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PAESAGGI DELLA VIA APPIA

Fra Geografia e Storia

A cura di Gianluca Casagrande

GREAL
Geographic
I
IF Press
Research and Application
Laboratory

5
GEOGRAPHICA
Collana diretta da Gianluca Casagrande

COMITATO SCIENTIFICO
Gino De Vecchis
Marina Faccioli
Fabio Malaspina
Cosimo Palagiano
Rafael Pascual
Franco Salvatori

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ISBN 978-88-95565-51-4

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LUIGI RUSSO

Da “regina viarum” ai pellegrinaggi


altomedievali: trasformazioni e continuità
del tracciato della Via Appia

1. Prologo: Una satira oraziana

Minus est gravis Appia tardis: «la via Appia è meno faticosa per chi
se la prende comoda»1. È il succo di un particolare viaggio sulla via
Appia destinato ad essere immortalato in una delle pagine più felici
della poesia romana del I secolo a.C. Nella primavera del 37 a.C. Mece-
nate e Lucio Cocceio Nerva si erano infatti incamminati alla volta di
Brindisi per volontà di Ottaviano per incontrare Antonio nell’intento
di sanare una delle tante discordie scoppiate tra i due triumviri. Sulla
strada con loro si era aggregato il poeta Orazio, da un paio di anni en-
trato nella cerchia intima di Mecenate. Grazie al poeta venosino ab-
biamo la possibilità di leggere una vivace descrizione di tutte le tappe
del viaggio della ambasceria sulla Via Appia, da Roma a Brindisi, un
racconto in cui le difficoltà del viaggio - tutto sommato non insupera-
bili - come i locandieri disonesti del Forum Appi2, le terribili zanzare
presenti nei corsi d’acqua circostanti l’Urbe3 o la fumosa taverna di
Trevìco, nel beneventano4, sono ricordate con minuziosa attenzione.
————
1
HORACE, Satire, I, 5, v. 6 [trad. italiana, p. 133]
2
Ibidem, vv. 3-4 [trad. italiana, p. 133]: «inde Forum Appi, differtum nautis, cau-
ponibus atque malignis».
3
Ibidem, vv. 14-15 [trad. italiana, p. 135]: «mali culices ranaeque palustres aver-
tunt somnos».
4
Ibidem, vv. 79-81 [trad. italiana, p. 143]: «vicina Trivici villa (…), lacrimoso non
sine fumo, udos cum foliis ramos urente camino».

11
Né mancano gli incontri felici come quello avvenuto nei pressi di For-
mia, ove Plozio, Vario e Virgilio si fanno incontro all’allegra comitiva
per aggregarsi a loro5. Prevale nel testo la gioiosa memoria di un’espe-
rienza che, tra giochi e scherzi, aveva permesso al ristretto numero di
persone colà presenti di cementare nei giorni di cammino i reciproci
sentimenti di amicizia, unico risultato di tale viaggio, visto che l’amba-
sceria non avrebbe mai incontrato Antonio, già partito da Brindisi.
Resta però il senso di una testimonianza che è del massimo interes-
se per delineare l’approccio del mondo romano nei confronti della via-
bilità: luogo di incontro, essa adempiva in primis alla funzione di offri-
re il più celere collegamento con i centri urbani serviti dalla strada con-
solare, fondata nel IV secolo a.C. per garantire i collegamenti tra Roma
e Capua6, poi prolungata fino a Brindisi in seguito alla conquista
dell’attuale regione pugliese con uno sforzo costruttivo di rilievo che la
trasformò nella via di comunicazione che conosciamo7. La strada rap-
presentava, in estrema sintesi, uno dei mezzi visibili della proiezione di
Roma sul mondo esterno: garantendo un rapido collegamento essa
permetteva ai suoi eserciti di intervenire con la massima celerità ove
fosse necessario, ma al contempo consentiva anche una rapida circola-
zione di uomini e beni attratti dall’Urbe, centro del mondo antico.

2. La “rottura” medievale

Ben diversa sarebbe stato tale rapporto nei secoli altomedievali,


quando si assistette ad un capovolgimento delle dinamiche generali:
piuttosto che mezzo di espansione, le vie di comunicazione divennero
per Roma una minaccia sempre incombente, visto che attraverso esse
ogni esercito barbaro, privo di qualsiasi timore reverenziale, poteva
————
5
Ibidem, vv. 39-44 [trad. italiana, pp. 137-139]. Vario si sarebbe congedato dal
resto della comitiva una volta raggiunta Canosa.
6
Maggiori dettagli sul tracciato della via Appia in DE LA BLANCHÉRE (1888), RA-
DKE (1981), pp.133-188, QUILICI (1989), HUMM (1996). Importanti dettagli sulla co-
struzione della via in DIODORUS OF SICILY, BIBLIOQHKHS ISTORIKHS, XX, 36, 2;
sulle fonti su cui si basava Diodoro per la storia romana arcaica si veda la serrata di-
scussione di MAZZARINO (1966), pp. 293-294, che ipotizza l’utilizzo di opere annali-
stiche in latino in seguito perdute.
7
Sul tracciato della Via Appia e il successivo prolungamento si veda PRATILLI
(1745), pp. 14-19. STRABON, Géographie, V, 3, 6, ricorda la grande folla che utilizzava
l’Appia.

12
giungere indisturbato sotto le mura dell’antica dominatrice del mon-
do8. La pax Romana si era infranta di fronte alle popolazioni prove-
nienti dalle remote steppe, alcune delle quali non si sarebbero astenute
dal saccheggiare la stessa Urbe, come nel caso di Goti e Vandali nel V
secolo9. Occorre tuttavia rifuggire da un quadro improntato al catastro-
fismo: i più attenti studiosi hanno infatti messo in evidenza il progres-
sivo ristrutturarsi dell’abitato di Roma a cavallo tra l’età tardo antica e i
primi secoli altomedievali, nell’ambito di una tenuta dal punto di vista
urbanistico in cui si continuò a costruire, sebbene in forme e quantità
alquanto ridotte rispetto ai secoli precedenti («un’area urbana le cui
maglie si allentano gradualmente»)10. La stessa stima demografica atte-
sta tale drastica riformulazione dell’abitato, frutto verosimilmente di
un calo della popolazione acuito dalla perdita della centralità politica
dell’Urbe, cui si sommarono le distruzioni della guerra greco-gotica
che avrebbero interessato la penisola italica: dai trecentomila abitanti
del V secolo si passò dunque ad una cifra che verso la metà del secolo
successivo non doveva raggiungere – si stima – le centomila unità, ali-
mentando in tal modo quella visione di desolazione di cui sarebbe stato
efficace interprete papa Gregorio Magno verso la fine del VI secolo11.

————
8
Sui cambiamenti dei rapporti tra Roma e le strade in età medievale si vedano le
pertinenti riflessioni di ESCH (2001), ESCH (2003).
9
Rimandiamo solo ai più recenti lavori di sintesi dedicati alla caduta dell’antica
Roma: HEATHER (2006), WARD-PERKINS (2008); chiaro e sintetico SANFILIPPO (2011),
p. 980. Sull’eco del sacco di Roma del 410 si può vedere EUSEBII HIERONYMI (SANCTI)
Epistulae, pp. 145-156 (ep. 127).
10
Si veda solo DELOGU (2006); AUGENTI (2010), p. 103, da cui abbiamo tratto il
passo citato; SANTANGELI VALENZANI (2011), pp. 91-97, con rimando alla cospicua
bibliografia precedente.
11
Cifre fornite e discusse da DELOGU (2006), pp. 6-7. Risale ad un attacco longo-
bardo il desolante quadro fornito in GREGORII MAGNI (SANCTI) Homiliae in Hiezechi-
helem prophetam (1971), II, 6, p. 311, rr. 534-537: «Ipsa autem quae aliquando mundi
domina esse videbatur qualis remanserit Roma conspicitis. Immensis doloribus mul-
tipliciter attrita, desolatione civium, impressione hostium, frequentia ruinarum …».
Ma al riguardo si veda l’illuminante commento di ARNALDI (1987), pp. 30-32.

13
Di fronte a cambiamenti di tale entità, andava nel frattempo emer-
gendo un nuovo soggetto politico, favorito dal progressivo ritiro
dell’autorità imperiale: si trattava del vescovo di Roma, non ancora ver-
tice incontrastato della Cristianità occidentale, ma già capace di occu-
pare in maniera sostanziale il vuoto lasciato dalle autorità temporali12 e
destinato, a partire della fine del VII secolo, a procedere alla costruzio-
ne della futura Repubblica di San Pietro, un’operazione resa possibile
dall’alleanza con i Franchi, ma soprattutto con i maestri di palazzo pi-
pinidi, interessati a scalzare la dinastia merovingia dal trono franco13.

Fig. 1 - «La strada antica supera gli ostacoli, la strada medievale invece li aggira»:
Esch (2001), p. 426 (foto GREAL)

————
12
Nei passi citati da FILORAMO (2011) pp. 261, 296, si osserva che nel IV secolo la
sede romana ricopre un ruolo di primo piano, senza però sopravanzare i vescovi di
altre importanti sedi episcopali (Alessandria d’Egitto, Milano). Ma sulla progressiva
ascesa dell’episcopato cristiano si vedano le suggestive pagine di BROWN (1995) pas-
sim; più specifico sul caso romano DELOGU (2000), pp. 203-208.
13
Sulla costruzione della “Repubblica di San Pietro” NOBLE (1984), ARNALDI
(1987), ma si veda CAPO (2009) che segnala la problematicità dell’uso di tale espres-
sione; sui contemporanei sviluppi in seno all’aristocrazia romana MARAZZI (2006),
pp. 41-49; sulle origini dell’affermazione dei pipinidi RICHÉ (1983), pp. 23-69.

14
3. Il pellegrinaggio a Roma

Il IV secolo rappresenta l’epoca decisiva per l’affermazione del cri-


stianesimo, destinato a diventare la religione ufficiale dell’Impero. Tra
gli eventi più eclatanti all’interno di Roma v’è l’affermazione della de-
vozione popolare e della pia pratica del pellegrinaggio, un fatto segna-
lato da san Gerolamo che lodò la fede Romanae plebis per la devozione
da essa dimostrata nei confronti di chiese e sepolcri dei martiri, e il
contemporaneo abbandono degli antichi templi pagani, destinati ad un
lento ma inarrestabile declino cultuale testimoniato anche dal diradarsi
abitativo intorno ad essi14. In particolare il regno di Costantino prima,
e il pontificato di Papa Damaso (366-384) poi, avrebbero registrato i
primi interventi programmatici in ambito urbanistico, un’operazione
di largo respiro che investì i principali siti di pellegrinaggio dell’Urbe15,
vale a dire i cimiteri martiriali e le basiliche, la maggior parte dei quali
collocati in località extraurbane mentre il centro cittadino sarebbe a
lungo rimasto ‘presidiato’ da templi e santuari retaggio dell’antico pa-
ganesimo16. A garantire l’inamovibilità dei corpi santi v’era l’attenta
sorveglianza dei papi dell’epoca17, i quali riuscirono ad impedire «che
Roma divenisse un’inesauribile miniera di reliquie e al tempo stesso le
conservò il carattere inimitabile d’una riserva eccezionale di virtus»18,
come è testimoniato da una lettera di Gregorio Magno all’imperatrice
————
14
EUSEBII HIERONYMI (SANCTI) Commentariorum in epistolam ad Galatas libri
tres, II, col. 355B-C: «Romanae plebis laudatur fides. Ubi alibi tanto studio et fre-
quentie, ad Ecclesias et ad Martyrum sepulcra concurritur? ubi sic ad similitudinem
coelestis tonitrui Amen reboat, et vacua idolorum templa quatiuntur? Non quod a-
liam habeant Romani fidem nisi hanc quam omnes Christi Ecclesiae: sed quod devo-
tio in eis major sit, et simplicitas ad crededendum». Sul pellegrinaggio a Roma nel IV
secolo si veda il ricco materiale citato da BARDY (1949); più in generale BIRCH (1998),
passim. Sulle ragioni della decadenza cultuale del paganesimo FILORAMO (2011), pp.
349-356.
15
FIOCCHI NICOLAI (1995), REEKMANS (1968); SÁGHY (2000), p. 286, definisce lo
sviluppo dei loca sancta sotto il pontificato di Damaso una «spin-doctored police o-
peration against his opponents». Più in generale sul pellegrinaggio in età medievale si
vedano SUMPTION (1993), WEBB (2002).
16
Su questo PIETRI (1989), p. 1042. Come ricordato da REEKMANS (1989), p. 874,
solo ad inizio del VII secolo si sarebbe iniziato a trasformare i templi pagani in chiese
cristiane (è il caso del Pantheon, avvenuto nel 609).
17
Come notato da BIRCH (1998), pp. 99-102, nell’VIII secolo l’aumentare
dell’insicurezza politica intorno Roma costrinse le autorità ecclesiastiche a trasportare
le reliquie di santi e martiri all’interno delle mura cittadine.
18
CARDINI (1996), p. 90.

15
Costantina, del 594, in cui il pontefice negava all’augusta consorte il
permesso di far asportare una porzione delle reliquie di san Paolo per
trasportarle a Costantinopoli, spiegandole che «non è consuetudine dei
Romani – quando fanno dono delle reliquie dei santi – osar toccare
qualcosa del loro corpo. Ma si mette semplicemente un panno in una
teca e la si pone vicino ai sacratissimi corpi dei santi. Tolto questo pan-
no di lì, lo si ripone con debita devozione nella chiesa che deve essere
dedicata…»19. In ogni caso, il moltiplicarsi di fonti e notizie testimonia
in maniera incontrovertibile l’avvenuto mutamento nella percezione e
fruizione del sacro che aveva investito il mondo cristiano nell’età post-
costantiniana20, dopo che nei primi tre secoli si era assistito ad uno
scarso interesse per la pratica del pellegrinaggio, come testimoniato
dalla modesta attenzione nei confronti di Gerusalemme che solo nel IV
secolo si trasformò in meta stabile di pellegrinaggi21.
Occorre precisare che non tutti i pellegrini che giungevano a Roma
erano spinti da motivi di ordine schiettamente devozionale: a riprova
di quanto appena detto basterà ricordare il caso del vescovo dell’op-
pidum di Tongres, Servazio, che terrorizzato dall’imminente arrivo de-
gli Unni, decise di visitare la tomba dell’apostolo Pietro per ricevere gli
apostolicae virtutis patrocinia ed ottenere in questo modo la misericor-
dia divina contro i barbari invasori per sé e la sua comunità22. Nono-
stante l’inutilità del viaggio a Roma, visto che il responso dell’apostolo
sarebbe stato per lui negativo, il viaggio di Servazio testimonia perfet-
tamente la centralità che, alla metà del V secolo, Roma e la sua sede e-
piscopale iniziavano ad occupare nella pars occidentis della Cristiani-

————
19
GREGORII MAGNI Registrum Epistularum (IV-VII), IV, 30, pp. 72-78. Il testo o-
riginale del brano citato recita così: «Romanis consuetudo non est, quando sancto-
rum reliquias dant, ut quicquam tangere praesumant de corpore. Sed tantummodo in
buxide brandeum mittitur atque ad sacratissima corpora sanctorum ponitur. Quod
levatum in ecclesia quae est dedicanda debita cum veneratione reconditur…» (p. 74).
Sull’episodio si veda il commento di LEYSER (2000), pp. 299-303.
20
Su tali trasformazioni è particolarmente efficace MARKUS (1996), pp. 167-186.
21
MORRIS (2005), pp. 1-15.
22
GREGORII TURONENSIS Historiarum Libri decem, II, 5, pp. 106-108 (nel testo
indicato erroneamente con il nome Aravatius). Sugli Unni e le loro scorrerie STI-
CKLER (2009). Un caso analogo è quello del vescovo di Le Mans, Domnolus, ricordato
nel Cartulaire de l’abbaye de Saint-Vincent du Mans, col. 1, «profectus est Romana
limina beatorum apostolorum causa orationis visitaturus» (documento del 572).

16
tà23. Roma si stava effettivamente trasformando in quella straordinaria
“città-santuario”24 che sarebbe poi diventata nei secoli successivi.

4. La Via Appia e i pellegrini

«Levigate ed appianate le pietre e tagliatele ad angolo (scil. Appio


Claudio Cieco) le combinò fra loro senza frapporvi cemento né altro, e
quelle stanno unite, aderenti così saldamente che a chi le vede non pare
siano combinate, ma formino un solo assieme»25. Così nel VI secolo il
cronista Procopio di Cesarea descriveva, ammirato, il manto stradale
della Via Appia, da secoli presente sul tragitto Roma-Capua26. È una
chiara testimonianza che il tracciato stradale della via consolare era sta-
to mantenuto in buone condizioni dalle autorità pubbliche almeno fino
all’età teodericiana27, una sorte non condivisa da tutti gli assi viari come
dimostrato, ad esempio, dal progressivo abbandono di parecchi ponti
romani28, e che conferma il ruolo cardine dei collegamenti tra l’Urbe e
il Mezzogiorno d’Italia - e di qui con l’Oriente - rivestito dall’Appia nei
secoli medievali, nonostante i frequenti cambiamenti di percorso cui
andò incontro l’originario tracciato, un’evenienza del resto all’epoca
non infrequente, come rimarcato da un autorevole studioso secondo
cui «chi dice viabilità medievale dice infatti varietà e instabilità dei per-
corsi»29.
A guidarci in questi secoli sono le guide redatte per i pellegrini30,
solitamente scarne, come l’Itinerarium Burdigalense (IV secolo), che
————
23
Il fascino di Roma è confermato dalla formidabile tentazione che colpisce Ma-
cario, ricordata da PALLADIO, LAUSIAKON, XVIII, 23, pp. 90-92, quando i demoni
suggeriscono, vanamente, all’asceta di spostarsi colà per curare i malati.
24
Mutuiamo tale espressione da CARDINI (1996), p. 89. Ma si veda anche SOT
(2011), pp. 890-892.
25
PROCOPIO DI CESAREA, La guerra gotica, I, XIV, p. 110.
26
SETTIS (2001), p. 991, ha rilevato la peculiare attenzione di Procopio per i mo-
numenti dell’antica Roma.
27
ESCH (2003), p. 11, ricorda tali lavori di manutenzione. Sul perdurare del
cursus publicus sull’Appia si veda CROGIEZ (1990), p. 95; RADKE (1981), p. 158, ricor-
da le lodi nei riguardi dell’Appia da parte dei poeti greci e romani.
28
SANFILIPPO (2011), p. 983.
29
COSTE (1990), p. 127. Il contributo in questione rende conto dei cambiamenti
del tracciato dell’Appia nel corso dell’età medievale. Ma in generale, sulla percezione
dello spazio in età medievale si veda SERGI (2010), pp. 201-215.
30
Su tali fonti rimandiamo alla presentazione di PERGOLA (1997), pp. 27-29.

17
menziona solo le tappe che da Brindisi portarono a Roma (e di qui a
Milano) un gruppo di pellegrini d’oltralpe che facevano ritorno dalla
Terrasanta31, per poi diventare con il passare del tempo più ricche ed
articolate come nel caso della Notitia ecclesiarum urbis Romae (prima
metà del VII secolo)32, vera e propria guida ragionata delle chiese, le ca-
tacombe, i sepolcri martiriali che punteggiavano il suburbio romano,
un panorama perfettamente illuminato dall’affermazione dell’anonimo
redattore secondo cui «ibi innumerabilis multitudo martirum»33. Ad
una simile altezza cronologica si situa anche il De locis sanctis mar-
tyrum34 che più che un itinerario classico si presenta sotto forma di
minuzioso elenco, redatto da un chierico romano forse non per motivi
direttamente riconducibili alle esigenze dei pellegrini, ma che presenta
una ricca e dettagliata panoramica della “geografia sacra” della Roma
altomedievale, e conferma l’eccezionale ricchezza dei corpi santi custo-
diti con devozione nei santuari della via Appia, e quindi la pregnante
sacralità di un’area rischiarata dai magna mirabilia a cui potevano assi-
stere i pii visitatori35. Tutto questo deve essere collocato nell’ambito di
un’intensificazione dei flussi di pellegrinaggio che possono essere in-
travisti dalla regolare attenzione delle autorità ecclesiastiche romane
nei confronti delle strutture assistenziali destinate all’assistenza dei
pauperes36 tra cui erano certamente compresi i pellegrini provenienti
da terre lontane come gli anglosassoni che affollarono con enorme en-
tusiasmo Roma nei secoli VII-VIII, alla ricerca della vicinanza fisica
con le reliquie dei papi e dei santi fondatori della loro fede, contri-
buendo in tal modo ad accrescerne il ruolo centrale nel mondo cristia-
no37.
Pur nella loro laconicità, tali testimonianze ci impongono un’atten-
ta riflessione: redatte con intenti molto lontani dai nostri odierni inte-

————
31
Itinerarium Burdigalense, pp. 28-30.
32
Notitia ecclesiarum urbis Romae, pp. 69-70, per la datazione del testo. Sull’uso
di tali testi da parte dei pellegrini SOT (2011), p. 890.
33
Notitia ecclesiarum urbis Romae, p. 87.
34
De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae, pp. 102-103, per la
datazione del testo.
35
Ibidem, p. 111.
36
BIRCH (1998), pp. 126-133; DEY (2008), p. 400, nota 5, con rimando alla biblio-
grafia precedente; Liber diurnus romanorum pontificum, docc. LXVI-LXVII, pp. 129-
131.
37
Come notato da THACKER (2000), p. 248: «the Anglo-Saxon church during its
first century showed itself to be distinctively and enthusiastically Roman».

18
ressi, una volta analizzate in profondità esse forniscono preziosi indizi
sulla percezione dello spazio della Roma nei secoli altomedievali, in un
momento storico in cui l’identità cittadina si andava riformulando sot-
to la spinta dell’attivismo politico-diplomatico dei pontefici e nell’acu-
to sentimento della necessità di rielaborare quella tradizione di mille-
naria grandezza entrata in crisi in maniera irreversibile. Spia significa-
tiva di tali ripensamenti sono i percorsi indicati nell’Itinerarium con-
servato del codice di Einsiedeln, opera di un monaco svizzero che nel
IX secolo raccolse epigrafi e testi dell’antica Roma mentre andava
compilando una guida dei principali luoghi di pellegrinaggio38. La per-
cezione complessiva che si ricava è quella di un’aureola di santuari e
luoghi devozionali che circondano lo spazio urbano romano, cui si
vanno sommando i luoghi propri della romanità classica, situati prin-
cipalmente all’interno delle mura e che, sebbene di minore importanza
agli occhi dei pellegrini, tuttavia destavano in molti interesse misto a
stupore39. Tutto il resto della città è taciuto, come se le vicende storico-
urbanistiche della città altomedievale non contassero affatto per gli a-
nonimi redattori, interessati piuttosto a ricostruire l’eredità cristiana
dell’Urbs. Tra le attrazioni v’era la narrazione delle vicende e del marti-
rio dei santi più illustri, quei Pietro e Paolo la cui memoria sin dai pri-
mi secoli dell’era cristiana si era andata radicando proprio sulla via
Appia40, in particolare nel luogo ove era eretta la basilica di San Seba-
stiano, nonostante sia stata dimostrata con buoni argomenti
l’infondatezza dell’effettivo trasferimento dei corpi dei due apostoli
nella località ad Catacumbas41.
Resta comunque assodato che «sulla via per la quale il Cristianesi-
mo fu portato a Roma»42, si venne costituendo un fittissimo reticolo
sepolcrale cristiano43 che rese visibile la progressiva affermazione della
————
38
Silloge epigrafica. Itinerario, pp. 199-200 [trad. italiana, p. 42].
39
Su tale dicotomia tra centro/periferia dal punto di vista cultuale si veda il detta-
gliato quadro fornito da REEKMANS (1989), passim.
40
PERGOLA (1997), p. 184.
41
Sostenuta originariamente dal DUCHESNE (1923), la tesi è stata confutata con
buoni argomenti da GUARDUCCI (1986) e LUISELLI (1986), che hanno ribadito
l’origine della località ad Catacumbas con riferimento alle cave di pietra arenaria colà
presenti.
42
GUARDUCCI (1986), p. 839.
43
Si vedano i numerosi ecclesiastici sepolti nel cimitero dei martiri Marcelliano e
Marco ricordati nell’appendice al contributo di PIETRI (1977), pp. 375, 392, 394, 395,
398, 399. Sulle catacombe e gli ipogei presenti sulla via Appia, un rapido ma esaustivo
catalogo è in PERGOLA (1997), pp. 177-209 (a cura di P.M. Barbini). REEKMANS

19
nuova religione sul culto pagano. Di tale ristrutturazione della geogra-
fia sacra della Roma nei secoli IV-VII, le testimonianze qui discusse
forniscono una preziosa, per quanto limitata, indicazione e conferma-
no ancora una volta la peculiarità della percezione spaziale dei “grandi
viaggiatori” (pellegrini, mercanti, guerrieri)44, nonché il loro interesse a
rappresentare lo spazio in modalità funzionali alla meta da loro prefis-
sata.

Fig. 2 - Pavimentazione della Via Appia in prossimità del Mausoleo di Cecilia Metella,
a Roma (foto GREAL)

————
(1989), p. 907, nota che la zona cimiteriale compresa tra la via Appia e l’Ardeatina è
quella a maggiore densità di chiese cimiteriali.
44
Su tale categoria si veda SERGI (2010), pp. 203-205.

20
5. Qualche conclusione

Quanto detto sulla percezione dello spazio dei ‘grandi viaggiatori’


rappresenta un elemento che deve essere soppesato al momento di tira-
re alcune conclusioni, a fronte di una serie di fonti, come quelle da noi
utilizzate in questa sede, di fronte le quali numerosi interrogativi resta-
no aperti, molte domande sono destinate a rimanere irrisolte. Asse
spaziale orientato da Roma al Mezzogiorno e, grazie al successivo am-
pliamento del tracciato fino a Brindisi, prima parte della proiezione
dell’Urbe sull’Oriente, la via Appia ha rappresentato a lungo un canale
di comunicazione rapido ed affidabile per il mondo romano, le sue ar-
mate, i mercanti, gli ambasciatori. Una volta crollata la pax Romana es-
sa ha però assistito ad un drastica ristrutturazione che ha investito le
strutture materiali con una serie di interventi che ne hanno modificato
il tracciato. Ben più ampia è tuttavia stata la ristrutturazione spirituale
ed ideologica: non più pagana, la nuova Roma – ora cristiana – si è an-
data progressivamente ristrutturando come ricettacolo di santità, area
densamente abitata dai corpi santi (prevalentemente martiri)45 grazie al
fattivo intervento di un episcopato locale dotato di una buona dose di
interventismo, i cui primi segnali sono cronologicamente collocabili al
IV secolo. È in tale scenario che si collocano le fonti pensate per i pelle-
grini, quei grandi viaggiatori che giungendo a Roma da terre lontane
erano alla ricerca di un contatto diretto – per quanto mediato fosse –
con i corpi dei santi la cui inamovibilità sarebbe rimasta a lungo uno
dei punti fermi della chiesa romana altomedievale e avrebbe contribui-
to ad incentivare lo spostamento di un buon numero di pellegrini46.
Testimonianza monumentale delle trasformazioni urbanistico-topo-
grafiche registrabili nei secoli di passaggio tra età tardoantica ed alto-
medievale, il tracciato della via Appia, con tutte le trasformazioni cui
andò incontro, incarna alla perfezione continuità e discontinuità di un
mondo in rapida trasformazione come quello dei secoli IV-VII debol-
mente rischiarato dalle guide per i pellegrini qui ricordate.
————
45
Sulle trasformazioni cui andò incontro la società tardoantica a seguito del fio-
rente culto dei santi il riferimento d’obbligo è al saggio di BROWN (1983).
46
Come sottolineato da GEARY (2000), pp. 117-119, il fenomeno delle traslazioni
delle reliquie dei santi si affermerà solo in età carolingia. Cfr. MARKUS (1996), pp.
178-179: «La sede episcopale romana (…) mantenne delle riserve in ogni caso a pro-
posito dello smembramento dei cadaveri e della distribuzione delle reliquie, almeno
fino alla fine del sesto secolo. Alla fine, le pressioni esterne indussero i papi ad am-
morbidire la loro linea dura».

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