheranno probabilmente quelli
dell'amicizia-inimicizia, dell'esclusione-comunione, della accoglienza-razzismo, ecc.

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A cosa aspiriamo? A cosa ci vorremmo educare? Cosa auspichiamo? Potremmo usare il termine
"fratellanza" per riassumere i nostri obiettivi?

2. Ideazione.
Perchè non realizzare una festa della fratellanza? Un giornalino, dei cartelloni, un audiovisivo che
documentino la nostra analisi della realtà vicina e lontana, le nostre opinioni e il nostro pensiero, la nostra
volontà e le nostre scelte, ...
Una festa fatta di canti, danze, proiezioni, giochi, spuntini...
Quali canti, quali danze, quali musiche?
Canti che esprimono l'amicizia e l'amore, ma anche canti contro la discriminazione razziale, la guerra e
per l'obiezione di coscienza all'uso delle armi, canti e musiche che esprimono la durezza dell'emigrazione, che
denunciano le ingiustizie, che sostengono gli aneliti di libertà.

3 e 4. Programmazione e realizzazione.
Attiviamo una ricerca partendo dai repertori già conosciuti dai ragazzi, evidenziando i contenuti dei testi, le
caratteristiche delle musiche, affidando a diversi gruppi il compito di cantare, suonare, presentare i diversi
brani, guidare le danze.
Esaminiamo i brani raccolti, verificando la pertinenza d'uso e la funzionalità al nostro contesto e ai nostri
obiettivi, analizzandone il contesto di provenienza e l'occasione compositiva, la funzione originaria, le
caratteristiche formali e gli elementi strutturali (ovviamente con modalità confacenti e adeguate ai diversi
livelli d'età). Scegliamo quelli più adatti per cantare e quelli da ascoltare.
Predisponiamo tempi e spazi delle varie manifestazioni che intendiamo inserire nella festa (ballo o musica
iniziale, canti, proiezione di un audiovisivo, drammatizzazione, danze, ecc.), ma non con lo spirito del tutto
predisposto e deciso, bensì con la disponibilità a modificare, se necessario, i programmi.
Invitiamo alla nostra festa altri gruppi, altre classi, altri giocolieri, musicanti, ballerini e danzatori, quelli
famosi e quelli che saranno famosi, ma anche quelli che lo fanno solo per passione.

5. Socializzazione
Una festa non è un concerto, non è uno spettacolo.
In una festa non c'è chi fa e chi non fa, chi parla e chi non può parlare, chi comanda e chi ubbidisce. Tutti, in
modi diversi, possono e debbono partecipare attivamente, sia prima, che durante, che dopo.
Una festa ha anche bisogno di spazi e tempi per un attimo di pausa, per far due chiacchere, per bere un
buon succo d'arancia o un buon bicchiere di vino. Uno spazio-tempo per qualche gioco e una buona idea per
un finale coinvolgente, entusiasmante, che dia la carica emotiva giusta.
Poi ciascuno potrà continuare a canticchiare, a giocare, a chiacchierare, dentro e fuori la scuola,
portandosi il ricordo di un evento piacevole, anche se sarà costato un po‘ di fatica a prepararlo, per mettere
d'accordo i colleghi, per coordinare i gruppi, per reperire i materiali, per attrezzare gli spazi. Ma quante cose
si sono imparate! Per arrivare alla festa abbiamo messo in moto conoscenze, capacità, comportamenti
molteplici. È stato necessario ricercare, confrontare dati, analizzare musiche, imparare canti, sperimentare e
costruire danze, riflettere, esporre e discutere opinioni e convinzioni, progettare e programmare.

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Al termine della festa, o meglio nei giorni successivi, possiamo analizzare e valutare ciò che abbiamo fatto,
approfondire temi e problemi sui quali abbiamo sorvolato, sviluppare ulteriori progetti più semplici o più
complessi, partire per nuove avventure che rendano il sapere funzionale al vivere.

Uno schema

Dovendo presentare un progetto ad altre persone (Direttore didattico, Preside, Collegio, Assessore,
Genitori, Dirigenti di una associazione, ...), è utile e importante predisporre una relazione sintetica che metta
in evidenza gli elementi essenziali del progetto stesso, seguendo, ad esempio, il seguente schema (per
l'ambito scolastico, alcuni elementi potranno essere eliminati o adattati allo specifico contesto):

0. INTESTAZIONE
- Denominazione dell'ente, dell'associazione, del gruppo o del singolo operatore che ha elaborato il
progetto.
- Titolo del progetto.
1. COMMITTENZA
Il committente è colui che richiede il progetto: un ente, un dirigente di una istituzione, un collegio dei
docenti, una associazione, ecc.
Nel caso in cui non esista committenza esterna, ma il progetto venga proposto da chi, per qualche
ragione, ha interesse a realizzarlo, è bene indicare il carattere sociale del gruppo, dell'associazione o dell'ente
proponente, e accennare ad eventuali collegamenti del progetto con iniziative precedenti o con normative
esistenti relative alla formazione, al diritto allo studio, alla gestione del tempo libero, alla integrazione scuola-
territorio, ecc.
2. UTENZA
A chi è rivolto l'intervento. Tipologia e numero previsto di utenti, con breve descrizione degli elementi che
fanno ritenere utile, opportuno, possibile l'intervento di educazione musicale e/o di altre attività
espressivo/creative.
Nel caso in cui la richiesta della committenza (o l'ipotesi di partenza del proponente) fosse generica,
occorre specificare che il progetto dovrà essere in seguito rielaborato sulla base della concreta e specifica
utenza (dopo una precisa analisi della situazione e una raccolta sufficiente di dati relativi ai soggetti e alla
situazione operativa), e quindi la prima stesura va considerata come progetto di massima in cui si forniscono
indicazioni generali.
3. OPERATORI
Indicare nome e cognome, qualifica professionale e breve curricolo personale di chi elabora il progetto e
del/dei responsabile/responsabili della realizzazione.
4. MOTIVAZIONI E OBIETTIVI
Descrivere brevemente a quali bisogni si intende rispondere col progetto, e quindi quali obiettivi si
intendono perseguire. Per obiettivo intendiamo quali capacità / abilità / comportamenti / atteggiamenti /
competenze / ... / si intendono far acquisire, sviluppare, potenziare, ... nei soggetti a cui ci si rivolge.

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5. METODOLOGIE E TECNICHE DI INTERVENTO
Descrivere come si intende operare per raggiungere gli obiettivi previsti. Es.: lavoro individuale, di gruppo,
osservazione, lezioni frontali, animazione, agganci interdisciplinari, ricerca, ecc.
6. ATTIVITÀ‘
Indicare cosa si intende fare (cantare, suonare, ascoltare, giochi ed esercizi, attività manipolative, vocalità,
movimento, verbalizzazione, ecc.), e su quali contenuti si porrà l'attenzione (generi musicali, particolari
repertori, specifici elementi della teoria musicale, ecc.).
7. MATERIALI E SUSSIDI
Specificare quali materiali e sussidi si ritengono indispensabili per le attività: strumenti musicali, partiture,
libri, apparecchiature di amplificazione e registrazione audio-video, materiali di consumo (cassette
audio/video, carta, colori, ...).
8. LUOGO, CALENDARIO E ORARI
Indicare dove si dovrebbero svolgere le attività, con che frequenza e in che orario. Specificare se in caso di
impedimenti, gli incontri e le ore non effettuate verranno recuperate. In caso di utilizzo di ambienti pubblici,
verificarne l'agibilità e le modalità di custodia, pulizia, ecc.
9. CRITERI DI VERIFICA E DI VALUTAZIONE
Indicare quando e come si prevedono momenti e strumenti per verficare e valutare il raggiungimento o
meno degli obiettivi previsti.
10. PREVENTIVO DI SPESA E MODALITÀ DI PAGAMENTO
Il preventivo dovrebbe comprendere:
- compenso per l'elaborazione e il coordinamento del progetto (per gli insegnanti si potrebbe accedere al
fondo di incentivazione);
- compenso orario o forfettario per le attività (interventi con gli utenti, incontri di verifica e valutazione,...);
- compenso per l'acquisto di sussidi e materiali indispensabili allo svolgimento delle attività previste;
- compenso per la elaborazione e la produzione della documentazione.
11. DATA E FIRMA DI CHI ELABORA E GESTISCE IL PROGETTO.

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PROGRAMMAZIONE

Parlare di programmazione in campo educativo potrebbe indurre a pensare a una predisposizione rigida
delle attività didattiche, a una pianificazione della produzione degli apprendimenti, a una robotizzazione della
"azienda scuola" o della struttura in cui si opera.
Sarebbe ovviamente un guaio se così fosse. Ma il processo educativo non può essere assimilato a una
produzione di "oggetti". Abbiamo già visto come in ogni processo educativo è fondamentale partire dalla
relazione tra persone, tenendo conto di quali atteggiamenti e quali procedure possono favorire una "buona"
relazione.
Abbiamo anche visto come sia opportuno partire da progetti che diano senso alle varie tappe dei percorsi
educativi.
Si tratta a questo punto di esaminare alcuni elementi che entrano in gioco nel momento in cui, volendo
realizzare i progetti, è utile predisporre tutto ciò che occorre per esplorare, ricercare, animare, sviluppare i
territori in cui avvengono le nostre esperienze. In altre parole, come programmare la realizzazione dei
progetti.
Si è soliti articolare la programmazione in un insieme di elementi, di cui gli essenziali sono: l'analisi della
situazione, la formulazione di obiettivi e l'individuazione dei contenuti, la scelta dei metodi, le fasi di
realizzazione delle diverse attività e i criteri di verifica e di valutazione.
Prenderemo ora in esame uno per uno i punti indicati.

Analisi della situazione

L'analisi della situazione va condotta fondamentalmente su due realtà.


La prima è costituita dai soggetti della relazione educativa, con particolare riferimento al loro vissuto
familiare, sociale e scolastico, comprese, evidentemente, le esperienze musicali fatte. Si tratta in sostanza di
far emergere, di portare a consapevolezza la cultura acquisita dal proprio contesto; di verificare la propria
competenza in merito al fruire/produrre musica.
La conoscenza reciproca può avvenire normalmente attraverso dialoghi, resoconti di esperienze,
presentazione di ciò che si è fatto e che si sta facendo, esplicitando i propri punti di vista in merito ai diversi
aspetti della realtà musicale, mettendo in comune ciò che si sa e si sa fare.
Personalmente ritengo che dialogare sulle proprie esperienze, scandagliare gli aspetti consci e inconsci
del proprio vissuto musicale, confrontare i propri punti di vista, verificare ciò che da subito si può fare insieme,
sia più utile e più produttivo di tanti "tests d'ingresso" che spesso non sono altro che prove di memoria su
contenuti disciplinari o su aspetti marginali dei propri vissuti e delle proprie esperienze.
La seconda realtà è costituita dal contesto ambientale, che comprende sia le varie componenti sociali,
economiche, culturali, ecc., sia le strutture, gli spazi, le attrezzature utili per l'educazione musicale. In pratica
si tratta di prendere atto di tutte le risorse disponibili e funzionali al progetto che si intende realizzare. È
essenziale che chi elabora la programmazione prenda coscienza e conoscenza del proprio contesto socio-
culturale, svolgendo, se necessario, una ricerca sulle iniziative e sulle attività musicali presenti nel territorio,

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sulle tradizioni e sulle usanze locali, su persone, spazi, oggetti che possono essere utilmente integrati nei
progetti educativi.
In pratica si possono evidenziare:
- le caratteristiche storico-geografiche del territorio preso in esame;
- le strutture di produzione/fruizione dei fatti musicali (teatri, biblioteche, centri, scuole, ecc.);
- quantità e tipologia dei gruppi operanti nel settore (cori, bande, gruppi, associazioni, orchestre,..);
- la concreta produzione di eventi musicali (concerti, spettacoli, lezioni, tradizioni, feste, ...);
- uso e consumo di materiali musicali (dischi, riviste, strumenti,...).
La ricerca sul territorio può essere una attività del progetto educativo stesso, sia per conoscere meglio i
paesaggi sonori quotidiani, sia per verificare quantità e qualità di usi, abitudini, tradizioni, consumi, tecniche e
pratiche musicali del presente e del passato.

Obiettivi e contenuti

La programmazione serve per tenere sotto controllo una serie di variabili del processo educativo. Tra
queste variabili possiamo annoverare gli obiettivi, espressi con enunciati verbali che indicano quali
conoscenze, quali abilità, quali comportamenti dovranno essere acquisiti al termine di un percorso di
apprendimento. In altri termini, il raggiungimento degli obiettivi nel loro insieme ci permetterà di avere una
maggiore competenza, intesa come capacità psicofisica complessa, derivante cioè da un insieme di
conoscenze e abilità psicomotorie relative a un determinato campo culturale e/o tecnico operativo, che
permette all'individuo di soddisfare i propri bisogni, di orientarsi nei propri interessi e di svolgere un ruolo
attivo nella comunicazione sociale. Sul piano didattico può essere utile distinguere tra competenza e
performance, intesa quest'ultima come prestazione, attività specifica, operatività in cui vengono impegnate
alcune capacità particolari. Possiamo dire che l'insieme di diverse capacità, e in particolare l'essere in grado
di applicare tali capacità ai campi del conoscere e del fare in funzione dei propri bisogni, ci rende
"competenti".
Per formulare gli enunciati degli obiettivi didattici occorre innanzitutto individuare le capacità che si
intendono sviluppare e acquisire. Queste capacità vanno poi correlate contenuti che, nel nostro caso, sono i
molteplici elementi che costituiscono un evento/prodotto musicale. Infine, possiamo mettere in relazione
capacità/contenuti con alcuni temi generali del campo "musica".
Questo modello tridimensionale e le categorie indicate vanno considerate come criterio orientativo per la
formulazione degli obiettivi. Ciascuno è libero di individuare e scegliere altre categorie ritenute
soggettivamente più rilevanti e/o più significative.
Vediamo allora in dettaglio i tre settori da mettere in relazione tra loro: le capacità, gli elementi costitutivi, i
temi.

LE CAPACITÀ (operazioni mentali/psicofisiche)

Un primo criterio guida per individuare le capacità nasce da una constatazione. Noi entriamo in contatto
con gli eventi, i fatti, i prodotti sonori e musicali in tre modi (a volte separati, a volte compresenti): a) la

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fruizione (che investe i problemi relativi al come, quando, perchè si ascolta/si usa la musica); b) la produzione
(sia nel senso di eseguire che nel senso di comporre musica); c) la rielaborazione (di ciò che si è ascoltato /
fruito / prodotto) attraverso altri linguaggi: il verbale (parlare, e scrivere, della/sulla musica), il grafico
(scrivere "la" musica, ma anche trovare analogie con immagini e segni non necessariamente strutturati in
codice), il motorio (interpretare la musica col movimento, muoversi sulla musica, ecc.).
L'analisi di molti sussidi didattici e la riflessione sulle esperienze personali condotte con bambini e adulti in
situazioni diverse, nonchè l'analisi dei programmi scolastici, mi ha portato a formulare una ipotesi di
schematizzazione, a individuare alcune categorie generali, a scegliere alcuni termini chiave che indicano le
operazioni (mentali e/o psicofisiche) che noi possiamo compiere quando fruiamo e/o produciamo gli eventi, i
fatti, i prodotti sonori/musicali. Partendo da questi termini chiave si potranno poi scegliere altri verbi che
indicheranno altre capacità più particolari o specifiche.
Premetto una cosa: l'ordine con cui sono riportati i termini non indica nessuna priorità o importanza. Basti
considerare il fatto che, nella nostra esperienza quotidiana, di solito noi facciamo primariamente una
operazione di valutazione quando ascoltiamo musica: ci piace, non ci piace, ci serve, non ci serve, ecc.
Potrebbe essere quindi questa la prima cosa da tener presente se un progetto intende partire dal quotidiano.
L'importanza e il valore di un obiettivo dipenderanno quindi dal tipo di progetto che si intende realizzare.

Fruizione
1. PERCEZIONE
1.1 Esplorazione
1.2 Discriminazione
1.3 Riconoscimento
1.4 Confronto
1.5 Seriazione
1.6 Classificazione
1.7 .............

2. COMPRENSIONE
2.1 Interpretazione
2.2 Analisi
2.3 Valutazione

Produzione
3. ESECUZIONE
3.1 Per imitazione
3.2 Per memoria
3.3 Per lettura

4. IMPROVVISAZIONE
4.1 Esplorativa

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4.2 Guidata
4.3 Totale

5. COMPOSIZIONE
5.1 Sperimentale
5.2 Formalizzata

Rielaborazione
6. LINGUAGGI VERBALI
7. LINGUAGGI MOTORI
8. LINGUAGGI GRAFICI

GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEGLI EVENTI MUSICALI

Per la formulazione di un obiettivo, oltre alla capacità che vogliamo attivare/formare/sviluppare (capacità
da individuare nella lista sopra riportata), dobbiamo far riferimento a contenuti specifici, cioè alle "cose" che
costituiscono l'oggetto del nostro fruire/produrre. In altri termini, possiamo considerare "contenuti" gli
elementi che costituiscono un evento musicale, un prodotto, un oggetto, un materiale attinente alla musica.
Mi sembra particolarmente feconda, per l'educazione musicale, la categoria di evento musicale, più che
non quella di musica che, per molti, è spesso limitata a un particolare genere di prodotto sonoro, quando non
addirittura alla partitura scritta. Limitando l'accezione del termine "musica" al prodotto sonoro si rischia di
ridurre l'educazione musicale alla conoscenza dei vari elementi teorici della grammatica e della sintassi della
musica tonale, con qualche infarinatura nozionistica-cronologica sui grandi autori del passato.
Porre al centro del lavoro didattico gli "eventi musicali" vuol dire non limitarsi unicamente al "prodotto" più
o meno formalizzato, ma dare rilevanza anche al processo di elaborazione, alle finalità, al contesto di
realizzazione, alle funzioni; vuol dire superare l'angusta visione che il suono e la musica si fondino sui famosi
quattro "parametri" (durata, altezza, intensità e timbro) e che non si possano fare esperienze musicali se
prima non si è fatta una ricerca sull'acustica dell'ambiente - come molti "aggiornati" sussidi didattici
sembrano far credere.
La competenza musicale si forma non solo (e non primariamente) sulla conoscenza teorica degli elementi
costitutivi del linguaggio musicale, ma anche (e soprattutto) sulla interazione del soggetto con i "fatti" musicali,
e quindi sulla fruizione/produzione di eventi in cui spesso sensi e significati sono determinati più dal contesto
e dalla funzione che non dal prodotto musicale in sè.
Per maggiore chiarezza, potremmo intendere per "evento musicale" qualsiasi fenomeno sonoro che
avviene in un determinato tempo, in un determinato luogo e che, per chi lo produce e/o lo fruisce, assume un
certo senso/significato "musicale“.
Come abbiamo fatto per le operazioni, vediamo in dettaglio gli elementi costitutivi di un evento musicale.
Non è ovviamente una lista completa; altri elementi, da altri punti di vista, possono essere ritenuti importanti.
Si lascia all'intelligenza di ciascuno di calibrare la lista in base ai propri obiettivi.

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1. CONTESTO
2. FUNZIONE
3. SPAZIO E TEMPO
4. STRUTTURA/FORMA
5. FONTE
6. RITMO
7. ANDAMENTO
8. DENSITÀ/TESSITURA
9. ARMONIA
10. MELODIA
11. DURATA
12. ALTEZZA
13. INTENSITÀ
14. TIMBRO
15. INTERAZIONE VISIVA
16. INTERAZIONE MOTORIA
17. INTERAZIONE VERBALE
A questo punto siamo in grado di fare interagire i due settori fin qui analizzati (le capacità e gli elementi
costitutivi) cominciando a enunciare con maggiore precisone gli obiettivi, ad es.: riconoscere il timbro...;
analizzare il contesto...; eseguire un ritmo...; improvvisare una melodia...

I TEMI

Nel nostro campo di interesse - "La musica", o meglio, "Gli eventi musicali" - è possibile individuare alcuni
settori che, nell'ottica della programmazione didattica, possono risultare funzionali alla individuazione di
obiettivi specifici. Anche in questo caso scegliamo alcuni termini che sintetizzano e rappresentano gli elementi
caratteristici di questi settori: AMBIENTE, CORPOREITÀ, VOCE, STRUMENTI, NOTAZIONE.
La scelta di questi cinque settori, o campi tematici, non è, ovviamente, casuale. Si parte dal presupposto
che in ogni evento sonoro, in ogni fatto musicale, c'è sempre una interazione tra ambiente e soggetto, sia in
senso fisico, naturale, che in senso culturale, etnico.
Nel tema AMBIENTE entrano quindi in gioco fattori legati sia agli aspetti fisiologici, acustici, percettivi (con
l'ovvio collegamento alle tematiche naturalistico-ecologiche) sia agli aspetti storico-culturali dei diversi
paesaggi sonori conosciuti, esperiti, vissuti come singoli e come gruppo etnico. Tutto questo può essere
oggetto di indagine/osservazione/analisi/interpretazione/valutazione (è il momento specifico della
fruizione), come pure può costituire campo di intervento operativo (come momento specifico della
produzione).
Il tema della CORPOREITÀ è strettamente legato a quello dell'ambiente, non solo perchè si ascolta "con
tutto il corpo" (il termine corporeità non vuole certo escludere la mente, ma solo evidenziare un elemento
troppo spesso ancora misconosciuto e represso, stando comunque attenti ad evitare dualismi e astratte
separazioni), ma anche perchè noi produciamo suoni/musiche col nostro corpo e, attraverso la ritmica e la

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danza, entriamo in relazione con i vari eventi musicali in modo globale.
VOCE e STRUMENTI (temi che dal punto di vista della fruizione rientrano logicamente in "ambiente" e
"corporeità") stanno ad indicare le tematiche relative ai mezzi con i quali noi produciamo eventi musicali.
Ed infine, NOTAZIONE è il termine che sta ad indicare tutti i problemi relativi alla lettura e scrittura degli
eventi musicali (interagendo in qualche modo con gli altri quattro campi tematici).

Finestra 9

TEMARIO

1. AMBIENTE
1.1 Eventi sonori
1.1.1 Senza l'intervento dell'uomo
1.1.2 Con l'intervento dell'uomo
1.2 Eventi musicali [= culture musicali]
1.2.1 Produttori
1.2.2 Fruitori
1.2.3 Luoghi
1.2.4 Tempi
1.2.5 Generi e forme
1.2.6 Funzioni
1.2.7 Strumenti
1.2.8 ............

2. CORPOREITÀ
2.1 I suoni del corpo
2.2 I suoni col corpo
2.2.1 Gesti-suono
2.2.2 Azioni per suonare
2.3 Suono e corpo
2.3.1 Ritmica
2.3.2 Danza
2.3.3 .........

3. VOCE
3.1 Suoni e rumori con la voce
3.2 Voce che parla (recitazione, prosodia, ...)
3.3 Voce che canta

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4. STRUMENTI
4.1 Oggetti naturali
4.2 Oggetti trasformati dall'uomo
4.3 Strumentario Orff
4.4 Strumenti musicali

5. NOTAZIONE
5.1 Segno e simbolo grafico
5.2 Codici grafici
5.3 Notazioni musicali
5.4 Partiture

Articolato in questo modo il territorio musica, possiamo ora enunciare con maggiore precisione i nostri
obiettivi, facendo interagire le "Capacità", gli "Elementi costitutivi" e i "Temi".
Sviluppando, ad es., gli enunciati di prima avremo:
- riconoscere il timbro degli strumenti a corda;
- analizzare il contesto di un evento;
- produrre un ritmo con gesti-suono;
- improvvisare una melodia con la voce;
- .........................

Si sarà compreso, a questo punto, come le combinazioni possibili sono numerosissime. Anche solo con i
termini esposti negli elenchi presentati (elenchi, lo ripeto, abbastanza generali e comunque in qualche modo
incompleti), abbiamo: 20 capacità x 17 elementi x 25 temi = 8500 combinazioni, a cui, teoricamente,
potrebbero corrispondere altrettanti enunciati indicanti gli obiettivi.
È bene subito rassicurare il lettore: le 8500 combinazioni sono solo una ipotesi teorica. In pratica gli
enunciati degli obiettivi possono essere molti meno, potendo raggruppare in un unico enunciato più elementi,
come ad es.:
- Sa riprodurre con la voce e/o con gli strumenti, a imitazione, brevi frasi ritmiche e/o melodiche.
- Sa riprodurre con la voce e/o con gli strumenti una breve sequenza sonora rispettando alcuni
parametri (intensità, altezza, andamento e rispettive variazioni).
- Sa cantare filastrocche e canzoni rispettando andamento, ritmo, melodia originari, anche in
collegamento a movimenti.
- Sa suonare sequenze di suoni rispettando alcuni parametri timbro, intensità, registri, durate)
rappresentati con simboli grafici.
Il modello (che graficamente può essere rappresentato da un cubo) è utile non perchè fotografa la realtà o
esaurisce il possibile, ma solo perchè sintetizza un quadro di riferimento più ampio e più complesso. In questo
caso il nostro schema può servire come griglia di riferimento e/o di verifica di una programmazione o di una
attività: quali capacità intendo sviluppare nei singoli soggetti e/o nel gruppo? Su quali temi ho lavorato in
questo periodo? Quali elementi della musica ho preso maggiormente in considerazione? Un

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educatore/insegnante, in base alla situazione di partenza, potrà dare più peso al tema voce; un altro al tema
strumenti; uno preferirà insistere sulla comprensione, un altro sulla esecuzione, e così via. Molto, ovviamente,
dipenderà dalle motivazioni, dai bisogni e dagli interessi delle persone (adulti o bambini che siano) con le quali
attiviamo la relazione educativa.
Naturalmente nella fase realizzativa occorre passare dal cubo alla ragnatela: una volta che ho riflettuto a
tavolino su quali sono gli ambiti di intervento e di lavoro, devo innescare la dinamica specifica del vivere
quotidiano, della occasionalità, dell'essere in mezzo a persone con sensazioni, stati d'animo, motivazioni e
interessi diversi. Per questo, allora, è importante rifarsi alle considerazioni generali espresse nei capitoli
precedenti.
Infine c'è da tener conto che uno stesso obiettivo, ad es. "saper improvvisare frasi ritmiche con strumenti
a percussione", può essere riferito a bambini di prima elementare o a ragazzi di terza media. Ciò che varierà
sarà il grado di complessità della improvvisazione, grado che dovrà essere individuato attraverso una analisi
della situazione di partenza e commisurato quindi alle reali capacitàdei singoli.

Finestra 10

PRONTUARI DI OBIETTIVI

Oggi, in molti libri e sussidi didattici, spesso l'enunciato dell'obiettivo è posto alla base della elaborazione di
attività e di esperienze. Personalmente ritengo il percorso "dall'obiettivo alle attività" abbastanza freddo e
sterile. Preferisco elaborare un "Progetto" sulla base di interessi, comportamenti, desideri, emozioni e
fantasie di bambini/ragazzi/adulti, verificando successivamente quali obiettivi specifici vengono toccati dal
progetto. Provvederò eventualmente in seguito alle necessarie integrazioni di attività e di proposte operative
per lo sviluppo di altre capacità.
Può essere utile comunque avere a disposizione un "prontuario" personale di obiettivi che può essere
costruito seguendo le indicazioni date o anche assemblando liste di enunciati che si trovano negli ormai
numerosi libri di didattica della musica. Per la scuola dell'infanzia e la scuola elementare mi permetto di
rimandare a:
- M. Piatti, Musica e scuola dell'infanzia. Curricolo di educazione musicale. Proposte ed esperienze ,
Juvenilia, Bergamo 1992.
- M. Piatti, Nuova scuola elementare. Educazione al suono e alla musica, Valore Scuola, Roma 1993.
- M. Piatti, Filastroccantando, Nicola Milano, Bologna 1989.
Nei testi citati si trovano anche esempi di "Progetti".

Metodo

Possiamo intendere con "metodo" le procedure operative che vengono adottate per raggiungere/far
raggiungere gli obiettivi. Usiamo quindi il termine /metodo/ nella sua accezione più ampia (e non quindi nel

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senso ristretto di trattato didattico), inglobando sia le modalità operative di chi insegna e di chi apprende, di
chi attiva la relazione e di chi interagisce nel contesto educativo, sia i materiali e le tecniche usate per
sviluppare le capacità, per acquisire le conoscenze, per far evolvere i comportamenti.
Un metodo, di norma, comporta il seguire certe regole funzionali a una organizzazione del lavoro che eviti
l'aleatorietà, che faccia economizzare le energie, che faciliti la progressione verso lo scopo.
Ogni metodo può essere maggiormente centrato su una organizzazione pianificata delle procedure o su
prospettive più globali che lasciano ampio spazio alle decisioni del momento (si potrebbe parlare di tattiche,
strategie, algoritmi, occasionalità,...). I vari metodi didattici, inoltre, trovano giustificazione in (e talvolta
nascono da) teorie e ricerche psicologiche diverse (ad es. teorie skinneriane, gestaltiste, umanistiche,
neurolinguistiche, psicodinamiche), o, in campo musicale, da prospettive e teorie musicologiche (ad es. le
varie filosofie estetiche, le diverse teorie della significazione, le articolate tecniche di analisi), oppure ancora da
innovazioni tecnologiche.
In ogni caso è certo che un metodo deve tener conto di alcuni fattori fondamentali quali: i soggetti e il loro
grado di sviluppo, il contesto operativo, lo scopo e il senso di ciò che si fa, i contenuti di sapere di cui ci si
serve (le "discipline" formalizzate, ma anche il sapere "orale", la credenze, il buon senso, ecc.).
Nell'ottica della relazione educativa e dei criteri enunciati nei capitoli precedenti, ritengo che un metodo
non debba essere considerato come qualcosa da applicare, una guida da seguire fedelmente, una strada a
senso unico che tutti debbono percorrere nei tempi e nei modi stabiliti. Un metodo è piuttosto qualcosa da
adattare alla situazione, allo stato evolutivo dei soggetti e ai loro bisogni e motivazioni, al contesto e alla
tipologia del gruppo; un metodo è un insieme di tracce da seguire per cercare anche di aprire nuovi sentieri, è
una mappa che deve essere opportunamente integrata con altre mappe.
In ogni progetto educativo sarà quindi opportuno usare più metodi, alternando e integrando procedure
diverse in relazione ai diversi obiettivi, alle varie situazioni, ai differenti piani di lavoro.

Finestra 11

METODI

Metodo della ricerca: centrato su attività finalizzate alla soluzione di problemi. Individuato un problema
specifico di una certa situazione, si prospetta una ipotesi di soluzione, si scelgono gli strumenti adeguati, si
organizzano tempi e modi delle attività opportune per giungere alla soluzione del problema.
Metodo dell'animazione: si predispone una situazione-stimolo che attivi la fantasia, l'immaginazione, gli
interessi dei partecipanti, valorizzando le capacità di ciascuno per la produzione di un evento espressivo.
Metodo del lavoro di gruppo: centrato su una interazione "alla pari" tra i partecipanti in vista del
raggiungimento dello scopo stabilito e condiviso dal gruppo stesso.
Metodo euristico: si cerca di favorire la scoperta di nuovi risultati, di nuovi orizzonti, di nuove prospettive.
Metodo interdisciplinare: esistono molteplici approcci e diverse articolazioni della interdisciplinarità.
Semplificando, possiamo considerare come metodo interdisciplinare quello che cerca di trovare la soluzione
di problemi o di produrre conoscenze, sviluppare capacità, attivare comportamenti facendo interagire
fondamenti epistemologici, modelli teorici, contenuti di sapere e applicazioni didattiche di due o più discipline.

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Metodo induttivo: passaggio dall'osservazione dei fatti alla precisazione delle leggi che li regolano.
Metodo deduttivo: passaggio da principi e leggi generali a elementi particolari e spiegazione di fenomeni
ancora oscuri.
Metodo analogico: inferenza da una somiglianza nota a una non ancora evidenziata.
Metodo direttivo: viene dato un peso rilevante alla funzione di chi predispone, guida, controlla le attività,
decide qualità e quantità dei contenuti del sapere, stabilisce le norme che gli altri devono rispettare, gestisce
la valutazione dei comportamenti.
Metodo addestrativo: basato sull'esercizio e la ripetizione di performances al fine di acquisire particolari
abilità tecniche.

Per quanto riguarda alcune metodologie per lo sviluppo di capacità, l'acquisizione di conoscenze, la
formazione di comportamenti nel campo musicale (con riferimento alla scuola di base), mi limito a qualche
cenno di carattere generale, rimandando alle pubblicazioni specifiche chi volesse approfondire l'argomento.
È ormai consuetudine rifarsi ad alcuni autori denominando "metodo" l'insieme delle loro proposte
didattiche elaborate e organizzate tenendo conto di alcuni criteri logici, psicopedagogici, musicali: dal semplice
al complesso, dal generale al particolare, dall'esperienza alla razionalizzazione, e così via. A ogni autore
potrebbe essere abbinato qualche elemento che assume il valore di caratteristica. Limitandoci a citare i più
famosi: Jaques-Dalcroze la ritmica, Willems l'ascolto, Orff gli strumenti e il movimento, Kodaly il canto. Ma
sarebbe riduttivo e fuorviante leggere questi e altri autori in questo modo, dal momento che gli elementi
presenti nelle loro opere sono più ampi e articolati. Soprattutto non sarebbe metodologicamente corretto
assumere a scatola chiusa le loro proposte senza tener conto del contesto teorico e operativo in cui sono
nate. Occorre sempre un adattamento, una ricontestualizzazione, un adeguamento non solo alla specifica
situazione operativa, ma anche agli elementi di novità che la più recente ricerca psicopedagogica e la
sperimentazione didattica suggeriscono. Del resto, per stare anche solo al contesto italiano, di alcuni dei
metodi "classici" sono già state compiute elaborazioni e adattamenti che, per alcuni aspetti, si configurano
come vere e proprie ideazioni originali: basti pensare all'opera di Laura Bassi, Roberto Goitre, Giovanni Piazza.
Inoltre, si può far risalire ai primi anni '70 l'elaborazione di una prospettiva linguistico-semiologica, con
indicazioni originali di Carlo Delfrati, Maurizio Della Casa, Marco De Natale, Gino Stefani per quanto riguarda
l'ascolto, di Boris Porena e Sergio Liberovici per la composizione. Contemporaneamente si vanno diffondendo
interessanti proposte operative centrate sul coinvolgimento attivo e sulla creatività, proposte che oggi si
diluiscono in una innumerevole serie di libri, libriccini, opuscoli, fascicoli, dispense e quaderni in qualche caso
originali, ma che spesso appaiono rifacimenti, per non dire talvolta copiature (senza citazioni), di cose dette e
ridette. Ma qualcosa di nuovo sta emergendo: è una personale sensazione (che non sono ancora in grado di
qualificare e quantificare) che nasce dalla conoscenza di esperienze e iniziative sparse su tutto il territorio
nazionale. È un nuovo che viene stimolato non solo da un maggior senso critico nei confronti di metodi,
materiali e sussidi, ma anche da una accresciuta capacità di uso e di adattamento dei modelli operativi e dei
contenuti didattici a motivazioni e bisogni della nuova realtà socioculturale.

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Realizzazione

Nell'ambito della programmazione educativa è opportuno prevedere e predisporre l'insieme delle attività
adeguate al raggiungimento dei propri scopi. Si è già evidenziato, nel capitolo precedente, come sia opportuno
organizzare tali attività all'interno di un quadro progettuale unitario, che dia senso e significato ai singoli
interventi: si programma cioè uno o più progetti per un anno scolastico (o per un periodo ragionevole di
tempo extrascolastico), articolando il progetto in diverse fasi realizzative.
Talvolta può essere utile suddividere l'organizzazione del lavoro didattico in brevi "unità": le Unità Didattiche
(U.D.), appunto. L'U.D. può essere considerata uno schema operativo per una esperienza di
insegnamento/apprendimento unitaria e completa nella sua strutturazione. Non va dimenticato che, proprio
in quanto schema, il senso dell'U.D. è quello di permettere all'insegnante di avere sott'occhio il quadro
operativo, e non di uniformare bisogni, motivazioni, pensieri ed emozioni degli allievi a una teoria
predeterminata. Non necessariamente l'U.D. coincide con una lezione; nello stesso tempo non dovrebbe
comprendere troppe lezioni: in tal caso si configurerebbe più come un progetto.
Una volta elaborata (per iscritto o anche solo mentalmente) l'U.D. che si intende realizzare, se ne verifica la
congruenza e la pertinenza con il quadro progettuale generale per poi, ovviamente, passare alla realizzazione
vera e propria. È evidente che ogni U.D. ha una caratteristica propria e quindi esige, in un certo senso, una
"originalità" in merito alla realizzazione: un conto è una U.D. che ha come obiettivo "Sa eseguire
correttamente un canone a tre voci", e un conto è una U.D. centrata sull'obiettivo "Sa usare una fonte
iconografica per comprendere alcune funzioni del fare musica nel medioevo". Si dà anche per scontato
(anche se nella pratica didattica non sempre se ne tiene sufficientemente conto) che vanno tenuti presenti i
prerequisiti di conoscenza e di capacità utili per poter affrontare il nuovo percorso di apprendimento.
Detto questo, si può dare qualche indicazione di carattere generale in merito ad alcune fasi operative
relative sia a un progetto sia alle diverse unità didattiche.
FASE I: attivare la motivazione/aspettativa degli alunni, in relazione a qualche loro interesse specifico;
oppure evidenziando o provocando una situazione stimolo che susciti qualche problema (la vita quotidiana è
ricca di tali situazioni: la problematica del rapporto musica-spettacolo-economia; i temi emergenti dai mezzi di
informazione, in particolare dalle riviste giovanili; le differenze generazionali e culturali; le manifestazioni
musicali nel proprio territorio; ecc.). La situazione stimolo potrebbe consistere anche nella richiesta di
preparare una festa a scuola (natale, carnevale, fine anno, un anniversario, una visita scambio, ecc.), o di
"sonorizzare" una recita o un audiovisivo sull'ambiente o su tematiche storiche, o di montare uno "spettacolo"
su temi di attualità o di fantasia, e così via.
FASE II: problematizzare, cioè discutere con la classe o con il gruppo su tutti gli aspetti che la situazione
stimolo ha provocato. Punti importanti di questa fase sono: rispettare una corretta metodologia di
discussione (in modo che tutti possano dire la loro); far emergere il già conosciuto, il già vissuto, non solo sul
piano cognitivo, ma anche su quello emozionale. In questa fase si mettono a punto gli obiettivi che si intendono
perseguire nel lavoro successivo.
FASE III: ampliamento dell'informazione e delle conoscenze attraverso lo studio e la ricerca (letture, ascolti,
discussione) e/o attraverso le esercitazioni pratiche (suonare, cantare, comporre, scrivere).
FASE IV: socializzazione delle conoscenze, attraverso l'elaborazione di un prodotto: relazione individuale o

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collettiva, cartelloni murali, registrazioni audio/video, ecc.
FASE V: verifiche e valutazioni (individuali e/o colletti
FASE VI: transfert di metodo e/o delle abilità apprese, su altri contenuti, e quindi nuova U.D. o nuovo
progetto.

Finestra 12

UNITÀ DIDATTICA

TITOLO: delimita l'argomento su cui si intende lavorare (es.: ritmo e metro). L'argomento sarà scelto in
base al quadro progettuale precedentemente delineato. In un progetto che prevede, ad es., l'esecuzione di
brani musicali con strumenti, si può ipotizzare la necessità non solo di sviluppare capacità compositive ed
esecutive, ma anche di approfondire la conoscenza teorica relativa a "ritmo e metro", che può in questo caso
costituire appunto il titolo dell'U.D.
OBIETTIVO: l'enunciato deve indicare ciò che gli allievi sapranno/sapranno fare alla fine del percorso di
apprendimento (cfr. i paragrafi precedenti. Es.: sa comporre ed eseguire con strumenti elementari ritmi liberi
e ritmi ternari; oppure: sa riconoscere e analizzare il ritmo di una canzone della tradizione popolare). Si può
discutere se per ogni U.D. devono essere previsti uno o più obiettivi. Personalmente sono più orientato a
prevedere un unico obiettivo che abbia caratteristiche "intermedie" (cioè non troppo generale, ma nemmeno
troppo specifico).
CONTENUTI: si fa riferimento ai vari e molteplici settori del campo musicale, a quell'insieme di cose che
possiamo definire "disciplina musica". I contenuti possono essere individuati nel raccordo tra "Elementi
costitutivi dell'evento musicale" e "Temi" (per rimanere legati all'esempio indicato prima, i contenuti su cui
lavorare potrebbero essere: tecniche compositive ed esecutive, generi e forme della canzone, strutture
metriche, ecc.).
METODO: si ipotizza come si intende condurre la lezione. Nel caso del primo obiettivo sopra indicato, ad
es., si può procedere con una verifica di alcuni prerequisiti (conoscenza dei termini e dei concetti), con una
parte di lezione frontale in cui l'insegnante esemplifica alcuni criteri compositivi, con una successiva parte di
lavoro di gruppo e, per finire, con l'esecuzione e la verifica collettiva del lavoro fatto. Un'altra procedura
potrebbe essere quella di un lavoro individuale a casa e di una verifica collettiva in classe.
SUSSIDI: si prevedono e si predispongono materiali e attrezzature utili per le diverse attività (schede, libri,
nastri/dischi, strumenti musicali, lavagna luminosa,...).
LUOGO E TEMPI: si fa una previsione e si verifica la disponibilità degli ambienti (classe, palestra,
laboratorio, fuori della scuola,...) e del tempo minimo e massimo necessario, in relazione anche alla globalità
del progetto in cui la singola U.D. è inserita.
VERIFICHE E VALUTAZIONE: si prevedono le modalità (performances, elaborazioni scritte, colloquio, ecc), si
predispongono gli strumenti (questionari, attrezzature, materiali vari, ecc.), si fissano i criteri (qualitativi e
quantitativi) che verranno usati al termine del lavoro per decidere se e come gli obiettivi previsti sono stati
raggiunti.

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Verifica e valutazione

L'ultimo punto della programmazione è forse quello più complesso e delicato, in quanto si tratta di
esprimere giudizi sull'efficacia di un progetto e di un percorso educativo, sulla qualità e quantità dello sviluppo
delle conoscenze, delle abilità e dei comportamenti, sulla adeguatezza e la pertinenza dei procedimenti
adottati per il conseguimento degli obiettivi, sul funzionamento del sistema educativo nel suo complesso e
nelle singole fasi e situazioni.
Sarebbe estremamente riduttivo pensare alla verifica e alla valutazione unicamente in termini di controllo
degli apprendimenti degli alunni. Occorre invece sottoporre sempre a verifica e valutazione tutto l'insieme del
sistema educativo e formativo.
Innanzitutto bisognerebbe chiedersi se il contesto, gli ambienti, i sussidi, i tempi sono stati predisposti e
programmati nel modo più congruo e pertinente al tipo di progetto educativo ideato, ed eventualmente tener
conto dei limiti del sistema in ordine alle finalità educative. Cosa pensare di un sistema scolastico che ancora
oggi non si è posto seriamente il problema della formazione psicopedagogica degli insegnanti di musica, i
quali, quindi, anche di fronte ai problemi della valutazione non sanno che pesci prendere? O, per scendere a
un problema pratico, come pensare (riferendoci a puro titolo di esempio alla scuola media) a una "buona"
educazione musicale senza mettere gli insegnanti nelle condizioni di poter usare buoni impianti di
registrazione-riproduzione, senza dotare le scuole di attrezzature (leggi: strumenti musicali) e sussidi (leggi:
dischi, nastri, libri) aggiornati e di ottima qualità? Non si può , inoltre, pretendere dai ragazzi apprendimenti e
comportamenti solo sulla base di un loro dovere, senza nel contempo verificare se da parte del gruppo degli
insegnanti-educatori ci sia chiarezza e coerenza su finalità, procedure metodologiche, scelta di contenuti.
Dopo più di vent'anni dalla pubblicazione di "Lettera a una professoressa" della scuola di Barbiana, è ancora
troppo diffusa la tendenza a bocciare gli studenti (o a promuoverli per obbligo, che è la stessa cosa), senza nel
contempo mettere in discussione ciò che nel rapporto scuola - società - famiglia non ha funzionato, trovando e
applicando i necessari e dovuti correttivi.
La seconda verifica-valutazione (autoverifica e autovalutazione) dovrebbe riguardare il livello e la qualità
della professionalità dell'insegnante (educatore, animatore, operatore...), sia per quanto riguarda gli aspetti
generali del proprio compito educativo, sia per quanto riguarda l'adeguamento del proprio specifico
disciplinare ai progetti globali e particolari elaborati dagli organi collegiali o dagli organismi di gestione delle
strutture in cui si opera. Questa verifica-valutazione della propria professionalità mette in gioco l'adeguatezza
delle scelte operate in rapporto a metodi e contenuti usati per le diverse attività, ed, eventualmente, la
necessità di predisporre gli opportuni (auto)aggiornamenti.
Il terzo elemento della verifica-valutazione sono i diretti protagonisti dei processi educativi (allieve/allievi),
che innanzitutto dovrebbero poter compiere una operazione di autovalutazione del percorso fatto, delle
esperienze vissute, della qualità e della quantità delle cose apprese (conoscenze, abilità, metodologie,
tecniche, ...) e della variazione dei propri comportamenti. Senza questa autovalutazione, ogni atto di giudizio
espresso dall'insegnante perde, a mio avviso, qualsiasi senso e significato educativo, anche se può mantenere
un significato giuridico.
Verifiche e valutazioni si possono compiere mentre si lavora, o al termine di una unità didattica, di un
progetto, di un ciclo di studi. Per quanto riguarda lo specifico musicale, tali verifiche e valutazioni dovrebbero

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essere commisurate a comportamenti, abilità, conoscenze di cui si è fatto cenno parlando di obiettivi; la
verifica e la valutazione di un singolo obiettivo va comunque sempre correlata all'insieme delle componenti del
processo educativo (contesto di relazione, metodi usati, contenuti di conoscenza selezionati, livelli di partenza
accertati, ecc.). Quindi, ancora una volta, si dovrà dare più peso alla qualità e alla quantità dei cambiamenti
avvenuti, che non alla singola prestazione, valorizzando il percorso seguito per lo meno tanto quanto il
traguardo raggiunto, e utilizzando, tra gli strumenti di verifica (questionari, relazioni, tests, performances,
colloquio, ecc.), quelli più adeguati al percorso individuale di apprendimento e al "cosa" si vuole verificare
(capacità logiche, abilità esecutive, pertinenza linguistica, fantasia compositiva, ricchezza espressiva, fluidità
espositiva, sicurezza comunicativa, ecc.).

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ARGOMENTI

MUSICA E HANDICAP

Handicap + musica = musicoterapia?

Di fronte alla sofferenza, al dolore, alle difficoltà fisiche e psichiche non sempre si sa cosa dire e cosa fare.
Capita, nell'esperienza quotidiana, di sentirsi impotenti a intervenire per dare una mano a chi, talvolta anche in
modo silenzioso, sembra chiederci un aiuto; o a chi ci chiede semplicemente di poter essere "uguale" agli altri,
di non essere affrettatamente catalogato secondo tabelle cliniche, di essere considerato innanzitutto per chi
è e per quello che può, piuttosto che per ciò che gli manca, che non sa, che non riesce. Soprattutto di fronte
ai bambini che, come comunemente si dice, presentano "problemi", il nostro moto immediato spesso è quello
di inventare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di trovare una soluzione a questi problemi. Si sarebbe tentati di
pensare che in ciascuno di noi sia presente un "istinto terapeutico" nei confronti di chi, tra i nostri simili, si
trova in situazione di handicap.
È forse così spiegabile perchè qualsiasi attività in cui siano coinvolti coloro che si trovano in situazione di
handicap, sembra debba assumere di per sè valore terapeutico. Si viene a stabilire quasi una associazione
inevitabile: gioco + handicap = ludoterapia; lavoro + handicap = ergoterapia; equitazione + handicap =
ippoterapia; musica + handicap = musicoterapia; e così via.
Io credo che questo modo di vedere e di considerare le cose sia estremamente riduttivo, se non, talvolta,
deleterio.
Vediamo più da vicino alcuni aspetti del problema, non senza far presente che sarebbe utile una distinzione
tra deficit e handicap, indicando, nel primo caso, il grado di menomazione e la entità di una lesione organica
e/o di una disfunzione psichica, mentre handicap è indicativo di una condizione fisica e/o psichica non
temporanea che rende difficoltoso lo sviluppo delle conoscenze, delle abilità, della comunicazione, e quindi dei
rapporti sociali. Qui comunque verrà usato il termine handicap nella sua accezione comune.

Finestra 13

GUARIRE IL QUOTIDIANO

La nostra vita quotidiana è oggetto di cura come mai non era accaduto in passato. Essa non è più il campo
dell'esperienza e delle relazioni, ma uno spazio di attenzione e di intervento per una quantità di specialisti, che
individuano problemi e ci propongono soluzioni.
Le politiche dei servizi sociali e sanitari sono le prime ad alimentare questa tendenza. Le politiche
preventive operano ormai secondo una logica di classificazione preliminare di gruppi di popolazione,

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identificati in base a indicatori sociali, territoriali ed epidemiologici. L'appartenenza a una fascia di popolazione
e l'ingresso in uno dei canali predisposti per il trattamento del problema (che è definito come patologia o
rischio di patologia) diventa il criterio di identificazione per ciascuno di noi e segna da quel punto in poi le
nostre storie individuali.
Le relazioni sociali si trasformano in "problemi" o in patologie e si diffondono gli interventi terapeutici in
campi diversi, dai rapporti sessuali, alla famiglia, all'educazione dei figli, alla scuola. In tutti questi settori si
moltiplicano messaggi di allarme e gli interventi conseguenti, volti a risolvere problemi che sono stati esaltati
dall'allarme stesso. [...]
Nei processi educativi, familiari e scolastici, il rapporto pedagogico si trasforma spesso in rapporto
terapeutico. Qualunque difficoltà di apprendimento o di comunicazione viene letta come deficit psicologico o
relazionale e attiva un processo di trattamento settoriale, che non è in genere che l'inizio di una catena di
interventi. [...] Si verifica così una estesa terapeutizzazione del quotidiano e l'imperativo sembra quello di
guarire la vita anzichè viverla.

(da: Alberto Melucci, Il gioco dell'io. Il cambiamento di sè in una società globale, Feltrinelli, Milano 1991,
pagg. 87-88)

Educazione musicale e/o musicoterapia

Nell'"errore" di considerare musica + handicap = musicoterapia, sembrano essere incorsi anche gli
estensori finali del testo dei programmi per la scuola elementare (D.P.R. 104 del 12.2.1985). Le ultime righe
del programma di "Educazione al suono e alla musica" affermano: "Nell'ambito delle attività di educazione al
suono e alla musica è da tener presente il valore che possono assumere eventuali interventi specialistici di
musicoterapia rivolti a soggetti in situazione di handicap".
Se da un lato non si capisce, nemmeno dal contesto, se questi interventi dovranno essere compito degli
insegnanti e della scuola oppure di altre strutture, dall'altro, il fatto di accennare solo qui ai soggetti in
situazione di handicap può far pensare che, per loro, le attività musicali si debbano trasformare in terapia.
Non si vede perchè, allora, non si sia sentita la necessità di fare affermazioni analoghe nell'ambito
dell'educazione motoria, dell'educazione linguistica, ecc.
Qualche chiarimento può venire collegando queste righe al testo della II Parte della Premessa Generale
che esplicita il quadro metodologico per le attività rivolte ad "alunni in difficoltà di apprendimento ed
integrazione di soggetti portatori di handicap" (tale testo può essere utilmente completato con le indicazioni
contenute in documenti ministeriali successivi, come la C.M. n. 250 del 3.9.1985, dedicata appunto
all'integrazione e al sostegno; considerazioni interessanti si trovano anche nei nuovi orientamenti per la
scuola dell'infanzia, mentre si aprono nuove prospettive con l'accesso degli handicappati alla scuola
superiore).
Nella Premessa dei programmi della scuola elementare si afferma: "Il processo di integrazione di alunni
portatori di handicap, soprattutto se gravi, esige non tanto una 'certificazione medicà, quanto la possibilità per

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la scuola di affrontare il processo educativo-didattico, sulla base di una 'diagnosi funzionale’ predisposta dai
servizi specialistici. La diagnosi funzionale deve porre in evidenza le principali aree di potenzialità e di carenza
presenti nella fase di sviluppo osservata, cosicchè gli interventi da attivare nel quadro della programmazione
educativo-didattica, di competenza dei docenti, siano i più idonei a corrispondere ai bisogni e alle potenzialità
del singolo soggetto; tali interventi devono mirare a promuovere il massimo di autonomia, di acquisizione di
competenze e di abilità espressive e comunicative e, fin dove è possibile, il possesso di basilari strumenti
linguistici e matematici".
"Promuovere il massimo di autonomia, di acquisizione di competenze e di abilità espressive e
comunicative": come tradurre questa finalità educativa in obiettivi adeguati all'"agire musicale"
dell'handicappato? (NB. Tali considerazioni valgono non solo per la scuola, ma anche per altre strutture socio-
educative). In sostanza: quale formazione musicale per l'handicappato, in relazione alle sue potenzialità e alla
diversificazione dei vari deficit (sensoriali, motori, emotivi, psichici)?
Prima di dare qualche indicazione, vorrei fermarmi un attimo ancora sul rapporto educazione-terapia,
ribadendo che coinvolgere l'handicappato in attività musicali (fruizione e/o produzione) non è, di per sè, fare
musicoterapia. L'azione terapeutica prevede criteri e metodologie proprie (lascio ai terapeuti il compito di
esplicitarle). In ogni caso, se lo scopo della terapia non è in primo luogo la formazione e lo sviluppo di capacità,
di comportamenti, di conoscenze, il contesto terapeutico potrà esigere contenuti musicali, strumenti,
attrezzature, repertori diversi da quelli dell'educazione. In questo senso diventa indispensabile esplicitare con
sempre maggior chiarezza i propri obiettivi, in campo terapeutico come in campo educativo.
Facendo questo discorso voglio portare l'attenzione sul fatto che tali separazioni (educazione vs terapia)
sono funzionali soprattutto a chiarimenti teorici. Occorre poi stabilire qualche relazione tra terapia e
educazione. Non voglio proporre in termini assoluti una separazione tra terapia e educazione che poi
l'handicappato sarebbe costretto a vivere sulla propria pelle, quanto piuttosto individuare i compiti specifici di
ciascuna struttura operativa (educativa-formativa: la scuola e le strutture socio-educative extrascolastiche;
terapeutica e socio-assistenziale: le USSL e i servizi del territorio) per poi trovare punti di contatto, di
informazione, di scambio, affinchè l'handicappato possa usufruire in modo globale e unitario dei servizi cui ha
diritto.

Star bene

È doveroso notare come nella scuola italiana anche a livello istituzionale (quantomeno "sulla carta", in
documenti ufficiali, anche se poi nella pratica quotidiana molte cose non vanno) si delineino talvolta
prospettive che per certi aspetti potremmo definire d'avanguardia. Non solo in relazione all'inserimento degli
handicappati nella scuola di tutti e in tutti i livelli, ma anche per il peso rilevante dato a temi quali la "qualità
della vita", lo "star bene", il "conseguimento del proprio equilibrio psicofisico e sociale". Sono questi alcuni punti
qualificanti del "Progetto giovani" del Ministero della Pubblica Istruzione, attivato a metà degli anni '80 e in
piena attuazione in questi primi anni '90 (con un allargamento anche alla fascia della scuola dell'obbligo con il
"Progetto Ragazzi 2000"). A tale progetto sono attinenti diverse iniziative, come sottolineato nella Circolare
Ministeriale n. 327 del 30.11.90: "Si ritiene opportuno ribadire che le iniziative in corso di attuazione, relative
alla lotta contro la dispersione scolastica, al sostegno agli handicappati, alla promozione di più efficaci rapporti

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di collaborazione tra scuola ed extrascuola, all'educazione all'ambiente, alla promozione delle pari opportunità
tra uomo e donna, alle tematiche dello sviluppo, dell'accoglienza e del dialogo interculturale, all'orientamento
scolastico e professionale, all'educazione europea, appartengono alla stessa concezione ideale e strategica a
cui si ispira il Progetto Giovani '93: la concezione di una scuola intesa come servizio qualificato alle persone,
entro un quadro di finalità individuali nello sviluppo di personalità culturalmente provvedute, equilibrate e
responsabili". Va notato che tale concezione trova fondamento anche in un nuovo modo di intendere
l'educazione alla salute: da una concezione di salute come "assenza di malattia" (connotazione negativa che
ha portato e porta a controlli e raccomandazioni repressive), a una definizione positiva, quale quella proposta
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: "La salute, più che l'assenza, la mancanza di una malattia, è una
qualità della vita che ha una dimensione sociale, mentale, morale, affettiva, anzichè fisica; è un bene instabile
che si deve continuamente riconquistare, difendere e ricostruire durante tutta la vita". Su questa linea si
sono mossi il "Servizio centrale di educazione alla salute" e l'"Ufficio Studi e Programmazione" del Ministero
della Pubblica Istruzione che, promuovendo il Progetto Giovani, hanno inteso soprattutto attivare forme di
prevenzione nei confronti del dilagare delle tossicodipendenze. Ma è una prevenzione funzionale
all'educazione, più che alla repressione (anche se poi altre leggi sembrano contraddire questa prospettiva),
una prevenzione che cerca di scandagliare le ragioni, le cause, le forme e i fattori del disagio giovanile, un
disagio che troppo spesso rischia di trasformarsi in handicap. È per questo che, a mio avviso, il Progetto
Giovani può costituire un utile punto di riferimento anche per una riflessione allargata ai problemi degli
handicappati, tenendo conto che, come si afferma nella C.M. n. 114 del 27.4.1990, "la ricerca più recente
sui temi dell'educazione alla salute e alla prevenzione del disagio giovanile, sia in ambito nazionale che
internazionale, è concorde nel ritenere che la problematica dello 'star bene a scuola‘ non comporti
necessariamente l'introduzione di nuovi contenuti di insegnamento, quanto piuttosto una finalizzazione e una
valorizzazione dei contenuti e delle relazioni tipiche della vita scolastica, in quanto produttivi di conseguenze
sul clima della scuola e della vita personale dei giovani".

Finestra 14

PROGETTO GIOVANI '93

(...) Sul piano dei contenuti il progetto triennale potrà articolarsi in sottoprogetti annuali, anche di tipo non
rigidamente sequenziale, sempre autonomamente decisi nelle varie realtà, che dovrebbero far perno sulle
seguenti tematiche generali, di cui si è riscontrata la valenza propositiva e la pertinenza alle problematiche
vissute dai giovani:
a) "star bene con se stessi in un mondo che stia meglio“ (i problemi di equilibrio psicofisico nella ricerca
della propria identità e responsabilità, con riferimento agli squilibri mondiali, nei rapporti tra gli uomini e con la
natura);
b) "star bene con gli altri, nella propria cultura e nel dialogo interculturale" (i problemi di relazione, dal livello
amicale al livello planetario, con particolare riferimento alla relativizzazione e alla valorizzazione delle diverse
culture e delle diverse condizioni personali e sociali);
c) "star bene con le istituzioni, in un'Europa che conduca verso il mondo" (i problemi di organizzazione della

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vita collettiva, dal piccolo gruppo alle istituzioni sociali e politiche, per un accorciamento delle distanze fra
mondi vitali e mondi istituzionali).
Lo "star bene", secondo un'accezione accolta ormai in diverse sedi internazionali, implica il concetto di
benessere fisico, psichico e sociale e quindi un'apertura insieme seria e serena sulla realtà, cioè sui problemi
ma anche sulle possibilità che questa offre a ciascuno. In tale quadro trovano, ovviamente, la loro naturale
collocazione le tematiche relative alla parità delle opportunità tra uomo e donna (in particolare, l'eliminazione
degli stereotipi sessisti ancora persistenti anche riguardo alle scelte formative) (...).

(Dalla C.M. n. 246, del 15.7.1990)

Star bene con la musica

Queste prospettive coinvolgono anche i progetti di educazione musicale, e, ovviamente, gli insegnanti di
musica.
Non ritengo sia questa la sede per approfondire come e quanto la musica svolga un ruolo "equilibratore"
nella vita quotidiana di ragazzi e giovani. Le considerazioni fatte nei capitoli precedenti in merito al vissuto e
alla identità mi esimono dal dilungarmi oltre su questi aspetti. Faccio solo notare come nell'attivare una
relazione tra musica e handicap il discorso, come ho cercato di dimostrare, si può (e si deve) allargare
nell'ottica di una educazione alla salute, dove ancora una volta emerge l'importanza di prendere in
considerazione non tanto "la musica" in sè, ma la relazione donna/uomo-musica.
In questo senso ritengo che sia pensabile e possibile un progetto educativo per gli handicappati anche
con/alla/attraverso la musica. Ogni handicappato svilupperà la propria competenza musicale nella misura in
cui si riuscirà a partire dalle sue parti sane, dalle sue potenzialità, dai suoi bisogni, dalle sue motivazioni, e non
da una teoria musicale precostituita, da discipline accademiche formalizzate (anche "Musicoterapia" potrebbe
diventare una di queste...), da modelli di comportamento musicale ritenuti "normali".
Si tratta anche qui di tener conto dell'identità musicale di chi vive in condizioni di disagio e di sofferenza.
Nel nostro caso specifico si dovrebbero dunque fondare le situazioni di apprendimento su motivazioni e
bisogni che emergono dalla quotidianità della vita di chi vive in situazione di handicap. Nello stesso tempo è
necessario proiettare mente, corpo, affetti degli handicappati oltre il quotidiano, attraverso esperienze
sempre più complesse e articolate anche sul piano espressivo, in modo da fornire loro situazioni sempre più
stimolanti e innovative, non avendo paura di chiedere prestazioni che vadano oltre i (presunti) limiti delle loro
capacità. Giustamente i programmi della scuola elementare sottolineano che "...in ogni caso l'obiettivo
dell'apprendimento non può mai essere disatteso e tanto meno sostituito da una semplice socializzazione 'in
presenzà, perchè il processo di socializzazione è in larga misura una questione di apprendimento, e perchè la
mancanza di corretti interventi di formazione dello sviluppo potrebbe produrre ulteriori forme di
emarginazione".
Sul piano operativo ritengo che le indicazioni fornite negli altri capitoli, opportunamente integrate da
conoscenze specifiche relative alle diverse tipologie di deficit e di handicap, possono permettere una adeguata
organizzazione di contesti e di attività.

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Qualche punto fermo

1. Il rapporto musica-handicap, o meglio, il rapporto tra i soggetti che sono in situazioni di deficit e/o di
handicap e gli eventi musicali (sia che vengano fruiti, sia che vengano prodotti), non deve, non può essere
necessariamente e in ogni caso un rapporto terapeutico (preventivo, riabilitativo, psicoterapeutico). I soggetti
in situazioni di deficit/handicap hanno diritto di vivere e sperimentare situazioni di educazione/formazione
con/attraverso/intorno/in mezzo/per mezzo/... della musica. Pertanto ogni progetto educativo deve
sviluppare al massimo le capacità di pensiero e di azione, sia nel campo della comunicazione come in quello
dell'espressione, di chi si trova in situazioni di deficit/handicap. Niente esclude che l'azione educativa abbia
anche effetti terapeutici. Ma questo è un altro problema.

2. Ogni situazione educativa va in qualche modo programmata e progettata. Chi intende stabilire una
relazione educativa in modo intenzionale e in contesti istituzionali, deve essere in grado di esplicitare
motivazioni, obiettivi, percorsi, metodi e tecniche che intende perseguire e usare. Mancando questa
esplicitazione si corre il rischio di agire unicamente in base a proprie istintualità che spesso sanno di
stereotipo, di spontaneistico, di ripetizione involutiva, di stasi regressiva.
Ogni atto educativo è (dovrebbe essere) in qualche modo innovativo, e favorisce (dovrebbe favorire)
l'evoluzione della persona verso i livelli massimi da lei raggiungibili nel campo della autonomia, della
conoscenza, della comunicazione, dell'espressione.
Dire che ogni situazione educativa va programmata e progettata, non vuol dire racchiuderla in gabbie
rigide. Uno dei presupposti metodologici della programmazione e della progettazione nel campo educativo, è
proprio quello della flessibilità e della adattabilità alle concrete persone e alle concrete situazioni.
Gli obiettivi sono mete finali. I sentieri da percorrere per giungere alla meta possono essere innumerevoli.
Una corretta programmazione sa individuare non solo i sentieri più adeguati a ciascuno, ma anche tempi e
attrezzature più idonee per la marcia di avvicinamento alla meta.

3. I quadri teorici di riferimento per una educazione musicale innovativa (dentro e fuori la scuola, nelle
strutture del tempo libero, nei centri di assistenza, ecc.) non possono essere differenziati: non è accettabile
una teoria dell'educazione musicale per il normale e una per l'handicappato. I quadri generali di riferimento
devono essere comuni. Sarà sugli aspetti metodologici, e ancor più su quelli didattici che i percorsi, i mezzi, gli
strumenti, i materiali si potranno adattare alle singole persone e alle singole circostanze. Ma questo è un
criterio che vale anche per i normodotati. È la persona, nella sua concretezza, al centro delle situazioni di
formazione e di apprendimento.

4. Da ultimo (in realtà questo dovrebbe essere il primo punto), se, per chi si occupa di educazione
musicale, l'handicappato diventa un "problema", un "intoppo" al regolare svolgimento di programmi
ministeriali, un "freno" per gli altri che "devono andare avanti", e l'unica soluzione che si trova è quella di
affidare il "caso" al provvidenziale insegnante di sostegno o all'esperto musicoterapeuta, vuol dire che c'è
qualcosa che non funziona: o nella testa del presunto "educatore", o nell'organizzazione e nella gestione
istituzionale. E questo, purtroppo, sa tanto di "solita musica".

51
Finestra 15

LIBRI E RIVISTE

Sulle problematiche del rapporto musica-handicap esiste ormai anche in lingua italiana un certo numero di
testi, originali o tradotti, che sviluppano da vari punti di vista gli aspetti relativi ad interventi di carattere
educativo-preventivo, riabilitativo, psicoterapeutico.
Una panoramica sulle pubblicazioni esistenti è fornita dal volume di L.M. Lorenzetti, A. Antonietti, La
musicoterapia attraverso i suoi scritti. Ricerca bibliografica 1973-1983, Angeli, Milano 1985. Il volume
contiene una appendice di aggiornamento al settembre 1984. Gli stessi autori hanno curato un
aggiornamento fino al 1989, pubblicato sulla rivista Musica Domani, n. 72/73, ottobre 1989.
Tra le pubblicazioni più recenti si segnalano:
- M. Piatti, P. Postacchini (a cura di), Musicoterapia: esperienze e riflessioni, Edizioni fonografiche e
musicali PCC, Assisi 1990;
- P. Postacchini, M. Piatti (a cura di), Musicoterapia: metodi, tecniche, formazione in Italia e in Europa,
Edizioni fonografiche e musicali PCC, Assisi 1991.
Approfondimenti su tematiche specifiche, bibliografie, sviluppi teorici ed operativi si trovano nelle dispense
dei vari docenti del Corso quadriennale di studi in musicoterapia del Centro Educazione Permanente - Sezione
musica, della Cittadella di Assisi, nonchè sulla pubblicazione semestrale Progetto Uomo-Musica edita dal
Centro stesso, e sulle riviste Musicascuola (ed. Nicola Milano, Bologna), L'erbaMusica (ed. Laboratorio di
Musicologia Applicata, Milano) e Musica & Terapia. Quaderni italiani di musicoterapia (Erga Edizioni, Genova).
Sul piano normativo si ricorda la Legge n. 104, del 5 febbraio 1992, "Legge quadro per l'assistenza,
l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate".

CREATIVITA’

Essere creativi

Ogni atto educativo dovrebbe essere un atto innovativo. Si educa facendo evolvere la situazione di
partenza, stabilendo nuove relazioni tra i propri vissuti e i contesti sociali, facendo emergere, nella realtà
personale e collettiva, qualcosa di nuovo.
Educare è un po‘ creare. È buon educatore chi sa inventare il contesto e la situazione educativa per
adattarli ai sempre nuovi bisogni, alle diverse motivazioni, agli eterogenei interessi degli educandi.
Per educare occorre saper inventare. Inventare non è creare dal nulla, ma, sostanzialmente, è rapportarsi
a qualcosa di preesistente, alla propria storia, alle proprie conoscenze, col desiderio, però , di andare oltre.
Per inventare occorre avere un atteggiamento esplorativo, calarsi in una situazione, entrando in relazione
dinamica con gli altri, stimolando tutte le potenzialità intellettuali, emotive, pratiche delle persone in vista del
raggiungimento di qualche obiettivo condiviso o per produrre qualcosa di significativo per sè e/o per il

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gruppo.
Per essere inventivi bisogna (imparare ad) essere creativi. Andare cioè oltre il già conosciuto, il già detto, il
già fatto, il già sperimentato, il già spiegato, il già programmato.
Occorre essere un po' diffidenti di chi spande certezze, di chi prospetta risultati sicuri, di chi non pone
interrogativi. Bisogna anche imparare a scegliere, tra i sussidi per l'educazione musicale, quelli che
favoriscono in noi un comportamento creativo. Non sono tali quelli che prescrivono dall'a alla z il da farsi e che
magari hanno anche un manuale per spiegare come seguire le prescrizioni. Meglio quelli che danno qualche
spunto, che vi insegnano ad improvvisare, che permettono di imparare ad imparare, che vi indicano una
strada e che poi ve la lasciano percorrere a modo vostro.
Creatività per..., ma anche creatività contro... Contro il dogmatismo delle teorie, la neutralità delle tecniche
e dei metodi, i separatismi disciplinari.
Creatività per conoscere e per coscientizzarsi, per stabilire nuove rapporti sociali, per inventare e
sperimentare nuove tecniche, per immaginare nuove utopie.
Educare alla creatività, ma anche essere creativi nell'educazione, nei metodi, nei materiali, nelle tecniche
educative. Produrre qualcosa di nuovo, di originale, e non pezzi che sembrano usciti da una catena di
montaggio e che vengono fatti credere diversi con il semplice cambio dell'etichetta (o del titolo).
Nella nostra quotidianità siamo stimolati continuamente da suoni, immagini, movimenti, comportamenti.
Sulla base di questi stimoli c'è chi compie solo operazioni di assimilazione e di adattamento, e c'è, invece, chi
sa far entrare nel proprio campo esperienziale elementi nuovi e originali, sia sul piano della interpretazione,
sia su quello della trasformazione della realtà. Anche arrangiandosi, per inventare nuove forme di
sopravvivenza.
La creatività si manifesta attraverso un processo produttivo in cui confluiscono sia elementi cognitivi che
affettivi, consci e inconsci, emozioni e sentimenti, razionalità e fantasia. Forse ha ragione chi afferma che per
essere creativi occorre anche un pizzico di follia. Certo dobbiamo dare spazio a un po' di fantasia, di
immaginazione, di sogno.
Talvolta si dice: "Questa musica mi fa sognare...". Si dice anche che nel sogno avviene una specie di
estraniazione del sè, della coscienza. Quando ascoltiamo musica in un certo modo e in certi contesti, succede
la stessa cosa. Si dice poi che la verbalizzazione del sogno non dice esattamente cos'è il sogno. La parola non
è capace di dire tutto del sogno. La ricerca psicoanalitica ci testimonia questo fatto. Ma non è quello che
succede anche quando noi parliamo delle nostre esperienze di fruizione/produzione di musica? Anche per la
musica, la parola non è capace di dire tutto. C'è quindi qualcosa che accomuna sogno e musica, ambedue
intraducibili completamente con la parola, ambedue intrisi di elementi simbolici e rappresentativi, ricchi di
ambiguità, di accenni, di rimandi, di ammiccamenti, di allusioni. In ambedue c'è un estraniarsi del soggetto
dalle proprie certezze razionali, dalla propria capacità di coscienza (ma non di conoscenza). Nello stesso
tempo, musica e sogno possono essere mezzi per una maggiore coscienza di sè e delle relazioni tra sè e gli
altri, tra sè e il mondo. Questo avviene attraverso meccanismi di rappresentazione, e quindi di pensiero
simbolico. Sappiamo come il rapporto tra simbolo e realtà sia convenzionale, ambiguo, non univoco, e così via.
E forse è proprio per questo che ogni tentativo di "togliere i veli" al sogno e alla musica sembra destinato a
fallire.

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BIBLIOGRAFIA

Nel corso delle mie esperienze e dei miei studi mi ha fatto piacere incontrare (in ordine cronologico):
* Amleto Bassi, Antonio Santoni Rugiu, Creatività e deprivazione artistica, La Nuova Italia, Firenze
1969.
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1934).
* I nn. 12-13 e 14 di Musica Domani, dicembre 1973-giugno 1974, che riportano gli atti del IV
convegno nazionale della SIEM (Vicenza, 18-20 settembre 1973) su "Musica e creatività".
* Antonio Santoni Rugiu, L'educazione estetica, Ed. Riuniti, Roma 1975.
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* Alain Beaudot (a cura di), La creatività, Loescher, Torino 1977 (ed. or. 1973).
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Zanichelli, Bologna 1978.
* Giovanni Maria Bertin (a cura di), L'educazione estetica, La Nuova Italia, Firenze 1978.
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nella scuola e nel territorio, Altrarea, Treviso 1979.
* Giovanni Piazza, Orff Schulwerk, Suvini Zerboni, Milano 1979.
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1980.
* Vittorio Rubini, La creatività. Interpretazioni psicologiche, basi sperimentali e aspetti educativi, Giunti
Barbera, Firenze 1980.
* AA.VV., Creatività, gesto, comportamento. Ipotesi sulla strutturazione teatrale dei segni per una
didattica aggiornata, Patron, Bologna 1980.
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Sperimentazione per la Didattica musicale, Firenze 1982.
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* Tilde Giani Gallino, Il fascino dell'immaginario, SEI, Torino 1987.
* Mauro Ceruti, La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli,
Milano 1989.

54
Un modello operativo

È mia convinzione che creativi non si nasce, ma si diventa, sviluppando fantasia, immaginazione, curiosità,
divergenza.
In campo musicale le procedure dell'educazione-istruzione-addestramento tipiche delle istituzioni che per
definizione sono "conservatori", in genere (anche qui, per fortuna, qualche rara eccezione esiste) tendono a
uniformare, a omologare, rasentando talvolta il plagio. Tante identità sacrificate sull'altare di un'arte fine a se
stessa, puramente ripetitivo-esecutiva, con riti di iniziazione e di sacrificio sopportati nella speranza di
diventare, un domani - ma, per la maggior parte, quando? -, nomi da celebrare in riviste patinate o da
pronunciare in fugaci apparizioni televisive. Ma, d'altra parte, perchè imparare un'arte per poi essere messi
da parte?
Oggi, a mio avviso, si può ripensare in termini nuovi il rapporto tra un operare "artistico" e l'educazione. Si
può "giocare con l'arte" (in senso lato, e non solo quella attinente al campo visivo), senza per questo pensare
di dover diventare tutti artisti famosi.
Sarebbe pensabile, auspicabile, proponibile, sperimentabile una scuola di base centrata sul fare (e sul
conoscere) "artistico", in una interazione / integrazione / comparazione / confronto / ... / di tecniche,
materiali, codici, messaggi? (...quale utopia stiamo sognando? Ecco una sfida per la nostra creatività
pedagogica, didattica, musicale...).
Si tratta di capire se e come il "fare artistico" possa diventare un criterio organizzativo e operativo
fondamentale per la strutturazione dei contesti educativi scolastici. In campo musicale questo vorrebbe dire
dare più spazio al lavoro compositivo, alla manipolazione di oggetti e materiali sonori, alla improvvisazione
vocale e strumentale, alla sperimentazione di tecniche di esecuzione, registrazione, missaggio, facilitate oggi
dal computer.
Ancora una volta l'accento viene posto sul fare esperienze, sullo sperimentare procedure e tecniche di
produzione, più che non su prodotti che dovrebbero rispecchiare canoni estetici predeterminati.
In questa ottica propongo un modello operativo, che ho più volte sperimentato in contesti e con persone
diverse, funzionale alla stimolazione, alla formazione e all'esercizio di comportamenti creativi. Nell'usare
questo modello, occorre tener presente ciò che si ricordava poco fa: il rapporto tra processo produttivo e
prodotto. Può capitare che alla fine di una esperienza il prodotto realizzato non appaia gran che originale e
nuovo. Ma può essere stato originale e nuovo (per noi e/o per il gruppo) il modo di procedere, il modo di
vedere le cose e gli altri, il modo di usare i materiali, e così via. La creatività è emersa principalmente nel
processo produttivo. Altre volte, usando procedure e materiali già conosciuti, riusciamo ad elaborare
qualcosa che ci sembra veramente nostro, originale, creativo appunto.
Le due cose, ovviamente, non si contrappongono, ma si integrano, tenendo conto che alcuni elementi
costitutivi della creatività sembrano essere:
- la fluidità, cioè la capacità, partendo da un unico stimolo, di farci venire in mente tante idee, di costruire
una ragnatela di possibilità, di rimandi, di connessioni;
- la flessibilità, cioè la capacità di assumere punti di vista diversi nel corso dell'ideazione, di far interagire più
sistemi categoriali;
- la produttività, cioè la capacità di realizzare in modo esauriente e completo ciò che si è ideato, scegliendo

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ciò che è ritenuto maggiormente pertinente all'ideazione fatta.
Per facilitare il comportamento creativo, occorre che le situazioni proposte e/o i materiali utilizzati
rispondano ad alcuni criteri:
- innanzitutto la situazione e/o i materiali non dovrebbero essere scontati, previsti; è bene invece che siano
imprevisti, ambigui, problematici;
- la conduzione dell'esperienza dovrebbe favorire e stimolare la fantasia, le analogie, le metafore, anche
con riferimenti ai diversi campi del sapere e alle diverse tecniche del fare;
- in caso di stasi ideativa, occorre saper porre domande stimolanti, proporre ipotesi alternative, far
intravedere percorsi e paesaggi nuovi o più complessi.

Il modello proposto è schematizzato in Tavola 1. Poche parole per spiegare lo schema.


1. Situazione-stimolo e nucleo generativo
All'inizio si propone una "situazione/problema" come stimolo per la fantasia, la curiosità, l'invenzione. Una
situazione che sia aperta a diverse interpretazioni, descrizioni, verbalizzazioni. Il nucleo della situazione può
essere un oggetto, un testo verbale, un brano musicale, un video, un insieme di tracce,... Ma attorno a questo
nucleo non va dimenticato di porre attenzione (di predisporre con qualche particolare criterio) allo spazio, la
luce, i colori, il caldo o il freddo, l'arredamento, ciò che è successo prima, ecc.
Al centro "ideale" della situazione stimolo c'è però la persona/il gruppo che, vivendo una esperienza, si
arricchirà di un vissuto e svilupperà degli apprendimenti. Non c'è quindi (nella prospettiva che qui si propone)
primariamente un contenuto disciplinare da memorizzare o una tecnica a cui addestrarsi o una verità (anche
certa didattica ha le sue verità) da dimostrare. L'attenzione è principalmente posta su un metodo di
approccio alla realtà, un metodo centrato su atteggiamenti e modalità operative che potremmo definire di
osservazione, di ascolto, di accettazione e di apertura alla molteplicità dei punti di vista, dei significati che le
cose e le persone circostanti ci comunicano.
2. Interazioni-reazioni
L'interazione con la situazione/stimolo di partenza si realizza utilizzando linguaggi verbali e/o non verbali,
con una attenzione e uno stile più incline alla metafora, al simbolo, alla poesia che non alla definizione, alla
spiegazione, all'unicità del senso e del significato. In pratica si tratta di esprimere sensazioni, emozioni, idee,
cosiderazioni su quello che si è visto-udito, raccogliendo e valorizzando tutti i punti di vista, costruendo così
una ragnatela di sensi e significati, oltre che di idee e di spunti operativi.
3. Materiali sonori e oltre
La situazione di partenza e le prime risposte diventano così una piattaforma da cui partire (singolarmente
o in gruppi di lavoro) per una esplorazione/ricerca/elaborazione di materiali sonori (prodotti da voce e/o
strumenti) che servano a realizzare un evento musicale, seguendo i criteri specifici della composizione o
anche dell'improvvisazione. L'evento può avere una sua autonomia espressiva, oppure può essere in qualche
modo collegato alla situazione di partenza (con funzione di commento, sonorizzazione, rappresentazione,
ecc.); può infine ampliarsi interagendo con altri eventi e con altri linguaggi (motorio, grafico, verbale).
Ciò che sarà nato dal nostro percorso produttivo potrà a sua volta essere considerato un "nucleo
generativo" per ulteriori viaggi di esplorazione e di ricerca, compiuti con l'attenzione vigile a cogliere qualsiasi
spunto utile a rinnovare i nostri pensieri e le nostre emozioni.

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Tavola 1

SCHEMA DEL MODELLO OPERATIVO

SITUAZIONE DI PARTENZA
- L'ambiente: spazio/oggetti/luci/...
- I soggetti: attese/motivazioni/interessi

L'OGGETTO STIMOLO (Nucleo generativo)


- parola/gesto/suono/ritmo/...
- curiosità/fantasia/immaginazione

INTERAZIONE/VERBALIZZAZIONE/ASCOLTO
- interpretazioni verbali/non verbali
- descrizioni verbali/non verbali
(simbolo/metafora)

MATERIALI SONORI
- esplorazione
- scelta improvvisazione
- organizzazione composizione
sonorizzare/commentare/esprimere/rafforzare/
interpretare/interagire/... con la situazione di partenza

INTEGRAZIONE CON ALTRI LINGUAGGI


- motorio/gestuale
- grafico/pittorico/video
- verbale/orale

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FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Professione: insegnante di musica

Le riflessioni, le indicazioni e le proposte presentate nei capitoli precedenti, presuppongono, come


interlocutori, tutti coloro che si interessano di educazione musicale. In questo capitolo vorrei focalizzare
l'attenzione attorno ad alcune questioni relative agli insegnanti.
Nella scuola di base esiste istituzionalmente la professione di insegnante di "Educazione musicale" nella
scuola media inferiore e, tra breve, quella di insegnante di "Musica" nel biennio delle superiori; mentre negli
asili nido, nelle scuole dell'infanzia e nelle scuole elementari, l'educazione musicale si configura come un
compito affidato a chi, tra gli operatori e gli insegnanti, si ritiene un po' più preparato, un po' più specializzato
dei colleghi.
Perchè gli insegnanti possano svolgere al meglio il loro lavoro occorre predisporre da un lato spazi, tempi
e procedure per una formazione adeguata, dall'altro la possibilità di un continuo aggiornamento o, laddove si
dimostri necessaria, una formazione in servizio.
Dal novembre 1990 la situazione istituzionale della scuola italiana ha, in proposito, una rilevante novità: la
legge 341 relativa agli ordinamenti didattici universitari.
All'Art. 3, comma 2, si afferma: "Uno specifico corso di laurea, articolato in due indirizzi, è preordinato alla
formazione culturale e professionale degli insegnanti, rispettivamente, della scuola materna e della scuola
elementare, in relazione alle norme del relativo stato giuridico".
All'Art. 4, comma 2, si afferma: "Con una specifica scuola di specializzazione articolata in indirizzi, cui
contribuiscono le facoltà e i dipartimenti interessati, ed in particolare le attuali facoltà di magistero, le
università provvedono alla formazione, anche attraverso attività di tirocinio didattico, degli insegnanti delle
scuole secondarie, prevista dalle norme del relativo stato giuridico".
La legge prescrive che entro due anni dalla data di entrata in vigore della stessa legge (quindi entro il
1992) vengano definiti sia la tabella del corso di laurea per i maestri della scuola materna ed elementare, sia
i contenuti e la struttura della Scuola di specializzazione, e che i corsi siano attivati a partire dall'anno
accademico successivo (quindi, presumibilmente, dal 1993-94).
I criteri di ammissione alla scuola di specializzazione verranno stabiliti da un decreto del Ministro
dell'università e della ricerca scientifica emanato di concerto con il Ministro della pubblica istruzione (Art. 4,
comma 3). In ogni caso, al comma 1 dell'Art. 4, è detto che "Il diploma di specializzazione si consegue,
successivamente alla laurea, al termine di un corso di studi di durata non inferiore a due anni...".
Per i futuri insegnanti di "Educazione musicale" (nella scuola media) e di "Musica" (nelle superiori) si pone
un problema: allo stato attuale delle cose, tra i titoli validi per accedere ai concorsi (Classi XXXVII e XXXVIII)
figurano i vari "Diplomi" corrispondenti alle diverse "Scuole" dei Conservatori.
È risaputo che per frequentare i corsi e per conseguire i relativi diplomi gli studenti non hanno l'obbligo di
frequentare scuole secondarie superiori (rimane ovviamente l'obbligo della terza media). Abbiamo così il caso
di persone (anche se percentualmente non in numero elevato) che, pur avendo ottime capacità di esecuzione
musicale (ottimi concertisti), per quanto riguarda la formazione culturale sono ferme alle acquisizioni della

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terza media o poco più. Tali persone hanno però il diritto di accedere ai concorsi per l'insegnamento nella
scuola media e nella scuola superiore. Come e perchè si sia potuti arrivare a questo stato di cose è fin troppo
risaputo. Oggi però non è più ammissibile che si affidi l'incarico di insegnamento di "Educazione musicale" e di
"Musica" nelle scuole secondarie a persone che, pur brave sul piano tecnico musicale, hanno però talvolta
una scarsa (e qualche volta nulla) preparazione culturale e psicopedagogica.
In sostanza, non si può ritenere sufficiente (anche se potrà ovviamente essere ritenuto utile) il diploma di
conservatorio (nella quasi totalità relativo a uno strumento) per accedere alla scuola di specializzazione
prevista dalla Legge 341.
Qualcuno vorrà far credere che si potrà equiparare il diploma ad es. di pianoforte alla laurea adducendo
ragioni di "alto livello di studi". Personalmente credo che sarebbe un discorso falso e tendenzioso, che può
tutt'al più essere fatto per raccogliere adesioni corporative.
Non so quali scelte verranno compiute dai Ministeri competenti. Personalmente ritengo proponibili alcune
ipotesi di soluzione del problema.
Sulla base dello stato attuale dei percorsi formativi e dei piani di studio, ritengo sia possibile individuare la
"sufficienza" del titolo di accesso alla scuola di specializzazione in tre modalità. Potrebbe cioè accedere alla
scuola di specializzazione chi è in possesso di:
1. Diploma di Didattica della musica conseguito al termine del Corso di Didattica della musica
(quadriennale) attivo in molti Conservatori di Musica (al Corso si è ammessi se si è in possesso di un qualsiasi
Diploma di conservatorio o anche se si è conseguita l'ammissione al nono anno di un corso decennale del
conservatorio o il possesso del diploma di maturità artistica ad indirizzo musicale conseguito presso un
conservatorio).
2. Laurea di carattere musicologico, con, nel piano di studi, almeno due esami di carattere metodologico-
didattico (ad es.: Lauree rilasciate dalle università di Bologna, di Cremona, della Calabria, di Pavia ecc.).
3. Diploma di maturità musicale (rilasciato dai Licei musicali) più un diploma di laurea (non
necessariamente di carattere musicologico).
Rimane comunque aperto il problema di quali insegnamenti specifici relativi a "Musica" verranno inseriti
nel piano di studi della scuola di specializzazione e di chi potrà accedere alla docenza di tali insegnamenti. Allo
stato attuale delle cose c'è solo da augurarsi che si guardi alla effettiva competenza nel settore.

La formazione musicale dei maestri

Formazione iniziale

Nel corso di laurea per i maestri delle scuole materne ed elementari verrà presumibilmente inserito
anche un insegnamento specifico relativo all'educazione musicale. Non entro qui nel dettaglio dei particolari
problemi che tale inserimento suscita. Mi limito a fornire alcune indicazioni in merito a quelle che si possono
considerare "capacità di base" (in campo musicale) che l'insegnante dovrebbe possedere per poter
rispondere ai bisogni dei bambini e alle richieste dell'istituzione per quanto riguarda l'educazione musicale. È
ovvio che tali indicazioni vanno correlate ai criteri e alle indicazioni metodologiche esposte nei capitoli
precedenti. I temi del vissuto, della quotidianità, della cultura, della relazione educativa, ecc. forniscono l'humus

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sul quale impiantare i curricoli formativi dei futuri maestri. È necessario tener presenti le cosiderazioni fatte
su questi temi per collocare nella giusta luce gli enunciati degli obiettivi qui presentati. Come articolare,
dunque, la "competenza" musicale dei maestri? Per gli obiettivi specifici ritengo opportuno seguire la
suddivisione tematica esposta nel capitolo sulla programmazione: ambiente, corporeità, voce, strumenti e
notazione. Gli enunciati indicano ciò che un insegnante dovrebbe sapere/saper fare. Per l'elaborazione dei
progetti educativi si rimanda ai capitoli precedenti.

OBIETTIVI GENERALI
1. Prendere consapevolezza ed esplicitare verbalmente le proprie idee/ capacità/ sentimenti/ valori
relativi al campo "musica".
2. Individuare e descrivere quali sono i bisogni, le aspettative e le motivazioni dei bambini in merito alle
esperienze sonore e musicali.
3. Sviluppare le proprie idee/ capacità/ sentimenti/ valori relativi al campo "musica", in relazione a
bisogni / aspettative / motivazioni dei bambini.
4. Individuare, progettare e realizzare i percorsi più adeguati per raggiungere gli obiettivi specifici
dell'educazione musicale tenendo conto di metodi / contenuti / valutazioni del curricolo generale della scuola
dell'infanzia e della scuola elementare.

OBIETTIVI SPECIFICI

Ambiente
1. Interpretare, analizzare e valutare gli eventi sonori e musicali dell'ambiente, mettendo in evidenza gli
aspetti simbolici (sensi e significati), semantici (informazioni e messaggi) e strutturali (con che cosa e come
sono fatti).
2. Conoscere le modalità di percezione e comprensione degli eventi sonori e musicali in relazione alle
diverse età dei bambini.
3. Conoscere le possibilità mentali e psicofisiche delle diverse età dei bambini in relazione alla
produzione di eventi sonori e musicali.
4. Elaborare progetti didattici che includano:
4.1 l'interpretazione, l'analisi e la valutazione degli eventi sonori e musicali dell'ambiente;
4.2 la produzione di eventi sonori e musicali nell'ambito di situazioni espressive, comunicative, ludiche, in
riferimento ai propri contesti ambientali e socio-culturali.

Corporeità
5. Interpretare, analizzare e valutare, negli eventi sonori e musicali, i rapporti tra gesti e suoni/musiche,
movimenti e suoni/musiche.
6. Esemplificare i molteplici rapporti tra movimenti e suoni/musiche, con particolare riferimento alla
ritmica e alla danza.
7. Progettare e realizzare esercizi, giochi, attività in cui si evidenzi il rapporto suoni-musiche / gesti-
movimenti.

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Voce
8. Conoscere i vari aspetti della prosodia.
9. Intonare semplici melodie per imitazione e per lettura.
10. Guidare giochi vocali e giochi cantati con o senza l'uso del movimento.
11. Far apprendere e far eseguire correttamente canti adatti alle varie età.

Strumenti
12. Usare qualsiasi tipo di strumento (o gruppo di strumenti) per creare eventi sonori non ritmici in
contesti comunicativi-espressivi, anche in relazione ad altri linguaggi (verbale, motorio, grafico)[=
sonorizzazioni].
13. Produrre/riprodurre/improvvisare ritmi su qualsiasi tipo di strumento.
14. Produrre (per memoria, per imitazione e per lettura) semplici melodie su strumenti elementari.
15. Elaborare ostinati ritmici per semplici strumentazioni su melodie date.

Notazione
16. Interpretare, analizzare e valutare le possibili connessioni tra segni grafici e suoni/musiche.
17. Produrre segni grafici singoli o strutturati in codice, utili per esemplificare termini e concetti musicali.
18. Decifrare partiture ritmiche e melodiche.
19. Produrre partiture in notazione spontanea e/o tradizionale.

Gli obiettivi fin qui enunciati costituiscono, in un certo senso, un possibile punto di arrivo ottimale della
formazione musicale di un insegnante di scuola dell'infanzia o di scuola elementare.
A questo punto di arrivo dovranno tendere gli insegnamenti specifici previsti nel corso di laurea, mentre
nel tirocinio tali capacità dovranno essere correlate agli altri campi formativi, in particolare a quelli attinenti ai
vari linguaggi espressivi.
In ogni caso, e per concludere, va fatta una considerazione: se nella vita di un (futuro) insegnante il fare e
l'ascoltare musica occupano uno spazio e un tempo marginale, insignificante, secondario, tale insegnante
difficilmente riuscirà a stabilire una relazione "educativa" con i bambini attraverso il "medium" della musica.

Formazione in servizio

Una occasione

Per il Piano Pluriennale di Aggiornamento predisposto dal Ministero della Pubblica Istruzione in vista
dell'entrata in vigore del Programmi della scuola elementare (1985), l'IRRSAE Veneto istituì, per ogni
disciplina, i Gruppi per lo Sviluppo del Curricolo (GSC), formati da esperti del settore, con il compito di
elaborare e coordinare il progetto di formazione dei formatori (nel caso del Veneto i formatori sono stati
scelti tutti tra gli stessi insegnanti elementari). Chiamato a far parte del GSC di 'Educazione al suono e alla
musicà, ho avuto modo di fare, con il gruppo di maestri-formatori, esperienze interessanti e stimolanti e di

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approfondire alcuni aspetti della cosidetta formazione in servizio.
Una volta terminato l'aggiornamento "obbligatorio", si formulò l'ipotesi di continuare il lavoro di
elaborazione e di sperimentazione di un curricolo di educazione musicale per la scuola elementare. Ma
vicende amministrative e burocratiche, nonchè qualche intoppo organizzativo hanno di fatto tenuto in qualche
cassetto la nostra ipotesi che, nel frattempo, aveva preso forma in un "Progetto biennale di didattica della
musica per maestri elementari" elaborato dal sottoscritto. Il Progetto, in un secondo momento, stava per
essere realizzato in collaborazione tra IRRSAE Veneto e Conservatorio di musica di Castelfranco Veneto, ma il
blocco di tutti i finanziamenti (per la scuola, ovviamente, non per le colombiadi!) ha rimandato a tempi migliori
la sua realizzazione.
Nell'attesa, ritengo utile presentare qui, parzialmente modificato, quel progetto in quanto indica un
percorso possibile per una formazione in servizio che superi la frammentarietà di corsi, seminari, stages che
spesso lasciano insegnanti e operatori frustrati e sussidiodipendenti.

Un progetto: CORSO BIENNALE DI DIDATTICA DELLA MUSICA PER MAESTRI ELEMENTARI

1. DESTINATARI
Insegnanti della scuola elementare. Potrebbero comunque essere previste alcune presenze di insegnanti
di scuola dell'infanzia e di scuola media in vista della continuità. Con opportuni aggiustamenti, il progetto
potrebbe essere adeguato anche per le insegnanti della scuola dell'infanzia.
2. FINALITÀ
2.1 Sviluppo delle competenze e approfondimento delle conoscenze che già si possiedono e/o
eventualmente attivate col Piano Pluriennale di Aggiornamento.
2.2 Sperimentazione di un curricolo formativo per i maestri in campo musicale.
2.2 Elaborazione di curricoli sperimentali di "educazione al suono e alla musica" per i bambini.
3. OBIETTIVI
Gli enunciati indicano ciò che ciascun insegnante dovrà sapere/saper fare al termine del Corso.
(cfr. sopra gli obiettivi generali e specifici indicati per la formazione iniziale).
4. METODOLOGIA
Le lezioni avranno carattere seminariale con la partecipazione attiva delle maestre, privilegiando la
metodologia della ricerca e della progettazione secondo i criteri della programmazione.
5. CONTENUTI E ATTIVITÀ
Il Corso sarà articolato in tre insegnamenti:
a) Pedagogia della musica;
b) Pratica vocale e strumentale;
c) Analisi e composizione.
Per ogni insegnamento può essere previsto uno o più docenti, in relazione anche al numero dei
partecipanti. I programmi dei tre insegnamenti dovranno essere articolati in funzione del raggiungimento
degli obiettivi generali e specifici sopra riportati e sulla base delle indicazioni date per le varie fasi di attuazione
del progetto. A tal fine si ritiene indispensabile la programmazione collegiale delle lezioni da parte dei docenti.
In linea di massima, le fasi di attuazione del Corso potrebbero essere le seguenti:

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I FASE:
Verifica delle conoscenze e delle competenze di partenza dei partecipanti in relazione agli obiettivi generali
e specifici indicati al punto 3.
II FASE:
Elaborazione di curricoli sperimentali per il I e II ciclo.
III FASE:
Elaborazione di Progetti e di Unità Didattiche relative alle cinque classi di scuola elementare.
IV FASE:
Realizzazione dei Progetti e delle U.D.
V FASE:
Approfondimenti su alcuni temi, quali ad es.:
- I bambini e la musica nella società dei mass-media;
- Nuovi saperi e nuovi alfabeti: l'intelligenza musicale;
- Linguaggi per esprimersi, linguaggi per comunicare: lo sviluppo della creatività in musica.
- Quali musiche per quali bambini?
Altre tematiche potranno essere individuate in base a esigenze e problemi dei partecipanti.
VI FASE:
Criteri e metodi di verifica e di valutazione delle competenze musicali dei bambini.
N.B. In ogni fase sono previsti (in base a orari e calendari da stabilire) tempi e spazi per attività vocali e
strumentali finalizzate alla acquisizione di tecniche esecutive, compositive e analitiche applicate a repertori di
uso scolastico.
6. VERIFICHE
6.1 Analisi delle documentazioni prodotte dai partecipanti.
6.2 Relazione finale individuale che evidenzi i fondamenti teorici e metodologici delle esperienze condotte
nelle classi.
6.3 Progettazione di un evento finale (con modalità e nello stile di una festa più che non di un saggio di
bravura) con la partecipazione di bambini, insegnanti, famiglie, ...
6.4 Questionari per la verifica del curricolo formativo.
7. TEMPI E LUOGHI
Il Corso potrebbe svolgersi (dopo, ovviamente, aver preso gli accordi necessari in base alla normativa
vigente), nell'ambito del Corso di Didattica della musica dei vari Conservatori, oppure organizzato
autonomamente da uno o più Collegi dei docenti (nell'ambito, ad es. del Distretto).
Le lezioni potrebbero avere frequenza settimanale, nel corso dell'anno scolastico, o possono essere
raggruppate in parte all'inizio dell'anno scolastico. Dovrà essere previsto un congruo numero di ore, una parte
da far rientrare nell'aggiornamento, una parte da considerare soggette al fondo di incentivazione.
8. DOCENTI
Si ritiene opportuno che ci sia un docente per ciascuno dei tre insegnamenti previsti. In linea di massima
potrebbero essere utilizzati i docenti del Corso di Didattica della musica del Conservatorio o di altri Istituti
musicali. Potranno essere comunque interpellati altri docenti, purchè con comprovata conoscenza delle
problematiche della scuola elementare e con esperienza di formazione dei formatori.

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Durante lo svolgimento del corso, occorre prevedere la possibilità di intervento di alcuni esperti per
approfondire temi e aspetti specifici.
9. CRITERI DI AMMISSIONE AL CORSO
Maestri di ruolo che intendono specializzarsi per "Educazione al suono e alla musica".
10. COSTI
Andranno quantificati in base al numero di ore e al numero dei docenti, nonchè all'eventuale acquisto dei
sussidi e dei materiali indispensabili per la realizzazione delle attività previste.

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CONCLUSIONE

Giunto al termine di questo mio viaggio nel territorio boscoso dell'educazione musicale di base, mi prende
un certo senso di smarrimento: tante sono le cose che avrei voluto ma che non mi è riuscito dire, forse
perchè sono ancora troppo cariche di emozione, oppure perchè alcune tracce mi hanno condotto su sentieri
per me del tutto nuovi, sui quali dovrò tornare ripercorrendoli con più calma e più attenzione.
Molte pagine del mio atlante sono ancora bianche o contengono solo qualche breve annotazione relativa ai
diritti umani, al pensiero simbolico, ai bisogni e alle motivazioni, alle emozioni, all'identità sociale, al
condizionamento socio-economico, alle compromissioni ideologiche e agli stereotipi culturali.
D'altro canto ho la sensazione che ampi orizzonti si aprirebbero all'educazione musicale se appena si
avesse un po' di coraggio e di fantasia per interagire con l'educazione interculturale, l'educazione nella
differenza, l'educazione alla pace, l'educazione alla salute, l'educazione permanente e altre cose ancora.
Sarebbe bello, interessante, utile e forse anche urgente attivare ricerche e promuovere nuove professionalità
per rispondere a bisogni e situazioni non solo culturalmente nuove, ma anche socialmente impellenti, come
l'alto numero di abbandoni scolastici, la solitudine psicologica dell'infanzia, l'ossessivo martellamento dei mezzi
di informazione, l'incapacità educativa di molte famiglie.
Oggi, però, talvolta si fa fatica a pensare all'educazione musicale mentre la vita di milioni di bambini è
affidata ad aiuti alimentari che non arrivano, mentre ci si sente impotenti di fronte a parlamenti che non
sanno distinguere tra una operazione chirugica e una carneficina, e a governanti che predicano sacrifici ma
che praticano vendite di armi e speculazioni finanziarie, mentre le pietre sono rimaste l'ultima parola per
difendere la propria sopravvivenza, mentre il senso della vita di milioni di persone sembra debba dipendere dai
tassi di interesse e dall'indice mib, mentre il gioco di migliaia di preadolescenti è sniffare "cola" nelle strade,
mentre esplosioni mafiose e vaneggiamenti verbali tantano di contrastare giustizia e verità, mentre...
I volti, gli sguardi, i gesti, le voci, i comportamenti di tanti bambini e bambine, di colleghe e di amici, di
persone sconosciute incontrate nei miei trasbordi ferroviari o attraverso lo specchio magico della TV, mi
hanno spesso interpellato mentre scrivevo questo libro, lasciandomi talvolta la sensazione di essere un
privilegiato. Con questa sensazione che mi accompagna cercherò di incamminarmi sui sentieri di una pratica
e di una teoria dell'educazione musicale che diventi sempre più anche segno e simbolo di rinnovamento
sociale e culturale.

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