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Questa biografia inizia dalla fine.

Stanley Kubrick è morto


la mattina presto del 7 marzo 1999, per cause naturali, nella sua
casa appena fuori Londra. È vissuto settant’anni, la stessa età di
Orson Welles. Ora ha raggiunto Welles, Kurosawa, Hitchcock e
Fellini nel pantheon dei registi leggendari del ventesimo secolo.
Stanley Kubrick non è vissuto abbastanza a lungo per vedere il
nuovo secolo, che però aveva visitato con il suo capolavoro 2001:
Odissea nello spazio. Era il Picasso e il Beethoven del cinema. Era
un iconoclasta. Kubrick era un narratore cinematografico con
una visione costante e un controllo totale delle miriadi di dettagli
che il fare cinema richiede. Al momento della morte aveva appe-
na terminato il suo tredicesimo lungometraggio, Eyes Wide Shut.
Per un regista che ha esplorato la guerra e lo spazio, ha analizzato
i meccanismi della nostra società e ricercato ciò che l’umanità
ha perduto, il fatto che il suo ultimo orizzonte riguardi i limiti
della sessualità e le emozioni che nascono dall’ossessione erotica
e dalla gelosia appare un finale appropriato. Questa è la prima
biografia completa su Stanley Kubrick. Ho voluto tracciare una
narrazione che ripercorresse la sua vita dalla nascita, attraverso
i decenni, i traguardi, i film, fino alla condizione di autore soli-
tario vissuto in quell’oblio che contemporaneamente frantuma
e permea i miti. Dopo anni di intense ricerche e di interviste a
coloro che l’hanno conosciuto e che hanno lavorato, riso, giocato
a scacchi o a baseball con lui, come in una dissolvenza l’uomo è
apparso dietro la leggenda. Ciò che segue è la storia di un ragazzo
del Bronx, che è riuscito a diventare una stella.
Vincent LoBrutto

Vincent LoBrutto insegna alla School of Visual Arts a New York


City. Ha scritto numerosi articoli per «American Cinematographer» e
«Films in Review». Ha pubblicato Selected Takes: Films Editors on Edi-
ting; By Design: Interviews with Film Production Designers; Sound on
Film: Interviews with Creators of Film Sound; Motion Pictures: Inter-
views with Feature Film Cinematographers e Elia Kazan: Film Director.
Vive a Mount Vernon, New York.
gli IMPREVISTI
Stanley Kubrick. L'uomo dietro la leggmda
Biografia

Prima edizione: aprile 1999

©1999 Editrice Il Castoro S.r.l.


Milano, v.le Abruzzi 72
Tutti i diritti riservati

Traduzione di Manuela Bizzarri e Alberto Farina


Titolo originale: Sta11ley K11brick
© 1997 Vincent LoBrutto
In copertina: Stanley Kubrick sul ser di Il dottor Straua111ore

ISBN 88-8033-141-8
Vincent LoBrutto

STANLEY KUBRICK
L'UOMO DIETRO LA LEGGENDA
Biografia

Traduzione di Manuela Bizzarri


e Alberto Farina
Indice

Prologo 9

Parte prima 1928-1948. Il Bronx Il

Capitolo l
«Stanley si interessava solo a ciò che lo interessava» 13

Parte seconda 1948-1956. New York 53


Capitolo 2
«Fotografie di Stanley Kubrick» 55
Capitolo 3
<<Adesso sapeva di voler fare il regista>> 65

Capitolo 4
<<Era come una spugna» 82

Capitolo 5
<<Ecco ciò che serviva: Stanley Kubrick, era lui che serviva» 87

Capitolo 6
Regista di guerriglia 103

Parte terza. 1956-1960. Hollywood 119

Capitolo 7
La Harris-Kubrick 121

Capitolo 8
<<Sono Stanley Kubricb> 142

CajJitolo 9
<<Stanley, non funziona» 173

Capitolo l O
<<Non avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo film» 181
Parte quarta 1960-1964. Inghilterra 211

Capitolo I I
Come sono riusciti a trarre un film da Lolita? 213
Capitolo I2
«Lo trovi divertente?>> 246

Parte quinta 1964-1987.


Isolamento/Solitudine/Eremitaggio 273
Capitolo 13
Il viaggio definitivo 275
Capitolo I4
«È davvero Napoleone, vero?>> 344
Capitolo I 5
Ultra-violenza 356
Capitolo I6
La forza delle candele 401
Capitolo I 7
<<Di nUOVO>> 434
Capitolo I 8
«Sono stati sette anni? Non ricordo mai gli anni» 482

Parte sesta. Infinito 521


Capitolo I9
Progetti e un film, l'ultimo 523

Ringraziamenti Filmografia Note 531


Ringraziamenti 533
Filmografia 537
Note 545
STANLEY KUBRICK
L'UOMO DIETRO LA LEGGENDA
Prologo

Questa biografia inizia dalla fine. Stanley Kubrick è morto la mat-


tina presto del 7 marzo 1999, per cause naturali, nella sua casa appe-
na fuori Londra. È vissuto settant'anni, la stessa età di Orson Welles.
Ora ha raggiunto Welles, Kurosawa, Hitchcock e Fellini nel
pantheon dei registi leggendari del ventesimo secolo.
Stanley Kubrick non è vissuto abbastanza a lungo per vedere il
nuovo secolo, che però aveva visitato con il suo capolavoro 2001:
Odi.rsea nello spazio. Era il Picasso e il Beethoven del cinema. Era un
iconoclasta. Kubrick era un narratore cinematografico con una visio-
ne costante e un controllo totale delle miriadi di dettagli che il fare
cinema richiede.
La reazione internazionale alla sua scomparsa è stata imponente. I
tributi, l'interesse per la sua opera e il tentativo di comprendere la
complessità dell'artista proseguiranno a lungo.
I milioni di persone che sono state profondamente colpite dalle sue
immagini si sono improvvisamente rese conto di un'amara realtà:
non ci saranno più film di Kubrick dopo Eyes Wide Shut.
Al momento della morte, Kubrick aveva appena terminato il suo
tredicesimo lungometraggio. Per un regista che ha esplorato la guer-
ra e lo spazio, ha analizzato la meccanizzazione della nostra società e
ricercato ciò che l'umanità ha perduto, il fatto che il suo ultimo oriz-
zonte riguardi i limiti della sessualità e le emozioni che nascono
dall'ossessione erotica e dalla gelosia appare un finale appropriato.
Stanley Kubrick e il suo lavoro sono stati presenti e fondamentali
in me sin dal 1964, quando vidi per la prima volta un suo film. Per
me, e tutti coloro con i quali sono stato in contatto negli anni della
progettazione di questo libro, Kubrick è sempre stato lì, da qualche
parte, a creare dei film. Nonostante la sua fosse la più privata e
segreta delle esistenze possibili, la sua presenza era profondamente
sentita.
Stanley Kubrick non è più con noi ma i suoi film resteranno per
sempre. E continueranno a dire alle nuove generazioni in tutto il
mondo che il cinema è un'arte.
Questa è la prima biografia completa su Stanley Kubrick. Ho
voluto tracciare una narrazione che ripercorresse la sua vita dalla
nascita, attraverso i decenni, i traguardi, i film, fìno alla condizione
di autore solitario vissuto in quell'oblio che contemporaneamente
9
frantuma e permea i miti. Dopo anni di intense ricerche e di intervi-
ste a coloro che hanno conosciuto Stanley Kubrick e che hanno lavo-
rato, riso, giocato a scacchi o a baseball con lui, come in una dissol-
venza l'uomo è apparso dietro la leggenda.
Ciò che segue è la storia di un ragazzo del Bronx, che è riuscito a
diventare una stella.

Vincent LoBr11tto
M011nt Vernon, New York, aprile 1999
Parte prima

1928-1948
Il Bronx
Capitolo l
«Stanley si interessava solo a ciò
che lo interessava>>

Nei suoi viaggi attraverso il cinema, Stanley Kubrick è stato testi-


mone di- tre guerre, un'antica rivolta di schiavi e un assurdo scontro
nucleare tra superpotenze; ha percorso il paesaggio urbano del noir
sulle due coste americane; ha sperimentato le vie nascoste del desi-
derio insieme a un professore lussurioso e alla sua ninfetta; ha viag-
giato all'interno del nostro universo e si è spinto oltre i suoi confini;
ha visitato un futuro prossimo ultraviolento, ha viaggiato nel tempo
fino al diciottesimo secolo e ha sperimentato il presente-passato di
un hotel del Colorado posseduto dagli spiriti. E tutto questo nono-
stante abbia trascorso quasi la metà della sua vita privata e profes-
sionale nella campagna inglese alle porte di Londra.
Quando Stanley Kubrick arrivò in Gran Bretagna, all'inizio degli
anni Sessanta, era un regista con un pieno controllo del suo univer-
so, dopo essere passato attraverso il Bronx, New York e Los Angeles.
Il primo pellegrinaggio della sua famiglia in America risale al vol-
gere del secolo, quando i suoi bisnonni paterni, Hersh Kubrik e Leie
Fuchs, emigrarono dall'Austria.
Nato il 4 aprile 1852, Hersh Kubrik era un sarto di quarantasette
anni quando, partito dall'Austria, raggiunse gli Stati Uniti via
Liverpool a bordo del Lusi tania, la nave che nel 1915 sarebbe stata
silurata da un sottomarino tedesco, coinvolgendo gli Stati Uniti
nella prima guerra mondiale. La nave approdò a New York il 27
dicembre 1899.
La famiglia Kubrik si stabilì al 723 Est della Quinta strada a
New York. Hersh aveva cinque figli: Elias Kubrik, il nonno di
Stanley, era il maggiore. Elias era nato in Austria il 27 novembre
1877, quando Hersh aveva venticinque anni. La sorella Bela era
nata in seguito, il 25 aprile 1879. È probabile che Elias e Bela fos-
sero il frutto di un precedente matrimonio di Hersh Kubrik e che
Leie fosse la madre naturale degli altri tre figli: Annie Kubrik, nata
in Austria il 15 aprile 1897, più vecchia di Elias di vent'anni;
Joseph, nato ·a 21 luglio 1900; e il figlio minore Michad, nato a
New York 1'11 dicembre 1904.
Nel 1902, all'età di venticinque anni, nonno Elias arrivò in
America sulla Statendam, insieme a Rosa Spiegelblatt, la moglie
rumena diciannovenne, incinta del loro primo figlio. La nave li
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portò prima in Francia e approdò a New York 1'11 marzo 1902. La
coppia si stabilì al 125 di Rivington Street, dove Elias, come suo
padre, iniziò a lavorare come sarto. Negli anni Venti, Elias era
diventato un fabbricante di cappotti da donna, in affari con Jacob
Maslen, con la Kubrick & Maslen, situata in un quartiere ricco di
negozi di abbigliamento.
Il 21 maggio 1902, a due mesi dall'arrivo in America di Elias e
Rosa, nacque Jacob Cubrick, come si legge nel suo certificato di
nascita. Jacob, noto anche come Jacques e Jack, il cui secondo nome
era Leonard o Leon, fu l'unico figlio maschio della coppia. Le due
figlie Hester Merel e Lilly nacquero il 12 giugno 1904 e 1'11 agosto
1906. Le ragazze erano conosciute anche come Ester e Lillian e, come
era abitudine a quei tempi, i documenti riportano i loro nomi scritti
in modi diversi. Non si sa di preciso quando il cognome della fami-
glia assunse la forma attuale, è certo però che Jack Kubrick ne
decretò la nuova grafia sui documenti sanitari e sul certificato di
matrimonio nel 1927.
Anche la madre di Stanley Kubrick, Gertrude Perveler, era primo-
genita oltre che unica figlia femmina. Secondo i registri della previ-
denza sociale, Gertrude nacque il 28 ottobre 1903, ma il suo certifi-
cato di nascita, sul quale il suo nome è indicato come Sadie, riporta
la data del 29 ottobre 1903. In ogni caso, i genitori di Gertrude,
Samuel Perveler, cameriere, e Celia Siegel Perveler, erano entrambi
di origine austriaca, residenti al 252 Est della Quarta Strada a
Manhattan. Il venticinquenne Sam e la ventenne Celia si sposarono il
15 giugno 1902 e all'inizio vissero al 312 Est di Houston Street.
Sam era figlio di Israel e Brane Perveler; i genitori di Celia erano
Joseph e Gittel Siegel.
I fratelli di Gert, Joseph David e Martin, nacquero rispettivamente
il 27 maggio 1906 e 1'8 marzo 1910; in quegli anni la famiglia vive-
va sulla Hoe Avenue, nel Bronx. Martin Perveler, più vecchio di
diciotto anni di Stanley, sarebbe diventato una figura di primaria
importanza per il finanziamento dei primi film del nipote.
Gertrude Perveler e Jacques Kubrick si sposarono il 30 ottobre
1927 con una cerimonia ebraica avvenuta sulla Union Avenue, nel
Bronx. Jack aveva appena iniziato la carriera medica, dopo essersi
diplomato al New York Homeopathic Medicai College e al Flower
Hospital e aver preso la laurea alla New York University. La famiglia
Kubrick si stabilì nel Bronx, al 2160 di Clinton Avenue.
Jacques ostentava uno sguardo da divo del cinema muto, aveva un
viso straordinariamence bello e dei baffi ben curati. Studente di
medicina molto popolare e vicepresidente della classe, aveva una sua-
dente voce da tenore che affascinava i suoi compagni di corso.
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Stanley Kubrick, il regista più importante del Bronx, nacque in
realtà nel distretto di Manhattan, giovedì 26 luglio 1928, al Lying-
In Hospital al 307 della Seconda Avenue.
La sua nascita fu ricca di auspici. C'era il sole e una fresca tempera-
tura estiva di 21 gradi. II dottor Jacques L. Kubrick, a quel tempo
ventiseienne, doveva sentire che il suo primogenito era in mani sicu-
re al Lying-In, una ben nota clinica universitaria di ostetricia dove si
specializzavano gli studenti di medicina provenienti dalla sua stessa
alma mater: l'Homeopathic Medicai College (quattro anni più tardi
l'ospedale divenne il reparto di ostetricia del New York Hospital).
Gli avvenimenti del giorno erano ricchi di presagi. I titoli in prima
pagina del <<New York Times>>, che allora costava due centesimi,
dicevano: <<Tunney manda Heeney al tappeto all'undicesima ripresa.
Solo 50.000 spettatori allo scontro - II campione punisce il rivale-
Sferra colpi così violenti che l'arbitro è costretto a interrompere
l'incontro- Alla decima ripresa si sfiora la fine del combattimento-
La spietatezza e la forza dei colpi di Tunney sconfiggono il coraggio
del neozelandese - II campione continua a dominare - La sua supe-
riorità è evidente anche nelle prime riprese quando le prestazioni
dell'avversario sono al culmine>>. La poesia dei tabloid usciti nel gior-
no della nascita di Kubrick avrebbe trovato un'eco nel suo primo
lavoro come fotografo della rivista <<Loob>, quando immortalò i due
pugili professionisti Rocky Graziano e Walter Cartier- quest'ultimo
sarebbe diventato il soggetto del suo primo cortometraggio.
Anche Napoleone, l'ossessione di tutta la carriera di Kubrick, fu il
tema di una notizia apparsa sui giornali il 26 luglio 1928. Una colle-
zione di manoscritti napoleonici di grande valore risalenti al periodo
1793-1797 fu scoperta nella biblioteca del conte Zamoysk, un polac-
co, nei suoi possedimenti a Kurnick. Gli scritti riguardavano la cam-
pagna di Napoleone in Italia ed erano di suo pugno. L'articolo, confi-
nato nelle pagine interne dei giornali, era del genere che successiva-
mente Kubrick o i suoi collaboratori non si sarebbero fatti sfuggire;
possedeva infatti il requisito necessario - l'informazione - per essere
incluso nella banca dati di Kubrick. Nel corso della sua carriera egli
avrebbe meticolosamente rintracciato qualunque tipo di notizia che
avesse un qualche riferimento a un progetto in via di elaborazione.
Quando nacque Stanley, la famiglia Kubrick viveva nel Bronx, in
un appartamento al 2160 di Clinton Avenue, in una palazzina di sei
piani con il cortile posto all'incrocio tra la Centottantunesima e la
Centottantaduesima Est. Il dottor Kubrick iniziò a dedicarsi all'atti-
vità di medico mentre Gertrude dedicava le sue cure al figlio.
La carriera scolastica di Stanley doveva avere inizio nell'autunno
del 1934, ali Public School 3. Nella primavera di quello stesso anno,
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il 21 maggio, il dottor Kubrick ricevette in dono per il suo trenta-
duesimo compleanno la secondogenita e ultima figlia, Barbara Mary
Kubrick.
Lo studio medico del dottor Kubrick si trovava al 361 Est della
Centocinquantottesima strada, all'angolo con la Courtlandt Avenue.
Jacques era il medico generico di una comunità proletaria, e rimase
nello stesso studio per oltre trent'anni: i pazienti potevano avvalersi
delle sue cure chiamando Melrose 5-8100 tra le otto e le dieci di
mattina, l'una e le due del pomeriggio e le sei e le otto di sera.
Quando non era allo studio, il dottor Kubrick svolgeva il suo lavoro
nel reparto di otorinolaringoiatria del Morrisania City Hospital.
L'inizio della carriera scolastica di Stanley Kubrick fu segnato da
una scarsa frequenza alle lezioni. Il suo primo giorno di scuola, alla
Public School 3 del Bronx, fu il 12 settembre 1934, e rimase in
quella scuola fino alla fine del quinto anno. Durante il primo trime-
stre del primo anno, Stanley fece sessantacinque giorni di assenza su
centotrenta giorni di scuola. L'anno successivo, ne fece cinquantacin-
que e la scarsa frequenza alle lezioni rimase una costante della sua
limitata carriera scolastica. Nei primi anni di scuola il giudizio degli
insegnanti sui suoi rapporti interpersonali e sulla sua condotta fu
soggetto ad alti e bassi.
Tra il gennaio e il giugno del 1936, Stanley iniziò a prendere delle
lezioni private. Non si sa se ciò fu dovuto a una malattia che gli
impedì di frequentare la scuola o se la decisione fu presa sulla base
delle sue "difficoltà di adattamento", ma resta il fatto che durante la
prima metà del secondo anno di scuola, Stanley si avvalse di un sup-
porto scolastico in almeno quattro occasioni. A partire dal settembre
del 1936 la frequenza alle lezioni aumentò notevolmente e nel feb-
braio del 1938 Stanley non fece quasi nessuna assenza.
In quel periodo i Kubrick traslocarono in una villetta bifamiliare
sulla Grane Avenue posta all'incrocio tra la Centosessantatreesima e
la Centossessantacinquesima strada, a pochi passi dallo studio medico
del dottor Kubrick. Abitarono in seguito in un'altra villetta di due
piani praticamente identica, sempre sulla Grane Avenue, al 1135.
Nel giugno del 1938, Stanley iniziò a frequentare la Public School
90. Tra il 1938 e il 1940 la frequenza alle lezioni fu accettabile ma,
nonostante la presenza più assidua, il suo comportamento e le rela-
zioni con gli altri furono considerati insoddisfacenti. Stanley ricevet-
te un giudizio negativo riguardo ai suoi tratti caratteriali, al modo
di lavorare, di giocare con i coetanei e di portare a termine i lavori
assegnati, alla poca cura nell'esecuzione dei compiti, al rispetto verso
i diritti degli altri e alla capacità di espressione. Solo le abitudini
relative alla cura della sua persona furono giudicate soddisfacenti.
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Il 22 ottobre 1938, all'età di ventotto anni, Martin Perveler, il fra-
tello di Gertrude Kubrick, ottenne la licenza di farmacista in
California; egli abitava nella zona di Southern Pasadena-San Gabriel.
Martin sposò Marion Dolores Wild in California, a Santa Ana, il IO
gennaio 1939; il 25 novembre 1939 nacque Patricia Ann, la loro
prima e unica figlia. Le straordinarie capacità imprenditoriali di cui
Martin era dotato gli consentirono di aprire una catena di farmacie e
di concludere altri affari che fecero di lui un milionario.
Nel giugno 1940, poco prima del suo dodicesimo compleanno,
Stanley fu espulso dalla Public School 90 del Bronx. Il dottor
Kubrick e sua moglie decisero un "cambiamento d'aria" per il figlio.
Stanley fu mandato in California, a casa degli zii Martin e Marion.
La ragione precisa che spinse Jack e Gertrude a mandare il figlio a
Pasadena non è nota; tuttavia, secondo quanto supposto dalla sorella
di un amico di famiglia, sembra che il dottor Kubrick fosse preoccu-
pato per le scarse prestazioni scolastiche del figlio e che ritenesse che
gli avrebbe giovato passare un po' di tempo sulla costa occidentale.
Stanley trascorse in California tre mesi nell'autunno del 1940 e
altrettanti nella primavera del 1941. Fu il suo primo viaggio nella
terra di Hollywood. Più tardi vi sarebbe tornato tre volte per tentare
di aprirsi un varco tra le fitte schiere dei registi di cinema. Nel set-
tembre del 1941 Stanley lasciò la California ed entrò all'ottavo anno
della Public School 90. Era tornato nel Bronx.
Nonostante i voti e le scarse capacità relazionali, Stanley mostrava
delle potenzialità intellettive. Tra il maggio 1935, quando aveva
sette anni, e il novembre 1941, quando raggiunse i tredici, Stanley
Kubrick affrontò tutti gli esami previsti dal sistema scolastico di
New York. I risultati furono al di sopra della media. Egli continuò a
essere un bambino le cui potenzialità non venivano sfruttate, e che la
quantità di assenze certo non aiutava.
Nella speranza di stimolare il figlio ad avere degli interessi, il dot-
tor Kubrick lo incoraggiò a utilizzare la sua macchina fotografica
Graflex. Jack si divertiva a scattare fotografie per hobby e pensò che
l'uso della Graflex avrebbe potuto far nascere in Stanley una passione
che lo avrebbe motivato. Jack cercò di instillare nel figlio l'amore
per la letteratura mettendogli a disposizione la sua biblioteca.
Insegnò inoltre al figlio a giocare a scacchi.
La Graflex era una macchina fotografica americana reflex ad alta
velocità a una lente creata all'inizio del secolo e la prima a essere
usata dai giornalisti. Era una macchina fotografica portatile con
obiettivo fisso e otturatore a tendina che riusciva a fissare un'azione
in rapido movimento. La Graflex metteva a fuoco attraverso la lente
e scattava su pellicola di formato più professionale. Il primo apparec-
17
chio fotografico di Stanley Kubrick non fu un giocattolo per bambi-
ni ma uno strumento da p~ofessionisti e un invito a entrare nel
mondo delle immagini.
La fotografia può essere il più seducente tra gli hobby. I preadole-
scenti cresciuti negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta rimasero
spesso affascinati dalla "scatola magica" della macchina fotografica.
Una prima macchina fotografica poteva essere utilizzata per esplora-
re il mondo di un ragazzino, per documentare le attività della fami-
glia, gli avvenimenti e i rituali. Un rullino impressionato e mandato
al laboratorio di sviluppo attraverso il negozio locale ritornava come
una serie di momenti conservati per sempre sotto forma di immagini
fotografiche. Alcuni ragazzini esploravano più a fondo il loro hobby,
lavorando in camere oscure di fortuna attrezzate dopo aver acquistato
l'equipaggiamento dal negozio fotografico vicino a casa. Altri lavora-
vano nella camera oscura della scuola o del proprio club e assistevano
direttamente allo sviluppo nella luce fioca ma affascinante della lam-
padina di sicurezza, mentre l'assoluta oscurità proteggeva la delicata
emulsione dalla luce del giorno e le immagini in bianco e nero appa-
rivano su una carta speciale immersa in un bagno di sostanze chimi-
che. Anche per Stanley Kubrick la fotografia iniziò come un hobby
ma ben presto divenne una passione e una musa.
Il dottor Kubrick, Gertrude, Barbara e Stanley continuarono a
vivere nel Bronx, pur trasferendosi spesso. A partire dal 1942, anno
in cui Stanley si diplomò alla high school, la famiglia Kubrick tra-
slocò varie volte. Nel 1942 si trasferirono al 2715 della Grand
Concourse. Nel 1944 vivevano al 1414 di Shakespeare Avenue e alla
fine del 1945 traslocarono al 1873 di Harrison Avenue. A quattordi-
ci anni, Stanley viveva nell'appartamento all'ultimo piano di una
palazzina di sei piani, la Majestic Court, situata sulla Grand
Concourse: una via fiancheggiata da edifici abitati da famiglie di
ebrei, italiani e irlandesi. Quella al 2715 di Grand Concourse era
un'elegante costruzione in prossimità dell'angolo con la
Centonovantaseiesima strada, solo pochi isolati a est dalla Jerome
Avenue e dalla metropolitana sopraelevata Lexington Avenue. Un
giardino all'italiana con delle siepi collegava il 2715 al 2701.
Attraversando l'ampio viale, sul lato opposto della Concourse, c'era
la linea metropolitana della Sesta Avenue. All'entrata si trovava un
giornalaio gestito da Al Goldstein, una leggenda della boxe in tutto
il vicinato, che attirava gli adolescenti patiti di quello sport.
Goldstein esponeva con orgoglio una sua foto degli anni Venti,
quando deteneva il titolo di campione dei pesi leggeri dello Stato di
New York. <<Al era un po' stordito ma aveva un fratello che control-
lava tutto» ricorda Donald Silverman che viveva nello stesso palazzo
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dei Kubrick, <<nel suo chiosco dei giornali c'erano delle foto autogra-
fate degli incontri di pugilato. Quando cominciò a combattere era
un bel ragazzo».
L'atrio principale del 2715 aveva un pavimento di marmo decorato.
Gli ascensoristi erano in servizio ventiquattro ore al giorno e sapeva-
no dove abitava ciascun inquilino, quindi Stanley poteva limitarsi a
entrare nell'ascensore e farsi portare fino al suo piano continuando a
rimanere immerso nei suoi pensieri. Ray era uno degli ascensoristi:
un uomo magro che sembrava vivesse solo di gelati, spesso offerti
dagli abitanti del palazzo. Il custode viveva sul retro del palazzo in
un apparcamento al primo piano che dava sul giardino.
Presto o tardi gli spiriti affini si incontrano. Marvin Traub, un
ragazzo di soli quattro mesi più grande di Stanley, viveva al quinto
piano proprio sotto di lui ed era già stato colpito dalla passione per il
diaframma fotografico. Appena adolescente, Marvin iniziò a scattare
foto in bianco e nero. Il giorno del suo tredicesimo compleanno, per
il bar mitzvah, il nonno gli regalò una macchina fotografica reflex
biottica. Marvin scattava fotografie ogni volta che in famiglia si pre-
sentava l'occasione; durante una Pasqua ebraica si fotografo insieme
alla famiglia utilizzando l'autoscatto a tempo che azionò prima di
raggiungere di corsa il suo posto a tavola.
Quando Stanley e Marvin si conobbero divennero molto amici,
legati com'erano da una passione ancora acerba per la fotografia in
bianco e nero. Marvin non andava al cinema, né condivideva il gran-
de interesse di Stanley per gli scacchi, il baseball e altri sport, ma
aveva una predilezione per la costruzione di modellini di aerei. A
Stanley piaceva andare al cinema, mentre Marvin si recava spesso
insieme al cugino Cliff Vogel a Van Cortland Park, all'estremità
orientale di Moshulu Parkway, per far volare gli aeroplani. Come
fotografo Marvin aveva competenza, esperienza, e una camera oscura:
il laboratorio fotografico casalingo si trovava nella sua stanza, dietro
al letto, sulla parete di fronte alla porta di ingresso. Su un tavolo
c'erano le vaschette con gli agenti chimici per lo sviluppo fotografico
e un ingranditore che il padre gli aveva regalato, spesse tende bian-
che e nere erano appese a tutte le finestre, una luce rossa proteggeva
le fragili immagini che si andavano sviluppando. Stanley trascorreva
molto tempo nella camera oscura di Marvin: l'ossessione era iniziata.
Nell'appartamento dei Traub al 2715 della Grand Concourse c'era
sempre un viavai di gente in visita. Il soggiorno veniva spesso tra-
sformato in camera da letto e ogni tanto zii e zie si univano alla
famiglia. «Era come un hotel>> ricorda CliffVogel, il cugino più gio-
vane di Marvin. Il quattordicenne Stanley Kubrick era un visitatore
molto assiduo ed era sempre lì con uno scopo: la camera oscura di
19
Marvin. La sorella di Cliff, Harriet Daniels, di un anno più grande
rispetto a Stanley e Marvin, ricorda un Kubrick adolescente a casa di
sua zia: <<Suonava alla porta ogni cinque minuti. Ricordo che mia zia
Edna continuava a dire: "Oh, Kubrick, lo scocciatore 1 è di nuovo
qui". Entrava e usciva svariate volte al giorno, molto spesso tornava
dopo neanche cinque minuti da quando se ne era andato>>.
<<La zia Edna diceva sempre: "Quel Kubrick è sempre qui. Quel
ragazzo non ha una casa sua? Come mai è sempre qui?">> ricorda
Cliff Vogel. Harriet Daniels descrive Stanley come un ragazzino
basso, tarchiato e scuro di capelli. Nella memoria di Cliff, era un
ragazzino flaccido con uno sguardo indagatore: «Aveva un volto
aquilino, senza avere il naso aquilino, uno sguardo tagliente e pene-
trante- non caldo e amichevole ma tagliente, aggressivo e intenso>>.
Marvin e Stanley trascorrevano molto tempo insieme. Harriet
osservava i due ragazzi mentre sviluppavano con abilità i rullini con
le foto che avevano scattato e passavano ore intere a stampare i loro
lavori con l'ingranditore di Marvin. Quando non erano nella camera
oscura erano fuori a fare fotografie e a inventarsi incarichi di fotore-
porter. Stanley e Marvin erano affascinati dal lavoro di Arthur
Felling, il fotografo di New York noto con il soprannome "Weegee",
che catturava la vita sulle strade della città con lo sguardo di un cari-
caturista sociale. Le sue fotografie da giornale sensazionalistico si tra-
sformarono in una forma d'arte quando iniziò a sperimentare dei
sistemi per distorcere l'immagine fotografica allo scopo di riprodurre
la sua personale e amara visione del mondo. Weegee esercitò una
prima influenza significativa sui giovani fotografi in erba.
Stanley e Marvin perlustravano le strade alla ricerca di soggetti
fotografici e battevano la vicina zona commerciale: c'era il
Kingsbridge Movie Theater e un ristorante greco all'angolo tra la
Jerome Avenue e la Kingsbridge Road; i negozi di specialità alimen-
tari vendevano salmone affumicato, sacchetti di caramelle e gigante-
schi cetrioli kasher in salamoia conservati in barili di legno che costa-
vano pochi penny.
Stanley camminava per le strade del Bronx con la sua pesante giac-
ca di lana, un capo di abbigliamento indossato da molti dei suoi
coetanei; spesso portava la giacca scozzese sopra una maglia con
disegni dai colori stridenti. A un primo sguardo sembrava che i
capelli fossero pettinati con la riga in mezzo, mentre in realtà erano
distribuiti in ciuffi tenuti a posto dalla brillantina e da olii naturali.

l. In originale vi è un imraducibile gioco di parole: «Oh, Kubrick rhe nudnick is here


again». (N.d.T.)
20
Molti adolescenti del Bronx appartenevano ai Sac (Social Athletic
Clubs); ogni venerdì si tenevano delle riunioni, ma in realtà lo scopo
principale di questi club era trovarsi per giocare a pallone. Solo nelle
vicinanze della casa di Stanley c'era una mezza dozzina di Sac. Ogni
membro indossava il giaccone del club di appartenenza che ostentava
nomi quali Zombies, Barracudas e Hurricanes; Gerald Fried, che
successivamente sarebbe stato presentato a Kubrick dal loro comune
amico Alexander Singer e che avrebbe composto la partitura dei suoi
primi film, era membro dei Barracudas. Stanley Kubrick e Marvin
Traub non appartenevano ad alcun club, erano dei ragazzi solitari
con un'unica missione: la fotografia.
Donald Silverman, ora direttore di una società che si occupa di
concessioni di marchi di fabbrica, viveva al secondo piano del 2715
della Grand Concourse. Donald era impegnato sia socialmente che
nello sport ed era coetaneo di Stanley e Marvin. <<Stanley era una
persona molto riservata. Non lo invitavamo mai a giocare a stickba!/2 ;
non lo invitavamo mai a giocare a hockey sui pattini a rotelle.
Probabilmente non avrebbe accettato, ma comunque era così riserva-
to che non glielo abbiamo mai chiesto. Il nostro era un vicinato
molto unito. I ragazzi crescevano sulla Concourse, ciascuno conosce-
va i genitori degli altri. Al ritorno dalla Public School 46 o dalla De
Witt Clinton finivamo per andare a casa di qualcuno di noi. C'erano
diversi gruppi che abitavano nel raggio di cinque isolati. Non si può
dire che Stanley e Marvin fossero nel gruppo che frequentavo io. Ero
gentile con loro, ci conoscevamo. Ero piuttosto amico di Marvin ed
ero stato più volte a casa di Stanley, ma non avevamo mai socializza-
to davvero: era sempre preso a studiare fotografia o a studiare qual-
cos'altro. La passione di Marvin per la fotografia aveva catturato
l'interesse di Kubrick. Stanley era molto riservato, non si mischiava
mai con il nostro gruppo. Non si univa mai a noi otto quando giron-
zolavamo per la strada o ce ne stavamo lì, appoggiati alle macchine.
Non mi sorprende affatto che il suo personaggio sia circondato da un
alone di mistero: Kubrick è sempre stato un mistero. Non entrava
mai nel negozio di caramelle se c'eravamo già dentro noi. Nel cam-
petto della Walton High School ogni domenica c'erano partite di
softball: che tu giocassi o che ti limitassi a guardare, quello era un
posto dove andavano tutti, Stanley però non ci veniva mai>>. I ragazzi
della zona giocavano a stickball e a baseball davanti a casa; spesso gio-

2. Gioco caratteristico della cirtà di New York fin dal XVIII sec. Il campo da gioco è la
scrada o un"area delimitata e i giocatori sono muniti di mazza e palla di gomma dura.
(N.d.T.)
21
cavano a baseball contro il muro, utilizzando come campo il giardino
tra le due palazzine; giocavano a touLh Jootbal/.l e a hockey su pattini
sulla Concourse.
<<Se stavamo giocando a palla e arrivava una macchina che voleva
parcheggiare, chiedevamo all'autista: "Potrebbe parcheggiare un po'
più in là, così non occupa il campo da gioco?". La gente spostava la
macchina perché allora c'era molto spazio>> ricorda Silverman.
I fumetti costavano dieci centesimi e nei panifici trovavi bignè al
cioccolato e dolcetti arrotolati appena sfornati. Le strade erano piene
di negozi: Krum era all'angolo tra la Concourse e Fordham Road;
Jahn, una gelateria leggendaria, era sulla Kingsbridge Road e aveva
dei tavolini di legno sui quali poggiavano delle finte lampade
Tiffany: una torta gelato di dimensioni gigantesche e il celebre
Kitchen Sink - un gelato epico che poteva bastare per un'intera
squadra di mangiatori - costituivano la principale attrazione del
locale. Lì vicino c'era il Valentine Movie Theater, il Castro
Convertible showroom e il Bond's Clothing Shop; tutti gli allibrato-
ri della zona, che avevano nomi da strada come ")oe Jalop", bazzica-
vano il Blickford's Coffee Shop. Nella vicina Villa Avenue c'era
un'enclave di italiani: la banda della Villa Avenue era composta da
un gruppo di teppisti italoamericani che tiranneggiavano i ragazzi
della zona e che quindi andavano evitati. C'era un terreno libero tra
la Duecentotreesima e la Duecentoquattresima strada, dove qualcu-
no aveva visto la Vergine Maria: molti deponevano oggetti religiosi
in quel luogo considerato sacro. Il prete della zona viveva all'altro
lato della strada e guidava una Lincoln Continental. Sulla
Kingsbridge Road c'erano un negozio di sartoria, un pescivendolo
con pesci vivi che nuotavano dentro a delle vasche, un panificio
ebraico e un ristorante cinese.
Il celebre Loew's Paradise si trovava all'incrocio con la Centottan-
tottesima Est, oltre la Fordham Road, sulla Grand Concourse. I
magici interni di quella struttura da quattromila posti avevano un
soffitto con luci a forma di nuvole che si muovevano in un cielo
immaginario, e già questo sembrava un film. Disegnato seguendo i
dettami del barocco italiano da John Eberson e inaugurato il 7 set-
tembre 1929, il principesco cinema era interamente coperto di tap-
peti e aveva una quantità di corridoi e di statue degni di un castello.
I bambini adoravano attraversare di corsa l'atrio spazioso: sudavano,
si divertivano e inscenavano finte battaglie; sedevano sulle alte sedie

-~- È una variame americana del foorball nella guale i l!iocarori possono fermare l"avver-
sario che si è impossessare del pallone roccandolo con una o emrambc le mani. (N.d.T.)
22
intagliate in stile inglese rinascimentale, domandandosi se i piedi
avrebbero mai toccato terra. n Rko Fordham si trovava a est rispetto
alla Concourse, sulla Valentine Avenue. I prodotti hollywoodiani -
come Furore di John Ford tratto dal romanzo di Steinbeck- onorava-
no gli schermi, insieme a film di stampo più commerciale come
Casablanca. Gli abitanti della zona che appartenevano alla classe
media lavoravano sodo e facevano i loro acquisti all' Alexander's
Department Store che si trovava all'angolo tra la Fordham Road e la
Grand Concourse.
Un giorno Stanley, Marvin e Cliff camminavano per la Concourse;
Marvin chiese del denaro ai due amici ed entrò in un negozio di ali-
mentari per comprare uno spuntino per tutti; quando uscì, mostrò ai
compagni dei grossi e deliziosi cetrioli in salamoia kasher. Stanley
però doveva aver pensato a qualcosa di dolce, così afferrò il cetriolo e
lo gettò in aria, dove roteò su se stesso come l'osso lanciato dalla
scimmia Moon- Watcher in 2001: Odissea nello spazio. La scena
dell'osso divenne uno dei più celebri passaggi della storia del cinema,
lo spuntino in salamoia invece cadde per terra con un tonfo. Stanley,
in un momentaneo scoppio d'ira, disse: <<Cetrioli! Perché hai compra-
to cetrioli?», mentre il più giovane Cliff si godeva il suo manicaretto,
non comprendendo che quell'irrazionale scoppio di energia faceva
parte della fiera determinazione che andava crescendo in Stanley.
Frank Sinatra veniva da Hoboken nel New Jersey ed era un auten-
tico idolo della canzone capace di suscitare reazioni isteriche nelle
ragazzine quando si esibiva nel celebre Paramount Theater di New
York. Marvin e Stanley riuscirono a procurarsi dei permessi per stare
dietro le quinte durante i concerti di Sinatra e scattare così delle
fotografie di quel ragazzo tutto pelle e ossa e dalla voce magnifica,
delle ragazzine urlanti e dei ragazzi adoranti che sognavano di essere
Frankie. Prima di Elvis, dei Beatles e di Michael Jackson, Frank
Sinatra portò al delirio la cultura giovanile americana, e Stanley e
Marvin erano là, non per scattare foto ricordo ma per documentare
un fenomeno culturale che si manifestava davanti agli obiettivi dei
loro apparecchi fotografici.
Quando arrivò il momento di andare alla high s,·hool, Stanley
Kubrick si iscrisse al William Howard Taft. I compagni più ambi-
ziosi sostennero e superarono il test di ammissione alla Bronx High
School of Science; Stanley, invece, considerato il suo livello d'istru-
zione piuttosto mediocre, si limitò a iscriversi alla scuola di zona. n
Taft era un istituto nuovo, costruito nel 1941, di cui si diceva che
corresse il serio pericolo di crollare perché era stato costruito su un
terreno instabile. Quando Kubrick vi entrò, il preside della scuola
era Robert B. Brodie e la seconda guerra mondiale era già scoppiata;
23
Stanley dovette firmare un tesserino rosa sul quale era riportato un
giuramento di fedeltà: «Con il presente dichiaro la mia lealtà nei
confronti del governo degli Stati Uniti d'America e dello Stato di
New York e prometto di appoggiarne le leggi al massimo delle mie
possibilità».
Stanley non vantava una frequenza assidua al Taft High School,
mentre non si poteva dire lo stesso per i cinema locali. Con grande
diligenza si recava al Loew's Paradise e al Rko Fordham due volte
alla settimana per vedere i doppi spettacoli. <<Uno dei motivi princi-
pali che mi spingeva a vedere otto volte alla settimana i soliti film
hollywoodiani era che molti di loro erano davvero brutti))' rivelò
Kubrick a Bernard Weinraub del «New York Times)). «Senza nep-
pure iniziare a comprendere quali fossero i problemi legati alla rea-
lizzazione di un film, cominciai a pensare che non avrei potuto fare
un film peggiore di quelli che vedevo. Anzi, sentii che avrei potuto
farli molto meglio)). Il fatto che Kubrick si recasse con tale fanatica
frequenza al cinema non costituiva un tentativo consapevole di farsi
uoa cultura cinematografica; tuttavia un simile atteggiamento non
rientrava nelle normali abitudini della maggior parte degli adole-
scenti del Bronx, che tutt'al più andavano al cinema ogni sabato. In
breve tempo Stanley sviluppò una capacità critica: anziché starsene
seduto al buio e sprofondare nel regno della fantasia, consentendo al
film di fargli abbandonare il Bronx per trasportarlo in un luogo
magico, il giovane Kubrick aveva l'impudenza di pensare che avreb-
be potuto realizzare altrettanto bene, se non addirittura meglio,
tutto quello che usciva dalla fabbrica degli studios hollywoodiani.
Stanley si vedeva nel ruolo di regista: il suo inconscio gli diceva di
osservare tutto quello che era su pellicola; la sua mente logica e la
sua crescente curiosità gli insegnavano a non scegliere un film in
base alla star, al genere o sull'onda dell'emozione. Iniziò a vedere di
tutto perché trovava da imparare in ogni cosa.
Il programma accademico convenzionale del Taft non catalizzava
l'attenzione di Stanley quanto il cinema. R.I. Meeks, il professore di
matematica, che lamentava dei problemi riguardo al comportamento
tenuto da Kubrick durante le lezioni di geometria, gli diede una
nota per la sua abitudine a parlare in classe e, secondo l'opinione
dell'insegnante, disturbare gli altri studenti.
Nel febbraio 1943, il sabato mattina, Stanley si recava alle lezioni
di arte tenute presso la Art Students League di New York sulla
Cinquantasettesima strada a Manhattan, di fronte alla Carnegie
Hall. Vi ritornò in aprile per frequentare le lezioni di acquerello
tenute da Ann Goldthwaite: i semi dell'arte iniziavano a germoglia-
re nello spirito di Kubrick.
24
Robert M. Sandelman, che in seguito divenne direttore creativo di
un'agenzia pubblicitaria di sua proprietà, da ragazzino abitava nel
Bronx, nella Sheridan Avenue, proprio di fronte alla Taft High
School. Nel 194 3 Bob by Sandelman suonava il clarinetto nell' orche-
stra del William Howard Taft; l'orchestra era composta da sessanta-
settanta studenti della scuola ed era diretta da Harry A. Feldman,
che era stato primo violino del maestro Leopold Stokowski. Il per-
cussionista dell'orchestra era Stanley Kubrick.
«Stanley era un ragazzo molto tranquillo>> ricorda Sandelman.
«Veniva alle prove con una macchina fotografica 35mm appesa al
collo, il che era piuttosto insolito perché in quegli anni non era da
tutti avere una macchina fotografica. Suonava le percussioni con
sguardo assente e trasognato come se non fosse lì con noi. Molto
spesso il signor Feldman, il direttore d'orchestra, lo esortava a tenere
il tempo. Perdeva il tempo e non era esattamente con noi, era da
un'altra parte. Pensavamo che la sua unica divorante passione fosse la
fotografia e non tenere il tempo nell'orchestra. Non era molto bravo
eccetto quando si concentrava, allora andava bene>>.
L'orchestra aveva un repertorio classico e suonava composizioni
come le Rapsodie Slave. Le prove erano dirette da Feldman e si tene-
vano due o tre mattine alla settimana nel primo o nel secondo trime-
stre di scuola. Stanley fu membro della banda nel 1943 e nel 1944.
Oltre a prendere parte alle prove, partecipò ai concerti che si tennero
nel giugno 1943 e nel marzo e maggio 1944. Inoltre il fatto di avere
preso parte al programma nel marzo e nel maggio '43 gli fruttò dei
crediti parascolastici.
Stanley e Bobby si conoscevano perché erano entrambi membri
dell'orchestra nei rispettivi gruppi strumentali delle percussioni e
dei legni, ma divennero amici solo successivamente, quando entram-
bi entrarono a far parte della Swing Band del Taft.
La Swing Band era stata formata da Shelly Gold, il sassofonista. Il
gruppo era composto da sette-nove elementi: Bobby suonava il clari-
netto e il sassofono tenore nella sezione degli strumenti a fiato in
legno composta da tre elementi; c'erano poi tre trombettisti e un
percussionista, Stanley. <<Conoscevo una studentessa che mi aveva
detto di saper cantare come Betty Hutton; si chiamava Edith
Gorme, era una mia compagna di classe e viveva nel palazzo di fron-
te al mio, quindi la conoscevo piuttosto bene>> ricorda Sandelman.
Eydie Gormé, che era destinata a raggiungere una meritata fama
internazionale, era la cantante della Swing Band del Taft; cantava
canzoni pop di successo degli anni Quaranta come Where or When in
un modo del tutto simile, secondo Sandelman, <<allo stile pieno di
salti e di vitalità tipico di Betty Hutton>>. Eydie viveva sulla
25
Centosessantottesima strada Est ed era co-capitano delle cheerleaders.
La Swing Band provava il suo repertorio di pop contemporaneo e
suonava ai balli che si tenevano nella palestra della scuola, frequenta-
ti dalle ragazzine infiammate dai suoni di Glenn Miller e Benny
Goodman e dalla voce suadente di Frank Sinatra.
Le esigenze di una banda swing nei confronti del batterista, unite
all'opportunità di esprimere la musica del suo tempo, dovettero ispi-
rare il giovane Stanley Kubrick, poiché Sandelman ricorda il pivello
Gene Krupa-Buddy Rich come una parte integrante dello swing del
gruppo. «Era molto coinvolto, veniva alle prove e suonava. Si concen-
trava di più quando suonavamo lo swing, il jazz o la musica contem-
poranea. Non portava la macchina fotografica quando veniva a suona-
re: avevamo conquistato la sua attenzione e avevamo l'intero Stanley
Kubrick, non solo una parte. Era un buon batterista: non si limitava
a segnare il tempo, faceva anche degli assolo>> ricorda Sandelman. La
partecipazione di Kubrick al programma di musica del Taft fece
aumentare il suo basso rendimento scolastico, e gli fruttò dodici cre-
diti scolastici nel trimestre che terminò nel giugno 1943.
L'interesse di Stanley per la fotografia continuava a crescere.
Divenne un componente del club della fotografia del Taft High
School, supervisionato dal signor Sullivan, il responsabile addetto a
fotografare gli studenti e le attività della scuola. Sullivan era un
uomo disciplinato, con un paio di lenti incorniciate in una montatu-
ra di metallo sottile, i capelli impomatati e pettinati all'indietro e
un'espressività del volto ben controllata; dirigeva con mano ferma la
sua ben equipaggiata camera oscura. Agli studenti veniva assegnato
l'incarico di documentare le attività scolastiche, come le partite di
basket e le rappresentazioni; le fotografie venivano poi pubblicate
nel giornale e nella rivista del Taft.
Bernard Cooperman, uno dei membri del club fotografico, ricorda
di aver aiutato Sullivan a fotografare gli studenti insieme a un com-
pagno pieno di entusiasmo di nome Stanley Kubrick. I ragazzi erano
uniti dalla comune passione per la fotografia e trascorrevano ore
insieme nella camera oscura, dove l'aria era satura dell'odore dei
liquidi utilizzati per lo sviluppo. Solitamente sulle pubblicazioni
scolastiche era segnalato il nome dell'autore delle fotografie pubbli-
cate; in un numero della rivista, i nomi degli autori delle due foto-
grafie scattate rispettivamente da Bernard e da Stanley furono inci-
dentalmente invertiti, fatto questo che costituì una specie di legame
simbolico tra i membri della comunità dei fotografi.
A mano a mano che la loro amicizia cresceva, Stanley iniziò a coin-
volgere Bernard nei progetti fotografici che dominavano la sua
immaginazione. <<Quando andammo a fotografare una partita di base-
26
bali capii che aveva una marcia in piÙ>> ricorda il signor Cooperman,
cinquant'anni dopo, nella sua casa a Syosset, Long Island. <do non
sapevo esattamente cosa bisognava fare, cioè, stavo andando a fotogra-
fare una partita di baseball. Stanley si sedette davanti a un gruppo di
ere o quattro ragazzi e li guardò attraverso l'obiettivo della macchina;
quelli gli facevano le boccacce ma lui rimase seduto fino a quando
non si dimenticarono di lui: scattò delle foto grandiose. Adesso capi-
sco che già a quell'età sapeva cosa bisognava fare>>.
Nonostante il talento fotografico dimostrato da Stanley Kubrick,
nel complesso i suoi risultati scolastici rimasero miseri. Nella prima-
vera del 1945 l'eccessivo numero di assenze fece sì che il suo nome
fosse segnalato all'apposito ufficio. Tra il 1944 e il 1946 Stanley ne
accumulò un numero così elevato che vennero inviate delle note alla
famiglia per informarla del problema. La scuola criticò il comporta-
mento e le capacità di relazione di Stanley, che ricevette giudizi
negativi sulla condotta, il senso di responsabilità e di cooperazione,
doti che con il tempo Kubrick avrebbe padroneggiato e che gli
sarebbero tornate utili nella sua professione. Stanley fu giudicato uno
studente con un rendimento inferiore a quanto richiesto dalla Taft
High School e dotato di una capacità di socializzare con i compagni
e con gli insegnanti inferiore allivello accettabile. In seguito, eserci-
tando il lavoro di regista, Kubrick dimostrerà la sua forza di caratte-
re suscitando il rispetto di quanti lavoreranno con lui e gli verrà
riconosciuto un ruolo guida. Il sistema scolastico si rivelò incapace
di riconoscere e coltivare lo straordinario talento di Stanley, così
come accadde con tutti coloro che erano dotati di un temperamento
artistico.

Per Stanley gli scacchi erano più di un gioco: rappresentavano


l'ordine, la logica, la perseveranza e l'autodisciplina; si incontravano
inoltre con il fascino che il ragazzo provava per la guerra e i militari.
Kubrick ereditò le caratteristiche del giocatore di scacchi: calma e
determinazione, intensità e intelligenza, capacità di esercitare la pro-
pria volontà sull'avversario. Presto gli scacchi divennero una mania
che si affiancò all'amore per la fotografia e il cinema. Con l'aumenta-
re dell'esperienza e dell'abilità nel gioco, iniziò a utilizzare la scac-
chiera come strumento per apprendere importanti lezioni di vita. «Il
gioco degli scacchi è un'analogia>> dirà in seguito, «si basa su una
serie di passi che devi compiere uno alla volta e comporta un bilan-
ciamento tra le risorse a tua disposizione e il problema che devi
affrontare, che negli scacchi è costituito dal tempo e nel cinema dal
tempo e dal denaro>>. Il suo istinto artistico iniziava a svilupparsi e
veniva plasmato dal desiderio di esplorare ogni scelta e di soppesare
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ogni decisione con distacco, lezione questa che aveva appreso duran-
te le lunghe ore passate alla scacchiera. <<Giocavo a scacchi dodici ore
al giorno. Te ne stai lì seduto davanti alla scacchiera e improvvisa-
mente il cuore sobbalza. Le mani tremano nel prendere il pezzo e
muoverlo. Ma quello che ti insegnano gli scacchi è che devi rimanere
calmo e pensare se quella sia davvero una buona idea o se invece non
ce ne siano di migliori>>.
Il 12 aprile 194 5 morì il presidente Franklin Del ano Roosevelt.
L'amato comandante in capo fu colpito da un'emorragia cerebrale e si
riversò sulla scrivania della "Little White House" a Warm Springs in
Georgia, mentre la pittrice Elizabeth Schoumatoff stava facendogli il
ritratto. La morte del presidente fu motivo di lutto nazionale;
Roosevelt era al suo quarto mandato e la sua leadership aveva guida-
to il Paese attraverso un collasso economico e una guerra mondiale.
Il New Dea! di Roosevelt aveva ricostruito la nazione e rafforzato il
patriottismo aprendo la strada alla prosperità degli anni Cinquanta.
Stanley 'era uno studente all'ultimo anno del Taft con l'animo del
fotoreporter; portava sempre appesa al collo la sua macchina fotogra-
fica, pronto a catturare la vita nelle sue manifestazioni. Quel giorno,
mentre camminava per la strada, intravide l'opportunità di immor-
talare la storica drammaticità del momento. Stanley vide un'edicola
all'angolo tra la Grand Concourse e la Centosettantaduesima strada:
il giornalaio era seduto, afflitto e frustrato, il viso tra le mani, con gli
occhi rivolti a terra e pieni del dolore provato da tutta la nazione.
Stanley non si limitò a fotografare l'uomo, trasformò la situazione in
un pezzo di giornalismo fotografico; mentre guardava attraverso il
mirino, compose attentamente l'inquadratura che avrebbe raccontato
una storia. Davanti al giornalaio c'erano dei giornali che annunciava-
no a caratteri cubitali la morte di Roosevelt e la mano destra
dell'uomo poggiava immobile su di essi; sopra la sua testa c'era un
quotidiano che annunciava <<Truman in carica: domani i funerali di
Roosevelt>>. L'oggetto rettangolare era perfettamente posizionato
nell'angolo superiore sinistro dell'inquadratura, sopra la testa
dell'uomo; sul margine destro dell'immagine c'erano due giornali
che riportavano il titolo: <<Roosevelt è morto>>, e più sotto, sul
<<Daily Mirron>, si leggeva: <<ED.R. è morto>>. I due oggetti quadra-
ti si trovavano l'uno sopra l'altro; il giornalaio era posto all'interno
di un riquadro che era a sua volta contenuto dentro a un altro riqua-
dro: sedeva tra il gruppo di quotidiani ed era perfettamente incorni-
ciato dai giornali appesi. Non si trattava di una foto scattata da un
fotografo dilettante, non era un'immagine che documentava un
momento storico e che era stata colta per caso, ma un primo incontro
tra la realtà e un artista della fotografia.
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Stanley sviluppò e stampò subito la foto e, con quello che gli abi-
tanti del Bronx chiamerebbero "sangue freddo" 4 , iniziò a sondare il
terreno dei possibili acquirenti. Il <<New York Daily News>>, un
importante tabloid della città, gli fece un'offerta ma Kubrick con
audacia giocò al rilancio con <<Look» e riuscì a vendere la foto per
venticinque dollari, ovvero dieci dollari in più rispetto alla somma
afferragli dal <<Daily News>>. La fotografia fu inserita nel numero del
26 giugno 1945 di <<Loob>, in un articolo che tracciava per immagi-
ni le carriere dei due presidenti democratici: Franklin Delano
Roosevelt e Harry S. Truman. La dimensione della foto di Stanley
era sei volte maggiore di quella delle altre immagini inserite
nell'articolo e fu utilizzata per creare un drammatico legame tra i
due uomini.
<<Loob> era una rivista fotografica nazionale patinata che faceva
concorrenza alla popolare <<Life>>. Helen O'Brian, capo del settore
fotografie, acquistò immediatamente la fotografia, riconoscendone la
forza e la semplicità: aveva scoperto un talento. Stanley Kubrick
aveva allora diciassette anni ma l'immagine possedeva la qualità di
un professionista esperto; il ragazzo aveva occhio e abilità tecniche.
<<Era pervaso da una sorta di eccitazione; era sempre diretto da qual-
che parte a fotografare qualche cosa>> ricorda Donald Silverman.
Via via che lo spirito dell'artista cresceva, Stanley Kubrick si allon-
tanava sempre più dagli standard accademici della William Howard
Taft High School e dai parametri di giudizio adottati da molti appar-
tenenti al mondo del Bronx. Nella sala professori era etichettato
come uno studente che non rendeva come avrebbe potuto, un ragazzo
brillante e di buona famiglia che rimaneva al di sotto del suo poten-
ziale: molti non arrivarono a vedere le qualità uniche che andavano
sviluppandosi in lui, con l'eccezione di due insegnanti straordinari.
Aaron Traister era il professore di inglese di Stanley Kubrick.
Insegnante e attore, interamente dedito ai suoi studenti, Traister riu-
scì a ispirare il suo demotivato allievo trasmettendogli la sua ardente
passione per la letteratura e, prestandosi come soggetto pittorico,
stimolando il senso drammatico del giovane fotoreporter.
Traister era nato a Minsk e al suo arrivo in America era <<un fagot-
to sotto il braccio di suo padre>>. Come molte altre famiglie di
immigranti ebrei, i Traister si stabilirono sul Lower East Side di
Manhattan. Il padre di Aaron officiava i matrimoni in sinagoga e
lavorava per la Armour Meat Company come ispettore della carne
usata per la cucina kasher. A tredici anni Aaron si ribellò all'ortodos-

4. Nell'originale: moxie, sangue freddo appunto. (N.d.T.)

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sia ebraica rifiutando di prendere parte al bar mitzvah. Aaron Traister
fu l'unico di sette figli che visse abbastanza a lungo da andare al col-
lege, ma fu obbligato a lasciare la scuola a tredici anni, quando il
padre gli disse che se non accettava il suo giudaismo non aveva biso-
gno di farsi una cultura. Per diversi anni Aaron fece dei lavori che
gli lasciavano il tempo per potersi preparare di nascosto agli esami di
ammissione al college. Entrò al City College, dove si laureò intorno
alla metà degli anni Venti e continuò a studiare fino al consegui-
mento del master per l'insegnamento.
La carriera di insegnante di Aaron Traister iniziò quando gli fu
assegnata una classe di inglese alla scuola yiddish nel New Jersey;
alla fine degli anni Venti ottenne una cattedra in una scuola elemen-
tare a New York. La sua carriera di insegnante nelle high .rchools iniziò
alla metà degli anni Trenta alla James Monroe. Nel 1941, quando
aprì la William Howard Taft High School, Traister fu uno dei primi
insegnanti a lavorare nel nuovo istituto.
Aaron Traister non si limitava a insegnare l'inglese al Taft, lo vive-
va. La letteratura era una passione profonda che andava oltre le paro-
le scritte sulla pagina. Istintivamente Traister sapeva che insegnare
significava rappresentare; la filosofia con la quale insegnava le opere
letterarie si basava sulla loro drammatizzazione attraverso la lettura
ad alta voce, la modulazione, la riproduzione di modi, di gesti e di
movimenti che facessero rivivere i personaggi di fronte al pubblico.
La classe era il suo palcoscenico. Studiava Shakespeare, preparava e
dirigeva il teatro degli studenti e recitava negli spettacoli della scuo-
la in sketch umoristici. Il professar Traister era molto stimato dai
colleghi e adorato dagli studenti; l'annuario del giugno 1947 lo defi-
niva una <<faccia d'angelo>>.
Traister rimaneva sempre l'insegnante attore. <<A casa usava voci
diverse per raccontarci delle storie, per mimare i personaggi. Aveva
una lunga storia e la raccontava a me e a mia sorella» ricorda il
figlio, Daniel Traister, che oggi insegna all'università della
Pennsylvania. <<Mi ricordo che leggeva poesia e qualche volta prosa.
Me lo ricordo quando leggeva Sinners in 'the Hands of an Angry God,
un sermone di Jonathan Edwards del diciottesimo secolo: era una
lettura molto intensa, e lui la leggeva molto bene>>.
Stanley Kubrick era nella classe di inglese di Traister; il ragazzo
che era considerato da molti insegnanti uno studente spento e privo
di vita rimaneva seduto in classe mentre Traister con fervore riporta-
va in vita il dramma e la poesia del tempo di Shakespeare.
Già collaboratore della rivista <<Look>>, il giovane Stanley Kubrick
era alla continua ricerca di soggetti da fotografare e l'insegnante di
inglese del Bronx che recitava Awleto per i suoi studenti costituiva
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un soggetto perfetto. Quando Stanley propose a Traister di fotogra-
farlo per «Loob>, l'insegnante considerò questa occasione perfetta
oer motivare lo studente, fondendo l'eredità letteraria del bardo con
l'amore per la fotografia.
Una serie di fotografie fu scattata durante la lezione d'inglese, men-
tre il professore stava in piedi di fronte e in mezzo ai suoi studenti
con una copia di Amleto in mano e il corpo come strumento di espres-
sione drammatica. La macchina fotografica di Kubrick creava un
equilibrio tra il dramma espresso dall'attore, il suo pubblico e lo spa-
zio entro il quale egli si muoveva. Le foto riprendono un momento
della recitazione; l'insegnante è un attore che recita leggendo il testo
senza starsene seduto al tavolo delle prove. Rimanendo in piedi,
Traister utilizza il libro per consultare il testo di Shakespeare, e le foto
rivelano il modo in cui le pagine diventano un ausilio drammatico
che serve ad avvincere e a colpire con forza il pubblico proprio mentre
l'insegnante si trasforma in uno dei tanti personaggi shakespeariani.
Prese singolarmente, le fotografie testimoniano un'innovazione
didattica congelata nel tempo. Considerate nel loro insieme costitui-
scono una sequenza, un frammento di espressione artistica del fotore-
porter; raccontano una storia e comunicano lo svolgersi degli eventi:
la sequenza fotografica è alle porte del cinema. L'abilità di Stanley
nel restituire con il mezzo fotografico ciò a cui stava assistendo,
l'amore innato per i film, le ore trascorse seduto al buio e la passione
per la letteratura nata nella libreria del padre e proseguita grazie a
un insegnante appassionato lo avvicinavano sempre più all'esperienza
cinematografica.
Le fotografie di Aaron Traister che recitava Amleto per i suoi allie-
vi della scuola del Bronx apparvero sul numero del 2 aprile 1946 di
«Loob> con il titolo «Il professore istrione deii'Amleto>>5. Le quattro
fotografie ritraggono Traister mentre descrive Amleto che manda via
bruscamente Ofelia, Amleto che esterna i suoi aspri commenti sulle
donne, e una desolata Ecuba e lo sgomento di Ecuba. Una didascalia
sotto ciascuna foto descrive l'azione rappresentata e contiene la rela-
tiva citazione dal testo; un breve paragrafo identifica l'insegnante e
la scuola riportando un'affermazione di Traister a proposito di quella
che ritiene sia la sua missione: <<Cerco di rendere chiaro il contesto
emotivo dell'opera>>. I nomi dell'autore e del fotografo non sono
rivelati nell'articolo, che termina così: <<Dopo che gli furono mostra-

S. Nell'originale «Teacher Purs Ham in Hamler ... Ham significa "gigioneggiare",


"recitare da gigione", e indica un istrione, ma anche in senso negativo un attore da stra-
pazzo, un gigione." (N.d.T.)

.11
te queste istantanee scattate da uno studente esclamò: "Poveri ragaz-
zi, come fanno a star lì seduti e a scattare la foto?">>. I crediti foto-
grafici di quel numero di «Look>> rivelano che le foto alle pagine 60
e 61 sono opera di Stanley Kubrick. E anche il testo non poteva che
provenire dall'allievo che aveva trovato in Aaron Traister ispirazione
fotografica e artistica.
Lou Garbus, postino del Bronx in pensione che insegna ed esercita
l'arte della fotografia, ricorda che il suo vicino di casa e amico Aaron
Traister gli raccontava del suo ex studente: «Tra i suoi studenti c'era
questo ragazzo, Stanley Kubrick, e lui non riusciva a coinvolgerlo in
alcun modo. Era assolutamente distratto. "Cosa posso fare con lui?".
Quindi, quando Stanley gli propose di fotografarlo mentre recitava
Shakespeare, Aaron fu entusiasta dell'idea. Avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di far uscire il ragazzo dall'indifferenza e dalla noia che pro-
vava in classe. Il resto è storia>>.
Negli anni che seguirono, Aaron Traister andò a vedere tutti i film
di Stanley Kubrick. Gli piacque soprattutto Orizzonti di gloria. «Mi
ricordo ancora di quando uscì dal cinema dopo aver visto Barry
Lyndon. Andammo a vederlo insieme poco prima della sua morte>>
ricorda il figlio Daniel. «Dopo aver visto il film disse che da ragazzi-
no Kubrick aveva sempre avuto notevoli ambizioni letterarie, ed
ecco che ora le ritrovava nel film. Disse che Kubrick non era stato
uno studente eccellente, semplicemente non era coinvolto; ciò che
invece evidentemente lo interessava era l'idea della letteratura in una
chiave non accademica ma più umana. Era appassionato di letteratu-
ra anche da ragazzo, da studente, e questo era un fatto che si era fis-
sato con grande chiarezza nella memoria di mio padre>>.
Nel corso degli anni Traister parlò spesso del suo studente divenu-
to un regista di fama internazionale. Raccontava di Stanley Kubrick
a Daniel e a sua sorella Jan e con orgoglio mostrava loro le foto sulla
rivista «Look». E poi ne parlava con gli amici e i vicini della comu-
nità nella quale viveva, formata da socialisti, intellettuali e appassio-
nati di letteratura e di cinema.
Le foto che Stanley scattò ad Aaron Traister costituirono un'altra
esperienza che contribuì allo sviluppo dell'artista. Ben presto
Kubrick sarebbe diventato un regista nato dallo spirito fotografico.
La natura stessa della fotografia- luce, profondità, spazio, composi-
zione e restituzione della realtà percepita attraverso l'occhio del foto-
grafo - fa pulsare il cuore di tutti i suoi film. Per Aaron Traister e
per tutti coloro che ammiravano lo zelo che l'insegnante dimostrava
di avere nei confronti della letteratura e dell'arte, la pubblicazione
delle fotografie rappresentò una forma di riconoscenza e di riconosci-
mento. I sentimenti provati da chi ricorda l'impatto avuto da Aaron
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Traister sui suoi studenti sono espressi nel modo migliore dalle paro-
le di Lou Garbus, un filosofo del Bronx, a proposito dell'articolo di
«Look>>: <<La maggior parte di noi ne fu felice, per molti aspetti era
il nostro premio Oscar. Chi mai lo avrebbe notato in una piccola
classe, chi diavolo avrebbe saputo che era un grande insegnante di
Shakespeare? Nessuno. Così invece è stato impresso sulla carta e
negli archivi>>.
Rose Florio era la portavoce non ufficiale del suo quartiere nella
comunità del Bronx; casa Florio costituiva spesso un luogo d'incon-
tro per amici e vicini. Gert Kubrick era una cara amica della signora
Florio e la loro amicizia durò per tutta la vita. Danny, il figlio di
Rose, era amico di Stanley. La cugina della signora Florio, Rose
Spano, era un'assidua frequentatrice dei Florio e si ricorda del giorno
in cui trovò Stanley che raccontava di aver venduto una delle sue
fotografie a <<Loob>: <<Era molto giovane. Ero così orgogliosa di lui.
Aveva sempre con sé una macchina fotografica, sempre>>.
Rose Florio confidò alla cugina che il dottor Kubrick era insoddi-
sfatto del figlio. <<Suo padre pensava che non sarebbe riuscito a con-
cludere niente>>, ricorda Rose Spano. <<Tutto quello che Stanley vole-
va era andarsene in giro con la sua macchina fotografica. Il dottor
Kubrick pretendeva che studiasse di più, ma Stanley aveva altri
sogni, che dimostrava con la sua passione per il cinema. Stanley era
così immerso in se stesso: i pensatori vivono in un mondo tutto loro.
Dev'essere questo il motivo per il quale non riusciva ad assecondare
suo padre>>.
La signora Spano ricorda il dottor Kubrick come un medico rispet-
tato nel vicinato, che aveva uno studio al pianterreno di un nuovo
edificio situato all'angolo con la Courtlandt Avenue il cui ingresso
dava sulla Centocinquantottesima strada. Ricorda anche la madre di
Stanley: <<La signora Kubrick era così carina. Ricordo di averla
incontrata un paio di volte sulla metropolitana della Ottava Avenue
mentre andava a fare spese. A quel tempo non ero sposata e lavoravo
in una fabbrica di abbigliamento. Lei era stata sottoposta a una
mastectomia ma aveva un ottimo aspetto. La signora Kubrick sem-
brava sempre così cordiale. Aveva subito quell'operazione chirurgica
ma era sempre così gentile. Stanley e sua madre erano delle persone
veramente in gamba. Non si davano arie. Erano davvero cortesi con
me. In quel periodo c'erano un sacco di dottori o professionisti che si
davano delle arie, ma loro no, non Stanley e sua madre. -sua madre
era una persona con i piedi per terra>>.
Quando, nel 1985, Gertrude Kubrick morì in California all'età di
ottantun anni, la sorella di Stanley, Barbara Kubrick Kroner, in
segno di ringraziamento per la loro amicizia, mandò a Rose Florio
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due copriletto lavorati all'uncinetto da sua madre, perché l'anziana
signora potesse avere per ricordo un oggetto dell'amica di un tempo.
La signora Spano ha ottantun anni e vive ancora nel Bronx. Come
molti di quelli che conoscevano Stanley Kubrick da ragazzino, anche
lei è orgogliosa dei suoi successi: «Sono una persona che non perde-
rebbe mai una serata degli Oscar. Ero sempre ansiosa di vedere
com'era diventato da grande. È sempre stato il mio desiderio. Non
l'ho mai visto perché non è mai andato alla consegna degli Oscar,
anche se ha ottenuto moltissime nomination. Aveva un'abilità natu-
rale di fare delle foto così belle ... Ne ero davvero molto orgogliosa».

Bernard Cooperman divenne un testimone della rapida carriera di


fotoreporter di Kubrick. Questa volta apparve di fronte all'obiettivo
fotografico come soggetto di Stanley, il fotoreporter indagatore.
L'articolo fotografico comparve sul numero del 16 aprile 1946 di
«Loob> con il titolo «Un breve corto nella galleria di un cinema>>.
Sulla prima pagina vi è una sequenza di tre piccole foto in bianco e
nero che ritraggono due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, seduti
in un cinema. Via via che le foto progrediscono vediamo che il ragaz-
zo ha l'intenzione di fare un'avance alla ragazza. Nella didascalia leg-
giamo: «Per verificare la reazione di una ragazza di fronte agli
approcci amorosi di un estraneo, un· fotografo free-lance e un suo
amico si sono recati in un cinema del Bronx, hanno scelto una ragaz-
za assolutamente sconosciuta che, quando il ragazzo le si è seduto
accanto, era completamente all'oscuro della presenza di un fotografo
ad alcune poltrone di distanza, che stava riprendendo la scena con
una pellicola a infrarossi. Guardate qui di seguito quello che ha foto-
grafato>>. Voltando pagina al lettore si presenta una grande foto della
ragazza che tira un ceffone al ragazzo. Il «fotografo free-lance>> era lo
studente della Taft High School Stanley Kubrick, l'amico era
Bernard Cooperman e la «ragazza assolutamente sconosciuta>> era
un'avvenente compagna di scuola che Kubrick aveva scelto come
modella. La situazione organizzata perché sembrasse una candid
camera fu una delle prime esperienze registiche di Kubrick. Egli fece
in modo di portare i due amici al Park Plaza Theater sulla
University Avenue nel Bronx alle dodici, quando il cinema non era
ancora aperto al pubblico; portò anche Barbara, sua sorella minore, e
la fece sedere in un'altra fila a fare da spettatrice: le si vede solo la
cima della testa. Pienamente consapevole di come voleva che risul-
tassero le foto, Stanley prese da parte i due giovani soggetti e in pri-
vato diede a ciascuno delle istruzioni. «Ecco cosa ci disse>>, ricorda
Cooperman guardando l'articolo in una copia originale di <<Loob>
che ha conservato per oltre mezzo secolo. <<Mi disse: "Devi semplice-
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mente farti avanti con la ragazza". Allora non conoscevo tutte le
direttive che aveva impartito. Non sapevo che a lei aveva detto:
"Quando si spinge troppo in là mollagliene uno sul serio". Se osserva
bene la pagina vedrà che a momenti mi ha fatto sputare i denti.
Intendo dire che non si trattò di uno schiaffo finto. Era tutto quanto
studiato ma voleva sortire un effetto realistico e così fu>>.
In qualità di membro del club fotografico del Taft, Stanley
Kubrick continuò a fotografare la vita della scuola. Uno degli incari-
chi assegnatigli fu di fare delle foto alle cheerleaders. Claire Abriss era
un membro delle cheerleaders e ricorda bene questo fotografo indivi-
dualista. Le cheerleaders in uniforme furono radunate in palestra per
posare per una foto in bianco e nero. Stanley Kubrick camminava
lungo la palestra in veste ufficiale di fotografo della Taft High
School. Era tranquillo e molto professionale mentre organizzava
l'immagine da fotografare e scattava foto delle cheerleaders nella loro
posa tipica. Tuttavia in quella seduta fotografica c'era un elemento
non ortodosso: le cheerleaders non erano in un campo all'aperto, bensì
nella palestra della scuola, e tuttavia il fotografo indossava un imper-
meabile. «Era distante, molto diverso dagli altri. Se ne andava in
giro con addosso un impermeabile e si faceva i fatti suoi: era davvero
eccentrico», dice Claire Abriss, che ricorda un giovane Kubrick tar-
chiato, calmo e trasandato. <<Aveva la sua personalità e non si
mischiava troppo con gli altri>>, rammenta la popolare cheerleader che
spesso andava ai ben frequentati balli della banda swing del Taft,
dove si dava a frenetici balli jazz. Claire ha un insolito ricordo dei
suoi anni di scuola. Oltre all'annuario scolastico possiede una stampa
originale di una foto scattata da Stanley Kubrick agli inizi della sua
carriera fotografica di enfant terrible.
Generalmente gli studenti possiedono una foto con la squadra
sportiva, nel gruppo delle cheerleaders o durante una lezione di appli-
cazioni tecniche sull'annuario della scuola. Kubrick, invece, dopo
aver scattato le fotografie alle cheerleaders del Taft, sviluppò i negati-
vi, li ingrandì e li stampò su carta fotografica. Poi ne fece una copia
per ciascun membro della squadra e personalizzò ogni foto stampan-
do il suo nome sul retro con un timbro di gomma professionale che
si era fatto fare appositamente. La scritta impressa con l'inchiostro
recita: <<Foto di Stan Kubrick, 1414 Shakespeare Ave., N.Y.C.>>.
Kubrick utilizzava il timbro anche sul retro delle fotografie che dava
al professar Traister. Il timbro stampato con il nome di Stanley
Kubrick era più che una semplice espressione del suo ego: a dicias-
sette anni era un fotografo professionista che pubblicava i suoi lavori
sulla rivista <<Loob>. Per lui questo non era più un hobby da ragazzi
0 un'attività parascolastica che doveva aumentare il suo rendimento

35
all'interno dell'istituto; il nome stampato sul retro della foto di
Claire era destinato ad assumere una certa importanza.
Kubrick non aveva molti amici al Taft. Il suo comportamento soli-
tario faceva sì che fosse tenuto a distanza dalla maggior parte degli
studenti; tuttavia Stanley era molto aperto nei confronti di coloro
che avevano una qualche relazione con il suo mondo particolare:
molte delle persone che Kubrick incontrò da ragazzo divennero parte
della sua solitaria fatica per diventare regista; tra loro c'era l'amico
del Taft, Alexander Singer.
Attualmente Alexander Singer è l'acclamato regista di centinaia di
episodi di serie televisive classiche quali "Il fuggiasco", "Hill Street
giorno e notte", "New York New York", di lungometraggi come
Vento freddo d'agosto, Psyche '59 e Strani amori e, proseguendo negli
anni Novanta, di serie televisive come "Star Trek: The Next
Generation", e "Deep Space Nine". Singer fu un punto di riferimento
cruciale che contribuì a mettere a fuoco il destino di Kubrick regista.
Alexander Singer e Stanley Kubrick si conobbero al Taft; erano
entrambi degli studenti più interessati a realizzare i propri sogni che
a seguire un curriculum scolastico prestabilito. Anche Alex si inte-
ressava di fotografia ma non faceva parte del club fotografico del
signor Sullivan, come Stanley e Bernard Cooperman. Si dedicava con
grande passione alla pittura e al disegno ed era membro dell'ampio
programma artistico del Taft, diretto da Herman Getter.
Mentre progetta di dirigere un nuovo episodio di "Star Trek: The
Next Generation", oltre cinquant'anni dopo il suo primo incontro
con Stanley Kubrick in un corridoio del Taft, Alexander Singer ritor-
na con la memoria a un incontro che forgiò e ispirò la vita di
entrambi: «Avevamo sedici anni. Stanley era un fotografo del giorna-
le della scuola e aveva scattato la foto di una gara vinta da uno stu-
dente. Qualcuno mi indicò che quello era il tizio che aveva fatto la
fotografia e io semplicemente mi presentai. Iniziammo a parlare. Mi
interessava il suo lavoro fotografico. In quel periodo avevo appena
iniziato a interessarmi seriamente di fotografia e quindi conoscere
qualcuno che fosse piuttosto esperto del settore mi sembrava una
cosa utile. Aveva una conoscenza sofisticata di tutte le fasi del pro-
cesso fotografico; a casa aveva una camera oscura ed era capace di svi-
luppare e stampare le sue fotografie in tempi piuttosto rapidi. Era
completamente padrone della situazione. I compagni di scuola che
mi interessavano erano pochi; inoltre si potrebbe dire che eravamo
due tipi solitari che cercavano di crescere e di scoprire se stessi. Da
qui scaturì il reciproco interesse>>.
Stanley sapeva che Alex aveva dei voti molto alti nelle materie
artistiche, che scriveva racconti e che li illustrava per la rivista <<Taft
36
Literary Art>>. I due ragazzi erano attratti dai loro reciproci interessi
e dentro di loro sentivano che avrebbero potuto aiutarsi a trovare il
modo migliore per esprimere la creatività che li animava.
Stanley e Alex iniziarono a trascorrere molto tempo insieme,
discutendo di progetti e di piani futuri. Singer andava spesso a casa
dei Kubrick e rimase colpito nel constatare che la famiglia del suo
amico Stanley godeva di uno stile di vita ben al di sopra di quello al
quale era abituato lui: <<Stanley era il ragazzo più ricco che avessi
mai conosciuto>>, ricorda Singer. <<La gente che conoscevo e che vive-
va nelle mie immediate vicinanze, che faceva parte del mio mondo,
era sempre a un passo dall'essere buttata in mezzo a una strada.
Quindi un dottore che viveva in una casa di sua proprietà era un
uomo ricco in misura quasi straordinaria. Fino a quel momento non
mi era mai capitato di entrare in una villetta; noi vivevamo in appar-
tamenti e le famiglie tendevano a trasferirsi con una certa regolarità
perché gli affitti aumentavano: era un sistema per evitare di pagare
l'affitto trasferendosi prima di farsi beccare. C'erano un sacco di tra-
slochi. Non conoscevo nessuno che vivesse in una casa propria;
Stanley fu il primo. Suo padre era un fotografo dilettante e lo soste-
neva nelle sue avventure fotografiche; gli aveva persino fatto costrui-
re una camera oscura>>.
Howard Silver viveva in un edificio situato di fronte alla casa dei
Kubrick sulla Harrison Avenue. <<Avevano un grosso cane scuro piut-
tosto feroce. Il cortile sul retro della loro casa era delimitato da un
argine molto alto perché dietro a tutte le villette passava l'acquedot-
tO>>, ricorda Silver riferendosi all'acquedotto Croton che era stato
costruito nel 1842: fu uno dei primi grandi acquedotti moderni,
costruito in muratura e rivestito di mattoni; delle tubature di ferro
correvano lungo un viadotto, portando l'acqua oltre il fiume Harlem.
<<Non si poteva raggiungere la parte alta del quartiere se non facendo
un giro che passava per alcuni isolati, oppure se ti trovavi in quella
zona - a volte ci andavamo per giocare a pallone - e dovevi tornare a
casa, conveniva saltare la staccionata che circondava le villette e pas-
sare attraverso il cortile posteriore dell'abitazione di qualcuno. Una
volta provai a passare attraverso il cortile sul retro della casa di
Stanley ma suo padre uscì e mi lanciò dietro il cane. Fui costretto a
correre e a saltare la staccionata per non essere azzannato; poi il dot-
tor Kubrick mi fece una ramanzina e mi intimò di non avventurarmi
più nel suo cortile. Stanley giocava spesso a stickball con noi per la
strada; era il più vecchio del gruppo. Quando mi trasferii passarono
anni prima che io collegassi il suo nome a quello del regista. Solo
dopo diverso tempo, quando divenne famoso con 2001: Odissea nello
spazio, io collegai al ragazzo che viveva nel nostro quartiere>>.
37
Anche Howard Sackler era uno studente del Taft; nato a Brooklyn
nel 1929, aveva iniziato la high .rchool allo Stuyvesant per poi trasfe-
rirsi al Taft. Howard, che in seguito avrebbe vinto il premio Pulitzer
con la sua commedia The Great White Hope, era un bravo studente,
tra i primi della classe, ed eccelleva in inglese; scriveva per <<Taft
Review>> ed era un membro del club letterario della scuola. Più tardi
Stanley avrebbe fatto ricorso all'abilità letteraria di Howard per rea-
lizzare il suo primo film.
Herman Getter aveva il compito di seguire il programma artistico
del Taft ed esercitò una notevole influenza sul temperamento artisti-
co di Stanley Kubrick. Il professar Getter si dedicò all'insegnamen-
to per oltre quarantasei anni, dopo aver iniziato la sua carriera alla
De Witt Cii n ton High School. Arrivò al Taft nel 1941, quando fu
aperta la scuola, e continuò a insegnarvi fino all'età della pensione,
nel 1972. Getter era un esperto di pittura murale e realizzò diversi
filmati sulla tecnica artistica. Brevettò inoltre una sua invenzione, la
Project-0-Slide, che consentiva a medici e dentisti di utilizzare un
supporto fotografico per esaminare rapidamente le tecniche medi-
che: il congegno si basava sulla realizzazione di una serie di diaposi-
tive, ricavate da fotogrammi di pellicola 16mm, sulle quali era
impressa una procedura medica che poteva quindi essere esaminata
velocemente e non necessariamente secondo un ordine lineare, con-
sentendo al medico di verificare le singole fasi dell'intervento.
Herman Getter era solito definirsi <<appassionato e studente di cine-
matografia>> oltre che insegnante il cui scopo principale era motivare
e ispirare i propri allievi.
Nel 1992, a ottantanove anni, dopo aver pranzato al vicino
YMHA, dove ogni giorno consumava i suoi pasti e teneva banco
vestito in giacca e cravatta, il professar Getter ricordava il suo
incontro con Stanley Kubrick: <<Stanley aveva una mente brillante.
Si interessava solo a ciò che lo interessava. In altre parole aveva dei
voti terribili in matematica, scienze e fisica non perché non sarebbe
riuscito se solo avesse voluto, ma perché erano materie che non lo
interessavano. Un giorno lo vidi arrivare di corsa; mi disse:
"Professar Getter, la commissione dei programmi mi ha detto che
devo scegliere una materia di specializzazione se voglio riuscire a
diplomarmi". Ne aveva bisogno non tanto per andare al college
quanto per terminare le scuole superiori. Gli risposi: "Certo, va
bene. Cosa fai per il programma di arte? Portami alcuni dei tuoi
lavori: disegni, dipinti, acquerelli, tutto quello che vuoi, così posso
proporre di farti prendere una specializzazione in arte". Mi disse:
"Oh, ma io non faccio nulla di tutto questo, io sono un fotografo".
Gli risposi: "Bene, anche questa è arte". Sentendo queste mie parole
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gli si illuminarono gli occhi: improvvisamente aveva trovato qual-
cuno con cui poter parlare>>.
Getter era un insegnante pieno di esperienza che concentrava la
sua attenzione sullo sviluppo del talento naturale dei suoi allievi, più
che sull'imposizione di un programma prestabilito; creava un
ambiente stimolante per la mente di un giovane artista. Anche
Alexander Singer era uno studente del professor Getter e faceva dei
disegni che il suo insegnante definiva «meravigliose creazioni arti-
stiche». <<Certamente il fatto di aver frequentato le lezioni di Getter
mi ha permesso di prendere il diploma», ricorda Singer. <<Ero uno
studente molto mediocre e non mi importava, anzi questo fatto mi
era di ulteriore stimolo a ricordarmi che avrei dovuto seguire la mia
musa personale in modo del tutto autonomo. Ero molto perseverante
nell'imparare e mi sentivo assetato di sapere, ma non approvavo
quello che mi insegnavano e le cose che ritenevano importanti.
Eravamo il tipico caso di ragazzi precoci che avevano bisogno di
attenzioni speciali e dai quali non si riesce a cavare granché in una
scuola normale; quella era una scuola per la classe operaia e mi anda-
va bene; mi disturbavano il meno possibile. Mi occupavo delle mie
cose ed era relativamente facile sopravvivere e riuscire ad andare
avanti in qualche modo>>.
Il professar Getter faceva lunghe chiacchierate sulla cinematografia
con Alex e Stanley. Mostrò loro i filmati 16mm che aveva realizzato
per documentare la tecnica artistica: <<Cercavo di far vedere a Stanley
le diverse tecniche cinematografiche. Notavo in lui un certo entusia-
smo, una sorta di sintonia con l'uso della cinepresa come strumento
artistico simile alla tavolozza, alla tela e al pennello di un artista. La
cinepresa era lo strumento con il quale dipingere».
Era il 1945 e i film erano realizzati principalmente a Hollywood.
Gli studenti non avevano accesso alle macchine da presa amatoriali
16mm o 8mm come invece accadrà per la generazione di registi che
nacquero in quegli anni e diventarono maggiorenni negli anni
Sessanta; inoltre la regia non faceva parte del sistema scolastico della
città di New York. Al professar Getter piaceva parlare di esplorazio-
ne cinematografica con Alex e Stanley; entrambi i ragazzi erano inte-
ressati alla fotografia e Getter li incoraggiava a guardare al mezzo
cinematografico che aveva solo mezzo secolo di vita. Stanley aveva
trascorso ore e ore con la sua Graflex, sperimentando la composizio-
ne, l'illuminazione e gli obiettivi, e nella camera oscura, osservando
le immagini riprese dalla sua "scatola magica" prendere forma. Era
un ragazzo dotato di grandi idee e di aspirazioni artistiche che discu-
teva con Herman Getter di una filosofia della regia che cominciava a
formarsi nella sua mente. <<Aveva un punto di vista molto interessan-
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te. La tecnica che intendeva utilizzare doveva essere quasi un esperi-
mento che avrebbe consentito la scoperta di nuove prospettive, di
nuove idee mai viste priii}a. Ricordo che improvvisamente mi trovai
a pensare: "Santo Cielo, questo ragazzo è il Picasso della cinemato-
grafia"». Stanley portava le sue fotografie e il professar Getter raffor-
zava nella mente del ragazzo l'idea che la fotografia fosse una forma
d'arte. Il corso prevedeva che agli studenti venissero mostrate le dia-
positive di grandi dipinti di Cézanne, Renoir, Seurat, Picasso e altri.
Stanley utilizzò l'opportunità afferragli per esprimere delle idee visi-
ve. «Riusciva a disegnare e a dipingere utilizzando uno stile molto
libero, che riassumeva la visione complessiva di come avrebbe dovuto
essere una cosa. Non entrava nei dettagli ma perbacco era chiaro,
aveva un approccio che ti colpiva; cinetica visiva, ecco l'espressione
migliore con la quale potrei descriverlo>>, ricorda Herman Getter.
Il 7 maggio 1959 il professar Getter scrisse a Stanley Kubrick alla
Universal-lnternational Pictures, dove stava dirigendo Spartams.
L'insegnante ricevette una risposta il 17 giugno, nella quale Kubrick
si scusava per il ritardo con il quale rispondeva e spiegava che da feb-
braio lavorava a Spartacus sette giorni su sette e che gli mancavano
ancora due mesi di riprese prima di ultimare il film. Scrisse al suo ex
professore che Alexander Singer viveva a Las Angeles e lavorava ai
film di Leslie Stevens, che aveva appena costituito la propria compa-
gnia di produzione. Kubrick scrisse a Getter che spesso lui e Alex
ricordavano le stimolanti discussioni sulla cinematografia durante le
sue ore di lezione. Terminava la lettera invitando Getter a contattar-
lo se mai fosse passato da Hollywood. Più tardi, nel gennaio del
1976, dopo l'uscita di Barry Lyndon, Kubrick rispose a una lettera
del suo ex professore di arte dicendogli che il ricordo di lui e delle
sue lezioni era tra i migliori del periodo passato al Taft. Scrisse inol-
tre che Getter gli era stato di ispirazione in un momento per lui tra i
più critici. Questa volta Getter stuzzicò la leggendaria curiosità di
Kubrick scrivendogli di aver visto un film muto del 1929, Cain and
Artem, diretto da Pavel Petrov-Beytov, che non aveva più potuto
dimenticare. Nel 1932 al film, un adattamento dell'opera di
Maksim Gor'kij, era stata aggiunta una colonna sonora di Abel
Gance. Kubrick, curioso e assiduo fruitore di film, rispose che avreb-
be cercato negli archivi del Nationai Film Theater di Londra e che
gli avrebbe scritto dopo averlo visto.
Mentre le qualità artistiche facevano presa sul suo animo, i senti-
menti di Stanley si muovevano anche in un'altra direzione. Nel
periodo in cui la famiglia Kubrick viveva al 1414 di Shakespeare
Avenue, Stanley conobbe Toba Metz. Toba Etra Metz era nata il 24
genna1o 1930 alle sette e un quarto del mattino all'Holy Name
40
J-lospital di Teaneck nel New Jersey. La famiglia Metz veniva da
Cliffside nel New Jersey. Il fratello di Toba, Henry, era nato
nell'aprile del 1923 e aveva sei anni; il padre, Herman Metz, era un
gioielliere originario di Hasenpoth in Lettonia ed era ormai cinquan-
tenne quando venne al mondo sua figlia; la madre di Toba, Bessie
Silverman Metz, era nata negli Stati Uniti. Nel 1912 Herman Metz
aveva lasciato Brema, in Germania e, dopo aver vissuto a Antwerp,
in Belgio, era salito a bordo della Kronprinzesin Cecilie diretto in
America. Stanley e Toba vivevano nello stesso edificio sulla
Shakespeare Avenue. Gerald Fried, futuro collaboratore di Kubrick,
definì Toba (da ragazza più carina del Taft».
Toba aveva frequentato la Public School l 04, ed era una brava stu-
dentessa con dei buoni voti in condotta. Alle scuole medie Toba
faceva parte dei club di disegno animato, ritratto e recitazione e
mostrava di avere l'interesse, oltre che il talento, per seguire una car-
riera artistica. Amava la letteratura e frequentava per puro piacere
personale dei corsi parascolastici di dattilografia, pur considerando il
disegno e la lettura i suoi interessi principali.
Toba Metz entrò al Taft nel febbraio del 1945, quando a Stanley
mancava solo un anno al diploma, e terminò nel gennaio del 1948;
mantenne una buona frequenza alle lezioni e continuò a sviluppare il
suo talento per il disegno. Si iscrisse al corso di arte di Herman
Getter e frequentò gran parte delle lezioni nel 1947 e nel 1948.
I libri e gli articoli che contengono informazioni biografiche su
Kubrick affermano che la media scolastica del regista fosse 68, ma
sul certificato di diploma conseguito nel gennaio del 1946 al
William Howard Taft la sua effettiva media scolastica risulta essere
70.1. Il suo nome si trova al 414 ° posto della lista su cui figurano
complessivamente 509 diplomandi, quindi tra gli ultimi cento.
I voti con i quali si diplomò furono: 85 in biologia, 75 in algebra,
81 in spagnolo, 85 in storia americana. Quando Stanley terminò il
corso di studi al Taft, la sua famiglia viveva ancora sulla Harrison
Avenue. Con l'intenzione di iscriversi al college, Stanley fece perve-
nire il suo curriculum scolastico alla New York University nel
novembre 1945 e al City College of New York nel dicembre dello
stesso anno.
Dalla valutazione ufficiale del Taft non risultava alcun accenno o
riferimento alle iniziative di Stanley Kubrick in campo fotografico:
il fatto che lo studente diciassettenne di una scuola pubblica avesse
venduto una fotografia a un'importante rivista nazionale costituiva
un risultato di enorme importanza, eppure il sistema vigente non
riconosceva una tale conquista e giudicava il successo solo sulla base
delle graduatorie e dei test. La pratica invalsa di valutare il compor-
41
tamento e la capacità di relazione degli studenti non favoriva certo
quegli individui che mostravano di avere un temperamento artistico
che rasenta l'ossessione.
Nel corso della sua carriera scolastica al Taft, i voti ottenuti da
Kubrick non riflettono le sue capacità intellettuali e la crescente
ambizione. Mentre il suo interesse per la fotografia aumentava e la
sua vena artistica si rafforzava, il sistema didattico convenzionale non
aveva modo di riconoscere l'effettivo potenziale di Kubrick in quello
che sarebbe diventato il lavoro della sua vita. I suoi interessi e
l'applicazione pratica delle sue idee si concretizzavano nei suoi pro-
getti fotografici e cinematografici, mentre in classe riscuoteva risul-
tati scarsi perché continuavano a mancargli ispirazione e motivazio-
ne. L'amore per la letteratura e la conoscenza che Kubrick aveva di
essa non trasparirono dai suoi voti in inglese. Non ottenne mai una
media superiore al 75: i suoi voti si aggiravano intorno al 55 e persi-
no nel corso del professar Traister riuscì a ottenere solo un 65. Era
uno studente di storia autodidatta e i suoi voti negli studi sociali si
aggiravano intorno al 70-75; nelle materie scientifiche i risultati
oscillavano dal 68 al 95; le lingue straniere e la matematica non
erano il suo punto forte: Stanley mantenne la media del 65 in spa-
gnolo e oscillò tra il 50 e il 65 in algebra.
L'annuario del 1946 del Taft annovera Kubrick tra i membri della
«Taft Review>> per il trimestre terminato nel giugno del 1944 e tra i
componenti della banda della scuola. Sotto la fotografia che mostra
un adolescente che stava per affrontare una svolta importante c'è una
didascalia che recita: «Quando lavorava per "Taft Review" stava sem-
pre sulle spine>>. La foto di diploma di Stanley riflette l'immagine di
un ragazzo con i capelli accuratamente tagliati e pettinati; sembra
che le palpebre di Stanley non sbattessero mai mentre le sopracciglia
sono fortemente arcuate dalla tensione.
Kubrick non fu accettato al New York College. Era il 1946 e
migliaia di soldati erano ritornati a casa dalla seconda guerra mon-
diale e avevano potuto godere di un accesso facilitato al college come
stabilito dal regolamento delle Forze Armate; i suoi voti bassi e lo
scarso rendimento lo fecero scivolare in fondo alla lista, impedendo-
gli l'accesso ai college a cui aveva fatto domanda.
Poiché frequentando la scuola serale avrebbe potuto successivamente
accedere ai corsi diurni, si iscrisse alle lezioni serali del City College.
Impaziente di avere successo nella vita, Kubrick si concentrò sulla
rivista <<Look>>: dopotutto era già un fotografo professionista che
aveva venduto le sue foto a un'importante rivista nazionale. Le porte
dell'educazione superiore non gli erano state aperte ma i portoni
della formazione autodidatta erano spalancati.
42
La carriera registica di Stanley Kubrick prese avvio da due forze
convergenti: la passione per il cinema e il lavoro di fotografo profes-
sionista. Come è accaduto per registi tanto diversi tra loro come
Jean-Luc Godard, François Truffaut, Martin Scorsese e Quentin
Tarantino, anche Stanley Kubrick è un cineasta, uno storico del film
che si è autoinvestito del ruolo, un uomo sagace e appassionato della
storia passata, presente e futura del cinema. La conoscenza tecnica ed
estetica che Kubrick ha dell'arte della fotografia e dello strumento
fotografico permea ogni sequenza della sua filmografia.
I registi provengono da ambiti diversi: il teatro (Orson Welles ed
Elia Kazan), la critica cinematografica (Godard, Truffaut ed Eric
Rohmer), il montaggio (Robert Wise e Robert Parrish), la recitazione
(Pau! Newman, Robert Redford e Clint Eastwood), gli spot pubblici-
tari (Ridley Scott e Alan Parker), la direzione della fotografia (Victor
Fleming, Haskell Wexler e Nicolas Roeg), la scrittura (Woody Allen
e James L. Brooks). Altri provengono dalla danza, dalla poesia, dalla
pittura, dalle arti grafiche, da campi prossimi all'arte o da percorsi
indipendenti e che non hanno alcun rapporto con l'arte.
Mentre la direzione della fotografia ha prodotto molti registi, dalla
fotografia ne provengono pochi e Stanley Kubrick è il più importante
tra loro. Tra gli altri ricordiamo Gordon Parks, che ha lavorato come
fotografo della rivista «Life>> per venticinque anni; Ken Russell, free-
lance per «Picture Post>> e per «<IIustrated>>; Jerry Schatzberg, Dick
Richards e Howard Zieff, fotografi di moda newyorkesi.
Il lavoro di fotografo che Stanley Kubrick svolse per «Look>> per
poco meno di quattro anni lo aiutò a trasformarsi in regista. Nel caso
di Kubrick il raggiungimento della maturità è segnato dal passaggio
attraverso un numero infinito di rullini Kodak in bianco e nero, che
gli permisero di scoprire la sua identità fotografica, la quale a sua
volta gli fornì l'accesso agli esperimenti cinematografici che seguiro-
no. Gli incarichi professionali e le scadenze improrogabili sviluppa-
rono e raffinarono l'abilità di Stanley a rispettare i tempi convenuti e
a soddisfare la continua richiesta di pensare in termini fotografici in
situazioni sia banali che significative. Kubrick ha imparato a dirige-
re i soggetti, a controllare l'illuminazione e le ombre, a scegliere gli
obiettivi, la composizione, l'esposizione e a bilanciare gli elementi
all'interno del fotogramma; non è mai tanto vivo come quando guar-
da attraverso l'obiettivo. È diventato autosufficiente in giovane età
ed è passato dalla condizione di mediocre studente del Bronx a quel-
la di professionista newyorkese giustamente sicuro di sé.
Stanley Kubrick aveva venduto diverse foto a <<Look>> come free-
lance quando era ancora studente al William Howard Taft. Quando
scoprì di non essere stato ammesso al college e dovette quindi ripie-
43
gare sui corsi serali al City College of New York, gli venne offerto
un posto di fotografo da Helen O'Brian, responsabile del settore
fotografie di «Look».
«Ho lavorato per "Look" dai diciassette ai ventun anni>> disse
Kubrick a Miche) Ciment. <<Per me ottenere quel lavoro fu una
pausa miracolosa dopo il diploma. Devo molto all'allora responsabile
del settore fotografie Helen O'Brian, e anche all'amministratore
delegato Jack Guenther. Quella fu un'esperienza preziosa per me,
non solo perché imparai un mucchio di cose sulla fotografia ma
anche perché mi insegnò a capire come gira il mondo».
Gardner Cowles lavorava come capocronista a <<Des Moines
Register and Tribune», un quotidiano di proprietà di suo padre.
Gardner- Mike per gli amici -aveva studiato a Exeter e a Harvard,
dove dirigeva <<The Crimson». Cowles era rimasto colpito dalla rea-
zione dei lettori rispetto alle foto delle notizie pubblicate e alla com-
binazione di immagini e testo; commissionò quindi al dottor George
Gallup uno studio sul tema, che diede vita alla primissima Gallup
poll6. I risultati ottenuti confermarono l'intuizione di Cowles che
quindi decise di creare una rivista illustrata. <<Life» non esisteva
ancora. La rivista <<Look» nacque nel gennaio del 1937 neii'Iowa e la
sede si trasferì a New York nel 1940. Cowles era sempre stato un
repubblicano con idee liberali, era amico di Nelson Rockefeller, Jock
Whitney, gli Aldrich, i Vanderbilt, Thomas E. Dewey, Earl Warren
e Bernard Baruch.
Gli uffici della rivista <<Look» occupavano diversi piani al 511
della Quinta strada, dove si trovavano gli uffici della direzione, la
redazione e il settore fotografie; quest'ultimo si occupava anche dello
sviluppo e della stampa. Inoltre c'erano degli studi che consentivano
ai fotografi di lavorare in condizioni di illuminazione controllate.
Kubrick ricevette l'incarico di andare in giro a fare le foto che gli
venivano richieste dai redattori, i quali dovevano esaminare ottomila
fotografie per ogni edizione del bisettimanale.
Kubrick contribuì al numero dell'8 gennaio 1946 con la fotografia
di un uomo che leggeva un libro di oroscopi, che servì a illustrare la
rubrica "Personality Clinic". Il tema affrontato in quel numero era
<<Sei un fatalista?»; il questionario proponeva domande a scelta mul-
tipla che avevano lo scopo di assegnare il punteggio per un test in

6. Nel 1935, sull"onda dell"inreresse suscitato presso studiosi e ricercatori di economia


delle tecniche adottate nelle ricerche di mercato, lo statistico statunitense George
Gallup iniziò a condurre delle indagini su scala nazionale volte a sondare le opinioni
dei suoi connazionali su questioni politiche e sociali. (N.d.T.)
44
base al quale il lettore poteva identificarsi in una categoria che veniva
poi analizzata.
Sul numero dell'Il giugno comparve una serie di dodici scatti
intitolati <<Una donna compra un cappello». Il titolo disposto su due
righe diceva: <<La candid camera di un fotografo di "Look">>, facendo
riferimento alle fotografie di una donna che si provava una serie di
cappelli da Ohrbach's, un negozio di abbigliamento newyorkese. Le
fotografie erano state scattate tutte dalla stessa posizione e la dimen-
sione delle immagini era simile; sembra di trovarsi di fronte a dodici
frammenti di una stessa sequenza filmica: le fotografie trasmettono
un senso di continuità e riproducono il movimento descrivendo le
reazioni della donna alla scelta del cappello.
Il 23 luglio 1946 Kubrick fece dei ritratti fotografici a Lee
Bowman, Harry Cohen, Mario Mascolo, Vincent Costello e Manning
Halpert per un servizio speciale della rubrica "Meet the People" dal
titolo <<Quante volte ti sei dichiarato?>>. Per questa rubrica, che usci-
va regolarmente su <<Look>>, un fotografo era incaricato di girare tra
le persone e scattare fotografie sia a gente comune che a personalità
alle quali veniva chiesto di rispondere alla domanda del giorno.
Per il numero del 20 agosto Kubrick scattò una serie di tre foto-
grafie che dovevano servire da conclusione a un articolo umoristico.
La prima pagina reca l'immagine di uno scimpanzé con la seguente
didascalia: <<Una scimmia guarda la gente>>. Le foto della seconda
pagina riflettono il punto di vista dello scimpanzé chiuso in una gab-
bia dello zoo e sono stampate in modo da ricordare il fotogramma di
un film in Cinemascope. Le sbarre della gabbia corrono oltre il foto-
gramma e attraverso le sbarre si vede la gente che guarda la scimmia.
Il quiz fotografico era un altro elemento costante di <<Look>>; si
trattava di un quiz a scelta multipla nel quale veniva utilizzata una
serie di venti foto. Al gioco partecipava a turno un personaggio e si
poteva totalizzare un punteggio da 65 a 90; per ogni risposta corret-
ta si guadagnavano cinque punti. Nel numero del 3 settembre il
personaggio scelto fu Bob Hawk, il mago del quiz che conduceva
The Bob Hawk Show, un programma televisivo del lunedì sera. Le
fotografie avevano fonti e fotografi diversi; Kubrick contribuì con
una fotografia che riproduceva un cartello con la scritta <<Buy Viftory
Bonds>> e due frecce, una che puntava verso destra indicando Saks
sulla Trentaquattresima strada e una che indicava la sinistra in dire-
zione di Gimbel. La domanda in didascalia chiedeva: <<Ii cartello
indica che probabilmente ti trovi a: a) Chicago, b) San Francisco, c)
New York o d) New Orleans>>.
Kubrick iniziò a ottenere numerosi incarichi per la rubrica "Meet
the People", per la quale fotografo le personalità locali e nazionali
45
del g1orno. Nel numero del 17 settembre undici foto su dodici
erano scattate da lui. Alle celebrità veniva chiesto: <<Qual era la sua
ambizione da bambino?>>. Tra le persone fotografate e intervistate
c'erano il compositore Sunny Skykar, l'annunciatore radiofonico Art
Ford, il restauratore D.L. Toffenetti, la produttrice radiofonica
Martha Roudtree e il virtuoso dell'armonica John Sebastian.
Sempre per questo numero Kubrick fece una fotografia con
un'inquadratura drammatica dal basso e con un'illuminazione
molto chiara, di una donna che apriva un telegramma indirizzato a
Ernest Dichter, per il quiz psicologico del Ph.D: «Soffri di malattie
immaginarie?>>.
Per il numero del 10 ottobre la macchina fotografica di Kubrick
colse l'immagine di uomini, donne e bambini nella sala d'attesa di
un dentista. Le diciotto fotografie sono piccoli studi di carattere delle
persone in attesa, preoccupate, che riflettono sul loro destino e vor-
rebbero trovarsi da un'altra parte. A differenza dei ritratti fotografici
eseguiti per la rubrica "Meet the People", lo studio dentistico mostra
l'abilità di Kubrick nel cogliere le persone all'interno di un ambiente
preciso e di riflettere i loro sentimenti e la loro natura. Alcune foto-
grafie hanno la qualità di un momento colto con un apparecchio
fotografico nascosto, altre sono attentamente composte e dimostrano
che Kubrick stava sviluppando la sensibilità per la luce e lo spazio.
Nella rubrica "Meet the People" di «Loob> del 26 novembre,
dodici lavoratori americani risposero alla domanda «Come spendere-
sti 1.000 dollari in una settimana?>>. Kubrick fotografo l'amico e
compagno di scuola al Taft, il sognatore del Bronx Alexander Singer;
la sua foto era posta accanto a quella del fisarmonicista Nikke
Montan e presentava Alexander Singer come un fotografo free-lance.
La risposta di Singer alla domanda fu: «Affitterei un fantastico stu-
dio fotografico, ingaggerei come modella una strepitosa ragazza del
sud e farei delle foto a colori per delle copertine. In una settimana
triplicherei il mio guadagno ... spero!>>.
Per lo stesso numero, Kubrick realizzò delle fotografie che costi-
tuivano un ulteriore approfondimento della realtà del Bronx cui egli
stesso apparteneva. Restando nella tradizione dei grandi fotografi
documentaristici di strada come Brassa'i, Kubrick scattò una serie di
fotografie di due donne che esaminano la nuova pettinatura di
un'amica. Alle quattro foto che vennero scelte fu dato il titolo
«Scene di strada nel Bronx>>. Mantenendo fissa la posizione della
macchina fotografica, Kubrick cattura una sequenza vivace, che
ancora una volta potrebbe essere la sequenza di un film: nel primo
fotogramma una donna descrive la pettinatura all'amica facendo dei
gesti con le mani; nel secondo la donna è girata ed esamina il retro
46
dell'acconciatura; nella terza foto la donna, ancora girata, solleva i
capelli per mostrare la nuca nascosta dalla chioma e nell'ultima foto-
grafia se ne va, lasciando le altre a ridere e a scrollare le spalle.
Per lo stesso numero della rivista Kubrick fotografo il ventitreenne
Johnny Grant, un intervistatore radiofonico che utilizzava un regi-
stratore magnetico durante gli spettacoli realizzati in esterni per la
stazione radio Wins. La foto ritrae il giovanotto mentre intervista le
coriste del Latin Quarter di New York.
Per il numero del 10 dicembre, Kubrick fu l'autore di tutte le
dodici fotografie della rubrica "Meet the People", nella quale la
domanda era «Qual è la tua idea di divertimento?)). Due delle perso-
ne intervistate avevano un ruolo significativo nella vita personale di
Stanley Kubrick. Il suo maestro di camera oscura Marvin Traub si
era arruolato in marina ed era diventato il fotografo ufficiale della
nave. Mentre Traub era a casa in licenza, Kubrick scattò una foto di
profilo dell'amico in uniforme. Identificato come «S 2/c Marvin
Traub>>, il vecchio amico di Stanley che abitava al 2715 della Grand
Concourse risponde: «Sono cambiato. In passato trascorrevo il mio
tempo libero al cinema, ma da quando sono in marina preferisco
uscire e sfogarmi un po'>>. Nella pagina successiva, accanto al pro-
duttore Harold Shaw, c'è una foto della ragazza di Stanley, Toba
Metz. Toba viene definita una musicista e risponde: <<È divertente
fare le caricature degli amici. Le loro reazioni sono uno spasso. Non
importa quanto siano attraenti, hanno comunque sempre paura che
ci sia una vera rassomiglianza>>.
Il fascino che il cinema esercitava su Kubrick iniziò ad aumentare.
Quando seppe che Arthur Rothstein, il direttore tecnico della foto-
grafia di <<Look>>, si interessava di cinema e aveva una grossa biblio-
teca specializzata, iniziò a prendere a prestito i libri per approfondire
gli studi da autodidatta sulla cinematografia. Kubrick era particolar-
mente interessato agli scritti teorici del maestro russo Sergej
Ejzenstejn. Rothstein notò che Stanley aveva scritto degli appunti
sui libri, ma anco~a non sapeva di avere una rara collezione di note
autografe del futuro regista.
Il numero di <<Loob> del 4 marzo 1947 contiene uno studio foto-
grafico di sei pagine sulla metropolitana di New York dal titolo
<<Vita e amore sulla metropolitana di New Yorb>. La fotografia prin-
cipale è un'immagine dall'alto della stazione metropolitana Grand
Centrai affollata di persone che sono a loro volta circondare da pila-
stri di cemento e da segnali. In una serie di foto scattate di nascosto
sui treni, Kubrick coglie un ampio campione di newyorkesi:
un'orchestra di quindici elementi, con i loro strumenti e la cantante,
mentre si reca a suonare; un ragazzo che tiene sopra la testa i fiori
47
che ha comprato per la sua ragazza in modo da proteggerli dalla folla
di persone in piedi accalcate nel vagone; quattro matrone appassio-
nate di teatro che si recano a una matinée; studenti che fanno i com-
piti; uno studioso talmudista mentre legge un testo yiddish a un
amico; una donna che lavora a maglia; due innamorati che si guarda-
no negli occhi; un ragazzino che scruta fuori dalla vettura di testa;
un uomo che dorme in piedi; due ragazze addormentate con addosso
gli abiti da sera; un uomo che giace bocconi su un sedile; altri che
dormono con la testa inclinata da un lato o tenendo ben dritto il
capo; due bambini che sonnecchiano seduti in modo scomposto in
braccio ai genitori. Nonostante le difficili condizioni nelle quali le
fotografie sono scattate, Kubrick riesce a mantenere il controllo
dell'inquadratura. I risultati esprimono simmetria, equilibrio e
armonia compositiva. «Stanley portava la macchina fotografica bene
in vista, appesa al collo con un'imbracatura di pelle, e apriva l'ottu-
ratore grazie a un interruttore nascosto nella tasca>>, ricorda G.
Warren Schloat Jr., un reporter che lavorava con Kubrick. <<L'inter-
ruttore era collegato all'otturatore della macchina fotografica con
una serie di fili che teneva nella manica. Così equipaggiato, riusciva
a parlare guardando un passeggero seduto accanto a sé e nello stesso
tempo scattare una foto a una persona seduta dall'altra parte del cor-
ridoio, senza essere scoperto. Poteva starsene seduto sulla metropoli-
tana di New York, guardare la persona seduta alla sua sinistra e par-
larle mentre aveva già preparato la macchina fotografica per scattare
una foto dall'altra parte del corridoio. Poteva fare una foto a una
donna che stava allattando suo figlio senza neppure guardarla. In
questo modo nessuno era mai neppure sfiorato dall'idea di essere
fotografatO>>. Kubrick continuò a perfezionare la sua tecnica da can-
did camera. A volte nascondeva un filo in un sacchetto di carta mar-
rone e azionava la macchina fotografica aprendo l'otturatore attraver-
so un foro nel fondo del sacchetto.
La decisione ultima su quali storie trattare e sui giornalisti e i foto-
grafi ai quali assegnare gli articoli spettava ai capiservizio. G.
Warren Schloat Jr. attualmente ha al suo attivo venti libri per bam-
bini, ma nel 1947 lavorava per «Loob>. I dirigenti di «Loob> erano
rimasti favorevolmente colpiti da alcune storie che Schloat aveva
scritto mentre lavorava per la Walt Disney. Schloat e Kubrick furono
messi a lavorare in coppia: «Eravamo tutti e due dei nuovi arrivati a
"Look">> ricorda Schloat. «Stanley era un ragazzo tranquillo. Non
parlava molto. Era esile, scarno e piuttosto povero, come noi tutti
d'altronde>>. Quando Kubrick venne a sapere che Schloat aveva avuto
dei contatti con uno studio cinematografico, iniziò a parlargli dei
suoi progetti riguardo al cinema. «Allora pensavo: "Santo Dio, que-
48
sto tipo non ha proprio la personalità adatta per andarsene in giro a
Hollywood a girare film". Sembrava semplicemente troppo tranquil-
lo e troppo modesto. Quando sei sul set sei circondato da una terri-
bile massa di gente che grida e urla. Quindi mi ha sempre colpito il
fatto che sia riuscito a fare ciò che ha fatto».
Schloat fu accreditato come caposervizio nella redazione di <<Loob>
con uno stipendio di diecimila dollari all'anno: «Dicevamo sempre
che non ci pagavano molto, così ci hanno dato una specie di qualifi-
ca», ricorda Schloat.
Nel numero del 18 marzo 1947 fu pubblicato un servizio dal tito-
lo «Un bimbo sfinisce un atleta di novantatré chili», una storia per
la quale Kubrick trascorse un giorno intero insieme a Bob Beldon,
un giocatore di football del Carleton College che cercava di stare al
passo con Dennis Henry, il figlio di quindici mesi di un professore di
fisica al Carleton. Kubrick scattò delle foto di Beldon che imitava
tutto quello che Dennis faceva sul pavimento, sul divano e sul tavolo
della cucina, per vedere se riusciva a stare dietro al bambino che
faceva i suoi primi passi. Le fotografie sono molto tenere e incontra-
no il gusto comune: Beldon e il bambino camminano carponi, siedo-
no a gambe incrociate e si muovono insieme a quattro zampe.
Kubrick scattò la foto di copertina per il numero di «Look» del 5
agosto 1947, ottenendo il riconoscimento del nome posto in fondo
alla pagina. La foto ritrae un bambino che si fa una doccia per rinfre-
scarsi dalla terribile calura estiva.
Quella stessa estate, il 15 agosto 1947, Kubrick riuscì ad appagare
la sua crescente passione per il volo ottenendo dalla Federai Aviation
Administration il brevetto di pilota che lo abilitava a volare sui
monomotori.
Il numero di <<Loob> del 6 gennaio 1948 conteneva un profilo
delle personalità dello spettacolo che avrebbero calcato le scene nel
corso del nuovo anno. Il diciannovenne Stanley Kubrick fotografò
una ventitreenne Doris Day mentre cantava una canzone accanto a
una statua di un'antica dea, utilizzando l'inquadratura per descrivere
lo spazio e commentare il soggetto.
Per il numero del 20 gennaio, Kubrick si recò alla Kingston
Armory a Wilkes-Barre in Pennsylvania, dove la Bowman Gum
Company e il Hamid-Morton Circus avevano sponsorizzato una gara
per bambini in cui vinceva chi faceva la bolla più grossa con la
gomma americana. La foto principale mostra un clown che misura la
bolla di una bambina con un "misuratore di bolle". Al centro
dell'articolo c'è una sequenza di quattro fotografie di un bambino
con un cappello da marinaio mentre fa una bolla. L'effetto è simile a
uno zoom o alla carrellata di un film: nella prima foto vediamo
49
un'inquadratura in campo lungo del bambino che comincia a fare la
bolla incorniciato alla sua destra e alla sua sinistra da due bambini
che a loro volta fanno le bolle; la seconda immagine è decisamente
più ravvicinata ma è presa sempre dalla stessa angolazione e riprende
la bolla che sta crescendo; per scattare la terza foto Kubrick si è avvi-
cinato al bambino, con la bolla che gli copre quasi tutto il viso;
nell'ultima fotografia della sequenza Stanley realizza un primissimo
piano del bambino con la bolla che gli è scoppiata in faccia e gli
occhi colmi di tristezza. Nello stesso numero di «Loob> fu pubblica-
ta una foto di Kubrick che raffigurava una lastra eseguita dal dottor
Charles Breimer su un paziente malato di appendicite.
Nel gennaio del 1948 Toba Merz si diplomò. L'annuario del Taft
dice di lei: «Pattinare in inverno, dedicarsi all'arte in ogni istante
sono i due bei passatempi che Toba ha scelto». L'interesse di Toba per
l'arte continuò a crescere, al punto che recitò nello spettacolo della
scuola. I risultati conseguiti dalla ragazza furono mandati ai corsi
serali del City College ofNew York e alla New York University.
Per uno studio sulla vita negli Stati Uniti dal titolo <<È accaduto
qui», uscito sul numero del 2 marzo 1948, Kubrick fotografò la
showgirl Nanette Fredries sull'East Side di Manhattan che, vestita
da "donna-sandwich", pubblicizza un servizio di ristorazione offerto
dal Roger Stearn's 1-2-3 Club.
Per il numero del 16 marzo 1948 Kubrick seguì Barbara J o
Walker, miss America 1947, a Cleveland nell'Ohio dove si teneva
una conferenza della gioventù metodista. Le fotografie la riprendono
mentre ascolta un discorso in prima fila, visita una casa dello stu-
dente, firma un autografo, balla le danze folcloristiche e riceve una
benedizione. Per il numero del 30 marzo 1948 Kubrick fu inviato
alla Bignou Gallery per documentare l'anteprima della mostra del
pittore surrealista Salvador Dalf: fotografo i suoi lavori, le reazioni
degli ospiti che appartenevano alla élite newyorkese, le chiacchiere
che si fecero in società e il carismatico artista.
Kubrick andò a Connersville nell'Indiana per effettuare un servizio
fotografico su un incontro tra Eric O. Johnson, direttore generale
della American Centrai, una divisione della Avco Manufacturing
Corporation, e la forza lavoro della società composta da 2.500 dipen-
denti ai quali parlò a gruppi di 100 alla volta per tentare di superare
i problemi che affliggevano l'amministrazione e il personale. Kubrick
fotografo Johnson che parlava ai suoi dipendenti, le reazioni dei lavo-
ratori, scattò una drammatica foto di un gruppo di uomini che sfila-
no uscendo dalla porta con in primo piano le sedie vuote e Johnson
ripreso di spalle che guarda gli uomini lasciare la stanza. Per riuscire
a cogliere l'approccio adottato da Johnson verso i dipendenti e le sue
50
reazioni nei loro confronti, Kubrick mantenne la macchina fotografi-
ca sempre nella stessa posizione e scattò una serie di dieci fotografie
di Johnson posto di fronte a un cartello con scritto <<Thinb>, rifletti.
Nel corso di tutta la sequenza Johnson parla, ascolta, sorride, rimane
serio e mostra una gamma di emozioni - a un certo punto si tiene la
testa tra le mani. L'ampiezza espressiva preme contro i limiti della
sequenza fotografica: Kubrick è alla ricerca del cinema.
Kubrick trascorse del tempo in una lavanderia automatica nelle
vicinanze del Greenwich Village per uno studio fotografico che fu
pubblicato sul numero del 27 aprile: colse l'attore John Carradine
che divideva il giornale con la moglie e il figlio mentre aspettava che
la lavatrice terminasse il ciclo d i lavaggio. Sempre per lo stesso
numero Kubrick realizzò delle foto di grande sensibilità per uno stu-
dio sui bambini affetti da febbre reumatica.
Per il numero di <<Loob> dell'l l maggio, Kubrick fu inviato alla
Columbia University di New York per realizzare un servizio speciale
di nove pagine sull'istituzione, incluso un ritratto del nuovo rettore
dell'università: "Ike" Eisenhower, quattro anni prima che fosse eletto
presidente degli Stati Uniti.
Il frontespizio di quello stesso numero rimandava a un articolo che
con orgoglio tracciava il profilo del fotografo diciannovenne di
<<Loob>, Stanley Kubrick. Nel pezzo veniva spiegato che Kubrick
aveva trascorso quasi due settimane alla Columbia per completare il
suo servizio fotografico. Il giovane Kubrick viene presentato come
un <<ragazzo tranquillo con gli occhi scuri>> che <<come molti fotogra-
fi esperti[ ... ] sa esattamente quello che vuole>>.
Secondo la descrizione riportata, Kubrick era da due anni un vete-
rano dello staff fotografico di <<Loob>. I professionisti della squadra
fotografica della rivista presero subito il ragazzo sotto la loro prote-
zione. Il direttore tecnico Arthur Rothstein e i fotografi Frank
Bauman, James Chapelle, Bob Hansen, James Hansen, Doug Jones,
Bob Sandberg, Sprague Talbott, Maurice Terrei!, Earl Theisen e il
direttore della camera oscura Vincent Silvestri fondarono quello che
definirono il <<Bringing Up Stanley Club>>, o club di supporto per
Stanley, ricordandogli le chiavi, gli occhiali e le galosce.
La sfida più grande fu quella legata alla questione abbigliamento:
<<La sottile influenza esercitata da questo gruppo di consulenza orga-
nizzato in modo informale ha portato un apparente cambiamento nei
gusti del ragazzo in fatto di abbigliamento>> recita l'articolo. <<Un
tempo propenso a indossare capi utilizzati dagli adolescenti -scarpe
sportive, giacche informali e camicie casual - ora Stanley propende
per completi scozzesi di taglio classico e camicie bianche>>. Furono le
foto di <<Loob> a esercitare la maggior influenza sull'abbigliamento
51
di Kubrick; nonostante non avesse mai prestato molta attenzione alla
moda, Kubrick ora era più vicino di quanto sarebbe mai stato a sem-
brare parte dell'establishment.
Il crescente interesse del giovane Stanley nei confronti della regia si
era palesato anche allo staff di «Loob>. L'articolo infatti si conclude
ponendo l'accento sul futuro di Kubrick nel cinema: «Il suo interesse
per la fotografia è rimasto i111mutato. Nel tempo libero Stanley si
occupa di cinematografia e sogna il giorno in cui riuscirà a realizzare
dei documentari. Il ragazzo potrà continuare a dimenticare le chiavi
ma nel campo della fotografia non ha bisogno di nessun aiuto>>.
Kubrick si recò nel quartier generale invernale della Ringling
Bros. e del Barnum & Bailey Circus per realizzare delle fotografie
per un articolo di quattro pagine e un servizio per la rubrica "Meet
the People", che dovevano comparire nel numero del 25 maggio
1948. L'immagine del presidente del circo John Ringling North che
sbraita i suoi ordini è bilanciata all'interno di una composizione con
tre trapezisti e una bicicletta. Kubrick stava raffinando le sue doti di
documentarista, fotografando gli artisti mentre esercitano le loro
doti atletiche e mentre si riposano: stava imparando a comporre la
realtà entro i rigidi confini di una cornice.
Per lo stesso numero, Kubrick realizzò uno studio fotografico su
Dale Carnegie, il padre del motivational-speaker movement; andò a tro-
vare Carnegie e lo osservò mentre era al lavoro e insegnava ai suoi
allievi a esercitare il pensiero positivo. Kubrick fotografo il guru del
pensiero positivo mentre si rivolgeva a un gruppo e realizzò una
sequenza ricca di gestualità espressiva; fotografie di studenti che
imparavano le tecniche di comunicazione, e una serie di tre foto
della moglie di Carnegie che osserva e reagisce alle critiche del mari-
to nei confronti di alcuni studenti che intervengono. Questi studi di
carattere costituirono un buon esercizio per il futuro regista.
Il numero del 25 maggio segnò un grande successo. Oltre all'arti-
colo su Carnegie, venne infatti pubblicato anche il suo servizio foto-
grafico sulla festa organizzata dalla famosa cantante d'opera Rise
Stevens per i bambini sordi ai quali erano stati donati degli apparec-
chi acustici e ai quali era stato insegnato a leggere le labbra durante
un programma speciale attuato dalla J uni or High School 47 di New
York. La macchina fotografica di Kubrick legge con discrezione la
sensibilità e la gioia dei bambini. Le fotografie scattate "di nascosto"
rispettano la tradizione della composizione accurata rivelando la
naturalezza dei bambini mentre si godono la festa.
Mentre il numero del 25 maggio 1948 arrivava ai giornali, Stanley
Kubrick si preparava a lasciare il Bronx: era in procinto di trasferirsi
al Greenwich Village insieme a Toba Metz.
52
Parte seconda

1948-1956
New York
Capitolo 2
«Fotografie di Stanley Kubrick»

Alle dieci e trenta del mattino del 29 maggio 1948 Stanley


Kubrick sposò la sua fidanzata dei tempi della high JL"hool Toba Metz,
nella casa del giudice incaricato Harry Krauss che celebrò la cerimo-
nia civile al 544 Est della Lincoln Avenue a Mount Vernon, New
York. Mount Vernon era una comunità di periferia nel Lower
Westchester, a breve distanza dal Bronx. Toba aveva diciotto anni e
lavorava come segretaria, Stanley ne aveva diciannove e sul certifica-
to di matrimonio indicò come professione quella di fotografo.
Stabilirono la loro residenza al Greenwich Village, una comunità
bohémienne composta da artisti, attori, scrittori e musicisti.
La famiglia Kubrick continuò a vivere al 1873 di Harrison Avenue
e nel settembre del 1948 Barbara, la sorella di "Staniey, iniziò a fre-
quentare la Roosevelt High School. Come molti adolescenti aveva il
suo telefono privato, il cui numero era sull'elenco sotto il nome
Bobbie Kubrick. Dopo aver conseguito il diploma nel giugno 1952,
entrò ali'Adelphi College dove rimase fino al 1954.
Kubrick continuava a lavorare regolarmente per «Look>>. Diede
nuovamente prova della sua abilità nel ritrarre l'infanzia nel servizio
fotografico di cinque pagine pubblicato sul numero dell'8 giugno, le
cui foto furono scattate in una scuola professionale di Mooseheart
nell'Illinois. Kubrick visitò le classi e ritrasse gli scolari mentre col-
tivavano piante, facevano sculture e praticavano l'atletica, con
l'intento di mostrare ai lettori di «Loob> il tipo di educazione che
veniva impartita ai bambini. Dieci pagine più avanti c'erano due
fotografie di una modella di Chicago vestita all'ultima moda e dopo
altre tre pagine un'immagine al vivo del grande pittore berlinese
George Grosz seduto a cavalcioni di una sedia in una via di New
York. Gli incarichi assegnati a Kubrick coprivano l'intera gamma
dei servizi della rivista: servizi fotografici, ritratti in posa, inchieste
tra la gente comune, servizi su personaggi celebri, immagini varie
che potessero soddisfare le più disparate esigenze della rivista.
Per i1 numero estiv0 del 3 agosto 1948, Kubrix::k era andato in
Portogallo a documentare la vacanza di due settimane di Bill Cook,
dirigente di una società farmaceutica, e di sua moglie Jan. Molte
delle foto comprese nell'articolo di cinque pagine avevano lo scopo di
servire come guida turistica alla pittoresca regione; Kubrick però
55
incluse anche una serie di sei scatti che ritraevano gli abitanti di
Nazaré, un antico villaggio di pescatori. Le foto dipingono gli abitan-
ti del luogo con un realismo documentaristico che rivela l'attenzione
di Kubrick per i servizi fotografici privi del luccichio patinato delle
riviste di massa. Le fotografie appartengono alla tradizione fotografica
che esplora e coglie il mondo reale - passato, presente e futuro.
Il numero del 17 agosto riportò Kubrick alla tecnica delle fotogra-
fie scattate di nascosto: questa volta la macchina fotografica era posta
dietro lo specchio di un negozio di abbigliamento dove i bambini
provavano i vestiti autunnali. Kubrick, con la libertà che gli garanti-
va l'essere nascosto, colse l'innocenza e la gioia dei bambini che si
provavano impermeabili, completi da cowboy e uniformi scolastiche.
Più avanti, nello stesso numero dedicato alla moda, comparivano
altre foto di Kubrick dedicate alla moda maschile, in un servizio che
invitava i lettori a esprimere il loro voto per determinare una nuova
tendenza nel modo di vestire dell'uomo.
Su «Look>> del 12 ottobre comparve una serie di fotografie di Wally
Ward, un bambino di cinque anni che era stato colpito da paralisi
infantile quando ne aveva due e che ora, grazie alla fisioterapia, era in
grado di giocare a pallone e di fare la verticale. Kubrick inoltre visitò
la galleria degli Associated American Artists, dove si teneva un'espo-
sizione di oggetti artistici creati da personaggi dello spettacolo a
beneficio della Urban League, e scattò delle fotografie alle opere di
Frank Sinatra, John Garfield, Joe Louis, Katharine Cornell ed Esme
Sarnoff. Fece anche una serie di fotografie a persone che osservano
qualcosa che si trova fuori dall'inquadratura e li intitolò: <<Che cos'è
che fa strabuzzare gli occhi a questa gente?>>. Per avere la risposta alla
domanda il lettore doveva andare a pagina 50 dove trovava una foto
della Gioconda, che in quel periodo si trovava lì esposta.
Nel gennaio 1949 Stanley Kubrick divenne a tutti gli effetti un
fotoreporter grazie a un'indagine approfondita su un pugile dal tito-
lo «Pugile professionista». La dicitura «Fotografie di Stanley
Kubrick» nella prima pagina dell'articolo gli riconosceva una sorta
di autorialità. L'incarico gli fu assegnato grazie alla sua tenace pas-
sione per il pugilato. Gli anni Quaranta segnarono un periodo cru-
ciale per questo sport e uomini come Joe Louis, Gus Lesnevich,
Tony Zale, Rocky Graziano, Marcel Cerdan, "Sugar" Ray Robinson,
Willie Pep e Jake LaMotta erano considerati eroi cittadini. Kubrick
vedeva una grande drammaticità dietro alla boxe e aspirava a inve-
stigare oltre l'apparenza dipinta nelle pagine sportive; desiderava
penetrare all'interno dell'aura che avvolgeva l'uomo e il suo mito,
che permeava il pugilato e che avvinceva i molti giovani che idola-
travano i combattenti del ring.
56
Per la sua indagine Kubrick scelse Walter Cartier, un peso medio
di ventiquattro anni che viveva al Greenwich Village. Cartier rap-
presentava l'immagine ideale del pugile americano, di bell'aspetto e
pieno di sentimento, gli occhi infossati, un corpo forte da gladiatore
e un forte senso della propria identità. Nella foto principale, che
domina la prima pagina dell'articolo, Cartier è appoggiato contro un
muro di mattoni seduto su una panca, il capo chinato all'indietro, le
mani con i guantoni poggiate in grembo; la luce proviene dall'alto e
scende a modellare i tratti scolpiti del suo volto, gli occhi sono com-
pletamente in ombra. Accanto a Walter è seduto Bobby Gleason, il
leggendario manager: i due uomini aspettano di essere chiamati sul
ring. Gleason ha le braccia incrociate; lo sguardo è distante, gli
occhi aperti e concentrati nonostante l'apparente fissità. Walter è in
atteggiamento meditativo e serio e si prepara riflettendo sulla sua
missione. Le fotografie seguenti descrivono i momenti che precedono
l'immagine d'apertura. Il titolo è «<l giorno del combattimento», e
le immagini conducono il lettore attraverso un giorno nella vita del
pugile professionista. Walter si alza alle nove e mezza mentre
Vincent, suo fratello gemello, continua a dormire. Vincent compare
nella parte più bassa della foto mentre Walter è al centro sullo sfon-
do. A colazione Vincent serve il fratello mentre la zia Eva sta a guar-
dare: la fotografia coglie un istante di vita, ma la composizione,
l'equilibrio e il movimento all'interno dell'inquadratura sono ben
controllati. Cartier si pesa e viene visitato da un dottore mentre
Kubrick regola gli obiettivi della sua macchina fotografica per rac-
contare la storia. Walter è seduto sul portico di fronte a casa e aspet-
ta, Vincent e un vicino sono posti sui due lati della foto come una
cornice. Walter è in chiesa e prega: un'immagine di quiete. Kubrick
lo segue sulla spiaggia di Staten Island dove si gode una passeggiata
insieme a una ragazza. Allo Yankee Stadium, Walter è in piedi e lan-
cia grida di incoraggiamento battendo le mani. In un'altra posa
aggiusta il modellino di una barca a vela per il nipote. Gleason dà a
Walter le ultime istruzioni, Vincent sistema il guantone del fratello,
Walter è profondamente assorto. Nell'immagine di Vincent che stro-
fina della vaselina sul volto del fratello, Kubrick evoca l'amore e la
devozione che i due gemelli provano l'uno per l'altro.
Nel corso di un combattimento con Tony D'Amico al Jerome
Stadium, Kubrick posizionò l'obiettivo della macchina fotografica
nell'angolo in basso cogliendo i due avversari in una specie di fermo
immagine. D'Amico ha appena assestato un diretto, Walter prepara
il suo braccio destro per sferrare un tiro violento. Tra un round e
l'altro Gleason toglie a Walter il paradenti. Gleason è al telefono e sta
fissando un incontro importante mentre Walter osserva attentamente
57
il suo manager al lavoro. In basso, la pagina è dominata da una foto
che dimostra la visione drammatica che Kubrick ha dello spazio. Ci
troviamo al Roosevelt Stadium di Jersey City, siamo alla prima ripre-
sa e Walter ha appena messo al tappeto Jimmy Mangia sferrandogli
un violento colpo alla mascella. Le corde del ring corrono da destra a
sinistra e da sinistra a destra attraverso l'inquadratura. Walter è ripre-
so a figura intera sulla estrema sinistra della foto mentre avanza vitto-
rioso; Mangia è steso a terra e il giudice incombe sul pugile contando
per siglare la sconfitta. Uno spazio vuoto domina la distanza tra i due
uomini e conferisce all'immagine profondità, dramma e iperrealismo.
Dopo lo scontro, Walter e Vincent camminano per le strade del
Village; un lampione illumina gli uomini da dietro disegnando lun-
ghe ombre. Il fotoreporter si stava trasformando in un artista maturo.
In questo caso Kubrick applicò le sue capacità artistiche di fotografo
a un soggetto che lo affascinava; queste non erano semplici foto scat-
tate per un servizio, come era invece il caso della maggior parte del
lavoro che faceva per <<Loob>. Qui Kubrick stava esprimendo il suo
bisogno di comunicare un'atmosfera, un ambiente: in poche parole
stava diventando un narratore per immagini.
In occasione di un articolo che doveva uscire sul numero del 26
aprile 1949 e che trattava del programma rad iofonico dal ti t o lo
"Stop the Music", Kubrick andò nello studio dell'Abc per fotografa-
re il presentatore Bert Parks mentre parlava al microfono con un
concorrente che era al telefono. Per il numero del lO maggio,
<<Loob> aveva in programma un servizio fotografico di nove pagine
sull'università del Michigan. Kubrick trascorse un po' di tempo nel
campus facendo ritratti fotografici ai professori e scattando foto di
nascosto nelle numerose aree di studio dell'università.
Per un altro servizio Kubrick fotografo Koren der Harootian, lo
scultore di origine armena. Prima di approdare al Metropolitan
Museum, all'epoca in cui non riusciva a trovare una galleria che
esponesse le sue opere, l'artista metteva in mostra i propri lavori in
uno studio vuoto a Washington Square. Successivamente Kubrick
fotografo il lavoro dello scultore svedese Cari Milles. Fotografo anche
forme di arte meno impegnata, andando a una cena organizzata dal
St. Louis Advertising Club, durante la quale fotografo delle creazioni
umoristiche che mettevano in ridicolo il presidente Truman e altri
politici locali. Gli incarichi che gli venivano assegnati spaziavano dal
sublime al ridicolo, incluso un servizio, per il numero del 7 giugno,
sul lancio di una nuova leggerissima linea di abbigliamento sportivo
esibita su un campo da tennis.
Per il numero che uscì il giorno della festa del papà del 1949,
Stanley Kubrick andò a casa di Mr. Television, "Uncle Miltie" ovve-
58
ro Milton Berle. L'articolo comprende una sequenza di quattro foto-
grafie del comico mentre diverte la figlia facendo le boccacce.
Kubrick contribuì al numero del 19 luglio con delle fotografie del
Riviera, del Latin Quarter, del Penthouse Club e di Ezio Pinza sul
palcoscenico di South Pacifù·, in scena a Broadway, che intendevano
presentare uno scorcio di vita notturna newyorkese in un articolo
intitolato «Notti di mezza estate a New York».
Alla metà del 1949 Kubrick iniziò a ottenere numerosi incarichi
su personaggi celebri. Sul numero del 19 luglio trovarono posto
anche una foto di Arthur Godfrey al microfono della Cbs e un
ampio servizio della rubrica "Look Picture Personality" corredato di
una foto dell'attore Montgomery Clift. Sotto al nome di Jack
Hamilton, l'autore del pezzo, comparve di nuovo la scritta
<<Fotografia di Stanley Kubricb> a riconoscimento del suo lavoro.
Kubrick trascorse del tempo con l'enigmatico attore che di lì a poco
avrebbe recitato nel film L'ereditiera diretto da William Wyler, foto-
grafandolo per la strada, sdraiato sul letto mentre legge un copione,
con l'amico attore Kevin McCarthy e mentre guarda con aria
imbronciata fuori dalla finestra del suo appartamento in un edificio
popolare del centro.
Per il numero del 2 agosto, Kubrick realizzò un servizio fotografi-
co su Mr New Year's Eve, fotografando il leader musicale Guy
Lombardo insieme alla sua famiglia nel salotto zebrato della loro
casa e sul palco mentre suona «la musica più dolce di quest'angolo
di paradiso>>. Trascorse una notte a Broadway per realizzare un servi-
zio sul nuovo musical Miss Liberty diretto da Moss Hart, una produ-
zione lrving Berlin-Robert E. Sherwood.
Kubrick continuò a fare fotografie della New York nella quale
viveva e che amava. Una immagine della stazione metropolitana di
Lexington Avenue fu pubblicata nel numero del 16 agosto 1949.
Kubrick seguì il musicista Vaughn Monroe nello studio di regi-
strazione e sul palcoscenico. Gli venne inoltre assegnato l'incarico di
tracciare un profilo su Masterpiece, un barboncino nano giramondo
che aveva vinto più di sessanta premi internazionali. Per il numero
del 13 settembre Kubrick ottenne un incarico più bohémien: il
Beaux Arts Bali al quale partecipavano artisti e studenti d'arte abbi-
gliati con costumi copiati da dipinti surrealisti o classici.
A Kubrick fu accreditata la foto principale di un articolo di sei
pagine su Peter Arno, il cartoonist di «New Yorker>>; scattò delle
fotografie del sofisticato personaggio mentre suonava il piano nella
sua casa a Park Avenue, si alzava dal letto, era nel suo studio con una
modella nuda, andava per locali notturni e dava un appuntamento
all'attrice ventunenne Joan Sinclair.
59
Per il numero del 27 settembre, Kubrick andò a Camden, nel New
Jersey, presso gli uffici del <<Courier-Post» per scattare delle foto alla
giovanissima redattrice Pat White: la seguì a casa, mentre faceva
acquisti e a una lezione di disegno. Andò anche a casa del famoso
pubblicitario John Davies dove c'era un incontro di celebrità per rac-
cogliere fondi per Gentlemen Prefer Blondes, il musical di Jule Styne.
Kubrick fece delle foto all'autrice Anita Loos e ad altri personaggi
famosi, e scattò una sequenza di sei foto a Styne che spiegava lo spet-
tacolo e cercava di trovare dei potenziali finanziatori. Le sequenze
fotografiche realizzate da Kubrick continuavano a mostrare il suo
senso del movimento e dell'azione; Kubrick collocava la macchina in
un punto fisso e scattava delle fotografie a ripetizione come se si trat-
tasse di fotogrammi di un film.
Anche incarichi più prosaici come quello per l'articolo pubblicato
sul numero del 27 settembre dedicato al cellulare della polizia più
sicuro del mondo risvegliavano l'interesse di Kubrick a raccontare
una storia per mezzo di immagini. Egli fotografo l'esterno del cellu-
lare, poi l'interno, un detective che ispezionava il nuovo furgone
della polizia, un primo piano di una calibro 38 di profilo che fa
fuoco contro la parete dell'impenetrabile cellulare, da un'angolazione
complementare una mano che regge un'arma per i lacrimogeni e
infine la figura intera di un uomo con una torcia ad acetilene che
ispeziona le pareti del furgone.
Il 25 ottobre 1949 <<Loob> pubblicò un articolo su Lou Maxon,
capo di un'agenzia pubblicitaria di Detroit, e sulla parata organizza-
ta in suo onore a Onaway nel Michigan. In ambito politico Kubrick
fotografo anche Guy G. Gabrielson, il presidente del partito repub-
blicano, nella sua casa nel New Jersey insieme alla moglie e ai figli.
Entro il temine improrogabile dell'S novembre, Kubrick dovette
scattare delle fotografie per un articolo di sei pagine che trattava di
una storia dal titolo <<La vita di un cane in una grande città>> e che
raccontava di alcuni cani al Club 21, all'Aspca, l'associazione ameri-
cana per la protezione degli animali, in una decappottabile, in un
asilo per cani, dal macellaio e in uno studio veterinario.
Kubrick si recò insieme al direttore tecnico di <<Loob>, il giornali-
sta fotografico Arthur Rothstein, al Wedgwood Bali al Waldorf-
Astoria per un galà: il giovane fotografo ritrasse tutti gli strati della
società. Ed è sempre di Kubrick la foto principale del servizio sulla
protagonista della vita mondana Nancy Oakes, immortalata mentre
b.alla una polka a una festa di beneficenza organizzata per la
Lighthouse far the Blind. La Oakes aveva da poco ottenuto l'annulla-
mento del matrimonio con Alfred de Marigny, il quale era stato
assolto dall'accusa di aver assassinato il suocero nel 1943.
60
Il fotografo ventunenne continuava a mostrare un particolare
talento nel fotografare i bambini. Il numero del 6 dicembre com-
prendeva un servizio fotografico su )ere Whaley, un bambino di
sette anni di Chattanooga nel Tennessee al quale <<Loob> aveva dato
in premio un viaggio a New York e i biglietti per la World Series,
per aver scattato una foto di una corsa di veicoli ricavati da scatole
di sapone con una macchina fotografica avuta per cinquantacinque
centesimi.
«Loob> commissionò a Kubrick anche servizi fotografici meno
prestigiosi, come quando lo inviò al Grand Centrai Terminai per
fotografare una modella che pubblicizzava un nuovo tipo di bagaglio
a mano. Sempre per lo stesso numero della rivista, Kubrick scattò
una fotografia a Buffalo Bob Smith dell'"Howdy Doody Show" in
posa con la sua musa, due giovani ammiratrici e i prodotti presentati
ufficialmente durante lo spettacolo.
Kubrick inaugurò gli anni Cinquanta con una fotografia dell'atto-
re Robert Montgomery al microfono della Abc durante una radiocro-
naca. Sempre sul numero del 3 gennaio trovarono posto due fotogra-
fie di Kubrick che mostravano gli effetti prodotti sul cervello da un
colpo assestato sulla testa di un pugile. Il nuovo decennio fu annun-
ciato con un articolo i;titolato «Il look di metà secolo è illook ame-
ricano>> per il quale Kubrick aveva scattato una fotografia alla
modella Ann Klem prendendola come esempio della donna america-
na ideale. La fotografò insieme al fidanzato Bob, mentre andava a
cavallo, cantava in un coro e in una foto di profilo nella quale sfog-
giava il suo taglio corto.
Per il numero del 17 gennaio Kubrick fece nuovamente una foto a
Dwight Eisenhower, il rettore della Columbia University, che stava
emergendo come la più grande speranza del partito repubblicano per
le elezioni presidenziali del 1952.
Alla fine del mese, «Loob> pubblicò un articolo di due pagine
corredato delle foto che Kubrick aveva scattato a Frank Sinatra e a
Dorothy Kirsten durante un intervento radiofonico alla trasmissio-
ne Light Up Time della Lucky Strike. Quando Kubrick e Marvin
Traub avevano fotografato per la prima volta Frankie, Stanley era un
aspirante fotografo del tutto ignaro del fatto che un giorno sarebbe
stato incaricato ufficialmente di fotografare Sinatra. Si occupò inol-
tre di scattare le fotografie per un articolo di cinque pagine su
Robert A. Taft, il senatore dell'Ohio che si stava ripresentando alle
elezioni; il servizio fotografico seguiva Taft durante le fasi della
campagna elettorale e mostrava i suoi incontri con gli elettori e i
comizi. Le foto colgono l'immediatezza della campagna, pur
mostrando un controllo della composizione da parte del fotografo e
61
un rapporto soggetto-spazio equilibrato. Kubrick contribuì infine a
questo numero della rivista con una foto di una coppia che si dava
ai divertimenti notturni per un articolo dedicato a come godersi la
mezza età.
Per il numero del 14 febbraio Kubrick scattò fotografie per
un'altra storia del tipo <<Il giorno del combattimentO>>; questa volta
si occupò di Rocky Graziano che era stato sospeso dallo Stato di New
York e dall'Illinois durante la sua corsa al titolo di campione dei pesi
medi che si sarebbe conclusa in estate. Proseguiva il connubio tra
l'amore di Kubrick per la boxe e il suo talento di fotoreporter. La
foto d'apertura è costituita da un ritratto dell'entusiasta pugile di
Brooklyn dopo un duro allenamento: Graziano indossa l'accappatoio
e un asciugamano gli avvolge la testa, il suo viso reca i segni di una
vita burrascosa, lo spazio vuoto sulla destra definisce l'immagine
all'interno di una cornice. Una serie di fotografie documenta la sua
giornata tipo: Rocky che fa colazione, che parla al telefono con la
moglie, che promuove l'incontro a una trasmissione radiofonica, che
si pesa, che cammina verso il luogo dell'incontro, che aspetta di esse-
re chiamato sul ring, che cammina attraverso la folla, che sferra un
colpo, che siede nell'angolo in attesa che suoni l'inizio di un nuovo
round; in una foto Rocky si muove minacciosamente verso l'avversa-
rio. Il servizio termina con un'immagine di Graziano che parla con
un giornalista del << World-Telegram» al termine dell'incontro. La
sequenza è una sintesi di tempo, noia, tensione e della drammaticità
insita nella giornata della vita di un pugile.
Nel numero di <<Loob> del 14 marzo fu pubblicata una serie di
fotografie scattate da Kubrick al maestro Leonard Bernstein insieme
a Serge Koussevitsky (l'ex direttore della Boston Symphony),
all'attrice Stella Adler, ai musicisti Oscar Levant, Aaron Copland e al
pianista William Kapell. Per l'uscita del 28 marzo Kubrick trascorse
una giornata al quiz radiofonico Quick as a Flash della Abc e foto-
grafo i concorrenti, il conduttore Bill Cullen e le attrici ospiti Gene
Tierney e Mercedes McCambridge.
Kubrick era un grande appassionato di baseball e per il numero
dell'Il aprile <<Loob gli offrì la possibilità di realizzare un servizio
fotografico su Don Newcombe, il lanciatore dei Dodgers di
Brooklyn. Anche in quel caso Kubrick realizzò una sequenza foto-
grafica che iniziava con un primissimo piano sul volto di Newcombe
mentre lancia la palla; la nona foto della serie è l'immagine di un
Newcombe fiducioso che guarda la palla raggiungere la base.
Sul numero di <<Loob del 9 maggio furono pubblicati due ritratti
fotografici realizzati da Kubrick: il primo era quello di Ken Murray
alla ricerca di sette belle ragazze da inserire nello spettacolo Tv della
62
Cbs e il secondo era un servizio su Phil Rizzuto, l'interbase degli
Yankees; la foto principale ritrae Rizzuro in attesa del suo turno alla
battuta accanto a Joe DiMaggio, la leggenda degli Yankees. Altre
immagini mostrano Rizzuto mentre gioca a carte con Yogi Berra o
mentre scherza con illanciatore Vie Raschi.
Con il numero del 23 maggio Kubrick tornò alla politica scattan-
do un sorridente ritratto di Theodore Roosevelt III. Contribuì al
numero del 6 giugno con un servizio fotografico su un'altra delle sue
passioni: il jazz. Kubrick scattò delle significative fotografie dei
musicisti jazz George Lewis, Eddie Condon, Phil Napoleon, Oscar
Celestin, Alphonse Picou, Muggsy Spanier, Sharkey Banano e altri
artisti ripresi nei nightclub.
Kubrick realizzò una descrizione per immagini del gioco radiofo-
nico "Double or Nothing", trasmesso dalla Nbc, nel quale venivano
selezionati due vincitori tra il pubblico degli studi di Chicago.
Per il numero del 20 giugno ritornò allo stadio per fotografare il
commentatore radiofonico dei Giants, Russ Hodges. Per il numero
del 18 luglio Kubrick realizzò un servizio fotografico sulla diciot-
tenne esordiente Betsy von Furstenberg mentre faceva un'audizione
per il produttore Gilbert Miller, chiacchierava con altre attrici esor-
dienti, se ne stava comodamente sdraiata accanto a un ex fidanzato
sotto il quadro di Picasso Bevitrù·e di assenzio, e mentre giocava a ten-
nis. Il servizio terminava con una foto a tutta pagina di Betsy seduta
alla finestra dell'hotel dove alloggiava mentre leggeva un copione
del commediografo inglese Christopher Fry; l'immagine presa di
profilo era poco contrastata e centrata secondo il canone classico, con
la finestra, le tende e un altro hotel di New York sullo sfondo, men-
tre le lunghe gambe di Betsy si raccoglievano lungo il lato del telaio
della finestra. Kubrick contribuì anche al numero del 18 luglio con
due fotografie scattate per un articolo sull'equipaggiamento da cow-
boy per bambini. La prima ritrae due giovani cowboy che controlla-
no le reciproche attrezzature; sull'altra c'è Roy Rogers che mostra a
due bambine come far roteare il lazo di Rogers che si poteva acqui-
stare nei grandi magazzini.
Per il numero del l agosto Kubrick scattò delle foto in posa che
dovevano illustrare un articolo intitolato: «Tutto quello che un ado-
lescente dovrebbe sapere sugli appuntamenti>>. Si tratta di una serie
di foto dimostrative che visualizzano i suggerimenti forniti in un
articolo di Evelyn Millis Duvall, consulente del National Council on
Family Relations. Kubrick fotografò i modelli adolescenti negli
ambienti da loro normalmente frequentati per mostrare come si
affronta un appuntamento nel modo più appropriato. Sempre per lo
stesso numero di <<Loob> Kubrick scattò diverse fotografie del can-
63
tante e cow-boy Gene Autry oltre a un servizio sul jazzista Erroll
Garner per la rubrica "Record Guide". Per il numero del 15 agosto
Kubrick si occupò della foto di copertina e delle foto per l'articolo
della rubrica "Picture Personality" sulla star televisiva Faye Emerson.
In qualità di fotografo della rivista «Loob>, Kubrick faceva parte
della comunità di fotografi di New York; lo staff della rivista l'aveva
accolto in virtù del suo talento. Il suo lavoro catturò l'attenzione
anche della fotografa Diane Arbus che invitò spesso il ventiduenne
Kubrick a trascorrere il sabato sera nell'appartamento di un attore al
Village e a partecipare al gioco dei mimi: gli incontri erano un'occa-
sione per gente di teatro, personaggi televisivi e attori cinematogra-
fici per incontrarsi e divertirsi cercando di decifrare i titoli di vecchi
film e di commedie di Broadway mimati dai partecipanti.
In quel periodo Diane Arbus e suo marito Allan erano dei fotografi
di moda molto noti, le cui fotografie erano apparse sulle pagine di
«Vogue>> e di «Glamour>>. Alla fine Diane iniziò ad allontanarsi
dalla fotografia commerciale, ossessionata dall'idea di voler fotogra-
fare il mondo nascosto che riusciva a vedere attraverso l'obiettivo
della sua macchina fotografica. I suoi "scom~di" ritratti dei perso-
naggi emarginati dalla società ebbero un tremendo impatto sia sui
fotografi che sui registi. La sua famosa foto delle gemelle identiche
in piedi una accanto all'altra divenne la copertina di una monografia
pubblicata in occasione di una mostra dei suoi lavori al Museum of
Modern Art, dopo il suo suicidio avvenuto nel 1971. Guardando la
foto in bianco e nero delle due bambine non proprio sorridenti e con
gli occhi da cerbiatto che stanno in piedi dritte con le braccia rigide,
risulta difficile non pensare alle figlie di Grady in Shining. Una volta
Diane Arbus disse. <<Niente è mai così come dicono che sia. Ed è
quello che non ho mai visto prima che io riesco a riconoscere>>.
<<A quell'età mi divertivo enormemente, alla fine però quell'espe-
rienza iniziò a esaurirsi, soprattutto perché da sempre la mia vera
ambizione era fare del cinema>>, disse Kubrick a Miche! Ciment par-
lando della sua esperienza alla rivista «Loob>. «Gli argomenti degli
incarichi che mi venivano assegnati da "Look" erano generalmente
piuttosto stupidi. Mi occupavo di storie come «Un atleta è più forte
di un bimbo?>> fotografando un giocatore di football che cercava di
emulare i "teneri" movimenti di un bambino di quindici mesi. Ogni
tanto avevo la possibilità di fare un servizio fotografico su una perso-
nalità interessante, come ad esempio il servizio su Montgomery Clift
che era all'inizio di una brillante carriera. Sicuramente la fotografia
mi ha dato il primo impulso verso il cinema. Per fare un film tutto
da solo, come ho fatto da subito, l'unica cosa che devi conoscere vera-
mente è la fotografia, il resto puoi anche non saperlo>>.
64
Capitolo 3
«Adesso sapeva di voler fare il regista>>

«Stanley arriva preparato come un pugile


pronto a un grande incontro,
sa esattamente quello che sta facendo,
dove sta andando e ciò che vuole realizzare».
Walter Cartier

Dopo essersi diplomato al William Howard Taft nel giugno del


194 5, Alexander Singer, l'amico di Stanley Kubrick, iniziò un pro-
cesso che lo portò ad abbracciare la professione di regista. Sull'an-
nuario leggiamo di lui: «Le sue ambizioni? Artista, autore, musici-
sta e questo è niente: Alex ha davvero qualcosa in mente!>>.
Singer si interessava di fotografia, ma il suo primo obiettivo
d'artista era dipingere e illustrare le sue storie originali. Oltre alle
lezioni di arte seguite al Taft, Singer studiò alla Art Students League
di Manhattan, visitò musei e si circondò di un ambiente dagli inte-
ressi simili ai suoi. I risultati scolastici conseguiti nelle materie arti-
stiche erano i migliori. Ma giunto all'ultimo anno del Taft, Singer
decise che se non poteva essere Rembrandt non voleva neppure esse-
re un pittore. Il lavoro registico cominciò ad attrarlo; il mezzo era
ancora in via di formazione se confrontato con la lunga tradizione di
cui beneficiava la pittura. Carico del desiderio di esprimere il suo
amore per il racconto, per la musica, la fotografia e l'arte- un seme
coltivato dal suo insegnante di arte al Taft, Herman Getter -
Alexander Singer decise di diventare regista.
La decisione di Singer esercitò una significativa influenza su
Stanley Kubrick che osservava tranquillo la metamorfosi del suo
amico. «A diciassette anni decisi di diventare regista, scrivendo,
dirigendo e producendo i miei film>>, ricorda Singer. «Sarebbe stato
un lavoro duro, quindi pensai di scegliere qualcosa che amavo molto
perché avrei potuto passare degli anni a lavorare a quest'impresa:
scelsi l'Iliade di Omero. Lessi cinque versioni dell'opera, consultai
un sacco di libri sulla civiltà greca e iniziai a scrivere un trattamento
di centoventicinque pagine che portai a termine. Poi feci una serie
di novecento disegni che illustravano la caduta di Troia. La disponi-
bilità di Stanley quando gli fu mostrato il progetto lo spinse a con-
tinuare. Fu come dire: "Sì, sei un tipo del Bronx, sei a mille miglia
65
di distanza da quel mondo, e allora? Puoi farcela". Era uno di quei
sogni di gloria che fanno gli adolescenti che camminano a lunghi
passi per le vie del Bronx pieni di desideri impossibili».
Faith Hubley, creatrice di lungometraggi d'animazione, ricorda i
due ragazzi che attraversavano il quartiere cinematografico di New
York vicino a Times Square. Singer aveva il suo quaderno pieno di
appunti dettagliati e di idee per un adattamento del capolavoro di
Omero e Kubrick aveva il suo personale legame con la parola scritta.
<<Stanley se ne andava in giro con un libro di versioni ridotte dei
classici della letteratura. Fermava le persone al 1600 di Broadway e
domandava: "Dostoevskij, che ne pensa?". Non riusciva a pronuncia-
re 1 nomt».
Singer decise che la Mgm era il posto giusto per la produzione della
sua Iliade; Kubrick disse all'amico che poteva far avere la sceneggia-
tura a Dore Schary, il produttore esecutivo della Mgm, attraverso un
redattore di <<Look» che conosceva. La sceneggiatura fu inviata e
finalmente Singer ricevette una risposta da Schary. <<Fu molto genti-
le», ricorda Singer. <<Scrisse: "La ringrazio per avermi mandato in
visione la sceneggiatura, ma quest'anno stiamo girando Quo vadis? E
facciamo un film di questo genere solo una volta ogni dieci anni"».
Singer iniziò a esplorare la scena cinematografica di New York e
scoprì il lavoro di Ejzenstejn, di Pudovkin e dei primi registi tede-
schi, insieme al surrealismo e alla sua evoluzione nel cinema speri-
mentale francese. Alex portava con sé il suo amico Stanley e nei due
ragazzi l'originaria passione per la fotografia, l'arte e la letteratura si
mutò nell'interesse per l'ultimo mezzo espressivo del ventesimo
secolo: la regia. <<Portai Stanley a vedere queste cose>>, ricorda Singer.
<<Per lui io ero uno strumento di rivelazione ed era elettrizzato da
tutto quanto. Lo portai a vedere Aleksandr Nevskij, ascoltammo la
partitura di Prokof'ev per la battaglia sul ghiaccio e Stanley non si
riprese mai più. Comprò il disco e continuò ad ascoltarlo finché non
fece impazzire sua sorella Barbara. Continuava a metterlo ancora e
ancora finché lei non ruppe il disco in un accesso di rabbia. Stanley
è ... penso che il termine "ossessivo" sia adeguatO>>.
Sia Stanley che Alex erano cresciuti guardando film hollywoodiani
ma questo iniziale contatto con l'arte cinematografica sortì un effetto
differente sullo sviluppo dei loro obiettivi immediati: Alexander
Singer decise di diventare regista, mentre Stanley Kubrick, con il
suo talento fotografico e le sue notevoli conoscenze nel campo, decise
di diventare direttore della fotografia.
Kubrick risparmiava giudiziosamente il denaro guadagnato alla
rivista <<Loob> per il suo futuro artistico. Trascorreva molto tempo
leggendo i classici di Joseph Conrad, Fedor Dostoevskij e Franz
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Kafka. Alexander Singer costruiva la sua carriera in campo cinema-
tografico ottenendo un lavoro come fattorino alla Time lnc., dove
veniva prodotto il cinegiornale "The March of Time"; la serie di
Louis de Rochemont gli offriva la possibilità di osservare dall'interno
i meccanismi sui quali si basava la regia del documentario.
"The March of Time" fu creata dalla Time lnc. nel 1935 sotto
l'egida del produttore Louis de Rochemont, sulla scia della serie
radiofonica di successo di Roy Larsen che aveva lo stesso nome, e
attingeva alle risorse della rivista «Time>> per rivoluzionare il giorna-
lismo cinematografico. I servizi erano concepiti in modo da essere
mostrati nei cinematografi prima della proiezione del film, duravano
quindici-venti minuti e fornivano notizie e informazioni agli spetta-
tori. A metà strada tra il cinegiornale classico e le tecniche docu-
mentaristiche, i film di "The March of Time" diedero origine a uno
stile che finì per ispirare i telegiornali. La serie terminò nel 1951,
quando la televisione fece proprio quel modello di notiziario. Lo
stesso Orson Welles immortalò il modello utilizzato da "The March
of Time" nel film che segnò il suo debutto, Quarto potere, creando un
cinegiornale che ripercorreva la vita di Charles Foster Kane.
Alex e Stanley decisero di realizzare un cortometraggio. Alex
sarebbe stato il regista e Stanley l'operatore. Singer, che al Taft aveva
collaborato alla rivista letteraria, decise di scrivere un breve racconto
che avrebbe potuto essere adattato a breve soggetto per un film.
«Parlava di alcuni adolescenti sulla spiaggia e di un amore malinco-
nico, un incontro casuale che non andava a buon fine. Una tipica
esperienza da ragazzi>>, ricorda Singer. Dopo aver terminato il breve
copione, Singer in qualità di regista decise di utilizzare le sue capa-
cità artistiche per creare una serie di disegni illustrativi, oggi più
comunemente noti come story board, che descrivevano il contenuto
di ciascuna scena. Il regista Singer affermò chiaramente che avrebbe
deciso dove disporre la macchina da presa in ogni momento del film.
Quando la breve sceneggiatura e lo story board furono pronti,
Singer e Kubrick programmarono un incontro per discutere della
realizzazione della storia. «Non lo dimenticherò mai perché fu un
momento topico nella mia formazione artistica. Eravamo al piano
superiore dell'autobus a due piani che percorreva la Quinta strada e
discutevamo in modo terribilmente serio. Gli avevo appena dato la
sceneggiatura e i disegni. Sentivo che Stanley non avrebbe accettato
troppo facilmente l'idea che io avessi specificato ogni singola posi-
zione della macchina da presa nel corto. Lesse tutto, guardò i disegni
e disse: "È bello Alex, dovresti farlo da solo. Mi hai tolto ogni possi-
bilità di scelta, non rimane altro che riempire i fotogrammi e per
farlo sono sufficienti un po' di conoscenza della fotografia e un po' di
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pratica, la vera parte creativa e le vere scelte sono già state attuate".
E quella è stata l'ultima volta che abbiamo discusso su chi avrebbe
comandato se avessimo lavorato insieme. Da quel momento in poi
era Stanley che dirigeva la baracca sulla base del fatto che aveva non
solo il talento ma anche i mezzi economici per realizzare il sogno.
Adesso sapeva di voler fare il regista. E non voleva essere regista nel
senso più stretto della parola, voleva esercitare un controllo totale,
ponendo la fotografia sotto la propria egida, e anche il montaggio».
Sicuro di avere la sensibilità e la voglia necessarie per controllare la
realizzazione del proprio film, Stanley Kubrick utilizzò il progetto
registico di Alexander Singer come catalizzatore dal quale trarre
ispirazione per creare, dirigere e produrre il suo primo film.
Era il 1950, Stanley Kubrick era diventato maggiorenne ed era
pronto a lasciarsi alle spalle il ruolo di bambino prodigio del giorna-
lismo fotografico alla rivista <<Loob>; decise ·che era tempo di realiz-
zare il suo primo film. Il cinema, sin dalle lunghe ore passate davan-
ti allo schermo del Loew's Paradise, aveva dominato i suoi sogni. Era
stato circondato da grandi narratori nella ben fornita biblioteca del
padre e portava con sé il ricordo delle immagini che aveva realizzato
per il suo lavoro di fotografo. Aveva bazzicato il circuito delle galle-
rie d'arte di New York, il programma cinematografico del Museum
of Modero Art e dell'Amos Vogel's Cinema 16, sala alternativa per i
film sperimentali e fuori dagli schemi.
Stanley Kubrick non aveva una cultura registica formale, della
quale era comunque possibile disporre solo in minima parte: la lette-
ratura esistente sulla cinematografia era scarsa, e in quegli anni erano
poche le produzioni realizzate a New York. Il mezzo televisivo ini-
ziava a emergere ma non lo attraeva, la scena teatrale newyorkese
costituiva un terreno stimolante per un regista emergente ma
Kubrick non era un uomo di teatro. Aveva imparato da sé a fare il
fotografo per mezzo dell'esperienza pratica e imparando dagli altri.
Sulla costa orientale non c'era un solo posto dove poter fare appren-
distato nel settore cinematografico e Stanley non sentiva il richiamo
di Hollywood. Considerato tutto ciò, Stanley era determinato a fare
l'autodidatta: avrebbe imparato da solo a fare il regista.
La sua eterna curiosità lo spinse a chiedere a Singer di scoprire
quanto costasse realizzare un servizio per "The March of Time".
Grazie alla possibilità di accedere direttamente alle informazioni,
Singer riuscì a sapere che de Rochemond spendeva fino a 40.000
dollari per un cortometraggio della durata di otto, nove o dieci
minuti. Guidato dall'arroganza tipica dei giovani, Kubrick annunciò
che sarebbe riuscito a fare lo stesso con 1.500 dollari e programmò
di utilizzare il gruzzolo che aveva risparmiato lavorando per «Loob>.
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Per il soggetto del suo primo cortometraggio, Kubrick attinse al
suo lavoro di fotoreporter e scelse la serie di venti fotografie che
aveva realizzato sul pugile dei pesi medi Walter Cartier per l'articolo
«Pugile professionista>> pubblicato nel numero di <<Loob> del 18
gennaio 1949. L'idea era quella di realizzare una produzione indi-
pendente e di vendere il cortometraggio una volta ultimato.
<<Pensavamo che se ne sarebbero potuti ricavare migliaia di dolla-
ri», spiega Alexander Singer. <<Eravamo ben lontani dall'avere
un'idea del reale funzionamento delle cose. La verità era che non
venivano pagati proprio. I corti per i quali erano disposti a darti
qualcosa erano i soliti sketch comici interpretati da qualche perso-
naggio del varietà, non il tipo di servizio sportivo che avevamo
intenzione di realizzare, che apparteneva al genere usa e getta.
Quello che però sapevamo era che circolavano servizi sportivi di
basso livello, spazzatura. Non nutrivamo alcun dubbio sul fatto che
avremmo potuto conferire un impatto e una forza maggiori di quelli
generalmente espressi in quei prodotti e che ogni parte del nostro
progetto poteva essere realizzata in modo magistrale. L'idea di
Stanley di utilizzare il servizio fotografico come base per Day of the
Fight fu davvero ispirata: non solo gli elementi drammatici erano
compressi in modo meraviglioso ma il soggetto stesso, Walter
Cartier, era un eroe da manuale. Walter Cartier era bello e capace.
Era certamente fotogenico, e anche suo fratello, Vincent, era fotoge-
nico: erano entrambi delle figure meravigliose>>.
Kubrick scelse di intitolare il suo cortometraggio Day of the Fight,
traendo spunto da <<The Day of a Fight>>, il titolo utilizzato per il
servizio pubblicato da <<Loob> sulla giornata di Walter Cartier che si
prepara per l'incontro con il peso medio Tony D'Amico al Jerome
Stadium. Non più tardi del 14 febbraio 1950, Kubrick aveva scatta-
to delle fotografie per illustrare l'articolo di <<Look>>, <<Rocky
Graziano, He's a Good Boy Now>>, sul pugile Rocky Graziano, con
la frase in neretto: <<The Day of the Fight Is a LongOne>>.
L'idea alla base del cortometraggio era filmare una giornata tipo
nella vita di un pugile che si prepara a salire sul ring. Dopo il servi-
zio realizzato per <<Loob>, Kubrick aveva instaurato un buon rappor-
to con Walter e con Vincent Cartier; Walter aveva preso in simpatia
il giovane fotografo e ne rispettava la professionalità e il talento.
Oltre a essere il soggetto del cortometraggio, Walter svolgeva anche
ii ruolo di consulente tecnico del progetto. Walter Cartier e Stanley
Kubrick condividevano il desiderio di realizzare un film accurato che
si situasse ai vertici qualitativi del suo genere.
Bernard Cooperman, compagno di scuola di Kubrick, dopo il
diploma aveva seguito il suo interesse per l'elettronica e aveva appe-
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na costituito una società quando andò a trovare Kubrick e sua
moglie Toba Metz nel loro appartamento al 3 7 Ovest della
Sedicesima strada. «Era un piccolo appartamento al pianterreno,
c'era il camino>>, ricorda Cooperman. «Mi chiese di occuparmi della
registrazione del suono del suo primo film; trattava di un pugile
professionista. Successivamente cercò di convincermi conducendomi
da qualche parte su un taxi. Non lo avrei fatto. Gli dissi che non
potevo perdere tempo, ma la realtà era che avrei perso tempo se solo
avessi saputo cosa fare, mentre non ne avevo proprio alcuna idea>>.
Walter Cartier è morto il 16 agosto 1995, all'età di settantatré
anni. Suo fratello Vincent ha esercitato la professione di avvocato per
quarantacinque anni e, ripensando al rapporto tra Walter e il futuro
regista Stanley Kubrick, ha raccontato: «Walter aveva un'alta consi-
derazione di Stanley. Più volte disse che Day of the Fight avrebbe fini-
to per diventare un classico tra i documentari sulla boxe, perché
Stanley era così coscienzioso e preparato. Walter era solito dire:
"Stanley arriva preparato come un pugile pronto a un grande incon-
tro, sa esattamente quello che sta facendo, dove sta andando e ciò che
vuole realizzare. Conosceva gli ostacoli che avrebbe incontrato e li ha
superati". Walter lodava Stanley dicendo: "Vincent, siamo parte di
un film sulla boxe che diventerà un classico. Non ci può essere nien-
te di meglio perché è autentico e io contribuisco a renderlo autenti-
co. Sono orgoglioso, dovremmo essere orgogliosi del nostro contri-
buto". Walter forniva dei consigli tecnici su ciò che necessariamente
doveva esserci in un film sulla boxe. Stanley gli faceva delle doman-
de, voleva essere autentico. Lavoravano molto bene insieme>>.
Kubrick aveva visto un documentario sulla boxe incentrato sul
peso massimo Roland LaStarza e pensava di poter fare di meglio.
Cartier era il soggetto perfetto: un pugile professionista di
bell'aspetto con i modi di un gentiluomo. Quando iniziò a lavorare
a Day of the Fight, Kubrick aveva ventun anni; Walter e Vincent
Cartier erano due gemelli identici di ventotto anni nati nel Bronx il
22 marzo 1922. I due ragazzi si esibivano in incontri di boxe a
Woodstock, nel Connecticut e in fiere di paese; i match erano arbi-
trati dal loro fratello maggiore. Spesso Walter veniva messo al tap-
peto in una ripresa e Vincent in quella successiva e al termine
dell'ultimo round l'incontro finiva in parità. In marina i fratelli
Cartier parteciparono a incontri di boxe in luoghi quali il Chicago
Pier. Walter iniziò a partecipare ad alcune competizioni. Dopo aver
prestato servizio militare durante la seconda guerra mondiale,
Walter si congedò e ritornò nel Connecticut per allenarsi a diventare
un pugile professionista. La zia invitò i nipoti a vivere con lei al
Greenwich Village.
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In princtpiO Walter combatteva con il nome di Wally "Twin"
Carter. I Cartier erano di origine irlandese, il nonno era violinista
nella Boston Symphony Orchestra e cambiò il cognome da
McCarthy a Carter e infine a Cartier. A New York, Walter si allena-
va nella palestra del suo manager Bobby Gleason, la leggendaria
Gleason's Gym nel Bronx.
Quando Stanley Kubrick conobbe Walter Cartier e lo avvicinò per
il servizio sulla rivista «Loob>, questi era un pugile di grande rilievo
che si era allenato per affrontare dapprima incontri a quattro riprese,
poi a sei, a otto, per arrivare infine ai grossi incontri.
Per la sequenza di Cartier che si prepara all'incontro con il peso
medio di colore Bobby James, Kubrick passò del tempo con
Vincent, che era presente a tutti gli incontri del fratello, e con
Gleason. Osservò i rituali che precedevano l'incontro. Kubrick rivol-
se la sua straordinaria e insaziabile curiosità verso Walter Cartier e
poneva domande all'esperto campione mentre organizzava la sequen-
za che precedeva l'incontro sul ring, frazionandola in inquadrature.
Ascoltava i consigli tecnici che gli venivano dati dal pugile. «Walter
diceva: "Stanley, questa sarebbe una bella inquadratura, perché non
la riprendi?">>, ricorda Vincent. «Stanley ci pensava su e poi prende-
va una decisione rapida, accettava di buon grado i consigli che gli
venivano offerti».
«Stanley era un tipo stoico, impassibile ma dotato di grande imma-
ginazione e con le idee solide e decise», ricorda Vincent Cartier.
<<Incuteva rispetto in modo tranquillo, timido. Lo assecondavi in
qualunque cosa volesse, ne rimanevi incantato. Tutti quelli che lavo-
ravano con Stanley facevano esattamente quello che Stanley voleva.
Diceva a nostra zia: "Signora Cartier, potrebbe mettersi qui?
Potrebbe fare così?" e lei lo faceva. Incuteva un rispetto così calmo e
positivo. È una persona che trasmette calma, non c'è chiasso quando
si lavora con Stanley. C'è calma e ci sono direttive semplici e chiare,
niente contrasti, niente obiezioni. Vedevi che sapeva cosa stava facen-
do. Sapeva cosa voleva. Era molto concentrato. Stanley era discreto, si
limitava ad andarsene in giro con passo pesante e goffo con in mano
un esposimetro e scattando fotografie classiche in bianco e nero.
Faceva lunghi passi e camminava piuttosto incurvato, tuttavia si
muoveva con una grazia difficile da descrivere. Indossava sempre una
giacca sportiva, un paio di pantaloni sformati con le tasche piene di
roba e st:arpe con la suola di gomma; aveva sempre la cravatta.
Sollevava l'esposimetro, faceva un passo indietro e scattava la foto.
Era completamente dedito al dovere, non amava scherzare; era molto
timido ma sicuro. Stanley era molto sicuro di sé ma riuscivamo a
scherzare con lui e di tanto in tanto a farlo ridere. Lo abbracciavamo
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un po' e gli dicevamo: "Lasciati andare Stanley, lasciati andare", allo-
ra lui rideva e andava avanti. Stanley era una persona estremamente
intelligente e molto riservata: era difficile decifrarlo. Non si vantava
mai, non si pavoneggiava mai, non ostentò mai nulla, anche quando
uscì l'articolo su «Loob>. Non si crogiolò mai nelle lodi né si vantò
di quanto grandioso fosse l'articolo. Era una persona sincera e mode-
rata. Alcuni geni mostrano la loro vanagloria, lui no».
Kubrick trascorse del tempo con Walter e Vincent Cartier e con la
zia, nel loro piccolo appartamento sulla Dodicesima Ovest al
Greenwich Village, cogliendo la loro routine giornaliera. Cercava di
realizzare una trasposizione filmica realistica della vita di Cartier,
tuttavia decise di aggiungere dei toccl;ti di colore, tecnica che aveva
appreso negli anni di lavoro a «Look»; uno di questi fu l'idea di dare
un cane a Walter.
Kubrick diresse i fratelli Cartier nei normali rituali mattutini
dopo aver appreso delle loro abitudini. «Voleva sapere qual era la tua
routine quotidiana. Ti chiedeva: "Walter, qual è la prima cosa che fai
quando ti svegli al mattino?". "Beh", rispondeva Walter, "ci alziamo
e facciamo colazione". "E cosa fate esattamente?". "Di solito è
Vincent che mette su l'acqua per il porridge". Al che Stanley diceva:
"Bene, allora domani mattina riprendiamo la scena". Ecco come face-
vamo. Funzionava bene. Non faceva nessuna vera prova. Era tutto
così rapido. Una volta fatto, era tutto finito. Non era un continuo
girare e girare di nuovo. Quello che faceva era fotografare - e non
creare - la giornata tipo di un incontro di pugilato. Predisponeva la
scena», ricorda Vincent. <<Stanley diceva: "Walter, stiamo per girare
la scena del tuo risveglio al mattino: voglio che tu ti alzi da questo
lato del letto, cammini, ti stiri e sbadigli"».
Kubrick seguiva Walter al suo ristorante preferito del Village, lo
Steak Joint sulla Greenwich Avenue, dove ordinava una bistecca per
pranzo prima di riprendere gli allenamenti. Walter era un uomo
profondamente religioso e andava a messa alla Saint Francis Xavier
Church tra la Sedicesima strada e la Sesta Avenue. Kubrick portò la
Eyemo da 35mm alla chiesa per filmare i due fratelli che assistevano
alle funzioni prima dell'incontro. Durante la sequenza in cui Vincent
era nello spogliatoio insieme al fratello e lo aiutava a prepararsi per il
combattimento, Kubrick riprese Vincent che sfilava la catenina con
la medaglietta di San Giuda dal collo del fratello.
Nel soggiorno di Walter e Vincent c'era una scacchiera; Kubrick
guardava giocare i due ragazzi ma non fece mai una partita con loro.
Circa un anno dopo aver terminato Day of the Fight incontrò i due
fratelli e disse loro che giocava a scacchi al Washington Square Park
e che si era unito a un club di scacchi del Village.
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Kubrick iniziò la sua carriera professionale nel cinema come regista
a rutto tondo: <<Facevo l'operatore, il regista, il montatore, l'assisten-
te al montaggio, mi occupavo degli effetti speciali: lei dica una cosa,
io l'ho fatta. È stata una esperienza dal valore inestimabile perché,
essendo costretto a fare tutto da solo, ho acquisito una solida capacità
di cogliere globalmente gli aspetti tecnici che gravitano intorno alla
regia>>, disse Kubrick in un'intervista rilasciata a Joseph Gelmis per
il suo libro The Film Director as Superstar, uscito nel 1970. Lavorando
con una Eyemo con trenta metri di pellicola 35mm in bianco e nero,
Kubrick scoprì ben presto di essere stato eccessivamente ottimistico
sul budget: coprì i costi effettivi di 3.900 dollari con i suoi risparmi.
«Feci di tutto: da tenere un libro dei conti a sonorizzare il tonfo dei
pugni>>, disse Kubrick a Gene D. Phillips. <<Non avevo idea di quel-
lo che stavo facendo ma sapevo che avrei potuto fare meglio della
maggior parte dei film che vedevo in quegli anni».
Il climax di Day of the Fight è costituito dal grande incontro per il
quale Walter Cartier si era tanto allenato, l'incontro con il peso
medio Bobby James. La sequenza fu ripresa nel corso del combatti-
mento, che si svolse il 17 aprile 1950 al Laurei Gardens di Newark,
New Jersey. La ripresa rispose perfettamente alle esigenze del docu-
mentario. Kubrick aveva una sola opportunità di riprendere l'incon-
tro dal vivo su una pellicola 35mm in bianco e nero. Il combatti-
mento vero e proprio fu l'unica occasione nella quale vennero utiliz-
zate due macchine da presa: Alexander Singer operava con la secon-
da, anch'essa una Eyemo da 35mm in bianco e nero. Kubricksperava
nella vittoria di Cartier ma comunque andasse vedeva la drammati-
cità insita nella storia che stava raccontando. Il primo incontro di
Cartier che Kubrick aveva fotografato per <<Loob> era stato quello
con Tony D'Amico, interrotto dopo che W alter aveva incassato un
colpo alla testa che gli aveva causato un vistoso taglio all'occhio
destro. D'Amico aveva vinto per k.o. tecnico. Nel secondo incontro,
un'eliminatoria per il campionato Tony Zale-Marcel Cerdan al
Roosevelt Stadium di Jersey City, con un dritto alla mascella Walter
aveva messo al tappeto Jimmy Mangia al primo round.
Per Day of the Fight, Kubrick e Singer ripresero l'intero incontro
tra Cartiere James, ciascuno consapevole del fatto che l'altro cercava
di riprendere l'intero evento in modo tale che in fase di montaggio
potesse essere ricreata la totalità dell'avvenimento ripreso dal vivo.
Kubrick si occupò di effettuare delle riprese tenendo in mano la
macchina da presa, mentre Singer utilizzava la seconda Eyemo fissata
su un treppiede. Entrambi usavano bobine di pellicola da trenta
metri che richiedevano di essere costantemente ricaricate. A quel
tempo esistevano anche dei caricatori per bobine di pellicola da cen-
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roventi metri di lunghezza ma il loro utilizzo avrebbe richiesto dei
costi aggiuntivi e un carico ulteriore per la macchina a mano gestita
da Kubrick.
<<Stando io a una macchina e Stanley all'altra, le riprese erano
alquanto impegnative e febbrili. Dovevamo farcela. Dovevamo
riprendere tutto, senza le riprese dell'incontro non ci sarebbe stato
alcun documentario>>, dice enfaticamente Singer. Durante il combat-
timento, la macchina da presa colse un primo piano di una giovane
donna che incitava i pugili; si trattava di Judy, la fidanzata di Alex-
ora sua moglie da quarantacinque anni. Judy scrive racconti e sce-
neggiature e Singer la chiama: <<Amica mia, amore mio>>.
Kubrick riprese uno dei momenti più impressionanti della sequen-
za: in un'inquadratura realizzata dal tappeto del ring, la macchina da
presa riprende i due pugili mentre si colpiscono al di sopra della
macchina stessa. L'unico punto di riferimento dell'immagine è costi-
tuito da una luce che viene dall'alto e i totali rivelano che sul soffitto
del Roosevelt Stadium c'erano diverse luci. In questo modo sembra
che Kubrick fosse sdraiato nel centro del ring mentre i pugili com-
battevano sopra di lui. L'incontro doveva essere filmato dal vivo
senza possibilità di essere ricreato; per questo motivo quando i pugi-
li si trovavano a una ragionevole distanza dalle corde Kubrick allun-
gava il braccio mantenendolo rasente al tappeto e puntava la Eyemo
dritta verso i due uomini filmando "alla cieca" per cogliere la ripre-
sa, atteggiamento comune tra i giornalisti che dovevano scattare
delle fotografie al di sopra della folla o di altri ostacoli che impediva-
no la visuale dell'obiettivo della macchina fotografica.
Quando Walter Cartier sferrò il pugno del k.o. battendo Bobby
James al secondo round, Alexander Singer era là, pronto a cogliere il
momento culminante del documentario. <<Stanley mi ha sempre
riconosciuto il merito di aver catturato l'immagine del pugno del
k.o. Durante l'incontro corsi e arrivai proprio nel punto dove avrei
dovuto essere per cogliere l'immagine del pugno - nel raccontarlo
Stanley lo precisava sempre: era un modo carino di rendere omaggio
a un altro fotografo, a un altro professionista - ma quello che vedevi
osservando Stanley al lavoro per Day of the Fight era lo Stanley
Kubrick che conosciamo tutti. Era un professionista completo e que-
sta è un~ cosa molto rara>>.
Il cinegiornale "The March of Time" stava per chiudere i battenti,
così Kubrick rifiutò un'offerta che ammontava a una cifra inferiore a1
budget e alla fine vendette il documentario completo, della durata di
sedici minuti alla Rko-Pathé per 4.000 dollari, ricavandone quindi
un profitto complessivo di 100 dollari. Senza battere ciglio, l'intra-
prendente Kubrick riuscì ad assicurarsi un finanziamento di 1.500
74
dollari per realizzare un secondo cortometraggio per lo studio. I diri-
genti della Rko-Pathé dissero a Kubrick che 3.900 dollari era la
somma più alta che avessero mai pagato per un cortometraggio.
Stanley Kubrick era un ottimo studente di cinema. Guardando i
film e comprendendo le strutture interne ai cinegiornali riuscì a
lavorare secondo il modello stilistico di "The March of Time" pur
sviluppando una personale grammatica filmica. Il genere noir che
dominerà nei primi tre film di Kubrick trova i suoi primi accenni
nella genesi di Day of the Fight.
Day of the Fight si apre sulla mecca della boxe di New York: il
Madison Square Garden. «Tonite boxing», oggi incontro di boxe, è
scritto a lettere grosse che sforano da un'inquadratura in drammatico
primo piano. I primi quattro minuti e venti secondi sono una breve
storia della boxe, riassunta attraverso gli occhi di un newyorkese
istruito dalle pagine sportive del «Daily News» e del «Daily
Mirror>>. I pugili sono descritti come animali dominati dall'istinto,
che vivono per mettere al tappeto l'avversario. Il narratore, il croni-
sta veterano Douglas Edwards, racconta che i pugili provengono da
ogni genere di ambiente: ci sono scaricatori, portuali, diplomati al
college, benzinai, tecnici di laboratorio dell'industria casearia e com-
messi di drogheria.
La narrazione è chiara e concisa come quella di un racconto polizie-
sco degli anni Quaraqta. «Questo è un fan della boxe>>, rivela
Edwards con un tono sincero. <<Fan è l'abbreviazione di fanatico.
Negli Stati Uniti esiste una legione di persone proprio come lui.
Ogni anno egli investe la sua quota dei novanta milioni di dollari
degli incassi complessivi per il privilegio di frequentare dei luoghi
dove coppie di uomini uguali saliranno su una piattaforma coperta
da un tappeto e si lanceranno in un assalto legale e in un'aggressione
legittima>>. Il testo si propone come realtà documentaria ma è ricco
di poesia noir. «È un modo di guadagnarsi da vivere, ma alcuni rie-
scono a guadagnare ben poco. In America ci sono seimila uomini
come questi: pugili professionisti. Solo seicento di loro riusciranno a
ricavare abbastanza e di questi solo sessanta guadagneranno bene,
quindi uno su cento>>.
Vengono mostrate in successione una serie di immagini di pugili
che si allenano sul ring e in palestra. Nat Fleischer, che da lungo
tempo è impegnato come storico della boxe e che lavora come edito-
re per la "bibbia" del pugile, la rivista <<Ring>>, viene musrrato men-
tre scorre un libro sul pugilato: ci sono fotografie di Joe Louis e Jack
Dempsey. Un pugile viene scelto a caso e questo serve a farci capire
quella vita e quella professione. Stiamo per assistere a una giornata
della vita di Walter Cartier, peso medio del pugilato.
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Il cartellone di un incontro affisso a un palo di una via di
Manhattan annuncia un match imminente: «Walter Cartier versus
Bobby James>>. È mattina presto e le strade sono deserte. Rispet-
tando le regole del noir, ci viene sempre ricordata l'ora: è il giorno
dell'incontro Cartier-James che inizierà alle dieci di sera; ora sono le
sei di mattina.
Incontriamo Walter Cartier, che si è appena alzato, nella camera da
letto di un appartamento di tre locali al Greenwich Village che divi-
de con la zia. Vincent, il suo gemello, si alza pochi secondi dopo di
lui. Vincent è un avvocato e funge da manager agli incontri di
Walter. Ci viene detto che vive fuori città ma che si stabilisce dal
fratello ogni volta che questi ha un incontro di pugilato. Hanno ven-
tiquattro anni. La narrazione di Kubrick tiene conto degli anni che
venivano attribuiti a Walter, ovvero quattro anni meno della sua
vera età. Vincent prepara al fratello una colazione degna di un pugile
e poi i due attraversano le vie della vecchia New York passando
davanti a vecchi bar per andare in chiesa ad assistere alia prima
messa della giornata. Un'inquadratura dall'alto li coglie mentre
entrano in chiesa dove riceveranno la santa comunione.
Il tempo passa. Walter mangia una bistecca al sangue allo Steak
Joint dove l'attuale proprietario, che sembra uscito direttamente dal
cast di un B-movie sul pugilato, fuma una sigaretta e si vanta del
fatto che un giorno Walter sarà un campione.
Sono le quattro del pomeriggio, Cartier stende i suoi attrezzi sul
letto: un asciugamano, le scarpe, la borsa del ghiaccio, della vaselina,
un accappatoio con il suo nome cucito sulla schiena. Si dà un'ultima
occhiata nello specchio in un'inquadratura che trascende la realtà
documentaristica, fissando sullo specchio un momento esistenziale
che trasmette molte delle future tematiche di Kubrick. <<Prima di
un incontro c'è sempre quell'ultimo sguardo allo specchio>>, dice
Edwards con fare profetico. <<È il momento di domandarsi cosa
rifletterà domani>>. Con la composizione drammatica di Kubrick, il
riflesso trascende il significato della figura reale di Cartier.
I gemelli si recano al luogo dell'incontro a bordo di una decappot-
tabile. Un punto di vista in movimento coglie lo scorrere della vita e
l'atmosfera di New York. Il film tratta non solo di un pugile ma
anche del legame indivisibile che unisce i due gemelli, inseparabili.
Ci viene detto che quando Walter viene colpito da un pugno, anche
Vincent sente una fitta di dolore.
Adesso sono le otto di sera: Walter si trova nello spogliatoio sotto
al ring. Ci sono ancora due ore di attesa. Kubrick comprime visiva-
mente il tempo con una serie di inquadrature di Cartier che aspetta e
si prepara, mentre Douglas Edwards continua a raccontarci del pugi-
76
le e del suo rapporto con il tempo che passa, conferendo in questo
modo peso al cortometraggio ed enfatizzando l'implacabile lentezza
dello scorrere dei minuti. «In quelle ore sente il suo corpo che si
tende, ma non è una tensione che deriva da una mancanza di sicurez-
za, è una pressione dovuta all'attesa in questo posto dove le pareti
sono così vicine un uomo quasi non riesce a muoversi. Se solo arri-
vasse il momento dell'incontro tutto il resto non sarebbe poi così
male, no, proprio niente male». Il narratore entra nel processo men-
tale che sta avvenendo in Cartier. Kubrick ha trovato un espediente
letterario che sottolinea il senso del racconto cinematografico.
<<Adesso Walter non è preoccupato delle lancette dell'orologio, ma
solo di se stesso. A mano a mano che si prepara a uscire sul ring di
fronte alla gente Walter diventa lentamente un altro uomo. Ecco
l'uomo che non può perdere, che non deve perdere. I movimenti
delle sue braccia e dei suoi pugni sono diversi da quelli di un'ora fa;
appartengono a una persona nuova e violenta; fanno parte dell'uomo
del ring, della macchina da combattimento che la gente ha pagato
per vedere tra quindici minuti>>.
Alle nove di sera Walter osserva il suo avversario e continua a pre-
pararsi e ad attendere. Vincent segue il rituale che precede il combat-
timento preparando il fratello per l'incontro. Toglie a Walter la meda-
glietta con il santo e gli cosparge il viso e il corpo con la vaselina.
Nove e quarantacinque: in Walter il processo di trasformazione è
terminato. Viene chiamato sul ring, mentre la punta del sigaro del
suo manager arde di una luce bianca incandescente.
Dieci: vengono annunciati gli avversari. Bobby James è un peso
medio di Jamaica, Queens. Suona il gong. Combattono entrambi
con uguale energia. Cartier mette James alle corde. Maggior allena-
mento. Quindi coglie l'occasione e mandaJames al tappeto. Edwards
recita il finale del racconto, rafforzando l'immagine del pugile come
una sintesi di istinto e professionalità. «Un uomo ha battuto l'altro
con abilità e violenza: questo è ciò che conta per il pubblico. Il k.o.,
il nome dell'avversario, il tempo, la data e il luogo sono elementi per
il libro del pugilato. Tuttavia c'è molto più di questo nella vita di un
uomo che deve letteralmente combattere per la sua stessa esistenza:
per lui è la fine di una giornata di lavoro>>.
Il livello che Kubrick intendeva raggiungere con il suo film
d'esordio era assoluto; sin dal principio insistette perché il suo docu-
mentario sul pugilato avesse una co-lonna sonora originale diversa
dalle solite musiche preconfezionate utilizzate nella maggior parte
dei corti sulle imprese sportive.
Alexander Singer aveva conosciuto Gerald Fried, un musicista di
talento che viveva nelle vicinanze del Bronx, circa un anno e mezzo
77
prima di incontrare Kubrick nei corridoi del Taft. Gerald era uno
studente della prestigiosa Juilliard School dove studiava musica e
suonava l'oboe. Alexander Singer incoraggiò il suo amico a comporre
delle partiture per colonne sonore e lo presentò a Kubrick.
«Giocavo a pallamuro con Alex>>, ricorderà Fried quarantacinque
anni più tardi, dopo aver appena finito di registrare una colonna
sonora con l'orchestra filarmonica israeliana. «Mi chiesero se volevo
scrivere la musica. Perché io? Perché ero l'unico musicista che
Kubrick conosceva. A quel tempo avevo appena scelto l'oboe come
specializzazione al Juilliard ma non mi era mai venuto in mente che
avrei potuto scrivere della musica per il cinema o impegnarmi in
qualcosa di simile. Ma mi sembrò una buona idea, quindi dissi:
"Certo Stanley, lo farò". Avevo a disposizione dai dieci ai dodici mesi
per imparare come diavolo fare. Non c'erano corsi. Andai a vedere un
sacco di film e presi appunti. Andavo al cinema insieme a Stanley e
commentavamo insieme: "Questo funziona, questo non funziona",
era una specie di autoformazione. Andammo a vedere Il mostro della
Laguna Nera e ridemmo moltissimo. Alcune cose funzionavano, altre
erano ridicole, altre ancora erano ovvie e alcune erano irritanti.
Dovevi dare delle definizioni. Che cosa è irritante e se lo è, è anche
necessariamente brutto? Quando vuoi essere irritante? Quando sei
insinuante? Quando sei interiore? Quando stai semplicemente per-
dendo tempo? Era eccitante! Avevamo appena vent'anni, era diver-
tente; era una grande avventura>>. "The March of Time" costituiva
un modello per i cortometraggi sportivi, ma la musica utilizzata di
solito proveniva da raccolte musicali e spesso lo stesso brano era
impiegato in più di un documentario. «Non ci capitava mai di
ascoltare qualcosa che costituisse uno spunto prezioso a cui ispirar-
ci>>, ricorda Fried. «Eravamo giovani e sapevamo tutto. Nella nostra
mente stavamo per diventare Beethoven e Sergej Ejzenstejn>>.
«Scelsi di usare la fanfara come tema principale perché i combatti-
menti sono elettrizzanti e le fanfare sono elettrizzanti. Il mio primo
lavoro fu nella Dallas Symphony; avevo vent'anni. Suonavamo i tre
Notturni di Debussy e quello che mi esaltava era il suono distante
della fanfara del notturno chiamato Festivals che diventava sempre
più forte. Quindi dissi: "Bene, forse qui possiamo utilizzare una fan-
fara: combattimento, fanfara, annuncio, eccitazione". Questo era il
tema principale su cui costruii la mia composizione. Ne avrei discus-
so con Staniey. Era un musicista sofisticato, alle scuole superiori
aveva suonato la batteria, aveva un buon orecchio>>.
Kubrick e Fried analizzarono insieme il cortometraggio e decisero
che il combattimento che esprimeva il climax dell'intera narrazione
non avrebbe dovuto essere musicato. <<Fu una decisione unamme;
78
avevamo visto abbastanza film per sapere quale esito doveva risultare
da un effetto sonoro e quale doveva essere trasmesso dalla musica>>,
spiega Fried.
La musica di Day of the Fight fu registrata agli studi della Rea sulla
Quinta strada a New York; per la registrazione furono assoldati
diciannove musicisti. Kubrick aveva stanziato del denaro per la
musica. Gerald Fried, oltre a comporre, si occupò degli arrangia-
menti e diresse l'orchestra. Alcuni tra i musicisti che presero parte
alla registrazione divennero successivamente dei personaggi di spicco
nel campo musicale. Il primo corno era lo storico del jazz Gunther
Schuller; tra i fiati vi era Bernie Adelstein, che divenne successiva-
mente la prima tromba della Cleveland Orchestra, al violino c'era,
Sidney Hass, che divenne un importante violinista di Los Angeles.
Via via che la storia procedeva da una visione complessiva del
mondo della boxe alla storia di New York e di Walter Cartier, la
musica cambiava per riecheggiare la colonna sonora composta da
Bernard Herrmann per Quarto potere. Il leggendario compositore
esercitò una grande influenza sul giovane Gerald Fried.
Kubrick partecipò alla registrazione della colonna sonora. Il mis-
saggio finale fu eseguito da Ray Griswold, un tecnico di notevole
esperienza. Fried sedeva accanto a Kubrick e insieme cercavano di
raggiungere la perfetta miscela di narrazione, effetti sonori e musica.
«Prima del combattimento c'era un crescendo e il rumoreggiare
della folla presente all'incontro doveva imporsi fino a prendere il
posto della musica», ricorda Fried. <<Ray eseguì e Stanley disse:
"Bene, così va bene" e io risposi: "No, lì c'è un calo del tono musica-
le. lo voglio che la musica scaturisca dagli effetti sonori come se non
ci fosse alcuna interruzione" e Ray disse: "Sì, hai ragione, rifacciamo-
lo". Ricordo che Stanley esaminò il risultato e poi disse: "Hmmmm,
questo ragazzo sa quel che dice"».
Day of the Fight segnò l'inizio della lunga carriera di compositore
di colonne sonore di Gerald Fried. Il lavoro svolto per il cortome-
traggio di Kubrick gli procurò diversi altri lavori per la Rko-Pathé.
Per il ruolo del narratore di Day of the Fight Kubrick pensò in un
primo momento all'attore Montgomery Clift, che era stato il sogget-
to di alcune sue foro per un articolo di <<Look», alla fine però decise
per Douglas Edwards, il veterano cronista della Cbs.
Day of the Fight è un documentario visivamente esaltante. L'innato
senso fotografico di Kubrick e la passione che mist: nel progetto die-
dero vita a un film privo delle insidie contro cui si scontrano i registi
novelli. Il lavoro di Kubrick, mirabile imitatore alla ricerca di una
impronta personale, riproduce il cinegiornale e nel contempo è una
libera sperimentazione con uno stile di montaggio originale. Le
79
immagini fluiscono attraverso stacchi, un montaggio discontinuo,
tendine e dissolvenze. La struttura alterna tempo compresso e tempo
documentario reale con dissolvenze in nero.
L'occhio della macchina da presa di Kubrick coglie numerose
inquadrature d'effetto che raramente compaiono nello stile dei docu-
mentari trasmessi nei cinegiornali. Un'inquadratura dall'alto ripren-
de il ring, mentre due raggi provenienti da un'intensa fonte lumino-
sa fanno luce sul tappeto e sulle corde lasciando nell'oscurità la folla
circostante. Spesso Kubrick illumina Cartier dall'alto e i suoi occhi
profondamente infossati sembrano quelli di Jack Palance nello sce-
neggiata televisivo di Rod Serling Requiem for a Heavyweight. Le
ombre accentuate ricordano più un poliziesco degli anni Quaranta
che un documentario sul pugilato. La figura di Cartier si staglia con-
tro la finestra del suo appartamento. All'interno dello spogliatoio la
macchina da presa passa dal pugno bendato di Walter a Vincent che
prepara un guantone per la mano del fratello: prima è il pugno di
Walter a essere a fuoco mentre il guantone nella mano di Vincent è
sfumato; poi il fuoco si sposta verso il guantone preparato per il
pugile e la mano di Walter diventa progressivamente sfocata, met-
tendo contemporaneamente in contrasto e in relazione le due imma-
gini senza effettuare un taglio. Il campo lungo dal basso che passa
attraverso le gambe dello sgabello sul quale siede l'avversario ci
mostra Walter sul ring mentre aspetta il suono del gong. L'incontro
è ripreso con una macchina a mano che inquieta e in movimento
scruta dall'esterno delle corde, si intrufola nel ring e dal tappeto
punta in alto verso i pugili che si colpiscono, un momento che verrà
successivamente colto anche da Martin Scorsese in Toro scatenato.
Risulta difficile non pensare a Toro scatenato quando si osserva Day of
the Fight: un film che guarda alla storia del pugilato nel cinema e
contemporaneamente ne indica il futuro.
Il 16 ottobre 1951 Walter Cartier entrò nella storia del pugilato
mandando al tappeto Joe Rindone dopo quarantasette secondi
dall'inizio dell'incontro. Il vertiginoso pugno, il primo e unico
pugno tirato da Cartier, pose fine all'incontro e decretò il più veloce
k.o. nella storia del Boston Garden. Day of the Fight decretò anche
l'ingresso del pugile nell'industria dello spettacolo: apparve in Lassù
qualcuno mi ama, il film biografia di Robert Wise su Rocky
Graziano, e in Un volto nella folla di Elia Kazan; recitò nella parte di
Claude Dìllingham in You'll Never Get Rich (la serie Tv del sergente
Bilko di Phil Silvers) e in Crum·h and Des con Forrest Tucker; fece
diverse apparizioni televisive come ospite a The Ed Sullivan Show.
Quando al figlio di Walter, un campione dell'atletica leggera che
batté il primato di Jim Ryan, dopo essersi diplomato al college, fu
80
offerta l'opportunità di prendere parte a un progetto cinematografi-
co, suo padre, la star del primo film di Kubrick, contattò il regista
ormai famoso per chiedergli un consiglio. Kubrick trovò il tempo di
rispondere a Cartier e di dargli dei consigli basati sulla sua vasta
esperienza personale e professionale.
Sebbene Kubrick abbia dichiarato che il costo finale di Day of the
Fight fu di 3.900 dollari e che la Rko-Pathé lo acquistò per 4.000
dollari, secondo quanto ricorda Alexander Singer il budget stanziato
si aggirava intorno ai 4.500 dollari, la metà dei quali proveniva dai
risparmi di Kubrick e la restante parte era stata data in prestito al
regista dal padre. Fu comunque un'impresa degna di nota. Kubrick
riuscì a finanziare, produrre e dirigere un film in 35mm con
un'autonomia registica che poteva vantare pochi precedenti nella
comunità cinematografica degli anni Cinquanta.
Nel 1950 Alexander Singer si stava preparando a sposare Judy
Singer. Come tutte le coppie di fidanzati, cercavano un fotografo che
immortalasse quella pietra miliare della loro vita. Stanley Kubrick,
il fotografo ufficiale della rivista «Loob> diventato regista, con Day
of the Fight ormai pronto per la distribuzione, si assunse l'incarico.
<<Le foto erano quelle classiche da matrimonio solo che il fotografo
era Stanley Kubrick>>, ricorda Singer. <<Sono le migliori fotografie di
un matrimonio che io abbia mai visto. Usò una Rolleiflex. Erano
convenzionali foto di un matrimonio ma avevano qualcosa in più.
Era il suo uso della luce riflessa da apposite superfici che dava
l'impressione di una stanza illuminata da una luce naturale, un con-
cetto quasi inconcepibile per le foto dei matrimoni. Di solito fissi
l'obiettivo e dici: "Cheese" e sembra un lampo di luce. Bene, Stanley
faceva in modo che la luce venisse riflessa da una superficie apposita
e l'illuminazione che ne derivava era talmente tenue che non ti
accorgevi che stava scattando una foto con il flash>>.
Day of the Fight entrò nella serie "This is America" della Rko-
Pathé e fu proiettato per la prima volta il 26 aprile 1951 al
Paramount Theater di New York come cortometraggio che precede-
va Voglio essere tua, un film di Robert Stevenson con Robert
Mitchum, Ava Gardner e Melvyn Douglas, anch'esso distribuito
dalla Rko. In apertura Frank Sinatra sul palcoscenico dal vivo, il can-
tante che negli anni Quaranta era stato fotografato di nascosto da
Kubrick e Marvin Traub; il <<New York TimeS>> annunciava a gran
voce i:l ritorno di Frankie accanto a Joe Bushkin e alla sua orchestra.
Stanley Kubrick debuttava sullo schermo del celebre Paramount: la
sua carriera di regista era iniziata.

81
Capitolo 4
«Era come una spugna))

Kubrick investì i 100 dollari guadagnati dalla vendita di Day of


the Fight e i 1.500 dollari stanziati dalla Rko per realizzare il suo
secondo cortometraggio, Flying Padre.
Il corto, della durata di otto minuti e mezzo, fu distribuito dalla
Rko-Pathé come parte della serie "Screenliner" ed era un documen-
tario di colore che seguiva due giornate qualsiasi della vita di un
parroco del Sud-Ovest, il reverendo Fred Stadtmueller altrimenti
noto come "Flying Padre", "Il padre volante".
All'epoca Stadtmueller faceva da otto anni il parroco nella Saint
Joseph's Church di Mosquero nella Harding County, una regione
situata a Nord-Ovest nel Nuovo Messico. I suoi parrocchiani erano
principalmente ispanoamericani: modesti contadini o proprietari di
piccoli ranch. Sei anni prima, Stadtmueller aveva chiesto un prestito
di 2.000 dollari a un amico e aveva acquistato un piccolo aereo
monomotore per poter meglio officiare nella sua giurisdizione eccle-
siastica, composta da undici missioni sparse su una superficie di
oltre seimilaquattrocento chilometri quadrati.
Stadtmueller trascorre la sua prima giornata sorvolando terre e
bestiame per celebrare il funerale dell'abitante di un ranch. Due
uomini lo aspettano sulla pista di atterraggio per condurlo alla pic-
cola chiesa della missione, a fianco del cimitero nel quale verrà
cumulato il defunto. Ritornato all'aereo, che si chiama Spirit of St.
Joseph, Stadtmueller fa ritorno alla parrocchia principale in tempo
per celebrare le preghiere serali.
L'inizio del giorno successivo vede il prete far colazione nella casa
parrocchiale. Una ragazza bussa alla porta e gli chiede di parlare con
il suo giovane amico Pedro che l'ha trattata male. Il padre si reca
immediatamente dal ragazzo che confessa il torto e si riconcilia con
l'amica.
Più tardi, Stadtmueller lavora all'aeroplano in modo che sia sem-
pre pronto per partire. Un uomo corre da lui per informarlo che una
donna, che vive in un ranch isolato a ottanta chilometri di distanza,
ha bisogno di aiuto: il marito è lontano per affari, il figlio si è
ammalato e continua a peggiorare. Devono andare in ospedale. Il
padre pilota lo Spirit of St. Joseph fino al ranch e da lì trasporta la
madre con il bambino in un aeroporto dove li attende un'ambulanza
82
che li porterà al più vicino ospedale. Questa è una giornata tipica. In
media Stadtmueller percorre diciottomila chilometri all'anno.
A differenza di Day of the Fight, Flying Padre è un tipico documen-
tario da cinegiornale. L'abilità registica di Kubrick è indubbia ma
meno rivelatrice del suo talento. La fotografia è illuminata in modo
uniforme. Le inquadrature sono composte nel classico stile giornali-
stico: visivamente piacevoli e ben confezionate. La narrazione di Bob
Hite è pacata e confortante.
L'amore che Kubrick nutre per l'aviazione è evidente nel montag-
gio del viaggio compiuto dal parroco per aiutare la donna e suo
figlio: vengono puntualmente alternate immagini della mano di
Stadtmueller sulla cloche con diversi punti di vista, comprese le
riprese aeree durante il volo. L'aereo a un motore di Stadtmueller era
molto familiare a Kubrick che aveva pilotato aerei simili.
L'unica ripresa degna di nota è l'inquadratura finale del prete:
mentre il narratore si congeda da "Flying Padre", Kubrick riprende
la scena con la sua fidata Eyemo 35mm, ben assicurato su un veicolo
che si muove velocemente mentre Stadtmueller, dall'aspetto orgo-
glioso ed eroico, diventa sempre più piccolo.
Per la realizzazione del suo secondo cortometraggio, Kubrick recu-
però appena il denaro speso. L'importanza di Flying P.tdre non è
tanto nello stile o nel contenuto ma è piuttosto legata al fatto che
esso diede a Kubrick la sicurezza necessaria per fare una scelta di
vita. «Fu a quel punto che rinunciai formalmente al mio lavoro a
"Look" per lavorare a tempo pieno come regista>>, disse a Joseph
Gel mis.
Nel 1952 Stanley Kubrick stava cercando uno scenografo per i
suoi film futuri. Richard Sylbert - uno dei più abili scenografi di
Hollywood, che avrebbe in seguito lavorato per Va' e uaidi,
Chinatown e Shampoo e che avrebbe vinto due Oscar per la scenografia
di Chi ha paura di Virginia Woolf? e di Dick Traq - era all'inizio
della carriera, lavorava a New York come direttore artistico di
"Patterns", una produzione televisiva alla quale partecipavano
Everett Sloane ed Ed Begley, quando fece un incontro decisivo.
<<Arriva un ragazzo che vuole vedermi e scopro che ha esattamente la
mia stessa età: ventitré anni>>, ricorda Richard Sylbert dal diparti-
mento scenografia di Scomodi omicidi. <<Disse: "Mi chiamo Stanley
Kubrick e voglio che tu ti occupi della scenografia dei miei film. Sto
raccogliendo dei soldi per fare un lungometraggiu">>. i due si scam-
biarono informazioni ed ebbero una breve conversazione. Poi Sylbert
tornò a lavorare alla scenografia di "Patterns". Nel I 956 lavorò per il
suo primo film, Cmwded Parctdise, e continuò realizzando le scena-
grafie di Baby Doli - La bambola viva e Un volto nella folla di Elia
83
Kazan e di Pelle di .re111ente di Sidney Lumet, ma non ebbe più notizie
di Stanley Kubrick.
La "scuola" di cinematografia di Stanley Kubrick si trovava al
1600 di Broadway, a New York; fu lì che egli imparò le tecniche
cinematografiche facendo a tecnici, commessi e artigiani una quan-
tità di domande sui meccanismi della regia.
Trascorse molto tempo nella sala di montaggio di Faith Hubley,
parlando dei suoi sogni cinematografici e interrogandola su come si
facevano i film. Faith istruiva e incoraggiava il giovane entusiasta
fornendogli elenchi di film da vedere. Un giorno Kubrick chiese a
Hubley di insegnargli come raccordare una copia di lavorazione in
16mm con il negativo originale in modo da poter stampare un nega-
tivo nuovo. Kubrick imparava in fretta. <<Era come una spugna>>,
ricorda Faith Hubley. Kubrick imparava interrogando i professioni-
sti dell'industria cinematografica di New York, guardando con vora-
cità quanti più film poteva, frequentando abitualmente i film
proiettati al Museum of Modern Art e leggendo la piccola bibliogra-
fia di libri di cinema allora disponibile.
Nel 195 3 Kubrick ricevette una commissione dalla Seafarers
International Union, che intendeva realizzare un documentario
industriale. Dal punto di vista stilistico il progetto era simile a quel-
li realizzati per <<Loob> e doveva fornire un'immagine positiva della
società committente. L'incarico consisteva nel produrre un accatti-
vante documentario promozionale sugli uffici della Atlantic and
Gulf Coast District della American Federation of Labor.
Il cortometraggio, della durata di trenta minuti, fu scritto da Will
Chasan e supervisionato dallo staff del <<Seafarers Log», l'organo
d'informazione del sindacato; Kubrick si occupò della fotografia e
della regia del filmato che fu prodotto dalla Lester Cooper
Productions di New York.
Se osservato con occhio superficiale The Seafarers possiede tutte le
caratteristiche di un tipico filmato industriale dell'epoca: si apre con
l'immagine di un narratore, Don Hollenbeck, che legge un copione
rivolto verso la macchina da presa spiegando la funzione dei maritti-
mi e del loro sindacato. Negli anni Cinquanta e Sessanta furono rea-
lizzati migliaia di questi filmati con funzioni di formazione interna e
di strumento promozionale, spesso utilizzati anche come sprone per
l'industria regionale e nazionale. Alla creazione di questi filmati
generalmente concorrevano le case di produzione locali e le compa-
gnie cinematografiche indipendenti specializzate in pubblicità
aziendale.
Sebbene questi film servissero a importanti scopi sociali e finanzia-
ri, solo di rado contribuirono in misura sostanziale allo sviluppo
84
dell'arte registica. Se The Seafarer.r fosse stato diretto da uno qualsiasi
dei migliaia di professionisti che lavoravano in questi film di scarso
valore artistico, probabilmente sarebbe stato dimenticato. Ma la
regia del cortometraggio contiene il Dna necessario a identificarlo
come un lavoro di Stanley Kubrick.
The Seafarer.r fu il primo film a colori di Kubrick e fu girato nel
giugno del 1953; Stanley dovrà realizzare altri tre film in bianco e
nero prima di avere un'altra opportunità di lavorare con il colore in
Spartacu.r.
Dopo una serie di riprese di navi nel porto, la macchina da presa di
Kubrick punta verso il quartier generale dei sindacati della Atlantic
and GulfDistrict della città di New York, approdo degli uomini che
lavorano in mare. Una sequenza di attrezzature meccaniche, ripresa
con il preciso occhio da fotoreporter di Kubrick, intende esprimere
l'idea che le macchine servono l'uomo, un tema che verrà affrontato
esplicitamente in 2001: Odis.rea nello .rpazio. Per mostrare il self-servi-
ce in azione, Kubrick si serve di una carrellata di 58 secondi che
attraversa la stanza e mostra il cibo esposto. Uno stacco introduce la
prima scena di nudo in un film di Stanley Kubrick e mostra l'adole-
scenziale idea di sessualità del regista: lo schermo è riempito dalla
fotografia di una giovane donna nuda con un giro di perle che le
cade sul seno. Lo scopo della ripresa consiste nel fornire un intratte-
nimento per gli uomini costretti alla dura vita in mare, che saranno i
principali spettatori del film, pensato per uso interno, e nel contem-
po accresce il perverso e diabolico senso dell'umorismo che tanto
diverte Kubrick. Una ripresa a campo totale rivela che la fotografia
appartiene a un calendario di pin-up nude, appeso alla parete del
barbiere del Siu e fornito dalla Thorman, Baum & Co. Incorporated,
una società che vende frutta e verdura fresche e congelate.
Sebbene Kubrick lavorasse con un budget ridottissimo e potenzial-
mente da solo, il film è ben eseguito e attentamente composto. Il
colore è caldo, ricco e controllato e ricorda la bellezza del
Kodachrome utilizzato negli anni Cinquanta. Kubrick non si serve
dell'illuminazione uniforme e piatta spesso utilizzata nei filmati
industriali, modella invece la luce come faceva per i portfolio di
<<Look». In molte riprese si avvale in modo efficace del contrasto. Un
uomo di profilo in controluce lavora a una carta nautica. La macchi-
na da presa di Kubrick si muove per il Port-of-Call bar e attraverso
una stanza dove alcuni uomini giocano a un biliardo a sei buche;
altri giocano a carte in controluce. In una stanza sono esposti i lavori
realizzati dai membri dell'associazione, tra i quali ci sono due schizzi
a matita del busto di una donna nuda, i tipici lavori dilettanteschi
eseguiti copiando un modello alle lezioni di arte. Kubrick sperimen-
85
ta la grammatica filmica utilizzando dissolvenze per unire le imma-
gini e girando la scena di una famiglia che riceve delle informazioni
sulle indennità di maternità in piano sequenza. Il viaggio all'interno
dell'edificio continua negli uffici assistenziali della Beef & Dues e
nella redazione del giornale del sindacato, il <<Seafarer Log>>.
The Seafarers si conclude con una scena drammatica che presenta la
democrazia in azione durante una riunione sindacale. Un oratore
tiene un discorso infuocato dal podio mentre una sala gremita di
gente sta ad ascoltare e reagisce. Questa sequenza va oltre la blanda
qualità didascalica che ha dominato il film fino a questo momento.
Kubrick si accosta all'evento in un'autentica forma documentaria,
portando un tocco di realismo nella conclusione secondo la tradizio-
ne di Robert Flaherty e John Grierson. Incornicia da entrambi i lati
la figura dell'oratore, comprendendo nell'inquadratura i dirigenti
sindacali posti al suo fianco. Il discorso dell'oratore va in crescendo e
Kubrick accelera con un montaggio di primi piani e mostrando le
reazioni emotive suscitate dalle sue parole. Alternando gli uomini e
l'oratore mentre il climax della scena aumenta, carica di significato
gli avvenimenti apparentemente spensierati e quotidiani che abbia-
mo visto in precedenza. L'ossatura di questa interazione drammatica
tra un gruppo di uomini che ascoltano e un oratore che parla deve
essere rimasta sepolta nel subconscio di Kubrick prima di riemergere
nell'ultimo minuto del finale di Orizzonti di gloria.
Gene D. Phillips scoprì The Seafarers scrivendo il suo libro uscito
nel 1975 dal titolo Stanley Kubrick: A Film Odys.rey. Phillips suggeri-
sce che l'illuminazione e la composizione della sequenza che mostra
gli uomini nel corso di una riunione nella quale esprimono il loro
malcontento a un rappresentante sindacale precorra la scena della
progettazione della rapina in Rapina a marw armata. Tuttavia è anche
possibile che sia il corto sia il fìlm di Kubrick siano stati influenzati
da una sequenza simile in Giungla d'asfalto di John Huston.
The Seafam:r finisce con un ritorno a Don Hollenbeck che esprime
le sue considerazioni finali. I titoli di apertura e di chiusura sembra-
no scritti con delle funi; illogo della Siu rende il film proprietà uffi-
ciale della Seafarers Union, il sindacato dei marittimi. Stanley
Kubrick però era pronto a realizzare i suoi film, che cominciavano a
emergere dalla sua mente fertile.

86
Capitolo 5
«Ecco ciò che serviva: Stanley Kubrick,
era lui che serviva»

«Non ci sono persone superflue nella mia vita. Non c'è tempo per il
superfluo se sei un uomo ossessionato>>.
Faith Hubley

<<ex.is.ten.tial.ism n. a philosophical theory emphasizing


that man is responsible for his own actions and free to choose his
development and destinyl>>.
Oxford American Dictionary

<<Paura e desiderio sono emozioni molto vicine tra loro>>.


Bob Gaffney

Il 31 marzo 1953, oltre tre anni prima dell'uscita di Fear and


Desire, Stanley Kubrick si recò al 369 di Lexington Avenue, negli
uffici newyorkesi di Richard de Rochemont, il fratello minore di
Louis de Rochemont, ideatore della serie "The March of Ti me".
Richard de Rochemont aveva quarantasei anni, un anno in meno di
Jacques, il padre di Kubrick. Stanley aveva ventun anni ma
all'esperto produttore sembrò piuttosto un <<maturo diciottenne>>.
De Rochemont occupava diversi piani di un edificio tra la
Lexington Avenue e la Cinquantaduesima strada. Dick de Roche-
mont aveva lavorato come produttore insieme al fratello Louis per la
serie "The March of Time" e nel 1943 aveva assunto l'incarico di
produttore esecutivo. Dick aveva avuto una carriera vivace e varia: si
era laureato ad Harvard, aveva prodotto e diretto diversi documen-
tari, durante la seconda guerra mondiale aveva frequentato il gene-
rale Charles De Gaulle e scritto reportage per la rivista <<Life>>.
Come leader impegnato nell'organizzazione France Forever, de
Rochemont contribuì a far sì che la Francia si raccogliesse attorno a
De Gaulle e si schierasse contro il governo di Vichy. De Rochemont
nacque nel 1903 nel Massachusetts ma fu insignito di diverse onori-

l Esisrenzialismo. s.m. Teoria filosofica che pone l'enfasi sul farro che l'uomo è
responsabile delle sue azioni ed è libero di scegliere il suo sviluppo e il suo desrino.
(N.d.T.)

87
ficenze dal Paese d'origine della sua famiglia, ugonotta francese.
Proseguì la sua carriera scrivendo due libri insieme a Waverly Root:
Eating in America sulla storia dei cibi negli Stati Uniti e Contemporary
French Cooking. <<Era un uomo meraviglioso, dotato di grande stile ed
eleganza)), ricorda Norman Lloyd che aveva lavorato in televisione
con de Rochemont. <<Si comportava come un grande lord o un ari-
stocratico eppure era così gentile, sensibile e comprensivo con la
gente, era proprio un uomo meraviglioso>>.
Kubrick consegnò a de Rochemont una sceneggiatura scritta in
collaborazione con il suo amico Howard O. Sackler definendolo un
poeta contemporaneo. De Rochemont pensò che il significato di tale
affermazione fosse che il ventenne Sackler <<era un poeta e un con-
temporaneo di Stanley». Quando Kubrick lasciò l'ufficio certo
dell'esito positivo della sua visita, de Rochemont e il suo staff rima-
sero con l'impressione di aver appena incontrato un <<giovane pro-
duttore di meraviglie>>, e il comportamento baldanzoso del giovane
spinse uno dei soci di Richard a dire: <<Quello Stanley ha un bel
coraggio>>. De Rochemont lesse la sceneggiatura- il cui titolo subirà
diversi cambiamenti - e la descrisse come un lavoro di una certa
consistenza. Rimase colpito da questo ragazzo uscito dal nulla di
nome Stanley Kubrick.
<<Dick concedeva sempre dei colloqui alle persone che riteneva
avessero del talento>>, ricorda Jane de Rochemont, la vedova di Dick,
che aveva lavorato per la rivista <<Life>> e come stilista per Irving
Penn, Bert Stern e altri. <<In Stanley aveva riconosciuto il talento.
Sembrava molto giovane ed era tutto pelle e ossa. Piuttosto sicuro di
sé, non era esattamente quello che si definirebbe un tipo modesto>>.
Negli anni Cinquanta New York era praticamente priva di una
scena cinematografica indipendente così come la conosciamo oggi,
ma Stanley Kubrick voleva essere un regista indipendente. All'ini-
zio del 1951, a venti due anni e con diversi cortometraggi alle spal-
le, sapeva che era arrivato il momento di dirigere un lungometrag-
gio. Scartò l'idea convenzionale di andare a Hollywood e decise
invece di produrre e dirigere il suo film senza il tradizionale suppor-
to finanziario o un accordo di distribuzione. Kubrick riuscì a racco-
gliere quasi 10.000 dollari chiedendoli agli amici, alla famiglia e
allo zio Martin Perveler, che fu nominato produttore associato.
Perveler possedeva una catena di farmacie nella zona di Los
Angeles, e alla metà degli anni Sessanta disponeva di un patrimonio
significativo. Oltre alle farmacie Perveler possedeva il bowling
Romana, un bowling in Italia, a Roma, un sostanzioso portafoglio
azionistico, una considerevole quantità di beni immobiliari nella
zona di San Gabriei-Santa Barbara, uno yacht da dieci metri e una
88
serie di macchine sportive tra le quali c'erano una Mercedes 190 SL,
una Jaguar acquistata in Inghilterra e importata negli Stati Uniti,
una Porsche comprata in Europa e una Lamborghini.
Perveler aveva visto Day of the Fight e Flying Padre ed era interessa-
to a investire nel primo lungometraggio del nipote. Con spirito
imprenditoriale stipulò un contratto con Stanley in base al quale gli
veniva garantita una percentuale considerevole su tutta la produzio-
ne artistica. Kubrick rifiutò la proposta sebbene questo significasse
mettere in pericolo il suo debutto cinematografico. Successivamente
confidò ad Alexander Singer che suo zio gli aveva detto: «Okay, se è
questo che vuoi lo avrai. Non ho intenzione di fornire del denaro per
un solo film. Penso che nel corso degli anni avrai un grande successo
e io voglio avere la mia parte. Sono un uomo d'affari>>.
Kubrick rispose: «No>> e partì dal Southern California Airport per
tornarsene a New York. Perveler lo seguì e lo raggiunse sulla scaletta
dell'aereo che doveva riportarlo a casa. Stanley Kubrick, poco più
che ventenne, era già un inflessibile uomo d'affari in un mondo
pieno di squali. Perveler chiuse un occhio, abbassò la percentuale e
promise di dare al nipote il denaro sufficiente a realizzare il suo
primo lungometraggio.
Il soggetto che Kubrick scelse per il suo primo film fu la guerra,
un tema che sarebbe ritornato nel corso della sua carriera. La sceneg-
giatura era incentrata sulla storia di quattro soldati rimasti intrappo-
lati dietro le linee nemiche in una guerra senza nome.
Da quando aveva lasciato «Loob>, Kubrick si era impegnato per
diventare un regista di successo. In quel periodo guadagnava dai 20
ai 30 dollari alla settimana giocando a scacchi contro chi si presenta-
va ai giardini di Washington Square. Durante il giorno Kubrick
posizionava la scacchiera sotto un lampione in modo tale che al cala-
re delle tenebre l'avversario avrebbe avuto una visione confusa del
gioco mentre la luce avrebbe illuminato gli scacchi di Kubrick.
Il 26 febbraio 1951 firmò l'accordo con suo zio Martin Perveler
per la realizzazione del primo film e fondò la Stanley Kubrick
Productions creando una troupe di una sola persona che doveva rea-
lizzare un progetto successivamente noto con il titolo The Trap.
Il gelido inverno newyorkese fece sì che Kubrick non utilizzasse la
costa orientale per le riprese in esterni, così il film fu girato sui
monti San Gabriel appena fuori Los Angeles e sulle sponde di un
fiume sulla costa. Le sequenze della foresta furono girate ad Azusa,
nei sobborghi di Los Angeles. Le riprese in esterni sulla costa occi-
dentale erano viste positivamente anche dal principale finanziatore,
lo zio Martin, che poteva così esercitare il suo occhio vigile sulla pro-
duzione che si trovava nelle immediate vicinanze.
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Per il cast Kubrick scelse Frank Silvera, che aveva lavorato insieme
a Marlon Brando nella produzione di Viva Zapata! di Elia Kazan.
Faceva parte del cast anche l'attore ventenne Paul Mazursky che col
tempo diventerà regista lavorando sia sulla costa occidentale che su
quella orientale e che dirigerà Una donna tutta sola, Su e giù per
Beverly Hills e Mosca a New York. Kenneth Harp e Steven Coit
impersonarono il ruolo degli altri due militari. Per la parte della
ragazza indigena catturata dai soldati, Kubrick scelse Virginia Leith,
di Cleveland, che' era arrivata a Hollywood per lavorare come model-
la in un'agenzia di moda. Leith non si aspettava di entrare nel cine-
ma quando il giovane produttore-regista si presentò per comunicarle
che avrebbe recitato nel suo primo film.
Lo staff, ridotto all'essenziale, era composto da poche altre persone,
oltre naturalmente a Stanley Kubrick che svolgeva svariate funzioni.
Parlando di lui Dick de Rochemont lo definì <<una troupe composta
da un solo uomm:. <<L'intera squadra di Fear and Desire era composta
da me stesso nei ruoli di regista, tecnico delle luci, operatore, ammi-
nistratore, truccatore, costumista, parrucchiere, autista, attrezzista,
ecc.>>, disse una volta Kubrick ad Alexander Walker, amico e autore
del libro Stanley Kubrick Directs. Steve Hahn, l'amico di Kubrick
dall'aspetto di bravo ragazzo, in quanto dirigente della Union
Carbide si intendeva di elettricità e fu quindi nominato assistente
alla regia; Bob Dierks, un assistente di studio di <<Loob>, lavorava
come macchinista aiutando a montare e smontare l'attrezzatura.
Toba, la moglie di Kubrick, utilizzò la sua esperienza di segretaria
per smaltire il lavoro a tavolino e la parte meno rilevante dell'ammi-
nistrazione. Toba Metz indossava abiti scuri, portava i capelli bruni
con una corta frangetta e aveva le sopracciglia disegnate in modo
netto. Il suo sguardo intenso e pensieroso era tipico delle donne che
popolavano i club e i caffè del Greenwich Village, dove lei e Kubrick
si erano trasferiti 'dopo il matrimonio. Toba poteva essere facilmente
definita una ragazza della beat generation. Aveva una dolcezza che
rimandava alla sua infanzia protetta, trascorsa in un quartiere del
Bronx abitato da ebrei della media borghesia.
Per il trasporto delle attrezzature furono impiegati degli operai
messicani: i loro volti segnati ricordavano i personaggi dei primi
film di Bufiuel. L'uomo che arriverà a dirigere uno staff numeroso
come quello di Spartacus e di 2001: Odissea nello spazio iniziò lavoran-
do con ii numero 'fortunato di tredici persone.
Kubrick stesso realizzò le riprese per 9.000 dollari, senza sonoro in
presa diretta e con una Mitchell 35mm in bianco e nero affittata per
25 dollari al gion~o. <<La prima volta che usai una Mitchell fu duran-
te la realizzazione di Fear and Desire>>, disse Kubrick a Joseph
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Gelmis. «Mi recai alla Camera Equipment Company, al 1600 di
Broadway e Bere Zucker, il proprietario, passò un sabato mattina a
insegnarmi a caricarla e a urilizzarla. Quella fu tutta la pratica che
feci prima di usare la macchina per le riprese vere e proprie. Bere
Zucker, che successivamente morì in un incidente aereo, era un
ragazzo di trent'anni molto comprensivo. A ogni modo fu molto
sensato da parte sua, dopotutto io pagavo per l'attrezzatura>>.
Kubrick, ancora sotto l'influenza dei colleghi di «Loob>, sfoggiava
una capigliatura ordinata e pettinata con una riga di lato portata con
disinvoltura: il tipo di acconciatura ispirata dagli stilisti europei e
adottata dai professionisti di New York. Indossava un cappotto scuro
di taglio sportivo, jeans, una T-shirt bianca sotto una camicia bianca
portata senza cravatta e un esposimetro al collo. Il suo intenso sguar-
do da fotografo rivelava un uomo immerso in profonde meditazioni.
Nel corso della produzione per poco non si verificò una catastrofe.
Per produrre la nebbia necessaria in una scena Kubrick utilizzò un
insetticida: il risultato fu soddisfacente per quanto riguardava la
simulazione della nebbia davanti alla macchina da presa ma rischiò
di asfissiare il cast e la troupe.
Terminare il film di otto bobine di pellicola divenne un'impresa
più costosa di quanto previsto dall'accurato budget studiato dal regi-
sta. Kubrick si occupò del montaggio e scoprì di aver sbagliato a
decidere di aggiungere l'intero sonoro- dialoghi, effetti e musica- a
riprese ultimate. Il doppiaggio postsincronizzato dei dialoghi risultò
essere un'operazione dispendiosa in termini di tempo e di denaro, e
richiese di aggiungere 20-30.000 dollari ai 10.000 previsti.
Per la colonna sonora, le nobili intenzioni della storia creata da
Kubrick e Sackler poggiavano sulle spalle del ventiquattrenne com-
positore Gerald Fried, che aveva scritto la musica per Day of the
Fight. Creare la musica per Fear and Desire costituì una grande sfida:
<<La musica doveva piangere l'innocenza del mondo>>, spiegò Fried.
<<La paura e il desiderio sono le due forze dominanti della nostra spe-
cie. Questo film doveva dire tutto. Non ci sarebbero stati altri film
dopo questo. Quindi dovevo essere sofisticato, profondo e allo stesso
tempo enfatizzare il fato di noi poveri esseri umani. C'erano tutte
quelle magnifiche parabole: come quella dell'uccisione di un genera-
le e il fatto che il dannato che l'aveva ucciso si chiamava Proteo.
Quindi doveva essere importante, profondo, significativo, commo-
vente, disperato eppure trionfante. Allora pensavo fosse un film
piuttosto buono>>.
Come accadde con Day of the Fight, la musica fu registrata agli studi
della Rea. C'erano ventitré musicisti. Del missaggio finale si occupò
Al Grimaldi, uno dei migliori tecnici della città di New York.
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In quegli anni era poca la musica che veniva composta e registrata
sulla costa orientale; Fried e Kubrick si lasciarono guidare dal sonoro
che avevano ascoltato guardando i film: il loro fu un esercizio diretta-
mente sul campo. Quando finalmente fu distribuito Fear arid Desire,
Walter Winchell menzionò le musiche nella sua influente rubrica.
Il 12 agosto 1951, nel suo appartamento al 37 Ovest della
Sedicesima strada, Kubrick scrisse un documento: "Kubrick -
Financial Resume of Motion Picture", nel quale venivano dettagliata-
mente elencati i costi affrontati fino a quel momento per realizzare
Fear and Desire: mancava un mese alla fase di missaggio del film. Il
documento fu inviato alla Vavin Inc. di Richard de Rochemont. Fino a
quel momento erano stati spesi 29.000 dollari. Non c'erano conti in
sospeso con i laboratori e i fornitori, ma c'erano 9.500 dollari di salari
insoluti per il cast e la troupe e mancavano 5.000 dollari per comple-
tare la produzione. Questo portava il costo complessivo di Fear and
Desire a 43.500 dollari. Il 21 per cento del film apparteneva ai finan-
ziatori e Kubrick possedeva il 39,5 per cento del restante 79 per cento.
Secondo le stime di Kubrick i salari ammontavano a 5.000 dollari.
I due operatori alla macchina da presa erano pagati 1.000 dollari alla
settimana per un totale di 2.500 dollari. I quattro macchinisti costa-
vano 500 dollari alla settimana per 1.500 dollari complessivi e il
resto dello staff veniva retribuito con 25 dollari alla settimana per un
costo totale di 1.000 dollari. A queste cifre si dovevano aggiungere i
costi sindacali per un totale di circa 10.000 dollari.
I 5.000 dollari che mancavano per ultimare il film erano così desti-
nati: 1.200 dollari di salario per il montatore, 67 dollari alla settima-
na per un totale di 400 dollari per l'affitto della sala di montaggio,
75 dollari all'ora ovvero 900 dollari in totale per l'affitto degli studi
della Rea. Le spese per il missaggio alla Rea ammontavano a 300
dollari, gli effetti sonori costavano 500 dollari, quelli ottici 250 dol-
lari, la proiezione per la sincronizzazione 150 dollari, 700 dollari il
costo del laboratorio e costi vari per un totale di 600 dollari.
Il 31 agosto de Rochemont iniziò a trattare con la sede 802 della
American Federation of Musicians che richiedeva il saldo dei paga-
menti arretrati dovuti al sindacato per la registrazione della colonna
sonora.
De Rochemont inviò un assegno di 500 dollari al rappresentante
sindacale e membro del comitato esecutivo Al Knopf a nome della
Vavin Inc. per la Martin Perveler-Stanley Kubrick Producrion. De
Rochemont richiese una ricevuta che attestasse che l'assegno doveva
far rientrare l'insoluto e che confermasse la promessa verbale di dila-
zionare il saldo finale al 18 settembre e di non intraprendere alcuna
azione legale contro la produzione.
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Quello stesso giorno de Rochemont inviò un telegramma a
Kubrick, che si trovava alla Palmer House di Chicago, avvertendolo
che aveva calmato il sindacato dei musicisti. n 4 settembre giunse a
de Rochemont la ricevuta da parte del sindacato dei musicisti e il
giorno successivo arrivò una lettera di Al Knopf che confermava
l'avvenuto pagamento a favore della Gerald Fried Orchestra da parte
della Martin Perveler-Stanley Kubrick Production. La lettera attesta-
va che il debito ammontava a 1.039,36 dollari; tale somma doveva
essere pagata entro e non oltre il 18 settembre, in caso contrario i
produttori sarebbero rientrati negli elenchi nazionali degli insolven-
ti. Il 19 settembre Knopf scrisse a de Rochemont garantendo
un'ulteriore dilazione di pagamento al 2 ottobre.
Durante questo periodo Richard de Rochemont stava lavorando
alla produzione di uno sceneggiata televisivo in cinque episodi sulla
vita di Abramo Lincoln. Lo sceneggiata faceva parte della serie
"Omnibus", ed era stato creato dalla Tv Radio Workshop della Ford
Foundation, scritto da James Agee e diretto da Norman Lloyd; il
produttore esecutivo era Robert Saudek.
Lloyd aveva iniziato la sua prestigiosa carriera nel 1932, lavorando
in teatro, in televisione e nel cinema; aveva calcato le scene e aveva
alle spalle un intenso passato di attore in produzioni dirette da Eva
Le Gallienne, Joseph Losey, Elia Kazan e Orson Welles. In quanto
membro del Mercury Theater, era apparso injuli11.r Cae.rar, la leggen-
daria produzione di Welles, e aveva recitato in Sabotatori e lo ti sal-
verò di Alfred Hitchcock, L'uomo del Sud diretto da Jean Renoir,
Salerno ora X di Lewis Milestone e Una lettera per Eva diretto da Jules
Dassin. Nel 1952 Lloyd iniziò il suo lavoro come regista alla LaJolla
Playhouse e in televisione.
<<Mi portarono sulla costa occidentale per dirigere cinque episodi
su Abramo Lincoln scritti da James Agee e quando arrivai a New
York iniziammo a esaminare quello che doveva essere fatto all'inizio
delle riprese>>, ricorda Norman Lloyd, che continuò la sua carriera
dirigendo e producendo Alfred Hihhwck Presenta, recitando nel film
Tv St. Elsewhere, in L'età dell'innocenza di Martin Scorsese e in L'atti-
mo fuggente di Peter Weir. <<Il primo episodio doveva essere girato a
New York, negli studi della Fox tra la Decima Avenue e la
Cinquantasettesima strada, mentre una seconda troupe doveva gira-
re a Hodgenville nel Kentucky dove era nato Lincoln. Così, dopo
aver effettuato a New York le riprese per il primo episodio, dovetti
andare a New Salem nell'Illinois, dove Lincoln era vissuto da ragaz-
zo e dove era cresciuto. Dovevamo girare a New Salem Village, che
era stato ricostruito, e sulle rive del fiume Sangamon. Era evidente
che io non potessi trovarmi contemporaneamente a New Salem
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nell'Illinois e a Hodgenville nel Kentucky, così Dick de Rochemont
mi disse che la miglior cosa da fare era avere una seconda troupe e
io concordai con lui. Mi suggerì di guardare le fotografie di un gio-
vane fotografo che aveva conosciuto e che aveva lavorato per la rivi-
sta "Look". Aveva la sensazione che quel ragazzo avrebbe potuto far-
cela ma non intendeva assumerlo se io, il direttore della serie, non
lo avessi prima approvato. Allora dissi: "Va bene". Mi suggerì di
vedere il suo film, Fear and Desire. Lo guardai mentre seduto
nell'oscurità in fondo alla sala di proiezione c'era il ventitreenne
Stanley Kubrick. Mi sembrò ben girato: aveva delle scene interes-
santi, un aspetto generale molto buono e un curioso copione in versi
sciolti. Indubbiamente il film aveva delle qualità e mi sembrò che
Kubrick rappresentasse un'ottima scelta. De Rochemont non pre-
senziò alla proiezione. Io non parlai a Stanley perché volevo prima
parlare a de Rochemont per dirgli: "Sì, va bene, prendilo". Non
volevo avere dei problemi per aver anticipato la decisione. Pensai:
"Bene, sarà meglio che tu tenga la bocca chiusa finché non sarà
tutto combinato". Essendo cresciuto a Hollywood, istintivamente
sentivo che dovevo tenere un comportamento simile. Ricordo che
camminai lungo il corridoio e vidi Stanley che se ne stava lì un po'
curvo e con lo sguardo torvo. Più tardi dissi a de Rochemont:
"Prendi il ragazzo">>.
Della fotografia per la serie su Lincoln si occupò Marcel Rebière,
un operatore francese specializzato in documentari che aveva lavorato
per "The March of Time". «Rebière andò a Hodgenville insieme a
Kubrick, a Marian Seldes che recitava nel ruolo di Nancy Hanks, la
madre di Lincoln, e a Crahan Denton che impersonava Tom, il padre
di Lincoln, per effettuare le riprese della casa ricostruita dei Lincoln.
A quanto sembra Kubrick e Rebière ebbero dei problemi tra di
loro>>, ricorda Norman Lloyd. «Non riuscii mai a determinare con
precisione che cosa accadde, ma Rebière disse una cosa su Kubrick
quando tornò indietro: "Dirige le riprese come se vedesse tutto attra-
verso una Rolleiflex">>.
«A Hodgenville Kubrick girò del materiale muto, immagini del
lavoro alla casa, schiavi sui carri, la famiglia seduta sul patio
all'imbrunire: tutte ottime riprese. Diede alle scene un'atmosfera
incantevole; si capiva da dove proveniva quel ragazzo. Doveva
riprendere anche il piccolo Lincoln e la sorella maggiore Sarah.
Inquadrò la casa da un'angolazione molto interessante, dall'alto del
solaio, per così dire, cosicché si vedeva l'attività all'interno dell'abi-
tazione da una prospettiva quasi a piombo. Girò una scena in esterni
riprendendo la casa e il pozzo; un'altra di alcuni schiavi su un carro
trainato da cavalli che si allontanava, e la scena pastorale della fami-
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glia seduta nel crepuscolo davanti alla casa. Erano delle belle riprese,
infatti le usammo tutte».
Kubrick alloggiava al Kirk Cottages di Hodgenville. De
Rochemont gli scrisse una Iiberatoria che doveva essere utilizzata per
ingaggiare i bambini che dovevano comparire nella produzione.
Mandò anche un elenco delle attrezzature elettriche e delle luci che
dovevano essere portate sul luogo delle riprese. L'esperienza cinema-
tografica accumulata da Kubrick durante la realizzazione dei tre cor-
tometraggi gli permise di comprendere il dettagliato elenco che
comprendeva McAiister, diffusori, piccoli riflettori da l 00 watt,
lampade survoltate, gobbi e riflettori.
Il 30 settembre, de Rochemont inviò una nuova lettera a Kubrick
nel Kentucky, insieme alle riprese di una scena girata nella capanna
di tronchi d'albero a Knob Creek, della quale era stata realizzata
una ricostruzione presso gli studi Movietone. Kubrick avrebbe uti-
lizzato il filmato per determinare l'angolazione con la quale effet-
tuare le riprese con il dolly attraverso la finestra. Kubrick ricevette
inoltre una posa dell'interno della stanza dove era stata girata la
scena della morte di Nancy Hanks, insieme alle coperte e ad altro
materiale scenico che doveva servire per effettuare le riprese. La
fotografia di scena forniva le indicazioni necessarie per sistemare il
letto e arredare la stanza in modo che le immagini girate da
Kubrick combaciassero con quelle girate in studio; sempre a tale
scopo furono affittate e spedite nel Kentucky delle coperte di pelle
d'orso che dovevano servire a completare l'arredamento del sec.
Poiché il primo episodio della serie era risultato costoso, de
Rochemont chiese a Kubrick di tenere bassi i costi e di fornirgli un
rapporto dettagliato delle spese.
Per trovare i piccoli interpreti che dovevano recitare la parte di
Lincoln e di sua sorella Sarah, Kubrick setacciò la scuola di
Hodgenville. «Un paio di persone vennero in classe e dissero che sta-
vano selezionando dei bambini per un gioco, non mi venne neppure
in mente che potesse trattarsi di un film», ricorda Alice Brewer
Brown, che conobbe Stanley Kubrick quando questi entrò nella sua
classe. <<Quel giorno indossavo un vestito che mi aveva fatto mia
madre e avevo i capelli sciolti. Successivamente scoprii che la ragione
principale per la quale mi avevano scelto erano i miei capelli molto
lunghi. Ho conservato il vestito di quel giorno fino a oggi, Io riten-
go un vestito fortunato. Ero molto povera. -Là in campagna non ave-
vamo tutto quello che aveva la gente di città, quindi io mi trovai al
posto.giusto nel momento giusto».
«Stanley e Marian Seldes erano molto gentili. Il più delle volte
non andavano neppure a mangiare negli hotel in città, venivano in
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campagna a mangiare con noi. Si sedevano a tavola in sala da pranzo
e stavano lì con noi. Erano delle persone estremamente cortesi.
Anche se avevano più classe e più soldi di noi non trattavano in
modo diverso la gente di campagna. In realtà anche loro sembravano
più delle persone di campagna che di città>>.
Mentre Kubrick girava con la sua troupe, Lloyd scritturavaJoanne
Woodward, Jack Warden e altri attori che dovevano recitare nella
serie. Più tardi Marian Seldes inviò a Norman Lloyd degli articoli di
giornali locali che riportavano le interviste rilasciate da Kubrick.
«Leggendo quelle interviste avevi l'impressione che si occupasse
della regia dell'intera serie su Lincoln, di tutte e cinque le puntate>>,
ricorda Lloyd. «Li lessi e devo ammettere che la cosa mi divertì a tal
punto che mi venne da dire: "Non ho dubbi che Stanley Kubrick
diventerà un grande del cinema perché nulla potrà fermare un uomo
con un ego simile" e avevo ragione>>.
«Quindi girò tutto il materiale richiestogli, che risultò essere molto
buono, al punto che decidemmo di utilizzarlo tutto. Poi Stanley com-
parve a New Salem e si offrì di rimanere ad aiutarmi. Io gli dissi:
"Beh, Stanley, non penso che sia necessario". Poi mi guardò mentre
giravo una scena e mi disse: "C'è un sacco di pellicola sprecata in
quella ripresa. Non c'è bisogno di girare una panoramica così lunga".
Al che io risposi: "Bene, okay, però io ho intenzione di !asciarla così".
Questo episodio era solo uno dei tanti che mi dimostravano che
Kubrick non avrebbe potuto aiutarmi; sapevo che avremmo conti-
nuamente discusso su come realizzare le riprese. D'altra parte stava
iniziando a fare il regista ed era smanioso, e questa era certamente
una cosa meravigliosa. Comunque gli dissi: "No Stanley, non c'è
ragione che tu ti fermi". Naturalmente avevo già letto gli articoli.
Lui allora se ne tornò a New York e il resto è storia>>.
«Stanley era un tipo molto misterioso e un po' torvo che rimane-
va sempre molto serio. Potrei dire che non riuscii mai a cogliere in
lui neppure un barlume di umorismo; non che io sia stato molto
tempo con lui, ma comunque per un certo periodo abbiamo lavora-
to insieme>>.
Dopo aver completato la postproduzione di Fear and Desire,
Kubrick si diede alla ricerca di un modo per distribuire il film; il
limitato numero di spettatori dei cinema d'essai rendeva difficile
venderlo. La tematica esistenzialista e la mancanza di elementi carat-
teristici dei B-movie lo rendevano poco appetibile agli occhi dei
distributori. Kubrick si rivolse a tutti i principali studi che però lo
rifiutarono.
Nel giugno 1952, Kubrick stava ancora negoziando per distribuire
il suo primo lungometraggio. Disse al «New York Times>> che aveva
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in mente alcune storie che avrebbe voluto trasformare in film, ma
«non ha senso parlare del mio prossimo film finché non vediamo che
riscontri ottiene Shape of Fear sia da parte della critica che da un
punto di vista economico>>. Il nuovo titolo era provocatorio ma
destinato a non durare.
In giugno Kubrick ottenne un importante sostegno da parte di
Mark Van Doren, il noto professore della Columbia alle cui lezioni
aveva partecipato diversi anni prima. Scrivendo da Falls Village nel
Connecticut, Van Doren lodò il regista e il suo film indipendente.
«Shape of Fear è un film brillante e indimenticabile che utilizza i
materiali più semplici in cambio di risultati profondi e sorprendenti;
una favola che racchiude il senso della verità, una fiaba che dopotutto
appartiene a questo mondo. L'invenzione è squisitamente libera e
molti degli espedienti impiegati hanno la freschezza che troppo spesso
manca al cinema dei nostri giorni. Tutto contribuisce a creare un effet-
to complessivo serio e originale e una suspense mai interrotta. Quando
verrà proiettato il film, l'episodio della ragazza legata a un albero con-
tribuirà a scrivere la storia del cinema: è nel contempo bello, terrifi-
cante e misterioso; prima d'ora non era mai stato fatto niente di simile
in un film e solo questo è garanzia del fatto che il futuro di Stanley
Kubrick merita di essere tenuto d'occhio da quelli che vogliono sco-
prire un grande talento nel momento in cui si manifesta>>.
Il 28 gennaio 195 3 Martin Perveler e Stanley Kubrick firmarono
un accordo con Richard de Rochemont per completare la produzione
di Fear and Desire. Dall'accordo risulta che Perveler è il proprietario
della produzione insieme ai coautori Howard O. Sackler e Stanley
Kubrick. Nel contratto Perveler si impegna a restituire a de
Rochemont la somma di 500 dollari e a rinunciare insieme agli altri
finanziatori ai primi incassi che sarebbero derivati dalla vendita o
dalla distribuzione del film. De Rochemont ottenne inoltre il 2 per
cento della quota sul film detenuta da Kubrick.
Alla fine Kubrick fu scoperto dal distributore e imprenditore
Joseph Burstyn, il quale si entusiasmò per lui e, parlando dinanzi a
molti personaggi dell'establishment cinematografico newyorkese con
il suo accento da ebreo polacco esclamò: «È un genio, è un genio>>.
Dopo una sola proiezione di Fear and Desire, Burstyn decise di soste-
nere il film che definì ((un'artistica opera cinematografica americana
senza alcuna pretesa artistica>>.
Burstyn era un ebreo polacco nato nd 1901; nel 1921 emigrò
negli Stati Uniti, lavorò come lucidatore di diamanti e successiva-
mente divenne agente pubblicitario e direttore artistico per il teatro
yiddish di New York. Alto meno di un metro e cinquantadue e con
una gobba sulla schiena, Burstyn era un brillante uomo d'affari dota-
97
to di una grande forza di persuasione. Il suo lavoro come distributore
cinematografico iniziò a Chicago. Nel 1936 aprì una società insieme
ad Arthur Mayer, l'ex direttore pubblicitario della Paramount, che
vendette la sua quota a Burstyn nel 1949.
Quando iniziò a ricavare degli utili comprando e vendendo film,
Burstyn si trasferì a New York in un ufficio al 113 Ovest della
Quarantaduesima strada; condusse i suoi affari con il sorriso e con il
pugno di ferro. In quanto distributore ed esercente, Burstyn aveva
ideato un circuito di cinema d'essai; fu così che arrivò a occuparsi
della distribuzione di importanti film stranieri come Roma città aper-
ta, Il miracolo e Paisà di Rossellini, Ladri di biciclette di De Sica e La
scampagnata di Renoir. Burstyn proiettò i film nei cinema d'essai e si
batté duramente contro la minaccia della censura quando la chiesa
cattolica minacciò di mettere al bando diversi film. La leggendaria
lotta di Burstyn per ottenere il permesso di proiettare Il miracolo -
secondo episodio di L'amore - che era stato giudicato blasfemo dalla
Catholic Legion of Decency e dalla Commissione statale di censura
di New York, arrivò fino alla Corte Suprema, che gli diede ragione.
Quando incontrò il giovane Kubrick, Burstyn aveva cinquant'anni,
un aspetto fragile, una massa arruffata e folta di capelli bianchi ma
continuava a sfoggiare un sorriso più determinato che mai e una
volontà dittatoriale. Joseph Burstyn prese sotto la sua ala protettiva
il giovane genio e si impegnò a diventare il distributore della sua
opera prima; fece uscire il film con il titolo provocatorio e sensuale
Fear and Desire.
Il 25 febbraio 1953 Richard de Rochemont spedì a Stanley
Kubrick un saggio di quattro pagine battute con spaziatura doppia a
lui dedicate. Il pezzo era destinato a un uso pubblicitario ed era
pieno di ammirazione per il giovane regista indipendente. De
Rochemont si limitò ad avanzare la richiesta che né Burstyn né
Kubrick cambiassero una sola parola del testo senza aver prima chie-
sto la sua autorizzazione. Considerando che proveniva dall'illustre
produttore di "The March of Ti me", nonché attuale presidente della
Vavin lnc., tale sostegno fu generoso ed essenziale come lo era stato
quello di Mark Van Doren, poiché esprimeva un giudizio sul giova-
ne regista che stava per spiccare il volo senza la rete di sicurezza for-
nita da uno studio.
Il 23 aprile 1953 Fear and Desire ricevette l'approvazione dalla
Commissione Statale di censura che lo inserì nella classe B a causa
della suggestiva scena nella quale un soldato manifesta concretamen-
te i suoi appetiti sessuali nei confronti di una donna prigioniera
legata a un albero. L'anteprima del film si tenne il 26 marzo 1953 a
New York. <<Variety>> lo definì: «Un dramma di guerra colto e origi-
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naie, che spicca per il fresco trattamento cinematografico e per la
poeticità dei dialoghi>>.
Il film fu proiettato al Guild Theater di New York, una sala sulla
Quinta strada nel Rockefeller Center specializzata nella proiezione
di film stranieri e d'essai. Alex Singer andò a vedere il primo film
del suo amico. «Ero un ragazzo altezzoso, nel senso di arrogante.
Quindi trattai il film di Kubrick in modo sprezzante finché non mi
resi conto di quanto fosse straordinario. Era un lavoro raffinato
quanto quello di un regista professionista>>. Le foto di scena appese
fuori dal Guild Theater suggerirono ad Alexander Singer le possibi-
lità e le prospettive future di Stanley Kubrick. «In sala c'erano delle
fotografie di Stanley Kubricb>, ricorda Singer. <<Senza ombra di
dubbio si trattava delle migliori foto di scena mai appese fuori da un
cinematografo. Lo interpretai come un segno di ciò che quel tipo
sarebbe riuscito a fare, del fatto che tutto quello chè toccava sarebbe
diventato speciale. C'era qualcosa nel suo modo di affrontare le cose
che avrebbe reso straordinario tutto ciò che faceva. Non mi interes-
sava se gli altri riconoscevano questo suo talento o se sarebbero riu-
sciti a quantificarlo. Io sapevo cos'era e sapevo quanto fosse eccezio-
nale. Sapevo cosa serviva per realizzarlo, ed ecco ciò che serviva:
Stanley Kubrick, era lui che serviva>>.
La giovane età di Kubrick e la sua enorme ambizione attirarono
l'attenzione della critica. In un articolo su «The New Leader>>,
Wallace Markfield definì Kubrick «un regista esordiente estrema-
mente dotato>> che «SÌ diletta a realizzare dettagliatissimi primi
piani e incursioni fotografiche in una foresta scarsamente illuminata
che rivelano degli intrecciati arabeschi di vegetazione, foglie e spraz-
zi di sole>>. Markfield continuava criticando aspramente il giovane
Kubrick per i suoi eccessi simbolici e per le tematiche puerili, racco-
mandando tuttavia il film ai suoi lettori intellettuali e cinefili.
Il critico e sceneggiatore James Agee, che si era occupato della sce-
neggiatura della serie Mr. Lim·oln, vide il film e andò a bere un drink
con il giovane regista in un bar sulla Sesta Avenue al Greenwich
Village. «Ci sono troppi elementi davvero riusciti in questo film per
poterlo definire pseudoartistico>>, disse all'impaziente novizio il
decano della critica cinematografica americana e sceneggiatore di La
morte corre sul fiume e La regina d'Africa.
Fear and Desire racconta la storia di quattro soldati: Mac (Frank
Silvera), -Corby (Kenneth Harp), Fletcher (Steve Coi t) e Sidney {Paul
Mazursky).

Kubrick e Sackler iniziano il film con un messaggio esistenzialista


pronunciato direttamente da David Alleo, la voce fuoricampo. «C'è
99
una guerra in questa foresta. Non una guerra che è stata combattuta,
né una che dobbiamo ancora combattere, ma una guerra. I nemici
che combattono qui non esistono se non perché evocati da noi; tutti i
protagonisti e tutti gli avvenimenti narrati non appartengono alla
Storia. Solo le forme immutabili della paura, del dubbio e della
morte sono di questo mondo. I s~ldati che vedete parlano la nostra
lingua e vivono nel nostro tempo ma non hanno altro Paese che la
loro mente».
Un aereo militare viene abbattuto. I quattro uomini che si trovava-
no a bordo si ritrovano in una foresta all'interno della linea nemica,
dispongono di una sola pistola e non hanno cibo. Il tenente Corby
convince i compagni a dirigersi verso un fiume vicino dove poter
costruire una zattera, con la quale salpare verso la salvezza.
Durante la notte i quattro costruiscono una zattera ma sono
costretti ad abbandonare il piano di fuga quando scoprono che
sull'altra sponda del fiume c'è un posto di comando nemico. Un
aeroplano li individua costringendoli a ritirarsi nella foresta.
Più tardi, sorprendono tre nemici in una baracca, li sopraffanno otte-
nendo così viveri e armi. Il giorno successivo mentre fanno ritorno alla
zattera si imbattono in una ragazza (Virginia Leith), la prendono in
ostaggio e la legano a un albero. La ragazza non riesce a comunicare
con loro; viene lasciata sola con Sidney che ha un crollo nervoso. Gli
altri tre uomini ritornano alla zattera e individuano un generale con i
suoi aiutanti al posto di comando; Mac decide di ucciderlo.
Sidney perde il contatto con la realtà e inizia a recitare La tempesta
di Shakespeare. Mac cerca di parlare a Corby del generale ma questi
gli ordina di ritornare da Sidney mentre lui e Fletcher iniziano a
camuffare la zattera. Sidney dà dell'acqua alla ragazza e inizia ad
accarezzarla e a baciarla, poi la slega e quando lei tenta di fuggire le
spara e fugge nella foresta in preda alla follia. Mac assiste alla scena e
quando i suoi compagni fanno ritorno racconta loro l'accaduto.
È calata la notte e Mac convince Corby e Fletcher a uccidere il
generale: il loro piano consiste nel prendere la zattera e attirare con
degli spari le sentinelle fuori dall'accampamento mentre Corby e
Fletcher uccidono il generale, poi useranno l'aereo del generale per
fuggire. Con l'aiuto del binocolo da campo Corby avvista il generale,
ubriaco, e il suo aiutante di campo. I ruoli del generale e dell'aiutan-
te sono interpretati da Kenneth Harp e Steve Coit, gli stessi attori
che impersonano Corby e Fletcher che stanno andando da loro per
ucciderli. Caso vuole che Steve Coit, con il suo sguardo intenso e le
sopracciglia arcuate, rassomigli fortemente a Stanley Kubrick.
Mac inizia a sparare; le sentinelle accorrono mentre Fletcher spara
al generale e al suo aiutante; il generale striscia verso la porta.
lO O
Mac viene gravemente ferito dalle sentinelle. Il generale passa
attraverso la porta d'ingresso della baracca e Corby gli spara, poi nel
volto del generale ucciso riconosce il suo stesso volto. Fletcher e
Corby corrono verso l'aeroplano. Mac è ferito a morte e il suo corpo
viene portato via dalla corrente del fiume; Sidney gli si avvicina
ormai quasi totalmente in preda alla follia. Corby e Fletcher arrivano
incolumi alla base e aspettano l'arrivo della zattera. Corby dice di
essere scappato ma non è più in grado di tornare in sé, Fletcher si
sente libero ma non ha più progetti né desideri.
M·entre i due scorgono la zattera che scivola lungo il fiume, si
sente un canto. Mac è morto, Sidney è carponi e fissa il fluttuare
della nebbia cantando in modo incoerente: i quattro uomini sono
ancora msteme.
In una lettera scritta a Joseph Burstyn e poi pubblicata nel libro di
Norman Kagan The Cinema ofStan!ey Kubrirk, Kubrick tenta di spie-
gare il suo film al distributore che considerava come un padre: <<La
struttura è allegorica; la concezione è poetica. Un dramma dell'uomo
perduto in un mondo ostile - privo cioè delle fondamenta materiali
e spirituali - che cerca una via per comprendere se stesso e la vita
che si muove attorno a lui. Nella sua odissea è minacciato da un
nemico invisibile ma mortale che lo circonda; si tratta di un nemico
che dopo un'attenta osservazione sembra che sia tale e quale a lui ...
Probabilmente ognuno gli darà il proprio significato ed è così che
dovrebbe essere>>.
Quando, il 31 marzo 195 3, vi fu la prima di Fear and Desire, erano
già state fissate le date delle proiezioni in California, a Chicago,
Detroit e Philadelphia. Il 7 agosto il film ritornò a New York per
essere proiettato al Rialto Theater dove fu venduto come un film di
sexploitation.
Subito dopo essere stato distribuito nelle sale cinematografiche,
Fem· and Desire sparì dalla circolazione; non fu più proiettato per
quasi quarant'anni. Il primo lungometraggio di Stanley Kubrick
entrò nella leggenda: pochi lo avevano visto ma molti si aspettavano
che potesse fornire uno squarcio sulla psiche di Kubrick. I cultori e i
fanatici del regista lo vedevano come un equivalente cinematografico
della Stele di Rosetta o della Sacra Sindone. Ma non c'erano copie
disponibili per la proiezione pubblica.
Nel corso degli anni, Kubrick non guardò mai a Fear and Desire
con affetto, lo definì piuttosto un'esperienza formativa e a tal propo-
sito dichiarò sinteticamente a Joanne Stang del «New York Times>>:
«La sofferenza è una grande maestra». Ad Alexander Walker disse:
«Le idee che intendevamo trasmettere erano buone ma non avevamo
l'esperienza per trasporle su un piano drammatico. Fu poco più che
101
una versione 35mm di un film che una classe di studenti di cinema~
tografia avrebbe potuto fare in 16mm».
<<Soprattutto in quell'epoca che precedeva l'avvento delle scuole di
cinema, del registratore Nagra e delle attrezzature leggere portatili,
era estremamente importante fare un'esperienza del genere e scoprire
che poche attrezzature e un personale scarso bastavano per fare un
film. Penso che se qualcuno oggi desse un'occhiata anche solo a una
troupe cinematografica piuttosto piccola, avrebbe l'impressione di
una notevole capacità tecnica e logistica. Probabilmente ne sarebbe
intimidito e penserebbe che sia necessario qualcosa di simile per
ottenere dei risultati più o meno professionali. Questa esperienza,
insieme a quella del film che seguì, Il bacio dell'assassino - anche se
quest'ultimo partiva da presupposti migliori - mi liberò dalla preoc~
cupazione per gli aspetti tecnici e logistici della regia>>.
Del film conserva una copia la George Eastman House a Rochester,
New York.
Nel1991 Fearand Desire fu proiettato al Telluride Film Festival in
Colorado, dopo essere stato ampiamente pubblicizzato, dove suscitò
le reazioni più disparate. Nel gennaio 1994 l'intraprendente Film
Forum di New York distribuì il film in un doppio spettacolo insie-
me a Il bacio dell'assassino, intitolando l'iniziativa "The Young
Stanley Kubrick", il giovane Stanley Kubrick.
Kubrick non fece alcun commento a proposito della ricomparsa del
suo primo lungometraggio; chiese però alla Warner Bros., suo distri-
butore da anni, di rilasciare alla stampa la seguente dichiarazione:
«Il regista non lo considera niente di più che un "esercizio cinemato-
grafico goffo e dilettantesco" scritto da un poeta mancato e realizzato
da una squadra di pochi amici, e "una stravaganza assolutamente
sciocca, noiosa e pretenziosa"».
Fear and Desire potrà anche non essere stato Quarto potere, tuttavia
rivela chiaramente gli acerbi inizi di un grande talento cinematogra-
fico. Da un punto di vista contenutistico, Kubrick si trova a lavorare
con i grandi temi che affronterà nel corso di tutta la sua carriera: la
guerra e la crudeltà della natura umana. Il lavoro di Kubrick è rive-
latore del fatto che, appena ventenne, il regista aveva una visione del
mondo fredda e tetra. Dal punto di vista visivo, considerando gli
strumenti assai limitati di cui disponeva a causa del budget ridotto,
Fear and Desire possiede una forza composita, pervasa da richiami al
genere noir e immersa nell'assurdo. Kubrick fu influenzato più
dall'esistenzialismo letterario di Albert Camus e Jean-Paul Sartre
che dalla miriade di film hollywoodiani che aveva visto. La sua
prima fatica cinematografica annunciava un regista visionario dotato
di un'idea precisa e spietata del mondo.
102
Capitolo 6
Regista di guerriglia

«Il bianco e il nero sono colori. lo nel buio riuscivo a vedere più di
quanto vedessi nel colore. Nel buio riuscivo davvero a vedere».
John Alton

«Molta gente mi ha chiesto com'è lavorare nei film noir.


Per quanto ne so, in quegli anni nessuno usava un nome per
classificarli. Suppongo che qualcuno dopo aver visto sullo schermo
una nutrita collezione di film noir abbia deciso di chiamarli
in questo modo. lo pensavo solo che fosse un genere di film
interessante e poi era un lavoro>>.
Marie Windsor

Ruth Sobotka, la seconda moglie di Stanley Kubrick, era una bal-


lerina di danza classica. Nata a Vienna nel 1925, a quattordici anni
era emigrata in America insieme a sua madre Gisela e a suo padre
Walter Sobotka, un importante architetto e disegnatore d'interni.
Ruth aveva studiato alla American School of Ballet e aveva danzato
nel New York City Ballet.
Nel 1950 il coreografo di Il bacio dell'assassino David Vaughan
partì da Londra per andare a studi are alla American School of Ballet
di New York. Nell'estate del 1951, Ruth Sobotka si trasferì al 222
Est della Decima strada all'East Village; cercava qualcuno con cui
condividere l'appartamento e propose a David di diventare il suo
coinquilino. La zona dell'East Village era tranquilla e per lo più
abitata da ucraini. «Ruth si impegnò moltissimo per abbellire
l'appartamento», ricorda David Vaughan, che ora lavora come
archivista alla Merce Cunningham Dance Company. «Lavorava
molto al giardino>>.
Quando Ruth conobbe Stanley Kubrick, lui era già sposato con
Toba Metz; Ruth aveva tre anni in più di Kubrick. Ben presto i due
diventarono inseparabili; David Vaughan allora lasciò il piccolo
appartamento affinché Stanley potesse trasferirsi da Ruth. I tre
divennero buoni amici. <<Andavamo sempre al cinema perché
StanJey voleva vedere ogni film. Andavamo ai doppi spettacoli, che
spesso erano terribili, nei cinema sulla Quarantaduesima strada, solo
perché Stanley voleva vedere tutto quello che veniva proiettato. Era
103
interessato solamente al modo in cui i film venivano realizzati dal
punto di vista visivo. Se gli attori parlavano troppo, Stanley iniziava
a leggere il giornale utilizzando qualsiasi debole fonte di luce e con-
tinuava a farlo finché non smettevano di parlare».
<<Era ossessionato dal desiderio di andare a vedere ogni film e aveva
un atteggiamento ipercritico. Non ci limitavamo ad andare a vedere
dei terribili film sulla Quarantaduesima, andavamo a vedere anche
film importanti. Ci recammo al Museum of Modern Art per vedere
una proiezione speciale di Il diario di un curato di campagna di
Bresson: Stanley lo trovò meraviglioso».
«Ruth chiamava Stanley "pasticcino", e quello era il nomignolo
con il quale lo conoscevano anche tutti i compagni di ballo di Ruth
all'inizio della loro storia. Stanley andava ad assistere ai balletti e fre-
quentava abitualmente le feste degli amici ballerini di Ruth. Era una
persona sarcastica ed estremamente intelligente, era molto profondo.
I suoi commenti sulle altre persone erano assai taglienti; non aveva
un senso dell'umorismo bonario, il suo era un senso dell'umorismo
crudele. Mentirei se dicessi che Stanley era un buono, e in effetti non
ho mai pensato che i suoi film fossero in nessun modo "buoni". Non
si poteva dire che fosse una persona che vestiva alla moda; aveva pro-
prio l'aspetto di uno che veniva da una famiglia di ebrei del Bronx.
Ruth invece era molto elegante; di solito si confezionava i vestiti da
sé. È un miracolo che non sia mai intervenuta sull'abbigliamento di
Stanley e che non lo abbia mai portato a fare acquisti>>.
«Avevo la sensazione che Stanley soffrisse di una forma di paranoia
che gli faceva temere che New York potesse essere annientata da una
bomba atomica. Ricordo che a un certo punto disse di voler andare a
vivere in Australia perché quello era un posto che difficilmente
sarebbe stato preso di mira per un attacco nucleare».
«Stanley era un grande giocatore di scacchi; aveva una capacità di
concentrazione estrema e una forte determinazione a vincere.
Giocava a scacchi sulla Quarantaduesima strada, io e Ruth lo anda-
vamo a prendere e poi andavamo insieme al cinema. Com'era preve-
dibile, Ruth imparò immediatamente a giocare a scacchi, così come
iniziò a imparare le tecniche del montaggio filmico. Un giorno
Stanley cominciò a insegnare a tutti e due come effettuare il mon-
taggio. Nel mio caso il tentativo non portò a nulla perché non era un
campo nel quale mostravo di avere un particolare talento. Ruth inve-
ce voleva veramente essere la sua collaboratrice, non solamente la sua
ragazza o sua moglie. Per alcuni versi Ruth era in armonia con un
aspetto della personalità di Stanley: apparteneva a quel genere di
persone che riescono alla perfezione in tutto quello che fanno. Dopo
aver fatto parte della compagnia di danza ci fu un periodo in cui
104
cercò di diventare un'attrice, così andò a lavorare come cameriera al
Limelight, un caffè del West Village. La cameriera che riusciva a
vendere il maggior numero di pasticcini otteneva una gratifica, e
Ruth la ottenne: voleva diventare la cameriera migliore, e ovviamen-
te ci riuscÌ».
Valda Setterfield, che condivise l'appartamento con Ruth Sobotka
quando il suo matrimonio con Kubrick finì, ricorda che la prima
impressione che ebbe di lei fu quella di una donna elegante e affasci-
nante. «Indossava un incantevole accappatoio rosso molto lungo con
un collo di pelliccia. Sembrava uscita da Anna Karenina>>, ricorda
Setterfield, ballerina e attrice apparsa in La dea dell'amore di Woody
Allen. «Era incredibilmente bella, con una fronte molto spaziosa e
un viso molto espressivo e sensibile; aveva una voce armoniosa, lieve
e vivace, che infondeva energia. Si interessava di tutto; era sempre
aperta alle occasioni e non si faceva mai condizionare da alcun tipo
di regole o dalla forma».

Nonostante Kubrick stesse ponendo fine al suo matrimonio con


Toba Metz e stesse iniziando una relazione con Ruth Sobotka, la sua
attenzione era principalmente focalizzata sulla carriera. Era il 1954 e
Kubrick, incoraggiato dall'attenzione dedicatagli dalla critica per
Fear and Desire, insisteva con determinazione per realizzare un secon-
do lungometraggio.
Il progetto cominciò a prendere forma nel 1953, mentre Fear and
Desire era ancora sugli schermi del Guild Theater. Kubrick iniziò col
mettere insieme una serie di scene d'azione riguardanti un pugile
squattrinato, che intendeva sviluppare durante la stesura della sce-
neggiatura.
Il pugilato era una professione che conosceva a fondo: le foto per i
servizi pubblicati da «Look» su Walter Cartier e Rocky Graziano,
insieme alla realizzazione di Day of the Fight, gli avevano aperto le
porte del mondo dei pugili professionisti. Il pugile era una figura
chiave nei film polizieschi che Kubrick aveva visto e che lo attirava-
no; la tetra visione della vita che permea la figura esistenzialista di
un uomo che combatte per vivere costituiva un soggetto perfetto per
un film. La storia d'amore destinata al fallimento tipica del film noir
e la malavita di New York avrebbero fornito il collante del film.
Per il finanziamento Kubrick si rivolse ancora una volta a parenti e
amici.
Il ricavato di Fear and Desire non aveva coperto i costi della sua rea-
lizzazione, così questa volta Stanley chiese prestiti ad amici e parenti
diversi. La somma più ingente per il budget da 40.000 dollari gli
venne data da Morris Bousel, un farmacista del Bronx. Kubrick
105
riservò a Bousel il credito condiviso di produttore e, abbandonando
il protocollo che voleva i nomi elencati secondo un ordine alfabetico,
mise il nome Stanley Kubrick al primo posto.
Il 22 aprile 1954, dalla stanza 510 al 1600 di Broadway dove
aveva sede la sua nuova società di produzione, la Minotaur
Productions Inc., Kubrick scrisse una lettera indirizzata personal-
mente a Richard de Rochemont nella quale parlava della produzione
del suo secondo film. Scrivendo su un foglio di carta intestata della
Minotaur, Kubrick intendeva mostrare a de Rochemont la situazione
degli investimenti stanziati dal produttore in Fear and Desire.
Kubrick disse a de Rochemont che dopo attente riflessioni era arri-
vato all'incontestabile conclusione che il denaro investito dal produt-
tore in Fear and Desire avrebbe dovuto essere considerato un prestito,
visto che Kubrick non sarebbe riuscito a restituire il denaro in un
futuro immediato a causa degli scarsi incassi del film al botteghino.
Concluse assicurando che avrebbe saldato il suo debito quanto
prima; mandò i suoi migliori auguri al suo benefattore e si firmò
Stan Kubrick.
Il 28 aprile, de Rochemont rispose a Kubrick con una lettera indi-
rizzata al suo appartamento dell'East Village dove viveva con Ruth
Sobotka. Il produttore ringraziava Kubrick per la sua lettera, assicu-
randolo che sarebbe stato «d'accordo con ciò che ritieni sia meglio
per te». De Rochemont esprimeva il suo interesse riguardo al secon-
do lungometraggio di Kubrick e gli chiedeva di invitarlo alla proie-
zione quando questo fosse stato terminato.
Ancora una volta Kubrick lavorò alla sceneggiatura insieme a
Howard O. Sackler, questa volta però Sackler non sarebbe stato cita-
to: nei titoli d'apertura si legge solo «Story by Stanley Kubrick>>.
L'originale storia di un pugile newyorkese sviluppata da Kubrick e
Sackler fu intitolata Kiss Me, Ki/1 Me.
Il regista della serie su Lincoln, Norman Lloyd, stava lavorando in
California a La Jolla Playhouse, un teatro fondato da Gregory Peck,
Dorothy McGuire, Joseph Cotten, Jennifer Jones e Mel Ferrer, tutti
sotto contratto con David O. Selznick, quando gli dissero che c'era
una telefonata per lui da New York. «C'era Stanley al telefono. Stava
lavorando a un film dal titolo The Nymph and the Maniace voleva che
andassi lì da lui a New York per prendervi parte>>, ricorda Lloyd.
«Così gli dissi: "Beh Stanley, al momento mi sto occupando di regia,
quando hai intenzione di iniziare?". Mi disse le date. A quel punto
mi venne un dubbio. Dissi: "Stanley, è un film in regola con il sinda-
cato di categoria?", e lui mi rispose: "No, no". lo dissi: "Beh, io non
posso fare un film che non sia in regola coi sindacati, faccio parte
della Screen Actors Guild", e lui ribatté: "Bene, Frank Silvera ci sarà
106
e non gliene frega niente". Ero un grande ammiratore dei film di
Frank Silvera. Lo ritenevo uno dei migliori attori disponibili sul
mercato ma a quel tempo a Frank piaceva andare contro ogni regola
che potesse essere infranta. Quindi gli dissi: "Stanley, non posso pro-
prio farlo"».
La produzione iniziò nel 1954 e le riprese in esterni furono realiz-
zate a New York. Alexander Singer era sul set come fotografo della
croupe. Kubrick lavorava per le vie della città con uno stile da regi-
sta di guerriglia. Le scene dei protagonisti principali nei loro appar-
tamenti furono girate in un piccolo studio. Si provvedette all'attrez-
zatura cinematografica, al laboratorio, al montaggio e ai costi di
doppiaggio con una formula di pagamento posticipato. Gli attori
lavoravano per una cifra bassissima, incluso Frank Silvera che era
apparso anche nell'opera prima di Kubrick Fear and Desire. Kubrick
effettuò le riprese in dodici-quattordici settimane: un programma
lungo per una produzione a basso budget. «Tutto quello che faceva-
mo costava talmente poco che non ci sentivamo sotto pressione: un
vantaggio questo che non avrei più avuto>>, disse Kubrick ad
Alexander Walker. La fotografia e la postproduzione furono comple-
tate in dieci mesi. Nell'intento di evitare l'errore del doppiaggio del
sonoro di Fear and Desire, Kubrick si preparò a girare un film con il
sonoro in presa diretta. Alla fine però fu costretto a ricorrere di
nuovo alla postsincronizzazione di tutti i dialoghi e degli effetti
sono n.
Per registrare la colonna sonora di Il baào dell'assa.rsino, Kubrick
ingaggiò come tecnico del suono Nat Boxer, ma il lavoro fu brusca-
mente interrotto. «Eravamo in una soffitta al Greenwich Village di
New York, vicino alla Quarta strada e lui stava illuminando la stanza
posteriore per girare la prima scena>>, disse Boxer in un'intervista del
1976 rilasciata a «Filmmaker's Newsletter>>. «Prima non ci fece
entrare e poi finalmente ci lasciò passare. L'illuminazione era perfetta
ma quando sistemammo i microfoni dove normalmente dovevano
stare, nella stanza si formarono almeno diciassette ombre. Che cosa
ne sanno i fotografi dei problemi cinematografici? Beh, Kubrick
guardò il sete disse: "È così che fate? Vuoi dire che avete intenzione
di mettere i microfoni lì? È impossibile". "Ma è così che si fa" rispo-
si. Poi gli attori iniziarono a muoversi e tutte le ombre cominciarono
a muoversi con loro allora Kubrick gridò: "Taglia! Non si fa un film
in questo modo. Ragazzi, siete tutti licenziati!". Poi portò un picco-
lo registratore audio-video, un Webcor, e doppiò tutto il film perché
non sapeva come risolvere il problema dell'illuminazione. In Rapina
4 mano armata, il film successivo con Sterling Hayden, ingaggiò un

tecnico delle luci professionista, è lì che deve aver imparatO>>.


107
Kubrick continuò a girare il film da solo su una pellicola 35mm in
bianco e nero, utilizzando delle macchine da presa Mitchell ed
Eclair. In Fear and Desire disponeva di un'assistenza minima, nel suo
secondo lungometraggio invece fece la sua prima esperienza di lavo-
ro insieme a un operatore.
In fase di riprese Kubrick incontrò Max Glenn alla Titra Films,
una società che si occupava di sottotitolare i film stranieri, al 1600
di Broadway, lo stesso indirizzo del rifugio di Kubrick. Da Glenn,
un operatore cinematografico iscritto alla sede 644 del sindacato
degli operatori di New York, Kubrick ricavò la maggior parte delle
sue conoscenze tecniche.
«Lavorai per un po' alla Titra, fu così che conobbi Stanley», rac-
conta il settantasettenne Glenn che, ormai pensionato dopo quaran-
tacinque anni di lavoro come operatore, presta la sua opera nella
cabina di proiezione della Donnell Library di New York. «Aveva
bisogno di un posto dove effettuare il montaggio. Era un tipo sciolto
e dall'aspetto trasandato, così venne a chiedere al proprietario se
poteva usare la sala di montaggio dove c'era la moviola. Il proprieta-
rio guardò Stanley e gli disse: "Stanley, sembri un barbone. Fatti la
barba e ti farò usare l'attrezzatura". Aveva sempre l'aspetto di uno
che aveva bisogno di farsi la barba e di tagliarsi i capelli. Avevo
l'impressione ~he non si lavasse molto spesso>>.
<<Stanley sapeva che io facevo l'operatore. Così mentre stava giran-
do una scena mi chiese di andare da lui. Mi domandò: "Ti piacerebbe
lavorarci su? Ti metterei nei titoli". Me lo promise in anticipo; io
non mi aspettavo certo di vedere il mio nome nei titoli del film. Usò
anche la mia casa, dove girò un paio di scene proprio davanti al mio
televisore; fece tutto lui, si trattava di una parte di una sequenza di
un pestaggio, mentre la gente guardava la televisione>>.
«Girammo una scena in esterni. Una domenica mattina se ne andò
a Wall Street. Era tutto deserto, non c'era in giro nessuno.
Arrivarono un sacco di poliziotti ma lui era preparato a questa even-
tualità. Nel portafoglio aveva un bel mucchietto di banconote da
venti dollari per pagarli. Uno dei ragazzi tornò indietro e disse:
"Ascolta, il sergente non ce l'ha fatta a venire, doveva rimanere in
ufficio". Venti dollari anche a lui>>.
«Io caricavo la pellicola e la sistemavo nella macchina da presa. In
realtà io eseguivo le riprese ma lui le dirigeva. Era proprio accanto a
me; sapeva cosa voleva realizzare e dove bisognava sistemare la mac-
china. Mi chiese in prestito una Beli e una Howell Eyemo, una mac-
china a mano che contiene trecento metri di pellicola 35mm.
Qualche rara volta la utilizzava per le riprese fuori dal finestrino di
un'automobile. Un sabato mattina mi telefonò e mi disse:
108
"Qualcuno mi ha scassinato la macchina e ha rubato la Eyemo". Io
risposi: "Okay, mi è successo di peggio nella vita". Quindi propose
subito di rifondermi l'apparecchio; disse: "Ti voglio risarcire". Andò
dal suo avvocato e scrisse insieme a lui un documento nel quale si
diceva che mi avrebbe ripagato del danno con le prime entrate che
sarebbero derivate dal film; lo firmò, me lo consegnò e la faccenda
finì così. La Eyemo non era una macchina molto costosa e io non ho
mai saputo se il film abbia incassato qualcosa oppure no».
«Più tardi andai a Hollywood per girare del materiale per il predi-
catore Ora! Roberts; chiamai Stanley che trascorse un'intera giornata
con me. Fu molto gentile, mi portò in giro e mi mostrò un mucchio
di cose. Si stava preparando ad andare in Europa per girare Orizzonti
di gloria. Se ne stava lì a pisciare in uno degli orinatoi della
Universal quando io tirai fuori il documento e gli dissi: "Ehi
Stanley, cosa mi dici di questo?". "Ah", rispose "mettitelo su per il
culo, non ho intenzione di pagare" e ne ridemmo tutti e due. Non
mi aspettavo molto per aver lavorato a Il baào dell'assassino>>.
Kubrick non rispettò la promessa di risarcimento del danno ma
mantenne la parola riguardo ai titoli del film dove indicò il nome di
Max Glenn come operatore.
«Quando penso a Stanley rivedo l'immagine di un uomo dritto,
vestito con un completo di lana trasandato e la camicia che esce
fuori dai pantaloni, che ha bisogno di una buona rasata e c·on i
capelli spettinati. Non ho mai pensato che ce l'avrebbe fatta; non mi
è mai venuto in mente che quel che stava combinando avesse un
senso, ma poi lui ce la fece e io no, quindi era un bel po' più avanti
di me. Avevo solamente la sensazione che quel ragazzo non sarebbe
mai diventato un pezzo grosso. Però conosceva la fotografia; aveva
familiarità con l'insieme, la composizione ecc., aveva una conoscenza
quasi istintiva che lo rendeva consapevole di cosa diavolo stava
facendo>>.
Alexander Singer, il fotografo della troupe, si occupava di docu-
mentare il lavoro di Kubrick mentre dirigeva, produceva e girava i
suoi film indipendenti. Kubrick riuscì a interessare la rivista «Life>>,
la principale concorrente di «Look>>, e a farle pubblicare un pezzo
sulla realizzazione del suo secondo lungometraggio. Lo stimato foto-
reporter di <<Life>> Alan Grane trascorse una giornata sul set per
cogliere il giovane Kubrick al lavoro. Singer continuava a scattare
fotografie dietro e intorno a Grant. Alcune delle immagini di Singer
furono mostrate al direttore del settore iconografico di «Life>> e
molte di esse furono pubblicate nell'articolo insieme a quelle scattate
dal fotografo professionista. Il caporedattore di <<Life>> presentò
Singer a Leslie Scevens, drammaturgo, sceneggiatore, produttore e
109
regista, che portò Singer sulla costa occidentale e lo aiutò nella sua
carriera futura. !rene Kane era il nome d'arte della scrittrice Chris
Chase che interpretava la parte di Gloria nel film di Kubrick e che
portò alcuni dei lavori di Singer alla rivista «Modern Romance»; per
questa rivista Singer scattò delle foto in stile noir che illustravano le
spaventose storie scandalistiche pubblicate.
Come regista, Kubrick stava scoprendo tutti gli strumenti dispo-
nibili ed era smanioso di imparare al meglio il mestiere. «Ampliava
e approfondiva il suo talento con un'energia addirittura spietata, si
potrebbe dire che divorava il sapere>>, ricorda Singer, che osservò da
vicino Kubrick durante la lavorazione del suo secondo film.
<<Comprese il valore del ding-ding, un piccolo riflettore da 100
watt. Il piacere che provò nello scoprire il potere, la flessibilità e
l'utilità di quella piccola luce fu davvero straordinario. Stanley disse:
"Non userò mai più altre luci che questa!", faceva sempre delle affer-
mazioni molto estreme. Il ding-ding era un piccolo riflettore facil-
mente controllabile, e il controllo è l'essenza del cinema. Il controllo
è anche l'essenza del regista, che vorrebbe sottomettere l'universo. La
sua improvvisa scoperta fu espressa in modo così deliziosamente
ingenuo e puro da risultare davvero unico>>.
Durante lo sviluppo della trama di Il bacio dell'assassino, Kubrick
comunicò a David Vaughan che intendeva far recitare nel film anche
Ruth Sobotka; gli chiese quindi di creare la coreografia di una scena
di danza classica.
Oltre a chiedere a Vaughan di assumersi l'incarico di coreografo,
Kubrick gli domandò di recitare la parte di uno dei due ubriachi che
si prendono gioco del pugile e gli rubano la sciarpa mentre questi
aspetta Gloria, la sua ragazza, a Times Square. Poi gli chiese anche di
interpretare la parte di uno spettatore che si trova in un teatro,
durante una scena che si svolge in contemporanea con quella in stra-
da. Per Vaughan questo compito costituì una sfida tecnica. «Dovevo
sedere in fondo dove nessuno poteva vedermi>>, racconta Vaughan,
«perché a un certo punto l'azione avveniva in contemporanea con
quella che si svolgeva in strada. Kubrick aveva bisogno di comparse
e aveva ingaggiato tutti quelli che conoscevamo: gli amici di Ruth
della compagnia di danza e alcuni amici miei. In quel periodo avevo
iniziato a lavorare per alcuni musical, così presero parte al film anche
diverse persone che avevo conosciuto grazie a quegli spettacoli>>.
La sequenza di danza che aveva per protagonista Ruth Sobotka
venne girata nel Theatre de Lys, l'attuale Lucille Lortel Theatre,
sulla Christopher Street al Greenwich Village. Kubrick spiegò a
David Vaughan lo scopo della sequenza: la scena è un flashback della
sorella di Gloria, una ballerina; durante il balletto Gloria racconta la
110
storia complessa e contorta della tragedia accaduta a sua sorella.
Poiché il budget disponibile per la sequenza era limitato, non era
possibile ingaggiare nessun altro ballerino, così Vaughan fu costretto
a creare un assolo di danza per Ruth. Il palcoscenico era piccolo e
privo di quinte vere e proprie. <<Era un assolo ma doveva sembrare
un ballettO>>, ricorda Vaughan. «Gerald Fried compose appositamen-
te una partitura. Non avevo alcuna idea di come sarebbe stata la
musica, però cercai di farla sembrare un brano di un componimento
ben più lungo e non solamente una specie di breve assolo. Fu così
che inserii un passaggio di danza che desse l'impressione che Ruth
stesse interagendo con altri ballerini>>.
La sequenza fu ripresa da Kubrick nel giro di una mattinata: un
successo se si considera la grande quantità di situazioni presenti
nella sequenza definitiva. «Ci furono un paio di momenti in cui uti-
lizzò degli stratagemmi>>, osserva Vaughan, «come quando la balle-
rina fa una piroetta e sembra che ne abbia fatte molte di più; è la
stessa situazione proposta da Moira Shearer in Scarpette rosse>>.
La sequenza di Times Square, durante la quale due ubriachi pren-
dono in giro Jamie che sta aspettando Gloria, venne girata in una
fredda notte newyorkese, però gli attori dovevano indossare dei
vestiti leggeri che si adattavano al clima tiepido che doveva traspari-
re nel film. «Era una notte freddissima>>, ricorda David Vaughan.
<<Stanley mi lasciò letteralmente padrone della scena girata in strada.
Successivamente mi disse che ero un grande attore comico, ma io mi
sentivo un po' imbarazzato. Non ero abituato a improvvisare davanti
a un pubblico simile>>.
L'altro ubriaco fu interpretato da Alec Rubin, un vecchio amico di
Ruth che attualmente lavora come attore e insegnante di recitazione.
Mentre David e Alec scherzavano e ballavano lungo Times Square, la
gente per strada non sapeva che stavamo girando un film. I passanti
si giravano a guardare Vaughan e Rubin che facevano i buffoni,
mentre la macchina da presa di Kubrick catturava le reazioni in
tempo reale. Alec aveva più esperienza di me come attore ma Stanley
ci disse qual era la situazione e ci lasciò fare>>, ricorda Vaughan.
C'erano delle lunghe pause tra le riprese, nelle quali Kubrick
rifletteva su come girare le scene successive. Vaughan, Rubin e
)arnie Smith, che interpretava il ruolo del pugile Davey Gordon,
avevano così la possibilità di rifugiarsi in una tavola calda di
Broadway a bere del caffè bollente e a scaldarsi le membra infreddo-
lite coperte da vestiti troppo leggeri.
Kubrick e i suoi attori dovevano essere discreti durante le riprese
effettuate in strada. <<Non dovevamo rendere troppo evidente quello
che stavamo facendo perché Stanley non aveva chiesto i regolari per-
111
messi per girare il film per la strada», ricorda David Vaughan.
<<Bisognava fare tutto in gran segreto».
Kubrick girò in prima persona la sequenza, utilizzando una
Eyemo, probabilmente quella che aveva chiesto in prestito a Max
Glenn. Per la sequenza durante la quale la macchina da presa segue
Vaughan e Rubin che, impossessatisi della sciarpa del pugile, vengo-
no inseguiti per Broadway, Kubrick rimaneva nascosto in una mac-
china che correva vicino al marciapiede, in modo da ottenere l'effetto
di una carrellata.
Durante la postproduzione il denaro cominciò a scarseggiare. Non
potendo permettersi di ingaggiare un assistente di montaggio,
Kubrick montò il film da solo. La postsincronizzazione della colonna
sonora fu realizzata scrupolosamente e richiese molto tempo. Ci volle-
ro quattro mesi per montare ogni effetto sonoro e il rumore dei passi.
Kubrick eseguì il lavoro di montaggio ai Titra Sound Studios dove
aveva incontrato per la prima volta Max Glenn. Nello stesso luogo
conobbe Peter Hollander, un regista di documentari che produceva e
dirigeva film per le Nazioni Unite.
La Ti tra Films apparteneva a una società europea ed era specializza-
ta nel sottotitolare i film stranieri. In quel periodo per la Titra lavo-
rava Herman G. Weinberg, un rispettato storico del cinema e uno
dei più noti traduttori di sottotitoli. Accanto alla Ti tra Films c'era la
Titra Sound che affittava moviole, attrezzature per il montaggio e
una sala di montaggio. <<La Titra era un posto molto carino, aveva
un'atmosfera piacevole oltre a delle tariffe ragionevoli)), ricorda
Hollander.
Kubrick e Hollander si conobbero mentre Peter stava lavorando a
uno dei suoi primi documentari. <<Continuavamo a intrometterei
l'uno nel lavoro dell'altro», ricorda Hollander. Entrambi erano affa-
scinati dal procedimento utilizzato dalla Titra per creare i sottotitoli.
<do e Stanley stavamo lì a guardare mentre li realizzavano.
Prendevano delle copie di distribuzione, le ricoprivano di cera, com-
ponevano i sottotitoli e con uno stampo li imprimevano fotogramma
per fotogramma nella cera. A quel punto la pellicola veniva immersa
in un bagno di acido che consumava l'emulsione della pellicola non
ricoperta di cera, lasciando i sottotitoli bianchi)).
La Titra Films e la Titra Sound avevano una porta comunicante.
Oltre ad avere delle sale di montaggio separate avevano due studi di
registrazione dei suoni, uno grande e l'altro piccolo, che venivano
utilizzati per realizzare i doppiaggi e i missaggi.
Kubrick disse a Hollander che sua moglie Ruth Sobotka era una
rifugiata di guerra: i due uomini divennero amici quando Hollander
rivelò a Kubrick di essere un rifugiato tedesco ebreo.
112
Il matrimonio di Kubrick con Toba Metz terminò con una senten-
za di divorzio pronunciata in Messico. Ruth Sobotka e Stanley
Kubrick si sposarono ad Albany, nello Stato di New York, il 15 gen-
naio 1955. L'll settembre dello stesso anno Toba Kubrick convolò a
nozze conJack Adler a North Bellmore, Long Island.
«Un giorno Stanley arrivò tenendo stretto in mano un libro piut-
tosto grosso con la copertina rigida», ricorda Peter Hollander. «Era
molto eccitato, l'aveva scovato in un negozio di libri usati.
Pubblicato agli inizi della storia del cinema, il libro vantava di
contenere tutte le trame possibili per una sceneggiatura, tutte
quante. Stanley prese la cosa molto seriamente. Se lo teneva stretto
come se fosse stata la cosa più preziosa che avesse mai acquistato.
Era molto eccitato, come se avesse trovato la chiave del lavoro di
regia, come se quella fosse la risposta che avrebbe risolto ogni gene-
re di problema».
«Era molto piacevole, era un personaggio affascinante. Ci diverti-
vamo un sacco insieme; scherzavamo moltissimo. Stan era bravo in
questo, ma lavorava duro, passava delle ore alla moviola. Eravamo in
stanze separate ma dopo tre ore di duro lavoro uscivamo per bere una
tazza di caffè e scherzavamo. C'erano tecnici del missaggio e del dop-
piaggio: ognuno si immischiava nel lavoro altrui. Stanley era molto
spiritOSO>>.
«Era un bravissimo tecnico. Sapeva ciò che faceva. Era lì per mon-
tare. A volte non faceva nulla e se ne stava seduto di fronte all'ufficio
a scherzare; non si impegnava in qualcosa in modo costante. Quando
tornai indietro tre mesi dopo lo trovai ancora lì>>.
Al termine del film, il costo finale era salito a 75.000 dollari, con-
siderando il saldo dei pagamenti rimasti in sospeso e la quota dovuta
ai sindacati. Kubrick riuscì a vendere il film alla United Artists che
lo acquistò per una distribuzione mondiale e lo fece uscire con il
titolo Il baào dell'assassino. <<A quanto mi risulta, in quegli anni nes-
suno aveva mai realizzato un film in condizioni tanto amatoriali
ottenendo una distribuzione mondiale>>, disse Kubrick ad Alexander
Walker. Il film realizzò dei profitti per lo studio, che lo fece uscire
come secondo film nei cinema che proiettavano il doppio spettacolo.
I ricavi del film non pareggiarono i conti ma, come accadde per Fear
and Desire, Kubrick restituì i soldi che gli erano stati prestati dai
finanziatori. Quella sarebbe stata l'ultima volta che Kubrick doveva
rendersi personalmente responsabile del finanziamento di un film.
Kubrick ha sempre parlato di Il bacio dell'assassino come di
un'impresa amatoriale, un film di formazione. Il budget insufficien-
te, gli attori perlopiù sconosciuti, l'assenza di uno staff tecnicamente
preparato e la postsincronizzazione dei dialoghi compromettono
113
l'esito di questa sua prima fatica che però lascia la traccia di un
talento registico che non si limita a esplorare e ad acquisire gli stru-
menti necessari a questo lavoro ma sviluppa una propria visione
cinematografica.
Come molti altri della sua generazione, Kubrick fu notevolmente
influenzato dai rapidi mutamenti del mondo in cui viveva. Gli anni
che erano seguiti alla seconda guerra mondiale avevano portato la
minaccia costante della distruzione e il tormento e la paura legati
all'era nucleare. Come artista, Kubrick trovò i mezzi per esprimere
la sua visione malinconica e distaccata nello stile cinematografico di
quello che verrà definito "film noir". La definizione "film noir" deri-
va da "roman noir" che significa "romanzo nero" e che veniva utiliz-
zata dai critici letterari francesi nel diciottesimo e diciannovesimo
secolo per descrivere il romanzo gotico inglese. Negli anni
Cinquanta la critica francese notò che nei film prodotti a Hollywood
negli anni Quaranta e agli inizi degli anni Cinquanta si manifestava
una tendenza che venne successivamente classificata e codificata
come film noir. Giungla d'asfalto, Il grande sonno, La fiamma del
peccato, Giorni perduti, La signora di Shanghai, Il grande caldo, La san-
guinaria, Un bacio e una pi.rtola e Mano pericolosa sono solo alcuni
esempi di questi film tetri che dipingono una malavita immersa nel
crimine e nella corruzione e popolata da personaggi solitari, cinici,
disillusi e fatalistici. Lo stile visivo è inesorabilmente cupo. Le scene
si svolgono per lo più di notte, in un mondo fatto di ombre e perva-
so da un male nascosto. Realistica, desolante e sobria, la macchina da
presa del film noir coglie la luce senza speranza in un'atmosfera
desolata e permeata di contrasti, tra ombre scure e luci scintillanti
riprese in campo lungo. Nessuna speranza, nessuna possibilità di
sfuggire al fato incombente.
Registi come Joseph H. Lewis ed Edgar G. Ulmer e operatori cine-
matografici come John Alton spesero la loro carriera lavorando
all'interno del genere noir. Altri come Alfred Hitchcock, Orson
Welles, Billy Wilder, Otto Preminger e John Huston esplorarono il
genere e poi continuarono altrove la loro ricerca. Kubrick appartene-
va a una nuova generazione di registi che non provenivano dal siste-
ma hollywoodiano. Come Roman Polanski in Chinatown, Robert
Altman in Il lungo addio e Ridley Scott in Biade Runner, Kubrick uti-
lizzava lo stile noir come strumento per esprimere il suo stile perso-
nale. Il bacio dell'as.rassino è ricco di elementi classici del film noir e
di immagini innovative che Kubrick aveva coltivato sin dai tempi di
Day of the Fight. Nel documentario sul pugile Walter Cartier, per la
prima volta Kubrick aveva esaminato dall'interno il mondo della
boxe. Nel film molte delle immagini del cortometraggio furono
114
riprese e rimodellate, con l'intento di rappresentare nella finzione la
vita di un pugile professionista.
L'atmosfera carica di fatalismo che permea il noir viene resa attra-
verso· i flashback che discendono negli strati profondi del passato, e
funzionano come spinta propulsiva verso il presente. La macchina da
presa di Kubrick registra il grigio, il nero e il bianco delle composi-
zioni che fanno sprofondare Davey Gordon in un mondo desolato.
L'immagine ripetuta di Davey in un limbo disperato alla Penn
Station utilizza una retroproiezione per trasparente alquanto curiosa:
sebbene Kubrick avesse ripreso la scena direttamente alla stazione di
New York, ottenne l'effetto voluto mantenendo lo sfondo immerso
in una luce soft, piatta e grigia. Davey sembra lievemente più
modellato, come se emergesse dal suo ambiente. Il costante cambia-
mento temporale ci ricorda che il film si svolge all'interno della
mente di Davey e che per lui il passato recente e quello più remoto
coesistono in un continuum temporale.
In Il baào dell'as.rassino Kubrick documenta l'atmosfera di New
York: la Penn Station, le strade deserte, i cartelloni dell'incontro di
boxe e il vecchio negozio di barbiere posto in apertura colgono la
realtà della città negli anni Cinquanta. Times Square è rappresenta-
ta, tramite il montaggio, da hot dog che sfrigolano sulla graticola,
l'insegna al neon del negozio di un fotografo che scintilla, sfolgoran-
ti insegne lungo la Great White Way che pubblicizzano il Bond's e
il Canadian Club, coppe di gelato guarnite che ruotano su un piatto,
un bimbo di plastica che nuota in una piscina in miniatura piena
d'acqua.
Dappertutto compaiono inquadrature di specchi: Davey scruta nel
suo futuro prima dell'incontro di boxe, come aveva fatto Walter
Cartier; Rapallo rabbrividisce per il ribrezzo guardando la sua
immagine riflessa. Risorsa simbolica, cinematografica e pratica, ma
soprattutto economica, per espandere il linguaggio figurato: lo spec-
chio riflette ed estende la nostra percezione dei personaggi e del loro
ambiente.
L'arroganza giovanile spinse Kubrick a creare delle immagini sin-
golari: il volto di Davey distorto da un primissimo piano ripreso
attraverso la boccia dei pesci, l'incubo di Davey visualizzato attraver-
so una serie di immagini in negativo legate da un montaggio discon-
tinuo e girate con una macchina da presa che si muove lungo le
desolate strade cittadine. Kubrick adottò delle strategie per eludere
la complessità delle sequenze di dialoghi registrati in presa diretta:
tecniche che verranno seguite dagli studenti aspiranti registi per i
successivi quarant'anni. La narrazione prosegue per mezzo della voce
fuoricampo di Davey o di Gloria. Un'intera sequenza nella quale
115
Gloria racconta della morte del padre e del suicidio della sorella
viene narrata dalla voce fuoricampo mentre sullo schermo compaio-
no le immagini di Iris che danza.
Gli effetti visivi sono minimi. Kubrick dissolve in uno schermo
ondeggiante per denotare il cambiamento di dimensione temporale.
Realizza il passaggio dal flashback di Gloria alla scena dove Rapallo
la maltratta, ruotando la macchina da presa di 360 gradi all'interno
dell'appartamento vuoto per poi ritornare all'immagine di Gloria
che narra il flashback.
In Il bacio dell'assassino si trova l'eco di molte delle immagini di
Day of the Fight: il cartellone dell'incontro di pugilato affisso a un
lampione, le strade della città di New York, il pugile che contempla
la propria esistenza guardandosi in uno specchio e in genere gli
ambienti della giornata del combattimento di Walter Cartier.
Le preoccupazioni sulle potenzialità del film al botteghino fiacca-
rono la decisione di Kubrick circa la conclusione del film. Gli
amanti di un film noir non trovano mai la felicità; l'eroe non trova
mai pace. Violando la regola, Il bacio dell'aJSaJSino si chiude con un
finale in crescendo, e i due protagonisti si ritrovano per vivere insie-
me felici e contenti. Il tono malinconico del film non tiene fino alla
fine: l'avventura di Kubrick all'interno del genere noir è rimasta
incompiuta.
Per la colonna sonora, Kubrick si rivolse ancora a Gerald Fried.
Due sono i temi musicali che ricorrono nel film: uno è il tema
d'amore della canzone Om·e, scritta da Norman Gimbel e Arden Clar,
utilizzato per creare un'atmosfera romantica, l'altro è un pezzo di
jazz latino che dà risalto all'elemento criminale e alle scene d'azione.
Per l'inseguimento finale in strada, Fried creò un pezzo alle percus-
sioni che suscitava tensione e che echeggiava il senso ritmico del
movimento Guerra (Marre) di The P/anets di Gustav Holst, un brano
noto agli appassionati di cinema grazie ad Apocalypse Nou·.
Kubrick sentì la canzone d'amore di Gimbel e Clar e chiese a Fried
di svilupparla. Fried la arrangiò in ogni possibile variazione, utiliz-
zando ogni volta uno strumento guida diverso e interpretando la
canzone in una varietà di toni musicali.
Per le sequenze d'azione e le scene riferite alla vita notturna della
malavita di New York, Fried iniziò a lavorare su un motivo latino.
«Quell'estate lavoravo con un gruppo di mambo e ancora una volta
dissi: "Cosa mi elettrizza?". Trovavo che il ritmo latino fosse irresi-
stibile, così dissi: "Devo utilizzare questo!". Non mi stancavo mai di
suonarlo così mi limitai a inserirlo».
La scena dell'inseguimento e la lotta nel ripostiglio pieno di
manichini costituiscono il climax del film e furono accompagnare
116
dalle percussioni che contribuivano a sostenere la tensione. L'espe-
rienza di Kubrick come percussionista nell'orchestra del Taft e in un
gruppo swing gli faceva prediligere quello strumento. «Sia io che
Stanley eravamo dei patiti del tamburo>>, ricorda Fried. «Non c'è
niente di più emozionante di un cuore che batte, così noi utilizzava-
mo molte grancasse percosse con una grossa bacchetta e mettevamo
il microfono vicino alla pelle tesa del tamburo in modo che risuo-
nasse come il battito del cuore: questo accadeva prima dell'avvento
dei sintetizzatori>>.
Il lavoro di montaggio affascinava Kubrick da sempre: qui il regi-
sta utilizza il montaggio alternato per mettere in relazione Davey e
Gloria e per dare alle scene un ritmo vivace.
La Eyemo di Max Glenn fu di grande utilità per le riprese con la
macchina a mano, in modo particolare per le sequenze di combatti-
mento, che furono realizzate utilizzando alcune delle tecniche impie-
gate in Day of the Fight. La macchina da presa, sfrontata, penetra il
combattimento diventando un partecipante attivo della scena. Le
inquadrature in movimento dall'alto distorcono i primi piani gran-
dangolari mentre la luce vivida e il baluginio delle luci poste in alto
sottolineano l'ardore della lotta.
Non potendo realizzare una carrellata vera e propria, Kubrick creò
le scene in movimento utilizzando una macchina a mano posta su
una vettura. La ripresa in movimento dall'alto di Gloria che attraver-
sa la strada dopo il combattimento cattura la qualità quasi spettrale
del suo incedere. I fluidi movimenti di macchina colgono lo spirito
spensierato dei due ubriaconi che si muovono lungo Times Square.
La colonna sonora fu completata in postproduzione. La nitidezza
degli effetti sonori risulta artificiosa ma anche di estrema efficacia.
Kubrick inserì con grande cura il suono di ogni passo e di ogni
rumore del corpo, con l'intento di restituire il massimo realismo.

Kubrick aveva dedicato tutte le sue energie alla regia e quasi tutti
coloro che erano in contatto con lui avevano a che fare con questo
obiettivo; nonostante tutto la sua passione per gli scacchi continua-
va. A New York il mondo degli scacchi era un universo a sé. Le sue
incursioni ai giardini di Washington Square e nei principali club di
scacchi della città lo avvicinarono a un ambiente che affinò la sua
capacità decisionale, una delle doti principali di un regista cinema-
tografico.
Il Marshall Chess Club si trovava sulla Decima strada ovest tra la
Quinta Avenue e la Sesta Avenue, proprio dalla parte opposta della
città rispetto alla sua abitazione al 222 Est della Decima strada.
Kubrick vi si recava piuttosto spesso, generalmente la sera.
117
Il club aveva la sua sede nella casa privata di Frank Marshall, uno
dei più grandi scacchisti d'America. Marshall aveva messo a disposi-
zione del club la sua bella casa con la facciata in arenaria e un giardi-
no sul retro; alla sua morte, la moglie Carrie mantenne aperto il
club. Le iscrizioni al Marshall Chess Club erano libere, ma anche
campioni come Larry Evans lo frequentavano.
Al principio degli anni Cinquanta Kubrick conobbe Gerald
Jacobson. Entrambi erano iscritti alla United States Chess
Federation. «Giocammo insieme alcune volte. Eravamo circa allo
stesso livello, forse lui era un po' più forte>>, ricorda Jacobson, ora
residente in Florida. «AI Marshall Chess Club facevano dei tornei.
Fu lì che incontrai Stanley per la prima volta. Giocavamo nello stes-
so torneo. Facemmo una partita insieme. Era un tipo tranquillo e
solitario. Indossava sempre una giacca di velluto a coste ed era una
persona affabile. Facevamo una o due partite e poi andavamo in un
ristorante o in un bar a berci una birra e a fare due chiacchiere; ce ne
stavamo seduti a parlare per ore. Era piuttosto giovane ma aveva dei
problemi coniugali. Si sentiva frustrato perché non riusciva ad
abbracciare la carriera cinematografica. Alton Cooke, il critico cine-
matografico del "New York World Telegram and Sun" era membro
del Club. Qualcuno allora disse a Stanley: "Perché non parli con
Alton Cooke?". Egli rispose soltanto: "Ho del talento, so di essere
bravo. Non posso !imitarmi a fare il finanziatore o il produttore"».
Successivamente Kubrick incontrò Cooke al Marshall, e il critico fu
colpito dall'audacia di Kubrick e dalla sua sicurezza alla scacchiera.
I giardini di Washington Square erano una mecca per i giocatori di
scacchi. «C'erano tavoli per le scacchiere e un gruppo di giocatori
incalliti che giocavano molto rapidamente e a volte per denaro.
Tiravano fuori l'orologio e calcolavano cinque minuti di gioco»,
spiega Gerald Jacobson. <<Conoscevano bene certe mosse e ogni tipo
di insidia, ma se avessero giocato contro un giocatore davvero bravo
non sarebbero riusciti a batterlo, erano solo furbi».
Gerald Jacobson per un po' di tempo non vide Stanley Kubrick.
Poi un giorno portò suo figlio a Washington Square a guardare le
appassionanti mosse alla scacchiera e trovò Stanley Kubrick che
seguiva una partita. <<Disse: "Sto per andare in California"», ram-
menta Jacobson. «La cosa successiva che ricordo era che stava giran-
do Spartacus. Decollò proprio come un razzo!».

118
Parte terza

1956-1960
Hollywood
Capitolo 7
La Harris-Kubrick

Durante la guerra di Corea Alexander Singer fu destinato al Genio


Radiotelegrafisti e Segnalatori, e lì conobbe James B. Harris, un
ragazzo che condivideva con lui l'interesse per la regia. Dal 1950 al
195 2 Harris e Singer lavorarono insieme nella sguad ra fotografica
realizzando filmati per l'addestramento.
Nel 1949 Harris aveva fondato la Flamingo Films, una società di
distribuzione di film e di programmi televisivi, insieme al suo com-
pagno di scuola David L. Wolper e a Sy Weintraub, un compagno
d'armi di Bob, il fratello di Harris; l'impresa era stata finanziata con
il denaro del padre.
Durante una licenza, Singer e Harris insieme a un altro commili-
tone svilupparono la sceneggiatura di una storia poliziesca di quin-
dici minuti alle cui riprese intendevano dedicarsi nei week-end.
Singer pensava che il lavoro in coppia con l'amico avrebbe dato i
suoi frutti.
Singer parlò a Harris di un suo vecchio amico del Taft che si chia-
mava Stanley Kubrick; aveva lavorato come fotografo per la rivista
<<Look>> e ora era divenuto il tipo di produttore cinematografico
indipendente che loro stessi avevano preso a modello per il futuro.
Harris e Singer diedero il via alle riprese che avrebbero dovuto
essere realizzate durante un week-end nella casa di famiglia, che
aveva la doppia funzione di sede della società di produzione e di set
del racconto poliziesco. Il progetto sarebbe stato un primo esperi-
mento di realizzazione di un film. James B. Harris era il regista e
Alexander Singer l'operatore; il cugino di Harris era uno dei prota-
gonisti e James Gaffney, un altro compagno d'armi, avrebbe fatto il
montatore. Singer invitò sul set l'amico Stanley Kubrick che in
quel momento era impegnato nella realizzazione del suo secondo
film, Il baào dell'assassino. «Mi sentivo un po' nervoso>>, ricorda
Harris, «perché era come se stessi lavorando di fronte a un profes-
sionista consolidato. Mi raccontò di Day of the Fight e di Flying
Padre, i due cortometraggi che aveva realizzato. Aveva appena ter-
minato il suo primo lungometraggio Fear and Desire e l'aveva fatto
tutto da solo>>.
Kubrick conobbe un'altra persona che sarebbe diventata un suo
collaboratore di lunga durata, ovvero Bob, il fratello di Jimmy
121
Gaffney, nel corso di un altro esperimento cinematografico. «Mio
fratello Jimmy si persuase a fare l'operatore mentre Alexander Singer
si occupava della regia. Alex aveva letto dei libri sulla scuola russa e
aveva appoggiato per terra dei fogli sui quali erano segnate le ango-
lazioni della macchina da presa e le posizioni dei piedi delle persone.
Io finii col fare l'elettricista perché stavano effettuando le riprese in
un nightclub per travestiti del Village. Stanley passò di lì e quella fu
la prima volta che lo vidi>>, spiega Bob Gaffney.
Bob Gaffney stava lavorando per la Louis de Rochemont
Associates, che aveva ricevuto l'incarico di realizzare tre film per la
Columbia. De Rochemont stava girando in esterni sulla costa atlan-
tica degli Stati Uniti La casa della 92" strada e Il delitto del secolo e
aveva appena terminato la lavorazione di The Whistle at Eaton Falls e
di Walk East.
Alexander Singer vide in James B. Harris un potenziale produttore
che avrebbe potuto aiutarlo nella sua carriera di regista. «Capii che
Jimmy poteva essere un potenziale finanziatore>>, ricorda Singer.
«Era la prima volta che incontravo qualcuno che avrebbe potuto
finanziare un lungometraggio completamente o almeno in parte, e
avrei desiderato tenermelo tutto per me. Jimmy però era molto
accorto, aveva la stoffa dell'uomo d'affari e in quanto tale era una
persona estremamente solida. Nonostante la giovane età - avevamo
circa ventidue o ventitré anni quando ci conoscemmo- Jimmy non
era uno sprovveduto e non mi avrebbe mai fornito il supporto finan-
ziario per realizzare un lungometraggio perché io non avevo alcun
film alle spalle. Stanley invece aveva già realizzato Fear and Desire e
Il bacio dell'assassino>>.
Dopo essere stato congedato dall'esercito, a James B. Harris capitò
fortuitamente di incontrare Stanley Kubrick; i due uomini si conob-
bero e Kubrick invitò Harris alla proiezione del film che aveva appe-
na ultimato, Il bacio dell'assassino.
Dopo il primo incontro con Kubrick, Harris aveva visto Day of the
Fight, Flying Padre e Fear and Desire ed era rimasto estremamente
colpito dal talento dimostrato dal giovane regista e dalla sua spiccata
individualità: Il bacio dell'assassino non fece che confermare questa
impressione. «Rimasi molto colpito da lui. Mi colpì molto il fatto
che era stato in grado di occuparsi di tutto quanto. Il lavoro aveva un
inizio, un centro e una conclusione; sembrava un film realizzato da
un professionista. Io la considerai un'impresa grandiosa e dissi:
"Questo ragazzo è davvero destinato a diventare un grande, grande
regista!">>.
Kubrick ricordava che Harris era legato alla Flamingo Films e
quindi gli chiese se potevano incontrarsi per parlare di una eventuale
122
distribuzione televisiva di Fear and Desire; la risposta di Harris fu:
«Certamente, vieni nel mio ufficio>>.
Si incontrarono negli uffici della Flamingo Films al 509 di
Madison Avenue. Kubrick aveva il potere di cedere i diritti di Fear
and De.rire per la televisione e Harris gli disse che avrebbe potuto
aiutarlo solamente se Kubrick avesse avuto i diritti di distribuzione.
V n a volta conclusa la parte formale del loro colloquio, Harris
domandò a Kubrick che cosa avesse intenzione di fare. «Mi disse: "In
realtà non ho in programma niente di particolare; vorrei solo fare un
altro film". Quindi io gli risposi: "A me piacerebbe produrre film.
Cosa ne diresti se lavorassimo insieme? Tu ti occuperesti della regia e
io della produzione. Probabilmente riuscirei a procurarti un sacco di
strumenti dei quali non hai potuto servirei nella realizzazione degli
altri due film, potremmo ad esempio acquistare i diritti di un libro
in modo che tu possa lavorare con qualcosa di più consistente. lo
potrei occuparmi di tutti i problemi che sarebbero di ostacolo al tuo
lavoro e tu non saresti costretto a fare tutto da solo". La sua risposta
fu: "Mi sembra un'idea grandiosa!">>.
James B. Harris aveva occhio per le storie e Kubrick possedeva le
doti visionarie e il genio per trasformarle in un film. Stanley
Kubrick e James B. Harris erano nati a sei giorni di distanza l'uno
dall'altro ed erano entrambi del segno del Leone: erano ambiziosi,
dotati di nervi d'acciaio, sicurezza, impudenza ed erano animati dal
desiderio di avere successo.
Harris si mobilitò per concludere l'accordo. «Dissi: "La prima
cosa che dovremmo fare è fondare una società, la chiameremo
Harris-Kubrick Pictures", ed egli rispose: "Fantastico!". Era
d'accordo al cento per centO>>. Harris costituì la nuova società.
Trovarono un ufficio sul lato ovest della Cinquantasettesima Strada
che consisteva in due stanze, una che fungeva da anticamera e
un'altra che condividevano e che aveva la funzione di ufficio diri-
genziale. Harris e Kubrick, la Harris-Kubrick era esattamente que-
sto. Cominciarono a cercare del materiale utile per la loro prima
produzione. «Andai immediatamente allo Scribner's Bookstore sulla
Quinta Avenue e passai in rassegna turri i libri>>, ricorda Harris.
<<In quella che oggi sarebbe definita la sezione dei gialli trovai un
libro di Lionel White intitolato Rapina a mano anuata. Guardai la
sovracopertina e mi dissi: "Santo cielo, è la rapina a un ippodromo,
sembra eccitante!">>.
Harris acquistò il libro e iniziò immediatamente a leggerlo. Gli
piacque la struttura: la storia era narrata attraverso una serie di flash-
back molto avvincenti. <<Chiamai Stanley e gli dissi: "Ho trovato
una cosa che potrebbe diventare un film straordinario". Kubrick
123
lesse il libro nel giro di poche ore e il suo commento fu: "È eccezio-
nale! Vediamo se riusciamo ad avere i diritti">>. Erano rimasti colpiti
dal modo in cui White aveva reso i passaggi temporali nella narra-
zione di una rapina a un ippodromo.
Harris rintracciò i diritti di Rapina a mano armata presso la Jaffe
Agency di Los Angeles e si mise subito in contatto con l'agenzia let-
teraria. «"Siamo lieti che abbia chiamato", mi dissero. "Al momento
sono disponibili ma siamo già in trattativa con Frank Sinatra".
Allora io domandai: "Beh, ma avete già concluso la trattativa?". E
loro risposero: "No, non ancora, perché Sinatra sta prendendo tempo
e a dire il vero questa situazione ci infastidisce". Allora io domandai:
"Che cosa devo fare per concludere subito la trattativa?". "Se ci invia
un telegramma con un'offerta di diecimila dollari, i diritti del libro
sono suoi", mi risposero. A quel punto esclamai: "E sia!". Sapevo che
Stanley lo voleva e a me piaceva moltissimo, quindi perché stare a
pensarci?». Harris firmò un assegno di diecimila dollari, lo inviò alla
Jaffe Agency dalla quale ricevette un telegramma su cui si leggeva la
conferma che la Harris-Kubrick poteva considerarsi l'orgogliosa
detentrice dei diritti di Rapina a mano armata di Lione! White.
James e Stanley fissarono un appuntamento con Bob Benjamin il
quale, insieme ad Arthur Krim, aveva lasciato la potente società
legale di teatro Nizer, Phillips, Benjamin e Krim per dirigere la
United Artists. Harris informò Benjamin del fatto che la Harris-
Kubrick aveva acquisito i diritti d'autore di Rapina a mano armata.
Benjamin esclamo: «È impossibile, stiamo per realizzare quel film
con Frank Sinatra». Harris spiegò che l'indecisione di Sinatra aveva
consentito alla Harris-Kubrick di assicurarsi i diritti. <<Benjamin
disse: "Oh, è stupendo, è un materiale stupendo. Vi auguro buona
fortuna". Allora io azzardai: "Beh, ma non volete farlo voi?" e la sua
risposta fu: "Portatemi una sceneggiatura e poi vedremo"».
Benjamin sapeva che la United Artists non aveva nulla da perdere a
incoraggiare due affamati registi.
<<Ci rendemmo conto che non avremmo trovato il denaro per rea-
lizzarlo se prima non avessimo avuto una sceneggiatura», ricorda
Harris. <<Così Stanley mi domandò: "Non hai mai sentito parlare di
uno scrittore di nome Jim Thompson?". lo risposi di no, allora lui
disse: "Lo devi conoscere. Ecco qui una lista di libri ai quali vorrei
che tu dessi un'occhiata"». Uno di quei romanzi era La belva che è
dentro di me, un libro sulla cui copertina Stanley avrebbe successiva-
mente scarabocchiato le parole: <<Questa è probabilmente la più
agghiacciante e credibile storia di una contorta mente criminale rac-
contata in prima persona che mi sia mai capitato di incontrare».
Harris iniziò a leggere l'opera del leggendario e incallito scrittore.
124
J(ubrick aveva in mente di far scrivere la sceneggiatura a Jim
Thompson>>. La Harris-Kubrick rintracciò lo scrittore e lo ingaggiò
per scrivere l'adattamento di Rapina a mano armata.
Thompson non sapeva come si scrivesse tecnicamente una sceneg-
giarura e lavorava a stretto contatto con Kubrick, che concentrava la
sua attenzione soprattutto sullo sviluppo dei dialoghi. L'aspetto della
sceneggiatura non era quello convenzionale: era scritta su fogli di
formato legale, invece che su fogli di misura standard, legati in
cima, cosicché era necessario girare le pagine dal basso verso l'alto
anziché da destra a sinistra.
Alla fine, il lavoro svolto da Thompson gli valse il riconoscimento
di «Additiona/ Dia/ogue>>, collaboratore ai dialoghi aggiunti, una for-
mula comunemente usata in quel periodo. La famiglia di Thompson
si dichiarò insoddisfatta e protestò dicendo che allo scrittore doveva
andare il merito dell'intera sceneggiatura del film, nonostante la
struttura fosse sostanzialmente una trasposizione del libro, Kubrick
avesse organizzato le scene e anche Harris avesse contribuito.
Dopo aver completato il lavoro, Harris e Kubrick si precipitarono
alla United Artists dove, dopo aver esaminato il materiale, accettaro-
no di realizzare il film. «Eravamo così eccitati>>, ricorda Harris. «Ci
dissero: "Ora non vi resta che cercare un attore e quando siete riusci-
ti a trovarlo possiamo cominciare">>. Benjamin concluse fornendo
loro una lista di attori.
<<Raccontai l'intera faccenda a mio padre. Gli dissi: "Ci si prospet-
ta un inizio alla grande!", ed egli mi domandò: "Di che si tratta?".
Gli raccontai ogni cosa e lui mi disse: "È un po' come se ti mandassi
in giro a cercare del denaro e poi ti promettessi la metà di quello che
hai trovato", e aggiunse: "Vuoi dire che tu devi darti da fare per cer-
care un attore e poi glielo devi portare? Allora loro a cosa ti servono?
Che cosa fanno?">>.
Harris e Kubrick riempirono una grossa scatola con le copie della
sceneggiarura e redassero un elenco di attori, poi mandarono il pacco
a Bob Goldfarb allaJaffe Agency di Los Angeles in modo che l'agen-
te potesse spedire copie della sceneggiatura alle star che sarebbero
potute andare bene per il film; nella lista c'era anche il nome di
Sterling Hayden.
Dal canto suo, Harris cercò di contattare alcuni attori. Non appena
saputo che Jack Palance stava recitando Shakespeare nel
Connecticut, saltò in macchina e raggiunse il teatro per poter conse-
gnare personalmente la sceneggiatura sul tavolo da trucco dell'attore
dalla mascella decisa. <<Lo richiamai dopo quello che io ritenevo un
ragionevole lasso di tempo, ovvero una settimana. Pensavo che si
sarebbero comportati tutti come avremmo fatto noi, noi l'avremmo
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letta immediatamente. Non sapeva neppure chi fossi e non l'aveva
mai neppure guardata>>, ricorda Harris.
Diverse settimane più tardi Harris ricevette una telefonata
dall'agente Bill Shiffren il quale gli disse: «"Io rappresento Sterling
Hayden. La vostra sceneggiatura ci piace molto ma chi è Stanley
Kubrick? Non sta parlando piuttosto di Stanley Kramer?". "No, è
proprio Stanley Kubrick" risposi. Al che lui domandò: "Bene ma chi
è, e cos'ha fatto?">>. Allora Harris passò a elencare i lavori di Kubrick
e Shiffren replicò: «Non ho mai sentito parlare di lui né dei suoi due
film ma la vostra sceneggiatura ci piace molto>>. «Io dissi: "Bene,
Kubrick è bravissimo e lei mi sta dicendo che a Sterling piacerebbe
fare il film?". Mi rispose: "Beh, se ci fate un'offerta ... ". In un certo
senso sembrava che avesse messo da parte la questione su chi fosse
Kubrick e allora io gli domandai: "Quanto vuole Sterling?". "Chiede
40.000 dollari", mi rispose>>.
Harris e Kubrick tornarono da Benjamin alla United Artists con la
buona notizia che si erano assicurati la partecipazione di una star.
L'incallito attore aveva partecipato a più di trenta film, inclusi
Giungla d'a.rfalto,johnny Guitar e Gang.rten in agg11ato, il film realizza-
to dalla United Artists al quale aveva partecipato Sinatra.
<<Dicemmo: "Indovini un po', abbiamo trovato Sterling Hayden", e
loro risposero: "Ah, Sterling Hayden, gli esercenti ci danno venticin-
que dollari alla settimana per il noleggio dei suoi film">>, ricorda
Harris. «Allora noi rincarammo: "Ma cosa ci dite di Giungla
d'asfalto? È magnifico, sarebbe grandioso e poi è sufficientemente
bravo per John Huston!". La loro risposta fu: "Ascoltate, abbiamo un
accordo con Vietar Mature che sarà disponibile tra diciotto mesi, per-
ché non aspettiamo Vietar Mature?". Stavano dicendo a due ragazzi
di aspettare diciotto mesi per un attore che non aveva neppure letto
la sceneggiatura. Rispondemmo: "No, abbiamo Sterling, vuole fare il
film e chiede 40.000 dollari". Ci risposero: "Okay ragazzi, se voi
volete fare il film in questo modo, vi daremo 200.000 dollari e que-
sto è tutto. Se vi costerà di più i soldi dovrete metterceli voi, e se
verrà a costare di più e voi dovrete metterei dei soldi, sappiate che
prima dovrete restituire a noi i 200.000 dollari e poi dovrete tirare la
cinghia se vorrete recuperare i vostri soldi. Le nostre condizioni sono
queste. Noi vi consigliamo di aspettare Vietar Mature o di non supe-
rare il budget di 200.000 dollari, neppure di un centesimo". Stanley
era reduce da film che erano costati quattro soldi, era riuscito a rea-
lizzarli con niente, così dissi: "Dovremmo farcela a restare entro i
200.000 dollari e se così non fosse sarà un problema mio. Ma non
perdiamo questa occasione, cogliamola al volo finché si può e vedia-
mo di riuscire a rispettare il nostro accordo. Penserò io a tutto">>.
126
Harris e Kubrick procedettero a spron battuto con la produzione
di Rapina a mano armata, e come prima cosa si diedero alla ricerca dei
luoghi dove effettuare le riprese in esterni. Sebbene Kubrick fosse un
regista di New York e Harris avesse imparato a gestire la distribu-
zione televisiva sulla costa atlantica, i due soci decisero di girare il
loro primo film insieme a Los Angeles, la città degli angeli, dove la
maggior parte dei film veniva realizzata in base alle regole dello stu-
dio system. La United Artists aveva fornito il denaro ma questa era
per intenti e obiettivi una produzione indipendente: la Harris-
Kubrick lavorava per conto proprio. I due collaboratori pensarono
che realizzando il film in California avrebbero potuto risparmiare i
soldi del viaggio e delle spese quotidiane legate al trasferimento
sulla costa atlantica di un cast della costa pacifica.
Era necessario costruire i set. La narrazione infatti si svolgeva per
lo più all'ippodromo e, pur godendo dell'appoggio del Golden Gate
Racetrack di San Francisco, nessun ippodromo avrebbe consentito
loro di utilizzare le proprie strutture per girare un film che trattava
di una rapina in un ippodromo. La maggior parte delle scene conte-
nute nella sceneggiatura si svolgeva in interni e poiché i vecchi
Chaplin Studios erano disponibili, i set potevano essere costruiti lì.
Ruth Sobotka, la moglie di Kubrick, era ansiosa di poter collaborare
con il marito e così ottenne l'incarico di scenografa: in passato si era
già occupata della scenografia di spettacoli teatrali e di danza classica
e aveva frequentato il Carnegie Tech, dove aveva studiato scenogra-
fìa. Ruth aveva disegnato la scenografia di diversi balletti del New
York City Ballet, incluso The Cage di Jerome Robbins, oltre che di
svariati balletti di David Vaughan, il coreografo di Il bacio dell'as.ras-
sino. Anche Alexander Singer fu preso a bordo come produttore asso-
ciato. <<Nel 1956 Stanley mi portò sulla costa pacifica come produt-
tore associato di Rapina a mano armata. Fu una sorta di ricompensa
per avergli presentato Jimmy Harris», dice Singer.
Sul massiccio set che raffigurava la sala scommesse dell'ippodromo
c'era una parete parzialmente occupata dagli sportelli; Kubrick e sua
moglie diedero agli impiegati dei nomi che facevano riferimento in
modo scherzoso ad alcuni dei loro amici: un cassiere si chiamava
David Vaughan mentre a un altro fu dato il nome di Shaun O'Brien,
un ballerino amico di Ruth.
Per poter realizzare il film fu necessario stanziare un budget di
330.000 dollari, una somma limitata rispetto ai costi dei film di
Hollywood ma che costituiva una piccola fortuna per due ragazzi di
New York che lavoravano con tanta faccia tosta e poche risorse pecu-
niarie. C'erano i 200.000 dollari della United Artists e considerando
gli 80.000 dollari risparmiati da Harris si arrivava a un totale di
127
280.000 dollari. Per raggiungere il budget previsto, Harris chiese al
padre di investire 50.000 dollari nel film. <<Sapevo ancor prima di
cominciare le riprese che sarebbe stata una faticaccia. Dovevo trovare
un sistema, così decisi di investire tutti i miei risparmi perché lo
consideravo un modo di gettare le basi per il futuro. Un budget di
200.000 dollari significava dover ridurre i giorni di riprese e costrin-
gere Stanley a lavorare in tutta fretta. Già con 330.000 dollari ci
potevamo permettere solamente venticinque giorni di riprese, ovvero
il tempo necessario oggi per girare un film Tv. Riflettemmo sul fatto
che con 200.000 dollari saremmo riusciti a realizzare un film molto
misero e non era quello che volevamo: se intendevamo gettare le basi
per il nostro futuro, dovevamo presentare un prodotto di qualità,
così feci un respiro profondo e dissi: "Okay, facciamolo" e mi procu-
rai altri 130.000 dollari».
L'accordo stipulato con Kubrick prevedeva che il regista non
avrebbe percepito alcun compenso, quindi l'ammontare relativo alle
sue prestazioni venne completamente detratto dai costi di produzio-
ne e Kubrick poté tirare avanti chiedendo un prestito a Harris.
Fino a quel momento il ventisettenne Kubrick si era personalmen-
te occupato della fotografia di tutti i film che aveva diretto. Il sinda-
cato degli operatori però non avrebbe consentito a Stanley di girare
lui stesso le riprese per Rapina a mano armata, così scelse Lucien
Ballard come direttore della fotografia.
Ballard lavorava a Hollywood da ventiquattro anni ed era stato
sposato con Merle Oberon; era stato assistente operatore per Marocco,
interpretato da Marlene Dietrich per la regia di Josef von Sternberg;
in seguito aveva fatto il direttore della fotografia per i film di
Sternberg Capriccio spagnolo e Ho ucciso. Ballard era un maestro del
film in bianco e nero e il lavoro da lui svolto in Al Capone, jack
Diamond gangster e Pagare o morire lo rendeva una scelta perfetta per il
film di Kubrick. Nel 1960, Ballard curò la fotografia di Sfida
nell'alta sierra per il "desperado" del cinema Sam Peckinpah e conti-
nuò lavorando in llmun·hio selvaggio, La ballata di Cab/e Hogue, L'ulti-
mo buHadero e Getaway! per l'uomo che arriverà a considerare
Kubrick come il suo peggior rivale.
Subito prima di dare l'avvio alla fase delle riprese, Kubrick,
Harris, Singer e Ballard si riunirono per decidere il metraggio della
pellicola per i titoli di testa del film. Harris e Kubrick sapevano che
ottenere il permesso di girare un film su una rapina in un ippodro-
mo realmente esistente sarebbe stata un'impresa impossibile, così le
sequenze in interni furono realizzate avvalendosi di set disegnati e
ricostruiti in studio. Altre scene in esterni potevano essere realizzate
con l'ausilio del menaggio della seconda unità e utilizzando la retro-
128
proiezione per trasparente. L'ippodromo Bay Meadows di San
francisco aveva acconsentito che la seconda unità facesse delle riprese
durante una corsa di cavalli; così fu deciso che Ballard e la sua squa-
dra di operatori andassero alla corsa per riprendere il materiale che
doveva essere utilizzato nei titoli di testa.
Sulla base dell'esperienza acquisita lavorando per i film hollywoo-
diani, Ballard si recò al Bay Meadows portando con sé svariate mac-
chine da presa e una squadra di dieci operatori e impressionò
migliaia di metri di pellicola. Nel frattempo Kubrick rimase in stu-
dio per continuare il lavoro di preproduzione.
Quando Ballard e la sua squadra ritornarono, il girato venne svi-
luppato e visionato da Kubrick, Harris e Singer. La proiezione delle
immagini segnò l'inizio del contrasto fra la concezione fotografica
dell'esperto professionista di Hollywood e quella del novello regista.
«Stanley e Jimmy guardarono le riprese», ricorda Singer. <<A un
certo punto Stanley si alzò in piedi e disse: "Lo licenzio!". Quella
roba era tremenda. Cercammo di capire come mai fosse tanto tre-
menda, considerando che avevamo visto diversi film girati da Lucien
che erano molto buoni; quella roba però era orribile. Il problema
consisteva nel fatto che era stato mandato a fare un lavoro da docu-
mentarista; non aveva il controllo della scena, disponeva di poche
luci e riflettori, ma soprattutto Lucien non possedeva nessuno degli
strumenti di controllo richiesti dagli operatori convenzionali e nella
fotografia il controllo è tutto.
<<Si può ben immaginare la disperazione di tre ragazzi che hanno
mandato là fuori il loro uomo migliore. Quello se ne va sul luogo
delle riprese con tutti quei collaboratori e tutto quell'equipaggia-
mento, torna indietro ed è tutto inutile. Allora ti domandi: "Bene, e
adesso cosa facciamo?". Perché continuavamo ad aver bisogno di
quel materiale. Stanley mi dice: "O ci vai tu o ci vado io; è necessario
che ci vada uno di noi due. Io non posso perché devo lavorare alla
sceneggiatura, quindi devi andarci tu"».
Fu così che Singer venne mandato a Bay Meadows con una fidata
Eyemo, la macchina da presa che era servita perfettamente allo scopo
quando Walter Cartier aveva messo al tappeto Bobby James e Alex
aveva colto proprio quell'attimo per Day of the Fight, la macchina
che aveva due obiettivi e trenta metri di pellicola in bianco e nero da
3Smm. Nient'altro.
Lucien Ballard non fu informato del fatto che Singer sarebbe anda-
to a effettuare le riprese della seconda unità. Kubrick rimase molto
soddisfatto dei risultati, al punto che il materiale venne successiva-
rnence utilizzato non solo per la sequenza dei titoli di apertura ma
anche per legare tra loro gli elementi della narrazione che esprimeva-
129
no dei salti temporali, in modo da creare un punto di riferimento per
lo spettatore. Ripetendo e sviluppando la sequenza filmica realizzata
con le riprese della Eyemo di Singer, Kubrick fu libero di creare una
narrazione basata su una struttura non lineare che rispettava il carat-
tere del romanzo di Lione! White.
Singer completò il lavoro nel giro di un week-end. Sfruttando
l'abilità sviluppata durante il periodo militare e quando lavorava
come fotoreporter, riuscì a realizzare un materiale documentario rea-
listico pur mantenendo il controllo della composizione e della luce,
ottenendo una buona qualità della fotografia. Le riprese illustravano
il rituale eseguito quando i cavalli vengono condotti ai cancelli di
partenza e i dettagli dell'approssimarsi della corsa.
Singer decise di riservare le riprese cruciali -quelle dei cavalli che
partono dai cancelli di partenza - per la fine dell'ultimo giorno e
aveva i suoi buoni motivi. «Preparai l'esposizione e la messa a fuoco
e aspettai finché non colsi con assoluta precisione il momento esat-
to>>, ricordava Singer. «Andai nel mezzo della pista mentre la corsa
stava per cominciare, mi sdraiai con la faccia nella polvere, puntai
l'obiettivo e cominciai le riprese. Sapevo ciò che stava per accadere.
Immaginai che i poliziotti mi avrebbero raggiunto prima di essere
travolto dai cavalli, e che mi avrebbero trascinato via da lì. Questo
era il modo di effettuare la ripresa. Il mondo esiste solo attraverso il
mirino della macchina da presa, punto e basta, non esiste nulla al di
fuori del mirino. Il fotografo smette di pensare al mondo e vive
attraverso il mirino>>.
Dopo aver completato la ripresa, Singer telefonò allo studio per
parlare con Kubrick e gli disse: <<Ho le riprese e penso che ti piace-
ranno. È andato tutto bene>>. Singer era elettrizzato per il lavoro
svolto ma voleva mantenere un contegno finché non fosse stato nella
sala di proiezione con Kubrick e Harris. .
Il giorno seguente Harris, Kubrick e Singer guardarono le riprese
realizzate durante il week-end. <<Ero impaziente per quella sequenza
straordinaria ripresa da terra. Si vedevano i cavalli che arrivavano ai
cancelli di partenza. Quello che seguiva erano dei piedi che passava-
no davanti all'obiettivo e una mano che si abbassava, poi il quadro si
capovolgeva perché mi avevano trascinato via dal campo intimando-
mi di non tornare mai più. La folla di circa ventimila spettatori
scoppiò a ridere forte quando vide questo idiota che si gettava sulla
pista con una macchina da presa e iniziava a girare. Avevo la mia
ripresa e immaginavo che i poliziotti non avrebbero osato colpirmi
con i manganelli davanti a ventimila persone>>.
Tra il regista e il direttore della fotografia i rapporti erano tesi.
Dovendo esprimere un parere su Stanley Kubrick e spiegare il con-
130
tributo fornito dal regista allo stile della fotografia di Rapina a mano
armata, nel corso di un'intervista rilasciata a Leonard Maltin per il
suo libro del 1971 Behind the Camera, Ballard disse: «Faceva parte
del mio stile contrastare il bianco e nero. Allora non pensavo che
Kubrick fosse un gran regista, però rimasi colpito dalla sua resa del
trattamento».
Kubrick spinse Ballard a seguire le sue idee sulla fotografia; insi-
steva sull'utilizzo di un obiettivo da 25mm per le panoramiche e le
carrellate che avrebbero conferito a Rapina a mano armata una forte
energia visiva. Nel 1956 il 25mm era uno degli obiettivi più ampi
disponibili per il cinema. Ballard temeva che muovendo la macchina
con quel tipo di obiettivo avrebbe creato delle distorsioni.
Naturalmente era proprio la distorsione e l'intensificazione della
realtà che Kubrick stava cercando. Le azzardate carrellate grandango-
lari sono una fiera dichiarazione che percorre l'intero film. Kubrick
si sentiva assolutamente certo delle proprie scelte sulla fotografia e
questo era contemporaneamente troppo e troppo poco per l'esperto
Ballard. Ciononostante, la loro difficoltosa collaborazione generò il
sorprendente risultato di Rapina a mano armata.
A quel tempo infrangere le regole di Hollywood significava anche
confrontarsi con il direttore della fotografia. Il produttore associato
Alexander Singer era sul set quando Kubrick realizzò la carrellata
all'inizio del film. La macchina da presa attraversava i diversi
ambienti di un appartamento. Il set fatto costruire da Kubrick era
privo delle pareti esterne in modo da consentire alla macchina da
presa di fare le carrellate passando di stanza in stanza seguendo i per-
sonaggi: questa tecnica finì per esercitare la sua influenza su un
numero imprecisato di film. Quarant'anni più tardi i fratelli Hughes
utilizzarono lo stesso espediente nel film Nella giungla di cerrtento e in
Dollari sporchi, dopo che il direttore della fotografia Lisa Rinzler
aveva mostrato loro Rapina a mano armata.
Singer osservava Kubrick che con sicurezza decideva le riprese, il
movimento e l'obiettivo. «Stanley preparò la prima ripresa con
l'aiuto di un mirino. La vecchia macchina da presa Mitchell BNC
aveva un mirino che correggeva il parallasse e poteva essere staccato
dalla macchina. Non era una cosa insolita che un regista molto coin-
volto nella composizione e nei movimenti di macchina girasse per i
luoghi delle riprese con un mirino in mano, praticamente scegliendo
il movimento e sistemando opportunamente il mirino in base al tipo
di obiettivo scelto dallo stesso regista. Questo particolare tipo di
ripresa venne utilizzato in una fase iniziale del film e finì col definire
Una certa qualità stilistica; si trattava di un lunghissimo movimento
di dolly, non mi spingerò fino a definirlo "un dolly alla Kubrick"
131
sebbene di questo si trattasse. Altre persone l'hanno utilizzato ma è
diventato una caratteristica dell'intero cinema di Kubrick. Con il
dolly attraversava le stanze dell'appartamento; passava da una stanza
all'altra e durante questo passaggio semplicemente varcava la porta e
le pareti che delimitavano le stanze, come se non esistessero; ci pas-
sava attraverso>>.
«È inutile dire che Stanley era molto preciso riguardo a questo
particolare movimento di macchina, così come per tutti gli altri
movimenti. Sistemava il mirino in relazione all'obiettivo che inten-
deva utilizzare, che in quel caso era un obiettivo da 25mm. A quel
tempo il 25mm era l'obiettivo più comunemente usato con la
Mitchell BNC. Ecco quindi che avevamo un obiettivo da 25mm e
un lungo movimento di dolly. Stanley passava da un capo all'altro
del set, che era stato realizzato appositamente: quindi tutto era stato
programmato in anticipo. Diede il mirino a Lucien Ballard il quale
lo guardò e gli disse: "Capisco, verrà una ripresa molto bella".
Lucien si mise al lavoro e Stanley si allontanò dal set. Quando
ritornò alcuni minuti dopo, Lucien aveva iniziato la ripresa con il
dolly ma si era tenuto a una distanza dal set ben maggiore di quella
stabilita da Stanley. Allora Stanley disse. "Aspetta un momento
Lucien, cosa stai facendo?". "Beh, sto facendo il dolly che mi hai
chiesto. Invece di utilizzare un 25mm sto usando un 50mm, ma
sono a una distanza che mi permette di avere la stessa dimensione
dell'immagine che volevi tu. Quindi la dimensione rimane invariata
e io preferisco lavorare a questa distanza: è un po' più facile illumi-
nare e non si nota alcuna differenza">>.
«Invece faceva un'enorme differenza», spiega Singer. «Non appena
ti allontani la dimensione dell'immagine rimane la stessa, però cam-
bia l'intera prospettiva. Il trucco consiste nel riprendere con un
obiettivo grandangolare per ottenere un senso di intimità con il sete
avere delle linee definite in modo più chiaro e graficamente signifi-
cativo: si ottiene un effetto dinamico. Si trattava di un obiettivo
dinamico e di una sua applicazione dinamica. Lucien non aveva
tenuto in debita considerazione questo aspetto e riteneva che Stanley
non conoscesse la differenza o che non la tenesse in alcun conto.
Stavamo parlando di un uomo che, oltre a essere uno dei maestri
indiscussi del periodo, era anche sposato con Merle Oberon e aveva
l'aspetto di un idolo del cinema elegantemente vestito. Stanley inve-
ce sembrava un ragazzo del Bronx che si asciugava il naso con la
manica e che aveva l'aspetto di un diciottenne, a dire tanto>>.
«Stanley guardò Lucien Ballard e gli disse: "Lucien, o sposti la
macchina e la metti dove deve stare per poter utilizzare un 25mm o
te ne vai da questo sete non torni più!". Ci fu un lungo silenzio e io
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mi aspettavo che Lucien gli rispondesse a tono in due o tre lingue
prima di prendere congedo dal moccioso, e invece no, mise la mac-
china dove doveva stare e non ci fu mai più una discussione sulla
lunghezza focale o sugli obiettivi. Per me quello fu un momento
copico. Stanley reagì con calma, senza isterismi ma con terribile
serietà e credo gli costò molta fatica. Questo episodio è esemplifica-
civo del tipo di controllo e dei nervi di acciaio che caratterizzarono
l'atteggiamento di Kubrick sin dagli inizi>>.
Per le panoramiche sui corpi degli uomini coinvolti nella rapina e
rimasti uccisi durante la sparatoria, Kubrick optò per una macchina
a mano che utilizzò personalmente. Questa ripresa apportò immedia-
tezza e vitalità all'azione.
Kubrick scritturò dei veterani del film gangster: Sterling Hayden,
Jay C. Flippen, Elisha Cook jr., Ted de Corsia (che aveva lavorato in
classici del genere noir come La città nuda e La polizia bussa alla
porta), Joe Sawyer e la/emme fatale Marie Windsor. Assegnò dei ruoli
anche a Colleen Gray, Vince Edwards (prima che raggiungesse la
fama internazionale interpretando il personaggio televisivo Ben
Casey), l'attore newyorkese Joseph Turkel e Timothy Carey (un
caratterista che aveva appena recitato in La valle dell'Eden di Kazan e
che divenne famoso per le sue interpretazioni di personaggi maniaca-
li). Per interpretare il ruolo del lottatore ingaggiato per la rapina,
Kubrick scelse Kola Kwarian, un amico e giocatore di scacchi che
frequentava i locali per scacchisti sulla Quarantaduesima strada a
New York.
Vince Edwards ottenne la parte di Val, il fidanzato gigolo, mentre
stava recitando in Hit and Run ai Chaplin Studios dove venivano
effettuate anche le riprese per Rapina a mano armata.
«Ho conosciuto Jimmy Harris tramite David Wolper», ricorda
Edwards. «lo e Stanley giocavamo molto a carte ed egli si limitò a
dire: "Andresti bene per quel ruolo", tutto lì. A quel tempo Stanley
era un grande giocatore di poker. Giocavamo insieme a Everett
Sloane, Lee Cobb e Marty Ritt». Il romanziere Calder Willingham,
che lavorò con Kubrick per la stesura della sceneggiatura di
Orizzonti di gloria, talvolta partecipava alle partite di poker.
<<Stanley è talmente meticoloso», ricorda Edwards. <<Disse a tutti i
giocatori di comprare il libro Education of a Poker Player di Yardley
sul quale potevamo calcolare i punteggi. Tenevamo tutti nota dei
PUnteggi in modo da sapere quando vedere con due fanti e una regi-
na; questo era Stanley». Capitava spesso che Edwards e Stanley
andassero insieme al cinema: Kubrick continuava a vedere quanti
Più film poteva. <<Una volta andammo insieme sul Wilshire
Boulevard a vedere Mezzogiorno di fuoco, dopo che tutti si erano pro-
133
fusi in lodi sperticate per il film>>, ricordava Edwards. <<Ma lui
disse: "Sai, non è un gran film". Non dimenticherò mai le sue paro-
le. È un tipo meticoloso».
Vince Edwards esaurì il suo personaggio nel giro di sette dei venti-
quattro giorni di riprese programmati. Kubrick era sicuro di sé e a
proprio agio con gli attori. «Ti lasciava molto spazio. Non si intro-
metteva nell'atmosfera della scena e in tutto il tuo immaginario
come invece faceva Marty Ritt. Ti faceva leggere il copione e poi
diceva: "Va bene", oppure "Un po' più di intensità", o ancora "Recita
un po' più disinvolto", ma cercava di far uscire la tua personalità».
Marie Windsor, che interpretava il ruolo di Sherry Peatty, era stata
eletta Miss Utah e aveva studiato come attrice di teatro sotto la
guida di Maria Ouspenskaya. Dal 1947 recitava in ruoli secondari e
principali nei film polizieschi e nei western. «Stanley vide Le iene di
Chicago, nel quale avevo recitato, e disse a Jimmy Harris: "Ecco qui
la mia Sherry!"», ricorda la Windsor. «Mi contattarono e mi diedero
la parte. Sfortunatamente il mio agente si era già impegnato a farmi
recitare in Swamp Women di Roger Corman e scoprimmo che questo
impegno si sovrapponeva alle riprese di Rapina a mano arrrtata. Gli
interessati si incontrarono: Kubrick e Harris dissero che avrebbero
fatto in modo di iniziare le riprese con me due giorni più tardi,
mentre Corman mi lasciava finire due giorni prima del previsto, così
riuscii a tornare dalla Louisiana appena in tempo».
Nelle due settimane in cui la Windsor recitò nei panni di Sherry
Peatty, notò che il giovane regista era molto diverso da tutti quelli
con i quali aveva lavorato nel corso della sua decennale carriera. «Era
un uomo molto cortese, molto calmo. Non mi era mai capitato di
lavorare con un regista che non parlasse ad alta voce quando doveva
dare delle indicazioni a un attore. Kubrick non era così. Se aveva
qualcosa da dire, che si trattasse di un'osservazione importante o di
un dettaglio, prendeva da parte l'attore e gli diceva: "Penso che se
facessi così sarebbe meglio" e "Vorrei che tu riprovassi stando in un
altro punto". Poi tornavi sul set e facevi quello che aveva detto, senza
che ti avesse dato le direttive davanti alla troupe: pensai che questo
fosse un atteggiamento molto interessante».
«Con quei suoi modi tranquilli esercitava una grande autorità.
Ricordo il direttore della fotografia Lucien Ballard che aveva al suo
attivo molti, molti film e suppongo che avesse più esperienza di
chiunque altro sul set, ma Stanley voleva che le cose fossero fatte a
suo modo. Mi ricordo che un paio di volte Lucien fu in disaccordo
con Stanley, il quale mantenne salde le sue posizioni e alla fine fece
come voleva. Le discussioni alle quali assistetti vertevano per lo più
sui movimenti di macchina e sui punti dove tagliare; non si tratta·
134
va di discussioni accese, piuttosto di situazioni nelle quali uno non
era d'accordo con l'altro. Stanley si comportava proprio come un
operatore)).
«La sensazione che si provava era quella di lavorare con persone
importanti e con un regista importante. Kubrick emanava autorevo-
lezza, era sicuro e a proprio agio in ogni momento. Non mi sono mai
addentrata in alcun tipo di conversazione seria con lui: eravamo
troppo impegnati, io a memorizzare le mie battute e lui a realizzare
il film; una volta però venne a cena a casa mia insieme agli altri
componenti del cast>>.
Kubrick aveva un atteggiamento poco convenzionale anche nel
modo di vestire sul set. «La cosa che ricordo di più di Kubrick era il
fatto che indossava sempre quei buffi pantaloni da lavoro beige che
usavano gli operai)), ricorda la Windsor. «Vestiva in modo molto
strano. Non si poteva definirlo un beatnik ma era molto distante
dall'epoca in cui viveva. In un certo qual modo vestiva con un abbi-
gliamento anni Sessanta ed era un libero pensatore)).
Kubrick era al suo terzo lungometraggio e non aveva ancora lavo-
rato con uno scenografo di professione. Marie Windsor ricorda la
lavorazione dello story board d i Rapina a mano armata. « Ruth
Sobotka era un'artista molto raffinata. Stanley le fece fare tutti que-
gli splendidi disegni a carboncino di ogni singola scena che voleva
girare e li appese in sequenza tutt'intorno alle pareti del suo ufficio)).
La storia narrata in Rapina a mano armata è poco più che un tipico
poliziesco di basso livello, tuttavia la complessa struttura narrativa
del racconto rimanda a Quarto potere e catapultò Kubrick nella narra-
zione cinematografica e in una forma di discontinuità temporale che
influenzerà generazioni di registi patiti del genere noir. Nella pro-
spettiva kubrickiana questo piccolo e audace film poliziesco divenne
l'opera prima, nonostante avesse già diretto tre corti e due lungome-
traggi. Il dilettante era diventato un professionista.
Quando Kubrick e Harris ebbero finito il montaggio di Rapina a
mano armata, organizzarono una presentazione in anteprima del film
invitando tutti i loro amici e quanti più addetti dell'industria cine-
matografica poterono. «Bill Shiffren, l'agente di Sterling Hayden, fu
il primo a presentarsi all'uscita e ci disse che avevamo irritato il suo
cliente>>, ricorda James B. Harris. «"Questo film è tutto mescolato",
disse Shiffren. "Cos'è questa storia di andare avanti e indietro, avanti
e indietro? Proprio nel bel mezzo della rapina, c'è un taglio. Aveit=
proprio intenzione di irritare gli spettatori. Voi due mi avete molto
deluso")). Che cosa terribile da dirsi a noi due. Era la prima proiezio-
ne oltre che il mio primo film. Era il terzo lungometraggio di
Stanley ma la sua prima vera presentazione ufficiale a Hollywood.
135
Rimanemmo veramente devastati dall'atteggiamento dell'agente
della star principale nei confronti del film. Molti dei nostri amici ci
consigliarono seriamente di rimontare il film secondo una sequenza
temporale lineare».
Rapina a mano armata è oggi considerato un classico per la sua
azzardata narrazione che non segue una struttura lineare (proprio il
tipo di narrazione che lancerà la carriera di Quentin Tarantino al
principio degli anni Novanta), ma in quegli anni molti ne furono
sconcertati. I flashback erano in uso sin dai tempi di D.W. Griffìth
ma Rapina a mano armata andava ben oltre l'idea del racconto a ritro-
so che rivela delle informazioni funzionali allo svolgimento dramma-
tico del film. Nel mondo cinematografico di Kubrick il tempo pote-
va essere visitato e rivisitato; era proprio come viaggiare con la mac-
china del tempo di H.G. Wells. «Mi risultava molto difficile seguire
il filo leggendo il copione>>, racconta Marie Windsor ricordando
quando lesse per la prima volta la sceneggiatura. «Prima di allora
non avevo mai letto un copione con dei flashback. Adesso è diventa-
ta una cosa piuttosto normale ma allora non avevo mai avuto in
mano un copione simile, una cosa però è certa: la struttura prese vita
quando il film fu sullo schermo>>.
Harris e Kubrick credevano in quel tipo di struttura. «Il libro era
scritto in quel modo ed era proprio per questo motivo che l'avevamo
scelto>>, spiega Harris. Ma la critica negativa espressa da molti amici,
agenti e altri addetti ai lavori colpì gli umiliati registi. «Se un certo
numero di persone ti dice che sei malato allora è meglio se te ne stai
a lettO>>, disse Harris.
In preda alla delusione, Harris. e Kubrick fecero ritorno a New
York. Prima di consegnare il montaggio definitivo alla United
Artists, decisero di vedere se c'era qualcuno che approvasse la strut-
tura che avevano scelto di seguire. Kubrick portò il film alla Titra
Films, dove aveva montato la maggior parte dei suoi lavori prece-
denti. Smontò il film e lo rimontò secondo una narrazione lineare.
Il lavoro fu molto utile. Smontando la complessa struttura narrati-
va e cercando di rendere il film più convenzionale, si resero conto
della validità della loro scelta originale. <<Non riuscivamo a rasse-
gnarci all'idea di abbandonare la nostra idea nonostante quello che ci
avevano detto gli amici e gli agenti>>, spiega Harris. <<Nella maggior
parte dei casi avevamo inserito uno stacco tra una scena e l'altra e
fino ad allora non c'erano molti film realizzati in quel modo. Così io
e Stanley dicemmo: "Santo cielo, il libro ci era sembrato avvincente
per merito della sua struttura. Secondo noi la cosa che rende speciale
questo film tra tutti i film commerciali - e ce n'erano tanti - è la
struttura, che peraltro rispecchia quella del libro. Dobbiamo seguire
136
il motivo che ci ha indotto a iniziare questo lavoro". Così lo ripor-
tammo nella forma con la quale l'avevamo presentato all'anteprima e
lo consegnammo alla United ArtistS>>.
La colonna sonora del film fu composta da Gerald Fried. Il tema
principale si basa sul suono spavaldo degli ottoni e ha un ritmo sor-
prendente che attacca il film con un improvviso fragore. «L'abbiamo
definito un combattimento aereo tra tre e quattro quarti>>, spiega
Fried. «Gli archi suonano un'aria in quattro quarti e gli ottoni si
sovrappongono in tre quarti. Questo è il tema principale, fondato sul
contrasto. Immaginai che la cosa più elettrizzante fosse riprendere
ciò che aveva elettrizzato me, come la Sagra della primavera di
Srravinskij. Cosa c'è di più primitivo di un tre quarti contro quattro
quarti? È questo il tema principale del film>>.
<<Volevo dargli uno spessore. Non era la semplice storia di una
rapina alle corse, era la storia della qualità della vita. Alla fine la
ragazza di Sterling Hayden gli dice che ha una possibilità di fuggire
e la risposta di lui è: "Che differenza fa?". Si tratta di un'affermazio-
ne importante che Stanley continuava a ripetere. Quindi volevo che
sembrasse maestoso e trovavo che gli ottoni fossero adatti. La nostra
visione estetica si fondava sulla spinta propulsiva: il film era partito
e, come un treno in corsa, non si sarebbe fermato>>.
La colonna sonora fu registrata presso i Goldwyn Studios di Los
Angeles. <<Era il miglior centro di registrazione della storia e Vint
Vernon, il tecnico del suono, era probabilmente il miglior tecnico
del suono della storia>>, racconta Fried. L'orchestra era composta da
quaranta musicisti. <<Al piano c'era il grande André Previn, Pere
Candoli suonava nei fiati e Shelly Manne alle percussioni. lo dirige-
vo: fu un gran momento, davvero elettrizzante>>, ricorda Fried.
Harris e Kubrick consegnarono il film a Max Youngstein della
United Artists. <<Glielo mostrammo con orgoglio e alla 'fine della
proiezione non ci disse di ordinare la storia secondo una sequenza
temporale lineare, gli piacque così com'era>>, ricorda Harris. Quando
lasciarono la sala della proiezione i due cineasti ventisettenni segui-
rono Youngstein lungo il corridoio, cercando di ottenere da lui
l'impegno a lavorare ancora con la Harris-Kubrick. <<Ma lui si limi-
tava a un: "Ci avete portato un progetto che ci piace", allora io dissi:
"Potremmo rifarlo in qualunque momento">>, ricorda Harris.
<<Avevo la sensazione che il senso del suo atteggiamento fosse:
"Okay, avete fatto il film, è grandioso, spero che riuscirete a recupe-
rare i vostri 130.000 dollari e che ci lasciate in pace", quindi rinca-
rai la dose: "Sì, ma avete delle al tre persone che lavorano per voi,
persone che fanno dei film". Mi ricordo che Stanley gli domandò:
"Come ci considerate rispetto agli altri registi che avete?", e
137
Youngstein rispose: "Non siete distanti dal fondo". Fu questo il suo
commento: "Non distanti dal fondo". Fu un po' come dire:
"Dobbiamo fare un altro progetto e portarvelo?". "Sì, ragazzi, la
porta è sempre aperta, ci vediamo">>.
L'incontro lasciò Harris e Kubrick ancor più determinati a conti-
nuare per conto proprio. Era arrivato il momento di trovare un agen-
te. Fu così che presero contatti con Ronnie Lubin della Jaffe Agency,
al quale si erano rivolti per l'acquisto dei diritti di Rapina a mano
armata. Decisero di far uscire degli annunci pubblicitari e di pro-
muovere se stessi utilizzando Rapina a mano armata come biglietto
da visita. Kubrick aveva mantenuto i contatti con i suoi ex colleghi
di (<Look», così riuscì a utilizzare uno degli studi fotografici della
rivista per fare una fotografia da usare nell'annuncio. Kubrick e
Harris posarono su due sedie da regista, una vicina all'altra, accanto
a una Goldberg e a una scatola per la pellicola cinematografica, che
probabilmente conteneva una copia nuova di zecca di Rapina a mano
armata. Quando si sentirono pronti a sprigionare la giusta dose di
sicurezza e di arroganza, Kubrick andò rapidamente alla macchina
fotografica e avviò il dispositivo di autoscatto, tecnica utilizzata
anche dal suo amico d'infanzia Marvin Traub per le foto di gruppo di
famiglia e che Kubrick stesso aveva utilizzato quando lavorava come
fotografo professionista. Quando l'annuncio pubblicitario fu pronto
per la stampa furono inserite le parole: ((La nuova squadra della
United Artists James B. Harris e Stanley Kubrick, il nuovo film di
suspense dell'anno. Tutto con la United Artists» e portarono la loro
raffazzonata creazione a Max Youngstein. Harris ricorda la tirata di
Youngstein: (<"Siete impazziti voi due? Dovete essere matti! Prima
di tutto noi siamo la nuova squadra della United Artists! Bob
Benjamin, Arthur Krim, Roger Lew, il responsabile del settore pub-
blicitario, e io stesso, noi siamo la nuova squadra della United
Artists! Cosa dovrebbero dire tutti quelli che fanno film per noi?
Vorranno tutti fare degli annunci pubblicitari! Voi due mi farete
impazzire!". La mia replica fu: "Va bene, okay, lo faremo da noi, non
dovrai pagarcelo, Max". Allora lui disse: "No, no, non avete capito.
Non mi importa chi lo paga. Non lo dovete far uscire!"». La Harris-
Kubrick fece uscire l'annuncio esattamente così com'era; i due soci
presero un'intera pagina di <<Weekly Variety» e una di (<Hollywood
Reporter» e andarono sulla costa pacifica per promuovere il film.
Youngstein rintracciò Harris nel suo ufficio ai vecchi Goldwyn
Studios. <(Urlava», ricorda Harris. (<"Mi avete scavalcato per ben due
volte! Vi avevo detto di non farlo! Non farete più uscire la pubbli-
cità, vero?". E noi rispondemmo: "Beh, veramente dovrebbe uscire
su 'Variety"'. Allora lui disse: "Se l'annuncio esce un'altra volta con-
138
sidererò la cosa come una forma di concorrenza alla United Artists,
non vi daremo un soldo per il vostro film e il vostro futuro sarà ben
lontano da qui!". Allora bloccammo l'uscita successiva dell'annuncio
pubblicitario».
Nonostante l'entusiasmo, James B. Harris e Stanley Kubrick non
riuscirono a ottenere quel trattamento speciale che Rapina a mano
armata avrebbe meritato. Kubrick era certo che il film avrebbe potu-
to avere un grande successo e voleva che fosse distribuito nei cinema
d'essai in modo da poter essere scoperto dai critici e da una fascia di
spettatori più sofisticati, ma questo non accadde.
Dopo che Harris e Kubrick ebbero trascorso un paio di mesi a Los
Angeles cercando di lanciare il film, Harris ricevette una chiamata
d'urgenza dalla United Artists. Lo studio aveva deciso di far uscire il
film, entro una settimana. Era necessario sostituire un film uscito in
una sala di Broadway che non aveva avuto successo. La United
Artists chiese a Harris e a Kubrick di tornare a New York con
Rapina a mano armata e di pubblicizzarlo. I due soci obbedirono ma
le probabilità di successo erano decisamente basse. C'era poco tempo
per organizzare una efficace campagna pubblicitaria, e inoltre il film
sarebbe stato proiettato dopo Bandido! con Robert Mitchum. La
doppia proiezione comportava delle implicazioni economiche poiché
significava che il film sarebbe stato noleggiato a basso costo e che
non sarebbero entrati in vigore gli accordi grazie ai quali alla Harris-
Kubrick sarebbe spettata una percentuale sugli incassi.
Rapina a mano armata non fu accolto con grande entusiasmo dal
pubblico, non ottenne degli incassi strepitosi ai botteghini e non
consentì di recuperare il denaro speso per la sua realizzazione, ma
almeno riuscì nell'intento di costruire la reputazione della Harris-
Kubrick Pictures. Il film iniziò a essere proiettato nei circoli di
Hollywood.
Rapina a mano amtata può essere considerato il primo film maturo
di Kubrick. Lavorando con una troupe di professionisti, egli riuscì a
esprimere chiaramente il suo talento registico. Il progetto e la strut-
tura del film sono ben pianificati e realizzati; i campi lunghi ad alta
luminosità, contrastati e girati dal basso ricordano lo stile noir, men-
tre la struttura complessa oltrepassa gli standard dei film a basso
costo. Per la prima volta Kubrick mostra il suo ardito uso dei movi-
menti di macchina: carrellate a sinistra, a destra, avanti e indietro.
L'utilizzo dei punti di vista multipli, dei campi lunghi e di inqua-
drature in cui tutti i piani dell'immagine sono a fuoco, costituiscono
un chiaro riferimento a Orson Welles.
Rapina a mano armata uscì il 20 maggio 1956. Il 4 giugno in un
articolo sulla rivista «Time>> intitolato <d nuovi film>> si leggeva: «A
139
ventisette anni e alle prese con il suo terzo lungometraggio il regi-
sta-scrittore Stanley Kubrick ha mostrato più audacia nei dialoghi e
nei movimenti di macchina di quanta non se ne sia vista a
Hollywood dai tempi delle innovazioni di Orson Welles. Ora il fug-
gevole scettro di ribelle di Hollywood era nelle mani di Stanley
Kubrick.
Kubrick stava iniziando a sviluppare una precisa concezione su
come dovevano risultare i suoi film dal punto di vista visivo. L'amore
per la regia era nato dalle immagini fotografiche simmetricamente
bilanciate che lo ossessionavano sin da quando ancora bambino aveva
iniziato a sperimentare la fotografia. Iniziò ad accostarsi a tutti gli
strumenti di cui disponeva per forgiare una visione fotografica. I
temi andavano sviluppandosi sul piano del subconscio. Kubrick era
un fatalista, un esistenzialista ed era attratto dal materiale letterario
che esprimeva la sua visione cupa del mondo.
La loupe che utilizzava per stabilire e programmare le riprese
divenne un importante elemento di collegamento tra la sua visione
interna e il risultato finale nel film. Questo espediente permetteva
all'operatore di comporre e visualizzare le immagini prima e durante
la ripresa. Kubrick rifletteva lungamente su ciò che vedeva attraver-
so la loupe e iniziò a sviluppare una sua teoria al proposito. «Il miri-
no della Mitchell aveva una proprietà straordinaria perché l'ottica
della loupe e il vetro smerigliato consentivano approssimativamente
di guardare a un vetro smerigliato con i lati non invertiti come in
una normale macchina fotografica, che è lo stesso modo in cui si for"
mava l'immagine quando veniva messa a fuoco attraverso il vetro
smerigliato della loupe. La qualità che ne derivava era piuttosto sor-
prendente>>, spiegava Alexander Singer a proposito del sistema di
messa a fuoco che si verifica quando la luce colpisce una lastra di
vetro incisa o "smerigliata" e che consente a chi osserva di mettere a
fuoco un'immagine che appare confusa. «A un certo punto Stanley
disse: «Non ho intenzione di guardare attraverso il mirino. Ho
intenzione di trovare una loupe che abbia un'ottica povera e
un'immagine disturbata perché quando guardi attraverso il mirino
Mitchell tutto ha un aspetto così meraviglioso>>. La loupe permette
di ritagliare un segmento del mondo che viene circondato dall'oscu-
rità dell'immagine percepita; la concentrazione di luce e di colore,
circondati dall'oscurità e perciò intensificati, genera un effetto dram-
matico che con il più vicino movimento e angolazione viene improv-
visamente amplificato fino a diventare qualcosa di veramente specia-
le. Lo si sentiva sempre dire: <<Devo fare di più, non si tratta sola-
mente di realizzare una bella fotografia. Devo spingermi oltre i limi-
ti. Se comincio già percependo quella che sembrerà essere una bella
140
fotografia, la resa sarà meno efficace>>. Io lo trovavo un segno di
straordinaria sensibilità visiva. Conosceva la differenza dell'effetto
percepito, di una cosa rispetto all'altra. Quella sensazione che potesse
controllare il suo mondo era davvero molto speciale>>. Nel 1958,
dopo aver terminato Orizzonti di gloria, Kubrick era arrivato a sinte-
tizzare il suo credo sull'uso della luce. «Siamo tutti abituati a vedere
le cose in un certo modo, con la luce che proviene da una qualche
fonte naturale. Io cerco di raddoppiare questa luce naturale durante
le riprese perché questo contribuisce a creare la sensazione che ci si
crovi di fronte a una realtà più grande», disse aJoanne Stang durante
un'intervista rilasciata per il «New York Times».
Nell'autunno 1955 David Vaughan era ritornato in Inghilterra.
Nell'estate 1956 andò a Parigi per vedere il New York City Ballet
che era in tournée e incontrò Ruth Sobotka. <<Seppi da lei che in
quel periodo il suo matrimonio con Stanley navigava in cattive
acque», ricorda Vaughan. Nell'ottobre 1956, di ritorno a New York,
telefonò a Kubrick e alla moglie a Los Angeles. <<Mi dissero: "Perché
non vieni a trovarci?"», ricorda Vaughan. <<Un mio amico stava per
andarci in auto così mi aggregai a lui perché Stanley mi aveva detto:
"Ti trovo un lavoro qui". Non sapevo che tipo di lavoro ma pensava
di potermi trovare un'occupazione negli studios. Così li raggiunsi e
scoprii che la loro relazione era in pessime condizioni. Stanley era
sempre allo studio; usciva tutte le mattine e Ruth rimaneva a casa da
sola. Ruth aveva sempre avuto il timore di finire come sua madre.
Suo padre era professore alla Università di Pittsburgh ed era un
famoso architetto; aveva un'amante ma poi tornava a New York da
Gisela, la madre di Ruth, la quale era perfettamente paga di quella
che pur considerava una situazione non proprio ottimale. Ruth non
voleva essere lasciata a casa a tenere in caldo la cena per quando fosse
arrivato Stanley, il che sembrava essere esattamene ciò che desiderava
lui. Quindi quello fu un periodo infelice».
Vaughan trovò snervante la tensione tra i due coniugi così telefonò
all'unica altra persona che conosceva a Hollywood, Gavin Lambert.
Ruth decise di ritornare a New York: la compagnia di balletto stava
per cominciare le prove. Kubrick disse a Vaughan: <<Non sei costret-
to a stare qui se non vuoi» e gli diede i soldi del biglietto aereo per
tornare a New York.
Mentre Rapina a mano armata iniziava a far prendere consistenza
alla carriera di Kubrick, il suo secondo matrimonio stava per andare
a monte.

141
Capitolo 8
«Sono Stanley Kubrick»

«L'inizio pareva un quadro monocromo dipinto nel fango».


Keir Dullea

«La definizione che darei di Stanley è scienziato cinematografico. È


sempre animato dall'interesse non solo per la tecnologia ma anche
per le motivazioni che muovono le_persone>>.
Richard Anderson

Rapina a mano armata, mentre attirava occhi e orecchie di quanti a


Hollywood erano alla ricerca di nuove tendenze e talenti, catturò
l'attenzione anche di Dore Schary, allora responsabile della produ-
zione della Mgm. Schary aveva lavorato per David O. Selznick e per
la Rko e faceva parte della piccola minoranza di dirigenti di studio
che avevano cercato di opporsi alla lista nera del senatore McCarthy
durante il suo mandato, segnato dalla fobia anticomunista.
Schary aveva visto Rapina a mano armata prima che la United
Artists prendesse la brusca decisione di farlo uscire precipitosamen-
te. Era entusiasta del film e di coloro che l'avevano realizzato e si
domandava quando sarebbe stato distribuito. In quel periodo Rapina
a mano armata era ancora nel limbo della distribuzione, riposto nel
proverbiale cassetto. Finché Harris comunicò a Schary che la United
Artists si era finalmente decisa a farlo uscire. <<Vorrei che questo
film passasse alla Mgm>>, disse Schary a Harris, il quale tornò alla
United Artists e cercò di trovare un accordo che gli consentisse di
ricomprare Rapina a mano armata e quindi di rivenderlo alla Mgm,
che gli avrebbe garantito un trattamento appropriato. <<Non fa parte
del nostro mestiere fare i film e poi venderli>>, fu la risposta dello
studio. Sebbene non fosse riuscito ad avere Rapina a mano a17ltata,
Schary rimaneva comunque interessato alla piccola ma compatta
compagnia di produzione Harris-Kubrick, che passò così alla Mgm
sotto l'egida dello stesso Schary. L'accordo fu stipulato da Phil Gersh
della Jaffe Agency, che continuava a rappresentare la Harris-
Kubrick e Rapina a mano armata.
Sistematisi alla Mgm, Harris e Kubrick si misero alla ricerca del
loro primo progetto sotto il segno del leone ruggente. Iniziarono a
142
discutere di diversi temi: la letteratura e i buoni libri appassionavano
entrambi. Harris e Kubrick erano in grado di lavorare con degli
scrittori ma riconoscevano i propri limiti come creatori di una storia
originale. Entrambi concordavano sull'idea di fare un film di argo-
mento bellico. Harris aveva fatto il militare, Kubrick no, ma la
guerra e l'esercito lo affascinavano da sempre, in perfetto accordo con
la sua passione per gli scacchi, uno dei giochi di guerra più antichi, e
con il suo innato senso dell'organizzazione. Kubrick si sentiva forte-
mente attratto dalla strategia dei grandi generali.
L'inutilità della guerra e il tetro destino dell'uomo che tende verso
la propria rovina occupavano l'immaginazione del regista e avevano
costituito la fonte di ispirazione del suo primo lungometraggio di
stampo esistenzialista, Fear and Desire. Nel 1958 Kubrick osservò:
«Il soldato è un catalizzatore, perché tutte le circostanze che si trova
a dover affrontare sono cariche di appassionata intensità. Con tutto il
suo orrore, la guerra è una forma di dramma puro, probabilmente
perché costituisce una delle poche situazioni rimaste in cui gli uomi-
ni si alzano in piedi e si battono per quelli che credono siano i loro
principi>>. Dunque il soggetto doveva essere la guerra e Kubrick si
ricordò di un libro che aveva letto da ragazzino, Orizzonti di gloria di
Humphrey Cobb, e che era rimasto vivo nella sua immaginazione.
«Fu uno dei pochi libri che lessi per diletto nel periodo delle scuole
superiori. Devo averlo trovato per caso nello studio di mio padre e
averlo cominciato a leggere mentre aspettavo che finisse di visitare
un paziente>>.
Il romanzo era stato pubblicato nel 193 5 ed era stato successiva-
mente adattato per Broadway. Humphrey Cobb aveva creato la storia
amara e dura di tre soldati della prima guerra mondiale che venivano
giustiziati in Francia con l'accusa di vigliaccheria per coprire la cri-
minale follia di un generale disposto a sparare ai suoi stessi uomini
pur di soddisfare la propria ambizione.
Il titolo traeva ispirazione dall'Elegia scritta in un àmitero di campa-
gna di Thomas Gray, nella quale il poeta lancia il monito: «I sentieri
della gloria portano solo alla tomba>>. Il romanzo aveva lasciato una
traccia indelebile su Kubrick, che lo rilesse e decise che quello dove-
va essere il loro prossimo progetto. Non appena finito il libro,
Kubrick, che si trovava a New York, ne inviò immediatamente una
copia a James B. Harris, a Los Angeles. A sua volta Harris lo lesse e
comunicò all'amico un enfatico "perfetto!". Quindi si mosse rapida-
mente per assicurarsene i diritti. Harris e Kubrick concordarono sul
fatto di volerlo portare a Dore Schary.
Schary non manifestò altrettanto entusiasmo per Orizzonti di gloria.
«Disse che dopo La prova del fuow ne aveva abbastanza di quella roba
143
antimilitarista», ricorda Harris. <<Mi dispiace, conosco il libro, è
grandioso, ma non qui», comunicò Schary al contrariato duo. E
aggiunse: «Dobbiamo discutere insieme di tutto quello che deside-
rate fare». Poi li invitò a recarsi nel settore letterario della Mgm e a
passare in rassegna l'archivio dei libri dello studio.
Scorrendo centinaia e centinaia di titoli, Harris e Kubrick si
imbatterono nel romanzo di Stefan Zweig Adolescenza. Kubrick si
ricordava della storia di un bambino che aveva preso le difese della
madre quando il padre aveva scoperto che lei aveva una rdazione
extraconiugale e si infervorò a tal punto che scelse il romanzo di
Zweig come primo progetto per la Mgm. Benché Harris ne fosse
meno entusiasta, i due concordarono di presentarlo a Schary perché
desse il via libera.
L'accordo concluso con la Mgm prevedeva che la Harris-Kubrick
avrebbe scritto, prodotto e diretto un film nel giro di quaranta setti-
mane, ricevendo in pagamento 75.000 dollari, meno la cifra corri-
sposta alloro agente. Schary era interessato a sviluppare nuovi talen-
ti ma era anche un buon dirigente. A Kubrick era stata accreditata la
sceneggiatura di Rapina a mano armata, che Harris aveva prodotto,
ma entrambi sapevano di doversi appoggiare a degli scrittori.
Kubrick, che aveva parlato all'amico di Jim Thompson, aveva ora
intercettato un altro scrittore interessante: Calder Willingham.
Calder Willingham era un romanziere di trentatré anni e aveva
scritto End as a Man, Geraldine Bradshaw, Reach to the Stars, Natura/
Chi/d e To Eat a Peach, pubblicato nel 1955. Willingham era un
uomo del Sud, naro ad Atlanta ma cresciuto a Rome, in Georgia;
aveva lasciato la sua terra da ragazzo per recarsi a New York, dove
sperava di fare fortuna nel campo letterario. Nel 1953 si era trasferi-
to nella regione dei laghi del New Hampshire con la moglie e i figli.
Il suo senso dell'ironia e la conoscenza della cupa e crudele mentalità
militare facevano di lui il collaboratore ideale di Kubrick.
Dapprima Schary esitò di fronte alla prospettiva di ingaggiare uno
scrittore, sottolineando che questo, nell'accordo, non era previsto,
ma alla fine Harris e Kubrick lo convinsero che Willingham era la
persona giusta per scrivere l'adattamento di Adolescenza. In quel
periodo Calder Willingham si trovava a Ceylon per curare la sceneg-
giatura di Il ponte sul fiume Kwai, prodotto da Sam Spiegel e diretto
da David Lean; così Harris e Kubrick dovettero aspettare il suo ritor-
no. Le quaranta settimane stavano passando rapidamente.
Mentre era alla Mgm, la Harris-Kubrick continuava a essere
un'entità di produzione composta solamente da James B. Harris e
Stanley Kubrick. Vennero dati loro un ufficio e una segretaria e ci si
aspettava che si adeguassero alla mentalità dello studio, con orari di
144
lavoro fissi dalle nove alle cinque. Ma Stanley Kubrick non era mai
stato un tipo così. Era abituato a poco sonno e a un lavoro costante,
lavoro che non sempre si svolgeva in ufficio. «Mi ricordo che una
volta fui mandato a chiamare da uno dei direttori, il quale mi
domandò: "Dov'è il tuo collega? Dov'è Kubrick?"», ricorda Harris.
«lo risposi: "È a casa a lavorare sulla sceneggiatura. Cosa pensa che
facciamo, che andiamo alle corse dei cavalli?". Mi disse: "Ma non è
venuto iri studio". La mia risposta fu: "E allora? Sta lavorando alla
sceneggiatura". E lui: "E noi come facciamo a saperlo?". Allora io
dissi: "Perché ve lo dico io, ecco come fate a saperlo. Non sono un
bugiardo. Noi vogliamo fare dei film, che vantaggio avremmo ad
andarcene in giro a ciondolare?"».
Calder Willingham ritornò da Ceylon e iniziò a lavorare all'adatta-
mento di Adolescenza con la Harris-Kubrick, alla quale ora non resta-
va che la metà delle quaranta settimane pattuite. Nello stesso
tempo, i due incaricarono Jim Thompson di lavorare all'adattamento
di Orizzonti di gloria, sebbene la Mgm avesse opposto un secco rifiuto
a quella loro prima scelta.
Le settimane continuavano a passare. La sceneggiatura di
Adoles,·enza era ben lungi dall'essere completata ed era ormai chiaro
che Harris e Kubrick non sarebbero riusciti a rispettare i tempi.
Avevano consegnato una prima bozza e stavano aspettando di fare la
revisione, quando sorsero dei problemi di politica societaria. Dore
Schary fu immediatamente convocato a New York per presenziare a
una importante riunione del consiglio di amministrazione, al termi-
ne della quale gli sarebbe stato tolto l'incarico di responsabile della
produzione alla Mgm. Dopo che Schary fu partito per la costa atlan-
tica, il direttore della Mgm Benny Thaw chiamò James B. Harris nel
suo ufficio. Thaw disse a Harris: «Non pensiamo che arriveremo a
realizzare un film. Per come la vediamo noi la sceneggiatura è ancora
ben lontana dall'essere pronta. Vorremmo sciogliere l'accordo>>.
«Non ero pronto a rinunciare>>, ricorda Harris. «Così dissi: "Bene,
devo discuterne con il mio socio">>. Harris pensava alle disponibilità
finanziarie della Harris-Kubrick, le cui entrate erano legate alla
Mgm. «Non c'è niente di cui discutere. Questo è tutto>>, proclamò
Thaw ponendo fine all'incontro e all'accordo.
Non sapendo nulla del destino toccato a Schary, Harris corse al
telefono e chiamò gli uffici della Mgm a New York. «Lo feci chiama-
re durante la riunione del consiglio di amministrazione. Dissi che si
trattava di un'emergenza>>, ricorda Harris. <<Gli raccontai la situazio-
ne disperata, gli dissi che eravamo, per così dire, i suoi ragazzi, lui ci
aveva portato là. Mi rispose: "Jimmy, al momento ho anch'io i miei
problemi qui">>.
145
Così Harris scoprì che Schary era stato messo alla porta. La Harris-
Kubrick ricevette una lettera raccomandata dalla Mgm in cui veniva
informata di essersi dimostrata inadempiente rispetto agli accordi
stipulati. Non si sa come, lo studio era venuto a sapere che di notte
Harris e Kubrick lavoravano a Orizzonti di gloria. Mandare avanti un
secondo progetto non costituiva una flagrante violazione del contrat-
to, ma fornì alla Mgm una valida scusa per abbandonare Adolescenza
(che in seguito divenne un film). Così si concluse la relazione tra la
Harris-Kubrick e la Mgm.
Come detto, Kubrick aveva continuato a lavorare con Jim
Thompson alla prima stesura di Orizzonti di gloria, che divenne
l'obiettivo principale.
Una volta terminata la sceneggiatura, Kubrick ebbe un'idea che
doveva aiutare a vendere il progetto. Lui e Harris radunarono diversi
amici, li vestirono con uniformi francesi della prima guerra mondia-
le prese in affitto e andarono nel bosco per scattare delle foto. Grazie
ad alcune ricerche d'archivio avevano scoperto diverse fotografie
molto belle della prima guerra mondiale. Kubrick utilizzò la sua
abilità di fotoreporter per ricreare l'atmosfera e la realtà delle foto
autentiche. «Fu divertente vedere un capocameriere e un mio amico
violinista messi sotto contratto dalla Universal per interpretare il
ruolo di soldati francesi>>. La foto scattata nel bosco fu messa sulla
copertina della sceneggiatura e, come era accaduto anche per la foto
pubblicitaria realizzata per Rapina a mano armata, nella quale si
vedevano due giovani cineasti seduti su sedie da regista, anche que-
sto fu un segno del fatto che per quei tempi Harris e Kubrick erano
due "canaglieschi" innovatori: la loro fu una compagnia di produzio-
ne indipendente sorta molto prima della Cannon, della Carolco,
della New Line o della Miramax.
Harris andò alla United Artists con 01·izzonti di gloria. Il direttore
esecutivo Max Youngstein disse al giovane produttore che non avreb-
be accettato il progetto se prima non avessero riscritto la sceneggia-
tura o non avessero trovato una star disposta a interpretare il film.
La sceneggiatura di Kubrick e Jim Thompson fu sostanzialmente
riscritta da Calder Willingham e sottoposta di nuovo alla United
Artists, la quale respinse ancora una volta il progetto sostenendo che
se avessero realizzato il film in Francia la visione ne sarebbe stata
impedita. Poi il primo requisito imposto dalla United Artists diven-
ne realtà: una star si mostrò interessata a Orizzonti di gloria e, per
usare le parole di Youngstein, si trattava di una star di grande, gran-
dissimo livello.
Era il 1956 e Kirk Douglas era uno dei maggiori attori di
Hollywood. L'atletico, bello e intenso attore con la fossetta sul
146
mento e con una voce che poteva incrinarsi in ogni momento per un
accesso di passione, era stato candidato agli Oscar per le sue interpre-
tazioni in Il grande c-ampione, Il bruto e la be!!a e Brama di vivere (nel
quale incarnava la figura del tormentato pittore Vincent Van Gogh).
La Bryna Productions, la compagnia di produzione di Douglas, era
stata fondata nel 195 5 allo scopo di produrre film incentrati su stes-
so o con altre star, ed era alla continua ricerca di attrezzature di scena
e personaggi di talento.
Harris e Kubrick volevano che Kirk Douglas interpretasse il ruolo
del colonnello Dax, il protagonista del film; il loro agente Ronnie
Lubin inviò all'attore la sceneggiatura.
Quello stesso anno Douglas vide Rapina a mano armata e ne rimase
talmente affascinato che l'attore quarantenne combinò un incontro
con il giovane regista ventottenne. Douglas domandò a Kubrick se
aveva qualche progetto in vista. Kubrick menzionò Orizzonti di gloria
e disse a Douglas che lui e Harris stavano incontrando delle difficoltà
per trovare un grande studio che accettasse di occuparsi del film.
Come ricorda lui stesso nella sua autobiografia Destino ne!!a polvere,
Douglas diede a Kubrick una risposta fulminante riguardo alla sce-
neggiatura: <<Stanley, non penso che questo film farà mai un soldo ma
dobbiamo farlo>>. Però, nonostante l'entusiasmo, Kirk Douglas non era
in quel momento disponibile a causa di un precedente impegno.
Harris e Kubrick non volevano aspettare, così si misero in cerca di
un'altra stella del cinema disposta a interpretare il ruolo del colon-
nello Dax. Nel corso dell'estenuante ricerca, ricevettero una telefona-
ta dal regista William Wyler e dall'attore Gregory Peck. I due intre-
pidi personaggi di Hollywood stavano sviluppando il progetto di un
film commerciale ed erano rimasti talmente colpiti da Rapina a mano
armata che si domandavano se Harris e Kubrick avrebbero potuto
trasmettere un po' di quella magia alla loro sceneggiatura. Harris e
Kubrick si sentirono molto lusingati. «Eravamo talmente rallegrati
e l'idea ci appassionava a tal punto che ci riflettemmo SU>>, ricorda
Harris. «Ma quello che avevamo davvero in mente era come riuscire
a ingaggiare Gregory Peck per Orizzonti di gloria. Sapevamo di pia-
cergli e che ci rispettava, quindi pensammo di mostrargli la sceneg-
giatura nella speranza di riuscire a trovare un accordo. Se volevano
che ce ne stessimo lì a perdere tempo con la loro sceneggiatura per
apportare un pizzico della Harris-Kubrick nello stile di Wyler, forse
saremmo riusciti a ottenere la collaborazione di Gregory Peck>>.
Peck lesse la sceneggiatura, ma nonostante il desiderio di prendere
parte al film, anche lui, come Kirk Douglas, era impegnato in diver-
si progetti e non poteva fornire una data precisa a partire dalla quale
sarebbe stato disponibile per iniziare il lavoro.
147
Harris e Kubrick continuarono a cercare una star per quel progetto
che si stava rivelando duro da vendere. La storia si svolgeva durante
la prima guerra mondiale, non prevedeva parti femminili ed era tra-
gica. «Non è esattamente quello che sognano gli studios come film
di Natale>>, afferma Harris. <<C'erano degli agenti che non fecero
neppure leggere la sceneggiatura agli attori da loro rappresentati. Ci
provammo ma non riuscimmo a trovare nessuno che fosse disposto a
fare il film, non ci riuscimmo proprio>>.
Quando ormai sembrava che la Harris-Kubrick non avrebbe mai
trovato il suo colonnello Dax, ecco riapparire Kirk Douglas. C'era
stato un cambiamento nei piani che lo riguardavano, così Douglas
contattò Harris e Kubrick e chiese loro se la parte era ancora dispo-
nibile: voleva recitare in Orizzonti di gloria.
L'agente di Kirk Douglas era l'abile e influente Ray Stark, un ex
agente letterario che aveva rappresentato Ben Hecht e che attual-
mente si occupava di famosi artisti del calibro di Marilyn Monroe e
Richard Burton. Stark era alla fine della sua carriera di agente perché
stava per fondare la Seven Arts Production Company insieme al
direttore di produzione Eliot Hyman. <<Per quello che era forse il suo
ultimo contratto egli voleva imporre delle condizioni assolutamente
vantaggiose, in modo da uscire di scena con stile>>, ricorda Harris.
La riunione si tenne un sabato a Palm Springs. Ad essa partecipa-
rono James B. Harris, Stanley Kubrick, il loro agente Ronnie Lubin,
Kirk Douglas e Ray Stark. Harris e Kubrick erano fermamente
intenzionati a realizzare Orizzonti di gloria; per farlo, possedevano il
talento e la determinazione necessari ma avevano poco potere politi-
co. Così Stark propose dei termini assai rigidi e del tutto favorevoli
al suo cliente. li film sarebbe stato una produzione Bryna e Douglas
avrebbe percepito un compenso di 350.000 dollari; l'accordo era
inoltre costellato di numerose clausole, come quelle che prevedevano
alloggi di prima classe, una troupe addetta alle riprese in esterni e la
consegna di una copia del film in I6mm. <<Ma la vera condizione
capestro consisteva nel fatto che la Harris-Kubrick dovette firmare
un accordo con il quale si impegnava a realizzare con la Bryna i suc-
cessivi cinque film>>, ricorda Harris, <<due soli dei quali avrebbero
visto la sua partecipazione. Insomma, da quel momento in poi
avremmo lavorato per Kirk Douglas>>.
L'accordo era duro, ma Harris e Kubrick sentivano che Douglas
sarebbe riuscito a far realizzare il film, e così fu. li potente attore
portò il progetto alla United Artists, che gli disse di non essere inte-
ressata. Ma la statura politica di Douglas pagò: egli ricordò alla
United Artists che in estate avrebbe dovuto girare per loro l vichitl-
ghi, disse inoltre che aveva altri concorrenti disposti a realizzare
148
Orizzonti di gloria. In realtà, il progetto presentato da Harris era già
stato rifiutato da tutti i maggiori studios. Douglas pose la United
Artists di fronte a un aut-aut: o facevano Orizzonti di gloria insieme a
[ vichinghi, che aveva delle potenzialità commerciali, oppure lui se ne
sarebbe andato. La United Artists accettò e la Harris-Kubrick si spo-
stò negli studi della Bryna a Beverly Hills.
Kubrick si immerse nelle ricerche sulla prima guerra mondiale,
trascorse ore e ore osservando con grande attenzione l'estesa collezio-
ne di fotografie sul conflitto conservata nella Los Angeles Library e
studiando i dettagli della guerra di trincea.
Adesso Orizzonti di gloria poteva contare sul supporto di uno dei
maggiori studios e su una star tra le più importanti, ma la Harris-
Kubrick continuava a disporre di un budget ridotto. La United
Artists acconsentì a finanziare il film con una cifra massima di
850.000 dollari; il costo totale si aggirava tra i 935.000 e i 954.000
dollari; Kirk Douglas ne avrebbe ricevuti 350.000, ovvero più di un
terzo dell'intero budget; 20.000-25.000 dollari sarebbero andati al
regista e al produttore. Harris e Kubrick avrebbero beneficiato dei
profitti del film solamente se questo avesse realizzato dei guadagni.
Una volta che il film avesse recuperato i costi della realizzazione, gli
utili sarebbero stati ripartiti come segue: il 60 per cento alla Harris-
Kubrick e il 40 per cento alla United Artists.
La Bryna e la Harris-Kubrick decisero di girare il film in Germa-
nia, a Monaco. Il sentimento antifrancese del quale era permeato il
film rendeva problematico se non impossibile effettuare le riprese in
Francia, mentre Monaco aveva l'architettura giusta e il territorio
adatto alla storia.
Kubrick e Harris si trasferirono in Europa per iniziare la prepro-
duzione. Quando Kirk Douglas arrivò in Germania fu sorpreso di
constatare che erano stati apportati dei cambiamenti alla versione
della sceneggiatura che lui aveva letto, quella revisionata da Calder
Willingham. <<Quando arrivai all'Hotel Viejahrzeiten di Monaco fui
accolto da Kubrick e da una sceneggiatura completamente riscrit-
ta>>, ricorda Douglas nella sua autobiografia. <<Stanley l'aveva rivista
di sua iniziativa insieme a Jim Thompson. Era una catastrofe, una
povera versione di quella che io avevo trovato così bella. I dialoghi
erano atroci. Il mio personaggio diceva cose come: "Sei tu l'unico al
mondo ad avere un cervello. Hanno buttato via lo stampo dopo aver
fatto il tuo? Noialtri abbiamo la testa piena di corn-flakes". C'erano
pagine e pagine di dialoghi come questi, prima di arrivare al lieto
fine, quando la macchina del generale Rousseau irrompe sul luogo
dell'esecuzione ed egli urla l'alt al plotone pronto a far fuoco, tra-
mutando la condanna a morte in trenta giorni di guardina. A quel
149
punto il mio personaggio, il colonnello Dax, se ne va a bere un goc-
cio con il generale, il cattivo contro il quale ha combattuto durante
tutto il film, che mi mette un braccio intorno alle spalle>>.
«Chiamai Stanley e Harris nella mia stanza. "Stanley, hai scritto tu
questa roba?". "Sì". Kubrick aveva sempre un atteggiamento molto
tranquillo, non mi capitò mai di sentirlo alzare la voce, non lo vidi
mai arrabbiarsi o rivelare qualche tipo di emozione; si limitava a
guardarti con quei suoi grandi occhi spalancati. Dissi: "Stanley, per-
ché l'hai fatto?". Con grande calma rispose: "Per renderlo commer-
ciale. Voglio guadagnare". Andai su tutte le furie, lo insultai nel
peggiore dei modi. "Sei venuto da me con una sceneggiatura scritta
da altri; si basava su un libro. Io amavo quella sceneggiatura. Ti
avevo detto che non pensavo che il film avrebbe avuto un successo
commerciale ma che volevo farlo ugualmente. Hai lasciato che fossi
io a occuparmi di mettere insieme il progetto. Ho trovato i soldi
sulla base di quella sceneggiatura, non di questa merda!". Lanciai i
fogli attraverso la stanza. "O si ritorna alla sceneggiatura originale
oppure il film non si fa". Stanley non batté ciglio. Girammo seguen-
do la sceneggiatura originale. Penso che Orizzonti di gloria sia un
classico, uno dei film più importanti, forse proprio il pilÌ importante,
tra quelli girati da Stanley Kubricb.
Le diverse personalità entrarono in collisione. Douglas aveva stipu-
lato un contratto con Kubrick in base al quale il regista si era impe-
gnato a dirigere diversi film per la Bryna Company, che produceva
Orizzonti di gloria, mentre Kubrick continuava ad apporre ovunque
la sigla della Harris-Kubrick, rivendicando in questo modo la pro-
prietà del film. Douglas non affrontò Kubrick ma ribolliva al pensie-
ro che il film risultasse una produzione della Harris-Kubrick.
L'attore Richard Anderson aveva appena terminato il suo contratto
con la Mgm per la quale aveva interpretato più di trenta film. Uno
degli amici di Anderson conosceva Kubrick e aveva parlato al regista
dell'attore. Il vorace appetito cinematografico di Kubrick l'aveva
portato a vedere tutti i lavori di Anderson alla Metro e quindi disse
all'amico che lo avrebbe conosciuto volentieri. «Venne nel mio
appartamento e parlammo per due ore, soprattutto di film, non di
attori, solo di film>>, ricordava Anderson, che in seguito apparve in
Frenesia del delitto, Sette giorni a maggio e Operazione diabolica e inter-
pretò la parte dell'agente governativo Oscar Goldman nei serial Tv
"L'uomo da sei milioni di dollari" e "La donna bionica". <do avevo
sempre sognato di entrare in una produzione e di fare dei film, così
parlammo a lungo di questo. Era molto curioso circa i sei anni nei
quali avevo lavorato per la Metro. E questo fu tutto. Poi una sera
intorno alle undici ricevetti una telefonata da Jimmy Harris, il quale
!50
mi disse: 'Ti piacerebbe andare in Germania?". Poi mi passò Stanley
che mi spiegò la storia. Dissi che mi sembrava interessante e così mi
mandarono una copia della sceneggiatura».
Anderson ricorda Kubrick come un avido lettore che poteva rima-
nere a casa tutta una giornata circondato da pile di libri. «Leggeva
molto lmmanuel Kant. Si chiudeva nel suo appartamentò e tutto
quello che faceva era leggere, leggere, leggere, leggere e fumare».
Quando Anderson giunse sul set in Germania, prima che iniziasse-
ro le riprese Kubrick gli domandò di aiutarlo con i dialoghi. Oltre a
interpretare l'importante ruolo di Saint-Auban, l'ufficiale che perse-
guita gli uomini ormai condannati, Anderson lavorava con il cast
provando le battute e ripassando con loro le parti. Fu impegnato nel
film dal primo all'ultimo giorno ed ebbe così l'opportunità di osser-
vare da vicino il regista impegnato a dirigere quel capolavoro che è
Orizzonti di gloria.
Kubrick fece degli incontri individuali con tutti i membri del cast
ma non parlò mai con Anderson. Sembrava avesse fiducia nell'esper-
to attore, nella sua capacità di lavorare efficacemente con gli altri e
di caratterizzare il personaggio di Saint-Auban.
Kubrick continuò a non dare ad Anderson alcuna indicazione
durante le riprese delle prime scene del film. Nella sequenza della
corte marziale i giudici sedevano intorno a un tavolo. Kirk Douglas
era seduto al tavolo della difesa e Anderson, di fronte a lui, a quello
dell'accusa. Anderson recitava la parte di Saint-Auban in modo trat-
tenuto, essendo Saint-Auban il braccio destro del folle generale
Mireau - splendidamente interpretato da George Macready -, ma
sentì che quello era il momento giusto perché il suo personaggio
prendesse forma. Così si alzò in piedi e si diresse verso il primo
imputato, sottoponendolo a una raffica di domande. «Stanley inter-
venne: "Aspetta un minuto, rimani accanto al tuo tavolo"», ricorda
Anderson. «Gli dissi: "Solo un minuto Stanley, guarda qui". Si com-
portò in modo meraviglioso: da quel momento in poi non uscì più
una sola parola dalla sua bocca. Guardò ciò che stavo facendo e que-
sto gli diede l'opportunità di posizionare la macchina da presa dietro
ai giudici, cosa che gli piacque immensamente. Ma il meglio per lui
fu quando entrammo sul set con il suono degli stivali sul pavimento
di marmo e tutto il resto>>.
Kubrick sfruttò appieno il sonoro, catturando l'eco della palazzina
e preservando la presa diretta, evitando ogni doppiaggio significati-
vo o la postsincronizzazione in fase di postproduzione.
Il pavimento di marmo della scena della corte marziale ha un dise-
gno a scacchiera. Quando la macchina da presa è collocata in alto,
l'osservatore si rende conto che i tre uomini sono come le pedine di
151
una partita a scacchi. Kubrick continuava a trovare metafore per
quel gioco che pervadeva la sua immaginazione e plasmava la sua
visione del mondo.
Il giorno delle riprese della scena iniziale, nella quale il generale
Broulard, interpretato da Adolphe Menjou, persuade il generale
Mireau ad attaccare il Formicaio, Kubrick aveva programmato chi
seguiva i due uomini di muovere la macchina da presa secondo una
coreografia simile a una danza. Era un grande appassionato dei film di
Max Ophuls e aveva parlato con James B. Harris e con altri dei fluidi
movimenti di macchina ottenuti dal regista in film come I gioielli di
madame de... Kubrick arrivò sul se t. Prima ancora che venisse messa in
funzione la macchina da presa andò da Richard Anderson e stoica-
mente gli disse: «Max Ophuls è morto oggi: questo è in suo onore)).
Kubrick riprese i movimenti avvolgenti di Ophuls, ma quando li
combinò con la sua tetra visione la danza dell'eleganza e dell'umanità
di Ophuls, si trasformò nella danza del destino di Kubrick.
Il primo giorno di lavoro di Anderson nei panni di Saint-Auban fu
segnato dalla scena nella quale Mireau va al quartier generale sotter-
raneo di Dax per dargli l'ordine di prendere il Formicaio. «Dopo un
paio di riprese mi girai verso Stanley e gli dissi: "Beh, questo sì che è
eccitante")), ricorda Anderson. «Stanley mi rispose: "Che cosa inten-
di per eccitante? È come lavorare a Hollywood. Hai lavorato in un
sacco di film, Richard, e questo non è diverso da quello che hai fatto
a Hollywood". Rimasi un po' sorpreso e non dissi nulla, perché non
sapevo proprio cosa rispondergli. Non riuscivo a spiegarne i motivi e
non sapevo come sarebbe andata a finire, ma avevo la sensazione che
quanto stavo facendo fosse diverso da tutto ciò che avevo fatto prima
lavorando all'interno dello studio system. Era più alla mano, meno
rigido, meno formale e con meno gente intorno>>.
Le riprese in interni furono girate alla Bavaria Film nei vecchi
Geiselgasteig Studios alla periferia di Monaco. Un tempo molto atti-
vo, lo studio, non utilizzato durante la seconda guerra mondiale, era
caduto in disuso nel dopoguerra. Si trovava a una quarantina di
minuti di macchina dai luoghi in cui vennero girate le riprese del
campo di battaglia e della palazzina utilizzata come base delle mili-
zie francesi.
Per le scene della battaglia la compagnia scritturò quasi ottocento
poliziotti tedeschi che interpretarono il ruolo dei soldati francesi.
All'inizio degli anni Cinquanta, ai poliziotti tedeschi venivano
impartiti tre anni di rigido addestramento militare e questo consentì
loro di muoversi come dei veri soldati. Ciononostante, all'inizio non
compresero che stavano interpretando il ruolo di truppe stremate
dalla battaglia e dai continui bombardamenti. La sceneggiarura pre-
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vedeva una fanteria fiaccata e sfinita. Gli energici poliziotti tedeschi
erano al contrario desiderosi di compiere gesta di valore che mostras-
sero il loro coraggio e patriottismo. Alla fine Kubrick riuscì a far
loro comprendere il pericolo che incombeva sui personaggi e la
disperazione morale che li aveva sopraffatti. Il suo era un film
sull'inutilità della guerra.
Kubrick si divertì a lavorare con i componenti della troupe tedesca
che parlavano un inglese stentato, e disse ad Alexander Walker: «I
tedeschi erano dei tecnici superbi, totalmente orientati verso il lavo-
ro>>. Come direttore della fotografia Kubrick scelse George Krause,
un operatore tedesco che quattro anni prima aveva curato la fotogra-
fia del film di Elia Kazan Salto mortale. Lavorare in Germania con-
sentì a Kubrick di mettersi egli stesso dietro la macchina da presa,
tornando quindi a esercitare quel controllo pratico sul film che aveva
già sperimentato prima di Rapina a mano amtata.
In Orizzonti di gloria, Kubrick utilizzò la macchina a mano nello
stesso modo in cui l'aveva impiegata in Rapina a mano amtata: le
riprese con la macchina a mano erano un'estensione del suo back-
ground di fotoreporter e portarono un realismo documentaristico
all'interno dei suoi film di fiction. Come osserva James Monaco: «Il
cinema di Kubrick è un laboratorio nel quale i diversi elementi con-
trastanti dell'estetica fotografica e della ripresa sono messi rigorosa-
mente alla prova. {C]onsiderando gli stretti parallelismi tecnologici
con la fotografia di scena, ci sorprende il fatto che solo pochi foto-
grafi di scena abbiano avuto successo nel cinema. {... ] Stanley
Kubrick ha fatto eccezione, ed è stato l'unico regista che sia riuscito
con successo a creare un ponte sopra l'abisso che separava la fotogra-
fia e i film>>.
In origine Kubrick aveva previsto di girare le scene di battaglia
nella pianura circostante gli studi Bavaria; in quella zona erano stati
ambientati molti grandi film di guerra tedeschi, ma Kubrick aveva
bisogno di un'area più estesa, che gli permettesse di creare la terra di
nessuno posta tra le trincee francesi e il filo spinato tedesco a difesa
del Formicaio. Dopo un'attenta perlustrazione, il direttore di produ-
zione John E. Pommer trovò il luogo adatto, ma il terreno era di
almeno sedici diversi proprietari, ciascuno dei quali avanzava delle
richieste impossibili.
Due settimane prima dell'inizio delle riprese, Pommer scoprì un
fertile pascolo di campagna di proprietà di una so-Ia persona; l'uomo
si mostrò riluttante a lasciar devastare i suoi campi coltivati, ma la
produzione lo convinse ad affittarle la terra.
Il dipartimento scenografia, diretto da Ludwig Reiber, iniziò a tra-
sformare il pacifico pascolo del 195 7 in un campo di battaglia sul
153
fronte occidentale del 1915-16. Reiber aveva iniziato la sua carriera
nel 1923; Orizzonti di gloria fu il centoseiesimo film nel quale lavorò.
Il barone Otto von Waldenfels, una delle più eminenti autorità euro-
pee sulla prima guerra mondiale, svolgeva il ruolo di consulente tec-
nico del film e lavorava a stretto contatto con Reiber e Kubrick.
La trasformazione del pascolo in campo di battaglia richiese tre
settimane e sessanta operai, che lavorarono a turno ventiquattr'ore su
ventiquattro. Per scavare le enormi buche e le trincee vennero utiliz-
zate otto gru. Per amore della resa realistica e insieme metaforica,
Kubrick voleva una terra devastata e sterile. Una volta preparato il
terreno, sulla vasta distesa furono sparpagliati autentici oggetti bel-
lici d'epoca come granate, equipaggiamenti militari e armi; vennero
disseminati dei rotoli di filo spinato che si contorcevano in forme
macabre. In lontananza si scorgeva il Formicaio, l'obiettivo francese
strenuamente tenuto dai tedeschi, e di fronte a esso si trovava il rot-
tame di un velivolo del 1915, sinistro ricordo dell'assurdità della
guerra. Kubrick voleva che l'aeroplano bruciasse lentamente come se
fosse appena stato abbattuto. Il mago degli effetti speciali Erwin
Lange creò un liquido chimico che poteva essere spruzzato sull'aereo:
quando la sostanza veniva a contatto con l'aria si aveva l'impressione
che il velivolo stesse bruciando senza fiamma.
Avendo lavorato in molti importanti film di guerra europei, Lange
era all'altezza delle molte sfide propostegli dal giovane e meticoloso
regista. Aveva iniziato come chimico professionista e nel 1930 creava
gli effetti speciali per il leggendario studio cinematografico tedesco
Universum Film Aktien Gesellschaft, noto come Ufa.
Kubrick insistette per non avere le convenzionali esplosioni che
producevano nubi di polvere e terra: nel suo film voleva verosimi-
glianza. L'esplosione di una granata scagliava in aria fango, pietre e
schegge che precipitavano sul terreno. La produzione richiese tali
quantità di fumo, fuochi artificiali e altri esplosivi che Lange dovette
presentarsi davanti a una speciale commissione governativa tedesca
per ottenere il permesso di accumulare l'immensa quantità di esplosi-
vo necessaria per soddisfare l'ossessione di autenticità di Kubrick.
Ben presto Lange comprese che questo non era un incarico di routine.
Lange passò molte ore sperimentando tecniche mai provate. Alla
fine giunse a una soluzione che comportava il riempimento di crateri
conici rivestiti di metallo e polvere sottile insieme a una composizio-
ne di sughero annerito e pressato. I crateri vennero scavati secondo
coordinate precise e strategiche lungo il vasto campo di battaglia.
Una volta prodotta l'esplosione, i frammenti di sughero venivano
proiettati fuori e avevano le sembianze di detriti duri e pesanti, che
mescolati con la polvere si spargevano in aria e sul terreno.
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Per far esplodere le cariche si ricorse all'impiego di una squadra di
elettricisti che coprì il campo con chilometri di filo elettrico.
Programmare il momento opportuno in cui far partire le esplosioni
richiedeva assoluta precisione e nervi d'acciaio, perché Kubrick
arrivò a far ripetere le scene della battaglia fino a trenta volte prima
di esserne soddisfatto. Solamente nella prima settimana, Lange stimò
di aver utilizzato più di una tonnellata di materiale esplosivo.
A Kubrick accorsero molto tempo e numerosi sforzi per mettere a
punto dettagli che creavano l'atmosfera di un vero campo di batta-
glia. «Lavorammo per un mese alla preparazione di quel campo, che
era largo seicento metri e lungo cento», disse Kubrick in un'intervi-
sta rilasciata a «Newsweeb> nel 1957. «Dopo avere scavato le buche
e devastato il terreno, spargemmo tutt'intorno dei piccoli frammen-
ti: pezzi di armi e brandelli di divise dei soldati. Non li vedevi ma li
sentivi. [ ... ] Passammo la maggior parte del tempo a sistemare le
cariche esplosive e a programmarle in modo che esplodessero nel
momento giusto. Ci voleva mezza giornata per effettuare i preparati-
vi e trenta secondi per far saltare tutto in aria>>.
Per filmare il disperato tentativo di conquistare il Formicaio,
Kubrick utilizzò più macchine da presa e concepì un sistema a reti-
colo per coordinare il modo in cui sarebbero caduti gli uomini della
fanteria francese massacrati dal fuoco di fila che proveniva da dietro
lo sbarramento di filo spinato tedesco. Nella sequenza vennero
impiegate seicento comparse. «Avevamo sei macchine da presa poste
una dietro l'altra su un carrello, che correva parallelo all'attacco>>,
disse Kubrick ad Alexander Walker. «Il campo di battaglia era divi-
so in cinque "zone di morte": a ciascuna comparsa veniva assegnato
un numero da uno a cinque e gli veniva detto di "morire" nella zona
corrispondente, se possibile vicino a un'esplosione. Io manovravo una
macchina da presa Arriflex dotata di zoom e riprendevo Douglas>>.
Le immagini più memorabili di Orizzonti di gloria sono quelle rea-
lizzate con le implacabili carrellate nelle trincee francesi. Prima di
iniziare le riprese Kubrick portò Richard Anderson sul campo dove
avrebbe dovuto girare le sequenze della trincea. «Disse: "È qui che
dobbiamo scavare">>, ricorda Anderson. «E fu proprio ciò che fecero,
scavarono una trincea e vi misero dentro della tavole di legno>>.
Kubrick voleva realizzare dei carrelli in avanti e indietro. Non era
possibile posare i binari perché Kubrick voleva cogliere, oltre al cielo
plumbeo, anche il terreno calpestato dai soldati. Pretese che le trin-
cee fossero larghe due metri, in modo da permettere alla macchina
da presa montata sul carrello di muoversi liberamente. Il consulente
tecnico Otto von Waldenfels protestò vigorosamente, sostenendo che
le trincee francesi della prima guerra mondiale erano strette e che
155
Kubrick non sarebbe stato storicamente fedele. Kubrick si affrettò e
fece disporre dal dipartimento scenografia delle passerelle sul terreno
fangoso. Questo elemento rispettava accuratamente la storia: le pas-
serelle evitavano che i soldati camminassero sul fango umido che
veniva a formarsi e costituivano la soluzione migliore per poter rea-
lizzare dei fluidi piani sequenza in cui sia la macchina da presa che i
soggetti erano in movimento. Il carrello si muoveva lungo le passe-
relle e l'obiettivo rivelava i soldati abbattuti e spossati dalla batta-
glia, ormai privi di qualunque speranza.
<<La trincea era raccapricciante», ricorda Anderson. «Trasudava
umidità e poi il tempo era così schifoso: faceva freddo, si gelava, era
grigio e coperto. Ci ammalammo tutti fin dalla prima settimana.
Avevamo un aspetto orribile e questo certamente favorì la riuscita
del film>>.
Kubrick sedeva su un seggiolino sistemato sul carrello e ordinava
un ciak dopo l'altro. I membri della troupe continuavano a mettere
pezzi di legno sotto le passerelle per livellare il passaggio lungo il
quale si muoveva la macchina da presa che, guidata dal regista,
riprendeva di fronte e di spalle Kirk Douglas, Richard Anderson e
George Macready.
Quando Mireau e Saint-Auban attraversavano le trincee per rag-
giungere gli uomini ormai spossati dalla battaglia, si trovavano nel
pieno di un feroce bombardamento. Anderson, che aveva combattuto
nella seconda guerra mondiale ed era stato uno studente di storia,
capì che Saint-Auban voleva essere un buon esempio per gli uomini
davanti al generale e che quindi difficilmente avrebbe reagito alle
esplosioni che imperversavano tutt'intorno. «Stanley disse: "Dick,
devi accorgerti che ci sono delle esplosioni là fuori">>, ricorda
Anderson. «lo risposi: "Va bene". Ma quando vide quello che stavo
facendo mi lasciò fare. I buoni registi ti lasciano fare se ciò che stai
facendo li soddisfa. Loro sono il pubblico. Una volta che si fidano di
te come attore ti lasciano libero, ma se provi qualcosa che non capi-
scono o se sei titubante allora ti faranno impazzire per tutto il film e
continueranno a starti addosso>>.
Kubrick si immerse completamente nel mondo di Orizzonti di glo-
ria. Si poneva infinite domande, e pretendeva risposte: che marca di
sigarette fumavano i soldati francesi? Che giornali leggevano? Che
canzoni cantavano? Come si radevano? Quali pin-up erano attaccate
alle pareti della loro trincea? Di cosa parlavano?
Come quartier generale fu scelto un palazzo medievale. Orizzonti di
gloria trattava della distinzione di classe. Gli uomini che combatte-
vano vivevano nel sottosuolo, il loro sangue scorreva a fiotti; gli uffi-
ciali vivevano nello splendore: il vino scorreva a fiumi.
156
Nel corso della scena dell'esecuzione, che fu realizzata di fronte al
palazzo e che richiese diversi giorni di lavorazione, Kubrick provò a
utilizzare un obiettivo a focale lunga per riprendere i tre uomini che
camminano verso la morte. Ma la compressione dello spazio prodotta
dall'obiettivo faceva sì che il palazzo sullo sfondo inghiottisse l'azio-
ne che si svolgeva nella parte anteriore del piano, così finì per rinun-
ciare optando per un più equilibrato effetto d'insieme.
Quando Saint-Auban si reca dagli uomini e legge loro la sentenza
di condanna a morte, Richard Anderson sentì che quella costituiva
un'opportunità per rivelare l'umanità di Auban e il suo malcontento
nei confronti del folle superiore. «Stanley mi disse: "Dick, leggilo ad
alta voce, non tentare di rivendicare la tua idea del personaggio.
Limitati a leggerlo ad alta voce">>, ricorda Anderson. «"Okay," rispo-
si "lo farò". Lo feci e poi gli chiesi: "Ora mi lasci provare a modo
mio?" Rispose: "Okay"; rifeci la scena e ricordo che la segretaria di
edizione tedesca disse: "La prima è migliore, perché alla fine li hai
distrutti". Bene, era solo una questione di scelta e in questo modo
Stanley aveva visto le due versioni. Fu intelligente, disse: "Giriamola
in due modi diversi". Non aveva ancora deciso. Quello che io avevo
in mente era che Auban era un essere umano e un uomo intelligente,
cresciuto all'interno del sistema militare francese ma pur sempre
intelligente. Quando si fosse davvero reso conto dell'enormità di
quel crimine- Menjou che diceva di ucciderne un paio perché que-
sto avrebbe giovato alla disciplina - ne sarebbe stato sopraffatto.
Ciononostante doveva dire: procediamo. È questa forma di follia che
io intendevo mostrare al pubblico. E in questa direzione interpretai
la scena.
A Pasqua, Anderson decise di andare a trascorrere il week-end a
Parigi. «Stanley seppe che avevo intenzione di andare a Parigi e
l'idea non gli piacque», ricorda Anderson. «Disse: "Io sto qui a lavo-
rare in un dannato teatro di posa e tu te ne vai a Parigi". Risposi:
"Ho intenzione di prendere un treno e andare a Parigi. Sono pronto a
tutto. Per l'amor di Dio, non ci sono mai stato e ho ventisei anni".
Allora lui mi fece una domanda; non si trattava di una domanda
seria e non aveva nulla a che vedere con me personalmente, si riferiva
a una ragazza che conoscevo. Io dissi: "Stanley, se rispondo a questa
domanda utilizzerai la seconda ripresa?"; disse di sì. Allora risposi
alla domanda e lui utilizzò la seconda ripresa. Questa sì che è inte-
grità; avrebbe potuto chiedere a sessanta persone quale preferivano, e
invece fece esattamente quello che mi aveva promesso».

Orizzonti di gloria dimostra il virtuosismo tecnico di Kubrick e la


sua visione tetra e fredda della vita. I luminosi campi lunghi girati
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all'interno del palazzo sono messi in contrasto con le numerose car-
rellate tetre e oscure sugli uomini. Kubrick imparò la lezione dai
maestri. Le carrellate fluide che tanto ammirava in Max Ophuls e i
campi lunghi ripresi dal basso in cui tutto è a fuoco, sfondo e primo
piano, che erano diventati il marchio distintivo di Orson Welles,
sono filtrati attraverso l'occhio fotografico geometrico e simmetrico
di Kubrick. Il film è una partita a scacchi con delle pedine umane,
questa è la metafora travolgente che ossessiona Kubrick. La coreo-
grafia della battaglia nella terra di nessuno è realizzata attraverso
piani sequenza ed è messa in rilievo dai teleobiettivi che spingono
Dax in uno stato surreale mentre è circondato dalla realtà della
guerra. L'efficacia ottenuta da Kubrick con l'utilizzo della macchina
da presa durante la scena della battaglia portò il critico cinemato-
grafico Peter Cowie ad affermare che Kubrick maneggiava la mac-
china da presa ((nello stesso modo risoluto con il quale si impugna
un'arma>>. Il finale del film è un esempio magistrale del potere del
montaggio, grazie al quale Kubrick realizza una sequenza sentimen-
tale di grande forza, incentrata sui volti logorati dalla battaglia e
stanchi della guerra. Il ritmo della scena è dettato dal canto dolce
della ragazza tedesca.
Kubrick riuscì a ottenere dagli attori delle interpretazioni forti.
Nel ruolo di Dax, Kirk Douglas fornì un ritratto del suo personag-
gio fremente ma controllato, la cui passione esplode di fronte alla
constatazione dell'ingiustizia perpetrata nei confronti dei suoi
uomini. L'ingaggio di Adolphe Menjou fu un colpo da maestro che
Stanley utilizzò a proprio vantaggio: Menjou aveva sessantotto
anni ed era prossimo alla fine di una brillante carriera, dopo aver
preso parte a numerosi film a cominciare da The Man Behind the
Door, nel 1914. Convinto conservatore, Menjou aveva fatto l'acca-
demia militare, aveva combattuto nella prima guerra mondiale
come capitano m ed ico e nel 1944 era stato uno dei fondatori della
Motion Picture Alliance for the Preservation of American Ideals.
Dieci anni prima della realizzazione di Orizzonti di gloria, Menjou
era stato un testimone "non ostile" alle udienze tenutesi nel 1947
presso il Comitato per le Attività Antiamericane. Kubrick lavorava
al fianco di Menjou e faceva di tutto per convincere l'attore che
Broulard era un generale grande e importante, il vero eroe della
storia. Broulard teneva a distanza due personaggi bramosi di pote-
re: Dax e Mireau. Menjou era un attore cinematografico di grande
esperienza e talento; quando nel 1923 lavorò con Charlie Chaplin
in La donna di Parigi, il regista, parlando del suo modo di recitare
per il grande schermo, disse: ((Menjou, ecco come un attore recita
nei film. Tu sei in una camera da letto e la macchina da presa è
158
come una persona che ti osserva attraverso il buco della serratura>>.
Quando Menjou iniziò a lavorare in Orizzonti di gloria, si girò verso
Richard Anderson e gli disse: «Mi interessa molto vedere come verrà
fuori questo film». Dopo l'uscita del film, Anderson andò a trovare
Menjou nella sua casa a Beverly Hills; i due attori chiacchierarono
del più e del meno ma Orizzonti di gloria e Stanley Kubrick non furo-
no mai menzionati nella conversazione.
In quel periodo Menjou rilasciò delle dichiarazioni alla stampa a
proposito del lavoro insieme a Stanley Kubrick dicendo: «II più
grande regista che lanciò la mia carriera fu Charlie Chaplin. Stanley
è il regista con il quale ho lavorato che ha il modo di dirigere più
simile al suo, nel senso che l'attore ha sempre ragione e il regista ha
sempre torto. [ ... ] Diventerà uno dei dieci registi migliori.
Quando? Generalmente sono necessari tre film, quindi immagino
che sarà nel prossimo».
Kubrick utilizzò la sua indomita pazienza per riuscire a far recitare
Menjou ripresa dopo ripresa, finché il regista non fu convinto che
l'attore avesse esplorato tutto il terreno offerto dalla scena. Questo fu
un risultato formidabile con un attore così potente nell'industria
cinematografica come Menjou.
Tuttavia, il lavoro non fu facile per il giovane regista. James B.
Harris, il produttore di Orizzonti di gloria, ricorda un incidente acca-
duto all'inizio del film tra Menjou, George Macready e Kubrick,
poiché questi diceva: «Di nuovo», dopo ogni ripresa. Harris ricorda
che Adolphe Menjou si arrabbiò con Kubrick per il numero di ripre-
se e domandò: «Perché di nuovo?». Con grande calma Kubrick gli
disse: «Non era ancora perfetta>> e: «Ci lavoreremo su finché non sarà
perfetta e possiamo arrivare alla perfezione perché voi siete bravissi-
mi e tutto funziona meravigliosamente bene. Non c'è motivo di agi-
tarsi, va tutto alla grande». <<Di solito ti metti sulla difensiva quan-
do qualcuno si rivolge a te urlando», spiega Harris. <<La prima cosa
che fai è urlare di rimando per difenderti, Stanley invece si destreg-
giò in modo egregio. Forse non riesce a farsi amare da tutti mentre
gira un film ma ottiene ciò che vuole perché si guadagna il rispetto
dei suoi collaboratori».
È possibile intravedere i motivi che hanno portato Kubrick a scrit-
turare Adolphe Menjou dietro alle parole rilasciate in un'intervista a
«Newsweek»: <<Fai in modo che il personaggio si riveli gradualmen-
te di fronte al pubblico. Rimandi il più possibile il momento della
rivelazione. Entra in scena come un tipo simpatico e quando gli
spettatori scoprono il suo vero volto ormai sono in trappola. Scegli
un attore che fa pensare l'opposto di ciò che in realtà è il personaggio
che interpreta, così il pubblico lo scoprirà solo successivamente».
159
La scena nella quale ai tre soldati viene servito l'ultimo pasto
richiese un'enorme quantità di riprese a causa del metodo di recitare
poco ortodosso di Timothy Carey il quale continuava a sorprendere
la macchina da presa con dei gesti inaspettati e delle smorfie. La
scena in cui gli uomini afferrano l'anatra che costituirà la loro ultima
cena, richiese sessantotto riprese. Se la ripresa veniva interrotta
prima che l'anatra fosse divisa dai tre uomini disperati allora poteva
essere utilizzata per la ripresa successiva, ma se era già stata smem-
brata era necessario preparare un'altra anatra prima di poter effettua-
re la nuova ripresa. «Timothy Carey non riusciva proprio a rifare due
volte la stessa cosa, sia deliberatamente che inconsciamente», disse
Kubrick a <<Rolling Stone>>. «Doveva consumare quel pasto nella
cella di una prigione e per ogni ripresa bisognava utilizzare un'ana-
tra che non fosse ancora stata toccata>>.
La scena in cui gli uomini sono in prigione e discutono del loro
destino fu girata un sabato da mattina a pomeriggio: al termine
della giornata di riprese sulla tavoletta del ciak si leggeva 63, e
Kubrick continuava a non essere soddisfatto dei risultati ottenuti.
James B. Harris andò da Kubrick per dirgli che ormai stavano
entrando nell'orario di lavoro straordinario, e questo non era consen-
tito in Germania. Kubrick continuò a girare una ripresa dopo l'altra.
Il direttore di produzione andò da lui molto preoccupato per l'orario
di lavoro eccessivamente prolungato e il regista, al quale era capitato
solo di rado di lasciarsi andare a scatti di rabbia o ad altre reazioni
eccessive, fece eccezione al suo temperamento glaciale. Quando
Harris gli ricordò che stavano facendo dello straordinario dicendo:
«Stanley, abbiamo un mucchio di problemi>>, Kubrick urlò con rab-
bia: «Non ho ancora finito!>>. Il produttore e direttore di produzione
se ne andò e al settantaquattresirno ciak Kubrick realizzò la scena
come la desiderava.
Comportamenti irruenti di questo tipo sono rari in Kubrick.
Benché sottoposto a tremendo stress e posto sotto pressione, Kubrick
riusciva a mantenere un comportamento tranquillo e a conservare
l'abilità di trascendere il temperamento di quelli che lo circondava-
no, reagendo raramente a una situazione. Con i nervi di un campione
di scacchi o di un generale nel cuore della battaglia, utilizzava la sua
calma glaciale per raggiungere l'obiettivo che si era prefissato.
La performance straordinaria di George Macready nel ruolo del
generale Mireau attirò un grande interesse. Macready era un colto
gentiluomo che un tempo era stato proprietario di una galleria d'arte
a Los Angeles insieme a Vi~cent Price, un altro cattivo dello scher-
mo di buona cultura. Macready debuttò a Broadway nel 1926 inter-
pretando il ruolo di Arthur Dimmesdale in The Scarlet Lettere appar-
160
ve spesso sul palcoscenico insieme a Katharine Cornell. Negli anni
Quaranta divenne famoso per le sue interpretazioni di cattivi dello
schermo. La voce teatralmente impostata e le tecniche cinematogra-
fiche dinamiche di Macready portarono alla luce il folle generale
Mireau. Una profonda cicatrice sulla guancia destra che Macready si
era procurato in un incidente d'auto conferì una spaventosa realtà
alla sua presenza di generale scellerato, folle e potente. Il film è
pieno di caratterizzazioni fortemente delineate, in particolar modo
Ralph Meeker, Joe Turkel e l'irrefrenabile Timothy Carey nel ruolo
dei tre soldati condannati dal destino. Il cast era coronato dal solido
sostegno fornito da Richard Anderson, Peter Capell, Wayne Morris,
Bert Freed, Emile Meyer e Jerry Hausner.
Per interpretare il ruolo della ragazza tedesca che canta dinanzi
agli uomini colpiti da psicosi traumatica da guerra, Kubrick scelse
Susanne Christian che aveva visto alla televisione tedesca, la donna
che sarebbe diventata la sua terza e ultima moglie.
Christiane Susanne Harlan era nata in una famiglia di musicisti,
attori e drammaturghi, il 10 maggio 1932 nella cittadina tedesca di
Braunschweig. I suoi orgogliosi genitori Ingeborg de Freitas e Fritz
Harlan erano entrambi cantanti d'opera. Da ragazzina Christiane
ricevette lezioni di danza e trascorreva molte ore a giocare nel vec-
chio teatro dell'opera di Karlsruhe mentre Ingeborg e Fritz provava-
no i classici.
Gli Harlan vivevano a Karlsruhe, una città di artisti dove la picco-
la Christiane disegnava e creava piccoli oggetti artigianali. La fami-
glia divideva l'appartamento con l'artista Paul Kusche.
Successivamente, quando nacque Jan, il fratello di Christiane, il vec-
chio studio di pittura di Kusche divenne la stanza della ragazza, che
iniziò a dipingere ispirata dalle ore trascorse a osservare il pittore al
cavalletto.
Mentre nei primi anni di vita Christiane andava sviluppando la sua
personalità artistica e il suo talento, la minaccia carica di odio del
partito nazista guidato da Adolf Hitler stava guadagnando terreno
con una terrificante velocità e si preparava a spargere il terrore in
tutta Europa. Come molti bambini tedeschi, anche Christiane fu
obbligata a prendere parte al movimento giovanile nazista. «Ricordo
che avevamo delle belle uniformi con grandi tasche e a noi piaceva
indossarle andando in giro di buon passo)), disse Christiane Kubrick
ad Ann Morrow del «Times>> di Londra. <<Ma tutta quella faccenda
dell"'heil Hitler" era davvero ironica anche nel caso dei nazisti emo-
tivamente più coinvolti. Vidi Hitler una volta quando ero bambina;
avevo sentito quella sua voce folle. Ricordo che pensai che non solle-
vava la mano in alto tanto quanto pensavo>>.
161
Nel 1941, all'età di nove anni, Christiane fu separata dai genitori e
insieme a Jan fu evacuata in una fabbrica di mattoni a Reihen, un
piccolo villaggio vicino a Heidelberg. Lei lavorava nei campi colti-
vando piselli e patate e viveva con famiglie bisognose delle vicine
città di minatori, prigionieri di guerra, francesi e donne ucraine. La
fertile immaginazione di Christiane le diede la forza di sviluppare il
proprio carattere. Creava dei costumi utilizzando tutto quello che le
riusciva di trovare, inventava dei racconti e affascinava gli altri bam-
bini con la sua sensibilità. Christiane realizzava spettacoli di buratti-
ni tutti creati da lei; ideava e costruiva i burattini, disegnava a mano
i biglietti e interpretava tutti i ruoli durante lo spettacolo. Faceva
dei giocattoli e altre decorazioni utilizzando l'argilla che trovava alla
fabbrica di mattoni. La creativa bambina inoltre raccoglieva tutti i
brandelli che riusciva a scovare attorno alla fabbrica e costruiva degli
spaventapasseri che rimarranno nella sua memoria e che successiva-
mente compariranno nei lavori di matura pittrice.
Christiane disegnava il mondo che la circondava, che avvolgeva
con le bardature della guerra. Gli schizzi del filo spinato e degli aerei
americani divennero il suo diario della storia. «Era la visione che un
bambino aveva della guerra. Io ero la bambina che entrava nella
realtà dalla quale veniva spinta fuori Anna Frank», disse a Valerie
Jenkins di <<Evening Standard>>. I disegni di una Germania devastata
dalla guerra furono successivamente prestati a una mostra russa orga-
nizzata dopo la seconda guerra mondiale e mai più restiruiti. L'espe-
rienza di un'infanzia cresciuta nella Germania nazista tormentò
Christiane tutta la vita sotto forma di incubi che infestarono le sue
notti di bambina e i suoi anni da adulta.
Quando Christiane compì tredici anni la seconda guerra mondia-
le stava per finire, così i suoi genitori la mandarono a Salem, una
scuola prestigiosa situata vicino al lago di Costanza. La scuola era
stata fondata da Kurt Hahn il quale credeva nell'integrità dell'esse-
re umano e cercava di unire azione e contemplazione. <<Nel periodo
passato a Salem, Kurt Hahn ci insegnava la democrazia, io sapevo
che era stato ferito al cranio e che aveva una lamina di argento che
partiva dalla testa e arrivava fino alla mascella», disse Christiane
Kubrick ad Ann Morrow del <<Times». <<Passavo tutto il tempo
della lezione con la testa reclinata da un lato cercando di vedere se
aveva la placca d'argento: questo è tutto quello che ascoltavo della
democrazia». Salem era' stata chiusa dai nazisti e Hahn era stato
costretto a fuggire in Inghilterra dove aveva fondato Gordonstoun,
una delle scuole britanniche più rinomate. Nel periodo trascorso a
Salem, Christiane progettava e supervisionava la costruzione delle
scenografie utilizzate negli spettacoli della scuola. Dopo che ebbe
162
frequentato l'istituto per tre anni gli Harlan dovettero ritirarla
dalla scuola a causa delle difficoltà finanziarie nelle quali erano
incorsi dopo la guerra lunga e brutale che aveva lasciato la
Germania in rovina. Nel 1948 la riforma economica diede a tutti i
cittadini tedeschi quaranta marchi per ricostruirsi la vita e per
ricominciare da capo. Fritz Harlan divenne professore di musica e
insegnante d'opera alla Musikhochschule di Freiburg im Breisgau e
si prodigò per riuscire a mantenere la propria famiglia come faceva-
no gli altri cittadini della Germania occidentale. Dopo avere lascia-
to Salem, Christiane si trovò nella necessità di guadagnarsi da vive-
re; la ragazza sedicenne cambiò il suo nome in Susanne Christian e
si presentò al mondo come attrice entrando a far parte dei trenta-
nove membri della sua famiglia che nell'arco di tre generazioni
avevano lavorato in teatro come musicisti, scrittori, attori e registi
di fama.
Dapprima Christiane ottenne dei ruoli nelle produzioni di operetta
e di balletto, poi andò a lavorare per la radio, il teatro, la televisione
e il cinema. Nel 1952, sposò l'attore tedesco Werner Bruhns e nel
1953, all'età di ventun anni, mise al mondo Katharina Christiane, la
sua prima figlia. Il matrimonio con Bruhns finì quattro anni più
tardi. Christiane trascorreva gran parte del suo tempo libero dipin-
gendo e disegnando.
Stanley Kubrick scoprì la bella e vulnerabile attrice un giorno
mentre stava guardando uno spettacolo televisivo al quale lei aveva
preso parte. Non appena Stanley conobbe Christiane capì che la vole-
va in Orizzonti di gloria come unico personaggio femminile del film.
E capì anche di esserne follemente innamorato.
Ancora una volta Kubrick chiese a Gerald Fried di comporre la
colonna musicale del film. Fried e Kubrick si affidarono alle percus-
sioni come avevano fatto in Il baào dell'assassino. Orizzonti di gloria è
un film sulla guerra e quindi il tamburo militare divenne un motivo
chiave. Kiinsterleben, un valzer di Johann Strauss, fu utilizzato per un
ballo degli ufficiali; la partitura musicale del valzer classico fu presa
in prestito e Fried diresse una registrazione originale del pezzo. Fried
fu incaricato di comporre due brani musicali per i titoli del film:
uno si basava sulla Marsigliese, l'inno nazionale francese, e doveva
essere utilizzato per le copie del film in distribuzione negli Stati
Uniti e negli altri Paesi; per le copie in distribuzione nelle nazioni
simpatizzanti con la Francia invece dai titoli del film venne tolta la
Marsigliese e sostituita con un pezzo alle percussioni.
La colonna musicale fu diretta da Fried e registrata a Geigelistag,
la Bavarian Film Plaza, su un set insonorizzato per la presa diretta,
situato nelle immediate vicinanze del luogo dove veniva girato il
163
film. I musicisti erano membri della Filarmonica bavarese ed erano
sotto contratto con Kurt Granker, il direttore della Bavarian State
Orchestra.
Kubrick e Fried proiettarono Orizzonti di gloria e decisero con
grande attenzione dove mettere la musica e dove non inserirla. Per
ottenere un effetto drammatico, utilizzarono le percussioni nei
momenti chiave del film mentre lasciarono diverse scene prive di
musica. <<Ci sono alcune parti che richiedono assolutamente la
musica, come quando la ronda esce la notte prima>>, ricordava
Fried. <<Quello sembrava un momento perfetto che doveva essere
sottolineato e che si prestava a essere accompagnato da un assolo di
percussioni».
La musica che accompagna l'esecuzione della condanna a morte è
agghiacciante perché la partitura si basa sul tamburo militare e sulla
grancassa, un approccio minimalista che genera una tensione priva
di sentimentalismo. <<L'esecuzione è un segmento della durata di sei-
sette minuti», spiega Fried. <<Dovevo barare sul ritmo per farla fun-
zionare. Così quando tagli uno che sta suonando il tamburo, in realtà
ti accorgi che lo suona nel modo giusto».
Il finale del film, nel quale la ragazza tedesca canta per gli uomini,
non corrispondeva al finale originale di Orizzonti di gloria. Quando
Kubrick decise la scena si rivolse al compositore e gli disse: <<Fried,
ti giuro che non l'ho inserita per via di Christiane, volevo davvero
che finisse così!». Fried ricorda che all'ultimo minuto Kubrick
arrivò con una vecchia canzone popolare tedesca che Christiane
avrebbe dovuto malinconicamente cantare agli uomini. La canzone si
intitolava La Troeyer Hussar. La canzone, a quel tempo ben nota agli
alunni delle scuole elementari tedesche, parlava di un ussaro fedele
innamorato d i una ragazza.
Christiane cantò dal vivo durante la ripresa della scena. Nel corso
della registrazione delle musiche furono inseriti quasi quaranta can-
tanti per doppiare le voci degli uomini che cantavano insieme alla
ragazza. La colonna musicale si formava lentamente mentre Fried
dirigeva le voci una alla volta, poi due alla volta e così via finché vi
presero parte tutti gli uomini che cantavano. <<Avevo le cuffie e la
ascoltavo cantare mentre dirigevo e inserivo i musicisti», ricorda
Fried. <<C'erano degli errori quindi dovevo dirigerli in modo che
coincidessero con quello che compariva sulla pellicola».
James B. Harris ricorda che quando Kubrick scelse gli uomini che
avrebbero recitato nel finale decise di utilizzare gli attori i cui perso-
naggi erano stati uccisi all'inizio del film, durante la ronda con il
luogotenente Roget, interpretato da Wayne Morris. Anche l'attore
venne truccato in modo da cambiare sembianze e il personaggio
164
redivivo venne inserito nel bistrot e fatto cantare insieme agli altri
uomm1.
Fried creò una nuova versione di La Troeyer Hussar da inserire nei
titoli di coda, nei quali apparivano i ritratti dei componenti del cast
nello spirito di Quarto potere di Orson Welles.
Orizzonti di gloria fu l'ultimo film di Kubrick la cui colonna
musicale fu composta da Gerald Fried, l'ultimo film la cui colonna
musicale fu composta da un unico compositore senza ricorrere a
una musica precedentemente registrata e l'ultimo nel quale
Kubrick avrebbe lavorato a stretto contatto con il compositore. Nel
corso degli anni, l'utilizzo che Stanley fece della musica divenne
più complesso e influenzò la natura della colonna musicale stessa.
A proposito dell'uso fatto in seguito da Kubrick della musica pre-
registrata, Fried afferma scherzosamente: «0 io ero talmente bravo
che non riuscì a sostituirmi oppure non lo ero affatto e quindi egli
perse la fiducia nei compositori contemporanei>>. Alex North si
occupò della colonna musicale di Spartacus, il film successivo di
Kubrick, ma in quel caso il suo lavoro era al di fuori del controllo
del regista.
Fried ricorda: «Ero piuttosto sgomento al pensiero che fosse pro-
prio un mio amico ad aver enormemente colpito i grandi di
Hollywood e nel contempo a essere considerato una specie di antago-
nista. Era divertente, durante una festa c'era sempre qualcuno che ti
domandava: "Cosa fai?". "Beh, sto scrivendo la musica per un film di
Kubrick". "Cosa!". C'era una sorta di elettricità. Gli unici due registi
dei quali potevi parlare con lui erano Fellini e Bergman, era diverten-
te e sotto certi aspetti grandioso. Eravamo davvero buoni amici. Lui
dava il biberon al mio primogenito, tale era la nostra amicizia>>.
Negli anni Cinquanta, Simon Bourgin era il direttore della rivista
«Newsweeb> a Los Angeles. Bourgin aveva lavorato per la U.S.
Informatioh Agency ed era un esperto di affari esteri. Ogni settima-
na forniva agli uffici di New York delle interviste e delle storie sui
principali registi di Hollywood, compresi George Stevens, Orson
Welles, John Ford, Lewis Milestone, Ceci! B. DeMille, George
Cukor, Max Ophuls, Jean Renoir e altri.
Bourgin aveva visto Orizzonti di gloria durante una proiezione in
studio e aveva affermato di essere stato testimone di «un film presso-
ché perfetto, se dovessi rimontare quel dannato film non sarei in
grado di togliere niente>>. Bourgin combinò un'intervista con
Kubrick e scoprì che la sua natura era diversa da quella dei registi
che aveva avuto l'occasione di conoscere. <<Era molto giovane e mi
parlava in maniche corte e senza cravatta; era molto sobrio e non era
incline alla risata o alla chiacchiera. Quasi tutto quello che diceva
165
scaturiva da una mente ben organizzata, seguiva una linea retta. Non
tergiversava né esitava. Aveva una forte personalità e sapeva esatta-
mente quello che intendeva dire. Riuscii a scrivere tutto e quella fu
la mia storia. Fu un'intervista molto stringata, utilizzai quasi tutto
quello che mi disse. Rimasi molto colpito: era ancora giovane ma
sapevo che era un uomo di grande levatura. Mi interessai di lui sia
per quello che disse che per quello che non disse. Se riuscivi a cono-
scerlo e a farlo parlare era un uomo che aveva molto da dire su un
sacco di argomenti. Non era un intellettuale ma aveva un grande
intelletto. Era un persona estremamente loquace e completamente
assorbita dal desiderio di fare film, al punto che non c'era nient'altro
che lo interessasse davvero. Si vestiva in modo molto informale e non
era alla moda; ovviamente l'abbigliamento non aveva per lui alcuna
importanza. Era una di quelle persone che funzionava solamente in
relazione al cinema. Ho conosciuto un paio di persone simili che
vivono solo per il cinema, sono dei solitari sebbene siano sposati e
abbiano una loro vita>>.
L'articolo pubblicato nel numero del 2 dicembre 1957 di
«Newsweek» era una summa della filosofia di Kubrick sulla regia.
<<L'intuizione è la base», disse Kubrick a Simon Bourgin. <<Un regi-
sta deve lavorare con così tanti elementi di un film che le sue scelte
sono per tre quarti frutto dell'intuizione. Le idee migliori ti vengono
sempre sul set quando vedi ciò che sta accadendo. Suppongo che
molti registi e scrittori comprendano le ragioni delle loro scelte solo
in un momento successivo. I sentimenti sono più importanti
dell'intelletto. Gli spettatori rispondono a un film sulla base di ciò
che provano e non di un'analisi consapevole di ciò che hanno visto.
[ ... }La gente va al cinema per provare delle esperienze intense, siano
esse comiche, tragiche o horror e il peccato più grave è quello di pri-
vare lo spettatore di questo».
Joseph Laitin, corrispondente della seconda guerra mondiale ed ex
difensore civico del «Washington Post», dal 1952 al 1962 lavorò
come scrittore free-lance a Hollywood, scrivendo di film e spettacoli
per la rivista <<Collier's», per «The Saturday Evening Post», per la
Cbs radio e per altri. Nel 1957, Laitin vide Orizzonti di gloria e ne
rimase estremamente colpito: <<Scrissi e narrai un documentario di
un'ora per la Cbs radio dal titolo "The Changing Face of
Hollywood", nel quale mi domandavo se gli studios cinematografici
sarebbero sopravvissuti alla televisione, che a quel tempo costituiva
solo una remota minaccia per l'industria cinematografica. Tuttavia il
cavo coassiale si faceva strada serpeggiando per tutto il continente,
puntando al cuore di un'industria sonnacchiosa che stava cadendo in
preda al panico. Kubrick era uno che si era fatto da sé partendo dal
166
nulla, senza credenziali e senza il sostegno di uno studio, e rappre-
sentava il secondo dei due spettri più temuti dai colossi, il cinema
indipendente, anche se non lo avrebbero mai ammesso. Avevo visto
Rapina a mano armata ed ero rimasto sufficientemente colpito da
considerarlo un buon soggetto per un pezzo>>.
Dopo aver visto Orizzonti di gloria a una proiezione alla Screen
Writers Guild, Laitin combinò di incontrare Kubrick per bere insie-
me un caffè al famoso Schwab's, il luogo per eccellenza dove si rac-
contavano storie reali o apocrife sulle stelle del cinema. Fu Kubrick a
scegliere il posto dell'appuntamento; Laitin non aveva visto Kubrick
alla proiezione al Guild e lo aspettò per oltre mezz'ora. «Finalmente
arrivò, era visibilmente scosso>>, ricorda Laitin. «Si scusò dicendo che
era stato fermato da un poliziotto mentre stava venendo in macchina
all'appuntamento>>. <<Ho sempre avuto paura dei poliziotti. Non
capisco perché ma sono piuttosto scosso e non riesco neppure a ricor-
dare che cosa ho sbagliato>>, disse Kubrick a Laitin.
Laitin non riuscì a vendere l'idea di una storia su Stanley Kubrick.
Provò con la rivista <<Collier's>>, con <<The Saturday Evening Post>>,
con <<St. Louis Post-Dispatch>> e con la rivista <<Coronet>>: nessuno
era interessato a Stanley Kubrick, per lo meno non ancora.
Laitin era un cronista dall'istinto fine che avrebbe trovato ascolto
tra i potenti di Washington, dal presidente Lyndon Johnson a Colin
Powell, e provava la netta sensazione che Stanley Kubrick fosse un
personaggio rappresentativo di una nuova era della regia americana.
Domandò a Kubrick di rilasciargli un'intervista registrata per il suo
documentario radiofonico sul futuro di Hollywood. Dopo aver regi-
strato l'intervista, invitò Kubrick nel suo studio alla Cbs per fargli
ascoltare un montaggio del programma ancora da rifinire.
Il programma radiofonico andò in onda alla fine del dicembre
1958. La panoramica di un'ora su Hollywood e sulla fase di transi-
zione che attraversava alla fine degli anni Cinquanta conteneva inter-
viste con Sam Goldwyn, Stanley Kramer, Kirk Douglas, Samuel Z.
Arkoff, Joanne Woodward, Yul Brynner e altri.
Kubrick fu presentato dopo un'intervista con il duca di
Hollywood, John Wayne. Laitin scrisse una briosa presentazione del
giovane regista. <<Negli ultimi anni alcuni giovani sono riusciti a
entrare nel mondo della regia, la maggior parte di loro sono reduci
dalla televisione>>, disse Laitin in onda. <<Ma un giovane che non ha
ancora compiuto i trent'anni, armato solo deHa fiducia in se stesso e
nel cinema è arrivato a Hollywood senza invito. Quasi nessuno si è
presentato alla proiezione del suo primo film ma si dice in giro che
sia un film a basso budget eccezionale>>. Laitin si riferiva a Rapina a
ntano armata (che era il terzo lungometraggio di Kubrick, segno
167
questo di quanto poco Hollywood avesse sentito parlare dei suoi
lavori precedenti). <<Solo quando a questo film ne seguì un altro
intitolato Orizzonti di gloria>>, continua Laitin <<che ha rappresentato
un'impresa coraggiosa e di grande effetto, con riluttanza la città ini-
ziò a notarlo>>.
In compagnia dell'élite hollywoodiana, la voce di Kubrick risuona-
va fredda, fiduciosa e sicura. Parlando in modo calmo e ponderato
con un accento chiaro ma palesemente newyorkese, Kubrick espresse
la sua opinione sull'industria all'interno della quale si era infiltrato
grazie al suo autentico talento, ai nervi saldi e all'ambizione.
<<Sono Stanley Kubricb, iniziò col dire. <<Penso che se gli attuali
detentori del potere cinematografico provassero rispetto per la buona
cinematografia o per le persone che sono in grado di farla, questo
rispetto sarebbe comunque mitigato dall'osservazione piuttosto cini-
ca che i film poveri e mediocri possono riscuotere lo stesso successo
di film di più alto valore. La televisione ha cambiato completamente
questa prospettiva e io credo che nonostante lo sconvolgimento
finanziario che essa ha causato all'industria cinematografica, essa
costituisce una sfida molto corroborante e stimolante, e rende neces-
sario che i film siano realizzati con maggiore sincerità e audacia. Se
da un lato Hollywood manca del colore e dell'eccitazione dei suoi
albori, fatti di Rolls Royce e sedili coperti di pelle di leopardo,
penso che d'altra parte questa situazione crei più opportunità per i
gwvanJ>>.
Il 29 dicembre 1958 Kubrick scrisse a Laitin su un foglio di carta
intestata della Harris-Kubrick Pictures dall'ufficio situato al 250 di
North Canon Drive di Beverly Hills per comunicargli che si era
divertito ad ascoltare la trasmissione. Kubrick espresse delle riserve
sulla conclusione dello show, secondo la quale la vecchia guardia di
Hollywood si sarebbe ripresa dalla crisi, un'idea questa che trovò un
po' diplomatica, comunque lodò la trasmissione definendola la più
accurata valutazione dell'industria cinematografica che avesse mai
ascoltato. Scritta di suo pugno e firmata Stan Kubrick, la lettera
mostra l'abilità di Kubrick a promuovere il suo lavoro con diploma-
zia e schiettezza.
Nel frattempo, sulla costa atlantica degli Stati Uniti, i genitori di
Stanley Kubrick, Jacques e Gertrude, vivevano sulla Castle Drive a
Englewood Cliffs nel New Jersey. Jacques guadagnava 500 dollari
alla settimana con lo studio medico nel Bronx e guidava una DeSoto
del 1957.
La reazione dell'Europa a Orizzonti di gloria fu immediata e roboan-
te. L'esercito francese fu talmente irritato dal ritratto che il film face-
va delle truppe francesi che lanciò una campagna diretta a bandire il
168
film in tutta Europa. L'idea che il comando militare francese avrebbe
sacrificato delle vite innocenti pur di conservare la gloria nazionale
fece infuriare la comunità europea.
Le proteste di Bruxelles costrinsero il film a essere ritirato dai cine-
ma di prima visione. Orizzonti di gloria fu riproposto in seguito, dopo
che il Dipartimento di Stato e il ministro degli Affari esteri francese
ebbero negoziato l'aggiunta di una frase di prefazione che diceva:
«Questo episodio della guerra 1914-1918 narra della follia di certi
uomini nel vortice bellico. Costituisce un caso isolato in netto con-
trasto con il valore storico mostrato dalla grande maggioranza dei
soldati francesi, campioni dell'idea di libertà che da sempre caratte-
rizza il popolo di Francia».
François Truffaut che nel 1954 aveva terminato il suo primo corto-
metraggio Une visite, ma che era più noto come critico cinematogra-
fico dei «Cahiers du cinéma>>, denunciò che il film non sarebbe mai
uscito in Francia finché il Ministero della guerra avesse nutrito delle
riserve. Truffaut aveva disertato il servizio militare e aveva ricevuto
una condanna e un disonorevole congedo.
Nel giugno 1958 Orizzonti di gloria fu proiettato a Berlino. Nel
corso della prima, avvenuta al Marmorhaus, un gruppo di circa cin-
quanta francesi vestiti in abiti civili protestò a gran voce per la
proiezione del film. Il film fu proiettato in numerose sale di Berlino
a eccezione di quelle che si trovavano nel settore francese, nelle zone
di Wedding e di Reinickendorf. L'ex comandante generale Geze
dichiarò che il film era discriminante verso l'esercito francese. Leggi
risalenti al periodo del controllo alleato del 1948, permisero alle
autorità militari francesi di comunicare agli esercenti della zona che
era vietata la proiezione del film. Lo statuto di occupazione alleata
501 proibiva qualunque azione che avrebbe potuto mettere a repen-
taglio la reputazione di una delle forze di occupazione a Berlino.
Geze informò il governo tedesco che i francesi avrebbero disertato il
Festival di Berlino se la United Artists avesse continuato a proietta-
re Orizzonti di gloria; vista la tensione, il film fu ritirato dal festival.
La proiezione del lungometraggio di Kubrick fu consentita sola-
mente negli Stati Un i ti, nei settori britannici di Berlino e nella
Germania occidentale. I soldati francesi crearono qualche fastidio
durante la proiezione del film nel settore inglese, gettando delle
bombe puzzolenti tra la platea.
Nel luglio 1958 l'esercito statunitense bandì Orizzonti di gloria dal
circuito della Army and Air Force Military Motion Picture in
Europa.
Nel dicembre 1958 anche il governo svizzero bandì Orizzonti di
gloria; il ministro degli interni lo definì: <<Propaganda sovversiva
169
diretta contro la Francia [ ... } altamente offensiva per quella nazio-
ne». Il governo svizzero minacciò di confiscare tutte le copie del film
se la United Artists non le avesse immediatamente portate fuori dal
Paese. Il bando svizzero continuò per dodici anni, finché nel 1970 la
televisione tedesca annunciò che stava considerando l'ipotesi di tra-
smettere il film.
La critica cinematografica italiana diede il proprio sostegno a
Orizzonti di gloria votandolo nel 1958 come miglior film straniero e
premiandolo con il Nastro d'argento. Winston Churchill lodò
l'autenticità del film e anche Luis Bufiuel fece parte della schiera dei
suoi ammiratori.
N el 197 4 Orizzonti di gloria non era ancora stato proiettato in
Francia. Alla fine dello stesso anno, dopo che il presidente francese
Valéry Giscard d'Estaing ebbe proclamato che non ci sarebbe stata
più alcuna forma di censura politica, il film fu distribuito in quattro
sale di prima visione di Parigi.
Orizzonti di gloria non realizzò alcun profitto, così come era accadu-
to per Rapina a mano armata, e Kubrick personalmente non guada-
gnò nulla dal film. «Come avevo previsto non realizzò incassi»,
lamentò Kirk Douglas nella sua autobiografia. «Un film non può
farti guadagnare denaro se la gente non paga per andare a vederlo e
la gente non può vederlo se la sua proiezione è stata vietata in tutto
il Paese>>.
Harris e Kubrick parlarono a lungo con molti attori a proposito
dell'idea di lavorare con la loro società di produzione indipendente;
ebbero conversazioni informali con Gregory Peck, Richard Widmark
e Tony Curtis. Le discussioni non sfociarono in progetti specifici ma
erano un segno che i giovani registi venivano presi sul serio dalla
comunità cinematografica di Hollywood. Gli incontri con Gregory
Peck riguardavano l'ipotesi di un film sulla guerra civile basato sulla
vita di John Singleton Mosby.
Nel 1957 Harris e Kubrick andarono a vedere Off Limits- Proibito
ai militari con Ernie Kovacs. Il film piacque a entrambi e l'idea di
una serie televisiva basata sul personaggio interpretato da Kovacs
solleticò la loro fantasia. La serie avrebbe seguito le gesta di un
comandante d'accademia. Harris e Kubrick si incontrarono con
Kovacs e iniziarono le ricerche per attuare il progetto. Il produttore,
il regista e la star si incontrarono con un vero comandante della
Black Fox Military Academy. Harris e Kubrick cercarono di
mostrarsi interessati così da ottenere le informazioni necessarie a
delineare lo sfondo sul quale si sarebbe sviluppato lo spettacolo che
doveva mettere in ridicolo la compita istituzione. Nel corso
dell'incontro Kovacs continuò a lodare i due compagni, i quali cerca-
170
vano di sottrarsi agli sguardi del comandante in modo che questi
non vedesse che stavano ridendo fino alle lacrime. Il progetto non fu
mai realizzato.
Gli scrittori si mostrarono critici nei confronti della Harris-
Kubrick che invece aveva bisogno di loro per creare e adattare il
materiale che doveva poi essere sviluppato nei progetti cinematogra-
fici. Parlarono con Shelby Foote, esperto della guerra civile, con il
disegnatore satirico e cartoonist Jules Feiffer e con l'amico di Marlon
Brando, Carlo Fiore, che nutriva l'ambizione di diventare scrittore. Il
veterano della guerra di Corea Richard Addams scrisse una sceneg-
giatura dal titolo The German Lieutenant per la Harris-Kubrick, che
però non la mise in produzione decidendo di venderla.
Un altro progetto che avrebbe dovuto far seguito a Orizzonti di glo-
ria era I Stole $16.000.000: Kubrick e Jim Thompson ne scrissero la
sceneggiatura. La Bryna Productions acquistò l'autobiografia di
Herbert Emerson Wilson, uno scassinatore di casseforti che aveva
scontato dodici anni a San Quintino; il libro era stato scritto in col-
laborazione con Thomas P. Kelly.
Il 7 gennaio 1958 Kubrick ricevette una lettera presso la Bryna
Productions che si trovava al 9235 Ovest della Terza Strada a
Beverly Hills. La missiva proveniva da A. Joseph Handel, l'avvocato
di Richard de Rochemont che aveva gli uffici sulla Quinta Avenue a
New York. Handel si diceva contento del recente consenso ottenuto
da Orizzonti di gloria e continuava ricordando a Kubrick i 500 dollari
che de Rochemont gli aveva prestato per completare Fear and Desire.
Handel suggeriva di restituire il dovuto a de Rochemont.
Il giorno successivo Kubrick rispose a Handel dall'ufficio al 250
della North Canon Drive a Beverly Hills. Kubrick iniziò la lettera
esprimendo il suo rammarico che le passate circostanze avessero
richiesto la lettera di Handel del 7 gennaio. Scrisse che non aveva
dimenticato i suoi obblighi verso de Rochemont e la gratitudine per
guanto questi aveva fatto in passato. Kubrick non voleva che de
Rochemont lo considerasse un ingrato e continuò dicendo che
Rapina a mano armata non aveva ancora realizzato alcun profitto e
che Orizzonti di gloria, per quanto lodato dalla critica, gli avrebbe
fruttato solo una percentuale degli incassi. Continuò spiegando che
se e quando avesse ricavato dei profitti, de Rochemont sarebbe stato
il primo a essere rimborsato della lunga fila dei suoi creditori.
Esprimendo imbarazzo e buona volontà Kubrick inviò un assegno di
100 dollari e chiese a Handel di porgere le sue scuse e i suoi ringra-
ziamenti a de Rochemont.
Il 15 gennaio, Handel inviò una lettera di risposta nella quale si
leggeva che lui e Dick comprendevano la situazione e assicurava che
171
non lo consideravano un ingrato e non avevano mai pensato che non
volesse far fronte ai suoi impegni. Chiudeva la lettera dicendo che
sperava che Orizzonti di gloria sarebbe stato il primo di una serie di
successi critici e commerciali.
Il 10 agosto 1958 Kubrick inviò a de Rochemont i restanti 400
dollari insieme a una sentita nota scritta a mano. Kubrick riconosce-
va l'amicizia e la pazienza dimostrate da de Rochemont e disse che
avrebbe guardato al produttore come a un modello quando si fosse
trovato nella posizione di poter dare una simile assistenza a un meri-
tevole giovane regista. Kubrick aggiunse che il prestito di 500 dol-
lari era stato un investimento coraggioso considerando le bizzarrie
dell'industria cinematografica.
Il 18 agosto de Rochemont rispose ringraziando Kubrick e affer-
mando che quasi rimpiangeva di non poter più puntare sul più sen-
sazionale giovane regista americano. De Rochemont era compiaciuto
della rapidità con la quale Kubrick si era impossessato degli stru-
menti della sua arte. Il produttore disse a Kubrick che stava cercan-
do di proseguire con la serie su Lincoln, magari concentrandosi un
po' di più sugli anni centrali. Un amico che lavorava alla Mgm, nel
settore che si occupava della storia della costa atlantica, l'aveva scon-
sigliato perché nessun film su Lincoln aveva mai realizzato dei gua-
dagni e gli suggeriva che l'unica cosa che pagava era il sesso. Quindi
chiuse la lettera consigliando a Kubrick di considerare Lolita come
prossimo film. De Rochemont era un ammiratore del romanzo di
Vladimir Nabokov. «A Dick il romanzo piaceva molto e disse a
Stanley di farlo>>, ricordaJane, la moglie di de Rochemont.
Durante la realizzazione di Orizzonti di gloria Kubrick scrisse una
lettera a David Vaughan a New York. «Stanley mi scrisse dicendomi
che avrebbe voluto che gli restituissi i soldi che mi aveva prestato
per il biglietto di ritorno a New Yorb>, ricorda Vaughan. <<In quel
periodo avevo pochissimo denaro a mia disposizione, facevo dei lavo-
ri saltuari ed ero pagato poco, quasi niente, così gli risposi dicendo-
gli che ero pronto a pagarlo a rate. Aggiunsi che avevo la stessa spe-
ranza di pagargli ciò che gli dovevo di quella che avevo di ricevere il
compenso che avrei dovuto avere per la coreografia di Il bacio
dell'assassino. Avevamo scritto una lettera nella quale si diceva che
sarei stato pagato. Non penso che qualcuno abbia mai ricevuto uno
di quei pagamenti rinviati. Mi rispedì indietro l'assegno che gli
avevo inviato dicendomi: "Lascia stare"».

172
Capitolo 9
«Stanley, non funziona»

Dopo Orizzonti di gloria la Harris-Kubrick iniziò a suscitare la


curiosità di personaggi chiave del mondo di Hollywood. Rapina a
mano armata catturato l'attenzione di Gregory Peck e Kirk Douglas,
e Orizzonti di gloria suscitò l'interesse di Marlon Brando che espresse
l'intenzione di instaurare una relazione con la Harris-Kubrick
Pictures. Carlo Fiore, amico di Brando e partner della società di pro-
duzione Pennebaker, organizzò per l'attore la proiezione dei due
film negli uffici della Mca di Beverly Hills. Brando considerò
Rapina a mano armata uno dei film più originali che avesse mai visto
e apprezzò Orizzonti di gloria. Dopo aver visto Rapina a mano armata,
Brando disse di essere stupito che Kubrick «fosse riuscito a proget-
tare uno stile così originale avendo un'esperienza di regia così scarsa.
Era la tipica storia poliziesca a episodi, non c'era nulla di insolito
nella trama, ma Stanley aveva fatto una serie di scelte bizzarre e
interessanti che, rafforzate e abbellite, avevano trasformato una sto-
ria ordinaria in un film eccitante>>.
Nei primi quattro anni di vita della Pennebaker, Brando aveva
ideato una storia sulle Nazioni Unite e un western basato sulla
trama di Il conte di Montecristo; nessuno dei due progetti era stato rea-
lizzato. Brando continuò a sviluppare delle idee per un western; a un
certo punto chiamò il progetto Ride, Commanchero ma la trama aveva
delle forti somiglianze con il film di Arthur Penn Furia selvaggia che
aveva come protagonista Paul Newman, e questo costrinse Brando
ad accantonare l'idea.
La Harris-Kubrick e Brando erano alla ricerca del materiale adatto
per un progetto. Kubrick e Brando erano molto interessati a realiz-
zare insieme un film sul pugilato ma i loro incontri settimanali non
portarono mai a un'idea convincente.
Brando aveva letto il romanzo The Authentic Death of Hendry Jones
di Charles Neider, e pensava che avrebbe potuto diventare un buon
film western. Il romanzo si ispirava alla leggenda di Billy the Kid;
Neider aveva fatto delle ricerche nel Nuovo Messico su Billy the
Kid e aveva cambiato il nome di Pat Garrett in Dad Longworth e
quello di Billy the Kid in Hendry Jones. Il titolo è un diretto riferi-
mento alla biografia di Pat Garrett The Authentù· Life of Billy the Kid.
Nei primi mesi del 195 7 il produttore Frank Rosenberg aveva con-
173
tattato Sam Peckinpah, che stava lavorando ad alcuni western per la
televisione tra i quali figurava anche The Rifleman, per chiedergli di
scrivere una sceneggiatura basata sul romanzo. Peckinpah venne
pagato 4.000 dollari circa e completò la sceneggiatura in sei mesi,
consegnandola ai primi di ottobre del 1957. Suggerì a Rosenberg di
inviare la sceneggiatura a Brando il quale la acquistò per la
Pennebaker.
Brando continuava a incontrarsi con James B. Harris e Stanley
Kubrick. Un giorno Brando invitò a cena Kubrick. Durante la serata
gli disse che aveva un accordo con la Paramount per realizzare un
western e gli offrì la sedia di regista. Kubrick riferì l'offerta
all'amico Harris e insieme decisero di accettare. Marlon Brando era
uno degli attori più potenti e dotati; l'accordo avrebbe fruttato del
denaro e, una volta portato a compimento, avrebbe aperto la strada a
una produzione Harris-Kubrick-Brando.
Il 12 maggio 1958 Kubrick accettò l'incarico per un periodo di
prova della durata di sei mesi; tra i suoi compiti c'era la revisione
della sceneggiatura di Peckinpah. La Pennebaker era sotto il fuoco di
Frank Freeman della Paramount: questi si era stancato di sostenere la
Pennebaker senza ottenere dei risultati e voleva che il progetto fosse
finalmente varato.
Brando telefonò a Sam Peckinpah e gli disse che aveva incaricato
Kubrick di dirigere il film; Peckinpah ne fu felice e giudicò la scelta
eccellente. Brando e Kubrick presero in affitto per una cifra ragione-
vole un appartamento a Hollywood vicino a Gower e Melrose, nel
quale poter lavorare indisturbati e lontani dagli occhi rapaci della
Paramount. Tuttavia Brando continuava a coinvolgere Kubrick in
partite a scacchi, a domino, a poker, rischiando così di mettere a
repentaglio lo svolgimento di un lavoro serio sulla sceneggiatura.
Diversi amici di Brando, incluso il padre George Glass, e Walter
Seltzer erano scontenti di Kubrick che aveva promesso di portare a
termine la revisione della sceneggiatura in tre settimane, ma che alla
scadenza aveva annunciato di non avere ancora finito.
A quel tempo Brando nutriva un'opinione molto alta del giovane
regista. «Stanley è insolitamente percettivo», disse Brando in
un'intervista rilasciata a Joanne Stang del «New York Times>>, «e si
relaziona con garbo alle persone. Possiede un vivace intelletto ed è
un pensatore creativo, non è ripetitivo, non è uno che si limita a rac-
cogliere dei dati. Assimila ciò che impara e lo trasforma in un pro-
getto nuovo, un punto di vista originale e una passione discreta>>.
Dopo sei settimane di lavoro e di gioco, Kubrick suggerì a Brando
di prendere a bordo come sceneggiatore Calder Willingham. Brando
conosceva il lavoro di Willingham e ammirava particolarmente il
174
suo romanzo End as a Man che trattava di una crudele scuola milita-
re tanto simile alla Shattuck Military Academy, l'istituto che l'attore
aveva dovuto frequentare da ragazzo.
Kubrick e Willingham iniziarono a lavorare a una nuova stesura
della sceneggiatura, mentre James B. Harris cercava di modificare
l'accordo esistente tra la Harris-Kubrick e la Bryna Company di
Kirk Douglas.
Dopo lunghe trattative, Douglas finì con l'ammettere che il vinco-
lo che legava la Harris-Kubrick Pictures alla Bryna Company per
cinque film era eccessivo; fu quindi stipulato un nuovo accordo in
base al quale la Harris-Kubrick si impegnava a garantire a Kirk
Douglas la quota maggioritaria sulla prima produzione che la società
dei due cineasti avesse realizzato.
La sceneggiatura progrediva e dopo tre settimane Brando licenziò
Sam Peckinpah, provocando una rottura che generò parecchia tensio-
ne. «Una sera eravamo a casa e Sa m ricevette una telefonata>>, disse
la moglie di Peckinpah al biografo David Weddle. «Aveva un tono
concitato perché dall'altra parte dell'apparecchio c'era Marlon. Io
uscii dalla stanza e quando vi ritornai trovai Sam seduto sul letto con
lo sguardo vacuo. Gli chiesi cosa fosse successo e lui rispose che
Kubrick aveva voluto portare nel progetto il suo scrittore, che avreb-
be riscritto la sceneggiatura. Sam era stato licenziato sui due piedi.
Mio marito ne uscì devastato».
Brando aveva ribaltato la storia basata sulla leggenda di Billy the
Kid, al punto che questi alla fine uccideva Pat Garrett.
Successivamente Peckinpah avrebbe detto: «Marlon l 'aveva stravolta.
È un diavolo di attore ma a quel tempo voleva fare la parte dell'eroe,
e questo non c'entrava con la storia. Billy the Kid non era un eroe,
era un pistolero, un autentico assassino». A Walter Seltzer e a Frank
Rosenberg la sceneggiatura di Peckinpah era piaciuta e non approva-
vano che Brando, Kubrick e Willingham avessero escluso chiunque
altro dal progetto. Per Sam Peckinpah quello fu l'inizio della sua
lunga guerra contro i signori di Hollywood, durante la quale conti-
nuò a lottare per affermarsi come regista. Successivamente confidò
all'attore James Coburn: «Marlon mi ha insegnato a odiare». Per
Peckinpah, che insieme a Stanley Kubrick diventerà uno dei princi-
pali registi degli anni Sessanta e Settanta, fu l'inizio di una lunga
competizione con il ribelle del Bronx. «Su "Esquire" c'era un artico-
lo su Stanley Kubrick; mi ricordo che Sam si arrabbiò moltissimo
perché dedicavano tanta attenzione a Kubrick e non a lui», ricordava
la ex cognata di Peckinpah, Judy Selland, al biografo Marshall Fine.
<<Sentiva di essere bravo quanto Kubrick se non addirittura di più e
ovviamente tanto importante quanto lo era lui». Nel 1973
175
Peckinpah reclamò il romanzo e creò l'adattamento per il film Pat
Garrett e Billy the Kid.
Mentre Kubrick, Brando e Willingham iniziavano a lavorare a
quello che avrebbe finito per diventare l due volti della vendetta,
Harris si imbatté in un'opera letteraria che catturò la sua attenzione.
Un giorno, mentre stava leggendo il "Kirkus Service", apprese di un
nuovo romanzo intitolato Lolita, di Vladimir Nabokov, uno scrittore
russo che insegnava alla Cornell U niversity. Harris contattò la
Putnam a New York, che aveva pubblicato il libro e che lo rappre-
sentava, e chiese di poterne avere in visione una copia. Elettrizzato
dalla prospettiva, Harris raccontò a Kubrick del libro e questi gli
disse di averne già sentito parlare da Calder Willingham.
Quando Lolita arrivò agli uffici della Harris-Kubrick, i due uomi-
ni non stavano più nella pelle dall'entusiasmo di iniziare la lettura.
«Era un libro con la copertina rigida e ne avevamo solamente una
copia, quindi non potevamo leggerlo contemporaneamente», ricorda
Harris. «Ruppi il libro, iniziai a leggerlo e passai le pagine a Stanley.
Io leggevo e via via gli passavo le pagine tale era l'ansia che aveva-
mo. Dopo averlo finito ci dicemmo: "Bene, non c'è niente di cui
discutere, è un libro fantastico. Dobbiamo farlo e basta!">>.
Kubrick tornò a Brando e al suo western. Durante l'estate del
1958 il gruppo che stava lavorando alla sceneggiatura si trasferì
nella casa di Brando a Mulholland; egli esigeva che chiunque entras-
se in casa sua si togliesse le scarpe per non rovinare il parquet in
legno di teak. Kubrick a dire il vero si toglieva anche i pantaloni
rimanendo spesso a lavorare in mutande e camicia. Brando dirigeva
gli incontri sedendo sul pavimento in una sorta di posizione del loto
e suonando con una mazza di cuoio un gong che poggiava su quattro
gambe quando la discussione si allontanava troppo dai binari che lui
aveva stabilito. Sembra che il suono prodotto dal gong fosse talmen-
te forte da far tremare i piatti in cucina.
Harris procedette all'acquisizione dei diritti di Lolita. Iniziò chia-
mando la Putnam di New York, che gli domandò quale cifra era
disposto a offrire. Harris spiegò che aveva pagato 10.000 dollari per
ciascuno dei due libri che la Harris-Kubrick aveva acquistato:
Orizzonti di gloria e Rapina a mano armata. Quando il rappresentante
della Putnam capì che si trattava di un'offerta seria, riferì ad Harris
che Lolita era rappresentato dal leggendario agente letterario di
Hollywood Irving "Veloce" Lazar.
Lewis M. Alleo, un produttore indipendente che successivamente
avrebbe prodotto The Connection, Il bakone, Il signore delle mosche e
Fahrenheit 451, a sole due settimane di distanza dalla pubblicazione
del libro aveva fatto un'offerta per avere i diritti cinematografici di
176
Lolita, ma Nabokov aveva rifiutato l'offerta. Nel settembre 1958
Nabokov scrisse al suo editore esprimendo il suo parere riguardo
all'offerta di Allen: «La sua offerta non mi interessa assolutamente.
Innanzitutto perché il primo, il supremo e in realtà il mio unico
interesse in questo film sono i soldi. Non mi interessa un accidenti
di quella che chiamano "arte". Oltrerutto vorrei porre il veto a che
usino una bambina vera. Che si trovino una nana>>.
Kubrick e Willingham produssero un nuovo schema della storia
per il western, che però ottenne uno scarso consenso da parte di
Frank Rosenberg il quale disse loro che non poteva funzionare per
una sceneggiarura. Frustrato, Willingham sbatté un pacchetto di
fiammiferi sul tavolino da caffè di Brando e con il suo accento del
Sud disse: <<Dovete aver fiducia nelle mie benedette doti di scritto-
re». Brando portò Rosenberg dietro a un paravento cinese che si era
fatto mettere in casa e lo convinse a lasciar continuare il lavoro a
Willingham e Kubrick.
Harris e Kubrick si incontrarono con Lazar, il quale disse che vole-
va vendere a loro Lolita perché gli studios temevano di affrontare il
controverso tema che costituiva il soggetto del libro. Lazar pensava
che la Harris-Kubrick fosse la squadra adatta a realizzare il film ma
avrebbero dovuto pagare per averlo. Questo non era un affare da
10.000 dollari, il prezzo per l'acquisto dei diritti proposto da Lazar
ammontava a 150.000 dollari.
Harris iniziò a lavorare al progetto. Poiché Lazar sentiva che la
Harris-Kubrick era la squadra giusta per realizzare il film e sapeva
che la comunità hollywoodiana era troppo pavida per impegnarsi in
un tale progetto, si mise all'opera per trovare un accordo senza rima-
nere ancorato a un prezzo fisso di vendita.
L'accordo prevedeva che la Harris-Kubrick avrebbe versato 75.000
dollari acquistando il diritto d'opzione per un anno; se poi avesse
voluto acquistare definitivamente i diritti cinematografici di Lolita
avrebbe pagato i restanti 75.000 dollari. Se alla fine dell'anno la
Harris-Kubrick non fosse stata pronta ad avviare la produzione
avrebbe potuto reiterare l'opzione. In caso di realizzazione del film,
il 15 per cento dei profitti sarebbero andati a Vladimir Nabokov.
Kubrick e Willingham nel frattempo continuavano a lavorare alla
sceneggiatura del western ma si arenarono a pagina 52, perché si
resero conto che la storia non funzionava, come peraltro aveva temu-
to Rosenberg.
Harris e Kubrick firmarono il contratto con Lazar ma non avevano
i 75.000 dollari. Per poter finanziare l'acquisto di Lolita decisero di
vendere i diritti di Rapina a mano armate~ alla United Artists la quale
aveva manifestato l'intenzione di trasmettere il film in televisione
177
prima di quanto era previsto dal contratto originale. Harris era
ansioso di recuperare i soldi investiti in Rapina a Titano armata; era
ancora sotto di 90.000 dollari rispetto al suo investimento di
130.000 dollari. La United Artists negoziò la restituzione del denaro
a Harris ma in cambio chiedeva tutti i diritti e gli interessi legati a
Rapina a mano armata. Il film non aveva avuto grandi incassi al bot-
teghino ma non appena fu concluso l'accordo e la United Artists
ebbe ottenuto la proprietà totale di Rapina a mano armata, grazie alle
macchinazioni del reparto contabilità dello studio il film iniziò a
ricavare dei profitti. Lo studio si impegnò in una massiccia promo-
zione del film, sfruttando il mezzo televisivo, e rapidamente comin-
ciò a realizzare dei guadagni. Kubrick si rallegrava che il suo socio
avesse recuperato il denaro speso, Harris fu ben contento di riavere il
suo investimento e la Harris-Kubrick era riuscita ad assicurarsi il
materiale più scottante del momento: i diritti di Lolita, il romanzo
di Vladimir Nabokov.
La fase di preparazione del film si sovrappose al western di Brando,
il quale scritturò l'attrice Pina Pellicer che aveva lavorato nella ver-
sione televisiva messicana di Il diario di Anna Frank, e proseguì
ingaggiando altre attrici.
Lolita rimase al primo posto della maggior parte delle classifiche
dei best-seller finché un altro romanziere russo, Boris Pasternak,
conquistò tale posizione con Il dottor Zivago. Lolita si mantenne al
secondo posto per mesi, mentre sul romanzo infuriavano polemiche
in tutto il Paese. Il libro trattava di un uomo di mezza età di nome
Humbert Humbert e della sua ossessione sessuale per una dodicenne
di nome Lolita. Lo scandalo che ne derivava giovò al mercato: dopo
un anno erano state vendute 236.700 copie di Lolita nelle librerie e
50.000 nei club letterari. A metà degli anni Ottanta, in tutto il
mondo erano state vendute complessivamente 14 milioni di copie
del romanzo di Nabokov.
La data d'inizio del western di Brando fu nuovamente posticipata,
questa volta al 15 settembre. Kubrick e Brando non andavano più
molto d'accordo. Brando aveva ingaggiato Kubrick perché il regista
non era un uomo remissivo e accondiscendente; Kubrick ammirava
Brando come attore ma era abituato ad avere il completo controllo
artistico: le discussioni e i dissapori aumentarono. Carlo Fiore tende-
va a dare ragione a Brando che oltretutto gli pagava lo stipendio.
Brando aveva promesso a Karl Malden, insieme al quale aveva lavo-
rato in Un tram fhe si dJiama desiderio e Fronte del porto, di affidargli il
ruolo di Dad Longworth. Kubrick non era d'accordo e premeva per
far avere la parte a Spencer Tracy, perché aveva la sensazione che
l'immagine di Malden fosse associata a personaggi perdenti; Kubrick
178
riteneva che Brando e Tracy avrebbero portato nel film una dimen-
sione eroica. Brando ribadì a Kubrick che la decisione finale era la
sua. Il film aveva accumulato tre mesi di ritardo sul piano di lavora-
zione; Malden era già stato scritturato e riceveva un compenso che
avrebbe raggiunto la somma di quasi 400.000 dollari ancora prima
che il film fosse finalmente completato. La cifra insolitamente elevata
per l'epoca permise a Malden e alla sua famiglia di acquistare la casa
nella parte occidentale di Los Angeles nella quale egli vive tuttora.
A mano a mano che Calder Willingham vedeva che la sua idea
veniva abbandonata, si fece sempre più taciturno durante le riunioni,
nelle quali spadroneggiavano Brando e il suo gong. Willingham
ricorda che fu lui a ritirarsi dal progetto mentre Carlo Fiore racconta
che Brando invitò lo scrittore a cena e lo licenziò, regalandogli un
tavolino per gli scacchi in legno di rosa intagliato.
Nel novembre 1958 Rosenberg stava considerando l'idea di ingag-
giare di nuovo Sam Peckinpah, ma poi si rivolse allo sceneggiatore
Guy Trosper con il quale aveva un buon rapporto. Ora il titolo del
western era diventato I due volti della vendetta e venne fissata la data
di inizio della lavorazione. Sulla tavoletta del ciak il nome di
Kubrick venne sostituito da quello di Brando: la collaborazione tra
Stanley Kubrick e Marlon Brando era sfumata.
Brando afferma che poco prima che iniziassero le riprese Kubrick
gli disse che non sapeva di cosa trattasse il film. Brando gli disse di
aver già pagato a Karl Malden 300.000 dollari e che bisognava ini-
ziare. Brando dichiarò che a quel punto Kubrick abbandonò la scena;
l'attore si mise in contatto con Elia Kazan, Sidney Lumet e con
diversi altri registi perché assumessero la regia ma tutti rifiutarono il
progetto. Secondo quanto affermato da Brando, non gli rimase altra
scelta che dirigere egli stesso il film e porre fine all'emorragia finan-
ziaria causata dall'eccessivo ritardo rispetto al piano di lavorazione.
Secondo quanto ricorda Frank Rosenberg a proposito della separa-
zione tra l'attore e il regista, Brando voleva che Rio, il suo personag-
gio, si innamorasse di una ragazza cinese perché nel luogo dove si
svolgeva la storia, la californiana Monterey, c'era una numerosa
comunità cinese. Nel corso di un incontro con Rosenberg e Kubrick,
Brando disse al regista che voleva assegnare la parte a France Nuyen.
Kubrick non era d'accordo e disse: «Non sa recitare>>. Brando fece
tranquillamente segno a Rosenberg di seguirlo in cucina dove gli
disse: «Dobbiamo sbarazzarci di Kubrick>>. Poi Brando decise di
dirigere lui stesso il film.
Il 21 novembre 1958 Walter Seltzer convocò Kubrick negli uffici
della Pennebaker presso la Paramount e gli disse: «Stanley, non
funziona>>.
179
Kubrick riferì alla stampa che il suo contratto con Brando non gli
consentiva di parlare delle ragioni che lo avevano spinto ad abbando-
nare il progetto. Diffuse una dichiarazione nella quale affermava di
aver dato le dimissioni «con profondo rammarico considerando il
rispetto e l'ammirazione da me nutriti per uno dei più importanti
artisti, Marlon Brando. Il signor Brando e i suoi assistenti sono stati
molto comprensivi verso il [mio} desiderio [ ... }di iniziare a lavorare
a Lolita>>.
Più tardi Kubrick disse a Carlo Fiore di essere lieto che Brando
avesse deciso di dirigere il film in prima persona e aggiunse: <<Se
avesse ingaggiato un altro regista poteva sembrare che mi mancasse
il talento o il temperamento o qualcos'altro. Ma il fatto che lo diriga
Marlon mi cava d'impaccio».
Guy Trosper ripulì la sceneggiatura e Marlon Brando diresse l due
volti della vendetta; Stanley Kubrick non girò neppure un fotogram-
ma del film, che uscì nel 1961. Della sceneggiatura di Peckinpah
furono tenute due scene ma il suo nome non comparve nei titoli di
testa.
All'inizio del 1959, Stanley Kubrick e Christiane Harlan trasferi-
rono la loro vita domestica al 316 di South Camden Drive a Beverly
Hills; Kubrick non possedeva una piscina ma aveva acquistato una
piccola Mercedes che si era portato in America dalla Germania al
termine delle riprese di Orizzonti di gloria. Katharina aveva sei anni e
Christiane era in attesa del primo figlio di Stanley Kubrick.
Capitolo 10
«Non avrebbe mai condiviso l'idea che
questo era il suo film))

«Stanley è davvero austero. È un uomo che si gratta spesso la barba.


Pensa e intanto si strofina la barba. Si esprime in modo tranquillo.
Non è un tipo che strilla. Lavorare con lui è pazzesco. Non posso
affermare che sia una persona ragionevole, posso solo dire che è
ossessivo nel miglior senso del termine, perché la ragionevolezza
non produce niente di buono. Ci deve essere una certa irragionevo-
lezza in ogni serio lavoro creativo e lui è fatto cosÌ>>.
Saul Bass

<<Un giorno sarà un bravo regista se solo gli capiterà una volta di
dare una testata contro il muro. Potrebbe insegnargli ad accettare il
compromesso>>.
Kirk Douglas

Dopo che Kubrick se ne fu andato da I due volti della vendetta, la


Harris-Kubrick veicolò tutte le sue energie su Lolita, fino a quando
Kubrick ricevette una telefonata da Kirk Douglas.
Alla fine del 195 7, Edward Lewis, dal 1949 socio della Bryna
Company insieme a Kirk Douglas, portò a Douglas il romanzo
Spartams scritto da Howard Fast. Fast, un comunista americano,
aveva scontato un periodo di prigione a causa della sua adesione al
partito ed era noto per i suoi libri sui patrioti americani George
Washington e Thomas Faine. Spartaco è una figura storica realmen-
te esistita, uno schiavo che creò un esercito di gladiatori che si ribel-
larono e alla fine sconfissero l'esercito romano conquistando quasi
tutta l'Italia meridionale.
Douglas, che si calava sempre nel ruolo di personaggi eroici in
storie a sfondo sociale, fu immediatamente attratto dalla storia e fece
in modo che Lewis si assicurasse i diritti del libro, finanziando per-
sonalmente l'opzione certo del fatto che sarebbe riuscito a convince-
re la United Artists a realizzare il film. Douglas espose la sua idea su
Spartaco ad Arthur Krim, allora a capo della United Artists.
Ricevette un'immediata risposta negativa, alla quale seguì un tele-
gramma di Krim alla metà di gennaio del 1958 nel quale spiegava
che lo studio era impegnato in The Gladiator.r, un film basato su un
libro di Arthur Koestler di ambientazione simile alla storia di
181
Howard Fast. The Gladiators sarebbe stato diretto da Martin Ritt e
avrebbe avuto come protagonista Yul Brynner.
Ritt, che stava lavorando alla sceneggiatura di The Gladiators,
chiamò Kirk Douglas e cercò di convincerlo ad abbandonare il pro-
getto di Spartacus. Lewis e Douglas discussero della faccenda e deci-
sero di proporre a Ritt di unire le forze, ma Brynner si oppose al pro-
getto. Nel giro di pochi giorni, su «Variety>> comparve un annuncio
pubblicitario nel quale c'era Yul Brynner vestito da Spartaco con le
parole <<The Gladiators, prossimamente dalla United Artists>>. Il bud-
get del film era di circa cinque milioni e mezzo di dollari.
Il battagliero Douglas non aveva nessuna intenzione di arrendersi.
Inviò a Krim un conciso telegramma nel quale si leggeva:
<<Spenderemo 5.502.000 dollari per Spartacus. A te la mossa>>.
Douglas propose il film ad altri studios ma tutti rifiutarono il pro-
getto: nessuno voleva sfidare la United Artists. L'opzione su Spartams
stava per scadere, così Douglas chiese un'estensione dell'opzione di
sessanta giorni che gli venne concessa da Fast dietro il pagamento di
un dollaro e della possibilità di scrivere lui stesso la sceneggiatura.
Douglas e Lewis erano riluttanti ma non erano in grado di opporsi.
Douglas venne incoraggiato dal suo agente Lew Wasserman, il
futuro capo degli Universal Studios, a incaricare un regista di
prim'ordine del progetto. David Lean fu uno dei tanti che si accosta-
rono all'impresa.
Howard Fast cominciò a mandare pagine della sceneggiatura alla
Bryna e ben presto a Douglas risultò evidente che quella sceneggia-
tura sarebbe stata inutilizzabile, poiché mancava della forza dram-
matica che Douglas aveva invece riscontrato nel libro. Convinto di
aver bisogno di una sceneggiatura solida per lanciare il progetto,
Douglas scritturò Dalton Trumbo, uno dei dieci testimoni "ostili"
che nel 1947 dovettero scontare un anno di prigione per essersi rifiu-
tati di cooperare con il Comitato per le Attività Antiamericane.
Trumbo aveva scritto un romanzo sulla prima guerra mondiale inti-
tolato E johnny prese il fuàle e le sceneggiacure di Kitty Foyle ragazza
innamorata, Joe il pilota e Missione segreta; il suo nome era rimasto
sulla lista nera per quasi dieci anni ed era stato escluso da tutti gli
studios. Per lavorare aveva dovuto adottare svariati pseudonimi tra i
quali quello di Robert Rich, con il quale nel 1956 aveva vinto un
Oscar per la sceneggiatura di La più grande wrrida.
Nel 1958 la lista nera esisteva da più di dieci anni; coloro che
lavoravano nell'industria cinematografica e che erano stati cacciati di
appartenere al Partito Comunista durante la caccia alle streghe pro-
mossa dal senatore Joseph McCarthy e dal Comitato per le Attività
Antiamericane, o che erano stati denunciati dai patrioti autodichia-
182
rati che proliferavano in quel periodo, non potevano lavorare nei
principali studios. Gli sceneggiatori erano particolarmente danneg-
giati dalla lista nera; si diedero quindi degli pseudonimi che consen-
tirono loro di continuare a lavorare.
Howard Fast non piacque a Dalton Trumbo. Durante il loro unico
incontro faccia a faccia, Fast rimproverò lo sceneggiatore per non
aver tenuto delle lezioni di marxismo durante il periodo in cui era
rimasto in prigione. Douglas decise che Dalton Trumbo avrebbe
scritto la sceneggiatura e che soltanto lui e Edward Lewis dovevano
esserne a conoscenza. Fu quindi concepito un piano. Edward Lewis
avrebbe apposto il proprio nome su tutto quello che veniva scritto
dallo sceneggiatore. Quello del prestanome era un escamotage
comunemente utilizzato durante il periodo della lista nera e costituì
il soggetto di Il prestanome, il film uscito nel 197 6 per la regia di
Martin Ritt e con la partecipazione di Woody Alleo. La Bryna
avrebbe pagato Edward Lewis il quale a sua volta avrebbe dato i
soldi a Sam Jackson, lo pseudonimo scelto da Trumbo per il proget-
to Spartafus.
Trumbo, Douglas e Lewis si incontravano in gran segreto e tutti i
loro appunti erano firmati Sam Jackson. Fast continuava a creare
delle difficoltà; insistette per indire una riunione con i responsabili
dei diversi reparti della produzione, durante la quale tenne un
discorso pedante sulla legittimità del suo punto di vista sul progetto.
Durante gli anni in cui il nome di Trumbo fu sulla lista nera, egli
imparò a lavorare con grande rapidità. Lo scrittore riuscì a muoversi
rapidamente all'interno dell'epica sceneggiatura di Spartafus e lavorò
con facilità insieme a Douglas e a Lewis.
Durante la lavorazione di li discepolo del diavolo, Douglas diede a
Laurence Olivier una copia del romanzo Spartacus. Il libro piacque a
Olivier che manifestò il suo interesse a dirigere il film e a rivestire
uno dei ruoli principali.
Il lavoro sulle due sceneggiature rivali di Spartacus e The Gladiators
proseguiva a rotta di collo. Martin Ritte la United Artists si avval-
sero del supporto di Abraham Polonsky, un altro scrittore il cui
nome era sulla lista nera e che aveva sceneggiata Anima e forpo e
diretto Le forze del male; in quel periodo lavorava sotto lo pseudonimo
di Ira Wolfert. Nell'agosto 1958 Dalton Trumbo aveva terminato la
stesura preliminare della sceneggiatura di Spartafus.
Douglas, Lewis e Trumbo non riuscirono a mantenere ben protetto
il loro segreto: Lew Wasserman intuì la vera identità dello sceneg-
giatore e lo stesso fecero diversi altri membri della comunità di
Hollywood. Wasserman inviò la stesura preliminare della sceneggia-
tura a Laurence Olivier, Charles Laughton e Peter Ustinov. Douglas
183
e Lewis si recarono a Londra, dove Laughton si trovava per lavoro, e
gli fecero visita dietro alle quinte del teatro nel quale recitava.
Laughton respinse subito la sceneggiatura; per contro Laurence
Olivier se ne dichiarò entusiasta, pur nutrendo qualche riserva lega-
ta all'importanza del ruolo che avrebbe dovuto interpretare. Nel
frattempo Lewis si sentiva sempre più scomodo nei panni di presta-
nome perché riceveva delle lodi per una sceneggiatura che non aveva
scritto.
Ritornato a Hollywood, Wasserman riferì a Douglas che alla fine
Laughton aveva accettato la parte. Peter Ustinov firmò il contratto
alla fine di agosto e all'inizio dell'anno seguente si poté ufficializzare
anche la partecipazione di Olivier, che però rifiutò di occuparsi della
regia a causa dell'impegno preso in Coriolanus a Stratford-upon-
Avon. 01 ivier era ancora intenzionato a interpretare il ruolo di
Crasso, a patto che la parte avesse lo stesso peso di quelle affidate a
Douglas, Ustinov e Laughton.
In quel periodo la produzione della United Artists poteva già con-
tare sulla presenza di Martin Ritt e sulla partecipazione di attori del
calibro di Yul Brynner e Anthony Quinn; inoltre gli esterni nei
quali effettuare le riprese erano già stati individuati in alcune loca-
lità dell'Europa. Ritt telefonò a Douglas, gli disse di averci ripensato
e di volere che le due produzioni unissero le rispettive forze. Douglas
respinse la proposta mostrandosi ormai deciso a infliggere il colpo di
grazia a The Gladiaton. Da un lato era certo di poter contare su una
migliore sceneggiatura e su un cast eccezionale, e dall'altro sapeva
che Ritt non avrebbe iniziato le riprese in Europa finché il clima non
fosse stato più favorevole. Con grande audacia, Douglas decise di ini-
ziare a girare a Hollywood, dove le condizioni atmosferiche consenti-
vano le riprese in esterni tutti i giorni dell'anno, nonostante la sce-
neggiatura di Trumbo dovesse ancora essere rivista e il suo ruolo di
Spartaco risultasse subordinato al triumvirato composto da
Laughton, Ustinov e Olivier.
Il 27 ottobre 1958 la prima battaglia di quelle che Kirk Douglas
definisce nella sua autobiografia <de guerre di Spartacus>>, era stata
vinta. Ricevette un telegramma dalla United Artists nel quale si leg-
geva: «Caro Kirk, su richiesta di Arthur [Krim} Yul Brynner ha
benevolmente acconsentito a concederti di utilizzare Spartacus come
titolo».
Douglas iniziò a organizzare la produzione. Tony Curtis esercitò
delle forti pressioni per avere una parte, così gliene fu creata apposi-
tamente una. Howard Fast detestava la sceneggiatura di Trumbo al
punto che finì col definire Edward Lewis, il prestanome dello sce-
neggiatore, <<il peggiore scrittore del mondo».
184
Douglas pensava di scritturare degli attori di origine inglese per
interpretare il ruolo dei Romani, e degli artisti americani per il
ruolo degli schiavi. Per il personaggio di Varinia, la schiava romana
sposa di Spartaco, Douglas intendeva trovare un'attrice di origine
straniera. Elsa Martinelli, la splendida ex modella scoperta da
Douglas per Il cacciatore di indiani del 1955, stava lavorando in Italia
e quindi non era disponibile. lngrid Bergman rifiutò il ruolo, rite-
nendo il film troppo violento per i suoi gusti. Jean Simmons aveva
lavorato in Cesare e Cleopatra, Grandi speranze, Amleto, La tunica, Il
figlio di Giuda e altri film, desiderava la parte di Varinia ma era nata
a Londra e aveva uno spiccato accento britannico, così l'attore prose-
guì nella ricerca. Douglas volò in Francia per contattare Jeanne
Moreau che aveva attirato la sua attenzione nel film di Louis Malie
Les Amants, ma l'attrice rifiutò la parte perché era doppiamente
impegnata, in una commedia e in una nuova storia d'amore.
Sempre alla ricerca di un'attrice straniera adatta a interpretare
Varinia, Douglas vide un numero infinito di film e poi si decise a
scritturare Sabina Bethmann, un'attrice tedesca poco conosciuta. La
convocò a Hollywood per sottoporla a un provino: la Bethmann era
straordinariamente bella sullo schermo, ma certamente non era una
grande attrice. Douglas ingaggiò degli insegnanti di dizione per
domare il suo accento tedesco e per insegnarle la parte chiamò l'atto-
re Jeff Corey il cui nome era sulla lista nera e che quindi. si guada-
gnava da vivere facendo l'insegnante di recitazione.
Douglas voleva che Spartaco avesse un look particolare, così inca-
ricò il famoso acconciatore delle celebrità di Hollywood (incluso
Steve.McQueen) Jay Sebring di creare il Iook degli schiavi.
(Successivamente Sebring venne trucidato insieme a Sharon Taté
dalla "famiglia Manson"). L'acconciatura studiata da Sebring e defi-
nita ww-do prevedeva un taglio a spazzola in cima, capelli lunghi
sulla nuca e una coda di cavallo, uno stile piuttosto all'avanguardia
per quei tempi.
La seconda delle «guerre di Spartacus» scoppiò durante la ricerca
del regista. Gli Universal Studios avevano affidato l'incarico di pro-
duttore esecutivo a Douglas e di produttore a Edward Lewis per la
Bryna Productions, ma si mostrarono intransigenti sulla scelta di
Anthony Mann come regista di Spartacus.
Mann era un esperto regista di Hollywood degli anni Cinquanta e
aveva iniziato la carriera come attore di teatro a Broadway. Nel 1938
si era unito alla Selznick Company e successivamente era diventato
aiuto regista nel film di Preston Sturges I dimenticati. La sua fama si
impose con- western originali come Là dove .rcende il fiume, Lo sperone
nudo, Terra lontana, L'uomo di Laramie e Dove la terra swtta, film che
185
sapevano mettere in luce sia lo splendore dei paesaggi che i conflitti
interiori. La Universal aveva guadagnato bene con i film di Manne
riteneva che la capacità di cogliere il mondo esterno e la vita interio-
re dei personaggi, unito al suo talento compositivo, lo rendesse il
regista perfetto per Spartacus. Anthony Mann era adorato da Jimmy
Stewart - la star di molti dei film diretti dal regista-, da Jean-Luc
Godard, dai <<Cahiers du cinéma» e da critici americani di culto
come Andrew Sarris, che lo elevò allo status di autore. Ma nonostan-
te ciò Mann non corrispondeva all'idea di regista che aveva in mente
Douglas per la sua narrazione epica ambientata nell'antica Roma.
Per organizzare la sequenza dei titoli venne ingaggiato Saul Bass,
un designer che aveva rivoluzionato i titoli di testa e di coda utiliz-
zando sia la tecnica dell'animazione che le riprese dal vero per intro-
durre il tema di un film. Bass aveva creato i sorprendenti ·titoli di
alcuni film diretti da Otto Preminger, quali Carmen Jones, Santa
Giovanna, L'uomo dal braccio d'oro, Bonjour tristesse e Anatomia di un
omicidio. Inoltre si era occupato dei titoli di Intrigo internazionale, La
donna che visse due volte e Psycho di Alfred Hitchcock e di numerosi
altri film inclusi Il giro del mondo in ottanta giorni e Il grande paese.
Sia Kirk Douglas che Edward Lewis conoscevano Saul Bass, fu
infatti proprio Douglas a chiedere al disegnatore di creare i titoli per
Spartacus. Bass non aveva mai avuto rapporti con Anthony Mann ma
il regista era ben disposto a lavorare con lui.
Le responsabilità di cui venne investito Bass andarono ben oltre la
creazione dei titoli. Egli fu infatti coinvolto nella ricerca dei luoghi
dove effettuare le riprese in esterni di Spartacus. Fu proprio Bass a
individuare nella Death Valley il luogo ideale dove girare la sequen-
za d'apertura del film che ci presenta la realtà della miniera; a lui fu
chiesto di trovare un posto negli Stati Uniti dove disporre l'allesti-
mento scenico che avrebbe ricreato l'area dove si sarebbe schierato
l'esercito romano per la battaglia finale. E fu sempre Bass a creare la
scenografia per la scuola dei gladiatori. Douglas ed Edward Lewis gli
lasciarono carta bianca per ogni aspetto della scenografia del film al
quale volesse contribuire. Per la scuola dei gladiatori propose la
metafora del circo, con gli schiavi che si esibivano dinanzi agli spet-
tatori romani. Disegnò lo story board della scena nella quale gli
schiavi rompono i recinti della scuola dei gladiatori e propose l'idea
degli schiavi che utilizzano i pali della recinzione come armi. I set
principali furono costruiti sotto la guida dello scenografo di produ-
zione Alexander Golitzen, il prestigioso capo del reparto artistico
della Universal.
Le riprese iniziarono il 27 gennaio 1959 nella Death Valley. Mann
diresse la sequenza d'apertura. La scena mostrava gli schiavi al lavoro
186
nelle miniere mentre venivano scelti dai Romani per essere allenati
nella scuola per gladiatori. Le riprese proseguirono nel migliore dei
modi per tre settimane ma quando si cominciarono a girare le
sequenze della scuola dei gladiatori, Anthony Mann iniziò a perdere
il controllo del film. Kirk Douglas aveva la netta sensazione che il
regista delegasse a Peter Ustinov la direzione del film, poiché Mann
accettava docilmente molti - se non tutti - suggerimenti proposti
dall'attore.
Secondo quanto dichiara Douglas, alla fine la Universal acconsentì
a rimuovere Mann dall'incarico ma richiese che al licenziamento
provvedessero personalmente Douglas e Lewis. Il 13 febbraio 1959,
al termine della giornata di riprese, con i dovuti modi Douglas
licenziò Anthony Mann, liquidandolo con 75.000 dollari.
In origine, mentre la Universal insisteva nell'affidare la regia di
Spartacus ad Anthony Mann, Douglas pensava di rivolgersi a Stanley
Kubrick che considerava un giovane genio dopo i brillanti risultati
ottenuti in Orizzonti di gloria. Ora le macchine da presa avevano ini-
ziato a lavorare, il tempo passava e il denaro si consumava rapida-
mente. Douglas chiese di nuovo che venisse ingaggiato Kubrick e lo
studio si lasciò convincere.
Staqley Kubrick non aveva più diretto un film dopo Orizzonti di
gloria e si stava riprendendo dal prolungato duello con Marlon
Brando nella fase di preproduzione di I due volti della vendetta. Una
sera, durante una delle solite partite a poker insieme a James B.
Harris, Calder Willingham, Martin Ritt, Vince Edwards ed Everett
Sloane, Kubrick ricevette una telefonata con la quale gli veniva
comunicato che da quel momento era il regista di Spartacus e che
avrebbe cominciato a lavorare nel giro di ventiquattro ore. Quella
sera al tavolo del poker c'era anche Richard Anderson che aveva reci-
tato nella parte di Saint-Auban in Orizzonti di gloria; quando
Kubrick tornò al suo posto per finire la mano disse all'attore:
«Comincio domani e non ho mai nemmeno visto i set».
Kubrick venne reso partecipe del progetto durante il week-end.
Egli lesse la sceneggiatura, partecipò a una riunione e lunedì 16 feb-
braio era pronto a girare il suo primo ciak. I set erano stati allestiti;
parte del personale ingaggiato da Anthony Mann era stato licenzia-
to; Saul Bass stava lavorando allo story board della battaglia finale.
«Per quanto ricordo, io ero l'unico sopravvissuto all'epurazione e
Stanley mi domandò di continuare a lavorare sulla battaglia perché
lui era occupatissimo>>, rammenta Bass. «Voglio dire che a quel
punto era talmente oberato dagli impegni che sembrò molto felice
di appreQdere che ci stavo lavorando io. Mi disse: "Per l'amor del
cielo, vai pure avanti">>.
187
Bass aveva svolto molte ricerche sulla battaglia prima che Kubrick
comparisse all'interno del progetto. Il budget stimato si aggirava tra
i 4 e i 5 milioni di dollari. Douglas e Lewis chiesero a Bass di creare
una battaglia simbolica che avrebbe potuto essere realizzata con
l'impiego di un modesto capitale e senza la mobilitazione di grandi
milizie. Successivamente, quando il budget venne aumentato,
Douglas e Lewis tornarono da Bass e gli chiesero di ampliare la
dimensione della battaglia; egli allora iniziò a lavorare a un nuovo
story board della sequenza bellica. Bass fece delle riferche sulle
imprese di Cesare in Gallia; sull'organizzazione e il dispositivo belli-
co dell'esercito romano e sui veicoli e le armi utilizzate. «Una volta
assodato che l'esercito romano era una forza altamente meccanizzata e
disciplinata suggerii una certa precisione e geometria. Così pensai di
creare dei modelli geometrici che slittavano e si sovrapponevano, in
modo da creare una sorta di dipinto in movimento dove le forze si
aprivano a scacchiera per poi unirsi in una massa compatta. Gli schia-
vi invece mancavano di precisione, non avevano delle uniformì ben
determinate, si allineavano ma le loro colonne non erano mai diritte.
Cercavo di rendere l'immagine di un crudele esercito romano che
combatteva contro un esercito di schiavi che invece aveva un'anima>>.
Saul Bass guardò tutti i film con scene di battaglia: Guerra e paL"e,
La legge del Signore e Aleksandr Nevskij. A quel punto delle riprese la
troupe era nel pieno del lavoro ma Bass appese un avviso con il
quale informava della rassegna di film di guerra che egli program-
mava ogni giorno. Con ogni probabilità ci furono delle giornate
nelle quali Kubrick avrebbe di gran lunga preferito assistere alla
proiezione di Aleksandr Nevskij e ascoltare la sua amata colonna
sonora di Prokof'ev, piuttosto che essere così occupato insieme al
resto del cast e della troupe. L'unica persona libera in quel periodo
era Peter Ustinov che infatti assisteva insieme a Bass alle battaglie
sul grande schermo.
Bass continuò a sviluppare gli story board tenendo sempre in debi-
ta considerazione i modelli geometrici utilizzati per l'esercito roma-
no. Invece che lavorare in piccolo come solitamente faceva, creò delle
grosse tavole e alla fine arrivò a numerare non meno di cinquecento
disegni a grandezza naturale. Il suo lavoro rimaneva ben separato dal
contributo offerto dal settore artistico di Alexander Golitzen.
Kubrick revisionò l'intero lavoro di Bass, ne scrutò i dettagli e li tra-
sferì nell'impronta registica che intendeva dare al film. Nel frattem-
po Golitzen e il suo settore erano occupati su un gran numero di set
e di dettagli storici.
Nella versione finale del film furono impiegati alcuni dei modelli
geometrici disegnati da Bass, alcune idee vennero lasciate cadere e
188
altre- come nel caso dei tronchi infuocati fatti rotolare dall'esercito
di Spartaco - rimasero come pura invenzione che si allontanava dalla
fedeltà storica ma che sarebbe piaciuta al pubblico.
Quando Bass fu ingaggiato, l'accordo prevedeva che gli sarebbe
stato rìconosciuto il ruolo di consulente per la scenografia. Quando i
titoli furono resi noti, Edward Muhl, che si occupava della produ-
zione alla Universal, andò a trovare Saul Bass e gli disse: <<Senti,
Golitzen non ritiene sufficiente che gli venga attribuita la semplice
scenografia perché lui è lo scenografo di produzione e gli sembra che
questa definizione sminuisca il suo ruolo. Noi preferiremmo che tu
fossi accreditato come "consulente visivo"», ricorda Bass. <<Risposi:
"Bene, non ho nulla in contrario". Poi ricevetti una telefonata da
Stanley durante la quale mi disse che non era d'accordo con la defi-
nizione di "consulente visivo". Una persona dotata di una capacità
visiva così forte sentiva che questo termine poteva violare il suo
campo _d'azione. Concordai completamente con lui condividendo la
sua perplessità quindi acconsentii: "Bene, allora mettiamo 'consu-
lente per la scenografia'". Poi ricevetti una telefonata da Eddie Muhl
il quale mi disse: "Tu devi figurare come consulente visivo". E io
replicai: "No signor Muhl, sono spiacente ma non posso farlo perché
devo rispettare e sostenere la posizione del regista. Io ritengo di
dover appoggiare la forza creativa del film e non le richieste della
produzione. Il signor Kubrick non approva e quindi devo insistere
che vi atteniate al credito che mi avevate riconosciuto nel nostro
accordow>>. A quel tempo io ero molto più giovane e stavo parlando
con un uomo molto potente. Non dimenticherò mai quel momento,
Eddie Muhl disse: "Saul, c'è un enormità di lavoro per te alla
Universal". E io risposi: "Bene, sono contento di sentirglielo dire ma
purtroppo sono costretto a ribadirle che intendo· rimanere fermo
sulle mie posizioni>>.
Harris e Kubrick pensavano che il coinvolgimento di Kubrick in
Spartacus avrebbe avuto delle ripercussioni positive sulla loro società
di produzione. Harris cercò di convincere Douglas a considerare il
lavoro di regia per Spartaa1s come parte del contratto stipulato con la
Harris-Kubrick e poi gli chiese di escludere Lolita dagli accordi pre-
cedentemente presi con la Bryna. Quando Douglas apprese che si
trattava dell'adattamento del celebre romanzo acconsentì a far loro
realizzare il film senza di lui, perché era convinto che il film non
avrebbe mai visto la luce.
Il cast e la troupe di Spartacus si trovavano sul set delle riprese alla
scuola dei gladiatori quando Kirk Douglas portò Kubrick in mezzo
all'arena e annunciò: <<Questo è il nuovo regista>>. Nonostante avesse
trent'anni, Kubrick sembrava molro più giovane ed era molto lonta-
189
no dalla personalità carismatica ostentata dai registi di Hollywood e
familiare alla maggior parte del cast e della troupe. Non suscitò così
grandi entusiasmi e Kubrick fece ben poco per diventare parte inte-
grante della squadra. Molti pensavano che Douglas tenesse Kubrick
in pugno ma questa loro idea fu ben presto smentita dall'iconoclastia
con la quale Kubrick tentò di dirigere il film.
L'unica delle sequenze girate da Anthony Mann che venne mante-
nuta invariata nel film fu quella della presentazione di Spartaco,
nell'apertura che mostra gli schiavi al lavoro nella cava.
Dopo la sostituzione del regista, il secondo grosso cambiamento
riguardò Sabina Bethmann, la protagonista. Douglas era preoccupato
per la sua scarsa capacità di mostrare emozioni, una caratteristica in
netto contrasto con l'immagine che l'attore aveva del personaggio di
Varinia, oltre che con la sua filosofia della recitazione passionale.
Kubrick propose di improvvisare una situazione, coinvolgendo la
Bethmann per tentare di scoprire se in lei si celava una emotività
inespressa. Il regista propose a Lewis e Douglas di comunicare
all'attrice che era appena stata licenziata per vedere se le sue reazioni
avessero rivelato qualcosa su cui poter lavorare. Lewis e Douglas la
considerarono una crudele manipolazione e Lewis si rifiutò di parte-
cipare. Douglas rimase a guardare Kubrick che comunicava la noti-
zia. Non appena udita la notizia di aver perduto l'agognato ruolo, la
Bethmann rimase impietrita in un dolore silenzioso. Lasciò la produ-
zione dopo soli due giorni di lavoro, per il quale le fu riconosciuto
un compenso di 35.000 dollari. Douglas lasciò perdere quelli che
definiva i suoi «schemi linguistici>> e telefonò a Jean Simmons nel
suo ranch a Nogales in Arizona: adesso Varinia era lei.
A causa di alcuni imprevisti, la produzione fu costretta a girare
alcune scene senza qualche attore: poco dopo aver iniziato a lavorare
nel film, Jean Simmons fu operata d'urgenza e non poté tornare al
lavoro per un mese; Tony Curtis si ferì al tendine di Achille una
domenica, durante una partita di tennis a casa di Douglas, e rimase
ingessato e costretto su una sedia a rotelle per un certo periodo. La
produzione dovette sospendere del tutto le riprese quando non fu più
possibile girare le scene senza gli attori temporaneamente fuori com-
battimento, mentre Laurence Olivier fu mandato al castello di
Hearst a San Simeon per girare alcune delle scene in esterni. Per la
prima volta nella sua carriera, persino Kirk Douglas dovette fermarsi
a causa di un forte attacco influenzale.
Douglas cercò di instaurare un rapporto d'amicizia con Kubrick,
che continuava a dirigere il film con un atteggiamento distaccato e
perfezionista. L'attore si mostrò disposto persino ad aprire il suo
animo al regista, al punto di portarlo dallo psichiatra presso il quale
190
era in cura da quattro anni per consentire a Kubrick di avere una
visione più profonda di lui come uomo.
Non si crearono grandi affinità spirituali, ma l'attore e il regista
furono concordi nel proporre l'utilizzo della musica per creare
un'atmosfera per gli attori, secondo una tecnica che entrambi ammi-
ravano profondamente fin dal cinema muto. Provarono la tecnica
nelle scene girate senza sonoro in sincrono, nelle quali il sottofondo
musicale sarebbe stato registrato in seguito, e rimasero soddisfatti
del risultato. Nel complesso, Douglas rispettava il senso del detta-
glio e della precisione espresso da Kubrick. Molte delle discussioni,
dei dissapori, delle riunioni e delle piccole divergenze avvennero in
presenza della troupe. Douglas raccontò di aver detto di no a
Kubrick quando il regista gli chiese di far alzare il soffitto di uno dei
set di settanta centimetri.
Saul Bass aveva incontrato Stanley Kubrick alla proiezione di
Orizzonti di gloria, film per il quale Bass nutriva una grande conside-
razione, e Kubrick era a conoscenza del lavoro di grafico che Bass
svolgeva nei film. «Parlai con lui dopo l'uscita del film>>, ricorda
Bass, il cui nome apparve in seguito anche in Cape Fear- Il promonto-
rio della paura, Quei bravi ragazzi e Casinò di Martin Scorsese. «Si
scusò per il càrattere tipografico che aveva utilizzato. "Volevo usare
un Bodoni ma non avevano il Bodoni giusto", mi disse. "Quindi
volevo dirti che non è esattamente come avrebbe dovuto essere".
Stanley è davvero molto competente in tutti i settori visivi, è sor-
prendente. Molti registi o produttori bravissimi nel confezionare un
film non hanno una vera competenza nella tipografia o in certe que-
stioni grafiche. Lui è un'eccezione».
Kubrick era lieto che Saul Bass prendesse parte alla mastodontica
produzione: il lavoro da lui svolto durante la preproduzione aveva
sveltiio il lavoro d~ Kubrick, che non aveva partecipato alla fase di
preparaziOne.

Furono ingaggiati sei sruntman che lavorarono per quasi tre mesi
prima dell'inizio delle riprese vere e proprie; essi facevano da contro-
figura ai"protagonisti di Spartacus e interpretavano dei ruoli nel film.
Richard Farnsworth era uno di loro: aveva iniziato a lavorare come
stuntman nel 1936, all'età di sedici anni. Successivamente divenne
un acclamato attore recitando in film come Arriva un cavaliere libero e
selvaggio,Vea·hia volpe, Il migliore e altri. Anche Loreo Janes era un
membro della squadra degli st.untman; era un veterano che aveva.
lavorato. in cinquecento film e in oltre mille programmi televisivi.
Janes fu la controfigura di Steve McQueen per ben venticinque anni,
lavorò con Michael Landon e con Jack Nicholson e ancora oggi è un
191
alto e robusto membro della comunità cinematografica di
Hollywood. Nella squadra c'era anche Sol Goras, che era stato la
controfigura di Errol Flynn. Il coordinatore degli stuntman era
Johnny Dayheim e lavorava direttamente con Stanley Kubrick, Kirk
Douglas e Marshall Green, il primo aiuto regista.
I sei stuntman erano stati scelti da Anthony Mann; la selezione era
stata fatta da Kirk Douglas e Johnny Dayheim tra un gruppo di
quaranta stunt ben allineati in fila. Douglas cercava degli uomini
che corrispondessero per statura e costituzione ai protagonisti del
film. Dopo aver esaminato il gruppo, Douglas puntò e toccò i pre-
scelti dicendo: «Tu, tu». Quando ebbe finito rimase una squadra di
sei uomm1.
Gli stuntman si esercitarono per tre mesi nell'uso delle armi che
sarebbero state adoperate nel film, nel faticoso allenamento dei gla-
diatori e nelle scene della battaglia. Essi studiarono una coreografia
per la battaglia e insegnarono a Kirk Douglas a lottare come un
gladiatore e un guerriero ribelle. Anche gli attori si sottoposero a
un allenamento fisico che doveva servire a dare loro un aspetto
appropriato e a essere all'altezza delle estenuanti esigenze del film.
Erano state svolte delle ricerche sul periodo storico in cui si svolge-
vano le vicende di Spartacus e gli stUntman davano consigli al setto-
re artistico di Golitzen su come realizzare il set della scuola dei gla-
diatori.
I sei stuntman recitavano il ruolo degli schiavi nella scena d'aper-
tura girata nella Death Valley; successivamente interpretarono il
ruolo dei gladiatori, poi quello dei generali dell'esercito di Spartaco
e al termine del film furono crocifissi dai Romani lungo la strada.
Un nutrito gruppo di comparse fu impiegato per. le scene di
Spartaco e dei suoi, e furono ingaggiati altri quindici-venti srunt-
man che dovevano combattere intorno ai personaggi chiave.
L'attore Woody Strode non aveva una controfigura; c'erano degli
sruntman di colore ma nessuno che avesse un fisico simile al suo.
Quindi gli sruntman lavorarono insieme a Strode che aveva le doti
naturali di un bravo atleta. Per la battaglia all'ultimo sangue tra
Strode e Douglas, gli stuntman insegnarono agli attori come batter-
si. Spartaco usava la spada e Draba, il personaggio interpretato da
Strode, un tridente. A un certo punto Draba infligge un colpo a
Spartaco lacerando il petto di Douglas con le lame del tridente. Il
tridente era fatto di gomma dura ed era riempito di sangue artificia-
le: quando colpiva il petto di Douglas veniva premuto un bottone
che faceva sgorgare il sangue artificiale sul corpo dell'attore.
Al termine degli allenamenti, la squadra mostrava i risultati a
Kubrick che per lo più li accettava senza apporre sostanziali cambia-
192
menti. Egli aveva ricevuto in eredità una squadra di professionisti ed
era la prima volta che dirigeva un film con ·un lavoro di stuntman di
tale complessità. Gli stuntman suggerivano anche le angolazioni
migliori della macchina per riprendere una certa acrobazia o una fase
· della lotta. Spesso Kubrick accettava i loro suggerimenti e riprende-
va l'azione da diverse angolazioni. Le riprese erano effettuate in
Super Technirama da 70mm con due o tre macchine da presa, e qual-
che volta anche con sei.
Le controfigure, che avevano già lavorato con tutti i più esperti
registi di Hollywood, rimasero sorprese dalla quantità di inquadra-
ture che Kubrick richiedeva di girare per singola scena. Quando
sembrava che una scena fosse stata ripresa da ogni possibile angola-
zione gli stuntman si divertivano a scommettere tra di loro su quale
nuova prospettiva avrebbe trovato Kubrick. Questi inoltre girava
più riprese dalla stessa angolazione e le faceva stampare tutte.
Seguiva i suggerimenti che gli venivano dati sulla posizione miglio-
re della macchina da presa per riprendere una certa azione, ma nel
contempo usava anche quei movimenti di macchina che lui stesso
aveva programmato, anche quando gli veniva detto che da quella
angolazione non avrebbe colto l'azione nella sua totalità.
Il 6 aprile 1959, nel bel mezzo della pressante e massiccia produ-
zione di Spartacus, Stanley Kubrick divenne padre di Anya Renata
Kubrick, che venne alla luce al Cedars ofLebanon Hospital.
Il metodo adottato da Kubrick - girare una grande quantità di
pellicola rispetto a quella che veniva poi effettivamente usata nel
montaggio - divenne più comune tra la fine degli anni Sessanta e gli
inizi degli anni Settanta ma era detestato dallo studio system che
sosteneva il progetto di Spartacus. E la troupe si stupiva di fronte ai
metodi adottati dal regista.
Una parte dell'azione che si svolgeva nella scuola dei gladiatori
prevedeva l'uso di uno strumento costituito da una lama di spada
che ruotava su se stessa e doveva servire agli schiavi per esercitarsi a
schivare, saltandole, le armi degli avversari durante l'attacco.
Kubrick filmò l'azione da ogni angolazione possibile. A un certo
punto lo stuntman Loren Janes si trovò in piedi accanto al direttore
della fotografia Russell Metty; i due perplessi professionisti di
Hollywood cercarono di immaginare da quali altre angolazioni
avrebbe potuto riprendere· ancora la scena. <<Russ disse: "Loren, da
quale altra angolazione potremmo riprendere questa scena?"», ricor-
da Janes. «lo risposi: "Beh, l'unica cosa ancora possibile sarebbe met-
tere la macchina da presa per terra e fare un'inquadratura dal basso
·in alto .. Magari adesso si mette a scavare un buco per metterei dentro
la macchina da presa". Avevo appena finito di dirlo che arrivarono
193
cinque tizi con delle pale e iniziarono a scavare un buco. Kubrick
amava le posizioni di macchina insolite».
Sul set era percepibile un notevole malcontento. Il film aveva
superato il budget previsto ed era in ritardo rispetto al piano di lavo-
razione. Inoltre Douglas, Lewis e Kubrick si chiudevano spesso in
ufficio per comporre le loro controversie.
Ben presto si formò una sorta di cameratismo tra attori come John
Ireland, Woody Strode, Nick Dennis, Kirk Douglas e il gruppo delle
controfigure e la troupe. Kubrick se ne stette sulle sue senza parteci-
pare ma senza nemmeno cercare di affermarsi come leader rispettato
o temuto. Durante l'intera lavorazione del film egli rimase un enig-
ma, sia per l'indifferenza chiaramente percepibile che per i suoi labo-
riosi metodi di lavoro. Kubrick non era né amato, né temuto e nep-
pure rispettato. La famiglia di Spartacus che comprendeva il cast e la
troupe degli effetti speciali, degli accessori di scena e tutta la miria-
de di maestranze che lavoravano nel film lo considerava un solitario.
Kubrick aveva trent'anni ma a quelli che lavoravano sul set pareva
un ragazzo con il viso da bambino, circondato da uomini atletici,
abbronzati ed estroversi nella California assolata. A quelli abituati a
personaggi come John Ford e Henry Hathaway, Kubrick sembrava
un tipo fuori posto e ricercato; dava l'impressione di essere uno spu-
tasentenze e un piccolo genio. L'approccio distaccato e intellettuale
adottato da Kubrick nel lavoro diede a Spartacus un tocco di brillante
intelligenza ma non contribuì a creare un clima sereno sul set.
Avere a che fare con degli ego come quelli di Charles Laughton e
Laurence Olivier doveva essere una sfida piuttosto ardua per il giova-
ne regista; i due attori erano estremamente competitivi e spesso in
disaccordo tra loro. Peter Ustinov fu testimone delle costanti lotte
interne e diede a Norman Lloyd un saggio della tenzone verbale che
infuriava sul set mentre Kubrick cercava di mantenere il controllo
sul film. << Ustinov mi raccontò di quella volta che Laughton, Olivier
e il cast stavano leggendo la sceneggiatura», ricord.ava Lloyd. <<Ogni
volta che qualcuno leggeva, Olivier interveniva e diceva all'attore
cosa fare, sebbene Kubrick fosse lì presente. Fece lo stesso anche
durante un lungo discorso letto da Laughton, al termine del quale
Olivier si volse verso l'attore e gli disse: "No, no, no, Charles, quel
discorso dovrebbe essere così e così". Charles allora rispose: "Bene,
ma non credo di capire cosa tu intenda dire". Olivier disse: "Vuoi
che te lo legga io?". E Charles: "Sì, grazie". Olivier io lesse e
Laughton commentò: "Se prima lo capivo poco adesso non lo capisco
più del tutto". Questa era la situazione con la quale Kubrick doveva
fare i conti: aveva a che fare con persone che erano più grandi di qua-
lunque regista>>.
194
Durante la lavorazione di Spartacus, Lloyd alloggiava in un bunga-
low situato all'interno dello stabilimento dei teatri di posa della
Universal poiché stava lavorando con Alfred Hitchcock alla serie Tv
"Alfred Hitchcock presenta". Quando andò a trovare quello che un
tempo era stato il suo regista della seconda unità notò che nell'anti-
camera dell'ufficio di Kubrick c'erano pile di riviste scientifiche;
l'interesse per la scienza e la tecnologia avanzata troverà espressione
nei film successivi di Kubrick.
Stanley Kubrick non vestiva certo i panni del regista: indossò la
stessa maglietta, gli stessi pantaloni e lo stesso cappotto per quelle
che alla troupe sembrarono settimane. Kirk Douglas si rendeva
conto che non c'era feeling tra Kubrick e la troupe, così radunò alcu-
ni membri dello staff per cercare di creare un'atmosfera diversa
intorno al giovane regista. Quando l'attore-produttore chiese perché
non avevano rapporti con Kubrick, qualcuno garbatamente gli girò
la domanda, chiedendo se avesse notato che il regista indossava gli
stessi abiti per lunghi periodi di tempo. Douglas si scusò e andò da
Kubrick per indagare sulle sue abitudini sartoriali, così il giorno
segUente il regista arrivò con un nuovo completo che continuò a
indossare per il resto della lavorazione del film.
L'apertura della sequenza della battaglia venne girata in esterni in
Spagna, Paese in cui Alexander Golitzen ricorda di aver trascorso
quasi quattro mesi. La squadra degli stuntman riferiva che la scena
fu girata in una settimana. Alle riprese presero parte diversi soldati
dell'esercito spagnolo che interpretarono il ruolo degli schiavi
dell'esercito guidato da Spartaco e quello dei legionari romani.
Russell Metty invece non andò in Spagna; il girato venne fotografa-
to da Clifford Stine, al quale venne infatti riconosciuto il credito
della fotografia delle sequenze aggiunte. La troupe in trasferta in
Spagna includeva anche il truccatore Bud Westmore, il capoattrezzi-
sta e pochi altri. I comandanti dell'esercito spagnolo si rifecero alle
informazioni fornite dallo story board di Saul Bass e alle note di
regia di Kubrick per costituire una falange di potenti legionari
romani che si muoveva in plotoni contro gli schiavi guidati da
Spartaco.
La 'battaglia tra l'esercito degli schiavi e i Romani fu girata
all'esterno degli stabilimenti della Universal. Gli stuntman doveva-
no interpretare il ruolo dei soldati di entrambi gli eserciti. La
sequenza prevedeva delle acrobazie estremamente pericolose, come
quelle degli schiavi che fanno rotolare dei tronchi infuocati contro i
legionari. Vennero ingaggiati uomini cui mancava qualche arto, ai
quali vennero poi applicate delle protesi riempite di sangue artificia-
le che potevano essere rotte con un colpo di spada.
195
Loren Janes fu la controfigura di Kirk Douglas in tutte le scene e
interpretò anche la parte di uno dei suoi soldati. Gli stuntman inter-
pretavano la parte di uno schiavo o quella di un romano, a seconda
delle esigenze: durante la battaglia Janes fu la controfigura di
Spartaco nelle azioni pericolose e in quelle di combattimento, men-
tre in altre scene interpretò il ruolo di un legionario che lottava con-
tro Spartaco; in questo modo poteva proteggere l'attore e allo stesso
tempo farlo apparire come un intrepido guerriero.
L'esito dello scontro fu raccontato in una sequenza che mostrava cen-
tinaia di schiavi massacrati, i corpi sparsi sul campo di battaglia. In
origine la sequenza doveva essere girata all'esterno degli stabilimenti
cinematografici ma Kubrick richiese che venisse realizzata nel teatro
di posa. Per ricreare l'ambiente esterno all'interno di uno spazio chiu-
so fu necessario utilizzare tre scene. Il reparto artistico di Alexander
Golitzen creò colline e terreni e gli assistenti alla regia ingaggiarono e
sistemarono diverse centinaia di comparse. Kubrick ordinò che a cia-
scuno di essi venisse assegnato un grosso cartoncino con un numero,
in modo che sapesse dove tornare dopo che Kubrick aveva attenta-
mente studiato il posto dove doveva morire. Nello spazio intorno alle
comparse vennero sistemati dei manichini che contribuivano a creare
il massiccio cumulo di corpi.
Il giorno previsto per le riprese Kubrick arrivò, guardò le centinaia
di comparse nel ruolo dei cadaveri degli schiavi guidati da Spartaco e
caduti sulle colline artificiali create dagli artigiani di Golitzen e,
prima che la macchina iniziasse a riprendere, annunciò: «Non mi
piace, voglio girare fuori».
Gli habitué di Hollywood presenti sul set rimasero allibiti. La pro-
duzione ci rimise la costruzione, il lavoro e del tempo prezioso.
Adesso la scena doveva essere realizzata all'esterno, sul terreno circo-
stante gli stabilimenti, come era nei programmi originali.
Kubrick continuò a servirsi del sistema di assegnare i numeri alle
comparse. Dopo la pausa per il pranzo, ciascuna delle centinaia di
comparse sapeva esattamente dove giacere morta sulla scena.
La scena d'apertura fu girata nella Death Valley, i totali delle trup-
pe che andavano radunandosi furono girati in Spagna, la colonna a
cavallo sulla spiaggia fu girata in esterni ma tutte le altre scene furo-
no preparate e fotografate sul terreno circostante gli stabilimenti
cinematografici della Un i versai. La scena della battaglia, la via
Appia, le colline cosparse dei cadaveri dei -soldati di Sparraco furono
tutte girate lungo quello che oggi è l'Universal Tour negli studi
Universal di Los Angeles.
La rivolta degli schiavi fu un'intricata sequenza d'azione. Lo story
board era disegnato da Saul Bass. Alexander Golitzen dal canto suo
196
aveva impegnato al progetto due disegnatori, Claude Gillingwater e
Johnnie Peacock. Kubrick vide le tavole relative alle azioni chiave
ma la sua ampia gamma di angolazioni di ripresa oltrepassava i limi-
ti imposti dai disegni; basti pensare che in certi punti vennero uti-
lizzate fino a trenta macchine da presa diverse.
L'assalto ai cancelli della scuola romana dei gladiatori fu particolar-
mente impressionante e pericoloso soprattutto quando gli schiavi
scalavano i pali delle alte recinzioni, che crollavano schiacciando
sotto il loro peso i legionari e che poi erano brandite come armi.
«Sulle palizzate c'erano i nostri sei stuntman», ricorda Loren Janes.
«lo facevo la controfigura di Kirk. Avevamo sistemato la palizzata in
modo che cadesse fermandosi circa a un metro e mezzo da terra men-
tre alcuni attori impersonavano i legionari. Poi li facemmo uscire dal
set e li sostituimmo con dei manichini vestiti da legionari armati di
lancia, che furono definitivamente schiacciati. I manichini evitavano
anche che la palizzata crollasse a terra fracassandoci le ossa, facevano
un po' da ammortizzatore>>.
Per le scene della crocifissione degli schiavi, gli stuntman vennero
issati sulle grosse croci di legno create dal settore artistico; sotto i
piedi c'era una sporgenza alla quale potersi appoggiare, mentre le
mani erano legate ai bracci della croce. Le lunghe riprese, la quantità
di pellicola utilizzata in relazione a quella poi effettivamente scelta
nel montaggio finale e le angolazioni multiple della macchina da
presa misero a dura prova gli esperti stuntman. Quando erano trop-
po stançhi, indolenziti, accaldati e assetati nella loro scomoda posi-
zione, Kubrick diceva: <<Okay, tirateli giù per dieci minuti e poi
issateli di nUOVO>>.
La scena notturna che segue alla cattura di Spartaco e Antonino e
durante la quale i due parlano della loro imminente crocifissione fu
ripresa ai piedi della grossa collina tra il Barham Boulevard e la
superstrada 101. Kubrick fece lavorare cast e troupe dalle nove della
sera alle sei della mattina successiva. Kirk Douglas e Tony Curtis
sedevano davanti alla macchina da presa e recitavano. Dietro di loro
c'era una fila di cadaveri di schiavi massacrati che continuava su per
la collina per cinquecento metri. Sullo sfondo c'erano schiavi issati
sulle croci. La posizione della macchina da presa di Kubrick copriva
l'intera scena. II regista insisteva che tutti i cadaveri fossero interpre-
tati da figuranti e da stuntman perché voleva che durante il dialogo
ci fossero continui gemiti e spasmi.
Nel libro Tony Curtis: The Autobiography, Curris ricorda una notte
di riprese particolarmente difficile. Dopo aver sistemato ogni cosa
Kubrick iniziò a riprendere la scena. <<"Ti fa paura morire,
Spartaco?", domanda Antonino. I figuranti gemono e si lamentano.

197
"Non più che allora il nascere. A te invece fa paura?", replica
Spartaco. Kubrick fermò la scena e disse: "Quando si arriva a
"paura" l'uomo sulla terza croce a sinistra deve muoversi, tu invece
non ti sei mosso",,, ricorda Tony Curtis. L'uomo si scusò. Andò
avanti in questo modo, un ciak dopo l'altro. Kubrick non perdeva
mai la pazienza ma continuava a trovare degli errori nelle reazioni
dei figuranti mentre Douglas e Curtis ripetevano le battute davanti
alla macchina da presa.
Gli Universal Studios avevano assegnato a Marshall Green l'incari-
co di aiuto regista; il suo compito era controllare Kubrick e fargli
rispettare il piano di lavorazione. Le riprese sulla collina, che duraro-
no tutta la notte, stavano logorando l'aiuto regista. A un certo punto
della notte, Kubrick interruppe ancora la ripresa a causa dell'azione
sullo sfondo. Chiamò Marshall Green e gli disse: «Marshall, il tizio
sulla ventesima croce a sinistra dovrebbe agitarsi ma non si è mosso
per niente. Voglio che tu vada lassù e che gli dica che alla "paura" e
quando tu gli farai il segnale con il fazzoletto lui deve muoversi.
Non posso usare il megafono perché disturberebbe il dialogo».
«Green guardò Kubrick con uno sguardo torvo, si girò e si incam-
minò verso il punto più alto della collina», scrive Curtis. «Gli ci
vollero tre minuti per arrivare fino alla croce che si trovava quasi in
cima. C'erano circa trentacinque croci su entrambi i lati e quella era
una delle più lontane>>. Curtis osservò Green mentre guardava in su
verso la croce. Sembrava che stesse parlando con il figurante.
<<Marshall si girò e lentamente scese lungo la collina guardandosi i
piedi e gli ci vollero altri tre minuti. Andò dritto verso Kubrick e
gli disse: "È un dannatissimo manichino". Kubrick non mostrò alcu-
na sorpresa o rammarico e gli diede una risposta tranquilla del tipo:
"Oh, allora mettigli dei fili e fallo muovere"».
Originariamente il team degli stuntman avrebbe dovuto lavorare
per cinque, sei mesi; quando Spartacus fu concluso, le sei controfigu-
re lavoravano da un anno.
Il vecchio amico di Kubrick, Alexander Singer, era giunto sul set
per fornire un sostegno al regista che per la prima volta si trovava a
dover gestire un'opposizione che metteva a dura prova il suo accanito
senso del controllo artistico. Kubrick, lamentando la mancanza di
supporto, domandò a Singer che stava lavorando come produttore
associato di Leslie Stevens di dargli un passaggio fino allo stabili-
mento dei teatri di posa. Durante la strada, Singer apprese che ogni
mattina Kubrick sapeva appena ciò che avrebbe dovuto girare duran-
te il giorno; Dalton Trumbo stava furiosamente riscrivendo la sce-
neggiatura e Kubrick non poteva contare su quel dominio assoluto
che la sua psiche richiedeva.
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Singer osservò Kubrick dirigere il set di Spartams e fu testimone
degli esperimenti compiuti utilizzando la musica sul set. Singer lo
guardò mentre girava la scena in cui Kirk Douglas e Woody Strode
aspettano di combattere l'uno contro l'altro fino alla morte per sod-
disfare il piacere di Laurence Olivier e dei suoi amici. «Woody
Strode era un uomo dotato di una dignità innata>>, nota Singer.
«Quando portavi la macchina da presa su di lui c'era qualcosa di spe-
ciale. Stanley aveva bisogno di una sua prestazione molto curiosa.
Doveva interpretare un uomo che riflettendo poneva a se stesso delle
domande profonde. "È questo che faccio nella vita, uccidere il mio
amico per i piaceri dei miei padroni?". Questo era il pensiero che si
agitava nella sua mente. Beh, non aveva molto senso dire a Woody
Strode di recitarlo e io non penso che Stanley avesse alcuna intenzio-
ne di dirgli qualcosa. C'era un limite a quello che Woody Strode era
in grado di rendere, ma Stanley fece suonare della musica. Non
dimenticherò mai il potere sprigionato da quella musica e ciò che
accadde al viso di Strode quando la musica attaccò. Ero vicino alla
macchina da presa e riuscii a vedere il suo volto mentre si trasforma-
va. Si trattava di un concerto di Prokof'ev, un passaggio indimenti-
cabile, non un frastuono. Traboccava di un desiderio infinito e inten-
so, una specie di storia d'amore, e l'effetto che suscitò su Strode fu
straordinario>>.
Infine Kirk Douglas dovette decidere come gestire i crediti per la
sceneggiatura del film. Sia Lewis che Douglas da lungo tempo dete-
stavano la lista nera. La sceneggiatura definitiva venne attribuita a
«Eddie Lewis e Sam Jacksom>.
Douglas indisse una riunione con Lewis e Kubrick per discutere
della faccenda. Lewis si dichiarò contrario a vedersi attribuire un
merito che non gli spettava, il che lasciava come unica alternativa
quella di utilizzare il nome fittizio di Sam Jackson come unico sce-
neggiatore. Douglas aveva la sensazione che utilizzare uno pseudo-
nimo non avrebbe ingannato nessuno e sarebbe stato moralmente
scorretto.
Allora Kubrick suggerì di mettere nei crediti: <<Sceneggiatura di
Stanley Kubricb. Douglas e Lewis rimasero sbalorditi. Douglas si
girò verso il regista e disse: «Stanley, non ti sentiresti imbarazzato
a porre la tua firma su una sceneggiatura scritta da qualcun
altro?>>. Kubrick replicò: «No>>; così racconta Douglas nella sua
autobiografia.
L'incontro giunse a una brusca conclusione e Douglas e Lewis pre-
sero una coraggiosa decisione. Il mattino successivo, Kirk Douglas
telefonò agli uomini della sicurezza degli Universal Studios e disse
semplicemente: «Vorrei lasciare un pass per Dalton Trumbo>>. La
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lista nera stava per ricevere un colpo mortale. Otto Preminger, che
aveva ingaggiato Trumbo per scrivere la sceneggiatura del suo film
epico Exodus, ben presto annunciò pubblicamente che Dalton
Trumbo sarebbe apparso nei crediti per la sceneggiatura. Nella sua
autobiografia, Douglas insiste nell'affermare che infrangere la lista
nera non fu un atto d'eroismo ma una reazione d'impulso alla dichia-
razione di Kubrick, che sarebbe stato disposto a prendersi dei meriti
per una sceneggiatura che non aveva scritto.
Il film si avviava verso la fase di postproduzione. Quando Kubrick
e il montatore Robert Lawrence furono pronti per il montaggio di
Spartacus, la proiezione del materiale girato non riscosse grandi con-
sensi. Trumbo si sedette e scrisse personalmente a macchina una cri-
tica al film della lunghezza di oltre ottanta pagine, divisa in due
sezioni: «I due punti di vista conflittuali su Spartacus» e «Scena per
scena attraverso il film>>. Douglas la definì «l'analisi più brillante
che io abbia mai letto» e ordinò che il film fosse girato e strutturato
di nuovo.
Douglas richiese e ottenne altro denaro per girare le scene di guer-
ra che erano indicate nella stesura preliminare della sceneggiatura e
poi non sviluppate. Fu a questo punto che Kubrick andò in Spagna
per riprendere i totali dello schieramento degli eserciti. L'intenzione
originaria era quella di effettuare successivamente una dissolvenza
che introducesse il sanguinoso esito finale. La critica di Trumbo con-
vinse Douglas della necessità di girare le riprese ex nova e di avere a
disposizione una maggior quantità di materiale relativo alla batta-
glia. Kubrick in Spagna riuscì a ottenere dal governo di impiegare
l'esercito spagnolo nel ruolo dei legionari romani.
Dopo il rifacimento delle riprese, il film tornò in sala di montag-
gio. Anche il reparto montaggio risentì dello sconvolgimento del
progetto originario. Quando Anthony Mann fu sollevato dall'incari-
co, Robert Swink, il montatore del film, lo seguì insieme al suo assi-
stente Hal Ashby, che sarebbe diventato il regista di Harold e Maude,
Questa terra è la mia terra, Tornando a casa e Oltre il giardino. Irving
Lerner si assunse quindi la responsabilità del montaggio. Kubrick
aveva avuto dei contatti precedenti con Lerner nel periodo in cui
aveva lavorato con Brando a l due volti della vendetta. Faith Hubley, la
montatrice e creatrice di film d'animazione che Stanley aveva cono-
sciuto al 1600 di Broadway a New York, conosceva bene l'ambiente
di Hollywood e aveva dato a Kubrick il numero telefonico di Lerner
dicendogli: «Se ti capitasse di avere dei problemi chiama Irving».
Kubrick fece entrare Lerner nel progetto di Spartacus come montato-
re e regista della seconda unità, ma poiché erano spesso in disaccor-
do, la parte principale del montaggio venne affidata a Robert
200
Lawrence, che aveva lavorato come assistente al montaggio in Il
cavaliere della valle Jolitaria e V n poJto al Jole. Lawrence aveva già
lavorato con Lerner ed era stato montatore nel film diretto da
Lerner, AJJaJJinio per contratto. Durante la lavorazione di SpartacuJ,
Lerner aveva già in serbo altri progetti, così decise di portare con sé
Lawrence che si sarebbe occupato del montaggio sotto la sua super-
visione. Lerner però iniziò a trascorrere sempre meno tempo nella
sala di montaggio di SpartacuJ e sempre di più in discussioni con il
regista. Alla fine Lawrence si trovò a montare SpartacuJ a stretto
contatto con Stanley Kubrick. «C'era molta pellicola e molta era
stata montata», ricorda Lawrence, montatore di El Cid, 55 giorni a
Pechino e RapJodia per un killer. «La guardai e dissi: "Perché mai
qualcuno dovrebbe volerla cambiare, sembra buona". Non funzionò.
Mentre Stanley lavorava al film stava già pensando a Lolita: non
avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo film. Lui l'avrebbe
realizzato in modo diverso e c'erano troppe manovre politiche di
mezzo. Andavamo d'accordo. Conoscerlo fu una delle più importanti
esperienze della mia vita ma il suo bighellonare in giro creava un
sacco di problemi a tutti. La sua più grande ambizione da ragazzino
era stata diventare un giocatore di baseball. Lavorava tutti i sabati, il
che significava che faceva fare a tutti gli straordinari. Portava con sé
un'intera troupe e poi voleva uscire a giocare a Jtù·kball sulla New
York Street, fuori dal complesso degli stabilimenti della Universal.
Aveva mazza e palla. Io uscivo sulla strada a dirgli: "Stanley, ho fatto
questi cambiamenti" e lui mi rispondeva: "Aspetta un minuto,
aspetta un minuto, ho ancora due fuorigioco, devo mandare fuori
quel tizio". Questi erano gli orari straordinari. I tesorieri della
Universal dicevano: "Stanley sei qui durante un orario che è conside-
rato straordinario, tutti quanti stanno facendo del lavoro straordina-
rio e tu giochi a baseball. Cosa credi di fare giocando a baseball?".
Ed egli rispondeva: "Ascolta, il sabato non è poi tanto costoso.
Pensaci. Pensa agli interessi che paghi su questo denaro, se riuscia-
mo a produrre sai quanto ti faccio risparmiare?". Naturalmente,
ogni sabato, alla fine della giornata faceva risparmiare dei soldi alla
Universai».
<<Passavo sempre a prendere Stanley e gli davo un passaggio fìno
allo studio, ma prima dovevamo fare una sosta al Merrill Lynch;
doveva controllare il mercato azionario. Quelle mattine erano un
grande spasso, ridevamo per tutto il tragitto fìno allo studio>>.
«Nella sala di montaggio, Stanley rimaneva dietro di me lanciando
una palla contro il muro al di sopra della mia testa e non dimostrava
certo una grande e profonda concentrazione, ma poi a un tratto dice-
va: "Perché non provi a mettere questo qui sopra?", e aveva ragione.
201
Allora io mi dicevo: "Perché non ci ho pensato?". A volte riusciva a
essere davvero molto generoso e gentile. Una volta ero talmente
disperato che provai a fare una cosa che temevo di mostrargli.
Quando Spartaco viene passato in rassegna da Olivier il quale gli
domanda: "Spartaco, sei tu, vero?", Kirk sputa in faccia a Olivier il
quale gli dà uno schiaffo. Bene, lo schiaffo era così rapido che quasi
non lo si vedeva. Allora io usai un doppio schiaffo; la seconda volta
utilizzai un ampio, disteso campo lungo. Non ne parlai a nessuno;
glielo mostrai e lui non commentò ma poi successivamente mi disse:
"Ehi, era carino". Gli era piaciuto molto e fu davvero meraviglioso>>.
Durante la produzione e la postproduzione di Spartacus, James B.
Harris continuava a lavorare a Lolita fuori dal bungalow di Kubrick.
Oltre a lavorare per la successiva produzione della Harris-Kubrick,
James era lì anche per sostenere il regista e amico in quella singolare
esperienza nella quale non disponeva di alcuna libertà registica.
Lawrence osservò che Kubrick non era minimamente toccato
dall'antagonismo della troupe. «Stanley e il direttore della fotografia
Russ Metty non si vedevano di buon occhio. Russ diceva spesso a
metà tra la battuta e il tono serioso: "Facciamo smontare dalla gru
quel piccolo ragazzo ebreo del Bronx". Ma questo non disturbò
Stanley nemmeno un po', mai>>.
Nella sua autobiografia, Tony Curtis ricorda Russell Metty come
un <<uomo turbolento con la faccia rossa che bazzicò nel settore per
anni. Aveva sempre una tazza piena di Jack Daniel's>>. Curtis descri-
ve Metty come un tipo «Socievole e simpatico>>, un uomo con
vent'anni più di lui che guidava il giovane attore come un fratello
maggiore ma che detestava Stanley Kubrick. <<Per Metty, Kubrick
era solo un ragazzino, uno sbarbato. "Questo tizio dirigerà il film?
Sarà lui a dirmi dove mettere la macchina da presa? Dev'essere uno
scherzo". Era questo il suo atteggiamentO>>, spiegava Curtis.
<<Eravamo nel teatro di posa 12 della Universale stavamo girando la
scena in cui Kirk si accorda con Herbert Lom, il mercante, per otte-
nere le navi che consentiranno la fuga ai suoi uomini. La provammo
tre o quattro llolte, poi entrarono le controfigure per consentire a
Metty di regolare l'illuminazione. Quando ebbe finito, Marshall
Green disse: "Siamo pronti" e allora entrammo io, Kirk e Herbert.
Kubrick sedeva di lato e Metty guardava, seduto su una sedia alta e
grossa con la sua tazza di caffè. Kubrick non disse mai nulla e io non
ero sicuro di cosa pensasse: la sua mente era sempre altrove. Alla fine
si alzò, esaminò l'inquadratura, si avvicinò a Russ Metty e gli disse:
"Non riesco a vedere i volti degli attori">>.
Il viso di Russ Metty, che era già rosso per natura, divenne paonaz-
zo. Non disse una parola e se ne stava lì fumante di rabbia sulla sua
202
sedia alta con il nome scritto sullo schienale. Per caso, vicino alla
sedia, c'era una piccola luce diciamo non più grande della circonfe-
renza di una bottiglia di birra: era un piccolo e sottile fascio di luce
concentrata coperto da un otturatore, posto sopra un tripode
all'altezza di un metro e mezzo circa. Russ Metty si limitò a solleva-
re il piede e a darle un grosso calcio facendola scivolare sul set e sulla
scena. La luce rotolò fino ad arrestarsi. Quando si fu fermata, Metty
guardò Kubrick e gli disse: "Adesso l'illuminazione è sufficiente?".
Kubrick si limitò a guardare la luce, poi si girò verso Russ e gli
rispose: "Adesso c'è troppa luce">>.
«Quasi tutti trattavano Kubrick in quel modo. Non avevano nes-
suna idea della persona con la quale avevano a che fare.
Successivamente divenne una celebrità e fu santificato dalla
Universale da chiunque altro, ma non in quei giorni>>.
Sebbene Kubrick fosse sottoposto all'enorme pressione di una pro-
duzione epica e dovesse scendere a patti con delle onnipresenti lotte
di potere, il suo scarso coinvolgimento in un film che non era davve-
ro suo e il suo innato senso dell'umorismo nero lo aiutarono a muo-
versi attraverso il progetto.
Saul Bass iniziò a occuparsi della sequenza dei titoli di Spartams,
che si colloca tra i migliori lavori della sua superba carriera. Per que-
sto film Bass lavorò a stretto contatto con la moglie Elaine, con la
quale gli era capitato spesso di collaborare. Scoprirono un negozio
sulla Formosa Avenue sul lato opposto del Goldwyn Studio, nel
quale acquistarono delle copie di statue romane, le dipinsero e utiliz-
zarono teste, parti del corpo e spade per creare dei formidabili titoli
di testa. La sequenza utilizza simboli che vengono messi in relazione
ai personaggi principali a mano a mano che questi sono presentati
con i loro nomi. Essa mostra profili di teste romane e finisce con la
ripresa frontale di una testa che si infrange in mille pezzi a simbolo
della caduta di Roma.
Le immagini in dissolvenza si susseguono sovrapponendo
un'immagine all'altra. Originariamente Bass aveva predisposto delle
dissolvenze di oltre tre metri di pellicola per creare lunghi momenti
di sovraimpressione prima che l'immagine si dissolvesse e quella
successiva raggiungesse la sua forma piena: la prima versione dei
titoli durava quasi cinque minuti. Bass finì con il produrre un corto-
metraggio completo come inizio di Spartacus. Mostrò a Kubrick la
stquenza e quando le luci si riaccesero il regista lo guardò e gli disse:
<<Saul, cinque minuti?>>. Bass apprezzò il tono dolce di Kubrick e
capì di aver ecceduto. Procedette quindi a tagliare in sede di mon-
taggio le dissolvenze finché non raggiunse l'attuale lunghezza di tre
minuti e trenta secondi. Non vi fu alcun cambiamento nelle imma-
203
gini. Sedendo nella sala insieme a Kubrick, Bass istintivamente capì
che la sequenza era giusta ma che doveva essere compressa.
La colonna musicale scritta da Alex North venne registrata negli
studi della Goldwyn. North aveva impiegato quasi un anno per
comporla. «Fu un'esperienza grandiosa», disse North a Irwin
Bazelon in un'intervista per il libro Knowing the Score: Notes on Film
Music. ((Ebbi la grande fortuna di scrivere una colonna musicale
provvisoria per due pianoforti e due percussioni, che doveva accom-
pagnare, ad esempio, la scena della battaglia in modo da consentire
al montatore Irving Lerner di adattare la scena alla musica, il che era
un procedimento piuttosto insolito. Ma non era la colonna sonora
finale!>>.
Il flusso costante di girato in gran quantità proveniente dal set
teneva Robert Lawrence nella sala di montaggio praticamente venti-
quattr'ore su ventiquattro. ((Ero arrivato a dormire sotto il tavolo di
montaggio>>, ricorda. Entro i confini della sala di montaggio
Kubrick reagiva alle pressioni che gli venivano dalla produzione e al
suo status di semplice esecutore con un comportamento malizioso e
turbolento. ((Stanley mi portava ogni genere di foto porno», ricorda
Lawrence. ((Avevamo una stanza senza finestre, la cui unica luce pro-
veniva da un globo posto in alto. Stanley saliva su una sedia e acco-
stava al globo le foto porno senza che se ne accorgesse nessuno».
Kubrick era un grande fanatico di baseball e dava al suo montatore
il consiglio che Leo Durocher ripeteva più spesso. ((Era molto cinico,
continuava a ripetermi: "Non dimenticare, Lawrence, i bravi ragazzi
arrivano ultimi"».
La passione di Kubrick per il baseball continuava dentro e fuori la
sala di montaggio. (dmitava i lanciatori», ricorda Lawrence. ((Aveva
un pallina da tennis e un guantone. Si tendeva al massimo, tirava, e
la palla ritornava dopo aver rimbalzato forte contro la parete».
I tiri mancini e la pratica del baseball non influenzavano l'intensa
concentrazione di Kubrick e la sua abilità in sala di montaggio. ((Era
un montatore stupendo», ricorda Lawrence. ((Sapeva dove fermare.
In un primo momento me la presi perché diceva: "Taglia qui, taglia
qui e taglia qui". Io allora imbrogliavo e tagliavo due fotogrammi
prima o due fotogrammi dopo, ma la maggior parte delle volte mi
scopriva e mi diceva: "È qui che volevo?"».
Anche nell'unica esperienza da semplice esecutore avuta da
Kubrick, il suo ossessivo modus operandi pervase ii suo modo di fare
regia. ((Quando il film fu terminato e i tecnici si stavano preparando
a missarlo, diedi al montatore del suono il mio libro dei codici»,
ricorda Robert Lawrence a proposito del bollettino di edizione che
contiene una lista di tutto il metraggio delle inquadrature del film e
204
i corrispondenti codici e i numeretti fotografici stampati sul bordo
della pellicola. Stanley domandò: "Quanti ne hai di questi?".
Risposi: "Uno". E lui disse: "Fammene una copia". Io gliela feci e mi
ci volle un bel po' di lavoro. Allora mi disse: "Quindi io ne ho una e
tu ne hai una e questi ragazzi hanno le loro copie. Supponi di perde-
re la tua. Fanne due copie". Ben presto avemmo diverse copie di
ogn1 cosa>>.
Il montaggio del sonoro di Spartacus fu un lavoro spaventoso.
Kubrick mise a frutto la sua attenzione meticolosa e applicò la sua
crescente conoscenza di ogni aspetto del processo cinematografico.
Uno dei montatori del suono era Frank Warner che aveva cominciato
a lavorare negli effetti sonori per la radio e per la televisione. Nel
corso della sua carriera, Warner aveva supervisionato il sonoro in
Incontri ravviànati del terzo tipo e Taxi Driver. Il suo contributo a Toro
scatenato è considerato dagli addetti ai .lavori uno dei risultati più raf-
finati nella storia del sonoro cinematografico. Negli anni Sessanta e
Settanta, Warner gettò le basi per quello che sarebbe diventato
l'avvento del creatore degli effetti sonori; Spartams fu la sua prima
esperienza nella realizzazione di lungometraggi. «Stanley Kubòck fu
la prima persona che mi fece capire che la cinematografia era una
forma d'arte>>, disse Warner, che attualmente si è ritirato a Sedona in
Arizona. «Andavamo fuori a cena e rimanevamo seduti al tavolo a
parlare. In Spartacus c'erano immagini di migliaia di soldati e la sua
filosofia era quella di concentrarsi sulle azioni che si svolgevano in
primo piano. Mi insegnò a riuscire a controllare questo aspetto. Mi
fece capire che era necessario concentrarsi sulla storia principale che
stavamo raccontando e che il sonoro dell'immagine fa parte della
storia. Quando sta infuriando una battaglia e due personaggi stanno
facendo qualcosa insieme non puoi avere uno schermo Cinemascope
pieno del rumore di diecimila persone>>.
Kubrick incoraggiò il montatore del suono a creare degli effetti
sonori che aiutassero lo spettatore a entrare nella mente dei perso-
naggi di Spartacus. Successivamente Frank Warner utilizzerà la teoria
dell'uso psicologico del suono per penetrare nell'anima tormentata
di Jake LaMotta in Toro scatenato. «Nella grandiosa scena in cui
Spartaco siede in attesa di andare a combattere, il protagonista è
solo, in una cella isolata e si sentono i rumori di sottofondo dei suoi
amici nell'arena. Kubrick voleva entrare nei pensieri di Spartaco,
nellt: sut: paure. Da quel momento in poi se mi è capitato di rt:alizza-
re qualcosa nel mio lavoro è perché ho imparato da lui>>.
Della squadra dei fonici che lavorarono a Spartacus faceva parte
anche Jack Foley, il leggendario fonico della Universal che inventò
il procedimento per fabbricare e registrare in studio gli effetti
205
sonori come i passi e altri suoni (ora chiamati Foley in suo onore).
Foley fu coinvolto direttamente nella creazione di suoni per le
intricate scene di guerra. La colonna sonora registrata durante le
riprese non era nulla più di una guida per la squadra che si occupa-
va del sonoro e fu del tutto eliminata. Uno dei lavori chiave svolti
da Jack Foley fu quello di rendere viva la battaglia dal punto di
vista uditivo. «Lo incontrai per la prima volta durante la lavorazio-
ne di Spartacus», ricorda Frank Warner. «Ricordo che mi trovavo
sulla scena e vidi sei tizi che camminavano in giro facendo tintin-
nare degli anelli sui quali si attat:cano i tendaggi. Sullo schermo
camminavano diecimila uomini e quei sei tizi si muovevano facen-
do ching, fhing, ching».
John Bonner, un responsabile tecnico dei Warner Hollywood
Studios e vincitore del Cinema Audio Society Lifetime Achievement
Award, era uno studente a tempo pieno della Ucla quando lavorava
come ingegnere del suono nella squadra scelta per effettuare il nuovo
missaggio di Spartafus. «Cominciavamo alle sei di sera e lavoravamo
fino alle due di mattina. Stanley diceva: "No, era perfetto, ma pro-
viamo così". E questo accadeva nella fase finale, dopo mesi di caratu-
re e suoni combinati quindi era difficile provare qualcosa di nuovo,
ma lo facevamo. Era molto creativo e sinceramente interessato al
risultato», ricordava Bonner.
Kubrick continuava a ricercare modi nuovi di missare il sonoro,
anche se magari finiva per ritornare a una versione precedente che
avevano già provato. Nel 1960 non era possibile andare avanti e
indietro per riversare una piccola sezione se c'era stato un errore o se
il regista decideva di cambiare qualcosa. Non c'erano degli inserti di
registrazione, quindi bobine della lunghezza di migliaia di metri
dovevano essere registrate in un'unica presa sonora senza tornare
indietro. Ogni volta che Kubrick modificava qualcosa era necessario
rifare l'intera bobina.
Nel corso degli estenuanti mesi di missaggio di Spartafus, la squa-
dra del sonoro fortemente motivata si adoperò per dare al regista
quello che voleva. Il veterano Murray Spivak, che aveva lavorato nel
King Kong originale, era il responsabile del missaggio e contempora-
neamente lavorava al film epico di John Wayne La battaglia di
A/amo.
Don Rogers era stato scelto da Gordon Sawyer, il fonico di Samuel
Goldwyn, per sostituirlo ai Goldwyn Studios; era un recordista di
Spartacus. Rogers lavorava agli apparecchi dei nastri magnetici che
venivano provati fino al limite durante il difficile processo di mis-
saggio. «Lavorammo al film per nove mesi>>, ricorda Rogers, oggi
dirigente della Warner Bros. e vincitore nel 1995 deii'Academy of
206
Motion Picture Arts and Sciences' Gordon Sawyer Award. <<Stanley
veniva a lavorare alle undici di sera. Lavoravamo di notte. Ci occupa-
vamo di La battaglia di A/amo durante il giorno e la sera lavoravamo
a Spartarus con troupe separate. Murray Spivak missava entrambi i
film. Disponevamo solamente di un reparto missaggio, così si effet-
tuavano degli effetti predoppiati su un film e poi si faceva la bobina
finale dell'altro film.
<<Arrivavamo alle sei di sera, la troupe che lavorava durante il gior-
no se ne andava alle sei e mezza. Stanley veniva sempre a lavorare
alle undici. A mezzanotte avevamo una fame da lupi, eravamo pronti
per mangiare e Stanley voleva iniziare a fare un'altra ripresa. Non
andavamo mai a mangiare prima delle due del mattino. A quell'ora
c'erano pochi posti dove andare a mangiare, così ognuno si portava la
cena da casa. Ci occupammo del missaggio per nove mesi; quindi
arrivai a conoscere Stanley molto bene>>.
<<In quei giorni veniva usato il sistema del panning. Avevano un
potenziometro di panning e ogni persona sullo schermo doveva essere
sistemata esattamente dov'era: la stessa cosa valeva per ogni effetto,
ogni passo, ogni colpo, ogni schianto, tutto! Veniva fatto un posizio-
namento preciso di ogni cosa e ci volevano ore per fare la panoramica
di queste cose, era incredibile», rammentava Roger. Il termine
inglese pan pot è l'abbreviazione di panoramir potentiometers, potenzio-
metri di panning, ovvero un sistema di controllo composto da due
controlli del volume connessi con una comune manopola utilizzata
per muovere un suono da parlante a parlante, per fare una panorami-
ca o per posizionare un suono. <<Se andavi sotto i venti metri e sba-
gliavi ti giocavi tutto il lavoro e dovevi ricominciare da capo», spie-
gava Roger. «Richiedeva molto tempo. Stanley è un vero perfezioni-
sta, un perfezionista esigente. Vuole che ogni cosa sia assolutamente
perfetta. Nove mesi! È stato il progetto più lungo al quale io abbia
lavorato in tutta la mia vita».
<<Facemmo un mucchio di cambiamenti in Spartarus. Un giorno
mentre stavamo missando Stanley voleva operare un cambiamento
dopo la battaglia che termina con l'ecatombe», ricordava Robert
Lawrence. <<Così togliemmo la copia di lavorazione dal proiettore e
la portammo in una piccola stanza e io domandai: "Perché lo vuoi
fare?". Stanley rispose: "Beh, sarebbe meglio se ... ". Forse aveva ragio-
ne ma rinunciammo. Avrebbe significato cambiare tutto il sonoro
perché non avevamo predoppiato nulla. Nel passare la pellicola avan-
ti e indietro sulla moviola mi finì il dito nel tamburo dentato per il
trascinamento della pellicola. Stanley aveva messo il piede sul peda-
le, ma il mio dito rimaneva incastrato e non riuscivamo a farlo usci-
re. Dovemmo andare indietro per sfilarlo e io sentii un male terribi-
207
le. Alla fine uscì. C'era del sangue alla base della pellicola nella
moviola e Stanley disse: "Bob, l'hai sporcato così tanto, non riuscire-
mo mai a togliere tutto questo sangue, non riusciremo più a farci
passare nessuna pellicola". Del mio dito non gliene fregava niente.
Mi portarono in ospedale e mi cucirono. Quando ritornai non disse
una parola. Passarono giorni interi senza che menzionasse l'accaduto.
lo ero talmente felice di avere ancora il dito che dimenticai di essere
arrabbiato con lui. Poi un giorno gli dissi: "Brutto figlio di puttana,
uno di questi giorni ti si impiglieranno le palle nella moviola e io
manderò avanti in fretta la pellicola!". Allora lui rispose: "Ascolta,
non ha senso che io ti manifesti la mia solidarietà quando ormai la
cosa è risolta"».
Sebbene la colonna sonora di Spartacus sia stata composta da Alex
North, Kubrick cercò di introdurre anche altre musiche, un'idea la
cui applicazione rivoluzionerà la natura della musica di 2001. Per la
sequenza nella quale Marco Crasso (Laurence Olivier) assume il
comando di Roma, Kubrick chiese di inserire The Battle of New
Orlean.r. A un certo punto venne considerato anche il valzer Danubio
Blu che poi finirà in 200 l: Odissea nello spazio.
Per le voci di sottofondo la produzione andò a una partita di foot-
ball tra il Michigan State e il N otre Dame giocata a East Lansing nel
Michigan nell'ottobre del 1959, e registrò i 76.000 fan urlanti su
suono stereo a tre canali per riprodurre le voci che si sentono nelle
scene dove gli uomini dicono: «Sono io Spartaco>> e «Ave Crasso!>>.
Successivamente questo elemento divenne parte del leggendario mis-
saggio del sonoro che andò avanti per mesi.
Per la scena conclusiva del film epico della durata di tre ore e
diciotto minuti, Kubrick si lasciò andare a degli scherzi. Prima chie-
se al montatore Robert Lawrence di inserire il tema di Luci della
ribalta di Chaplin come sottofondo musicale dell'ultima sequenza,
nella quale Spartaco sta morendo sulla croce e Varinia gli mostra il
loro bambino. Poi, quando si stava preparando il primo montaggio
del film, disse: «Sai cosa sarebbe bello fare?>>. «E io risposi. "No,
cosa?">>, ricordava Lawrence. «Disse: "Non facciamo mai vedere
Kirk. Lei tiene in alto il bambino e dice quello che deve dire ma noi
non lo vediamo lassù". Gli dissi: "Sei pazzo. Ci uccideranno!". Ed
egli rispose: "No, vale la pena di provare, forza". Proiettammo il
film in una grande sala della Universal; Kirk ed Eddie Lewis erano
seduti davanti. Io e Stanley eravamo in fondo dove c'era il comando
centrale: gli piaceva gingillarsi con il controllo manuale del sonoro
durante le riprese. Proiettammo l'intero film senza fermarci e sem-
brava che tutto andasse molto bene. Arrivammo alla fine senza che
comparisse mai una sola immagine di Kirk sulla croce. Ci fu la gran-
208
de dissolvenza con il carro che si allontana lungo la strada e poi si
accesero le luci.
La sera precedente c'era stata una proiezione e quindi erano state
aggiunte delle sedie pieghevoli. Kirk afferrò una delle sedie e la lan-
ciò. Era fuori di sé dalla rabbia. "Sei licenziato - e anche tu sei licen-
ziato, voglio parlarti!" - Uscirono a passo risoluto mentre Eddie
Lewis fumava la pipa e diceva: "Aspetta un momento Kirk, aspetta
un momento". Pensavo che la mia carriera fosse finita ma Stanley mi
disse: "Sai una cosa, d'ora in avanti niente scherzi, non si scherza più
con lui. Sì signore, no signore, è questo che vuole? Sì, e quindi io lo
farò. Niente domande, niente scherzi". Accadde di venerdì. Il sabato
né io né Stanley andammo lavorare e io non lavorai neppure la
domenica, fatto strano se si considera che avevamo sempre fatto gli
straordinari. Il lunedì andai nella sala montaggio. Vidi Stanley e
Kirk che se ne andavano in giro come due amiconi. Sistemarono
tutto durante il week-end dando a me tutte le colpe. Stanley disse:
"Ascolta, cominciamo dall'ultima bobina. Che ne è stato di quei
primi piani di Kirk sulla croce?">>.
Quando Kirk Douglas ebbe la prima idea di Spartafus, il suo agen-
te alla Mca era Lew Wasserman. Durante la produzione del film la
Mca acquistò la Universal, pagando 11.250.000 dollari, ovvero
750.000 dollari in meno del budget di Spartams che venne stimato
intorno ai 12.000.000 dollari.
Il 5 agosto 1960 mentre Spartafus stava per terminare, Christiane
diede alla luce un'altra bambina, Vivian Vanessa Kubrick, al Beverly
Hills Doctors Hospital. Ora Stanley Kubrick era l'orgoglioso padre
di tre bambine.
Mercoledì 19 ottobre 1960, al Pantages Theater ci fu la prima hol-
lywoodiana di Spartaats. Tra il concepimento e il completamento del
film erano trascorsi tre anni. Quando Spartafus venne distribuito, la
American Legion of Decency inviò diciassettemila lettere imploran-
do i destinatari di non andare a vedere Spartafus e criticando Douglas
per aver ingaggiato uno scrittore comunista. L'onnipotente Hedda
Hopper condannò il film per la sua efferatezza dicendo ai lettori: «La
storia della Universal è stata tratta da un libro scritto da un comuni-
sta e la sceneggiatura è stata scritta da un comunista, quindi non
andate a vederlo>>. Gli attacchi da parte d.i gruppi patriottici conti-
nuarono su diversi fronti ed erano principalmente diretti contro
Dalton Trumbo e Howard Fast. Desiderando mostran:: il suo appog-
gio al film, il presidente John F. Kennedy ignorò la tradizione della
Casa Bianca, si recò senza avvisare a una proiezione di Spartacus in un
cinema pubblico di Washington e ne fece una buona recensione per
la stampa, un atto che fu molto apprezzato da Dalton Trumbo.
209
Con grande sorpresa, Spartacus non ottenne la nomination all'Oscar
per il miglior film ma vinse il premio in quattro categorie: Peter
Ustinov vinse l'Oscar come miglior attore non protagonista; nono-
stante l'antagonismo con il giovane regista, Russell Metty portò a
casa il premio per la miglior fotografia a colori; Alexander Golitzen,
Eri c Orbom, Russell A. Gausman e Julia Heron vinsero il premio
per la miglior scenografia e Valles e Bill Thomas ottennero l'Oscar
per i migliori costumi. Alex North ottenne una nomination per la
sua magnifica colonna sonora e Robert Lawrence per il suo eroico
montaggio del complesso film epico.
La lezione suprema che Kubrick imparò dall'esperienza di
Spartacus fu che doveva avere pretendere autonomia nei film che
dirigeva. «Spartacus è l'unico film del quale io non abbia avuto un
controllo assoluto>>, disse Kubrick allo scrittore Gene D. Phillips.
((Il film arrivò a distanza di due anni dall'ultimo lungometraggio
che avevo diretto. Quando Kirk mi offrì la regia di Spartacus pensai
che avrei potuto farne qualcosa di buono se fosse stato possibile
cambiare la sceneggiatura. Ma l'esperienza mi insegnò che se non
viene esplicitamente stipulato nel contratto che le tue decisioni
saranno rispettate, c'è una grande probabilità che ciò non accada. La
sceneggiatura avrebbe potuto essere migliorata nel corso delle ripre-
se ma non fu così. Kirk, il produttore, Dalton, lo sceneggiatore, ed
Edward Lewis, il produttore esecutivo, fecero andare le cose come
volevano loro>>.
Spartacus segnò la fine della collaborazione tra Stanley Kubrick e
Kirk Douglas. Nell'autunno del 1961 Kubrick e il suo avvocato
Louis Blau incontrarono Douglas nella sua casa di Canon Drive e
chiesero lo scioglimento del contratto con la Bryna Company. Dopo
alcune trattative, il 15 dicembre 1961 Kubrick venne sollevato dal
suo impegno contrattuale. Nella sua autobiografia Douglas osserva:
((Nei trent'anni trascorsi dalla realizzazione di Spartacus, Stanley ha
fatto solamente sette film. Se lo avessi tenuto legato al contratto, la
metà dei suoi film sarebbero stati realizzati con la mia società>>.
Douglas riassume i sentimenti provati lavorando a Spartacus con
Stanley Kubrick con delle parole dure: ((Una persona di grande
talento non deve essere necessariamente anche simpatica. Puoi essere
uno stronzo e avere talento e al contrario puoi essere la persona più
simpatica del mondo e non avere talento. Stanley Kubrick è uno
stronzo con del talentO>>.

210
Parte quarta

1960-1964
Inghilterra
Capitolo 11
Come sono riusciti a trarre un film
da Lolita?

Nel luglio 1959 Vladimir Nabokov e sua moglie Vera erano in


Arizona a caccia di farfalle, l'hobby preferito dello scrittore, quan-
do egli ricevette un messaggio da parte del suo agente Swifty Lazar
nel quale gli comunicava che James B. Harris e Stanley Kubrick,
che avevano acquistato i diritti per l'adattamento cinematografico
di Lo/ita, chiedevano che Nabokov andasse a Hollywood per scri-
vere la sceneggiatura del film. Al fine di proteggere il suo investi-
mento, la Harris-Kubrick aveva acquistato i diritti d'opzione
anche per Laughter in the Dark di Nabokov che trattava un tema
simile a quello di Lolita: l'ossessione di un uomo adulto per una
ragazzina. L'offerta economica per la stesura del copione allettava
Nabokov, che però era preoccupato al pensiero di dover adattare il
suo stesso romanzo; quando poi apprese che per passare il vaglio
della censura sarebbe stato probabilmente necessario accennare a
un matrimonio segreto tra Humbert e Lolita, Nabokov, che si tro-
vava sulle rive del lago Tahoe, si dibatté nel dilemma per una set-
timana e alla fine decise di declinare l'offerta, poi partì per
l'Europa.
Dopo il rifiuto di Nabokov, Harris e Kubrick affidarono l'incarico
a Calder Willingham, la cui sceneggiatura però fu respinta da
Kubrick.
Durante il viaggio che lo portò in Inghilterra, Francia e Italia,
Nabokov ebbe <<una illuminazione notturna di origine diabolica»,
come la definì nella prefazione alla sua sceneggiatura di Lo/ita pub-
blicata in seguito, che gli suggerì come portare Lo/ita sul grande
schermo. Cominciava a rimpiangere di aver rifiutato l'offerta della
Harris-Kubrick, quando i due soci gli spedirono un telegramma
implorandolo di riconsiderare la loro proposta.
Nel gennaio 1960 Nabokov ricevette un telegramma da Lazar. La
Harris-Kubrick offriva allo scrittore 40.000 dollari per la stesura
della sceneggiatura, più altri 35.000 dollari nel caso avesse ottenu-
to ii credito come sceneggiatore unico del fiim. L'accordo inolrre
comprendeva sei mesi di rimborso spese, per il periodo in cui
doveva soggiornare a Los Angeles. Il giorno stesso Nabokov inviò
un cablogramma al suo agente comunicandogli che accettava
l'offerta.
213
Nabokov aveva ripetutamente flirtato con il cinema: negli anni
Venti aveva scritto delle sceneggiature a Berlino e sognava di lavora-
re con Lewis Milestone. Successivamente, dopo l'uscita di Lolita, si
parlò di una possibile collaborazione con Hitchcock, che però non si
concretizzò mai.
In tutto il mondo altri cercarono di seguire la scia del successo di
Lolita: ci fu l'annuncio della produzione di un film francese dal tito-
lo Les Nymphettes' e si prospettò l'uscita di un lungometraggio italia-
no intitolato Le ninfette e liberamente adattato da Lolita. Nel frat-
tempo in Grecia, Turchia, America Latina, India e nei Paesi Arabi
cominciarono a fare la loro comparsa delle edizioni pirata del roman-
zo. James B. Harris iniziò un'azione legale contro il film Les
Nymphettes che però risultò essere un flop e non un temibile antago-
nista. Nabokov apprese che Alberto Lattuada stava sviluppando una
sua interpretazione della storia di Lolita dal titolo "La piccola ninfa",
progetto che però non fu mai realizzato, mentre in Italia iniziarono a
comparire delle bambole di Lolita non autorizzate.
Il primo ostacolo che il film Lolita si trovò a dover affrontare fu il
sistema censorio conservatore che ancora controllava Hollywood.
Jack Warner e Steve Trilling erano tentati dalla proposta che era
stata fatta loro da Ronnie Lubin, l'agente della Harris-Kubrick, a
proposito di Lolita. La Warner Bros. acconsentì a pagare a Stanley
Kubrick un milione di dollari, una somma considerevole per quei
tempi, per dirigere il film, sempre che la Harris-Kubrick fosse riu-
scita a ottenere il prezioso marchio di approvazione che consentiva al
film di essere distribuito nei cinema e venduto alla televisione.
La sceneggiatura di Lolita non era ancora stata ultimata. Il Codice
di Protezione era rilasciato solo dopo l'avvenuta approvazione del
film nella sua versione completa e definitiva, ma i registi potevano
consultare la Motion Picture Association of America (Mpaa) ancora
in fase di stesura della sceneggiatura circa i requisiti necessari per
ottenerlo.
La Warner Bros. si dichiarava disposta a trovare un accordo che
servisse a finanziare la stesura della sceneggiatura; James Harris pro-
cedette fissando una serie di incontri con Geoffrey Shurlock, il presi-
dente della Mpaa.
Il l marzo 1960 Vladimir Nabokov e Stanley Kubrick si incontra-
rono presso gli Universal City Studios per scambiarsi suggerimenti
sull'adattamento cinematografico di Lolita. Ii mattino successivo,

l. Les Nymphettes di Henri Zaphiraros, 1961, distribuito in lralia con il tirolo L:t ninfet-
ta. (N.d.T.)

214
Nabokov sedeva su una panchina del giardino pubblico non distante
dal cottage al Beverly Hills Hotel che Swifty Lazar aveva prenotato
per lui: la sceneggiatura stava già delineandosi nella sua mente.
Il 9 marzo Kubrick presentò a Nabokov l'attrice Tuesday Weld,
che aveva recitato in Il re del rock and roll e Missili in giardino, ma
l'autore non la trovò adatta a interpretare il ruolo di Lolita. L'l l
marzo Kubrick inviò allo scrittore lo schema delle scene che avevano
discusso insieme e che riguardavano la prima parte del romanzo.
Nabokov iniziò a rendersi conto che Kubrick dava più ascolto a lui
di quanto ne desse ai censori e continuò a scrivere le due parti
restanti. I due uomini avevano trent'anni di differenza ma erano
entrambi giocatori di scacchi, comprendevano il lato oscuro della
natura umana e usavano la loro intelligenza per farsi strada in due
professioni molto impegnative. Nabokov aveva senza dubbio dato
prova, nel suo magistrale romanzo Lolita, di conoscere gli oscuri
recessi dell'Es, nei suoi film Kubrick sperimentava il lato oscuro
dell'animo umano. Sin dal suo primo lungometraggio, infatti, il
regista aveva esplorato la cruda brutalità emotiva e fisica della guerra
e la bramosia e la disperazione della malavita metropolitana: dietro
all'apparenza quieta e garbata di Kubrick si celava una visione del
mondo cinica e pessimistica.
Nel corso dei mesi che seguirono, gli incontri tra Nabokov e
Kubrick si diradarono progressivamente. Gli schemi della sceneg-
giarura smisero di arrivare, le critiche e i consigli diminuirono e
Nabokov fu lasciato solo a domandarsi se Kubrick stesse accettando
serenamente o piuttosto rifiutando silenziosamente il suo lavoro.
Ogni giorno, dalle otto del mattino fino a mezzogiorno, Nabokov
si dedicava alla caccia alle farfalle, mentre mentalmente componeva
la sceneggiarura. Dopo il pranzo cucinato da un cuoco tedesco, lo
scrittore sedeva su una sedia da giardino dove trascorreva quattro ore
a scrivere su delle schede le idee che aveva concepito durante la mat-
tinata. Alcune delle scene introdotte nella sceneggiarura traevano
spunto dal materiale rimasto inutilizzato e che era stato salvato da
Nabokov dopo che aveva distrutto il manoscritto originale del
romanzo.
Swifty Lazar riservò al suo cliente un vero trattamento da star e lo
presentò a John Huston, Ira Gershwin, David O. Selznick, John
Wayne, Gina Lollobrigida e Marilyn Monroe.
Alla fine di aprile Nabokov inviò a Kubrick :la seconda parte àd:la
sceneggiatura di Lolita. Nel corso dell'anno, Nabokov e Lazar aveva-
no tentato ripetutamente di far ottenere allo scrittore i diritti di
pubblicazione della sceneggiatura completa. L'avvocato di Kubrick
però continuava a tirare le trattative per le lunghe perché il regista
215
voleva evitare ogni possibile confronto tra la sceneggiatura di
Nabokov e la versfone definitiva del film. Kubrick sapeva che si
sarebbe preso delle libertà nei confronti del lavoro di Nabokov; il
regista infatti riscrisse la sceneggiatura anche se nei titoli comparve
solo il nome di Nabokov.
Alla fine di giugno Nabokov aveva più di un migliaio di schede e
una sceneggiatura di quattrocento pagine dattiloscritte che fu invia-
ta a Kubrick. I Nabokov andarono a Inyo County per trascorrere un
periodo di meritato riposo dedicandosi alla caccia alle farfalle.
Quando fecero ritorno a Mandeville Canyon, ricevettero una visita di
Stanley Kubrick, il quale disse a Vladimir che il suo copione era
troppo lungo, che aveva troppe scene e che ne avrebbero ricavato un
film della durata di sette ore. «Non si poteva tenerla così. Non la
potevi usare così com'era», disse James B. Harris a Richard Corliss
nel 1993. Kubrick consegnò a Nabokov una lista di parti che anda-
vano eliminate o cambiate; l'autore tenne conto di alcune di esse
mentre creava nuove sequenze.
Nel settembre 1960 Vladimir Nabokov portò a termine una ver-
sione più corta della sceneggiatura, che fu accettata da Kubrick: la
stesura della sceneggiatura aveva richiesto sei mesi di lavoro. Il 25
settembre, Nabokov incontrò Kubrick nella sua. abitazione di
Beverly Hills; in quell'occasione Kubrick mostrò allo scrittore delle
fotografie di Sue Lyon, alla quale era stato assegnato il ruolo di pro-
tagonista nel film.
Il trio composto da Nabokov, Stanley Kubrick e James B. Harris
era un modello di diplomazia e di acume verbale: Nabokov fornì un
brillante adattamento, Kubrick riuscì a modellarlo secondo la sua
personale visione cinematografica e James B. Harris continuò a por-
tare avanti il progetto attraverso il campo minato dell'opposizione
censoria. I tre uomini possedevano tenacia, determinazione e la capa-
cità di confrontarsi senza ricorrere al braccio di ferro tanto comune a
Hollywood, che portava alle minacce e alla voce grossa: il processo
creativo fu contorto ma civile.
Harris e Kubrick sapevano sin dal principio che l'adattamento
cinematografico di Lo!ita avrebbe costituito una sfida immane: il
libro era considerato un capolavoro letterario ma anche un testo pro-
vocatorio e, in alcuni circoli, pornografico. I due soci decisero di
accreditare al solo Nabokov la sceneggiatura; con l'eccezione di
Spartacus, questo fu l'unico film di Kubrick nel quaie la sceneggia-
tura venne riconosciuta a una persona sola, senza fare cenno al sup-
porto fornito dal regista. Nabokov voleva che la sua creazione rima-
nesse intatta, nel frattempo Harris e Kubrick lavoravano alla sce-
neggiatura in modo da contenerla in una determinata lunghezza,
216
controllarla sulla base delle suscettibili istanze censorie e renderla
cinematograficamente funzionale. Il credito per la sceneggiatura
riconosciuto esclusivamente a Nabokov poteva sembrare un'ammis-
sione della maestria dello scrittore e una mancata impronta della
Harris-Kubrick; in realtà i due soci erano ben consapevoli del fatto
che sarebbero stati aspramente criticati se si fossero cimentati con
un capolavoro, decisero quindi saggiamente di non esporsi in prima
persona. Alla fine però vennero introdotte numerose modifiche
rispetto al romanzo originale di Nabokov, che indagava l'oscura
inclinazione di Humbert Humbert per le ragazzine molto giovani, e
fu così inserita una rivendicazione risolutiva della comproprietà nei
titoli di testa: «La Seven Arts Productions, in associazione con la
Metro-Goldwyn-Meyer. Un film di James B. Harris e Stanley
Kubrick Lolita».
Geoffrey Shurlock si considerava un trait d'union tra l'industria
cinematografica e i gruppi politici e religiosi che fungevano da cani
da guardia per il pubblico. Al momento di ottenere il marchio di
approvazione James B. Harris e Stanley Kubrick assunsero una posi-
zione politica; la loro argomentazione fu: "Come può essere immora-
le una cosa considerata legale?", portando a riprova il fatto che in
alcuni Stati Lolita e Humbert avrebbero ottenuto il permesso di spo-
sarsi. Con il preciso intento di spostare l'attenzione, focalizzata sulla
figura di un uomo adulto ossessionato da un'adolescente, essi cerca-
rono di trasformare la narrazione in una curiosa storia d'amore.
Quando iniziarono a sentirsi sicuri del fatto che la storia avrebbe
potuto essere raccontata in modo tale da riuscire a ottenere il mar-
chio di approvazione, la Harris-Kubrick proseguì nell'accordo con la
Warner Bros. e Io studio procedette alla stesura dei contratti.
La documentazione completa fu inviata a Louis Blau, l'avvocato
della Harris-Kubrick. Dopo essere sopravvissuto a Spartacus,
Kubrick si era ripromesso di non rinunciare mai più a esercitare il
controllo su un film diretto da lui, quindi Stanley e James si allar-
marono nell'apprendere che il contratto prevedeva la consultazione
con la Warner Bros. (oltre. alla sua approvazione finale) per la mag-
gior parte degli ambiti produttivi, compresa la scelta del composito-
re, dell'operatore e del montatore. Secondo il contratto, inoltre, se
durante la lavorazione del film la Harris-Kubrick e lo studio non
fossero giunti a un accordo su un qualsiasi punto, il controllo della
produzione sarebbe passato nelle mani dello studio. L'accordo preve-
deva il pagamento di un milione di dollari più il 50 per cento dei
profitti a garanzia della copertura dell'investimento iniziale.
Harris e Kubrick dissero al loro legale di comunicare a Steve
Trilling che l'accordo era nullo: questa volta non ci sarebbe stato
217
alcun compromesso riguardo a chi avrebbe gestito il controllo sulla
produzione.
Ora che il contratto con la Warner era stato respinto, Harris e
Kubrick si misero alla ricerca di un attore che impersonasse
Humbert Humbert nell'intento di utilizzarlo come carta da giocare
per ottenere i finanziamenti necessari alla realizzazione del film.
Dapprima la scelta cadde su James Mason: Kubrick telefonò all'atto-
re e gli offrì la parte. Mason si mostrò entusiasta dell'idea ma aveva
firmato un contratto per apparire in un nuovo musical basato
sull'Anatol di Arthur Schnitzler.
Durante la produzione di Spartacus, Kubrick aveva suggerito a
Harris di parlare del ruolo a Laurence Olivier. Fu così che, nel corso
di un pranzo consumato nel loro bungalow alla Universal, Harris e
Kubrick parlarono a Olivier di Lolita; il brillante attore rispose che
ne avrebbe discusso con il suo agente della Mca. Poiché Ronnie
Lubin, il loro agente, lavorava alla Mca, i due soci credevano di
potercela fare; alla fine però l'agenzia consigliò al noto attore di non
partecipare a un progetto tanto controverso.
Harris e Kubrick proseguirono la loro ricerca di una star adatta al
ruolo; se infatti l'attore che avrebbe interpretato Humbert fosse stato
in qualche modo volgare o nevrotico, avrebbe creato un'atmosfera di
depravazione sessuale. Infine parlarono con il colto David Niveo, che
acconsentì a prendere parte al film. In seguito Harris e Kubrick ven-
nero convocati nell'ufficio di Abe Lasfogel, il responsabile della
potente William Morris Agency; l'incontro però non era stato orga-
nizzato per firmare i documenti ma per permettere all'agenzia di
porgere le scuse a nome di David Niveo, che era stato costretto a
ritirarsi dal progetto: egli infatti doveva prendere parte a Four Star
Playhouse e si temeva che gli sponsor avrebbero disapprovato un suo
coinvolgimento in qualunque progetto in odore di controversia. A
un certo punto anche Marlon Brando si mostrò interessato al ruolo
di Humbert ma alla fine nessuno riuscì a confermare con certezza la
propria partecipazione.
La strategia successiva adottata dalla Harris-Kubrick per ottenere
dei capitali da investire nella produzione del film si concentrò sulla
prevendita all'estero. Harris volò a New York e andò a pranzo con
Kenneth Hyman, un vecchio e caro amico dei tempi della scuola, il
cui padre, Eliot, dirigeva la Associated Artists. Harris parlò
all'amico di Lolita e i due fecero visita al vecchio signor Hyman.
«Conoscevo Eliot da quando ero bambino e lui diceva: "Che succede
bambini, cosa state facendo?">>, ricorda Harris. <<Così gli raccontai
tutto e lui mi domandò: "Di quanto hai bisogno?". E io risposi: "Un
milione di dollari". Prima della mia partenza, io e Stanley avevamo
218
valutato che quella sarebbe stata la somma che avrei dovuto tentare
di ottenere, perché avremmo potuto lavorare in qualche Paese dove i
costi erano più bassi e realizzare un film costoso solo in apparenza.
Noi due non avremmo guadagnato nulla e avremmo investito l'inte-
ra somma nel film. Allora Eliot Hyman disse: "È tutto qui quello
che vuoi, un milione? Va bene, lo avrai". Il nostro incontro fu davve-
ro breve>>.
L'accordo fu stipulato sulla base di una società al 50 per cento. Ora
che avevano il denaro, Harris e Kubrick decisero di non optare più
per una prevendita ma piuttosto di puntare alla vendita delle copie
all'estero; la Associated Artists aveva rapporti con un distributore
italiano, mentre tutti gli altri territori restavano aperti.
Harris convocò a New York Louis Blau, l'avvocato della società,
per definire con lui gli ultimi dettagli del contratto prima che il
produttore partisse per l'Europa. Ora il viaggio in Europa era finaliz-
zato a un altro obiettivo: non più alla prevendita bensì alla localizza-
zione di strutture di produzione dove fosse possibile realizzare Lolita
a un costo inferiore rispetto a quello che sarebbe stato necessario
lavorando in uno studio cinematografico di Hollywood.
Poi, per la seconda volta, fu un colpo di fortuna a influire sulle
sorti del film: come era già accaduto per Kirk Douglas in Orizzonti di
gloria, James Mason si liberò dai suoi impegni. Quando sua moglie
Pamela e i suoi amici seppero che egli aveva rifiutato il ruolo di
Humbert Humbert in Lolita, lo persuasero a ritornare sui suoi passi;
Mason era un grande ammiratore del romanzo di Nabokov e deside-
rava interpretare la parte, così telefonò a Kubrick e accettò il ruolo.
A quel punto la Harris-Kubrick disponeva del denaro e di una
star. I due soci decisero di girare il film in Inghilterra dove vigeva
l'Eady Pian, una legge in base alla quale ai produttori stranieri era
consentito dedurre le spese se 1'80 per cento dei collaboratori al pro-
getto fossero stati cittadini inglesi. A questo si aggiunse il fatto che
Mason era inglese; così furono presi gli accordi necessari per girare il
film in Inghilterra. Nabokov non venne convocato agli Elstree
Studios, presso i quali sarebbe stato realizzato Lolita. Il progetto
assunse tutti i requisiti richiesti dall'Eady Pian. Kubrick parlò con
Marie Windsor, che aveva impersonato Sherry Peatty in Rapina a
mano armata, per proporle una parte in Lolita ma l'Eady Pian limita-
va il numero di attori americani che potevano prendere parte alla
produzione. Quella che iniziò come una scelta di carattere pratico
avrebbe finito con l'influenzare in misura decisiva la carriera di
Stanley Kubrick.
A quel punto la ricerca si mosse nella direzione di un'attrice che
avrebbe potuto impersonare Lolita. Kubrick e Harris furono subissa-
219
ti da una serie di potenziali Lolite: le attrici speranzose che si propo-
nevano per il provino andavano dalle donne di mezza età struccate e
vestite con bluse alla marinara alle bambine di nove anni imbelletta-
te e con i tacchi alti.
«La ricerca dell'attrice giusta fu disperata», ricordava Kubrick nel
1962 parlando con Jack Hamilton, autorevole redattore di «Loob>,
<<ma non perché le madri ci tenevano lontane le figlie. Ricevemmo
migliaia di domande. Ci furono persino alcune madri che ci scrissero
che le loro figlie erano delle Lolita nate. Penso che questo significhi
che il pubblico è più cinico e meno soggetto a essere scioccato di
quanto non ritengano i guardiani della moralità. Dopo tutto si tratta
solamente di interpretare un ruolo, è solo un film. Ovviamente
avrebbe potuto costituire un trampolino di lancio per un'attrice
dotata di talento>>.
Dopo quasi un anno di ricerche mirate a individuare quella che
Vladimir Nabokov definiva <<la ninfetta perfetta>>, Kubrick fu
improvvisamente colpito dalla quattordicenne Sue Lyon. <<Fin dal
primo momento trovai interessante starla a guardare, anche per il
modo in cui entrò per fare l'audizione, la disinvoltura con la quale si
sedette e il modo in cui uscì dalla stanza>>, disse Kubrick alla rivista
<<Loob>. <<Era sfacciata senza indulgere in risatine sciocche. Era enig-
matica senza essere ottusa. Riusciva a fare in modo che la gente si
domandasse quanto ne sapeva Lolita della vita. Quando se ne andò ci
dicemmo a gran voce: "Se solo sapesse recitare!">>.
Sue Lyon viveva a Los Angeles e aveva esordito nell'industria dello
spettacolo recitando ruoli secondari in spettacoli televisivi come
"Dennis the Menace" e "The Loretta Young Show". Aveva fatto pub-
blicità di prodotti per capelli mettendo in risalto i suoi riccioli bion-
di tinti e nel 1960 era stata eletta Miss Sorriso dai dentisti della con-
tea di Los Angeles. Godeva di amicizie altolocate nell'ambiente di
Hollywood. Il suo attore preferito era Paul Newman. Sua madre Sue
Karr Lyon era una vedova di cinquantasei anni che aveva cresciuto i
cinque figli lavorando come puericultrice in ospedale.
Stanley Kubrick vide Sue Lyon in un episodio di "The Loretta
Young Show" e la sottopose a un provino. Provò la scena nella quale
Humbert sottopone Lolita a un severo interrogatorio su dove abbia
trascorso il suo tempo mentre si prende cura dei suoi piedi. Sue
ottenne così la famigerata parte della volubile ragazzina. La signora
Lyon andò dal suo pastore perché la consigliasse sulla decisione da
prendere riguardo a sua figlia. nella parte di Lolita; il prete le disse
che Jean Harlow era stata una sua parrocchiana e non si era mai fatta
influenzare dai ruoli nei quali recitava, quindi incoraggiò Sue ad
accettare la parte.
220
Quando iniziò la lavorazione, Sue Lyon aveva quattordici anni e
quattro mesi; quando le riprese furono terminate aveva quattordici
anni e nove mesi. Lolita aveva dodici anni e otto mesi quando incon-
trò il trentanovenne Humbert e alla conclusione del romanzo ne
· aveva diciassette.
Kubrick si rivolse a Peter Sellers per il ruolo di Clare Quilty, il
misterioso commediografo che nella sua lussuriosa ricerca di Lolita si
prende gioco di Humbert camuffandosi con una serie di travesti-
menti. Kubrick era rimasto colpito dalle interpretazioni di Sellers in
La signora omicidi del 195 5, La verità quasi nuda del 195 7 e La batta-
glia dei sessi del 1959; aveva inoltre ascoltato con attenzione l'album
The Best of Sellers ed era rimasto affascinato dall'eclettismo dell'atto-
re. Peter Sellers aveva lavorato al programma radiofonico della Bbc
intitolato "The Goon Show" durante il quale aveva dato vita a diver-
se voci e imitato Winston Churchill, la regina d'Inghilterra e Lew
Grade. Quando Kubrick contattò Sellers per la parte di Clare Quilty,
la carriera del poliedrico attore era in una fase di stallo. Kubrick offrì
a Sellers una piccola parte in Lolita e gli disse che la sua apparizione
sul grande schermo non sarebbe durata più di cinque minuti.
Come prima reazione, Sellers pensò che Clare Quilty, il vistoso
commediografo televisivo che tormentava Humbert Humbert, esula-
va dalla sua esperienza e si agitò all'idea di interpretare un simile
ruolo. Dopo diverse cene a casa di Sellers, Kubrick iniziò a rendersi
conto che la maniacalità che l'attore raggiungeva sullo schermo si
mutava in un profondo stato depressivo nella vita vera.
Per poter interpretare Quilty con un accento americano, Sellers
disse a Kubrick che aveva bisogno di un modello. Si decisero per la
voce dell'impresario di jazz Norman Granz che era nato a Los
Angeles ed era legato alla Verve Records. Kubrick chiese a Granz di
leggere e registrare alcune parti del copione di Lolita in modo che
Sellers potesse studiarle e lavorare sulla voce del personaggio che
avrebbe interpretato. Quando Sellers si sentì sicuro di avere la voce
di Quilty, il personaggio iniziò a prendere forma.
Solitamente Sellers spendeva la maggior parte della sua creatività
durante la preproduzione del film; nel caso di Lolita, invece,
Kubrick lo incoraggiò a improvvisare esaurendo tutte le possibilità
offerte di volta in volta dalla scena. Sellers e Kubrick iniziarono a
elaborare i molteplici travestimenti di Quilty da poliziotto a psicolo-
go tedesco.
Kubrick parlò con Alexander Walker, l'autore di Stanley Kubrick
Direds e della biografia autorizzata di Peter Sellers, del metodo di
lavoro utilizzato dall'attore sul set di Lolita. <<Quando chiamavano
Peter, egli generalmente arrivava camminando molto lentamente e
221
con uno sguardo tetro. Io facevo uscire la troupe e iniziavamo a pro-
vare. Con il procedere del lavoro iniziava a rispondere a qualche sol-
lecitazione che proveniva dalla scena, il suo umore migliorava visi-
bilmente e allora iniziavamo a divertirci. Cominciavano a sorgere
delle idee improvvise e la prova iniziava ad andare bene. Penso che
in diverse di queste occasioni Peter abbia raggiunto quello che si
potrebbe definire uno stato di estasi comica».
«Le scene più interessanti erano quelle con Peter Sellers, completa-
mente dominate dall'improvvisazione», rivelò alla rivista «Film
Dope» il direttore della fotografia di Lolita Oswald Morris.
<<Stabilivano più o meno le posizioni degli attori, andavano di sopra
e mi lasciavano a illuminare la scena, poi se ne tornavano giù con, ad
esempio, la scena del ping-pong. Non c'era nulla di simile nel copio-
ne, era tutto frutto dell'improvvisazione».
Sellers contava sempre sull'ispirazione, più che su una strategia
programmata in precedenza, per l'interpretazione di Quilty. Iniziava
pronunciando le battute così come erano scritte nella sceneggiarura e
poi durante la recitazione ampliava e sviluppava il materiale. Aveva
l'abilità di ripetere le battute e i gesti che a Kubrick piacevano.
Spesso il regista impiegava due o tre macchine da presa per coglie-
re il primo ciak, quando Sellers raggiungeva il culmine dell'improv-
visazione; al secondo ciak la metà dell'energia di Sellers era scompar-
sa e al terzo era tempo di cambiare scena.
Per Sellers la collaborazione con Kubrick era la più gratificante dal
tempo in cui aveva lavorato nel film Nudi alla meta con il regista
John Boulting. Sellers si fidava di Kubrick e sentiva che il regista lo
aveva spinto a esplorare i limiti del personaggio di Quilty. I due
uomini erano legati da un crescente cinismo verso la vita e Kubrick
incitò Sellers a sondare il lato più oscuro dell'umorismo di Lolita.
Sellers temeva che la sua interpretazione di Quilty fosse andata trop-
po oltre, ma Kubrick gli assicurò che l'esagerazione della vita rispec-
chiava l'essenza della realtà.
Peter Sellers era dotato di un brillante talento per l'improvvisazio-
ne e Kubrick usava la sua ispirazione per affinare una scena inseren-
do una battuta chiave oppure riscrivendo la sequenza sulla base della
battuta. Il metodo adottato da Kubrick incoraggiava e indirizzava
l'ilarità vulcanica dell'attore in modo che andasse sempre a segno.
Nell'ottobre 1960 Kubrick scrisse una lettera a Shelley Winters
chiedendole di leggere il romanzo Lolita e poi di incontrarsi a New
York con Vladimir Nabokov per discutere insieme allo scrittore
delle sue impressioni sul libro. La Winters era attivamente impegna-
ta nella campagna a sostegno del senatore John Kennedy, che concor-
reva alla c:arica di presidente, ma trovò comunque il tempo per leg-
222
gere il libro rimanendone molto colpita. Kennedy la vide mentre lo
leggeva e scherzando disse al suo addetto stampa, Pierre Salinger, di
riferirle di rivestire il testo con della carta scura se intendeva legger-
lo in pubblico.
La Winters si incontrò con Nabokov e discusse a lungo del perso-
naggio di Charlotte Haze. Nabokov combinò un incontro con la
Winters insieme alla moglie Vera allo Sherry Netherland Hotel per
una cena. Quando al termine della campagna elettorale la Winters
ritornò a New York, trovò ad attenderla la sceneggiatura di Lolita.
L'attrice voleva la parte ma dovette scontrarsi con il suo agente per
apporre la propria firma sul contratto. Sebbene non si fosse ancora
arrivati al giorno delle elezioni, la Winters insistette perché le ripre-
se fossero rimandate a dopo la nomina a presidente di Kennedy, in
modo da consentirle di partecipare alla festa per il successo elettora-
le. Dopo lunghe discussioni, l'attrice acconsentì a partire per
l'Inghilterra dopo le elezioni ma prima dei festeggiamenti ufficiali,
dietro promessa di Kubrick che sarebbe potuta tornare a
Washington per partecipare al ballo d'insediamento.
Quando Kennedy vinse le elezioni, battendo Richard Nixon con
un piccolo margine di vantaggio, la Winters panì per l'Inghilterra.
Il suo contratto prevedeva tra l'altro cinque biglietti di andata e
ritorno che le avrebbero consentito di viaggiare insieme alla madre,
alla figlia e ad altre due persone del suo entourage. Essi risiedevano
all'ultimo piano del Dorchester Hotel, dove si trovava la Oliver
Messe! Suite nella quale alloggiavano Elizabeth Taylor e il suo segui-
to durante le riprese del famigerato Cleopatra. Tra gli altri ospiti
dell'hotel vi erano Jack Palance con famiglia e Kirk Douglas.
Kubrick concesse agli attori parecchio tempo per studiare la parte.
L'inizio delle riprese fu preceduto da un lungo periodo di prove e
anche in seguito, durante la lavorazione, veniva concesso altro tempo
per un'ultima prova della scena prima del ciak.
All'inizio delle prove Kubrick si accorse che Sue Lyon aveva
memorizzato le sue battute talmente bene che tendeva a correre
mentre le recitava. Egli allora suggerì agli attori di fingere di aver
dimenticato le battute memorizzate e di raffigurare il personaggio
utilizzando parole proprie, pur rimanendo ben consapevoli dello
scopo e del contenuto della propria parte. Questa tecnica ebbe un
impatto positivo sulla recitazione della Lyon, che corresse il ritmo e
permise al personaggio di Lolita di venire alla luce.
Durante le prove gli attori venivano incoraggiati a improvvisare,
nel corso delle riprese però Kubrick voleva che il cast incorporasse
quello che era accaduto durante le prove all'interno di un copione
definito, che doveva essere recitato di fronte alla macchina da presa
223
senza alcuna modifica. L'unica eccezione era costituita da Peter
Sellers: Kubrick autorizzò l'attore a sperimentare in qualsiasi
momento, estendendo i confini del poliedrico personaggio di Clare
Quilty.
Kubrick chiese agli attori di non rivelare che alcuni dei brani scrit-
ti da Nabokov erano stati modificati; il cast infatti sapeva che
Kubrick stava riscrivendo il copione. Il regista era preoccupato del
fatto che durante la produzione Nabokov avrebbe potuto scoprire
che i suoi testi erano stati cambiati; in special modo egli temeva che
Shelley Winters avrebbe fatto trapelare la notizia, visto che l'attrice
continuava a corteggiare la stampa locale.
Nel corso della prima prova di Lolita, la Winters ricordò a
Kubrick, a Sellers e all'adolescente Sue Lyon che le era stato promes-
so di fare ritorno a Washington per la festa organizzata in onore della
nomina alla presidenza di Kennedy; Kubrick confermò la sua pro-
messa e Shelley ordinò un abito dallo stilista della regina.
La Winters arrivava spesso in ritardo sul set di Lolita perché usciva
con Elizabeth Taylor e la aiutava a spendere il suo cachet di 2.000
dollari al giorno per Cleopatra. Kubrick e James Mason divennero
insofferenti ai suoi continui ritardi, così il regista si procurò una
macchina con autista per portare la Winters sul set in orario e fece
una telefonata al produttore di Elizabeth Taylor per dirgli che la ~ua
attrice doveva impiegare la mattinata studiando le battute del perso-
naggio di Charlotte Haze.
Il direttore della fotografia Oswald Morris disse a Bob Baker e a
Markku Salmi della rivista «Film Dope» che Kubrick era selettivo
e concedeva la quantità di attenzione che egli riteneva fosse neces-
saria in base all'attore con il quale aveva a che fare: «Dirigeva con
grande attenzione il lavoro di Sue Lyon, mentre con James andava
tutto liscio».
Nel secondo volume della sua autobiografia, Shelley Winters
parla con il massimo rispetto dell'esperienza di lavoro con
Kubrick: <<Ero incantata dal personaggio di Charlotte e mi sentivo
molto orgogliosa di lei. Kubrick aveva la capacità di individuare i
miei lati pseudointellettuali e pretenziosi, lati che appartengono a
tutti noi>>.
La Winters trovò molto faticoso lavorare con Peter Sellers e James
Mason e disse a Kubrick che le riusciva difficile creare un'intesa con
i due attori. <<Ogni volta che mi lamentavo con Kubrick perché non
riuscivo a trovare un contatto con i due protagonisti maschili, lui mi
dava ragione>>, dice la Winters nella sua autobiografia. <<Però non
cambiava il loro modo di recitare e la frustrazione che provavo nella
vita reale emergeva nell'aspetto triste e buffo di Charlotte. Non
224
avevo mai la sensazione che qualcuno mi stesse ad ascoltare, eccezion
fatta per il tecnico del suono. E continuai a non capire la qualità
malinconica che questo conferiva alla mia interpretazione finché non
vidi il film».
· Shelley Winters incontrò delle difficoltà soprattutto nella scena
della prima notte di nozze con Humbert. La scena richiedeva che
l'attrice indossasse una lunga camicia da notte di seta e Kubrick le
disse di sedersi sul letto volgendo le spalle alla macchina da presa. Il
regista aveva fatto in modo che le si vedesse solamente la schieQa
nuda, e per un secondo appena, ma la Winters (che nei suoi libri par-
lerà liberamente della sua variegata vita sessuale) non riusciva a sen-
tirsi a proprio agio; a causa del nervosismo sbagliava le battute e
arrivò a rompere gli occhiali di Mason mentre continuava a tenersi
stretta intorno al corpo la veste.
Quando trapelarono le notizie sulla scena e sulle difficoltà incon-
trate per realizzarla, i membri della troupe di Cleopatra arrivarono
sul set per assistere alle riprese. A pranzo la Winters aveva bevuto
del gin per sciogliersi un po' mentre Kubrick aveva provveduto a
sgombrare il set. Durante le riprese pomeridiane rimasero solamente
gli elementi della troupe strettamente necessari a girare la scena, ma
la Winters non riuscì a recitare la parte. Mason le disse: «Non posso
credere che tu non riesca a fare una cosa tanto semplice! Fai scivolare
la camicia da notte lungo la schiena, copriti il seno, vai sotto le
coperte e stringiti a me>>, ricorda la Winters nella sua autobiografia.
La Winters si sentiva in imbarazzo ad accostarsi a Mason indossando
solo gli slip. Nella sua autobiografia l'attrice ricorda che Mason si
girò verso di lei e le disse: «Ti sentiresti più a tuo agio se ti dicessi
che molto tempo fa mi chiamavo Moskowitz e non Mason?>>. «NO>>,
rispose la Winters. ((L'unica cosa che mi farebbe sentire più a mio
agio sarebbe se te ne stessi assolutamente immobile mentre appog-
gio il mio seno contro la tua schiena>>. ((Sarebbe molto poco galan-
te>>, replicò l'arguto Mason.
La scena contribuì a migliorare il rapporto di lavoro tra Mason e la
Winters ma Kubrick non riuscì mai a ottenerla come desiderava.
Alla fine la Winters si infilò nel letto con indosso la camicia di seta.
Per la scena d'apertura, nella quale Humbert si reca a casa di
Quilty per ucciderlo, Kubrick insieme allo scenografo William
Andrews ideò un'ambientazione che ricordava l'interno di una dimo-
ra vittoriana, con tanto di scalinata maestosa t: -iampadari a corona.
Kubrick domandò a James Mason se poteva pensare a qualche ele-
mento da introdurre sul set per suggerire il bizzarro stile di vita di
Quilty. Mason suggerì di mettere un tavolo da ping-pong sotto a un
lampadario. Kubrick accettò l'idea. Con l'evolversi della scena,
225
Humbert e Quilty iniziano una partita mentre Humbert pensa di
ucciderlo. Sellers improvvisò e mentre continuava a giocare bombar-
dava Mason con una serie di estemporanee battute isteriche.
Per la scena in cui Humbert e Charlotte Haze trascorrono la loro
luna di miele in una località lacustre, Kubrick fece ricreare l'ambien-
tazione in studio. Il regista era talmente preoccupato di girare una
scena d'esterni tanto importante all'interno di uno studio, che iniziò
a rivedere il copione in modo da poter rappresentare in casa l'intera
scena, nella quale i sentimenti omicidi di Humbert verso Charlotte
prendono corpo.
La pazienza di Kubrick verso gli attori continuava ad assisterlo.
Durante le riprese della scena nella quale Charlotte Haze balla il cha
cha cha, Shelley Winters incontrò delle difficoltà a trovare il ritmo
della musica. Una scena di danza senza dialogo può essere recitata
consentendo agli attori di sentire la musica, ma in questo caso un
dialogo c'era. Kubrick non voleva postsincronizzare la scena, così
chiese agli attori di ballare senza musica. La Winters però non riu-
sciva a lavorare in quel modo, così, dopo una consultazione tra il
regista e l'attrice, fu deciso che sarebbe stato impiegato un percus-
sionista per segnare il tempo. Harris e Kubrick ritenevano che il
suono del tamburo non avrebbe .interferito con la registrazione del
dialogo perché nella scena definitiva avrebbero fatto suonare un
disco di cha cha cha e quindi il suono del tamburo si sarebbe amal-
gamato con la musica. Venne fatto arrivare da Londra un esperto
percussionista ma i problemi non erano ancora finiti. La Winters
insisteva affinché il musicista fosse sistemato al di fuori del suo
campo visivo e iniziò a lamentarsi che il ritmo non era quello corret-
to. Con un viso impenetrabile che non lasciava mai trasparire uno
scatto emotivo, illogico e risoluto Kubrick rifiutò di reagire e conti-
nuò a insistere finché non ottenne ciò che voleva.
La Winters mise a dura prova la pazienza di Kubrick. «Shelley
Winters era una persona molto difficile>>, disse Oswald Morris alla
rivista <<Film Dope>>, «perché voleva fare ogni cosa a modo suo. Per
poco non fu mandata via. A un certo punto Kubrick mi disse:
"Penso che la signora debba andarsene", e la cosa sarebbe stata molto
grave, considerando che eravamo a metà della lavorazione. Lui però
se ne sarebbe sbarazzato, non gli importava assolutamente nulla
delle conseguenze>>.
Il set su cui si svolgeva la scena del ballo nella palestra fu costruito
dal direttore artistico William Andrews e dalla sua squadra; la scena
richiese parecchi giorni di riprese. La festa per la vittoria di Kennedy
alle presidenziali doveva avere luogo entro pochi giorni, ma una
bufera di neve incombeva su Londra. Il giorno prima della festa,
226
Shelley Winters arrivò in studio con le valigie, pronta per partire per
Washington D.C. Al termine della giornata di riprese, Kubrick,
Peter Sellers e James B. Harris la chiamarono dietro al set della pale-
stra del liceo americano per discutere di una questione. «Peter, spie-
gaglielo tu>>, disse Kubrick a Sellers. «Stanley, sei tu il regista>>,
rispose Sellers. La Winters iniziò a temere che volessero licenziarla.
Alla fine, in modo piuttosto nervoso, Kubrick disse: «Lo so che ti
avevamo promesso che avresti potuto andare alla festa di Kennedy
ma c'è una bufera di neve sull'oceano e questo fatto rende nulla la
nostra assicurazione, non puoi volare, cerca di capire!>>. La Winters
scoppiò in lacrime. Sellers cercò di consolarla dicendole: «Ci hanno
promesso che faranno dire al presidente Kennedy qualcosa di molto
personale per te alla televisione britannica>>, ricorda l'attrice nella
sua autobiografia. La Winters ritornò piangendo al Dorchester. Lì
ricevette un cablogramma che le comunicava che era stata nominata
cerimoniera a un ballo per la stampa che si sarebbe tenuto alla Casa
Bianca e che lei sarebbe stata l'unica donna con il prestigioso incari-
co. La notizia servì da consolazione alla Winters, che continuò e
portò a termine il suo lavoro in Lo!ita.
Kubrick riscosse giudizi molto lusinghieri da tutti gli attori che
avevano lavorato nel film. Sue Lyon disse: «Il signor Kubrick non ha
mai umiliato o preso in giro alcun attore. Lo!ita avrebbe potuto esse-
re un film imbarazzante per quelli che ci lavoravano ma Kubrick
fece in modo che ciò non accadesse>>.
L'idea dell'immagine d'apertura di Lo!ita nacque a riprese ultima-
te. I titoli avrebbero dovuto correre sul piede di Lolita ripreso a tutto
schermo mentre Humbert le passava lo smalto sulle unghie. Il diret-
tore della fotografia Oswald Morris aveva terminato il lavoro sul film
e si stava occupando di un altro progetto. La ripresa era semplice ma
Kubrick ci si accostò con la meticolosità che riservava a ogni detta-
glio. Gli tornò in mente un film del 1955, l guastatori de!!e dighe, che
era stato fotografato da Gilbert Taylor, un cineoperatore inglese che
aveva iniziato nel 1929 come assistente operatore e che fin dal prin-
cipio degli anni Quaranta lavorava come direttore della fotografia.
Taylor era disponibile e illuminò delicatamente l'elegante ripresa. Il
piano sequenza si soffermò in modo ossessivo sul piede di Lolita, con
lo zelo di un feticista e l'allegria di un umorista.
Per Oswald Morris lavorare con Stanley Kubrick non fu un'espe-
rienza piacevole, al punto che egli arrivò a dire che non avrebbe mai
più lavorato con il regista. Morris aveva quarantacinque anni quando
effettuò le riprese di Lolita. Era entrato nell'industria cinematografi-
ca britannica a sedici anni e la sua carriera in ascesa era stata segnata
dal lavoro di apprendista, ciacchista, assistente operatore e infine
227
direttore delia fotografia. Prima di lavorare con Kubrick, Morris
aveva curato la fotografia di molti film incluso Moulin Rouge,
lndiscretion of an Amerù-an Wife, Il tesoro dell'Afrù-a, Moby Dick, la bale-
na biam-a, L'anima e la carne, Addio alle armi, Il nostro agente all'Avana,
Gli sfasati, I cannoni di Navarone. Nonostante l'enorme esperienza e il
suo talento, Kubrick continuava a controliare il modo in cui doveva-
no essere illuminati e ripresi i suoi film. «Ti diceva: "Adesso voglio
che questa scena sia illuminata come se ci fosse una sola lampadina
in mezzo al set..."», disse Morris a «Film Dope>>. «Quindici minuti
dopo tornava e diceva: "Che cosa sono tutte queste luci? Ti avevo
detto che volevo solamente una lampadina". E io gli rispondevo: "Il
set è sostanzialmente e fedelmente illuminato come se ci fosse sola-
mente una lampadina". Lo sfidavo, vedi[ ... ] Così litigavamo sempre
[ ... ] tutte queste intromissioni sull'illuminazione stavano diventan-
do noiose>>.
La relazione tra Oswald Morris e Kubrick sul set di Lolita era tra-
vagliata ma il delicato chiaroscuro di Morris e la maestria mostrata
da Kubrick nei piani sequenza conferirono al film un aspetto appro-
priato alla deliziosa prosa di Nabokov.
Kubrick contattò Bob Gaffney, l'operatore che aveva conosciuto a
New York sul set del cortometraggio di Alexander Singer e James B.
Harris, e gli propose di lavorare nella seconda unità di Lolita. Venne
ingaggiato Dennis Stock, un fotografo che aveva scattato molte delle
fotografie più note di James Dean, e gli venne riconosciuto il credito
del lavoro alla seconda unità insieme a Gaffney, cui non venne accre-
ditata. «lo, Dennis e un altro tizio percorrevamo la strada a bordo di
due station wagon», ricorda Bob Gaffney. La seconda unità era inca-
ricata di fotografare tutti i positivi per trasparente che dovevano
essere utilizzati nelle scene durante le quali Humbert e Lolita viag-
giavano attraverso gli Stati Uniti. Le scene con Sue Lyon e James
Mason erano filmate in Inghilterra all'interno di una macchina finta,
mentre veniva proiettata dietro di loro la pellicola del viaggio realiz-
zato dalla seconda unità. Vennero realizzate anche delle riprese ester-
ne della station wagon che percorreva la strada. <<Avevamo un mani-
chino che assomigliava a Lolita mentre l'altro tizio recitava la parte
di Humbert. La station wagon aveva un'apertura sul tetto e un sup-
porto per la macchina da presa sulla parte anteriore. Io saltavo su, mi
mettevo in piedi sul sedile ed effettuavo le riprese: riprendevamo
fondali, paesaggi e le macchine che passavano, spostandoci da un
luogo all'altro.
<<Ci dirigemmo verso sud e approdammo nella nebbia di
Gettysburg, attraversammo il campo di battaglia seminato di tutte
le statue e i monumenti che entreranno nella scena d'inizio di Lolita.
228
Poi all'improvviso ricevemmo un telegramma da parte di Stanley:
"Stop", così ci fermammo. Passarono i mesi, poi Stanley mi chiamò e
mi disse: "Sono a New York, hai voglia di andartene in giro a fare
altre riprese per la seconda unità?". Non voleva che qualcuno diri-
gesse la seconda unità, così io, lui e Christiane prendemmo le due
station wagon e cominciammo a guidare lungo le strade con un altro
tizio che doveva occuparsi di precederei, di accordarsi per i permessi
necessari e di effettuare le riprese nei motel eccetera».
<<Trascorremmo due o tre settimane per strada. Guidammo attra-
verso Rhode Island e Albany e poi di nuovo attraverso Rhode Island
fino ad arrivare a Newport; guidammo in lungo e in largo. Ricordo
quando percorremmo la Roure 128: io ero sul tetto della station
wagon e Stanley era al volante; avevamo con noi la sua amata Eyemo,
che era una Royal Navy Eyemo, e una Arriflex. Ci stavamo dirigen-
do in direzione di un terribile temporale; lo vedevo mentre avanzava
verso di noi, attraverso quel grande cielo cupo. Era fantastico, noi
andammo dritti dentro al temporale e io non riuscii a tirare giù la
macchina da presa abbastanza velocemente. Si trattava di uno di quei
torrenziali rovesci estivi. Riuscii a tirar dentro la macchina da presa
ma non a mettere la capote, così presi un grosso sacco della spazzatu-
ra e iniziai a fissarlo mentre continuavamo ad andare. Il sacchetto
della spazzatura si riempì d'acqua diventando una grossa bolla che
poi scoppiò inondandoci entrambi. Ridemmo come matti, quindi
uscimmo dall'autostrada e Stanley attraversò le strade secondarie di
quella piccola città finché non andò a infilarsi dritto nel garage di
qualcuno, ma uscì una donna che urlò: "Aiuto, vado a chiamare la
polizia!". Così noi ci muovemmo il più in fretta possibile, ritornam-
mo sulla strada principale e ripartimmo».
Poiché le riprese erano state completate in Inghilterra, Kubrick era
interessato a procurarsi del materiale girato in esterni che conferisse
realismo al lavoro girato in studio. C'era una scena nella quale
Humbert prendeva un taxi alla stazione dei treni: il taxi era stato
dipinto secondo le indicazioni fornite da Kubrick e la scena era stata
girata in studio. Quando Kubrick e Gaffney furono a Rhode Island,
trovarono una stazione che piacque molto al regista, così si informa-
rono sugli orari ferroviari in modo da sapere quando sarebbero arri-
vati i treni. Trovarono un taxi e riuscirono a girare la ripresa di un
treno a motore diesel che faceva il suo ingresso in stazione.
Sfortunatamente il taxi non era dello stesso colore di quello delle
riprese in studio e Kubrick non voleva pagare per farlo dipingere>>.
«Così tirammo fuori l'Amerù-.m Cinematographer Handbook», ricor-
dava Gaffney, «nel quale erano riportate delle foto gialle, rosse, blu e
verdi di alcuni piatti e veniva mostrato cosa accadeva se si scattavano
229
delle foto in bianco e nero utilizzando un filtro rosso e un filtro gial-
lo. Allora noi riuscimmo a far coincidere i colori dei due taxi ripren-
dendo la macchina con il filtro che secondo le indicazioni riportate
sul libro avrebbe trasformato il rosso nel grigio appropriato.
Chiamammo il taxi e dicemmo al conducente: "Guida fin qui". Così
Stanley realizzò le riprese come le desiderava; giravamo al mattino
presto e nel tardo pomeriggio in modo da avere una bella luce soffu-
sa. Vedi, disponevamo della troupe più economica del mondo>>.
Gaffney e Kubrick condividevano la passione per la letteratura.
Gaffney era alla costante ricerca delle opere di scrittori nuovi e inno-
vativi; lesse The Magie Christian di Terry Southern e lo consigliò a
Kubrick. Quest'ultimo era alla continua ricerca di materiale, quindi
lesse il libro e iniziò a conoscere lo scrittore oltraggioso e irriverente
con il quale avrebbe lavorato in futuro.
Nel 1961 Anthony Harvey, un diplomato della Royal Academy of
Dramatic Art che era apparso in Cesare e Cleopatra, lavorava come
montatore per i fratelli Boulting in film del tipo Operazione Fifa e
Nudi alla meta e La spia che venne dal freddo di Martin Ritt.
Harvey, che successivamente diventerà il regista di Il leone
d'inverno, They Might Be Giants e Intolleranza: Il treno fantasma, stava
ultimando il montaggio di La stanza a forma di L di Bryan Forbes
quando decise di scrivere una lettera a Stanley Kubrick, che in quel
periodo lavorava a Londra, la città nativa di Harvey, con la speranza
di,essere ingaggiato per effettuare il montaggio di Lolita.
<<Avevo apprezzato moltissimo Orizzonti di gloria>>, ricorda Harvey.
«Lo trovavo straordinario. Ricordo che rimasi seduto a guardarlo con
le mani che mi sudavano, quel film mi mise al tappeto. Gli scrissi e
feci cinque o sei colloqui con lui perché ciò che desiderava soprattut-
to scoprire era la mia disponibilità>>.
«Mi sottopose a un vero e proprio interrogatorio>>, disse Harvey al
regista e storico John Andrew Gallagher. «"Che orario di lavoro fai?
A che ora vai a dormire? Sei sposato? Vai in vacanza?". Voleva una
persona che fosse lì sette giorni alla settimana, ventiquattr'ore su
ventiquattro>>.
«A ogni modo, dopo circa sei colloqui mi disse: "Vorrei che ti
occupassi tu del montaggio", quello sì che fu un momento emozio-
nante>>. Harvey allestì una sala di montaggio agli Elstree Studiose si
preparò a montare Lolita.
Lo stile regisrico adottato da Kubrick in Lulita consisteva nel
riprendere gli attori e la storia in piani sequenza. «Concepì la narra-
zione sulla base di lunghi piani sequenza>>, ricorda Anthony Harvey.
«Faceva dei piani sequenza che per gli attori costituivano uno stru-
mento straordinario per costruire un'emozione. Se continui a dire:
230
"Taglia", non c e speranza. Talvolta faceva delle riprese di dieci
minuti». La lezione critica su quando non bisognava tagliare fu di
grande aiuto a Harvey quando lavorò come regista. «Ho sempre
fatto i piani sequenza da solo. Sono stato influenzato da Stanley>>,
disse Harvey.
Anthony Harvey e Stanley Kubrick lavorarono fianco a fianco
durante la fase di montaggio di Lolita. Iniziarono a sviluppare uno
stile di raccordo delle scene che si basava su una dissolvenza in nero
con una lunga pausa prima di passare con una nuova dissolvenza alla
scena successiva. Questo stile creò una struttura suddivisa in capito-
li. La dissolvenza che conclude una scena per passare alla successiva
non costituiva una novità, ma Kubrick e Harvey iniziarono a portar-
la alle estreme conseguenze conferendo al film uno stile personale.
«Queste cose non vengono fuori dalla sceneggiatura, queste cose
vengono sempre fuori quando ci si trova alla moviola».
Kubrick non realizzò una grossa copertura di angolazioni per le
inquadrature convenzionali, ma un'alta percentuale di piani sequen-
za finché non ottenne il risultato che cercava, riprendendo solo rara-
mente dei controcampi. «La cosa grandiosa che fece fu di non taglìa-
re per passare a mostrare la reazione di un personaggio se l'attore in
questione stava offrendo una interpretazione brillante; lo spettatore
immaginava da solo la reazione>>, spiega Anthony Harvey.
«È l'uomo più straordinario con il quale abbia lavorato. Non ho
mai incontrato un simile spirito indagatore nei confronti della
realtà, di ogni singolo libro, parola, dettaglio. La sua era una concen-
trazione enorme, completa, assoluta. Adoravo lavorare con lui. Aveva
un senso dell'umorismo molto nero e buffo, e noi andavamo molto
d'accordo. Di solito gli davo un passaggio a casa di ritorno dallo stu-
dio: passavamo tutto il tempo a discutere, poi mi diceva di fermarmi
per la cena. Trascorsi una vacanza a Parigi insieme a Stanley e a
Christiane. Gli ero molto affezionato>>.
Il montaggio definitivo di Lolita si attenne scrupolosamente alla
sceneggiatura finale, che si basava sull'adattamento cinematografico
di Nabokov tratto dal suo romanzo. La Lolita di Kubrick seguiva lo
spirito di Nabokov ma era modellata all'interno di una nuova storia
cinematografica.

Per comporre la colonna sonora di Lolita fu scelto Nelson Riddle,


orchestratore, compositore e direttore d'orchestra, che aveva realizza-
to gli arrangiamenti per molte registrazioni di Frank Sinatra. Riddle
era noto per i suoi arrangiamenti sensuali e romantici e rappresenta-
va una scelta astuta che dava credibilità e insieme ironico contrap-
punto alla storia d'amore proibita narrata dal film.
231
Per il tema principale della colonna sonora, James B. Harris si
rivolse a suo fratello, un compositore specializzato in temi musicali
che aveva uno studio sulla Cinquantasettesima strada a Manhattan.
Il tema utilizzato per Lolita non era stato scritto appositamente per
il film, ma quando James B. Harris lo portò a Kubrick, questi se ne
innamorò all'istante.
Il regista aveva già chiesto di comporre la musica per Lolita a
Bernard Herrmann, autore della colonna sonora di Quarto potere, La
donna che visse due volte e Psycho, considerato il compositore psicologi-
camente più intenso di Hollywood, ma Herrmann aveva rifiutato
una volta appreso che avrebbe dovuto utilizzare il tema musicale di
Bob Harris.
Nelson Riddle andò a Londra per incidere la colonna sonora del
film insieme a Gil Grau, il suo orchestratore. Harris e Kubrick erano
molto preoccupati di tenere fuori dal film ogni accenno di deprava-
zione: era già più che sufficiente doversi occupare delle premesse
affrontate nella storia in grado da sola di scuotere un Paese che anco-
ra si reggeva su un conservatorismo morale. Il decennio della rivolu-
zione sessuale era ancora ai suoi albori; Lolita avrebbe aiutato ad
aprire le porte ma prima doveva passare attraverso il vecchio sistema.
Durante la registrazione del tema d'amore composto da Riddle,
Harris e Kubrick si preoccuparono nel sentire che il pezzo era stato
scritto in una chiave minore. Venne chiesto ai musicisti di smettere
di suonare, mentre Harris e Kubrick parlavano con Riddle. Quello
che volevano era un suono romantico lineare e non una forma di dis-
sonanza che avrebbe potuto svilire la figura di Humbert agli occhi
del pubblico.
Una volta che Lolita fu completato, il passaggio finale per ottenere
il marchio di approvazione dalla Mpaa era imminente. Il film fu por-
tato in America; il montatore Anthony Harvey e il suo assistente si
recarono negli Stati Uniti e alloggiarono in un hotel per essere
disponibili qualora ci fosse stato bisogno di loro. L'approvazione
poteva essere concessa solamente a un film terminato che possedesse
i requisiti richiesti dalla Mpaa. Sin dal principio Harris e Kubrick si
erano avvalsi dei consigli di Martin Quigley, responsabile della
Quigley Publications che aveva partecipato alla definizione del
Codice di Protezione; Quigley infatti era in grado di fornire loro
delle indicazioni riguardo agli elementi che più preoccupavano la
Mpaa. Fu così che il film prodotto dalla Harris-Kubrick passò
indenne attraverso alcune delle insidie più comuni poste dal sistema.
l due soci sapevano che non sarebbero riusciti a esplorare i livelli più
profondi della sessualità, come invece avveniva nel libro, ed erano
consapevoli del fatto che Humbert non avrebbe mai dovuto apparire
232
come un depravato. Era necessario accostarsi al campo minato della
metafora sessuale con astuzia e raffinatezza, e soprattutto Lolita non
doveva sembrare così giovane come era nel romanzo di Nabokov.
Il processo di fare attraversare a Lolita il pantano della censura ini-
ziò nel settembre del 1958, mentre Harris e Kubrick stavano valu-
tando l'idea di comperare i diritti sul romanzo proibito. Nelle sue
note, Geoffrey Shurlock affermava di ritenere che il soggetto sarebbe
probabilmente finito nell'area della perversione sessuale che era proi-
bita dalla censura. Harris e Kubrick suggerirono che avrebbero fatto
sposare Humbert e Lolita in uno Stato come il Kentucky o il
Tennessee, dove l'unione sarebbe risultata legale. Shurlock concordò
sul fatto che un matrimonio legale avrebbe evitato che il soggetto
rientrasse nell'ambito della perversione ma sostenne che se la ragaz-
zina continuava a sembrare una bambina il film sarebbe stato consi-
derato comunque offensivo e non avrebbe ricevuto il marchio di
approvazione. Kubrick e Harris promisero a Shurlock che il film non
sarebbe risultato offensivo e che si sarebbero avvalsi dell'umorismo
per rendere gradevole la relazione. La Harris-Kubrick voleva evitare
la valanga di problemi che avevano dovuto affrontare L'uomo dal brac-
cio d'oro di Otto Preminger, al quale venne negata l'approvazione, e
Baby Doli (La bambola viva), il film del 1956 di Elia Kazan che era
stato condannato dalla Legion of Decency.
Nel marzo 1959, quando la Warner Bros. cominciò a interessarsi
al film, Shurlock si incontrò con i dirigenti della Warner per discu-
tere della possibilità di alzare l'età di Lolita a quindici anni in modo
che la storia riguardasse un uomo di mezza età che sposa una giovane
moglie che gli rovina la vita. Shurlock consigliò ai rappresentanti
della Warner di considerare seriamente le reazioni ostili che si sareb-
bero sollevate di fronte al progetto; egli disse ai dirigenti che ritene-
va Lolita un problema, indipendentemente da come fosse stato
riscritto.
Nel giugno 1959, Shurlock si incontrò con i dirigenti della
Columbia e li mise al corrente di quanto aveva riferito alla Warner
Bros.; discussero dell'età di Lolita e questa volta Shurlock disse loro
che il marchio di approvazione sarebbe stato negato anche se la pro-
tagonista avesse avuto quindici anni.
Il 9 febbraio 1960 Kubrick inviò una lettera a Shurlock da un uffi-
cio della Universal lnternational Pictures per scusarsi di una notizia
riguardante Lolita. Secondo un servizio giornalistico delia Associated
Press scritto dal reporter Bob Thomas, Kubrick avrebbe detto che
ormai il parere della Mpaa non avrebbe fatto più molta differenza.
Kubrick assicurò a Shurlock che le sue parole erano state citate erro-
neamente e che non corrispondevano alla sua reale opmwne.
233
Shurlock, l'eterno diplomatico, rispose a Kubrick di non aver letto la
citazione errata e che accettava le sue scuse, spiegandogli che spesso
era accaduto anche a lui che il senso delle sue parole fosse stato travi-
sato. Shurlock disse a Kubrick che era stato gentile e che aspettava
con impazienza l'uscita di Spartacus.
Nel dicembre 1960, Kubrick ricevette una lettera dalla Mpaa nella
quale gli veniva comunicato che dopo un attento esame Lolita era
stato giudicato un film inaccettabile. «Prescindendo dall'opinione
che si ha della moralità del libro, esso era scritto in modo superbo>>,
affermava l'esaminatore. «A mio avviso questa sceneggiatura ha tra-
sformato un importante risultato letterario nel peggior tipo di rap-
pezzato guazzabuglio che si possa immaginare>>. Nell'ampio rappor-
to venne inclusa una lunga lista di rimostranze riguardo al linguag-
gio e alle allusioni presenti nel film.
Il 14 dicembre, John Trevelyan del British Board of Film Censors
scrisse una lettera a Geoffrey Shurlock nella quale domandava preoc-
cupato se la Mpaa avrebbe concesso a Lolita il marchio di approva-
zione. Trevelyan aveva avuto una discussione con Kubrick, il quale
stava indagando sulla posizione dei censori britannici riguardo al
progetto. Trevelyan comunicava a Shurlock che se il British Board of
Film Censors fosse stato costretto a rifiutare l'approvazione al film,
avrebbe trovato il sostegno di molti di coloro che non avevano letto
il romanzo. <<Naturalmente gli intellettuali ci farebbero a pezzi>>,
disse Trevelyan alla controparte americana. Il l O gennaio 1961,
Shurlock scrisse a Trevelyan di non avere ancora visto la sceneggiatu-
ra di Lolita e di ritenere che Kubrick sapeva che il suo progetto
sarebbe risultato inaccettabile.
Tre giorni dopo, il 13 gennaio, James B. Harris scrisse a Martin
Quigley della Quigley Publishing al Rockefeller Center di New
York; Harris si trovava negli uffici della Harris-Kubrick presso gli
Elstree Studios. <<Non c'è molto da dire riguardo ai due copioni qui
acclusi, se non che sono stati completamente rivisti sulla base di
tutte le nostre discussioni>>, scriveva Harris. <<La prego di notare che
tutte le descrizioni sono state riviste con grande attenzione in modo
da evitare ogni possibile confusione. Sia io che Stanley aspettiamo
con ansia sue notizie riguardo alla reazione che la sceneggiatura
suscita in California>>.
Quigley iniziò a promuovere la causa della Harris-Kubrick presso
Shurlock agendo da intermediario, concordando con le obiezioni
poste dalla Mpaa e guidando Harris e Kubrick verso la risoluzione
del problema. Nel frattempo Kubrick continuava le riprese del film.
Il 23 gennaio 1961 Quigley avvertì Shurlock che <<era stata effettua-
to solamente il 40 per cento delle riprese {di Lolita} e che quindi
234
c'era ancora tutto il tempo per poter apportare le numerose modifi-
che che [avrebbero potuto} rendersi necessarie durante il premontag-
gio>>, raggiungendo così lo scopo di mantenere viva la trattativa.
Il 30 gennaio, Harris scrisse a Quigley per comunicargli che lui e
Kubrick erano stati incoraggiati dalle reazioni mostrate dalla Mpaa
riguardo alla sceneggiatura e gli assicurarono che non avevano mai
inteso commercializzare o fare scalpore con il romanzo di Nabokov.
Harris inoltre garantì a Quigley che avevano fatto ogni sforzo per
eliminare qualunque elemento osceno e gratuito e che avrebbero
continuato a seguire i suggerimenti di Quigley e Shurlock. Harris
incluse un documento dettagliato mandato da Shurlock; egli assi-
curò a Quigley che <<pur sforzando al massimo l'immaginazione>> la
Lolita presentata dai giornalieri non aveva meno di quindici anni.
Harris inviò a Quigley <<i miei più sinceri ringraziamenti per i suoi
sforzi e l'interesse dimostrato, e le assicuriamo che rimarrà soddisfat-
to quando vedrà il prodotto finito>>.
Il 6 febbraio 1961 Quigley scrisse a Shurlock dando garanzia del
fatto che c'era ancora il tempo sufficiente a discutere con Harris e
Kubrick i problemi riguardanti Lolita. Due giorni dopo, Shurlock
inviò una lettera di risposta a Quigley nella quale lo invitava a pre-
mere affinché Harris considerasse l'idea di realizzare delle inquadra-
ture di riserva di alcuni punti sui quali la Mpaa non aveva ancora
espresso un parere favorevole, e suggeriva a Kubrick di girare diver-
samente le scene in modo da non violare le regole imposte dal Codice
di Protezione. Shurlock si mostrò preoccupato soprattutto per una
scena nella quale Lolita discuteva con Humbert a proposito di un
gioco che lei aveva fatto con un ragazzo. <<Il dialogo che segue ci pare
una discussione eccessivamente enfatizzata sulla fornicazione>>, scri-
veva Shurlock. <<Riteniamo che, considerate le circostanze, il sussurro
nell'orecchio di Humbert sarà interpretato come un'oscenità>>.
Quigley continuò il suo lavoro di intermediazione tra Shurlock e la
Harris-Kubrick. Il 25 maggio 1961 scrisse a Harris comunicandogli
che Lolita aveva ottenuto il marchio d'approvazione numero 20000.
<<Pensiamo che questo numero bello tondo sia di buon auspicio>>,
scrisse Quigley a Harris. Il numero era stato dato per comodità del
produttore che doveva preparare i titoli di testa. Il marchio di appro-
vazione non poteva comparire finché il film non fosse stato ultimato
e avesse ricevuto il certificato ufficiale.
in Inghilterra il canonico Juhn CoHins, ii presidente della
Christian Action, chiese che il British Board of Censors rifiutasse di
concedere l'approvazione a Lolita.
Il 29 agosto 1961, Geoffrey Shurlock scrisse a James B. Harris per
informarlo che Lolita era prossimo a ricevere l'approvazione ma che
235
c'erano ancora quattro punti da discutere. Shurlock suggerì che la
scena di seduzione tra Humbert e Lolita avrebbe dovuto terminare
prima, magari quando Lolita iniziava a sussurrare nell'orecchio di
lui; egli avanzò anche delle obiezioni riguardo alla risposta di
Humbert a una battuta di Charlotte a proposito di sentirsi cedere le
gambe, a Humbert che brontola nel bagno e alla battuta di
Charlotte: «Dove si riesce ad avere un po' di pace>>. Shurlock voleva
che quei punti fossero rivisti prima di assicurare il rilascio del mar-
chio di approvazione a Lolita.
Dopo aver ricevuto la lettera, Harris rispose a Shurlock: «Ho
appena parlato al telefono con Stanley Kubrick che in questo
momento è a Londra e abbiamo discusso dei quattro punti citati
nella sua lettera. Abbiamo acconsentito a mettere subito mano alle
revisioni del film per quanto ci sarà consentito dalle questioni tecni-
che, con il preciso intento di soddisfare le obiezioni da lei avanzate>>.
Harris consigliò a Shurlock di inviare il marchio di approvazione in
Inghilterra alle A.A. Productions. Harris stava tornando a New
York e chiese a Shurlock di chiamarlo presso il loro avvocato Louis
C. Blau.
Il 31 agosto Harris scrisse di nuovo a Shurlock comunicandogli
che lui e Kubrick intendevano eliminare i rumori fuoricampo di
Humbert quando Charlotte è f4ori dalla porta del bagno e inserire
una dissolvenza dopo che Lolita si sposta di lato e dice:
<<Cominciammo cosÌ», che quindi comportava l'eliminazione della
battuta.
Michael Linden, direttore associato della Advertising Code
Administration, scrisse a Sid Glasser della Mgm che la Legion of
Decency e la Seven Arts avevano acconsentito a far comparire sulla
pubblicità di Lolita la dicitura: «Questo film è stato approvato dalla
Mpaa>>; successivamente venne suggerito che fosse cambiato in Pca,
Pictures Code Administration.
Nel settembre del 1961 la Columbia Pictures manifestò l'interesse
di distribuire Lolita. In Inghilterra il British Board of Film Censors
assegnò a Lolita un "X certificate" che stava a indicare che la visione
del film era riservata a un pubblico adulto. John Collins indisse una
campagna diretta a far bandire il film, proclamando che: «La proie-
zione di Lolita potrebbe portare allo stupro o addirittura all'assassi-
nio>>. L'X certificate stabiliva: «( ... ) che la proiezione di Lolita è
approvata solo quando non sono presenti ragazzi al dei sotto dt:i
sedici anni>>.
L'approvazione del film in Inghilterra ruotava interamente intorno
alla figura di John Trevelyan che era membro in carica del British
Board of Film Censors che era finanziato dall'industria cinematogra-
236
fica. Durante la stesura della sceneggiatura Kubrick si era rivolto a
Trevelyan insieme al quale, così come era stato con Shurlock, era riu-
scito a risolvere numerosi problemi prima dell'inizio delle riprese. Il
problema principale che Trevelyan aveva riscontrato nella sceneggia-
tura riguardava una sequenza nella quale Humbert raccontava la sua
attrazione per le ninfette e la sua narrazione era illustrata da un
montaggio di giovani scolare, commesse e maschere. Trevelyan scon-
sigliò a Harris e Kubrick di girare la scena, che infatti venne elimi-
nata dalla sceneggiatura.
Alla fine Lolita fu distribuito dalla Mgm. La Harris-Kubrick creò
due compagnie di produzione: la Anya Productions, che prendeva il
nome dalla secondogenita di Kubrick, la prima avuta con Christiane,
e la Transworld Pictures, entrambe registrate in Svizzera.
Gli incontri con Quigley si rivelarono cruciali per Harris e
Kubrick, ma a quel tempo il loro senso dell'umorismo nero e la ten-
denza a scivolare nella battuta resero loro difficile parlare seriamente
dell'assurdità delle severe linee guida imposte dal Codice di
Protezione. Era nel loro pieno interesse che tutto procedesse al
meglio, così quando erano colti da un attacco di leggerezza facevano
del loro meglio per far buon viso a cattivo gioco.
Quella di scritturare Sue Lyon fu una decisione chiave perché il
film fosse approvato: venne scelta lei come attrice perché non sem-
brava una ragazzina di dodici o quattordici anni trasformata in un
oggetto sessuale per legittimare l'ossessione di Humbert.
Durante la produzione del film, Eliot Hyman della Associated
Artists fondò una nuova società, la Seven Arts, insieme a Ray Stark
che era stato l'artefice dell'accordo tra la Bryna di Kirk Douglas e la
Harris-Kubrick.
Eliot Hyman, James B. Harris e Stanley Kubrick erano molto
ansiosi che la Legion of Decency togliesse il veto posto su Lolita, per
poter concludere gli accordi di distribuzione. Il film fu portato a
monsignor Little della Legion of Decency e Lolita venne proiettato
di fronte a una platea di ecclesiastici, suore e preti. Al termine della
proiezione essi compilarono delle schede esprimendo le loro reazioni.
Alcuni giorni dopo, Harris si incontrò con monsignor Little il quale
gli mostrò le schede; alcuni di quelli che avevano assistito alla proie-
zione avevano espresso un parere positivo sul film, tuttavia il monsi-
gnore disse a Harris che aveva deciso di porre il veto a Lolita come
aveva fatto con un altro film realizzato poco tempo prima, La dolce
vita di Fellini. Questo significava che Lolita avrebbe fatto parte di
una lista di film condannati dalla Chiesa; tale lista sarebbe stata
divulgata attraverso i quotidiani parrocchiali come «The Tablet>> nel
Queens a New York. Il messaggio a tutti i cattolici sarebbe stato di
237
non vedere il film, quindi tutti quelli che fossero andati a vedere
Lolita avrebbero commesso un peccato.
Eliot Hyman iniziò a discutere con Harris e Kubrick del loro dirit-
to previsto dal contratto di poter migliorare qualunque accordo di
vendita o di distribuzione proposto dalla Seven Arts entro sessanta
giorni. Egli cercava di far perdere loro il controllo che esercitavano
su quell'area in modo da riuscire a vendere il film che oltretutto
stava avendo dei problemi con la Chiesa cattolica.
Poi Harris ricevette una telefonata da Ray Stark che, in qualità di
rappresentante della Seven Arts, gli fissò un incontro nel suo appar-
tamento di New York nel corso del quale gli disse: «Così finirete per
uccidere Eliot, lo state facendo ammalare», ricorda Harris. <<State
intralciando il film>>. Harris iniziava a sospettare che la Seven Arts
volesse utilizzare la versione definitiva di Lo!ita come parte di un
piano di sviluppo della casa di produzione. Harris ricorda che Ray
Stark disse: <<Ogni volta che incontrate Eliot lo fate irritare; dovete
decidere se rilevare la nostra quota oppure se vendere a noi la vostra,
perché così non si può continuare>>. <<Allora dissi: "Va bene, Ray,
come faccio a comprare la vostra parte se il film costa 1.800.000 dol-
lari? Voi non avrete certo intenzione di cederlo per la stessa somma
che avete investito, certamente vorrete ricavare un profitto e dove
trovo il denaro sufficiente per liquidarvi ?". Allora egli rispose:
"Bene, allora saremo noi a rilevare la vostra quota">>. La Harris-
Kubrick riuscì a mantenere il controllo sul montaggio finale del
film, si ritirò dall'accordo, ricevette un anticipo e riuscì a pareggiare
il conto con l'accordo stipulato per Orizzonti di gloria quando Stark
era ancora un agente. L'accordo con Stark prevedeva che sarebbe stata
corrisposta una certa somma se su Lo!ita fosse rimasta la condanna
della Chiesa e una somma più alta se tale divieto fosse stato revocato.
Fu così che la Harris-Kubrick avviò delle trattative di mediazione
con la Legion of Decency affinché questa modificasse il giudizio
espresso sul film. A un certo punto Eliot Hyman cercò persino di
offrire un cospicuo contributo alla Chiesa, ma monsignor Little non
era corruttibile: le sue azioni prendevano le mosse dalla vocazione
che lo portava a proteggere la morale dei cattolici del Paese.
Il monsignore espresse con grande chiarezza ciò che riteneva offen-
sivo in Lolita. Egli disse a Harris di essere ben consapevole di tutte
le allusioni sessuali contenute nel film e contestò molte di esse, come
la scena tra un direttore di hotel, Peter Sellers e ii personaggio di
Vivian Darkbloom; disse al produttore che il tono tra gli uomini
rimandava in modo esplicito a un'avance omosessuale e citò delle
battute che riguardavano il disfarsi delle energie in eccesso e i riferi-
menti a cosce bloccate in una presa di judo.
238
Harris non tentò di convincere il religioso pieno di buonsenso che
quei messaggi sessuali non esistevano, ma si appellò a lui sostenendo
che la Legion of Decency era particolarmente rigida nei confronti del
film perché la natura dell'opera di Nabokov predisponeva a pensare
che il film fosse peccaminoso.
Dopo una lunga serie di negoziazioni, ottenere l'approvazione
divenne solamente una questione di pochi tagli. Una ripresa di
Humbert che guarda la fotografia di Lolita posta sulla scrivania e un
primo piano della fotografia vennero eliminate, perché ciò che veni-
va percepito era che la ripetuta contemplazione della fotografia costi-
tuiva uno stimolo sessuale ed enfatizzava i suoi sentimenti ossessivi
nei confronti della ragazza. Un'altra scena provocante che doveva
essere rivista era quella in cui Lolita e Humbert sono su una brandi-
na e lei, dopo avergli sussurrato in un orecchio, gli domanda: «Non
hai mai giocato a questo gioco da ragazzo?>>, per poi piegarsi su di
lui in un atteggiamento che lascia intuire che faranno l'amore; poi la
scena terminava con una dissolvenza. Per poter mantenere la scena la
dissolvenza venne anticipata. Quando Charlotte Haze dice: «Quando
mi tocchi io sento piegarmisi le ginocchia>> originariamente Harris e
Kubrick volevano che Humbert replicasse: <<Succede lo stesso anche
a me>>, mentre invece la battuta fu cambiata in: «Conosco questa
sensazwne>>.
Monsignor Little pretese che i produttori acconsentissero a inserire
due frasi sui volantini pubblicitari: «Vietato ai minori di diciotto
anni>> e «Questo film ha ottenuto l'approvazione della Mpaa>>.
Kubrick e i media afferrarono bene il concetto che la sedicenne Sue
Lyon recitava in Lolita ma non era grande abbastanza per vederlo.
Sue Lyon affermò di aver visto il film alla prima a Londra perché in
Inghilterra la visione del film era consentita anche ai sedicenni.
Il 31 agosto 1961, Lo!ita ottenne ufficialmente il marchio d' appro-
vazione numero 20000 firmato da Geoffrey M. Shurlock, il presiden-
te della Motion Picture Association of America, così venne stipulato
un accordo con la Mgm per la distribuzione. Lo studio sostenne la
battaglia della Harris-Kubrick per riuscire a far passare il film attra-
verso le fitte maglie della censura con lo slogan: «Come sono riusciti
a trarre un film da Lo!ita?>>.
Furono presentate diverse versioni sulla reazione di Vladimir
Nabokov alla versione definitiva del film. Poco dopo la proiezione,
Nabokov disse a James B. Harris che gli sarebbe piaciuto che molti
degli elementi presenti nel film fossero stati espressi anche nel libro,
lasciando intendere al produttore che lo scrittore aveva apprezzato il
risultato cinematografico. Durante una cena in occasione di Lo!ita,
organizzata da Kubrick al ristorante Four Seasons di New York,
239
Nabokov disse di aver ammirato il film e si congratulò con Kubrick
per aver aggiunto una serie di ritocchi ai quali egli stesso non aveva
pensato.
Un mese dopo l'inizio della distribuzione del film, Vera Nabokov
scrisse a un cugino: «Vladimir era preoccupato per il film ma già
dopo la prima di Lolita [ ... ] si è sentito completamente rassicurato.
Il film avrebbe potuto essere in qualche modo diverso se l'avesse
fatto egli stesso ma era comunque un prodotto eccellente e non con-
teneva alcun elemento che potesse apparire offensivo, falso o di catti-
vo gusto. Ha persino trovato che alcune delle modifiche apportate
alla sua sceneggiatura siano state molto "felici">>.
Nabokov, che era interessato a pubblicare la sceneggiatura quando
uscì il film, non acconsentì a far uscire la sua interpretazione cine-
matografica del romanzo a distanza di un anno dalla distribuzione
del film. Attese dieci anni prima di vedere pubblicata la sua sceneg-
giatuta. Nell'introduzione scritta nel 1973, lo scrittore narrò della
sua prima reazione di fronte alla produzione Harris-Kubrick. Egli
vide il film il 13 giugno 1962 al Loew's State di New York e
nell'introduzione lo scrittore afferma di aver pensato che Kubrick
fosse «un grande regista>> e che Lolita rappresentasse «un film di
prima qualità con attori magnifici>>, ma di aver avuto la sensazione
che fossero stati utilizzati «solo brandelli sparsi>> della sua sceneggia-
tura. Definì il film come «certe traduzioni di Rimbaud e Pasternak
fatte da un poeta americano>>. Descrisse la sua prima reazione come
un «misto di irritazione, rammarico e piacere riluttante>>.
Nabokov fu deliziato dalle invenzioni di Kubrick e Sellers della
scena del ping-pong e di quella di Mason che dopo la morte di
Charlotte beve uno scotch nella vasca da bagno. Invece trovò irritan-
ti la scena in cui la branda di Sue Lyon si piega e le arie che si dà la
ragazza. Nel complesso ritenne che la maggior parte delle sequenze
rappresentavano un passo avanti rispetto a quelle scritte da lui. Il
contrasto più interessante tra la sceneggiatura di Nabokov e il film
di Kubrick consisteva nel fatto che l'autore aveva cercato con ogni
mezzo di rendere la sceneggiatura cinematografica mediante struttu-
re ed espedienti filmici; il film di Kubrick invece si sforzava di nar-
rare il racconto di Nabokov cimentandosi meno nelle tecniche cine-
matografiche. Lolita ottenne solamente la nomination all'Oscar per
la miglior sceneggiatura; e poiché a Nabokov era stato concesso il
credito esclusivo, la nomination risultò essere a suo nome.
Lolita rappresentò la prima incursione di Kubrick nella commedia
nera. La sua sensibilità "nera" e il perfido senso dell'umorismo confe-
rirono all'eleganza del film un tocco di cinismo. Kubrick fece ricorso
a piani sequenza e a complesse messinscene. La natura letteraria del
240
materiale è tradotta sul piano cinematografico per mezzo di una nar-
razione ingegnosa ed è strutturata in languide dissolvenze. Molte
delle scene sfociano nel nero che domina lo schermo per un tempo
superiore rispetto a quello solitamente impiegato e che sortisce
l'effetto di concludere un capitolo del libro. La resa cinematografica
legava Lolita alla sua fonte letteraria mentre le aggiunte e le revisioni
apportate da Kubrick al romanzo e alla sceneggiatura di Nabokov lo
trasformavano in un film. L'elegante prosa di Nabokov esplorava gli
oscuri recessi della perversità di Humbert; l'occhio attento dei censo-
ri però non consentiva un fedele adattamento di Lolita, così Kubrick
aggirò il problema facendo ricorso a invenzioni comiche sopportate
dall'abilità proteiforme di Peter Sellers che mantenevano il tono del
libro e nel contempo divertivano e intrattenevano lo spettatore.
Sebbene Lolita fosse stato prodotto in Inghilterra e la maggior
parte degli attori scritturati fosse di origine inglese, Kubrick creò un
film impregnato essenzialmente di spirito americano. Le sequenze
lungo le strade di tutta l'America riprese da Bob Gaffney, Dennis
Stock e Stanley Kubrick conferirono al film l'impronta di un roman-
zo di Jack Kerouac, di una fotografia di Robert Frank e di un poema
di Allen Ginsberg. Lolita è un road movie di stampo americano dove
la strada conduce verso le viscere dell'ossessione.
Dopo aver terminato il lavoro per Lolita, Kubrick fece ritorno a
New York lasciando il montatore Anthony Harvey a occuparsi del
negativo originale e a controllare la qualità della stampa. Ben presto
Harvey divenne un membro molto fidato della squadra di produzio-
ne inglese di Kubrick.
Nel 1974, la McGraw-Hill pubblicò la sceneggiatura originale di
Lolita scritta da Nabokov, che la dedicava alla moglie Vera. Nabokov
spiegò ai lettori che non si trattava della sceneggiatura utilizzata da
Stanley Kubrick: <<Questa è l'autentica sceneggiatura di Nabokov,
non la versione utilizzata nella produzione cinematografica di Lolita
distribuita dalla Metro-Goldwyn-Mayer, Inc.>>. La sceneggiatura reca
la data dell'estate del 1960 e fu revisionata nel dicembre del 197 3
quando Nabokov reintrodusse alcune delle scene della sua versione
originale di quattrocento pagine.
Kubrick si rese conto a posteriori che l'intervento censorio aveva
colpito duramente il suo Lolita. «Nel film non potei dare il giusto
peso all'aspetto erotico della relazione di Humbert con Lolita e poi-
ché riuscii solo a fare cenno alia verd naturd della sua attrazione, gli
spettatori furono indotti a pensare troppo presto che Humbert ne era
innamoratO>>, rivelò il regista a Gene D. Phillips. «Nel romanzo
invece questa scoperta giunge solo alla fine quando Lolita non è più
una ninfetta ma una massaia incinta, ed è proprio l'improvvisa presa
241
di coscienza dell'amore di Humbert per lei a costituire uno dei
momenti più pregnanti della storia>>.
Lolita piacque alla critica cinematografica Pauline Kael, che disse:
«Ciò che ci sorprende in Lolita è la sua godibilità; si tratta della
prima nuova commedia americana dai tempi in cui Preston Sturges
creò la slapstick comedy basata sul farsesco verbale grossolano nei
mitici anni Quaranta. Lolita è una farsa nera che si spinge fino a farti
ridere e trasalire insieme>>.
Kubrick girò Lolita in ottantotto giorni, con una spesa complessi-
va calcolata tra i 1.900.000 e i 2.250.000 dollari e la proiezione che
avvenne in un numero selezionato di sale cinematografiche fruttò un
incasso lordo di 4. 500.000 dollari. Gli incassi iniziarono a calare
quando il film si spostò in periferia. La Harris-Kubrick aveva sotto
contratto Sue Lyon, e quindi alla compagnia di produzione sarebbe
spettata una percentuale sul compenso della giovane attrice per la
sua recitazione nei due film successivi: La notte dell'iguana e Missione
in Manduria.
Nel frattempo in Francia Jean-Luc Godard, che era impegnato a
cambiare il volto del cinema con i suoi film Fino all'ulti111o respiro, La
donna è donna e Questa è la mia vita, aveva l'occhio puntato su Stanley
Kubrick e teneva sotto controllo il regista con il suo modo eccentri-
co ma appassionato di scrivere di cinema: <<Stanley Kubrick ha
debuttato copiando freddamente le carrellate di Ophuls e la violenza
di Aldrich>>, scriveva Godard, «poi si è arruolato nel commercio
intellettuale inseguendo gli orizzonti di gloria di un altro K, uno
Stanley più adulto che si credeva Livingston ma la cui pesante since-
rità finirà per trionfare a Norimberga, mentre la capacità di farsi
osservare di Stanley junior affonderà nella cartapesta di Spartaco
senza arrivare a colpire il bersaglio desiderato. Lolita quindi faceva
temere il peggio; sorpresa: è un film semplice, lucido, scritto in
modo preciso, che rivela l'America e il suo sesso meglio di Melville o
Reichenbach e che prova che Kubrick non deve abbandonare il cine-
ma, a condizione di filmare personaggi che esistono e non idee, che
esistono soltanto nei cassetti dei vecchi sceneggiatori che credono
che il cinema sia la settima arte>>.
Come sempre, Kubrick era attento all'esito dei suoi film: lesse
attentamente le recensioni e gli articoli su Lolita. Fu contento delle
recensioni che in generale si mostravano favorevoli ma scrisse una
lettera tagliente al britannico «Observer» che fu pubblicata sul
numero del 24 giugno 1962. Da New York, Kubrick si lamentava
dell'articolo intriso di cinismo che Michael Davie aveva scritto a pro-
posito di Lolita. Kubrick era molto contrariato dal fatto che il pezzo
negativo e maligno fosse stato pubblicato quattro mesi prima della
242
prima proiezione del film in Inghilterra; il regista sentiva che questo
costituiva una violazione al suo senso dell'etica professionale. Sempre
pronto e desideroso di difendere la sua produzione, Kubrick presentò
in modo dettagliato le sue obiezioni all'articolo, fornì una lista di
fatti e una sfilza di recensioni positive su Lolita.
Il <<New York Herald Tribune>> inviò un fotografo a fare un ampio
sondaggio tra la gente chiedendo: <<Cosa ne pensi di Lolita?». L'arti-
colo che ne derivò ricordava il lavoro svolto dal giovane Kubrick ai
tempi di <<Look». Gli esiti avevano quel tipo di artificiosità tanto
familiare a Kubrick sin dai tempi in cui aveva lavorato per <<Look» e
che portava a far dire agli intervistati quello che si voleva. All'uomo
medio sembrava piacesse Lolita; i discorsi insistiti su controversie,
sesso, perversione e censura avevano sortito un effetto minimo sul
pubblico di New York, che sembrava apprezzare il film. La signora
Barbara Levine di Merrick, Long Island, commentò: <<Mi è piaciuto
più il film del libro. Avevo sentito dire che il film era piuttosto ero-
tico ma a me non è sembrato». Thomas Incantalupo di Astoria nel
Queens definì Lolita: <<Un film meraviglioso e una bella storia. Non
c'era nulla di sporco. Era pervaso di drammaticità», mentre la signo-
ra Alice Romanouski di Niagara nello Stato di New York disse: <<È
un film molto raffinato e realizzato con grande delicatezza. Lo consi-
glierei anche agli adolescenti».
Stanley e Christiane Kubrick conservarono i loro indirizzi di New
York al 239 di Centra! Park West e al 145 Est della
Ottantaquattresima strada. Christiane continuò a studiare pittura e
si iscrisse alla nota Art Students League of New York sulla
Cinquantasettesima strada (presso la quale, nel 1943, il quattordi-
cenne Kubrick aveva frequentato dei corsi) dove seguì dei corsi di
pittura dal vero e di disegno con Harry Sternberg, da febbraio alla
fine di settembre del 1962. Come Stanley Kubrick, anche Christiane
era un'artista indipendente che cercava sollievo nella riflessione,
nello studio e nella pratica della sua arte.
<<Era una delle donne più belle che avessi mai visto. Era splendida
ed era una vera signora», ricordava all'età di novantun anni il pittore
e insegnante Harry Sternberg, che aveva insegnato alla League per
trentaquattro anni e che attualmente vive in California. <<Era una
donna molto attraente, molto gentile. Frequentava le lezioni con
regolarità. Ci capitò di pranzare insieme qualche volta. Era una per-
sona molto discreta. Potevi esserle amico ma tutto finiva lì. Non
irradiava attrazione sessuale. Era molto fredda e nel contempo molto
calorosa e cordiale se ti tenevi a debita distanza. In quegli anni a
scuola si scherzava molto tra di noi ma lei non partecipava mai,
rimaneva per conto suo. Aveva delle bambine piuttosto graziose ed
243
era una vera e propria mamma. Nel complesso era una ragazza mera-
vigliosa. Ne ero molto colpito>>.
Sternberg teneva corsi di pittura dal vero e di disegno. Christiane
Kubrick frequentava le lezioni ogni giorno. La giornata scolastica
durava tre ore, dall'una alle quattro di pomeriggio; tre giorni alla
settimana erano dedicati al laboratorio, dove gli studenti potevano
dipingere quadri a olio. Due volte alla settimana Sternberg passava a
valutare e a esprimere un giudizio sul lavoro eseguito dagli studenti.
Questa combinazione di laboratorio e lavoro di studio era la base
della filosofia del League. Sternberg, un pittore di professione che
spesso partecipava a mostre, era interessato al realismo sociale e ai
modi di rappresentazione, quindi incoraggiava i suoi studenti a
riportare sulla tela le loro esperienze. Era un uomo estremamente
progressista e molti studenti erano attratti dalla sua natura liberale.
Gli studenti del corso di Sternberg lavoravano con olio su tela. «Non
mi piacevano gli acquerelli e non li facevo usare nelle mie lezioni più
di quanto facessi usare il carboncino nel disegno, volevo che tutto
fosse molto diretto e pungente. Dovevano disegnare con la penna e
l'inchiostro in modo da non poter cancellare né fare stupidi scaraboc-
chi. Dovevano lavorare. Se arrivavo in classe il martedì e scoprivo che
non avevano da mostrarmi alcun lavoro svolto il lunedì non rivolge-
vo loro nemmeno la parola».
«Parlava bene ed era una ragazza educata. Era molto felice quando
dipingeva dei quadri molto belli. Il suo inglese era impeccabile,
non c'era neppure l'ombra di accento tedesco. Non parlava mai del
suo passato in Germania, mai. A onor del vero non ho mai parlato
con lei di quell'argomento perché il fatto che Stanley fosse ebreo e
lei tedesca rendeva la questione piuttosto delicata, quindi lasciai
perdere>>.
Parlandone a posteriori, Kubrick definì Lolita un film non piena-
mente riuscito dal punto di vista artistico. «Se mi fossi reso conto di
quanto rigide sarebbero state le limitazioni probabilmente non avrei
fatto il film>>, disse a «Newsweeb> nel 1972, riferendosi alle restri-
zioni impostegli dalla censura. Un'ulteriore riflessione comparve nel
1987 durante un'intervista rilasciata a ((Der Spiegel>>: ((Se fosse stato
scritto da un autore di minor talento avrebbe potuto essere un film
migliore>>, riferendosi al fatto che sentiva di non aver trovato una
adeguata traduzione cinematografica della voce letteraria di
Nabokov.
Alcuni anni dopo l'uscita di Lolita, James Mason si imbatté in
Vladimir Nabokov in Svizzera dove avevano vissuto entrambi. Lo
scrittore disse a Mason che avrebbe voluto che qualcuno rifacesse il
film perché Sue Lyon, l'attrice che era stata scelta a suo tempo per
244
interpretare Lolita, era troppo grande per la parte. Dopo una tale
affermazione, Mason iniziò a domandarsi se in realtà Nabokov pen-
sasse che la parte di Lolira avrebbe dovuto essere assegnata a una
bambina di dodici anni.
Nel 1971, da Lolita venne tratto il musical Lolittt My Love. Lo
spettacolo fu scritto da Alan Jay Lerner e musicato da John Barry. La
produzione debuttò a Philadelphia con John Neville nella parre di
Humbert, Dorothy Loudon in quella di Charlotte e Leonard Frey nel
ruolo di Quilty; fu ritirata per essere rivista e poi tornò sulla scena
per altri cinque giorni. Originariamente Lerner voleva che Humbert
fosse interpretato da Richard Burton. Lo spettacolo non riuscì mai
ad arrivare a Broadway.
Nel 1981 Edward Albee portò Lolita a teatro. La produzione fece
una breve comparsa a Broadway con la partecipazione di Shirley
Stoler nel ruolo di Charlotte, di Donald Sutherland in quello di
Humbert, di Clive Revill come Quilty e della figlia di Carroll Baker,
Bianche, nella parte di Lolita.
Nel 1995 il regista Adrian Lyne realizzò un remake di Lolita con la
sceneggiatura di James Dearden, che per Lyne aveva scritto
Attrazione fatale, e con Jeremy Irons nella parte di Humbert, Mel ani e
Griffith nel ruolo di Charlotte e la novella Dominique Swain in
quello di Lolita. I diritti per realizzare la versione cinematografica
del romanzo erano tornati a Nabokov e furono venduti alla Carolco
Pictures International per un milione di dollari. L'accordo fu prepa-
rato da Swifty Lazar, lo stesso uomo che aveva curato le trattative per
la vendita originaria alla Harris-Kubrick. Dmitri Nabokov, il figlio
di Vladimir, aveva ereditato i diritti e quindi gestiva l'opera lettera-
ria del padre dopo che questi era morto.
Nella sua autobiografia Before I Forget, James Mason aveva fatto un
commento profetico sul futuro di Lolita: <<Se uno dei nuovi giovani
registi tenterà di realizzarne un'altra versione, penso che l'atto ses-
suale giocherà un ruolo di primaria importanza; ma prescindendo
dai diversi punti di vista sono certo che non finirà qui». Mason aveva
ragione.

245
Capitolo 12
«Lo trovi divertente?»

L'accordo stipulato per Lolita con Ray Stark e la Seven Arts preve-
deva che la Harris-Kubrick avrebbe dovuto realizzare un altro film.
Kubrick era rimasto in Inghilterra per occuparsi della postprodu-
zione e per preparare le versioni di Lolita che sarebbero state distri-
buite all'estero, mentre Harris era alle prese con le difficoltà poste
dalla censura.
Sin dal 1958 Kubrick aveva mostrato di interessarsi al tema della
guerra nucleare e con il passare del tempo aveva raggiunto quello
stato ossessivo che lo avrebbe lentamente sommerso e che sarebbe
culminato nel progetto di un film. L'idea di un incombente olocau-
sto nucleare si insinuò sempre più spesso nella sua già nera e pessi-
mistica visione del mondo; Kubrick aveva letto molto sull'argomen-
to. Diventato maggiorenne nel dopoguerra e durante l'avvento della
guerra fredda, Stanley Kubrick era stato costantemente in contatto
con la minaccia nucleare. Vivendo nella città di New York si sentiva
in costante pericolo, certo di trovarsi nel cuore del principale bersa-
glio. Quando ancora viveva sulla Decima strada Est aveva detto a
David Vaughan che stava considerando l'idea di trasferirsi in
Australia, un Paese che non sarebbe stato tra i primi obiettivi.
Mentre si trovava a Londra, Kubrick domandò ad Alastair
Buchan, il direttore dell'Institute for Strategie Studies, un ente di
ricerca non governativo, un consiglio su dei testi seri che gli consen-
tissero di studiare le armi nucleari. Buchan disse a Kubrick che rea-
lizzare un film sulla situazione nucleare mondiale sarebbe risultato
«poco saggio perché non sarebbe riuscito a descrivere con precisione
il tipo di precauzioni che gli Stati Uniti o le altre potenze nucleari
adottano per salvaguardarsi dal pericolo di un incidente o di un
comando dato per errore». Buchan si preoccupava che una simile
operazione avrebbe «fuorviato le persone ansiose». Nella lista di
libri che suggerì a Kubrick di leggere era compreso anche il roman-
zo Red Alert di Peter George, che era stato un ufficiale di rotta della
Royal Air Force e un agente delta British lntelligence.
Kubrick lesse il libro e vi scorse il potenziale per realizzare un
film su un conflitto atomico mondiale. Quando si informò sui dirit-
ti di adattamento cinematografico di Red Alert, Scott Meredith,
l'agente letterario che si occupava del testo, disse a Kubrick che i
246
diritti erano stati venduti nel giugno del 1959 per la somma di
1.000 dollari. Successivamente il libro passò da un proprietario
all'altro, attraverso una serie di vendite, ma nessuno riuscì a ottenere
i finanziamenti necessari a realizzare il film. Agli inizi degli anni
Sessanta il proprietario chiese a Meredith di rappresentarlo e questi
vendette i diritti di Red Alert per 3.500 dollari alla Polaris
Productions di Stanley Kubrick. Il regista iniziò a lavorare alla sce-
neggiatura di un film drammatico insieme a Peter George.
Una sera Harris e Kubrick stavano lavorando alla sceneggiatura del
film quando iniziarono ad allontanarsi dalle premesse serie di Red
Alert. <dniziammo a fare gli stupidi», ricorda Harris. «Cominciam-
mo a scherzarci sopra. "Che cosa succederebbe nella stanza dei botto-
ni se fossero tutti affamati e volessero fare entrare il fattorino del
negozio di gastronomia mentre un cameriere con tanto di grembiule
prende le ordinazioni dei sandwich?". Iniziammo a riderei sopra e
dicemmo: "Pensi che potrebbe diventare una commedia o una satira?
Lo trovi divertente?">>. Passato il momento di ilarità, concordarono
entrambi sul fatto che la sceneggiatura era una buona storia dram-
matica e che si sarebbero attenuti all'idea originale. Poi Harris portò
la sceneggiatura a Eliot Hyman alla Seven Arts e lo convinse ad
accettarla per il secondo film che dovevano realizzare insieme.
Tuttavia l'idea di trasformare Red Alert in una satira non abban-
donò Kubrick. A un mese dalla prima di Lolita a New York, che
ebbe luogo il 31 dicembre 1962, Kubrick disse ad A.H. Weiler del
«New York Times>> che lui e James B. Harris stavano lavorando a un
film dal titolo Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccupar-
mi e ad amare la bomba con la Seven Arts che aveva prodotto anche
Lolita. Kubrick annunciò che Peter Sellers avrebbe lavorato nel suo
nuovo film che egli descrisse come la storia di «un professore di col-
lege americano che sale al potere grazie al sesso e alla politica e
diviene un esperto nucleare>>. Egli disse a Weiler che avrebbe adotta-
to un approccio satirico, che stava collaborando con lo scrittore
inglese Peter George e che avrebbe girato il film in esterni «qui
all'Est e in settembre in qualche altro postO>>. In quel momento non
c'era ancora alcun distributore.
James B. Harris, consapevole del proprio desiderio di iniziare una
carriera registica per conto proprio, decise di non produrre il film.
L'adempimento del contratto con la Seven Arts segnò la fine della
Harris-Kubrick. Avevano realizzaLO insieme RafJÙta a mano armata,
Orizzonti di gloria e Lolita; Stanley Kubrick e James B. Harris aveva-
no stabilito un'alleanza nella quale entrambi i soci avevano uguale
potere e l'avevano mantenuta per quasi dieci anni. Ora però si rende-
vano conto tutti e due che era tempo di andare avanti: per James B.
247
Harris era giunto il momento di dirigere un film e per Stanley
Kubrick si trattava di soddisfare l'esigenza di un controllo sempre
maggiore, di diventare il produttore di se stesso e di realizzare una
serie di ossessioni, di temi e di soggetti personali il primo dei quali
fu la guerra atomica.
Mentre Kubrick continuava a sviluppare la sceneggiatura di Red
Alert insieme a Peter George, Harris tornò sulla costa pacifica per
aprire un ufficio dal quale coltivare i progetti registici. Trascorsero
diverse settimane, poi Harris ricevette una telefonata di Kubrick il
quale gli comunicava che stava considerando l'idea di trasformare
Red Alert in una commedia, una satira sulla completa distruzione
nucleare. Harris cercò di mettere in guardia l'amico dai problemi
che avrebbe incontrato realizzando una commedia sulla guerra ato-
mica. Harris ricorda che Kubrick gli disse: «Secondo me l'unico
modo per far funzionare la cosa è di metterla in satira. L'argomenta-
zione è la stessa ma è un modo migliore per presentarla». Kubrick
proseguì raccontando a Harris di Terry Southern, uno scrittore con il
quale aveva iniziato a lavorare. «Gli dissi: "Okay, se c'è qualcosa che
posso fare per te, fammelo sapere", poi appesi», ricorda H arri s.
«Dissi a me stesso: "Lo lascio solo per dieci minuti ed ecco che fa sal-
tare in aria la sua carriera". Ero proprio convinto che avrebbe perso il
controllo sul film se lo avesse trasformato in una commedia, e infatti
fu proprio così, ma ne nacque il film di Kubrick che preferisco».
Nel corso degli anni Harris e Kubrick parlarono spesso di tornare a
lavorare insieme. Un progetto che attirò l'attenzione di entrambi fu
The Passion Flower Hotel che trattava di un gruppo di giovani donne
di una scuola femminile che decideva di vendere i propri servigi a
una scuola maschile che si trovava in fondo alla strada. Il film non fu
mai realizzato e finì con il diventare un musical. Harris e Kubrick
rimasero amici e si tennero costantemente in contatto nel corso degli
anni, ma non fecero più film insieme. Harris ha diretto Stato d'allar-
me, Quakuno lo chiama amore, Fast Walking, Indagine ad alto rischio e
Limite estremo e ha goduto del supporto morale e critico di Kubrick
in tutta la sua carriera di regista.
La decisione di Kubrick di trasformare Red Alert in una commedia
rappresentava un passo ardito e pericoloso. Gli spettatori americani
ormai accettavano che un uomo arguto quale era stato lo scrittore e
regista Preston Sturges negli anni Quaranta facesse della satira sociale;
tuttavia continuavano a esserci degli argomenti che venivano conside-
rati tabù. Gli anni Quaranta e Cinquanta erano stati pervasi da una
grande paura della bomba atomica; all'inizio degli anni Sessanta la
guerra fredda e le ostilità tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti ave-
vano posto il tema della distruzione nucleare nei recessi della mente
248
di ognuno. Sebbene gli anni Sessanta portassero cambiamenti nel lin-
guaggio del cinema americano, nel 1963 gli studios non erano pronti
a rompere con le convenzioni. La stragrande maggioranza dei film
. aveva il ruolo di spettacolo di intrattenimento, quindi una commedia
sulla guerra nucleare non era destinata a incontrare ampio consenso.
((L'idea di realizzarla come se si trattasse di una commedia da incu-
bo mi venne durante le prime settimane di lavoro sulla sceneggiatu-
ra», disse Kubrick a Gene D. Phillips. ((Scoprii che mettendo un po'
di carne intorno allo scheletro e immaginando le scene nel loro insie-
me era necessario tenere fuori gli elementi assurdi o paradossali se si
voleva evitare che diventasse buffo; questi elementi però sembravano
avere molta attinenza con il fulcro intorno al quale ruotavano le
scene in questione».
(<Iniziai a lavorare alla sceneggiatura con tutta l'intenzione di fare
un trattamento serio del problema di una incidentale guerra atomi-
ca>>, disse Kubrick aJoseph Gelmis. ((Mentre cercavo di immaginare
il modo in cui le cose sarebbero avvenute nella realtà, continuavano a
venirmi in mente delle idee che scartavo perché ridicole. Ripetevo a
me stesso: "Non posso farlo. La gente riderà". Ma dopo circa un mese
iniziai a rendermi conto che le cose che stavo eliminando erano quel-
le più veritiere. Dopotutto che cosa c'è di più assurdo dell'idea di
due megapotenze disposte a spazzare via ogni forma di vita umana a
causa di un incidente, reso più piccante da differenze politiche che
alle persone che vivranno tra cento anni sembreranno tanto insensate
quanto appaiono a noi oggi i conflitti teologici del Medioevo?».
<(Così cominciai a pensare che mi stavo accostando al problema nel
modo sbagliato: l'unico modo per raccontare la storia era una com-
media nera o, meglio ancora, una commedia da incubo, dove le cose
delle quali si ride di più sono proprio gli atteggiamenti paradossali
che rendono possibile una guerra nucleare. La maggior parte
dell'umorismo di Stranamore scaturisce dalla descrizione del compor-
tamento umano quotidiano, calato in una situazione da incubo,
come quando il presidente russo sulla linea rossa dimentica il nume-
ro di telefono del quartier generale della difesa aerea del popolo e
suggerisce al presidente americano di provare a rivolgersi all'ufficio
informazioni di Omsk; oppure come l'ufficiale statunitense che, in
virtù dell'assoluto rispetto della proprietà privata, indugia prima di
consentire a un ufficiale britannico di sparare a un distributore auto-
matico di coca-cola per poter avere Ie mm1ete necessarie per teiefona-
re al presidente degli Stati Uniti e comunicargli il prefisso d'emer-
genza che consente l'accesso alle trasmissioni con gli aerei del Sao>.
Per poter sovvertire il materiale presentato in Red Alert, Kubrick
aveva bisogno di una mente subdolamente sovversiva, di un anarchi-
249
co che riuscisse a trovare la satira e l'umorismo nel più micidiale dei
temi, in altre parole aveva bisogno del talento comico di Terry
Southern, l'autore di Candy e Flash and Filagree. Southern era uno
scrittore intriso di umorismo nero. Era un forte bevitore e un fanati-
co di jazz che sperimentava ogni genere di droga. Era una persona
timida e riluttante a parlare di sé e funzionava bene come collabora-
tore, portando la sua caratteristica voce in molti scritti, film e pro-
getti televisivi inclusi Easy Rider, Il caro estinto e il "Saturday Night
Live". Kubrick aveva sentito parlare di Terry Southern da due fonti:
Peter Sellers gli aveva mandato in regalo una copia di The Magie
Christian; e anche Bob Gaffney aveva parlato a Kubrick di quello
scrittore dalla sfrenata immaginazione.
Il fatto che Kubrick stesse trattando in chiave satirica il tema della
distruzione del mondo per opera della bomba atomica, non aveva
reso le ricerche sul soggetto in questione meno esaurienti. Dopo che
il film fu distribuito, Ken Adam, che si era occupato della scenogra-
fia, disse alla giornalista della rivista «Glamour» Elaine Dundy:
«Stanley era talmente immerso in questo materiale che la prima
volta che ci incontrammo per discuterne la sua conversazione era
infarcita di punti a sicurezza intrinseca, morte di milioni di persone,
girorotte, marcature stroboscopiche e CRM-114. Non sapevo assolu-
tamente di che cosa stesse parlando>>.
Kubrick lesse e studiò quarantasei libri scritti da ricercatori, tra i
quali c'erano The Efjefts of Nudear Weapons, Soviet Military Strategy,
Mans Means to His End, The Causes of World Wa1·lll eNuclear Taaics.
Divorò il lavoro dei principali strateghi nucleari, quali Herman
Kahn, Thomas Shelling ed Edward Teller, l'uomo noto come "padre
della bomba". Procedendo nella lertura, Kubrick esaminò tutto
quanto era stato scritto sull'argomento da Bertrand Russell, Erich
Fromm, Bruno Bettelheim, Albert Einstein e Leopold Infeld. Tra le
altre fonti alle quali attinse il regista ci furono anche le relazioni
governative dell'aeronautica, dell'esercito e della marina, così come i
resoconti Missiles and Rockets, Bulletin of the Atomic Sàentists e
War/Peace Report. Oltre alle pigne di libri sulla guerra atomica che
Kubrick aveva nel suo ufficio, il regista teneva sempre a portata di
mano anche una mazza, una palla e un guanto da baseball, segno che
era pronto a giocare un'altra di quelle partite alle quali aveva parte-
cipato durante la faticosa produzione di Spartacus.
Lo scenografo Richard Sylbert sedeva nel suo ufficio insieme al
regista John Frankenheimer e stava preparando Va' e uccidi, quando
il telefono squillò: era Stanley Kubrick. L'ultima volta che avevano
parlato era stata nel 1952, quando si erano incontrati sul set televi-
sivo di "Patterns" e Kubrick aveva dichiarato di volere Sylbert
250
come scenografo dei suoi film. Sylbert stava diventando uno dei più
abili e rispettati scenografi di produzione dell'industria cinemato-
grafica, e aveva appena terminato di occuparsi della scenografia di
Splendore nell'erba di Elia Kazan. Kubrick gli disse: «Ho una sce-
neggiatura grandiosa, l'ha scritta Terry Southern. Te la mando.
Quando hai finito Va' e màdi e torni a New York facciamo questo
film insieme>>, ricorda Sylbert. «Lessi Il dottor Stranamore e lo tro-
vai grandioso. Così per trenta giorni ci incontrammo in diverse caf-
fetterie per cercare di immaginare come realizzare quel dannato
film a New York. Non potevamo neppure contare su uno studio
sufficientemente grande; nessuno era abbastanza grande per la
retroproiezione del trasparente; avevamo solo un tizio che aveva
una sala di proiezione. Kubrick voleva uno schermo pedinato da 45
metri. Non ottenemmo alcun tipo di cooperazione da parte della
Nasa e al termine dei nostri incontri nelle caffetterie gli dissi:
"Non possiamo fare questo film a New York, e non possiamo farlo
neppure in America" ed egli rispose: "Sì, hai ragione", e partì per
l'Inghilterra per non tornare mai più. Creò la migliore squadra di
effetti visivi a livello mondiale e in Inghilterra non incontrò alcun
problema con i bombardieri perché non erano della Nasa. Riuscì a
costruire ogni cosa>>.
Le esaurienti conversazioni con Sylbert e gli stessi fattori economi-
ci che avevano ispirato la decisione di Kubrick di fare Lolita in
Inghilterra lo convinsero a ritornare in Gran Bretagna per produrre
lì anche Il dottor Stranamore.
Prima che iniziassero le riprese, Kubrick si preoccupò dei poten-
ziali problemi che la Motion Picture Association of America avrebbe
potuto procurargli. Far ottenere a Lolita il marchio di approvazione
necessario per permettere la distribuzione del film era stata
un'impresa estenuante. L'Il gennaio 1963 Kubrick inviò una copia
della sceneggiatura di Il dottor Stranamore a Geoffrey Shurlock, il pre-
sidente della Mpaa, comunicandogli la sua intenzione di iniziare le
riprese il 28 gennaio. Kubrick espresse sarcasticamente la speranza
che la sceneggiatura di Il dottor Stranamore potesse creare meno pro-
blemi rispetto a quelli incontrati per Lolita e aggiunse che rimaneva
in trepida attesa di ricevere notizie da parte di Shurlock.
Questi lesse la sceneggiatura e il 21 gennaio inviò una lettera di
risposta a Kubrick nella quale esprimeva la sua preoccupazione per la
satira che coinvolgeva il presidente degli Stati Uniti e le forze armate
e si dichiarava incerto sull'accoglienza del film da parte del pubblico.
Shurlock disse a Kubrick che intendeva interpellare il consiglio
d'amministrazione in merito all'eccesso di volgarità contenute nella
sceneggiatura scritta da Kubrick, Peter George e Terry Southern. In
251
particolare non gradiva l'uso dei termini ricorrenti «maledetto>> e
«dannatO>> e disse al regista che l'espressione «maledetti figli di put-
tana>> che compariva nel testo era inaccettabile e non avrebbe potuto
essere approvata. Shurlock inoltre incluse una lista di elementi che
potevano risultare molesti, consigliando a Kubrick di non fare indos-
sare un «tipo estremo>> di bikini alla signorina Scott, la segretaria di
"Buck" Turgidson e di eliminare le allusioni ai profilattici, che trova-
va «disgustose>>, nella scena che si svolge durante una missione di
volo. Si espresse con enfasi ancora maggiore riguardo alla conclusione
del film, con un lancio di torte che coinvolgeva il presidente;
dall'alto del suo ruolo di portavoce della moralità dell'industria cine-
matografica, consigliò a Kubrick di considerare l'ipotesi di eliminare
del tutto il presidente dall'episodio.
L'l l febbraio, Kubrick rispose con una lettera volta a placare le
preoccupazioni di Shurlock. Il regista replicò che, poiché l'azione si
svolgeva in un imprecisato futuro, il film non poteva comportare
problemi etici legati all'amministrazione corrente; spiegò inoltre che
nel film non c'era alcun elemento che non fosse presente nelle
dichiarazioni dei funzionari governativi. A titolo di esempio,
Kubrick incluse una dichiarazione fatta dal presidente J oh n F.
Kennedy di fronte alla Nazioni Unite: <<Ogni uomo, donna e bambi-
no vive sotto la spada di Damocle del nucleare che è attaccata al più
sottile dei fili, che può essere reciso in ogni momento da un inciden-
te, un errore di calcolo o un eccesso di follia>>. Kubrick disse a
Shurlock che stava cercando di eliminare quanti più «maledetti>> e
«dannati>> poteva ma spiegò che in alcune situazioni non potevano
essere sostituiti da nessun'altra espressione. Assicurò al presidente
della Mpaa che il bikini impiegato in Il dottor Stranamore non sarebbe
stato tra i più ridotti e che il riferimento ai profìlattici rappresentava
un momento intenso di realtà, nel quale gli spettatori si sarebbero
profondamente identificati.
Riferendosi alla scena numero 74, Kubrick affermava di non capire
per quale motivo la sequenza del lancio delle torte poteva essere
motivo di preoccupazione dal punto di vista della politica industria-
le. Terminò assicurando Shurlock che nella versione definitiva del
film avrebbe trovato accettabili tutti i punti.
Il 20 febbraio, Shurlock scrisse una lettera a Kubrick nella quale si
leggeva: «Lei ha già più che provato la sua abilità nel maneggiare i
soggetti più difficoltosi, quindi se è convinto che ciò che metterà
sullo schermo non recherà alcuna offesa, allora questo ci basta>>.
Kubrick e Terry Southern lavorarono fianco a fianco per trasforma-
re Red Alert in una feroce commedia nera. Kubrick proponeva dubbi
e situazioni allo scrittore folle e ingegnoso, il quale sviluppava dialo-
252
ghi oltraggiosi e presentava le situazioni più bizzarre via via che la
sceneggiatura prendeva forma.
Per creare il dialogo di "Buck" Turgidson durante il quale egli dice
al presidente che avrebbero potuto perdere solamente dai dieci ai
venti milioni di americani ma che sarebbero riusciti a vincere la guer-
ra, Kubrick si accostò alla filosofia sulla quale si reggevano i rapporti
militari che aveva letto. Il regista riteneva che il ridicolo cianciare di
Turgidson sulla vittoria della guerra nucleare costituisse un autentico
riassunto delle convinzioni militari riguardo allo scontro nucleare.
Durante la lavorazione di Il dottor Stranamore, Kubrick visse nel
quartiere londinese di Knightsbridge. Terry Southern andava da lui
alle cinque di mattina e lavorava sul sedile posteriore di una vecchia
Bentley mentre l'autista di Kubrick li conduceva agli Shepperton
Studios. In macchina, Southern e Kubrick appoggiavano gli appunti
su due ripiani posti di fronte a loro, e tenevano chiuso il vetro tra
loro e l'autista in modo da avere un ufficio privato mobile. Come
accade nelle grandi collaborazioni, solo i partecipanti sanno la misu-
ra in cui hanno realmente contribuito all'opera, ma l'innato senso
dell'umorismo diabolicamente nero di Kubrick - endemico sulle
strade newyorkesi del Bronx - e il suo profondo cinismo si fusero
con quelli di Southern, mentre lo scrittore, con la sua maniaca mente
da commediografo, premeva contro i limiti dell'involucro in cui era
racchiusa la civiltà, creando una rauca satira sul complesso politico e
militare-industriale.
Per la scenografia Kubrick ingaggiò Ken Adam, originario di
Berlino ma che aveva studiato in Inghilterra dove lavorava come
architetto. Durante la seconda guerra mondiale Adam era stato un
pilota della Raf e dopo la guerra aveva iniziato una fortunata carriera
di scenografo. Nel 1956 aveva ricevuto una nomination agli Oscar
per Il giro de/mondo in ottanta giorni, insieme al padre dell'arte scena-
grafica William Cameron Menzies. Aveva lavorato con registi come
John Ford, Jacques Tourneur e Robert Aldrich e si era occupato della
scenografia di Agente 007, licenza di uccidere, il primo film di James
Bond. Kubrick era rimasto estremamente colpito dall'aspetto del
film e aveva combinato un incontro con Adam per parlare della sua
satira sulla fine del mondo.
Agli inizi della storia del cinema e durante la maggior parte del
periodo in cui dominò lo studio system fino agli anni Cinquanta, gli
scenografi e i direttori artistici erano soliti realizzare gli interni senza
soffitto in modo che il direttore della fotografia potesse illuminare
dall'alto l'intero set. Prima della produzione di Il dottor Stranamore
erano stati messi dei soffitti su alcuni set ma solo raramente veniva-
no utilizzati come strumento drammatico, come fece Orson Welles
253
in alcuni suoi film, e in particolare in Quarto potere. Mettere il soffitto
sul set significava consentire l'utilizzo di inquadrature dal basso e
usare un'illuminazione che sembri provenire direttamente da una
fonte luminosa visibile sullo schermo. Sin dal principio, Kubrick
disse ad Adam di volere che tutti i set di Il dottor Stranamore avessero
i soffitti. «Stanley mi disse: "Inchioda quei maledetti soffitti"»,
ricorda Adam. «Non voglio che l'operatore illumini dall'alto, voglio
un'illuminazione che sembri provenire dallo schermo>>. Questo con-
cetto stimolò l'immaginazione di Adam che creò le strutture archi-
tettoniche sulla base di questi presupposti.
Per creare il set della stanza più importante, ovvero la War Room
del Pentagono, Adam iniziò a fare degli schizzi. La sua idea origina-
ria era un anfiteatro con un secondo livello, sul quale si trovava la
sala di controllo racchiusa da vetrate. Kubrick si mostrò entusiasta
quando vide i disegni e disse ad Adam: «Santo cielo, Ken, è grandio-
so, grandioso!». Ritenendo l'osservazione una forma di approvazione,
Adam procedette e incaricò la sua squadra di creare i disegni e i
modelli necessari per costruire il set. Dopo tre o quattro settimane di
incessanti riflessioni sul progetto, Kubrick entrò nel dipartimento
scenografia, che ormai era molto avanti nello sviluppo dell'anfiteatro,
e disse: «Sai Ken, quel secondo livello lassù, ci vorrebbero almeno sei
o sette comparse che devono rimanere lì sedute per tutto il tempo.
Che cosa possono fare? Sarebbe costoso. Escogita qualcos'altro».
<<Rimasi completamente disorientato», ricorda Ken Adam. <<Poi
quando mi calmai la mia mente iniziò nuovamente a produrre, gra-
zie a Dio. Generalmente Stanley arrivava e rimaneva in piedi dietro
di me mentre disegnavo. Sviluppai il concetto della struttura trian-
golare e gli piacque; quando mi domandò: "Sì, il triangolo va benis-
simo, in che materiale pensi che lo dovremo realizzare?", io avevo già
la risposta pronta: "Cemento, come un rifugio antiatomico"».
Tra i due uomini si instaurò un rapporto di collaborazione unico
nel suo genere: Adam era uno scenografo istintivo e dotato di grande
immaginazione con una robusta esperienza nel campo architettonico
e un debole per l'iperrealismo; Kubrick era un regista che faceva
domande su ogni cosa e richiedeva che ogni dettaglio del suo film
fosse assolutamente razionale. lntuitivamente Adam sentì che il
tavolo intorno al quale sedevano il presidente e i suoi uomini doveva
essere ampio e rotondo; quando Kubrick vide il disegno del tavolo
domandò ad Adam se poteva ricoprirlo con uno spesso panno verde,
anche se il film era girato in bianco e nero. <<Certo», replicò Adam e
Kubrick proseguì: <<Dovrebbe avere l'aspetto di un tavolo da poker:
il presidente, l'ambasciatore russo e i generali che giocano una mano
di poker nella quale si determinerà il destino del mondo».
254
Kubrick e Adam cercavano di immaginare cosa avrebbero potuto
mettere sul lato inferiore del set triangolare, quando Kubrick propo-
se: <<Cosa ne dici se mettessimo un grosso buffet dove ciascuno può
servirsi di sandwich, caffè o bevande?>>, un'idea che potrebbe essere
stata ispirata dalle facezie serali scambiate con James B. Harris,
quando Red Alert era ancora un serio dramma sul nucleare.
Quando il dipartimento scenografia terminò di costruire la War
Room negli Shepperton Studios, il set misurava quaranta metri di
lunghezza, trenta di larghezza e undici di altezza. Il tavolo rotondo
sul quale il presidente e i suoi uomini decisero del destino del
mondo occupava una superficie di trentacinque metri quadrati.
Per le riprese di Il dottor Stranamore, Kubrick ingaggiò Gilbert
Taylor, l'operatore che aveva ripreso i titoli di testa in cui Humbert
passa lo smalto sulle unghie dei piedi di Lolita. Kubrick conosceva
perfettamente il concetto di illuminazione e riprese personalmente
con la macchina a mano l'attacco alla base aerea di Burpelson e le
scene dell'interno del fatidico bombardiere.
<<Stanley è un operatore brillante; voleva un'illuminazione che
sembrasse provenire da una fonte luminosa visibile sullo schermo>>,
spiega Adam, riferendosi alla luce che trova la sua giustificazione in
una fonte ben identificabile, come una finestra o un apparecchio
interno. <<Avevo disegnato un cerchio di lampadine appese al soffitto
e Kubrick si sedeva nel mio ufficio sperimentando con me i diversi
tipi di lampade survoltate>>, ricorda Adam citando l'uso di uno stru-
mento d'illuminazione ad alta intensità di incandescenza. <<lo sedevo
su una sedia, poi sistemavamo una lampada survoltata a una certa
distanza per vedere quanta luce sarebbe arrivata a illuminare il mio
viso. Era una scelta ben ponderata>>.
Per la scelta del cast, Kubrick si rivolse ancora una volta a Peter
Sellers per la sua abilità a interpretare molteplici personaggi. In
Lolita Sellers aveva recitato uno stesso personaggio che indossava
diversi travestimenti. Nel caso di Il dottor Stranamore, invece,
Kubrick voleva che Sellers recitasse ciò che egli definiva <<il protago-
nista e il protagonista e il protagonista>>. In un primo momento
Sellers si mostrò riluttante ad accettare di recitare in molteplici
ruoli; sentiva che si trattava di un trucco e che gli spettatori l'avreb-
bero paragonato ad Alec Guinness, che aveva interpretato diversi
personaggi in Sangue blu. Kubrick convinse Sellers che non sarebbe
riuscito a trovare un attore più adatto di lui a recitare i ruoli del pre-
sidente Merkin Muffley, del comandante di squadriglia Lionel
Mandrake della Raf (per il quale si mise un naso finto) e del dottor
Stranamore; ecco perché desiderava che fosse Sellers a interpretare
tutti e tre i personaggi.
255
Sellers venne pagato un milione di dollari per recitare le tre parti,
il che fece coniare a Kubrick la battuta: «Ne abbiamo avuti tre al
prezzo di sei>>. Sellers stava divorziando dalla moglie e gli era quindi
impossibile lasciare l'Inghilterra; Kubrick disse alla stampa che que-
sta era la ragione che l'aveva spinto a produrre il film in Inghilterra,
mentre invece era solo uno dei tanti motivi. Il fattore economico
svolgeva un ruolo assai rilevante: Kubrick era riuscito a realizzare
Lolita con un budget ridotto e aveva apprezzato i tecnici e gli attori
inglesi. Stanley e Christiane percepivano una crescente tensione nella
città di New York ed erano alla ricerca di un luogo più tranquillo
nel quale crescere la loro famiglia.
Nel 1963, James Earl Jones lavorava come attore di teatro interpre-
tando sempre ruoli differenti. Kubrick andò al Centrai Park di New
York per vedere George C. Scott che interpretava Shylock in Il mer-
cante di Venezia di Shakespeare. Nella stessa produzione recitava anche
Jones, nel ruolo del principe del Marocco; la sua interpretazione fece
dire a Kubrick: <<Prendo anche quello di colore», ricorda Jones nella
sua autobiografia. Fu così che l'attore ottenne il suo primo incarico
nel cinema vestendo i panni del luogotenente Lothar Zogg. A Scott
invece fu affidato il ruolo del generale "Buck" Turgidson.
A un certo punto Kubrick propose a Sellers di interpretare anche il
ruolo del maggiore T.J. "King" Kong, l'ufficiale incaricato dei bom-
bardieri B-52 con il compito di lanciare la bomba. Sellers si dibatté
nella parte per una settimana senza riuscire a imitare l'accento del
Texas. La parte richiedeva una notevole prestanza fisica perché Kong
doveva aggirarsi tra botole e scalette, per i diversi livelli dell'aereo
fino al vano bombe. Alla fine Sellers si ruppe una caviglia e non riu-
scì a portare a termine il suo quarto ruolo in Il dottor Stranamore.
Kubrick ebbe la sensazione che a livello inconscio Sellers si fosse cau-
sato di proposito l'infortunio. Essendo soddisfatto dell'energia e della
creatività espresse da Sellers nelle tre parti che gli erano state assegna-
te decise di scritturare un altro attore per il ruolo del maggiore Kong.
Una sera, mentre lo scenografo di produzione Ken Adam stava
riportando Kubrick a casa dagli Shepperton Studios, il regista ebbe
improvvisamente un'idea riguardo alla persona perfetta per il ruolo
di Kong. Kubrick si girò verso Adam, abile pilota e appassionato di
auto sportive, e gli disse: <<Conosco un cowboy americano, gli farò
una telefonata stasera», ricorda Adam. <<Avevo già costruito il vano
bombe che occupava un set gigantesco ma non avevamo bisogno di
un portellone dal quale espellere la bomba perché ciò avveniva in
una sequenza completamente differente. Poi Stanley se ne uscì fuori
con quell'idea del cowboy a cavallo di una bomba atomica come
fosse un cavallo imbizzarrito».
256
Il padre di Sranlc:y Kubrick, dorrnr Il giovane Sr:1n lcy Kubri<:k primn di
J;u;g ues Leona rd Kubri c k, in una c·nrrare alla William 1-lowa rd Taft
foro dell'annua rio 1927, Tbe fiMr-0- High School.
St'tifle, subiro dopo la laurea al New
York Homcoparhic: Medicai College
und f lowc:r Hospiw l (per concessione
della Medie~ ! Scicnc:cs library del
Ncw Ynrk lvfedical College).

La casa al 2160 d i Clinron


Ave nue, ne l Bronx, ;~birara
dalla famiglia Kubric k a l
mo mcnco del la nasciw di
Sranlcy (avvc·nuta il 26 luglio
1928), in una foro scarrara
intorno al L971 (per conces-
sione della Bronx Counry
Hisrorkal Socicry Collecrion.
13runx, Ncw York).
!11 rtlto: l'edificio rìcosrruiro de ll a \'<fili iam H owa rd T nfr
H ig h School. nel Bronx. Ncw York: alma marer di Kubrick
(per concess ione della \'<li lliam Howard Tufc H igh School).

A dm m: Il professore di arre di Kubrick alla Tafc, He rma n Gcrccr, in una fnro


scattata incarno al 1946 (per concess ione d el la W ill ia m H oward T afr Hig h
School).

Le theerleat!m della T afe H igh Schoo l nel giugno 1945, in una forogralìa scamt-
ca da SranJey Ku brick. N ella fila in piedi la rt:mt da si nistra è Eyd ie Gormt:,
canrame nella Swing Band, menrrc la prima da desmt è Claire Abriss. Kubrick
disrribu1 fmogr.tfì c a l g ruppo con un rim bro con il suo no me sramparo su l
cerro (per concess ione di Claire Abriss).
Forogmfìc· sc;nwrc da Kubrick du rame una lezione del professore di inglese• del
T ;1fr, Anron Trui~tt'r, c he rec ir.1 Shakespe.1rc; fu rono p ubblicare su l numero del
2 aprile 1!)16 d1 .. Look » (pN concessione Ù1 Daniel Traisrer c: Janc· Tr:um:r
Noblt).
Forografia di diploma di Scanlcy l~owgrarìa di diploma Ji Toba Mccz.
Kubrick, gennaio 1916 (Jx·r concC's- gennaio 191R (pt:r concess ione dtl h•
sione del !:t T afe .1:-J igh School). Tafc High School).

Vedura esrern<l del cinema Park Plaza (in una foto scacwca imorno al 1951 ).
dove Kubrick fotog rafò Bernard Coopt- rman pé r l'articolo «A Shorr Short in 11
Movie B<tlcony», che fu p ubblicato su <•Look» del 16 aprile 1916 (per conces-
sione· del h• Brvnx Count)' H iswrica l Socit"cy Collecrion, Bro nx, Ncw York).
Forogn~fìe scarrarc da Kubri ck per «Pri:zetìghcer», cht' fu pubblicato su «look»
dd l l'l gc·nnaio 1949.
Stiflrtl: i gcmtclli Vincent (sinistl"tl) te Walcc·r Carricr, mtnrrc \XIa lccr s i p rrpllru
[X'f un incontro dei p<"si medi (per concessione di Vinct"nt C:arr ier).
St~llr;: il pui-:ik· W alccr Carcic·r e il managt"r 13obby Gkasun prima dd marc:h.
Sof!m: Rurh Soborka in u na foro scarmra dn Ruy Srharr ndl'agosro d el 196.'ì
(per concessione di Da v id Vaugh;m).
S/JtttJ: lstanranca di Rmh Sobork;J e Snm ley Kub rit·k atracroporro eli H ollywood
du ranrr la rralizzaziont- di l?nf iÌIItt n lfJt/1/ o tlriiMia (pt r concessione di D<~vid
Vaugh;m).
Pausa caffè suJ ser d i Orizzonti di J!,luritt: Kubrick (co n il pass<lmon rngna),
Susanne Chrisrian c Kirk Douglas (per concessione del Brirish Film lnsrirute
Sri lls, Posrcrs and Desig ns).
S'•Pm: Tony Curris t LaurencC' Olivi er ne lla di scuss•t S<:l' na del bag no in
Spr,,·rrtmJ.
S"'"':Kuhrick <: Kirk Douglas colti in una pausa òri iC' riprese ddlc scene alla
scuola det g ladtarori di S{'rll'frtm.r (per concessione d<.'ll1fì Srills, Posre rs <md
Dts igns).
Con il cop ione di Lti/ild in m;~ no, Kubri ck posa accanro alla sua scoptrta ptr i l
ruolo di Dolorts 1-h,~e. l"arrricc· Su<" L)•on (ptr conccssion<" dd Btì Srills. Posrcrs
nnd Desi14ns).
Kubrock Jiro!:C d;1 ll'alro l'inquadratu ra di Tr:t<)' Reed per una scena di Il dotfm·
(per <onccssiont- del Blì Srills. Posrers :md Designs).
Slrlmtll/1111'1'
Kub rick dà ist ruzioni a Pc:rcr Sdkn. ne l ruolo d el Prcsidcmc Merki n Mu fll c:y,
uno dc i rre r uoli che J'arrorc inrc·rprc ra in 11 douor St•Ymamore (p(·r concessione
de l 13fì Stills , Postcrs and Designs).
Un <:s<:rciz•o di t·onc<:ncrozione: Kubrirk t la sua di lerw scacchi<:ra (per ronrts-
siont' dd Btì Srills, Posttrs ;~nd Dcsigns).
Kubnck discu té co n lo scrittore Art hm C. Cbrk(· sul scr di 200 l: OdiJup JJello
sptlZirJ (per concessione del Blì Srills, Posrers and Designs).
Kubrick prtpara un carrello per Amurùt 111erfallim lcgaco a Ltna sed ia a roct ll<·
csarr:t m f'nrc: com e l'accorc Pacrick Magce. a sin1sr ra (per COI1CCSS IOil<' del Blì
Sci lls, Poscers and Dtsigns).
Sopra: Sul ser di l3cmJ Lp~tlllll Kubrick prepant ht scena del comharrimenro 11
pugn i nudi era Rya.n O'Neal e Par Rouc h (per concessione del Bfì Scills. Ptlsrers
anù De.~ igns).
Slllto: Kub rick osserva con acrenzione mencre l'opera core al la sccadicam Garrecr
Brown conrroll n h1 SLI ~ arr rczzaru ra per u n<t ripresa dc nrro il lab irinco di
Sbi11iug. Dierro al rcgisra, il suo assisremc- Leon Virali (per concessione del J3fì
Scills, Posn:rs a nd Dcsig ns).
•<SraJllc-y ha uno st;unrdo... c he {• molro penerntnce t qualc hr volca Cl fit unn
pau ra ddl"infe rno. Suppongo dH· sia in grado di crnsmcccedo a nc he ai SUOI
acco ri•• . Douglas Milsome (per concess ione del Bfì Sci ll s. Poscers nnd Designs).
«Mi trovavo nella mia fattoria vicino a Fresno e un venerdì ricevet-
ti una telefonata da Londra, il luogo delle riprese di Il dottor
Stranamore, nella quale mi chiesero se avevo degli impegni lavorativi:
non ne avevo. In quel periodo ero piuttosto libero>>, disse Slim
Pickens al «New York TimeS>>. «Andai al palazzo di giustizia e mi
feci fare il passaporto: non ne avevo mai avuto uno prima di allora.
Quello stesso lunedì mi misi in viaggio per l'Inghilterra. Kubrick
non volle mostrarmi nulla di quello che aveva ripreso. Si limitò a
dirmi: "Recita meglio che puoi, andrà bene". E penso che in effetti
fu cosÌ>>.
Slim Pickens era nato a Kingsberg in California e il suo vero nome
era Louis Bere Lindley Jr. Adottò il nome di Slim Pickens negli anni
Trenta, quando iniziò la carriera di down al vicino Pineos Rodeo.
Raggiunse il successo nella doma di cavalli e di tori, abilità questa
che tornò utile nel punto culminante di Il dottor Stranamore, quando
Kong cavalca la bomba atomica verso il suo fatidico bersaglio.
Pickens era apparso in svariati film western hollywoodiani e aveva
lavorato con Marlon Brando in l due volti della vendetta, dopo che
Kubrick aveva abbandonato il progetto.
Quando Pickens arrivò in Inghilterra la corporazione locale degli
attori decise di non concedergli il permesso di lavoro. L'americano
non fu fatto scendere dall'aereo finché i negoziati non determinarono
la sua liberazione. Pickens arrivò sulla scena agli Shepperton indos-
sando un cappello da cowboy, una giacca da pastore, pantaloni da
pioniere del west e stivaletti in pelle di coccodrillo e coi tacchi alti.
Quando Kubrick decise che il suo cowboy Kong avrebbe cavalcato
la bomba fino all'obiettivo Ken Adam fu costretto a ridisegnare il
set per consentire al porcellone del vano bombe di aprirsi e a trovare
un modo per poter realizzare l'effetto visivo. «Ero disperato perché
dovevamo iniziare a girare la scena due giorni dopo>>, ricorda Adam.
«Non c'era alcun modo pratico con il quale avrei potuto far aprire
quei porcelloni>>. Wally Veevers, un maestro degli effetti speciali di
origine inglese che aveva imparato il mestiere collaborando con i fra-
telli Korda in La vita futura - Nel duemila guerra o pafe e che aveva
lavorato per diversi anni agli Shepperton Studios, si occupava degli
effetti speciali di Il dottor Stranamore; era stato Adam a presentare
Veevers a Kubrick.
«Incontrai Wally il quale mi disse: "Lasciami una notte per pen-
sarci e domani mattina ti dirò come fare">>, ricorda Adam. «Infatti se
ne arrivò con un'idea molto semplice, ovvero di scattare una fotogra-
fia formato 25x30 dell'interno del vano bombe e di ritagliare il par-
ticolare del porcellone che si apre: e fu così che venne realizzata la
ripresa. Sopra al grande set allestito agli Shepperton appendemmo il
257
missile a grandezza naturale cavalcato da Slim Pickens e poi tiram-
mo indietro la gru>>.
Nella sceneggiatura originale, il luogotenente Zogg era l'unico
della squadra che metteva in dubbio la natura patriottica della mis-
sione, ma molte delle battute che delineavano questo aspetto del suo
personaggio furono tagliate. Jones era molto contrariato all'idea di
perdere gli elementi che caratterizzavano il suo ruolo, ma non otten-
ne alcuna risposta soddisfacente da Kubrick sui motivi che l'avevano
indotto a tagliare le battute.
Era la seconda volta che Sterling Hayden interpretava una parte in
un film di Kubrick; la sua apparizione in Rapina a mano armata
aveva contribuito a far decollare la produzione. Ora la parte del
generale Jack D. Ripper costituiva un'enorme sfida per l'emotività
dell'attore. «Il primo giorno fu una tortura>>, disse Hayden. «Ero
nervoso, spaventato, feci quarantotto ciak. Mi aspettavo che Kubrick
esplodesse da un momento all'altro e invece fu gentile, mi tranquil-
lizzò e mi convinse del fatto che la paura che traspariva dai miei
occhi avrebbe contribuito a caratterizzare il mio personaggio>>.
George C. Scott aveva collaborato a L'albero degli impia-ati, Anato-
mia di un omicidio, Lo spaa·one e I cinque volti dell'assa.rsino, ma lavorare
con registi quali Delmer Daves, Otto Preminger, Robert Rossen e
John Huston non lo aveva preparato all'implacabile perfezionismo di
Stanley Kubrick. «Stanley è molto meticoloso e odia tutto ciò che
scrive o tutto ciò con cui ha a che fare>>, dice Scott. «È di una serietà
incredibile, a tratti risulta deprimente e possiede un feroce senso
dell'umorismo; però è un paranoico. Ogni mattina ci dovevamo
incontrare e praticamente riscrivevamo tutto il programma di lavoro
della giornata. È un perfezionista e non è mai soddisfatto di quello
che avviene sul set>>.
«È un uomo che mantiene sempre il comando>>, dice Scotta pro-
posito del regista, <<ma è una persona talmente modesta e disposta a
scusarsi che è impossibile risentirsi con lui>>.
Non essendo disposto a lasciarsi sfuggire l'occasione di rafforzare il
proprio dominio sul lavoro, spesso accadeva che Kubrick portasse
sul set una scacchiera e durante le pause giocasse pieno di buona
volontà con i membri del cast e della troupe. Nel corso della produ-
zione di Il dottor Stranamore, fece diverse partite con George C. Scott,
un buon giocatore che però vinceva di rado. Kubrick considerava le
proprie vittorie come un elemento a suo favore, che gli avrebbe faci-
litato il lavoro con l'attore. <<Mi dava un certo vantaggio su di lui.
Quando ti consideri un buon giocatore di scacchi, provi un rispetto
smodato per le persone che riescono a batterti>>, rivelò Kubrick a
Michel Ciment.
258
Nonostante a Kubrick piacesse lavorare in Inghilterra, nel corso
delle riprese di Il dottor Stranamore espresse a Jack Piler di «Variety»
il suo disappunto riguardo a un aspetto del sistema britannico. «Le
uniche cose che mi irritano in Gran Bretagna sono la difficoltà di riu-
scire a fare dello straordinario e le pause per il tè. A un produttore il
tè costa mezz'ora della giornata di riprese: quindici minuti alla mat-
tina e altrettanti al pomeriggio. E per riuscire a convincere la troupe
a fare dello straordinario assolutamente indispensabile se si vuole
rispettare il programma di produzione incontri tante e tali difficoltà
che alla fine i risultati non valgono gli sforzi fatti per attenerli>>.
Kubrick continuò a tenere in massima considerazione Peter Sellers.
«È il più accanito lavoratore che conosca», commentava. <<Arrivo
allo studio alle sette del mattino e Peter Sellers è già lì che aspetta di
iniziare, con la testa piena di idee».
<<Quando sei così ispirato e dotato di talento come lo è Peter,
l'unico fattore che può impedirti di realizzare il tuo lavoro dipende
dalla tua volontà di rischiare», spiegava Kubrick. <<Io credo che
Peter sia disposto a cogliere le occasioni più impensate pur di realiz-
zare un personaggio; egli è estremamente ricettivo nei confronti di
quelle trovate comiche che la maggior parte dei suoi colleghi riter-
rebbero poco divertenti e prive di senso. lo ritengo che sia proprio
questo ad aver reso i suoi lavori migliori assolutamente unici e
importanti».
In un primo momento, Sellers interpretò il presidehte Merkin
Muffley in modo effemminato, delineandolo come un uomo passivo
costantemente alle prese con un inalatore nasale. Dopo aver girato
diverse scene nelle quali il personaggio veniva rappresentato in que-
sto modo, Kubrick disse a Sellers di volere che il presidente mostras-
se una ragionevole sanità mentale in mezzo al caos che dominava.
Kubrick girò di nuovo le scene con Sellers che ora recitava la parte
del presidente come un filantropo e un liberale.
Attraverso l'improvvisazione Sellers ampliò alcune delle scene.
Nella sequenza in cui il presidente parla al telefono con il premier
russo, Sellers aggiunse la battuta: <<Tu te l'immagini quello che sto
passando io, Dimitri?». La parte di Mandrake venne interpretata da
Sellers senza significative variazioni, con l'unica eccezione della bat-
tuta: <<Generale, io vorrei tanto venire, mi creda, ma il guaio è che
sto già tenendo la cinghia, quella della gamba» (riferendosi alla pro-
pria gamba di legno) diretta al generale Jack D. Ripper, interpretato
in modo squisitamente folle da Sterling Hayden.
<<Nel corso delle riprese, alla sceneggiatura furono apportate diver-
se modifiche sostanziali che a volte dipesero dalla genialità delle
improvvisazioni degli attori», disse Kubrick a Gene Phillips.
259
Molti pensarono che il motivo per il quale Sellers interpretò la
parte del dottor Stranamore su una sedia a rotelle fosse dovuto al
fatto che si era rotto la caviglia. In realtà poiché sia Kubrick che
Sellers ritenevano che le figure politicamente forti fossero in qualche
modo anche imponenti, ritennero che la sedia a rotelle avrebbe potu-
to costituire un efficace accessorio per un dottore pazzo. Nel corso
degli anni, molti sostennero una presunta rassomiglianza tra il dottor
Stranamore e Henry Kissinger. Kissinger era stato professore ad
Harvard e aveva scritto un libro sulla guerra nucleare, ma né Kubrick
né Peter Sellers avevano mai incontrato l'uomo che successivamente
sarebbe diventato il segretario di Stato del presidente Nixon. «Con
ogni probabilità l'accento di Stranamore traeva ispirazione dal fisico
Edward Teller, noto come "il padre della bomba H", disse Kubrick
ad Alexander Walker, «sebbene Teller sia di origine ungherese e il
suo accento non somigli poi tanto a quello utilizzato da Peter>>.
I set del film furono allestiti e fotografati agli Shepperton Studios.
Per un totale della base militare, Ken Adam organizzò una ricogni-
zione sull'aeroporto di Londra, mentre le riprese della sala dei com-
puter furono effettuate in alcuni uffici della Ibm. Gli esterni della
base per le sequenze degli scontri tra le truppe americane furono rea-
lizzati sul terreno retrostante gli Shepperton Studios. I veicoli milita-
ri vennero presi in affitto da società specializzate in residuati bellici.
Kubrick continuava a tenere sotto pressione la troupe cinemato-
grafica britannica con la quale lavorava. Victor Lyndon, il produttore
associato, trovava che lavorare insieme a Kubrick fosse una sorta di
impresa militare. «La mia mente lavora due volte più velocemente di
quanto non accada di solito>>, disse Lyndon a Elaine Dundy che si
trovava sul set degli Shepperton Studios per fare un articolo per la
rivista «Glamour>>. «A Kubrick non basta che gli si dica se una certa
cosa funzionerà o no. Vuole che tu gli provi la tua opinione finché
egli non si ritiene soddisfatto della tua spiegazione, la qual cosa
implica che tu debba ordinare tutte le tue argomentazioni secondo
logica e precisione. Alcune volte ti lascia libero di agire, e comunque
anche in quel caso controlla e ricontrolla. Il lato creativo è completa-
mente in mano sua. Arriva persino a creare le locandine dei suoi
film. È un uomo stimolante con il quale lavorare; la sua mente è
quella di un formidabile giocatore di scacchi, e in effetti lo h.
Ken Adam parlò a Elaine Dundy dell'intensa concentrazione di
Kubrick sul set. «La sua è una buffa combinazione di freddezza e
ipersensibilità. L'altro giorno ha incontrato mia moglie sul set e si è
comportato come se fosse completamente inconsapevole della sua
esistenza, poi, la sera stessa, le ha telefonato per scusarsi. Quando
lavora non riesce a pensare a niente altro>>.
260
Kubrick cambiò numero di telefono quando Terry Southern iniziò
a chiamarlo troppo spesso. Southern era entusiasta del modo in cui il
regista riusciva a concentrarsi fino a ignorare qualunque altra cosa.
«Si versava un drink, poi iniziava a parlare di una cosa e si dimenti-
cava di berlo», disse Southern a Elaine Dundy. <<L'altra sera stavo per
versarmi un drink, visto che gli capita anche di dimenticarsi di
offrirei da bere, ma non c'erano bicchieri. Così gliene ho chiesto uno
e lui mi ha risposto: "Beh, se non c'è bevi dalla bottiglia". Ma va
bene così. Gli elementi secondari non lo toccano. No, è una persona
diversa, probabilmente è un genio».
Kubrick voleva che la tecnologia militare del film avesse un aspet-
to completamente realistico. Poiché si trattava di una commedia
nera, una cooperazione con l'esercito degli Stati Uniti era fuori
discussione. Tuttavia Kubrick e Adam trovarono altri modi per repe-
rire quelle che l'esercito statunitense considerava informazioni riser-
vate sui velivoli utilizzati per lo scontro nucleare. <<Era veramente
incredibile che riuscissimo a ottenere tutte le informazioni che desi-
deravamo attraverso una rivista tecnica sul volo come "Janes"» spie-
ga Adam. <<Arrivammo a conoscere ogni cosa alla perfezione, quindi
copiammo il bombardiere B-52. L'unica cosa della quale non erava-
mo certi erano la forma e le dimensioni di quella piccola scatola, il
CRM, il dispositivo a sicurezza intrinseca. Ma mi venne un'idea:
durante le riprese invitammo alcuni membri della forza aerea a visi-
tare il set, i quali impallidirono quando videro il CRM, così capim-
mo che doveva essere piuttosto simile. Trovai un appunto di
Kubrick nel quale mi diceva: "Farai meglio a scoprire da dove hai
ricavato i tuoi dati perché potremmo essere interrogati"; si trattava
per lo più di dati tecnici ricavati dalle riviste di settore».
Kubrick era affascinato dagli interruttori che si trovavano nell'abi-
tacolo del bombardiere B-52 e dal gergo utilizzato dalla forza aerea
per comunicare con i membri dell'equipaggio. Peter Murton, il
direttore artistico, riuscì a reperire dei pannelli di strumentazione in
metallo zigrinato, sui quali applicò degli interruttori a levetta.
Furono creati dei modellini del bombardiere B-52 in molte scale
diverse, che dovevano essere utilizzati per le riprese in esterni nelle
quali si vede l'aereo in volo. Il metraggio per lo sfondo della scena di
volo fu realizzato a bordo di un Mitchell in volo sulla Norvegia da
]ohn Crewdson, al quale venne riconosciuto il credito di esperto di
aviazione.
Per creare le mappe appese alle pareti della War Room del
Pentagono, attraverso le quali era possibile seguire le tracce dell'aereo
che porta la bomba, Adam e il settore artistico disegnarono delle car-
tine della dimensione di una tavoletta da disegno che poi vennero
261
fotografate e ingrandite su carta fotografica. Kubrick e Adam decise-
ro di animare i simboli che seguivano meccanicamente l'aereo in
volo, ma dopo un attento esame risultò evidente che sarebbero stati
necessari troppi proiettori da 16mm, oltre che troppo tempo, per
organizzare le riprese con trasparenti e proiezioni frontali. Così, die-
tro a ogni simbolo vennero sistemate delle lampadine, ciascuna delle
quali era coperta da un rivestimento in plexiglas, mentre il materiale
fotografico della cartina era steso sopra il plexiglas. Successivamente
ci si rese conto che il calore delle lampadine finiva con il formare
delle bolle sull'emulsione fotografica, sollevandola dalle cornici. Il
problema venne risolto installando un sistema di condizionamento
dietro ai grossi schermi in modo da mantenerli freddi.
Anche il pavimento nero e lucido che Adam voleva per la War
Room del Pentagono fu causa di non pochi grattacapi. Il pavimento
dell'enorme set della stanza della guerra venne ricoperto da fogli a
superficie nera lucida, delle dimensioni di due metri e mezzo per un
metro. Ma poiché il pavimento del set insonorizzato degli
Shepperton era vecchio e tutt'altro che in piano, ne risultò una
superficie troppo irregolare e quindi si rese necessario posare di
nuovo il pavimento.
Una volta completato, il pavimento doveva essere tenuto assoluta-
mente pulito. Per non rigare la superficie lucida, gli attori potevano
tenere le scarpe solo il tempo strettamente necessario alla ripresa;
furono così muniti di babbucce di panno che dovevano essere indos-
sate per spostarsi tra una ripresa e l'altra.
Per la forma dei missili che portavano la bomba, Adam fu costret-
to a contare sulla sua immaginazione. «Non avevo assolutamente
idea di che aspetto dovesse avere un missile. Nel 1962 nessuno aveva
mai visto una bomba atomica, quindi il dilemma era se farla molto
piccola oppure molto grande. Fu così che arrivai a questa forma
curiosa, mentre a Stanley venne l'idea dei graffiti». Kubrick fece
ridipingere le bombe per tre volte cercando di scoprire che aspetto
potessero avere.
Ancora una volta Peter Sellers fece ricorso al suo geniale talento di
improvvisatore per interpretare i suoi tre ruoli, in special modo per
caratterizzare il personaggio del folle dottor Stranamore. Come era
accaduto per Lolita, anche in Stranamore Kubrick lasciò a Sellers asso-
luta libertà di esplorare i personaggi che avrebbe interpretato, e
riscrivendo la scena con le nuove battute scaturite dall'ispirazione e
rendendo così ancora più efficace l'effetto dell'ispirazione. Nel corso
di un'isterica filippica che doveva essere inserita nella conclusione
del film, Sellers, che vestiva i panni del dottore pazzo sulla sedia a
rotelle, esplose in un saluto nazista urlando «Heil Hitler>>. Kubrick
262
incoraggiò Sellers ad approfondire la trovata mentre la scena veniva
perfezionata nel corso di una serie di riprese.
Durante la produzione di Il dottor Stranamore, Stanley Kubrick
venne a sapere che era in corso la lavorazione di un film tratto da
Faii-Safe, un best-seller di Eugene Burdick e Harvey Wheeler. Il
professor Harvey Wheeler aveva scritto il racconto Abraham '59,
pubblicato nel 1959 sulla rivista «Dissent», che gli era servito come
traccia per il romanzo che seguì. Eugene Burdick, l'autore di The
Ugly American, aveva collaborato con Wheeler alla stesura di Faii-
Saje. Come Red Alert, anche Faii-Safe trattava dell'invio accidentale
di un'arma nucleare. Max Youngstein, che ai tempi di Rapina a
mano armata aveva tiranneggiato la Harris-Kubrick, adesso era a
capo della Entertainment Corporation of America, una nuova
società che aveva acquistato i diritti di adattamento cinematografico
di Faii-Safe e che premeva perché il film venisse realizzato e distri-
buito sui grandi schermi d'America nel giro di sei settimane, in
modo da battere sul tempo Il dottor Stranamore. Si vociferava che
l'acquisizione dei diritti di Faii-Safe fosse costata a Youngstein
500.000 dollari.
Quando Kubrick apprese del progetto di Youngstein, annunciò
che gli avrebbe fatto causa. Fu quindi intentata una causa per plagio
contro la Eca di Youngstein, contro Burdick, Wheeler e la McGraw-
Hill, il loro editore, e contro la Curtis Publishing che aveva pubbli-
cato a puntate Faii-Safe. Scopo dell'azione legale era fermare la pro-
duzione dell'adattamento cinematografico del romanzo, che Kubrick
presumeva fosse stato «copiato in larga misura dal libro di Peter
George>>.
Era il febbraio del 1963 e oltre a mandare avanti la causa, Kubrick
premeva perché Il dottor Stranamore uscisse entro luglio battendo così
il suo antagonista. Kubrick annunciò che stava programmando una
intensa campagna pubblicitaria televisiva con spot della durata di un
minuto e più.
Kubrick disse a «Variety>> che Red Alert, originariamente pubbli-
cato con il titolo Two Hours to Doom, era stato scritto molto prima di
Faii-Safe e che per l'accuratezza dimostrata nel trattare l'argomento
Peter George aveva ricevuto i complimenti da parte di esperti del
settore nucleare come Thomas C. Shelling dell'Harvard Center of
International Affairs e di Hermann Kahn, il più eminente stratega
degli Stati Uniti d'America. A prova di errore, questo il titolo Jei
film tratto dal romanzo, sarebbe stata la prima produzione della Eca.
L'azione legale intentata da Kubrick fu discussa presso la Corte
Federale di New York. Dopo essersi consultato con il suo avvocato,
Wheeler si difese sostenendo che la trama del romanzo gli era venuta
263
in mente anni prima e che in origine Abraham '59, sul quale era
ampiamente basato l'intreccio di Faii-Safe, si chiamava Abrahant '57
ma la storia era stata venduta solo due anni dopo.
Nel frattempo Youngstein intendeva procedere con la produzione,
mentre la McGraw-Hill, l'editore che aveva pubblicato Faii-Safe,
assicurava che non c'era motivo di preoccuparsi. Youngstein annun-
ciò: «Inizieremo il 15 aprile».
In effetti tra i due romanzi c'erano delle somiglianze: in entrambi
si parlava degli Stati Uniti che offrivano segreti militari ai sovietici
per aiutarli a distruggere i bombardieri americani, in entrambi il
perdente aveva un congegno capace di fare esplodere ciò che rimane-
va del vincitore. In entrambe le storie c'erano la War Room, i dispo-
sitivi militari, ufficiali e diplomatici che stringevano i denti. Il mes-
saggio di Red Alert era che la pace nel mondo è possibile solo se esi-
ste un equilibrio basato sul terrore. Faii-Safe invece aveva un approc-
cio di carattere più morale e affermava che era possibile lo scoppio di
una guerra a causa di un incidente. Alla fine prevalse Kubrick. La
Columbia Pictures che si era impegnata con Il dottor Stranamore, si
impegnò anche a distribuire A prova di errore, che era diretto da
Sidney Lumet, ma solo dopo che Il dottor Stranamore fosse uscito e
fosse stato distribuito regolarmente: Il dottor Stranamore uscì nel
dicembre del 1963, A prova di errore nell'ottobre del 1964.
Per il montaggio di Stranamore fu chiamato ancora una volta
Anthony Harvey, il quale aveva già dato prova della sua abilità,
pazienza e lealtà in Lolita. Harvey si occupò del premontaggio, la
versione del film del montatore, realizzato mentre il regista sta anco-
ra girando e terminò poco dopo che le riprese furono terminate.
Harvey montò il film in una sala di montaggio degli Shepperton
Studios; il premontaggio comprendeva tutte le scene che il regista
aveva girato e sviluppato. Poi Kubrick e Harvey collaborarono alla
creazione del montaggio definitivo. <<Sedevamo insieme sul pavi-
mento dello studio per un po' e parlavamo, ma non molto, perché la
sua concentrazione era tesa a selezionare le riprese del film. Poi misi
insieme un premontaggio, Stanley ne prese visione e insieme ini-
ziammo a esaminare ogni più piccolo dettaglio, dalla prima bobina
all'ultima», spiega Harvey.
La squadra dei montatori era composta da tre elementi: Harvey e
un primo e un secondo assistente. Il sonoro della postproduzione fu
affidato a Winston Ryder, il brillante montatore del suono che aveva
lavorato con David Lean in Lawrence d'Arabia.
<<Senza ombra di dubbio Stranamore aveva una ben scarsa rassomi-
glianza con la sceneggiatura originale>>, spiega Harvey. «Eravamo
davvero molto depressi. Ricordo che smontammo l'intero film. Io e
264
Stanley mettemmo i titoli su un grosso foglio di sughero e li risiste-
mammo in molti modi diversi finché non trovammo un ordine che
ci sembrava un po' più interessante. A quel punto rimontammo
tutto il film, sistemando in modo completamente diverso le scene.
Quando ti trovi a lavorare alla moviola accade spesso che modifichi
le cose, nel caso di Stranamore ciò accadde ancor più del solito>>.
Il tipo di approccio nero con il quale Il dottor Strananmore si acco-
stava alla satira fece di questa commedia una vera pioniera. La com-
passata serietà dell'approccio cinematografico rese il film ancora più
divertente, permettendo agli spettatori di ridere di un inconcepibile
atto di distruzione nucleare. «I fratelli Boulring, i primi con i quali
lavorai, dicevano sempre: "Se inizi a ridere sul set oppure se la trou-
pe lo trova divertente ai giornalieri, che Dio ti aiuti">>, spiega
Harvey. «La commedia è molto seria. Quando un attore pensa di
essere divertente e recita davanti alla troupe, allora è la morte. Una
volta ripreso su pellicola non funzionerà mai. Stanley si attenne a
questa teoria per tutta la durata del film>>.
Durante il montaggio di Il dottor Stranamore il genere di disastro
più temuto da un regista meticoloso come Stanley Kubrick alla fine
si avverò. Quando Anthony Harvey ebbe completato l'intricato
montaggio della sequenza del lancio della bomba, la ·scena venne
mandata al laboratorio per una stampa in modo da poterla consegna-
re a Winston Ryder, che avrebbe iniziato a creare, registrare e mon-
tare gli effetti sonori. Invece questa fu l'ultima volta che la scena
montata fu vista. Ryder disse di non aver mai ricevuto la stampa
della scena: la sequenza montata era sparita nel nulla. Così Harvey fu
costretto a rifare il montaggio facendo affidamento solo sulla propria
memoria. Era necessario ristampare i giornalieri della sequenza e
Harvey scrupolosamente la ricostruì una ripresa alla volta, basandosi
sul ricordo che aveva del materiale selezionato e di come esso era
stato montato.
Kubrick aveva studiato attentamente le campagne pubblicitarie e
sapeva come analizzare le cifre. Iniziò a frequentare gli uffici pubbli-
citari della Columbia al 711 della Quinta Avenue di New York. Era
consapevole del fatto che Il dottor Stranamore rappresentasse una gros-
sa scommessa, così passò sei settimane con i dirigenti del settore
pubblicitario, insistendo perché al film fossero garantiti lo stesso
trattamento e il medesimo budget che erano stati destinati a I canno-
ni di Navarone, il celebre film distribuito dalla Columbia nel t96l.
John Lee, un ventiduenne che aveva studiato a Cambridge, stava
facendo un tirocinio nel settore pubblicitario della Columbia mentre
Kubrick si stava occupando della creazione di una campagna pubbli-
citaria per il suo film. Kubrick prese il giovane in simpatia e passò
265
ore intere seduto sulla scrivania di Lee a parlare di Il dottor Stranamore
e di vecchi film. Lee definì Kubrick «basso, scuro, tozzo e intenso»,
un uomo ambizioso che lavorava sodo e che sapeva che Il dottor
Stranamore costituiva la sua opportunità di entrare a pieno titolo nel
cinema internazionale d'alto livello.
Il costo del film si aggirò tra l. 700.000 e i due milioni di dollari.
La proiezione per la stampa di Il dottor Stranamore fu fissata per il 22
novembre 1963. Il montatore Anthony Harvey era presente per sor-
vegliare il debutto del film di fronte alla critica, quando da Dallas
giunse la notizia che il presidente John F. Kennedy era stato colpito
a morte da una pallottola. Il film, che sarebbe stato sicuramente
accolto con una risatina sommessa dal trentacinquesimo presidente
degli Stati Uniti, quel giorno non venne proiettato. Tutti i presenti
tornarono a casa a dolersi della triste notizia.
In segno di rispetto nei confronti del presidente, Kubrick modificò
una battuta di Kong nella scena in cui il personaggio spiega ai suoi
uomini il kit di sopravvivenza della missione. In origine Kong dice-
va: «Un tizio potrebbe passare un bel fine settimana a Dallas>>, ma la
battuta fu cambiata in «Un tizio potrebbe passare un bel fine setti-
mana a Vegas>> I. Per ironia della sorte, nella sequenza delle torte in
faccia "Buck" Turgidson diceva: «Gentili signori, il nostro amato
presidente è stato colpito in pieno>>.
Poco prima che Il dottor Stranamore uscisse a New York, Kubrick
disse a Eugene Archer di non essere d'accordo con i dirigenti della
Columbia, i quali pensavano che l'assassinio di Kennedy avrebbe
potuto avere delle ripercussioni sul film. «Non c'è assolutamente
alcun legame tra il nostro presidente, quello interpretato da Peter
Sellers e un qualsiasi altro personaggio reale. È chiaro che nessuno
può vedere Stranamore e considerarlo solo una burla>>, disse Kubrick
ad Archer. «È interessante riflettere sui modi possibili di influenzare
le persone attraverso uno strumento come il mio. Di regola la gente
reagisce quando arriva a confrontarsi direttamente con gli eventi. In
questo caso qualunque contatto diretto con la bomba lascerebbe ben
poche persone capaci di avere una qualche reazione. Il riso non può
fare altro che rendere la gente un po' più riflessiva».
Originariamente Il dottor Stranamore sarebbe dovuto uscire a
Londra il 12 dicembre 1963, ma il 28 novembre, dopo un periodo di
lutto per la morte del presidente, la Reuters comunicò che la
Columbia Pictures avrebbe cancellato la prima londinese di Il dotto-r

l. Nella versione i.mliana «Ci si potrebbe passare una bella domenica con tucta questa
roba».
266
Stranamore in segno di rispetto verso il presidente Kennedy. Il comu-
nicato continuava affermando che: «La Columbia ha riferito a
Stanley Kubrick, il produttore e regista del film, e al sindacato dei
registi di aver deciso che al momento attuale sarebbe inopportuno
fare uscire una commedia di stampo politico». La prima londinese fu
programmata per il 1964.
Quando Il dottor Stranamore venne proiettato per i dirigenti della
Columbia Pictures, le reazioni furono tutt'altro che entusiastiche. Il
vicepresidente in carica della produzione, Mike Frankovich, il figlio
adottivo del comico Joe E. Brown, e sua moglie, l'attrice Binnie
Barnes, apparvero angosciati quando si accesero le luci nella sala di
proiezione al termine della commedia sulla totale distruzione del
pianeta. Frankovich trovò che il film non poteva essere proiettato e
lo definì una disgrazia per la Columbia Picrures.
Il fatto che il film contenesse una sequenza ispirata ai grandi comi-
ci certamente non aiutò. Per tutta la durata del film la War Room
ostenta un buffet coperto di cibi raffinati. Sul tavolo del buffet ci
sono anche una serie di soffici torte alla crema. L'ambasciatore russo
afferra una torta e la lancia. La torta manca il bersaglio designato e
colpisce il presidente in pieno volto. Seguendo la grande tradizione
della sequenza delle torte in faccia, scoppia un pandemonio mentre
le torte volano attraverso la sala della guerra lasciando tutti i presen-
ti sporchi di crema. La conclusione della sequenza vede il presidente
degli Stati Uniti e l'ambasciatore dell'Urss seduti sul pavimento,
coperti di crema, che battono le mani e cantano <<Perché è un bravo
ragazzo ... >> in lode del dottor Stranamore.
La sequenza richiese quasi due settimane di riprese; ogni giorno
venivano ordinate duecento torte fatte di schiuma da barba. Al ter-
mine del primo giorno i danni causati dai lanci delle torte convinse-
ro Kubrick della necessità di girare un altro ciak della War Room
prima della sequenza delle torte in faccia. Bridget Sellers era incari-
cata dei costumi e portò gli abiti imbrattati di crema in una tintoria
di Kingston-on-Thames mentre la troupe ripuliva il set. La proprie-
taria della lavanderia era convinta di essere vittima di una candid
camera, ma Bridget finì col persuaderla del contrario, così la donna
preparò i costumi che dovevano servire per la ripresa che precedeva
quella delle torte in faccia.
Peter Bull, che recitava nel ruolo dell'ambasciatore russo, si trova-
va al centro dei fitti lanci incrociati delle bombe: di crema e in un
articolo pubblicato nel 1966 sul <<New York Times» ricordò con
affetto il lavoro svolto nella leggendaria e inedita sequenza. <<I primi
giorni di riprese della scena furono davvero divertenti», scrisse,
«facemmo un bel po' di prove tirando e ricevendo in faccia le torte
267
per vedere come far sbriciolare la torta. Gli incaricati degli accessori
di scena si divertivano un mondo perché si tenevano sempre al sicuro
ai lati della macchina da presa che riprendeva l'azione, mentre si
preoccupavano di rifornirei di proiettili; alla fine però divennero fin
troppo zelanti e dopo un po' il disagio sopportato dagli attori
diventò considerevole. Sebbene non si sia verificato nessun danno
serio, c'erano sempre il tormento degli occhi che bruciavano e lo
choc provocato dall'ottima crosta della torta che colpiva un po' qui e
un po' là>>.
«Dopo alcuni giorni, quello che era stato un lustro pavimento
sembrava vittima del bombardamento aereo di Londra e non c'era
alcuna possibilità di indossare le scarpe di pezza che utilizzavamo in
tempi passati e più puliti, a meno di fare un gran scivolone attraver-
so tutto il set. In alcuni giorni, gli attori non poterono recarsi al
ristorante dello studio perché camminando lasciavano dietro di loro
una terribile scia. Tutti i corridoi, i bagni e i camerini avevano un
aspetto alquanto fuori dall'ordinario e sembrava fossero stati visitati
da creature extraterrestri, misteriosamente formatesi da alcune forme
vegetali. Si provava un curioso senso di degrado ad andarsene in giro
coperti di pezzi di torta, cosa che io personalmente trovavo piuttosto
deprimente>>.
<<Finalmente l'ultima torta fu lanciata e io partii quasi immediata-
mente per le isole della Grecia dove la gente si limitava a lanciare
vasellame dalle finestre in occasione della Pasqua>>. Le sequenze gira-
te nella War Room avevano richiesto nel complesso cinque settimane
di riprese. Alla fine Kubrick decise di eliminare la scena delle torte
in faccia perché, come ebbe a dire a Gene Phillips: <<È troppo farsesca
e non si accorda con il tono satirico che permea il resto del film>>.
Per la parte culminante del film, alla quale segue la fine del
mondo, Kubrick decise di utilizzare una canzone originale della
seconda guerra mondiale intitolata We'/1 Meet Again e cantata da Vera
Lynn. Il film fece buona pubblicità alla Lynn e ne rinnovò la popola-
rità. L'intento della canzone era quello di far vibrare le corde della
morale. Durante la produzione del film, Kubrick disse a Lyn
Tornabene, in visita agli Shepperton Srudios per intervistare il regista
per un articolo che doveva comparire su <<Cosmopolitan>>, che stava
considerando l'idea di inserire i versi della canzone sopra la scena
finale del fungo atomico prodotto dallo scoppio della bomba. Spiegò
che aveva intenzione di rivolgere un invito agli spettatori perché si
unissero alla canzone. Questa idea però finì con l'essere scartata.
Kubrick cercò di pilotare le reazioni che sarebbero seguite alla pre-
sentazione in anteprima di Il dottor Strananwre alla Columbia. In
occasione di una di queste proiezioni il regista sistemò tra il pubbli-
268
co molti dei suoi amici con la speranza di manipolare in proprio
favore i giudizi sul film. Tra gli spettatori c'era anche Bob Gaffney
che aveva lavorato nella seconda unità di Lolita insieme a Kubrick, il
quale comprese immediatamente che non sarebbe stato semplice
assecondare le intenzioni del regista. Guardandosi un po' in giro,
Gaffney vide un gran numero di donne con acconciature a forma di
alveare che sembravano impreparate allo sconvolgimento che sarebbe
derivato da Il dottor Stranamore. «Dissi a me stesso che non sapevano
di cosa trattasse il film ed ero più che certo che la loro reazione
sarebbe stata del tipo: "Ma che cos'è?">>.
Il dottor Stranamore ottenne il marchio di approvazione da parte
della Mpaa il 2 gennaio 1964, senza incontrare grossi problemi.
La War Room concepita da Kubrick, Southern e Adam non solo
fece ridere le platee ma colpì l'immaginazione di un vero presidente
degli Stati Uniti. Quando nel 1981 Ronald Wilson Reagan, dopo
essere eletto alla presidenza, visitò la Casa Bianca, uno dei primi
ambienti che chiese di vedere fu la War Room. Quando a Ken Adam
venne riferito l'episodio egli rispose: <<Stai scherzando!>>.
Bosley Crowther, il potente critico cinematografico del <<New
York Times>>, rimase atterrito dinanzi alla commedia sulla fine del
mondo diretta da Kubrick. Il filosofo Lewis Mumford scrisse al
<<TimeS>> dicendo: <<Questo film segna una prima breccia nella cata-
tonica trance della guerra fredda che ha tenuto il nostro Paese stretto
in una morsa per così lungo tempo>>. Elvis Presley era un ammirato-
re di Il dottor Stranamore e proiettò una copia del film a Graceland. Il
primo week-end di programmazione del film Steven Spielberg si
mise in coda davanti al cinema, a San José in California. Mentre
stava aspettando di entrare arrivarono di corsa sua sorella e suo padre
con una lettera dell'esercito che lo dichiarava abile alla leva e recluta-
bile. «Ero talmente preoccupato all'idea che avrei potuto andare in
Vietnam che dovetti vedere il film una seconda volta per apprezzarlo
veramente e solo allora compresi la sua essenza di cinema classico e
insieme bizzarro>>, ricorda Spielberg. Oliver Stone vide Il dottor
Stranamore insieme al padre Louis Stone. «Avevo diciotto anni e mi
sembrò così sciocco e ridicolo, anche se percepivo che conteneva
qualcosa di innegabilmente potente. Probabilmente fu la prima
volta, considerando che ero cresciuto a forza di film di Danny Kaye,
che vidi un soggetto trattato in quel modo>>, ricorda Stone. «Fu uno
dei primi film che vidi da ragazzo che puntava il dito cuntru un
governo indifferente ai bisogni della gente, un governo nemico>>.
La critica cinematografica Judith Crist mise Il dottor Stranamore in
cima alla classifica dei dieci film migliori dell'anno; al film fu confe-
rito il premio per il miglior film dalla Society of Film and Televi-
269
sion Arts. Kubrick fu nominato miglior regista dalla Directors
Guild of America e la New York Film Critics gli consegnò il premio
come migliore regista dell'anno. Il dottor Stranamore vinse anche il
premio Hugo come migliore film di fantascienza dell'anno.
Kubrick, George e Southern ottennero una nomination agli Oscar
per la migliore sceneggiatura. Il dottor Stranamore ottenne inoltre una
nomination come miglior film, Peter Sellers come migliore attore e
Kubrick come miglior regista. Il film vinse il Writers Guild Award
per la migliore sceneggiatura del 1964.
Il film ebbe una risonanza internazionale. «Trovavo che i suoi film
fossero piuttosto lunghi e noiosi ma Il dottor Stranamore mi piacque»,
disse il regista Ken Russell. In Europa il film incontrò ampi consen-
si, si guadagnò ottime recensioni e riscosse buoni incassi ai botteghi-
ni di Scandinavia, Italia e Francia. I quotidiani comunisti di Roma e
di Parigi apprezzarono molto il film e applaudirono la satira sulla
follia nucleare in America.
Nell'agosto del 1964 Kubrick si infuriò quando la Mgm e la
Filmways fecero uscire una pubblicità per Il caro estinto, un nuovo
film scritto da Terry Southern, nella quale si leggeva: <<Che cosa
accade quando il regista di Tom}ones [riferendosi a Tony Richardson]
incontra lo sceneggiatore di Il dottor Stranamore?>>. Kubrick incaricò
il suo legale di contattare la Mgm e la Filmways minacciando
un'azione legale se non avessero ritirato la pubblicità. In una dichia-
razione ufficiale, Kubrick spiegò il motivo che stava alla base della
sua azione dicendo: <<Sono stato fortemente sollecitato dai miei legali
a mettere pubblicamente il contributo fornito dal signor Southern
nella giusta ottica e a intraprendere un'azione legale per impedire
che la Mgm e la Filmways ripetano la campagna pubblicitaria>>.
Kubrick continuava spiegando che la sceneggiatura di Il dottor
Stranamore era stata scritta principalmente da lui e da Peter George.
Affermò che Southern aveva collaborato al progetto solo per un breve
periodo e dopo che il lavoro principale sulla sceneggiatura era già
stato portato a termine. Kubrick disse che Southern era stato inter-
pellato <<per vedere se era possibile aggiungere qualche ciliegina
sulla torta». Kubrick affermò che quando Southern era intervenuto
nel progetto, lui e George stavano lavorando alla sceneggiatura già
da otto mesi, e che lo scrittore aveva collaborato dal 16 novembre al
28 dicembre 1962. Egli sostenne inoltre che durante le riprese la
sceneggiatura fu soggetta a sostanziali cambiamenti per opera sua e
di George, anche sulla base dell'improvvisazione dei membri del
cast. Kubrick disse che Southern aveva visitato il set ma mai in veste
professionale e che non aveva preso parte ai cambiamenti apportati
alla sceneggiatura nel corso delle riprese».
270
Il credito per la sceneggiatura era da sempre un argomento dolente
per Kubrick e, come era già stato lamentato dalla famiglia di Jim
Thompson, si ha la sensazione che solo di rado Kubrick riconosceva
agli scrittori il giusto merito. Il regista si batteva duramente per
proteggere le proprie idee e per preservare il suo status di autore.
L'attacco a Terry Southern dovette risultare penoso allo scrittore,
che però rimase fedele al film nel corso degli anni. Il dottor Stranamore
non sarebbe stato lo stesso senza l'attacco perpetrato ai danni della
morale da Southern. Spesso egli parlò con calore ai suoi studenti di
sceneggiatura del lavoro che aveva svolto per il leggendario film. Il
31 ottobre 1995, mentre si stava recando alla Columbia University
per tenere una lezione sulla sceneggiatura, Southern ebbe un collasso
e morì per insufficienza respiratoria; aveva settantuno anni.
Kubrick si trovava all'apice della sua ricerca nel campo della tec-
nologia cinematografica, che continuò a integrare con la padronanza
del mezzo. Continuando a lavorare in modo differente dal sistema
convenzionale, egli incorporò le tecniche che riteneva lo avrebbero
portato ad approfondire sempre più la sua padronanza. La fotografia
rimase alla base del tipo di approccio adottato da Kubrick. Gli
esperti operatori di Hollywood erano in grado di capire come la luce
sarebbe stata letta sull'emulsione della pellicola; se necessario era
anche possibile effettuare dei test per determinare l'illuminazione
finale di una scena complicata. La macchina fotografica Polaroid per-
metteva al fotografo di vedere la stampa immediatamente e Kubrick
iniziò a utilizzarla sui set dei suoi film. Con la Polaroid egli scattava
una foto in bianco e nero con l'illuminazione adeguata alla posizione
della macchina da presa che intendeva utilizzare e usava l'istantanea
per giudicare ed eventualmente ritoccare la luce. La pellicola
Polaroid percepiva la luce in modo differente rispetto a una pellicola
35mm, ma il regista imparò in fretta a valutare le differenze. L'uso
della Polaroid sui set cinematografici finì con il diventare una con-
suetudine dell'industria ma Kubrick fu l'avanguardia, guidato dalla
sua preveggenza artistica e tecnica.
Christiane Kubrick continuò a dipingere e a sondare il suo talento
di artista. Nel settembre 1964 ritornò alla Art Students League per
frequentare un corso di scultura con ]osé de Creeft e in ottobre si
iscrisse a un corso di disegno dal vero con Vaclav Vytlacil.
Nel 19641e Nazioni Unite annunciarono una serie televisiva di sei
episodi finanziata dalla Xerox. I cineasti che avrebbero preso parte al
progetto erano Peter Glenville, J oseph Mankiewicz, Otto
Preminger, Robert Rossen, Fred Zinnemann e Stanley Kubrick. A
quel tempo Peter Hollander, il vecchio compagno di moviola di
Kubrick alla Titra Films nei giorni di Il bacio dell'assassino, rivestiva
271
un ruolo influente nel settore cinematografico delle Nazioni Unite.
«Avevo sempre desiderato convincere Stanley a fare qualcosa per le
Nazioni Unite>>, disse Hollander. Il film però non fu mai realizzato
Al principio degli anni Novanta, dopo una lunga ricerca per trova-
re il negativo originale di Il dottor Stranamore, Kubrick decise di
restaurare personalmente il film fotografando ogni singolo fotogram-
ma di una copia conservata in magazzino con la sua macchina da
presa Nikon. «Scoprimmo che lo studio aveva perduto il negativo di
Il dottor Stranamore>>, disse Kubrick a Tim Cahill della rivista
«Rolling Stone>>. «E che avevano perso anche la colonna sonora
magnetica originale. Tutti i negativi stampati erano controtipi mal
conservati. La ricerca continuò per un anno e mezzo; alla fine fui
costretto a ricostruire il film partendo da alcuni positivi che non ave-
vano una grana molto fine e che per di più erano già danneggiati. Se
quelle pellicole si fossero rotte non avrei più potuto ricavarne alcun
negativo>>. La copia fu nuovamente distribuita nel 1994, in occasio-
ne del trentesimo anniversario del film e fu proiettata al Film Forum
di New York. Originariamente Il dottor Stranamore doveva essere
proiettato con un formato 1.85:1. Nel nuovo positivo, Kubrick rea-
lizzò la sua idea originale di girare il film con un formato di 1.66: l,
che rivelò nella sua interezza il Cinemascope dei brillanti set di Ken
Adam e della messa in scena di Kubrick.
Il 10 novembre 1995, nell'edizione di "Nightline" sulla Abc,
Forrest Sawyer ospitò un programma sullo smantellamento degli
arsenali nucleari degli Stati Uniti e dell'ex Unione Sovietica. I pro-
duttori di "Nightline" decisero di chiamare lo spettacolo Dr.
Strangelove Revisited e mostrarono una clip di Slim Pickens a cavallo
della bomba che avrebbe provocato la distruzione totale. Il 14
novembre Russell Baker scrisse una nota per il «New York Times>>
deplorando la triste condizione in cui versavano le più memorabili
battute del film. «In Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non
preoa·uparmi e ad amare la bomba c'erano delle intere scene, come quel-
la di Keenan Wynn che difende il distributore della coca-cola, che
ho sentito recitare da collezionisti di grandi battute con le voci di
Wynn e di Peter Sellers imitate in modo impeccabile>>.
Con Il dottor Stranamore, Stanley Kubrick raggiunse lo status di
regista/produttore cinematografico internazionale in grado di con-
trollare tutti gli aspetti finanziari, artistici e tecnici del processo
cinematografico.
Era giunto il momento di compiere un passo ulteriore.

272
Parte quinta

1964-1987
Isolamento/Solitudine/Eremitaggio
Capitolo 13
Il viaggio definitivo

«Fra le giovani generazioni, Kubrick mi colpisce come un gigante».


Orson Welles

«Si è trapiantato. Non ha mai avuto una casa, laggiù. L'avrebbero


fatto fuori. Ha l'esempio di Welles -l'hanno ammazzatO>>.
Faith Hubley

Una tromba emette esaltata tre note purissime- do, sol, do- una
più alta dell'altra, e le fa esplodere in un accordo a due stadi. Il rim-
bombo dei tamburi annuncia poi il ritorno della tromba, ora ancor
più determinata nel riaffermare il trionfale richiamo. Una terza, e
ancora un'ultima triade armonica eruttano impetuose esplosivi
sprazzi di energia sonora, culminanti in un accordo che vola sopra di
noi con una forza superiore. Mentre si lancia verso il suo destino, la
tuonante maestà dello splendore di un organo a canne ci scuote con
la sua gloria.
Richard Strauss compose Così parlò Zarathustra nel 1896, quattro
anni prima dell'alba del secolo che avrebbe accompagnato il viaggio
dell'uomo verso le stelle. Mai avrebbe potuto immaginare che que-
sto motivo musicale, studiato per il suo poema sinfonico, sarebbe
divenuto uno dei più celebrati, parodiati e riconoscibili della storia
del cinema.
Fondendo, in 200 l: Odissea nello spazio, la musica visionaria del
diciannovesimo secolo e la realtà immaginata del ventunesimo con i
semi di una ancora embrionale tecnologia degli effetti speciali,
Stanley Kubrick reinventò con cinematica prescienza la nostra perce-
zione del racconto cinematografico e l'esperienza stessa del cinema.
La trama di 2001: Odissea nello spazio è l'armatura di una complessa
esperienza filmica raccontata con immagini, suoni e musica: la nar-
razione di un viaggio che attraversa più di tre milioni di anni. Il
film si apre sulla Terra nell'era preistorica, con un prologo intitolato
"L'alba dell'uomo". Un clan di scimmie ingaggia una battaglia terri-
toriale per il controllo della polla d'acqua che le divide da una tribù
di scimmie nemiche. Esse trovano un enigmatico monolito nero, che
induce il capo delle scimmie a scoprire che la sua mazza d'osso può
essere sia un'arma che un utensile. All'alba del ventunesimo secolo,
275
lo scienziato spaziale dottor Heywood Floyd viene incaricato di inda-
gare su un analogo monolito scoperto sotto la superficie della luna.
L'astronave Discovery parte per una missione di nove mesi su Giove.
L'equipaggio è composto dagli astronauti Dave Bowman e Frank
Poole, insieme a tre colleghi tenuti in ibernazione per la durata del
viaggio, e a Hai 9000, il computer di bordo dell'astronave. Durante
il viaggio Hai pone deliberatamente fine alla vita di Poole e dei
membri ibernati dell'equipaggio, costringendo Bowman a disattivar-
lo e a continuare da solo verso Giove. Nello spazio profondo Bowman
si trova davanti agli occhi un monolito sospeso ed è attratto nella
Porta defle Stelle, che conduce a una stanza vittoriana dove egli vede
se stesso invecchiare, morire ed essere resuscitato - sotto forma di
bambino stellare- dal potere di un altro monolito.
Nel 1957, Alexander Walker intervistò Kubrick nell'appartamen-
to newyorkese del regista, in occasione dell'uscita di Orizzonti di glo-
ria. Mentre Walker stava per andarsene, Kubrick ricevette una con-
segna di film da passare al vaglio. Il critico diede un'occhiata ai
titoli e notò che si trattava di un gruppo di film di fantascienza
giapponesi. Si rivolse nuovamente a Kubrick e gli chiese: «Sta per
fare un film sullo spazio?». Il regista lo guardò minacciosamente, e
disse: «La prego! Attento a quello che scrive!».
Nel febbraio 1964, Stanley Kubrick pranzò al Trader Vic's con
Roger Caras, della Columbia Pictures. Il regista disse a Caras che
avrebbe fatto un film sugli extraterrestri, e questi gli chiese chi stes-
se scrivendo la sceneggiatura. Kubrick spiegò che in quel momento
stava leggendo tutti i principali scrittori di fantascienza, alla ricerca
di un collaboratore. <<Perché perdere tempo?>>, gli chiese Caras,
<<Perché non cominciare semplicemente dal migliore: Arthur C.
Clarke?>>. Caras aveva incontrato Clarke per la prima volta nel 1959,
durante un week-end con Jacques Cousteau, e lo raccomandò come
collaboratore. Kubrick rispose: <<Ma mi dicono che sia un eremita,
un matto che vive su un albero da qualche parte in India>>. Caras gli
disse che Clarke viveva tranquillamente a Ceylon e accettò di contat-
tarlo lui da parte di Kubrick.
Caras telegrafo a Clarke: <<Stanley Kubrick - Il dottor Stranamore,
Orizzonti di gloria eccetera, interessato fare film su extraterrestri.
Interessato a te. Ti interessa? Pensava tu fossi un eremita>>. Clarke
rispose immediatamente: <<Spaventosamente interessato lavorare con
enfant terrible Stop Contattare mio agente Stop Cosa fa pensare
Kubrick che io sia un ~remita>>. L'agente di Arthur Clarke, Scott
Meredith, che aveva venduto a Kubrick i diritti cinematografici di
Red Alert, contattò il regista e gli propose di scegliere alcuni racconti
di Clarke su cui basare la sceneggiatura.
276
L'epico viaggio che avrebbe portato 2001 sullo schermo iniziò
nell'ampio attico di Kubrick, a Manhattan, nel marzo 1964 -l'anno
di uscita di Il dottor Stranamore. Il regista aveva preso una decisione
sul suo progetto successivo, quello che sarebbe stato il suo ottavo
lungometraggio, e il salto evolutivo nella sua carriera di regista cine-
matografico si compì mentre lui andava a piedi dal suo appartamen-
to all'ufficio. Stanley Kubrick stava per cambiare il modo in cui con-
cepiva e faceva film, scegliendo di fondere la sua vita all'arte, per
ottenere l'assoluto controllo creativo; uno sviluppo che era scritto nel
suo destino artistico fin dal 1953, quando a venticinque anni da solo
aveva prodotto, diretto, fotografato e montato il suo primo lungo-
metraggio, Fear and Desire.
L'appartamento di Kubrick incarnava le sue passioni e le sue osses-
sioni: si era creato un ambiente-bozzolo che conteneva solo quello
che gli interessava. Macchine fotografiche e libri erano dappertutto.
Dell'arredo facevano parte una collezione di registratori a nastro,
impianti hi-fi e una radio a onde corte usata per ricevere le trasmis-
sioni radio di Mosca, per conoscere il punto di vista russo sul
Vietnam. Gli oggetti delle tre figliolette, Katharina, Anya e Vivian,
erano sparsi per tutto l'appartamento.
Ormai ogni giorno nell'appartamento venivano consegnate scatole
intere di libri di fantascienza e repertori: Kubrick stava immergen-
dosi in un argomento che presto avrebbe conosciuto meglio di molti
esperti. La sua capacità di cogliere e divulgare informazioni sbalordi-
va molti fra coloro che lavoravano con lui: egli archiviava tutto nelle
sinapsi del suo cervello, come un computer umano.
Stanley Kubrick non corrispondeva al prototipo del regista di
Hollywood. In passato D. W. Griffith, Josef von Sternberg ed Erich
von Stroheim avevano imposto una sorta di uniforme del regista: cap-
pello maestoso, copricalzoni da cow-boy, monocolo, stivali da equita-
zione, bastone da passeggio; John Huston e Orson Welles fumavano
grossi sigari e si circondavano di opulenza. Invece questo figlio di
ebrei americani del Bronx indossava di solito una giacchetta sportiva
informe e molto vissuta, pantaloni sportivi e niente cravatta.
Nel 1964 l'aspetto di Stanley Kubrick cominciò a mutare. Con il
passare degli anni, gli occhi si facevano più intensi e profondamente
segnati, e le sopraéciglia formavano archi sempre più alti. I capelli,
una volta sempre freschi di barbiere, si allungavano: la precisa e sot-
tile definizione del vecchio taglio spariva ora sotto ciuffi ispidi che
ricadevano sulle orecchie ricoprendo la base del collo; non più dispo-
sti con un'ordinata riga da una parte, i capelli erano spettinati e
cominciavano a diradarsi. Lo sviluppo del nuovo progetto coincise
con l'apparizione di una barba fitta e non curata, che dava a Kubrick

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l'aura di uno studente del Talmud. Gli abiti di stoffa scozzese e le
camicie bianche che gli erano state consigliate dallo staff fotografico
di «Loob> erano sparite da tempo. Commentando la trascuratezza
nel vestire di suo marito, Christiane Kubrick avrebbe detto:
«Stanley si veste come un venditore di palloncini. Sarebbe perfetta-
mente felice con otto registratori e un solo paio di calzoni>>.
In un profilo pubblicato sul «New Yorker>>, il fisico e giornalista
Jeremy Bernstein descrisse un Kubrick con l'aspetto bohémien di un
baro da crociera o di un poeta rumeno, notando che il regista <<aveva
l'aria vagamente distratta di un uomo che sta contemporaneamente
pensando a un problema difficile e cercando di portare avanti una
conversazione quotidiana>>.
Kubrick si mise alla macchina da scrivere e iniziò con frettolosa
decisione a comporre una prima lettera per Arthur C. Clarke, chie-
dendogli di collaborare con lui a un nuovo progetto. Tutto quello
che Kubrick rivelava circa la proposta era il desiderio di fare <<un
film di fantascienza veramente buono>>, specificando che il suo inte-
resse per il genere stava nelle <<ragioni per credere nell'esistenza di
vita extraterrestre intelligente e nell'impatto che una simile scoperta
avrebbe sulla Terra nel prossimo futuro>>. Kubrick concludeva pro-
ponendo di sviluppare il concetto. Il progetto era ancora senza titolo,
non esisteva una sceneggiatura di base né alcun romanzo di cui fosse-
ro stati opzionati i diritti cinematografici. Kubrick aveva un'idea
ancora allo stadio unicellulare, ma che si sarebbe moltiplicata quan-
do sottoposta alla necessaria stimolazione. Sulla busta fu appiccicato
un francobollo di posta aerea e la lettera fece il lungo viaggio fino
alla casa di Clarke a Ceylon.
Più avanti Kubrick spiegò a William Kloman del <<New York
Times>> il suo interesse per la vita extraterrestre: <<La maggioranza
degli astronomi e di altri scienziati interessati alla questione è forte-
mente convinta che l'universo brulichi di forme di vita, gran parte
delle quali -dato che i numeri sono così vertiginosi - pari o superio-
ri a noi in intelligenza, semplicemente perché l'intelligenza umana è
esistita per un periodo relativamente così breve>>.
Quando gli arrivò la lettera dagli Stati Uniti, Arthur Clarke era
nel suo studio a preparare il manoscritto del libro Man and Spa<"e per
la collana <<Science Library>> della Time/Life. Non aveva mai incon-
trato Stanley Kubrick ma aveva visto Lolita, che gli era piaciuto
immensamente. Clarke aveva sentito parlar bene dell'ultima fatica
del regista, Il dottor Stranamore, ed era ansioso di vederlo.
Arthur C. Clarke aveva quarantasette anni, ed era nato a Minehead
nel Somerset, in Inghilterra. Da bambino era affascinato dalla
paleontologia, lo studio della vita nel passato geologico: aveva colle-
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zionato fossili, costruito telescopi e passato molte notti a tracciare
una mappa della luna.
Da adolescente Clarke aveva fabbricato, con un faro da bicicletta,
una trasmittente fotofona che trasmetteva la voce per mezzo di un
raggio luminoso, e aveva fatto esperimenti con la modulazione audio
della luce solare attraverso mezzi meccanici, anticipando lo sviluppo
di un congegno simile per le comunicazioni spaziali; da ragazzino il
suo soprannome era "Sid lo scientifico". Clarke aveva divorato le
visioni futuribili e fantascientifiche che apparivano sulle riviste
«Amazing Stories>> e «Astounding Stories». L'esposizione a questi
materiali si era fusa a solide basi scientifiche, producendo alla fine
uno scrittore nel quale la padronanza della scienza eccitava una ferti-
le immaginazione.
Nel 1964 Clarke era noto nel suo campo quanto Robert Heinlein e
Jsaac Asimov: il suo romanzo Le guide del tramonto era un classico del
genere, il cui stile, pragmatico e filosofico al tempo stesso, avrebbe
ispirato un'intera generazione con le sue visioni del nostro futuro
nell'universo. I successi artistici dello scrittore nella fiction di fanta-
scienza, e i suoi numerosi ed esaurienti libri sul pensiero scientifico,
ne facevano la scelta ideale per il film di Kubrick.
Clarke rilesse la lettera del regista. Era perplesso per l'assenza di
informazioni· sulla proposta, ma la fascinazione infantile di Kubrick
per il tema degli extraterrestri stuzzicava la sua curiosità. Benché
esistesse qualche film di fantascienza che ammirava, lo scrittore dif-
fidava dei produttori hollywoodiani, più attenti a sfruttare il genere
che a fargli onore: non aveva mai scritto una sceneggiarura e aveva
scarso interesse per quella che considerava una forma subletteraria.
Arthur C. Clarke era un uomo tranquillo e cauto, orgoglioso del suo
status di letterato e geloso del suo lavoro.
Dopo un'attenta considerazione, Clarke decise di accettare l'offerta
di Kubrick di discutere il progetto, e scrisse una lettera esprimendo
interesse. Non era chiaro se il regista volesse farlo collaborare a una
sceneggiatura originale o adattare una delle sue opere già pubblicate.
Per essere preparato, Clarke spulciò prudentemente il suo ampio
archivio di racconti: sentiva che un racconto ben sviluppato era un
buon materiale di base per un lungometraggio, mentre i romanzi
nella riduzione cinematografica spesso perdevano gran parte del con-
tenuto e delle sfumature.
Alla fine della ricerca Clarke scelse di proporre a Kubrick di porta-
re sullo schermo l'affascinante La sentinella, un racconto che aveva
scritto per un concorso della Bbc durante le vacanze di Natale del
1948. Il racconto non aveva vinto premi, ma Scott Meredith l'aveva
venduto alla rivista <<Ten Story Fantasy», che l'aveva pubblicato nel
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1951 con il titolo originale, Sentine/ of Eternity. <<A differenza della
maggior parte dei miei racconti>>, ricorda Clarke, «questo puntava a
un bersaglio specifico, mancandolo completamente. La Bbc aveva
appena annunciato un concorso per un racconto; io proposi La senti-
nella, fresco di battitura, e lo riebbi indietro un mese dopo. Per qual-
che motivo non ho mai avuto molta fortuna a questi concorsi>>.
Clarke prevedeva che Kubrick sarebbe stato stimolato dall'evocativa
presentazione che il racconto faceva del tema extraterrestre.
La sentinella ipotizzava in nove pagine che visitatori extraterrestri
avessero esplorato la Terra prima dell'uomo, arrivando alla conclusio-
ne che il pianeta un giorno sarebbe stato abitato da esseri intelligen-
ti. I visitatori avevano lasciato un segnale fisico che Clarke descrive-
va come «Una struttura luccicante che aveva pressappoco la forma di
una piramide, alta il doppio d'un uomo, incastonata nella roccia
come un gigantesco gioiello sfaccettato>>. Il racconto era ricco di
sostanza speculativa e intellettuale e di immagini provocatorie per il
mezzo cinematografico.
Clarke lasciava di rado la sua preziosa Ceylon, ma aveva in pro-
gramma un viaggio in America nel mese successivo per una serie di
incontri editoriali e organizzativi relativi a Man and Spare, negli uffi-
ci di New York della Time/Life. Dopo lo scambio di lettere, Clarke e
Kubrick fissarono una data per incontrarsi e discutere il progetto del
regista. Clarke arrivò a New York e si stabilì subito all'Hotel
Chelsea, al centro di Manhattan.
L'incontro fra Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke fu fissato per il
23 aprile, giorno di apertura della Fiera Mondiale di New York del
1964. La coincidenza offrì al film di Kubrick uno sfondo ricco di
suggestioni, perché la Fiera Mondiale proiettava una visione del
futuro. La pellicola aveva un ruolo significativo nel visualizzare e
comunicare i sogni di una vita futura migliore, con l'aiuto di una
tecnologia emergente che, fra computer e voli spaziali, avrebbe cam-
biato per sempre la nostra esistenza quotidiana. Formati panoramici,
multischermi e produzioni multimediali - che ricorrevano a tecni-
che sperimentali come la proiezione a 360 gradi - annunciavano il
nuovo tipo di cinema che stava nascendo negli anni Sessanta.
Come luogo dell'incontro Kubrick aveva scelto Trader Vic's, il
popolare bar del Plaza Hotel dove Roger Caras gli aveva parlato dello
scrittore per la prima volta. Arthur Clarke durante la breve passeg-
giata che lo portava dal suo ufficio al trentaduesimo piano del palaz-
zo Time/Life al Plaza, dopo un giorno di incontri di produzione rela-
tivi al suo manoscritto, provò una sferzata di ansietà nervosa. Che
cosa voleva veramente da lui, Stanley Kubrick? Stava forse mettendo
a rischio la propria consacrata posizione nella comunità fantascientifi-

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ca facendo il cascamorto con il cinema? Mentre entrava al Plaza e
arrraversava l'albergo per arrivare al Trader Vic's, Clarke si augurò
che Kubrick non fosse il classico tipo di Hollywood: l'immagine
archetipica del produttore hollywoodiano sempre abbronzato, che
parla velocemente, fuma il sigaro e dice «pranziamo insieme>> domi-
nava l'idea che lo scrittore aveva del mondo del cinema. Clarke arrivò
in anticipo; si avvicinò al bar e ordinò da bere. Kubrick si presentò in
orario e andò direttamente verso di lui; prima di contattarlo, infatti,
aveva letto tutto ciò che Clarke aveva pubblicato e la quarta di coper-
tina dei suoi libri rendeva lo scrittore istantaneamente riconoscibile.
Clarke fu sollevato: Stanley Kubrick aveva l'aspetto di un
newyorkese medio, ben lungi dal produttore hollywoodiano. Lo
scrittore osservò con un po' di sospetto la carica di energia del regi-
sta, dato che erano passate le sette del pomeriggio. In Kubrick si
riconosceva il pallore di una persona notturna, decisamente in con-
trasto con le abitudini rigorosamente diurne dello scrittore, abituato
a vivere imponendosi la regola: «Nessuna persona sana resta sveglia
dopo le dieci di sera, e nessuno che rispetti la legge oltrepassa la
mezzanotte>>.
Il Trader Vic's era un posto ideale per una conversazione sul cine-
ma, ma Stanley Kubrick non aveva in mente quel tipo di film di cui
solitamente si discute con in mano un cocktail. La chiacchierata fu
vivace e stimolante e il fascino di Kubrick fece sentire Clarke a suo
agio: il regista non cercava di vendere proposte, non pronunciava
mai parole come «accordo>> o <<baby>> e, anzi, il tema del suo proget-
to cinematografico non fu affatto sfiorato dalla discussione. La serata
si concluse con cordialità, fissando la data di un nuovo appuntamen-
to. Clarke uscì dall'incontro impressionato dall'intelligenza pura di
Kubrick e dalla sua abilità nell'afferrare istantaneamente nuove idee
e nuovi concetti.
Il regista contattò nuovamente lo scrittore e gli chiese di tenersi
libero un giorno intero per il secondo incontro. Kubrick condusse
per ore la conversazione in dialoghi ispirati che esploravano un
ampio spettro di argomenti: la fantascienza, Il dottor Stranantore, i
dischi volanti, i programmi spaziali americani e russi, il senatore
Barry Goldwater. Ogni scambio di opinioni era intenso, ricco di
dati, di punti di vista diversi e di attenzione al dettaglio. Clarke
apprezzava lo stimolo intellettuale, ma con il trascorrere della gior-
nata non poteva fare a meno di tornare con la mente all'allettante
progetto di fantascienza del regista.
Finalmente, quasi alla fine della giornata, Kubrick chiese ufficial-
mente a Clarke se era d'accordo a collaborare con lui per un film di
fantascienza. Il regista sentiva che, per quanto poco solida, la possi-

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bilità dell'esistenza di vita extraterrestre poteva essere trasferita su
pellicola, e a Jeremy Bernstein avrebbe dichiarato: «Uno scrittore
inglese di fantascienza ha detto una volta: "A volte penso che siamo
soli, e a volte che non lo siamo. In entrambi i casi, l'idea è da verti-
gine". Devo dire che sono d'accordo>>.
Kubrick spiegò a Clarke che avrebbero elaborato insieme la vicen-
da, usando La sentinella come punto di partenza. Clarke, sedotto dal
carisma del suo interlocutore, disse di sì ma senza rendersi conto del
significato di questo accordo. Per il regista era l'inizio di un processo
formidabile, che avrebbe abbracciato completamente facendolo svi-
luppare in modo rigoglioso. Per lo scrittore scrivere una sceneggia-
tura per Stanley Kubrick ed essere parte dei suoi meticolosi metodi
di produzione sarebbe stato una prova di resistenza mentale e fisica
al di là della capacità di comprensione dello scrittore. Una stretta di
mano segnalò che si era già cominciato.
Ricorda Clarke: «Aveva fin dall'inizio un'iclea molto chiara della
meta finale. Voleva fare un film sulla relazione fra l'uomo e l'univer-
so; qualcosa che non era mai stato tentato, né tanto meno ottenuto,
nella storia del cinema. Stanley era deciso a creare un'opera d'arte
che suscitasse le emozioni della meraviglia, del timore reverenziale e
anche, se fosse stato il caso, del terrore».
Nel mese successivo Clarke continuò a lavorare su Man and Space,
e intanto dedicava fino a cinque ore al giorno a una serie regolare di
incontri con Kubrick. Nella primavera del 1964 i due passavano
fino a dieci ore al giorno a discutere il progetto, incontrandosi a casa
di Kubrick e in vari ristoranti, fra cui anche il familiare ritrovo di
New York, l'Automat. Visitarono il museo Guggenheim, il Centrai
Park e la Fiera Mondiale, che si teneva nel parco di Flushing
Meadows, nel Queens, dove era stata ospitata anche l'edizione del
1939. Continuavano a camminare e a parlare di spazio, extraterrestri
e film. Lavorare con Kubrick per Clarke era al tempo stesso eccitan-
te ed estenuante: il computer mentale del regista aveva continuo
accesso a miniere di informazioni e l'ossessione gli assicurava una
formidabile capacità di resistenza; le sue domande senza fine e la
mania per i dettagli più minuti attingevano senza posa all'enorme
sapere dello stesso Clarke. Anche se Kubrick era attratto dal concet-
to di un segnale lasciato sulla Terra da una cultura aliena, le sue idee
per il film andavano ben oltre i confini di La sentinella. A Clarke il
regista sembrò destinato alla nevrosi, spinto da una sete inestingui-
bile di perfezione totale.
Il primo approccio allo sviluppo del film prevedeva una serie di
sequenze che descrivessero la scoperta interplanetaria e l'esplorazione
della luna: il titolo scherzoso attribuito all'idea da Kubrick e Clarke
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era "La conquista dello spazio", una parodia dell'epico western in
Cinerama della Mgm La wnquista del West. Queste scene di tipo
semidocumentaristico descrivevano i giorni pionieristici della nuova
frontiera spaziale; gli eventi dovevano raggiungere il culmine con
quello che sarebbe poi diventato il mistero spirituale di 200 l -
l'avvistamento di una struttura extraterrestre - ma questa direzione
fu presto accantonata quando Kubrick iniziò a esplorare altre possi-
bilità: La sera del 17 maggio 1964 - racconta Clarke - al termine d i
uno dei loro incontri-maratona, lui e Kubrick uscirono sulla veran~a
dell'appartamento del regista per prendere un po' di fresco. Alle
nove di sera videro insieme quello che parve loro un Ufo che scintil-
lava nei cieli pieni di smog sopra di loro. Kubrick chiese una spiega-
zione, ma Clarke era sconcertato e il regista si fece sopraffare dalla
paranoia: temeva che la scoperta di vita extraterrestre avrebbe
distrutto i piani che stavano prendendo forma per il film. I due
telefonarono al Pentagono e riempirono il modulo standar.d per
segnalare al governo l'avvistamento di un Ufo. Poi Clarke parlò
dell'accaduto con alcuni amici al planetario di Hayden e questi risol-
sero il mistero interstellare con i loro computer: regista e sceneggia-
tore avevano assistito al passaggio di un Echo I, non di un segno di
vita extraterrestre. Racconta Clarke: «Ricordo ancora, un po' timida-
mente, le mie sensazioni di timore ed eccitazione e il pensiero che mi
fulminò: "Questa coincidenza è troppo. Loro hanno deciso di impe-
dirci di fare questo film">>. L'ansia di Kubrick si riaccese quando la
sonda spaziale Mariner 4 si avvicinò a Marre. Il regista sentì l'esigen-
za di sviluppare trame alternative nel caso che sul pianeta rosso si
fosse scoperta la vita. Kubrick cercò anche di assicurare il film contro
la possibilità di essere superato dalla realtà della corsa allo spazio:
chiese ai celebri Lloyd's di Londra di stendere una polizza che lo
risarcisse qualora fosse scoperta vita extraterrestre, ma il costo, come
la pretesa, era astronomico. Clarke ha dichiarato che non ci sarebbe
mai stato un 200 l: Odissea nello spazio se quella sera di primavera
avessero realmente visto nel cielo ciò che credevano di aver visto.
Kubrick scartava le idee a una velocità spaventosa. Per rifornirsi di
carburante per il pensiero, Clarke tornò ai suoi archivi e presentò al
regista altri racconti che aiutassero a portare avanti l'epica spaziale.
Il 20 maggio 1964, Arthur C. Clarke firmò un contratto per for-
malizzare il suo lavoro sul progetto di Kubrick. L'accordo includeva
la vendita di La sentinella e di altri racconti di Clarke: Aria per uno,
Fuori dalla mila, Su un'orbita infinita ... , Il fantasma nella tuta,
Seguendo la wmeta e Prima dell'Eden. Illegale di Kubrick, Louis Blau,
e Scott Meredith misero a punto il contratto: lo scrittore ricevette
un'opzione di 10.000 dollari sui racconti; il 28 marzo fu deciso che

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Clarke avrebbe scritto un trattamento basato su La sentinella, con un
compenso di 30.000 dollari, metà dei quali sarebbe stata pagata
all'inizio delle riprese e l'altra metà alla conclusione del film.
Kubrick avrebbe ricevuto una percentuale dei proventi di qualsiasi
romanzo-segue!, e dei diritti cinematografici collegati a 2001.
Avviandosi alla produzione, Kubrick elaborò un programma di
lavoro destinando al completamento del copione dodici settimane,
cui ne sarebbero seguite due di consultazioni, quattro di revisione,
quattro per preparare la parte visuale, venti settimane di riprese,
venti di montaggio e dodici di preparazione prima dell'uscita.
Questo programma enorme in realtà sarebbe più che raddoppiato
prima che il film fosse finito.
Per la prima fase, il completamento del copione, Kubrick rifiutò
l'idea di scrivere una sceneggiatura convenzionale, da lui definita «la
forma di scrittura meno comunicativa mai concepita>>. Istintiva-
mente sapeva che il progetto si sarebbe cristallizzato in fase di lavo-
razione, ma una stesura nero su bianco divenne necessaria quando la
Mgm si disse interessata a distribuire il progetto.
Il metodo scelto da Kubrick per trovare un compromesso con le
convenzioni dell'industria cinematografica fu di studiare un modo
non convenzionale di generare una storia per lo schermo: propose a
Clarke di scrivere insieme un intero romanzo, tenendo a mente le
possibilità filmiche. Il copione sarebbe stato sviluppato dal romanzo
stesso.
Kubrick sistemò Clarke nel suo ufficio di Centrai Park West, con
una macchina da scrivere elettrica e una scorta di carta bianca, ma
dopo un solo giorno sotto lo scrutinio del regista lo scrittore preferì
ritirarsi nell'atmosfera letterariamente più adatta del Chelsea Hotel,
nel quale la sua creatività era stimolata dalla compagnia di Arthur
Miller, Alleo Ginsberg e William Burroughs (che abitavano tutti
fisicamente al Chelsea) e di Dylan Thomas e Brendan Behan (presen-
ti in spirito). Oltre a essere l'albergo preferito da molte delle super-
star di Andy Warhol, il Chelsea divenne così anche il luogo in cui
furono scritti Il pasto nudo e 2001.
Kubrick e Clarke erano agli antipodi quanto a ritmi di lavoro e di
riposo. «Arthur e Stanley erano perfettamente complementari>>,
disse Roger Caras a Nei! McAleer, biografo autorizzato di Arthur C.
Clarke: <<Vi era qualche leggero conflitto, dovuto al fatto che Arthur
va a letto molto presto. Si stanca molto e il suo orario tipico per
andare a dormire è fra le nove e le nove e mezza. Stanley va a letto
verso le tre del mattino e dorme fino alle tre del pomeriggio. Questo
a volte presentava qualche problema. Ma quando i loro tempi si fon-
devano, ne risultava un confronto di talenti che dava a ciascuno dei

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due il massimo risalto». Caras chiama l'incontro dei due <<un buon
matrimonio cerebrale>>.
Nel gennaio 1965, arrivarono in città Harry Lange e Frederick
Qrdway per la convention dell'American Institute of Aeronautics
and Astronautics all'Hilton di New York. I due avevano una società
di consulenza spaziale e stavano facendo il giro delle case editrici per
parlare di un libro sugli extraterrestri. Lange aveva progettato
manuali di addestramento per i piloti dell'esercito degli Stati Uniti
e, più avanti, avanzati veicoli spaziali per la Nasa; dal 1964, insieme
a Ordway, iniziò a sviluppare progetti spaziali indipendenti.
Ordway, che lavorava anche lui alla Nasa e alla Army Ballistic
Missile Agency a Huntsville in Alabama, approfittò della visita per
organizzare un incontro con Clarke.
Clarke, Lange e Ordway si incontrarono a pranzo all'Harvard Club.
A tavola, lo scrittore rivelò che stava lavorando a un film con Stanley
Kubrick; e Ordway gli disse di un progetto, intitolato "Intelligence
in the Universe", che lui e il suo collega stavano sviluppando per la
Prentice-Hall. Clarke fu molto impressionato dalle visualizzazioni
che Lange aveva creato per l'occasione. Quando i due salutarono per
andare a un altro appuntamento, fuori era iniziata una bufera di
neve. Mentre loro, ignari, aspettavano un taxi, Clarke si lanciò nella
tormenta verso il primo telefono pubblico per avvertire Kubrick; il
regista richiamò immediatamente l'Harvard Club, chiedendo al
direttore di far cercare i due, ancora in attesa sotto la neve. Ordway
fu rintracciato e accompagnato all'interno, fino a un telefono da cui
una voce gli disse: «Signor Ordway, sono Stanley Kubricb>.
Lange e Ordway passarono il giorno seguente a parlare con
Kubrick e firmarono un contratto di sei mesi per lavorare al progetto
del film. Ordway fu preso come consulente tecnico principale, men-
tre Lange doveva creare il design delle astronavi: avrebbero lavorato
all'esterno dell'ufficio di produzione della Polaris, con la responsabi-
lità di tenere Kubrick aggiornato sullo stato dell'esplorazione spazia-
le. La Polaris era l'ultima di una serie di case di produzione che
Kubrick aveva fondato per i suoi progetti; l'arredamento dell'ufficio
era sobrio, le suppellettili ridotte al minimo. Il regista passava ore
del suo fittissimo programma nei colloqui per scegliere la troupe
tecnica e sondare i cervelli migliori nel campo della scienza e della
tecnologia aerospaziale.
Durante la stesura del romanzo, Kubrick e Clarke proseguirono i
loro incontri quotidiani nell'attico, impegnati in continue disserta-
zioni e revisioni. Per lo scrittore, il metodo di lavoro del regista era
di una lentezza esasperante; i cestini della spazzatura traboccavano di
fogli di carta mentre, alla ricerca del Graal di Kubrick, un flusso di

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parole si aggregava in idee che continuavano a espandere la portata
del soggetto nel tempo e nello spazio.
Arthur Clarke suggerì a Kubrick di andare insieme a parlare con il
giovane scienziato Cari Sagan, che era astrofisico allo Smithsonian
Astrophysical Observatory di Cambridge, nel Massachusetts, e che
in seguito sarebbe divenuto il celebre autore e presentatore di
Cosmos. Sagan, non ancora trentenne, fu invitato da Kubrick a una
cena-colloquio nel suo attico; la conversazione prima, durante e dopo
la cena fu centrata su quale poteva essere l'aspetto delle creature
extraterrestri. Sul quesito se la creatura dovesse o meno avere sem-
bianze umane, Kubrick era a favore e Clarke contrario. <<lo dissi che
sarebbe stato un disastro raffigurare gli extraterrestri», racconta
Sagan a Nei! McAieer. <<La mia tesi era che il numero di eventi indi-
vidualmente improbabili nella storia evolutiva dell'uomo è così
grande da rendere assolutamente improbabile che in qualunque altro
punto dell'universo si evolva qualcosa di simile a noi. Sostenevo che
qualsiasi esplicita rappresentazione di un essere extraterrestre avan-
zato fosse destinata ad avere in sé almeno un elemento di falsità e che
la soluzione migliore sarebbe stata suggerire gli extraterrestri, invece
d i raffigurar! i esplicitamente>>.
Kubrick e Clarke si disposero ad accogliere il maggior numero possi-
bile di influenze esterne, leggendo Adam's Ancestors di Louis Leakey e
African Genesis di Robert Ardrey, un testo che in seguito avrebbe avuto
un impatto decisivo su Sam Peckinpah e sul suo discusso film Cane di
paglia. Iniziarono a studiare The Hero with a Thomand Faces, un libro di
Joseph Campbell che avrebbe poi influenzato la trilogia di Guerre stella-
ri. Clarke andò a trovare il dottor Harry Shapiro, direttore dell'istituto
di antropologia aii'American Museum ofNatural History a New York.
Frederick Ordway sollecitò società impegnate nella tecnologia
aerospaziale perché si lasciassero coinvolgere nel film spaziale di
Kubrick, e riuscì ad attrarre l'interesse di Nasa, Ibm, Honeywell,
Boeing, Beli Telephone, Rea, Generai Dynamics, Chrysler e Generai
Electric. Kubrick allettò le aziende a contribuire al film con idee e
design offrendo in cambio un'apparizione dei loro marchi sullo scher-
mo, e questo ben prima che nel mondo della produzione cinemato-
grafica il concetto di product placemenfl diventasse un punto fermo.

l Il prod11ct plammnt, da anni elemento fondamentale soprattutto nella produzione hol-


lywoodiana, si distingue dalla sponsorizzazione in quanto il corrispettivo di rado ha
contenuto monetario. Un apposito ufficio della produzione si occupa di trattare con le
aziende interessate a far apparire il loro marchio in un determinato film, stringendo
accordi che prevedono un contributo alla pubblicità, !"uso gratuito o agevolato di
oggetti, ambienti o servizi. (N.d.T.)
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L'ufficio produzione della Polaris cominciava a essere affollato.
Dall'Inghilterra arrivarono Ray Lovejoy, assistente di Kubrick e già
assistente montatore per Il dottor Stranamore, e Victor Lyndon, pro-
duttore esecutivo del progetto. C'erano anche Richard McKenna e
Roy Carnon, impegnati a eseguire disegni preparatori a colori.
Christiane Kubrick aveva spesso parlato del marito regista con il
suo maestro di pittura, Harry Sternberg, durante diversi piacevoli
pranzi. «Non vedevo l'ora di conoscerlo, e Stanley venne su al mio
studio sulla Quattordicesima Est», ricorda Sternberg. «Era uno dei
tipi più iperattivi, dinamici, eccitati e pieni di energia che abbia
mai incontrato. Si precipitò dentro, scambiammo qualche parola e
il resto del tempo lo passò quasi tutto al telefono. Ogni volta che
cominciavamo una frase, quel dannato telefono suonava. lo ero
molto eccitato all'idea di conoscerlo, ma se non era al telefono c'era
sempre qualcuno che lo chiamava, così di continuo che abbiamo
fatto pochissima conversazione. Lui e sua moglie erano due esseri
umani così diversi. Dopo averli incontrati entrambi trovai fantasti-
co che potessero essere una coppia, e sembravano una coppia molto
felice. Erano completamente differenti - lui era tanto frenetico
quanto lei era calma - sembrava che funzionasse». Più avanti
Sternberg avrebbe avuto un secondo incontro con Kubrick, quando
questi si recò a vedere una mostra delle opere del pittore: «11 diret-
tore della galleria e io stavamo solo parlando, e all'improvviso
Stanley prese la macchina fotografica e disse: "Fammi fare questa
foto". Mi spedì una copia, una stampa a colori bella grande - è un
mio bellissimo ritratto>>.
Anche se Kubrick tentava di mantenere sul proprio progetto una
riservatezza più adatta alla Nasa che a una casa di produzione, la
curiosità per la sua iniziativa cominciava a serpeggiare per New
York. 11 diffondersi della notizia poteva contribuire a radunare
talenti artistici e scientifici, portandoli alla porta di Kubrick, ma
presentava anche potenziali pericoli. Una volta all'ufficio arrivò un
pazzo che insisteva che Kubrick lo assumesse, e fu gentilmente ma
prontamente messo alla porta; ma l'uomo, deciso a non accettare
un rifiuto, cominciò a montare la guardia ogni giorno da una pan-
china di fronte all'ufficio, per far conoscere a tutti la sua perseve-
rat?za nel pretendere una posizione all'interno dello staff, e perio-
dicamente appariva in ufficio cercando di prendersi il posto che gli
spettava. Questo acuì in Kubrick il senso della sicurezza personale,
e lo spinse a tenere nella borsa, assieme a una gran quantità di
liste, tabelle e dati tecnici, un grosso coltello da caccia.
Anche Arthur C. Clarke ebbe un incontro con una minacciosa
forza aliena, sia pure di tipo diverso. 11 primo maggio scoppiò un

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incendio al terzo piano del Chelsea Hotel; mentre i pompieri cer-
cavano di estinguere le fiamme, Clarke si rifugiò nella hall, imma-
ginando con orrore il fuoco che si estendeva ai sette piani superiori
e trasformava la sola copia del manoscritto in un inservibile muc-
chietto di ceneri. Che cosa avrebbe detto allora a Stanley Kubrick?
Il l luglio era l'ultimo giorno di Clarke alla Time/Life: Man and
Spare era ormai finito. Il programma originale dello scrittore era
di tornare immediatamente a Ceylon, ma con tutto il lavoro anco-
ra da compiere sul progetto di Kubrick il ritorno a casa era fuori
discussione. Al termine della prima settimana di luglio, Clarke
aveva finito i primi cinque capitoli del romanzo, con una media di
duemila parole al giorno. Scriveva su una vecchia macchina da
scrivere Smith-Corona grigia, lavorando nella suite 1008 del
Chelsea Hotel e nutrendosi di tè, cracker e pàté di fegato. Alla
fine del mese lo scrittore si prese una breve pausa per comprare a
Stanley Kubrick un cartoncino di auguri per il suo trentaseiesimo
compleanno, il 26 luglio. Passeggiando per il Greenwich Village,
Clarke trovò il messaggio più adatto al regista di Il dottor
Stranamore: un cartoncino che mostrava la Terra in procinto di
esplodere. L'iscrizione diceva: «Come puoi passare un buon com-
pleanno quando il mondo potrebbe esplodere da un minuto
all'altro?».
Alla fine di agosto emergevano ormai tre dei personaggi princi-
pali del romanzo: due erano astronauti e uno un computer.
Kubrick decise che quest'ultimo, che nella storia continuava ad
acquistare peso e importanza, sarebbe stato femmina e si sarebbe
chiamato Atena, come la dea greca della guerra e della saggezza.
Alla fine il computer cambiò genere e divenne il più famoso main-
frame del cinema: Hai.
Dopo l'uscita di 2001 alcuni spettatori ingegnosi sarebbero
giunti alla conclusione che il nome Hal fosse nato perché le lettere
che seguono H, A e L nell'alfabeto sono I, B ed M, un riferimento
alla Ibm, che all'epoca era sinonimo di computer. «Fu una sor-
prendente coincidenza», ha detto Kubrick ad Alexander Walker:
((Arthur C. Clarke e io avevamo chiamato il computer Hai, che è
un acronimo basato sulle parole "euristico" 2 e "algoritmico", le
due forme di apprendimento che Hai aveva approfondito. Parecchi
anni dopo, un amico appassionato di codici ci fece notare che cia-
scuna lettera di Hai era una lettera avanti a Ibm e si congratulò
con noi per la gag nascosta». Rammenta Bob Gaffney: ((Ricordo

2 In inglese, hmristir. (N.d.T.)

288
che c'era un ragazzo che scrisse a Stanley e gli disse come aveva
facto a capire che Hai era Ibm. La gente ci leggeva di tutto. Quei
ragazzi in pieno acid trip cercavano solo il senso della vita».
Mentre Clarke continuava a dar corpo alla storia, Kubrick iniziò
ad accumulare una moltitudine di domande sulla descrizione degli
astronauti, prendendo in esame ogni aspetto del loro lavoro e della vita
nello spazio. Tutte queste richieste erano soddisfatte dalle continue
ricerche dei collaboratori del regista. Una delle aree della ricerca di
Kubrick erano le storie di gente rimasta isolata molto a lungo: egli cer-
cava di capire che cosa avrebbero provato gli astronauti una volta priva-
ti di ogni contatto con il loro ambiente naturale e con gli altri. Tra i
libri che capitarono nelle mani del regista uno era su Ernest
Shackleton, un esploratore irlandese che aveva attraversato l'Areico con
un gruppo di p~rsone. Dopo averne assorbito la storia, il regista passò il
libro all'amico e collega Bob Gaffney, con il consiglio di farne un film.
Clarke aveva sempre più paura di non riuscire a trovare una trama
adeguata al film. Il suo sonno era ormai irregolare e interrotto da
incubi: in uno si trovava sul set - le riprese erano cominciate - con
gli attori che stavano lì senza avere niente da dire, e Kubrick conti-
nuava a interrogarlo e a sondarlo, mentre lui ancora non aveva trova-
to il filo narrativo che il regista cercava. Nelle ore di veglia, Clarke
faceva lunghe passeggiate con Kubrick fino all'East River, con poche
risposte e sempre nuovi elementi da considerare. Con l'avvicinarsi
del 25 dicembre, Archur C. Clarke batté lentamente le ultime pagi-
ne del romanzo, che presentò a Kubrick a Natale. Tutto il processo
di scrittura aveva richiesto ai due una media di quattro ore al giorno,
sei giorni la settimana, o circa duemilaquattrocento ore di lavoro per
due ore e quaranta di film - un vertiginoso rapporto di 900 a l.
Kubrick si estasiò davanti al manoscritto e disse a Clarke: <<Abbia-
mo ampliato il campo della fantascienza>>. La storia arrivava fino al
punto in cui Dave Bowman entrava nella Porta delle Stelle, ma ter-
minava senza una conclusione definita. Clarke pensava che da questo
canovaccio la sceneggiatura sarebbe emersa facilmente, ma per il
regista il progetto era ancora in gestazione.
Kubrick usò il manoscritto per vendere l'idea alla Mgm e alla
Cinerama, con un budget previsto di sei milioni di dollari. <<Presi il
loro trattamento>>, racconta Louis Blau, l'avvocato di Kubrick, a
Neil McAieer, «e lo feci leggere alla Mgm. Erano tenuti a risponder-
mi entro due o ere giorni, e fu in quei termini che chiusi l'accordo.
Stanley non usa mai una sceneggiatura tradizionale, come certi regi-
sci che vogliono sapere tutti i dettagli della scena. Lui invece conti-
nua a lavorarci fino all'inizio delle riprese, e anche durante, per assi-
curarsi che sia sempre meglio>>.

289
Martedì 23 febbraio 1965 la Mgm, dai suoi uffici al 1540 di
Broadway a New York, diffuse un comunicato stampa che annunciava
l'intenzione di produrre con Kubrickjourney Beyond the Stars, un titolo
di lavorazione usato per vendere l'idea, mentre il regista stava ancora
cercando le parole più giuste per definire la sua visione. Secondo il
comunicato, il progetto era appena stato annunciato ufficialmente da
Robert H. O'Brien, presidente della Mgm, e sarebbe stato realizzato a
colori e in Cinerama. Gli interni sarebbero stati girati negli studi
Mgm di Londra. Il comunicato includeva la descrizione del progetto
secondo Kubrick: <<}ourney Beyond the Stars è un'epica storia di
avventura ed esplorazione, che abbraccia la Terra, i pianeti del nostro
sistema solare e un viaggio di anni luce verso un'altra parte della
galassia. È un tentativo con fondamenti scientifici - e tuttavia dram-
matizzato - di esplorare le infinite possibilità che il viaggio spaziale
apre ora all'umanità. Il grande biologo J.B.S. Haldane ha detto:
"L'universo non è solo più strano di quello che immaginiamo; è più
strano di quello che siamo in grado di immaginare". Quando conside-
riamo che nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle, di cui il
nostro sole è un esemplare perfettamente medio, e che le stime più
attuali indicano il numero di galassie nell'universo visibile in cento
milioni, l'affermazione di Haldane suona addirittura conservatrice>>.
Con questo impegno ufficiale e l'annuncio della Mgm, l'accordo
era siglato - l'odissea iniziava. Robeit O'Brien autorizzò lo stanzia-
mento di sei milioni di dollari per il film spaziale di Stanley
Kubrick, programmandone l'uscita alla fine del 1966 o nella prima-
vera 1967. La decisone fu criticata da azionisti e dirigenti, ma il pre-
sidente appoggiò il regista con i suoi soldi e la sua fiducia.
Armato di una prima stesura, Clarke affrontò l'enorme impegno di
rivedere ed espandere il romanzo che doveva servire da percorso nar-
rativo del film. Intere sezioni del romanzo già approvato da Kubrick
furono scartate: nulla era definitivo, e le idee erano ancora in pieno
movimento mentre il momento di avviare la produzione vera e pro-
pria si avvJCmava.
Nell'aprile 1965, Tony Masters si trasferì a New York dall'Inghil-
terra e fu assunto come scenografo. Masters era stato un maggiore
dell'artiglieria reale nella seconda guerra mondiale e lavorava nel
cinema dal 1946; nel 1962 aveva fatto parte del reparto scenografia
di Lawrenfe d'Arabia di David Lean.
Mentre Clarke era ancora chino sulla macchina da scrivere per dare
al romanzo una conclusione, e a New York sbocciava la primavera,
Kubrick iniziò a sentire tecnici, capi reparto e attori, continuando a
fronteggiare dagli uffici della Polaris Productions l'assalto di detta-
gli e di decisioni da prendere che si riversavano sulla fase di prepro-

290
duzione. Clarke chiamò Roger Caras, che fu sorpreso di trovarlo a
New York. «Gli dissi: "Ehi, Arthur, quando sei arrivato?"», racconta
Caras a Nei! McAleer, «e lui mi rispose che era stato in città per
quasi sei mesi, al lavoro sul nuovo progetto. Parlai con Arthur qual-
che minuto, poi mi passò Stanley, che mi chiese: "Ti va di venire in
Inghilterra con noi a fare un film?". Era una domenica sera, circa le
undici e mezza, che per Arthur è tardi. Chiamai mia moglie e le
dissi: "Jill, ti va di traslocare in Inghilterra?". E lei rispose: "Certo".
Così il giorno successivo mi licenziai dalla Columbia Pictures dopo
dieci anni e mi preparai a trasferirmi in Inghilterra con Arthur,
Stanley e il resto del gruppo. Ero diventato il direttore della pubbli-
cità di 2001: Odissea nello spazio>>.
A Roger Caras fu affidato l'arduo compito di individuare ogni libro
di fantascienza che fosse mai stato scritto e di compilare un archivio
di articoli riguardanti il viaggio nello spazio e le scienze relative. Un
archivista dello staff rintracciò e procurò copie di tutti i film di fan-
tascienza. Clarke e Kubrick si fecero proiettare Uomini sulla luna
(prodotto da George Pal e basato su un romanzo di Robert Heinlein),
Ultimatum alla Terra, La msa da un altro mondo e Il pianeta proibito.
Dopo aver visto La vita futura - Nel duemila guerra o pace di William
Cameron Menzies, di cui Clarke era un ammiratore, Kubrick si rivol-
se allo scrittore e gli disse: <<Cosa stai cercando di farmi? È l'ultima
volta che vedo un film raccomandato da te>>. Il regista era molto cri-
tico su tutti i film che vedeva ma insisteva per guardarli tutti fino in
fondo, alla ricerca di idee e tecniche che potessero rivelarsi preziose.
Anche un film di fantascienza di serie Z, una coproduzione Germania
Est-Polonia, Der schweigende Stern, fu visionato da Kubrick,
Christiane e Jeremy Bernstein un sabato pomeriggio, in un cinema a
nord di Londra; nonostante il film fosse doppiato e pieno di effetti
primitivi, Kubrick insistette per resistere fino alla fine.
Alla fine dell'aprile 1965 era ormai tempo che Kubrick avviasse la
produzione. Il primo passo fu di abbandonare il titolo di lavorazione,
}ourney Beyond the Stars, più adatto a un B-movie di Roger Corman
per l' American Inrernational che all'esperienza iconoclastica che
Kubrick progettava di realizzare. Fin dall'inizio il regista era stato
ispirato dal capolavoro di Omero, l'Odissea: come Ulisse, nel film di
Kubrick gli astronauti si sarebbero imbarcati per un viaggio, e anche
il pubblico sarebbe stato accompagnato attraverso le galassie, in un
futuro distante neanche mezzo secolo. Stanley Kubrick annunciò for-
malmente alla stampa mondiale che il suo film 2001: Odissea nello
spazio sarebbe stato realizzato in Inghilterra.
Sempre attento ai dettagli, Kubrick chiese a Frederick Ordway
come si dovesse pronunciare il nuovo titolo. <<Stanley mi chiese se

291
dovevamo dire "duemilauno" oppure "venti zero uno" come diciamo
"diciannove zero uno"»\ racconta Ordway a Neil McAleer, «e si
decise che "duemilauno" suonava meglio. Spesso ci siamo chiesti se
il fatto che il film fosse chiamato "duemilauno"4 avrebbe avuto
un'influenza sul linguaggio inglese quando fossimo arrivati al ventu-
nesimo secolo».
Clarke tornò a Ceylon per passare tutta la primavera del 196 5 a
riscrivere il romanzo; era stato assente per un anno intero invece che
per qualche mese. Mentre lo scrittore tornava a casa, Kubrick trasferì
la sua unità produttiva presso gli studi Mgm a Boreham Wood, ven-
tiquattro chilometri a nord di Londra. Venti camion carichi di dati e
disegni furono spediti da New York in Inghilterra sulla S.S. France.
Per il progetto di Kubrick furono prenotati nove teatri di posa; la
Mgm realizzava fra le dieci e le dodici produzioni l'anno in quel
complesso, e questo impegno significava che avrebbe potuto· ospitar-
ne appena la metà, fino a quando Kubrick non avesse finito. Robert
O'Brien promise che i costi operativi non sarebbero stati caricati sul
budget della produzione - una pratica comune che divorava rapida-
mente le risorse di un film -ma gli studi inglesi della Mgm erano
già considerati una voce passiva della società madre, cosa che aumen-
tava la pressione sul presidente. Amici e nemici consigliarono a
O'Brien di non correre il rischio, ma Stanley Kubrick sapeva essere
molto persuasivo, e lo convinse che il gioco valeva la candela.
Stanley e Christiane Kubrick traslocarono tutta la famiglia in un
grande appartamento al Dorchester Hotel di Londra. L'Inghilterra
era diventata, per il regista del Bronx, la location preferita per girare
un film. Il suo unico incontro con lo studio system di Hollywood,
per Spartams, si era rivelato disastroso quanto alla possibilità di man-
tenere la libertà e il controllo creativo che erano essenziali ai suoi
ossessivi metodi di lavoro, e gli aveva fatto capire che a Hollywood
avrebbe potuto essere solo un artigiano su commissione. Per poter
essere l'autorità suprema doveva sistemarsi altrove e, come era avve-
nuto con Lolita e Il dottor Stranantore, Kubrick aveva deciso di pro-
durre 2001 in Inghilterra.
Pur essendo un autentico newyorkese, che traeva la sua linfa dalla
frenetica energia della città, Kubrick si adattò rapidamente alla
civiltà e ai ritmi meno incalzanti della Gran Bretagna. Parlando

3 In inglese i numeri che indicano gli anni sono abirualmenre leni spezzandoli in due
blocchi da due cifre. ""1999"" ad esempio viene !erro ""ninereen ninery-nine"", vale a dire
""diciannove novanranove"". (N.d.T.)
4 La perplessità di Ordway è più comprensibile nel resro originale, daro che in inglese
""2001"" si pronuncia ""rwo rhousand and one"' (duemila e uno). (N.d.T.)
292
della loro vita a New York, Christiane Kubrick disse ad Ann
Morrow, del «Times>> di Londra: «Abitavamo a Centrai Park West,
sull'Ottantaquattresima. Cominciavo ad abituarmi a vedere le strade
imbiancate di bottiglie di Coca-Cola rotte, a vedere poliziotti che
accompagnavano i bambini a scuola. Nei negozi ciondolavano teppi-
sti che si sdraiavano davanti alle porte costringendoti a scavalcarli
come se niente fosse. Anche le donne erano ruvide, ti scansavano a
gomitate. Andare a casa era terribilmente pericoloso, soprattutto per
i più deboli, come i bambini. Proprio come nel regno animale. New
York mi fece qualcosa. Prima di andarci pensavamo che gli america-
ni che si lamentavano delle scuole e dell'atmosfera fossero i soliti
individui di destra, ma ovviamente avevano le loro ragioni>>. Per
Stanley Kubrick, quella che era cominciata come una decisione di
mera utilità professionale divenne una scelta di vita.
I genitori di Kubrick, Jacques e Gertrude, si erano trasferiti dalla
costa orientale a quella occidentale. Jacques aveva richiesto una
licenza per esercitare la professione in California, indicando la sua
specializzazione in radiologia, e l'aveva ottenuta. Il dottor Kubrick
era anche membro dell' American College of Gastroenterology.
Per 2001 Kubrick strinse un accordo con la Mgm per l'affitto degli
studi di Boreham Wood. Oltre che per le eccellenti strutture produt-
tive, il regista scelse l'area anche per la regione circostante, dissemi-
nata di società di elettronica e di ditte che fabbricavano meccanismi
di precisione -l'alta tecnologia sarebbe stata il fluido vitale di 2001.
L'architettura esterna degli studi di Boreham Wood si inseriva per-
fettamente fra le vicine fabbriche, insediare tutto intorno. L'edificio
principale era dipinto di bianco e sembrava una qualsiasi fabbrica:
era alto due piani e aveva una piccola torre con un orologio senza
numeri e la semplice iscrizione "Mgm Studios"; nessuna cornice se
non un prato ben raso e qualche cespuglio. Lo studio non era adorna-
to con lo sfarzo spettacolare di quelli di Hollywood, ma aveva l'aspet-
to di un centro d'affari e offriva dieci grandi teatri di posa, forniti di
officine di falegnameria, pittura e meccanica, e una serie di uffici.
Dietro agli edifici si trovava un'immensa area piena di rottami e di
avanzi delle produzioni precedenti: la facciata di un villaggio france-
se, la carcassa di un bombardiere della seconda guerra mondiale e
altri resti. Tutto il complesso era organizzato in una formazione a
bungalow, così che Kubrick, come un nuovo Mayer, Zukor o Zanuck,
poteva tenere sotto controllo la sua_personale fabbrica di cinema.
Kubrick chiese a Ken Adam di partecipare alla produzione _ma lo
scenografo, che aveva già fatto Il dottor Stranamore, sapeva che il regi-
sta aveva da molto tempo avviato le sue ricerche sul progetto e senti-
va di non poter ideare la scenografia del film senza conoscere il sog-

293
getto almeno quanto Kubrick stesso. Declinò quindi l'offerta, spie-
gando con garbo di non sentirsi al passo con le complesse tecnologie
richieste da 200 l.
Gli uffici per lo staff di 2001 erano situati nella parte frontale del
complesso. Un settore speciale fu battezzato da Kubrick <<l'officina di
Babbo Natale>>; si trattava dei quartieri riservati al gruppo di giovani
modellisti che, sotto lo sguardo sicuro di Wally Veevers - superviso-
re agli effetti speciali -, si occupavano delle astronavi e dei pianeti.
La produzione impiegava centotre modellisti con competenze diver-
se: Kubrick aveva convocato costruttori di barche, studenti di archi-
tettura, disegnatori, scultori, litografi, metallurgici e perfino alcuni
intagliatori di avorio appena sbarcati da una baleniera. Il formalismo
non oltrepassava l'ingresso di quella che si configurava come una vera
e propria fucina creativa, popolata di elfi dai capelli lunghi e dalla
camicia sbottonata. Ognuno era assunto con brevi contratti a termine
e il ricambio era frequente: il direttore artistico John Hoesli lavorò
con oltre trenta disegnatori diversi per produrre i progetti delle
astronavi di Harry Lange. Anthony Pratt, un giovane scenografo che
avrebbe poi lavorato con John Boorman su za,·doz, Excalibm· e Anni
'40, fu convocato per contribuire alla concezione dei baccelli spaziali.
Kubrick iniziò a mettere insieme un gruppo che fosse responsabile
degli effetti speciali. Di tutti i film che aveva visto, non ce n'era uno
che fosse all'altezza delle sue esigenze per gli effetti visivi; il nuovo
progetto richiedeva un approccio diverso. Le idee già messe a punto
per le sequenze spaziali avevano bisogno di effetti speciali di una tec-
nologia molto più avanzata rispetto allo status quo del tradizionale
film di uno studio di Hollywood.
Per trovare tecniche che corrispondessero ai suoi criteri, Kubrick
decretò che si dovesse vedere e leggere tutto quello che era disponibi-
le sullo spazio, e il suo personale non si lasciò sfuggire niente.
Bisognava spingersi oltre il catalogo dei film più familiari: tutto
significava film da tutti i continenti, programmi televisivi, cortome-
traggi, documentari, film realizzati per la Fiera Mondiale, film spe-
rimentali. Con questo sistema fu scoperto Universe, un cortometrag-
gio prodotto nel 1960 dal National Film Board del Canada. Durante
la proiezione Kubrick fissò lo schermo rapito, mentre vorticava un
panorama delle galassie che raggiungeva lo standard di realismo
visionario e dinamico che il regista stava cercando di ottenere.
Quelle immagini non erano guastate dai mascherini imprecisi, dalle
evidenti animazioni e dai modellini poveri che si potevano trovare
nel tipico film di fantascienza: Universe dimostrava che la macchina
da presa poteva diventare un telescopio puntato sui cieli. Mentre i
titoli scorrevano, Kubrick studiò i nomi dei maghi che avevano crea-

294
to le immagini del film: Colin Low, Sidney Goldsmith e Wally
Gentleman; i membri del suo staff partirono subito per rintracciarli
e scoprire come avessero realizzato i loro miracoli.
Univer.re era una produzione della Uni t B del Canadian Film Board.
Colin Low e Roman Kroitor da sempre erano affascinati dalla cosmo-
logia e il progetto era nato, cinque anni prima dello Sputnik, come
proposta per un film scolastico; poi l'interesse attorno all'iniziativa
era cresciuto, attraendo altre persone interessate a fare un film che
permettesse allo spettatore di provare le meraviglie dell'universo. La
pellicola aveva richiesto quattro anni di lavoro ed era costata più di
60.000 dollari.
Dopo avere assistito ai grandiosi risultati di Universe, Kubrick sape-
va di aver trovato la sua équipe degli effetti speciali: assicurarsi l'inte-
ra squadra si rivelò impossibile, ma il regista riuscì ad avere Wally
Gentleman, che fece parecchie settimane di lavoro preliminare prima
di essere costretto a dare le dimissioni per motivi di salute. Nei primi
anni Ottanta, Gentleman si sarebbe occupato di un altro progetto
impegnativo: Un .rogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola.
Da ultimo, Kubrick scelse quattro collaboratori per dirigere il set-
tore degli effetti speciali: Wally Veevers, Douglas Trumbull, Con
Pederson e Tom Howard.
Kubrick sapeva che le astronavi del film avrebbero dovuto essere
modellini, e Wally Veevers- supervisore agli effetti speciali di Il dot-
tor Stranamore- fu preso per la sua esperienza nell'arte precisa e tedio-
sa della costruzione. Il regista voleva che le navi si muovessero con la
grazia di un cigno, attraverso un cielo pieno di stelle e di pianeti; ciò
richiedeva un'enorme attenzione al dettaglio, e un artigiano che
comprendesse ogni aspetto di un'arte così impegnativa. Scegliendo
Veevers, che era stato a suo tempo preso dai fratelli Korda come
apprendista per gli effetti speciali di La vita futura di William
Cameron Menzies, Kubrick sapeva di mettersi in buone mani.
Tom Howard era prezioso per la sua lunga esperienza nel campo
degli effetti ottici: aveva lavorato per Il ladro di Bagdad e aveva vinto
due Oscar, per Spirito allegro di David Lean e per Le meravigliose
avventure di Pollicino, prodotto e diretto da George Pal.
Il membro più giovane del gruppo era un americano di ventitré
anni, Douglas Trumbull. Nato a Las-Angeles, Trumbull era partito
con l'intenzione di diventare architetto ma poi la Graphic Films
Corporation di Hollywood aveva visto il suo portfolio di illustrazioni
spaziali e l'aveva assunto. Divenuto capo del settore sfondi della
società, Trumbull aveva lavorato a Lifeline in Spaa per la Usaf e a
Space in Penjle(fiz;e per la Nasa. Kubrick aveva scoperto il suo nome
nei titoli di Ji, the Moon and Beyond, un film in Cinerama 360 pro-

295
dotto per la Fiera Mondiale del 1964, e attraverso la Graphic Films
gli aveva commissionato alcuni disegni di sfondo; impressionato dal
talento dell'artista, il regista gli assegnò subito il compito di risolve-
re alcune delle principali difficoltà di 2001, inclusa la sequenza della
Porta delle Stelle che conclude il film.
Kubrick aveva anche bisogno di un direttore della fotografia con
capacità eccezionali: ci voleva un operatore che non fosse solo un
maestro della ripresa convenzionale ma che si trovasse a suo agio a
lavorare sugli spazi dello schermo panoramico, e che sapesse gestire i
procedimenti ottici e meccanici che dominavano il lungo program-
ma di lavorazione. Dopo molti colloqui e un attento studio delle
alternative, il regista scelse il cinquantacinquenne Geoffrey
Unsworth, un amabile gentiluomo inglese che aveva lavorato in Le
quattro piume, Il ladro di Bagdad, Duello a Berlino, Il mondo di Suzie
Wong, Befket e il suo re e Lo squattrinato. 2001: Odissea nello spazio
sarebbe diventato una pietra miliare nella sua già solida carriera.
In un mondo che ancora non era int,erconnesso da modem, compu-
ter e fax, Kubrick parlava ai progettisti e ai tecnici personalmente, al
telefono, per posta e per telegramma. Lo staff al lavoro cresceva fino
a numeri senza precedenti: si arrivò a radunare 106 persone, di cui
35 scenografi -che rappresentavano un ampio spettro di discipline e
stili artistici- e 25 tecnici degli effetti speciali.
Nel settembre 1965 Kubrick decise che la missione della Disco-
very non doveva andare su Giove, ma su Saturno, per sfruttare le
possibilità visive degli anelli del pianeta; l'équipe degli effetti spe-
ciali fu presa dal panico, perché aveva passato tre mesi a preparare e
progettare il viaggio su Giove. Alla fine Kubrick avrebbe cambiato
di nuovo idea e indirizzato di nuovo la Discovery verso Giove.
Quando Kubrick seppe del progetto americano Orion, ordinò che
la Discovery fosse riprogettata, per tornare poi sui suoi passi in
seguito alla considerazione che un veicolo che portava una bomba
sarebbe assomigliato troppo al B-52 di Il dottorStranamore.
Il 3 ottobre Clarke parlò con Kubrick al telefono e gli disse che la
storia avrebbe dovuto concludersi con Bowman che regredisce
all'infanzia: «Lo vedremo come un bambino in orbita>>. E poiché i
due avevano l'abitudine di fornire una giustificazione di ogni idea
proposta aggiunse: «È l'immagine di se stesso a questo stadio di svi-
luppo. E forse la Coscienza Cosmica ha il senso dell'umorismo>>.
A Clarke venne l'idea che il Bambino delle Stelle facesse esplodere
le armi nucleari sulla Terra, e la introdusse nel romanzo poi pubbli-
cato. L'idea entrò anche nella sceneggiatura, ma alla fine Kubrick
sentì di avere già fatto una cosa simile in Il dottor Stranamore. <<Il fina-
le fu alterato poco prima di girare>>, disse Kubrick a Jerome Age!.

296
«Nell'originale non c'era la trasformazione di Bowman. Egli si limi-
cava a girare per la stanza e alla fine vedeva l'oggetto. Ma non ci
sembrava una soluzione abbastanza soddisfacente o interessante, e
continuammo a cercare nuove idee, finché ci venne in mente il finale
che conoscete>>.
200 l richiedeva uno stile di recitazione naturalistico e scevro di
interpretazioni apertamente drammatiche. Nel film c'era poco dialo-
go, i personaggi erano definiti dall'azione e dai gesti. Questi astro-
nauti non erano gli archetipi eroici e fanciulleschi di Uomini veri:
Dave Bowman e Frank Poole erano stati selezionati e condizionati
per una lunga missione nello spazio, e dovevano apparire e agire
come uomini della Nasa, simpatici esternamente ma freddi ed emo-
tivamente chiusi. Kubrick non voleva che i ruoli di Bowman e Poole
divenissero una vetrina per grandi divi: i personaggi dovevano essere
integrati nel tessuto visivo del film.
Gary Lockwood, di ventinove anni, fu scelto per il ruolo di Poole.
Nato in California, l'attore si era distinto al liceo come giocatore di
football, aveva iniziato come stuntman e controfigura di Anthony
Perkins, e nel 1960 era stato lanciato da un ruolo in In punta di piedi.
Non era apparso in molti film: Paese selvaggio, Splendore nell'erba, La
sjJada magù-a, Bionde, rosse, brttne ... e L'ora della furia. La parte in
2001 gli offriva un'occasione internazionale.
Se 2001 fosse stata una produzione di Hollywood, il ruolo di Dave
Bowman sarebbe andato a un divo con il traino commerciale di Paul
Newman o di Steve McQueen - nel mercato di oggi i primi nomi a
venire in mente sarebbero Tom Cruise o Brad Pitt - ma Kubrick
voleva una verosimiglianza che sarebbe stata dissolta dalla presenza
di un divo. Nel trentenne Keir Dullea il regista trovò il fascino
infantile di un astronauta americano: Dullea era un bell'uomo e
comunicava le necessarie doti di coraggio, forza, ragione, intelligenza
e calma, con un inquietante sottofondo alla James Dean. I suoi ritrat-
ti di giovani emotivamente tormentati in Le L"anaglie dormono in paL"e e
Davide Lisa convinsero Kubrick che l'attore era in grado di comuni-
care il fervore emotivo prodotto dagli stress della fatale missione di
Bowman. Dullea doveva rendere la trasformazione metafisica scritta
nel destino di Dave Bowman con un dialogo ridotto a poco o niente.
In quel periodo, Keir Dullea stava lavorando con Otto Preminger
in Bunny Lake è .rL"omparsa. In un giorno di libertà a New York, l'atto-
re si recò a una fiera presso la stazione di Chelsea e capitò vicino alla
tenda di un chiromante che leggeva la fortuna. Così, per ridere,
Dullea entrò. <<Quest'uomo mi guardò la mano per un po' e poi
cominciò a interrogarmi», ricorda l'attore. <<Mi chiese: "Fa l'inge-
gnere?". Risposi Ji no. "Ha qualcosa a che fare con la meccanica o le

297
scienze?". Usò la parola "razzo spaziale". Uno o due giorni dopo mi
telefonò il mio agente per dirmi che avevo un'offerta sicura per il
ruolo del protagonista nel nuovo film di Stanley Kubrick, e ci
mancò poco che finissi a terra, poiché ero un vero fan di Kubricb>.
Il regista aveva deciso di dare a Keir Dullea il ruolo di Bowman
dopo essersi fatto proiettare le sue interpretazioni in David e Lisa e
La sottile linea rossa, un film basato sul seguito di Da qui all'eternità
di James Jones. Otto Preminger aveva spedito a Kubrick i giornalie-
ri di Bunny Lake è .rw11tparsa, ancora in lavorazione, affinché potesse
vedere le ultimissime prove dell'attore.
Dullea aveva sentito parlare per la prima volta di Stanley Kubrick
nel 195 7, mentre studiava recitazione a New York. In una giornata
libera aveva gironzolato fino a un cinema della catena Loew e aveva
deciso di vedere Orizzonti di gloria perché aveva notato il nome di
Kirk Douglas sul cartellone. «Rico'rdo che quel film mi stese com-
pletamente>>, commenta l'attore. <<L'inizio sembrava un quadro
monocromatico dipinto con il fango>>.
Alle medie, Dullea aveva attraversato un periodo di intense letture
fantascientifiche: era abbonato ad «Astounding Science Fiction>> e
«Galaxy>>, e sua madre gli comprava le raccolte annuali dei migliori
racconti fantascientifici dei primi anni Cinquanta. «Nel leggere la
sceneggiatura dissi: "Mio Dio, c'è qualcosa di familiare">>, ricorda
l'attore. «Venne fuori che ricordavo bene di aver letto da ragazzo un
racconto di Arthur C. Clarke intitolato La .rentinella, che mi era
rimasto in mente. Era una storia davvero eccezionale. Non ricordavo
il grosso dei racconti di fantascienza che avevo letto all'epoca. Mi
ricordavo La .rentinel!a>>.
A Dullea fu dato un copione completo, che era molto lungo e molto
più parlato di quel che sarebbe stato il film finito. La sequenza in cui
Hai legge le labbra di Bowman e Poole mentre i due parlano della
condotta incostante del computer conteneva in origine più dialogo.
L'attore ebbe la parte senza alcun provino. Arrivò sul Queen Mary
proprio alla fine di dicembre del 1965: una macchina venne a pren-
derlo e lo accompagnò alla sua nuova abitazione, un cottage in affit-
to a Hampstead, nel nord di Londra. Dullea era arrivato da non più
di mezz'ora e stava ancora disfacendo i bagagli quando squillò il
telefono: l'attore sentì una pacata voce americana che gli chiedeva se
fosse Keir Dullea. Quando rispose di sì, l'uomo disse: «Oh, ciao,
sono Stanley>>.
Arthur Clarke continuò a lavorare alla sceneggiatura fino a Natale
e il 26 dicembre 1965 diede a Stanley Kubrick la stesura completa.
Il regista lo chiamò per dirgli che non gli piaceva il dialogo; trovava
il copione troppo verboso: 200 l doveva basarsi piLt su immagini e

298
suono che sulle parole. Alla fine ci sarebbero stati appena 46 minuti
dialogati sui 139 della durata complessiva. Più avanti, Kubrick
avrebbe dichiarato al <<New York Times>>: «Ci sono certe aree di sen-
sazione e di realtà che sono particolarmente inaccessibili alle parole.
Forme di espressione non verbale come musica e pittura possono
arrivare a queste aree, ma le parole sono una terribile camicia di
forza. È interessante quanti prigionieri di questa camicia di forza
non sopportino che essa venga allentata>>. «Non mi piace parlare
molto di 2001», disse poi Kubrick aJerome Angel, «perché è essen-
zialmente un'esperienza non verbale. Tenta di comunicare più al
subconscio e ai sentimenti che all'intelletto. Mi è abbastanza chiaro
che c'è un problema di fondo con quelle persone che non prestano
attenzione con gli occhi. Ascoltano. E non c'è molto da ascoltare in
questo film. Coloro che non crederanno ai loro occhi non riusciranno
ad apprezzare questo film».
A Dullea e a Lockwood fu fornita un'estesa ricerca sul background
degli astronauti nell'anno 2001: essi erano seguiti fin dalla scuola
elementare sotto il profilo intellettivo e psicologico. Bowman e
Poole avevano due dottorati e resistevano allo stress in modo tale da
poter passare lunghi periodi di tempo nella solitudine dello spazio.
«Avevamo la nostra storia, sapevamo chi eravamo>>, spiega Dullea.
«Sapevamo quali fossero i nostri rapporti reciproci. Conoscevamo gli
eventi almeno soggettivamente, dal punto di vista dell'astronauta,
dal punto di vista del personaggio. C'erano molte cose che non dove-
vamo sapere. Non capivamo perché Hai avesse cominciato a dare i
numeri né conoscevamo la missione nascosta che non ci sarebbe stata
rivelata fino a parecchio tempo dopo».
In aggiunta a Lockwood e a Dullea, altri due attori furono nomi-
nati nei titoli del film: il volto gentile di William Sylvester fu scelto
per il dottor Heywood Floyd, presidente dell'U.S. Council of
Astronauts, e a Daniel Richter fu dato l'insolito ruolo di Moon-
Watcher, la scimmia protagonista di "L'alba dell'uomo".
Per fare la voce di Hai sul set, Kubrick chiamò inizialmente Nigel
Davenport, che era apparso in I giovani arrabbiati, L'oa·hio fhe ua:ide e
Un uomo per tutte le stagioni. Davenport doveva recitare le battute di
Hai fuori campo, a beneficio di Dullea e Lockwood; in seguito
avrebbe dovuto entrare in studio e registrare tutto il dialogo del
computer. Kubrick però si accorse ben presto che non voleva dare a
Hai un accento inglese; Davenport fu così sollevato dall'impegno e il
regista decise di cercare qualcuno con un eloquio americano stan-
dard. Nel frattempo, il compito di leggere le battute sul set fu dato
all'aiuto regista Derek Cracknell, che conferì a frasi come <d'm
afraid, Dave, my mind is going>> il suo orgoglioso accento cockney.

299
Anche Martin Balsam, noto soprattutto per i suoi ruoli di portavo-
ce della giuria in La parola ai giurati e dello sfortunato detective
dell'assicurazione in Psycho di Alfred Hitchcock, fu scelto come voce
dell'onnisciente e onnipresente Hal. Kubrick registrò la voce
dell'attore ma trovò che fosse troppo americana ed eccessivamente
emotiva e lo escluse dal cast. A un certo punto durante la selezione
della voce del computer, Kubrick arrivò a scherzare: «Forse dovrebbe
suonare come Jackie Mason>>.
Intanto il canadese Douglas Rain, già voce narrante di Universe, era
stato preso per la narrazione prevista dalla prima versione del copio-
ne di scena, quella che Kubrick aveva chiesto a Clarke di scrivere per
la sequenza che apriva il film, "L'alba dell'uomo". Alla fine il testo fu
eliminato e l'attore ebbe il celebrato ruolo della voce umana di Hai.
Interprete shakespeariano, Rain trovò Kubrick cortese ma sulle sue;
nelle nove ore e mezza che l'attore passò in uno studio per registrare
le battute di Hal, Kubrick non gli mostrò mai una sceneggiatura né
un solo fotogramma del film. Costretto a leggere pagine che riporta-
vano solamente le battute di Hal, Rain recitò sotto l'orecchio critico
del regista, che fu contento del tono condiscendente e asessuato otte-
nuto dall'attore. A proposito della performance fuori campo di Rain,
Kubrick avrebbe in seguito scherzato: «Magari la prossima volta farò
vedere Rain in carne e ossa, ma sarebbe un ruolo muto, il che chiu-
derebbe perfettamente il circolo».
Sul set, l'atteggiamento di Kubrick era sempre calmo e conviviale
con gli attori: non si arrabbiava mai e non alzava la voce, e tuttavia le
sue maniere educate ma insistenti affaticavano molti membri del cast.
Era capace di chiedere un ciak dopo l'altro, arrivando anche a cinquan-
ta, senza dire molto più di: <<Questa era buona, proviamone un'altra».
Come un maestro di scacchi che non segnala mai un'interruzione del
gioco, Kubrick di rado manifestava eccitazione per un ciak particolar-
mente buono e ne chiedeva risolutamente un altro. Nelle pause delle
riprese impegnava gli attori in intense discussioni sui loro personaggi,
incoraggiandoli a interpretare ogni gesto e ogni battuta in modi che
non avevano mai tentato prima. A ogni ciak si ripartiva da zero e ci
voleva un attore dotato di molta sicurezza per andare avanti.
Kubrick era ossessionato dal bisogno di ottenere un'accurata
descrizione dell'universo nell'anno 2001, e chiese a società aeronauti-
che, enti governativi e a un ampio ventaglio di industrie, sia negli
Stati Uniti che in Europa, di condiv1dere i loro pronostici sul futuro;
la lunga lista di collaboratori iniziava dalla Aerospace Medicai
Division della base aerea militare di Wright Patterson e proseguiva
attraversando l'alfabeto fino alla Whirlpool Corporation. L'enorme
gamma di argomenti copriva progetti di strumenti per il controllo

300
dei veicoli, design di tute spaziali, informazioni sulla propulsione
nucleare dei missili, strumenti biologici e medici per la centrifuga e
i sondaggi planetari, mappe lunari, dati e fotografie di cibi spaziali e
del modo di prepararli, telecomunicazioni, design di computer,
sistemi di controllo per le sequenze di ibernazione, disegni degli
interni delle capsule spaziali e delle cucine delle astronavi, menu per
i lunghi viaggi nello spazio, tecnologie delle stazioni spaziali, adde-
stramento degli astronauti, mantenimento e riparazione di veicoli
spaziali e i programmi spaziali sovietico e americano.
Filmati, mappe, modelli e materiali fotografici affluivano negli
uffici della produzione. Per soddisfare la famelica banca dati di
Kubrick furono consultate molte altre società ed enti governativi,
spesso su aspetti simili del film. I collaboratori erano costantemente
impegnati in incontri e nella raccolta di informazioni destinate a
ricevere l'approvazione o la disapprovazione definì riva dali' autorità
centrale di Stanley Kubrick.
Le approfondite interviste con i migliori cervelli in campo spazia-
le, scientifico e religioso avevano un doppio fine: rispondere a
domande specifiche per risolvere i problemi che la trama sollevava
costantemente, ma anche diventare parte di un prologo di dieci
minuti in bianco e nero che avrebbe dovuto aprire 2001. Il minido-
cumentario doveva presentare discussioni con gli intervistati circa la
probabilità dell'esistenza di vita extraterrestre, assicurando un prelu-
dio realistico al poema speculativo visuale che seguiva.
Roger Caras, Frederick Ordway e altri fecero un viaggio alla
Grumman Corporation a Bethpage, nello Stato di New York, per
vedere i supporti del modulo lunare allora in costruzione e rendere
autentico ciò che si sarebbe visto nelle scene sulla luna di 2001.
Lo scenografo Tony Masters seguì la costruzione dei set, mentre
Harry Lange traduceva i suoi disegni in modellini, utilizzando per i
dettagli più minuti componenti tratti da kit di costruzione in com-
mercio. Lange disegnò anche i caschi che gli astronauti avrebbero
indossato nel film, e una società di Londra fu incaricata di creare lo
stampo e di produrli. Alla British Hawker Siddley Aircraft Company
fu affidato il compito di realizzare l'interno delle capsule e i quadri
della strumentazione. A un certo punto fu Chiesto a una ditta privata
di plasmare un grosso blocco di luci te- a Kubrick interessava prova-
re a proiettare immagini sulla sua superficie. Il blocco venne fuso e
ricevette molta attenzione da parte della stampa, essendo il più gros-
so stampo di plastica mai tentato prima. Le ottiche però non erano
all'altezza degli standard di Kubrick e l'idea fu scartata.
Animare i modellini delle astronavi fu una sfida di meticolosità.
Per ottenere la giusta profondità di campo, in modo da creare l'illu-

301
sione di un'astronave a grandezza naturale, il diaframma dell'obiet-
tivo doveva essere aperto al massimo; inoltre affinché le parti mobi-
li dei modellini si muovessero in modo fluido, i motori che guida-
vano i meccanismi erano regolati al minimo, in modo che il movi-
mento creato fotogramma per fotogramma fosse impercettibile.
Kubrick raccontò la minuziosa operazione a Herb Lightman di
«American Cinematographer>>: <<Era come guardare la lancetta delle
ore di un orologio. Abbiamo girato la maggior parte di queste
scene usando esposizioni lente di quattro secondi a fotogramma, e
se stavi sul set non vedevi nulla in movimento. Anche la gigantesca
stazione spaziale, che sullo schermo ruotava a una discreta velocità,
sembrava immobile durante le 'riprese delle scene. Per alcune
inquadrature, come quelle in cui sulle astronavi si aprivano o si
chiudevano delle porte, un movimento di dieci centimetri richiede-
va cinque ore di riprese. Non era possibile notare un movimento
irregolare, se c'era qualche irregolarità, fino a quando non si vedeva
la scena sullo schermo, e anche gli ingegneri non potevano mai
essere sicuri circa il punto esatto dove l'irregolarità si fosse prodot-
ta. Potevano solo indovinare guardando la scena. Questo tipo di
cosa implicava infiniti tentativi ed errori, ma i risultati finali sono
un tributo alla grande precisione dell'officina meccanica della Mgm
inglese>>. Il procedimento utilizzava animazione, controllo del
movimento e una lunga lista di passi meticolosamente dettagliati.
Il settore che produceva il materiale del volo fu chiamato <da fab-
brica delle salsicce>>.
La stanza preferita di Kubrick era il "Controllo Missione" dell'im-
presa. Come alla Nasa, questa stanza era controllata attentamente
giorno e notte, ed era lì che il progredire di 2001 era mappato sotto
ogni dettaglio immaginabile: i muri erano coperti di schede di flus-
so, diagrammi, story board e stampati. Un sistema organizzativo
all'avanguardia, acquistato da una ditta europea, permetteva a
Kubrick di riorganizzare il programma, l'attrezzatura, lo staff, la sce-
neggiatura, i dati e i giorni di ripresa a seconda delle crescenti neces-
sità artistiche del film. Per seguire il programma di lavorazione, che
era di ventiquattro ore su ventiquattro, si utilizzavano schede perfo-
rate e ogni sistema di archiviazione allora disponibile.
Tenere le fila di tutte le inquadrature era uno sforzo notevole.
Secondo il supervisore agli effetti speciali Douglas Trumbull, la
soluzione scelta dalla produzione fu un insolito metodo linguistico:
«Con una mezza dozzina di macchine da presa che giravano contem-
poraneamente - alcune su turni di ventiquattro ore - e con aspetti
diversi di molte sequenze eseguiti in parallelo, il problema di come
stare dietro ai progressi di ogni inquadratura era nel migliore dei

)02
casi difficile. Per poter discutere di una inquadratura senza doversi
riferire a un'immagine dello story board, ogni scena aveva un nome e
un numero. Ad esempio tutte le scene della sequenza di Giove ave-
vano nomi di azioni del football - "deep pass", "kick-off', "punt
return" e così via. Ciascun termine richiamava alla mente una certa
scena, che in qualche modo era collegata al nome».
Kubrick spiegò a Herb Lightman le necessità che avevano spinto
la produzione a un sistema di controllo così complesso: «Per me era
una novità dover sovrintendere un'operazione di gestione delle infor-
mazioni così complicata, ma era assolutamente essenziale tenere le
fila delle migliaia di dettagli tecnici necessari. Avevamo calcolato
che nel film ci sarebbero state 205 scene di effetti speciali, ciascuna
delle quali avrebbe richiesto, per essere completata, una media di
dieci fasi principali di realizzazione. Definisco "fase principale" quel-
la in cui della scena si occupa un altro tecnico o un altro settore.
Stare dietro a tutte queste scene, e alle fasi separate che queste impli-
cavano, era talmente complicato che fu necessario riservare a tale
scopo tre persone, in una specie di "stanza operativa" in cui ogni
muro era coperto di carte penzolanti, con una cronistoria delle ripre-
se per ogni scena. Ogni diverso elemento e ogni fase erano registrati
in questa storia - informazioni sulla data delle riprese, esposizioni,
processi meccanici, requisiti speciali e i tecnici e i settori coinvolti.
Studiare dieci fasi per duecento scene equivale a duemila fasi, ma
quando ti rendi conto che la maggior parte di esse dovevano essere
tentate otto o nove volte per essere sicuri che fossero perfette, il tota-
le reale si avvicina di più alle sedicimila fasi distinte. Ci voleva un
incredibile numero di diagrammi, schede di flusso e altri dati per
gestire tutta l'organizzazione ed essere in grado di rintracciare le
informazioni di cui qualcuno avrebbe potuto aver bisogno, su qual-
cosa che era stato fatto sette mesi prima. Dovevamo essere in grado
di dire a che stadio fosse ogni scena in ogni dato momento - e il
sistema ha funzionato>>.
Kubrick raccontava a Jeremy Bernstein che gli scacchi avevano
affinato la sua memoria ritentiva e il suo dono dell'organizzazione:
<<Con uno staff di quelle dimensioni, il problema è che la gente sia
in grado di capire cosa deve venire a chiederti e cosa non deve venire
a chiederti. Il tuo tempo è sempre occupato da questioni che non
sono importanti e che avrebbero potuto essere facilmente risolte
senza la tua opinione. In compenso, a volte, senza chiedere la tua
approvazione, si prendono decisioni che ti chiudono in frustranti
vicoli ciechi>>.
La sovrabbondanza di dati necessaria a ottenere la perfezione tecni-
ca a cui Kubrick mirava portò il regista a inventare un termine ori-

303
ginale per descrivere il procedimento: «Abbiamo coniato una nuova
frase e abbiamo cominciato a chiamarli i "non-rifare". È come un
"rifai" in cui non devi ripetere lo stesso errore che hai fatto prima».
L'intensità di Stanley Kubrick era costante: guardava e supervisio-
nava ogni dettaglio senza quasi mai staccare lo sguardo, con occhi
puntati come un laser. Pensatore instancabile e fumatore accanito, il
regista aveva sempre in mano una sigaretta.
L'ufficio personale di Kubrick era lo specchio del pragmatico affol-
lamento del suo appartamento di New York. Un arsenale di registra-
tori facilitava il mastodontico processo di sceneggiatura: il regista
dettava la prima versione del rarefatto dialogo del film, insieme ad
altro materiale, in una delle macchine, e le seg~etarie pensavano a tra-
scrivere i nastri producendo una stesura dopo l'altra in forma di sce-
neggiatura. L'ufficio ospitava anche un'enorme collezione di dischi
che includeva ogni composizione musicale moderna disponibile.
Durante le sue meditazioni, Kubrick passava ore ad ascoltare nmsique
,·oncrète, musica elettronica e Cari Orff, cercando l'ispirazione e la chia-
ve per il miglior indirizzo musicale da dare alla sua opera spaziale.
«Stan e io avevamo usato molto i Carmina Burana nella fase di
scrittura>>, ha detto Clarke a un amico. Il brano è poi stato utilizzato
in molti film, fra cui Il presagio, e Kubrick aveva anche cercato di
avere per il suo film l'autore Cari Orff, che però aveva risposto di
essere troppo vecchio per un impegno così importante.
Il regista teneva le fila dei dettagli della produzione in una serie di
piccoli taccuini neri. Per trovare esattamente la carta giusta per le
sue annotazioni aveva ordinato a un'importante cartiera un campione
di ogni tipo di foglio per appunti che questa producesse.
Quando Jeremy Bernstein venne a Boreham Wood per osservare
Kubrick al lavoro su 2001, trovò il regista seduto alla sua scrivania al
comando centrale, occupato a firmare lettere e a fare un numero
incalcolabile di telefonate senza mai smettere di approvare o rifiutare
scelte di costumi, oggetti e astronavi, ed esaminando con ritmo inde-
fesso infiniti dettagli produttivi. Bernstein rimase a guardare mentre
Kubrick respingeva una proposta di design per le etichette con
l'identificativo da applicare sulle spalle delle uniformi degli astro-
nauti: il regista suggerì all'esponente del settore relativo che la pros-
sima versione seguisse il lettering usato sull'etichetta ufficiale della
Nasa. In perpetuo movimento da un dettaglio all'altro, Kubrick
disse scherzosamente a Bernstein: «In questa fase del gioco, mi sento
come il commesso del Katz's Delicatessen di Houston Street all'ora
di pranzo. Uno fa appena in tempo a dirgli: "Due etti di carne salata"
che lui fa: "Altro?" e prima che tu abbia finito di dire "Un pane di
segale affettato" ti sta già dicendo di nuovo: "Altro?">>.

304
Kubrick chiese a un gran numero di costumisti di proporre idee
sui vestiti dell'anno 2001. Alcuni risalirono all'età edoardiana, altri
avevano idee futuribili. Prima di scegliere Hardy Amies, Kubrick
parlò con Jeremy Bernstein della sfida presentata dai costumi: «Il
problema è trovare qualcosa che abbia un aspetto diverso e che possa
riflettere nuovi sviluppi nel campo dei tessuti, ma che non sia così
estremo da distrarre. Di sicuro i bottoni saranno spariti. Già adesso
esistono tessuti che restano chiusi da soli».
Ad agosto, Clarke raggiunse Kubrick agli studi di Boreham Wood
mentre l'attività dello staff della produzione si faceva frenetica in
vista del primo giorno di riprese- una data che il regista sperava si
sarebbe materializzata prima della fine dell'anno. In aggiunta alle
sue mansioni di sceneggiatore, Clarke divenne il consulente scienti-
fico interno della produzione e dovette coordinare la massa di dati
tecnici che soffocavano l'ufficio. Clarke andò ad abitare da suo fratel-
lo Fred e dalla cognata Sylvia in Nightingale Road 88, a Londra.
Kubrick stava rivedendo il romanzo con Clarke e contemporanea-
mente preparava il copione di scena, una traccia necessaria per piani-
ficare esattamente le riprese.
Alla fine di agosto Clarke decise che il romanzo doveva finire con
Bowman in piedi accanto a un'astronave aliena, ma Kubrick non fu
soddisfatto di questa conclusione e la ricerca andò avanti.
Uno staff selezionato di progettisti e studiosi del futuro passava
tutto il tempo a lavorare a un unico progetto: la visualizzazione del
segnale lasciato sulla Terra dagli extraterrestri immaginati da Clarke
in La sentinella. Bozzetti e idee erano analizzati, discussi e respinti da
Kubrick, che riusciva sempre a cogliere in un'idea un dettaglio da
usare come base per l'elaborazione successiva.
Per l'oggetto, il regista esplorò ogni possibile forma geometrica,
pretendendo una motivazione intellettuale per ogni configurazione
proposta: cercava una forma primaria che potesse comunicare con il
pubblico in una sola immagine. Fu preso in seria considerazione un
misterioso cubo trasparente, ma a un certo punto si parlò di una
piramide, un concetto collegato alle meraviglie architettoniche
dell'antico Egitto. La vigorosa semplicità della piramide si trasfigurò
nella complessità magica del tetraedro, un solido identificabile come
una piramide a base triangolare. Anche se l'oggetto sarebbe stato
solidamente piantato sulla superficie terrestre, doveva essere plausi-
bile che fosse stato trasportato sulla Terra attraverso lo spazio. Un
modello di tetraedro alto quattro metri e mezzo attraeva Kubrick,
perché la sua ampia superficie era l'ideale per uno strumento attivato
con energia solare: l'oggetto aveva le qualità scientifiche e mitiche
richieste, ma alla fine ricevette il veto della regia.

305
La scelta definitiva di Kubrick fu un unico blocco nero rettangola-
re, noto come il monolito. Per il regista esso conteneva il potere jun-
ghiano di una forza primordiale. L'impatto visivo del solido nero
dalla superficie perfettamente liscia è diventato la vera e propria
immagine poetica centrale di 2001. li monolito confermò la convin-
zione di Kubrick che <da verità di una cosa sta nel sentirla, non nel
pensarla>>. Più avanti, Clarke avrebbe detto: <<Mi piace pensare al
monolito come a una sorta di coltellino svizzero cosmico: fa tutto
quello che vuole fare>>.
A novembre Clarke andò a vedere il progetto in la-vorazione del set
per la nave in orbita sulla terra, la Orion III. Durante la visita, con
Kubrick e gli scenografi, lo scrittore fece una battuta sul fatto che la
carlinga assomigliava un po' a un ristorante cinese; il regista vide
subito il set con occhi diversi e chiese istantaneamente una serie di
modifiche, inducendo Clarke a prendere mentalmente un appunto:
<<Star lontano dagli scenografi per qualche giorno>>.
Dicembre fu dedicato freneticamente a inaugurare il processo di
produzione di 2001: il primo giorno di riprese fu fissato per merco-
ledì 29 dicembre 1965. Kubrick decise di cominciare con la sequen-
za della scoperta del monolito sulla luna, e il settore scenografia con-
centrò tutte le energie nella costruzione del set, che il programma di
lavorazione definiva <<ZOna di scavo TMA-1 >>. Nel teatro H degli
studi Shepperton di Londra, il secondo teatro di posa più grande
d'Europa, la troupe creò un pozzo di 18x36x18 metri per il sito di
scavo del monolito. La superficie lunare e gli sfondi sarebbero stati
costruiti e ripresi in seguito. li negativo dell'inquadratura nel pozzo
di scavo fu contrassegnato e conservato in una camera apposita. In
postproduzione i due negativi sarebbero stati stampati insieme per
completare l'illusione.
Kubrick aveva tempi terribilmente ristretti: nella prima settimana
del 1966 un'altra produzione era prenotata per il teatro H, il che
lasciava appena una settimana per girare l'incontro cruciale fra
l'uomo moderno e un segnale lasciato da un'intelligenza superiore. Il
set doveva essere ultimato in tempo per le riprese del 19 dicembre e
andava smantellato esattamente una settimana più tardi. Un Kubrick
instancabile come al solito lavorò con la troupe per tutte le vacanze.
Mercoledì 29 dicembre 1965, William Sylvester e gli altri cinque
attori che impersonavano il gruppo di esploratori si trovarono alle
sette e trenta del mattino al trucco per essere pronti alla convocazio-
ne delle nove. Iniziavano le riprese di 2001: OdiJ.rea nello .rj1azio.
Kubrick riuscì a girare l'intera sequenza al TMA-1 prima dello
scadere della settimana. La difficoltà maggiore che si presentò a
Geoffrey Unsworth e ai suoi uomini fu illuminare la lastra nera per

306
creare la magia visuale necessaria a farne sprigionare il potere. A un
certo momento delle riprese Arthur Clarke fece notare a Kubrick un
punto del monolito che si era sporcato spostandolo; l'oggetto era
fatto di legno, ma per conferirgli un lustro speciale vi era stata appli-
cata una mistura di pittura nera e grafite. Il regista cominciò a stu-
diare dei metodi per impedire che l'incidente si ripetesse, e gli
attrezzisti dovettero darsi molto da fare perché il monolito rimanesse
liscio, levigato e immune da polvere, sporco o ditate. Quando le
riprese della sequenza furono completate, gli attrezzisti lo avvolsero
con cautela nell'ovatta e lo misero da parte in attesa della sua appari-
zione successiva. Per la scena in cui il monolito era sospeso nell'orbi-
ta di Giove fu fabbricato un modellino.
Per una ripresa con macchina a mano che seguiva il dottor Floyd e
il gruppo mentre nello scavo scendevano la rampa che portava al
monolito, Kubrick impugnò personalmente la cinepresa. Un dolly
sarebbe stato impossibile perché la base di griglia metallica della
rampa non permetteva alle ruote di scorrere in modo fluido, e la
steadicam era ancora !ungi dall'essere inventata; il regista manovrò
direttamente la Mitchell a 65mm, facendosi aiutare da macchinisti e
assistenti per sostenere parte del peso.
Arrivò il nuovo anno, il 1966. 1'8 gennaio la produzione lasciò gli
spazi del complesso di Shepperton per tornare ai più piccoli studi di
Boreham Wood, dove gli scenografi stavano dando gli ultimi ritoc-
chi all'interno della navetta Orion. Kubrick iniziò a girare le sequen-
ze che accompagnano il dottor Floyd e i suoi compagni di missione
alla stazione spaziale.
Con il proseguire della lavorazione, lunghe discussioni e ancor più
lunghe ore alla macchina da scrivere portarono Clarke a un punto
estremo di stanchezza e di stordimento, anche a causa di un terribile
mal di testa da stress, ma il 17 gennaio lo scrittore riuscì a terminare
la revisione della prima stesura del romanzo. Due giorni dopo
Kubrick lo chiamò, proclamando che la storia ormai era definita, e
Clarke iniziò l'insidioso percorso per far sì che il regista desse l'ok
alla versione "finale", in modo che il romanzo potesse essere spedito
alle case editrici.
Per la sequenza in cui Bowman entra di forza nella Discovery attra-
verso il porcello di emergenza, dopo essere stato chiuso fuori da Hai,
Keir Dullea compì la missione personalmente, senza una controfigu-
ra o una rete: «Adoravo Stanley e avrei fatto per lui qualsiasi cosa.
Misi da parte la cautela che avrei adottato di solito per un film quan-
do si parla di scene d'azione>>. Diverse inquadrature richiedevano a
Duilea e a Lockwood di stare appesi a dei cavi. Per l'esplosione attra-
Verso il porcello, Dullea fu sistemato in cima al set - alto diversi

307
piani - assicurato a un cavo che passava attraverso l'inguine del suo
costume da astronauta. Quando la porta si apriva, Dullea veniva fatto
cadere dalla cima e scivolava fino in fondo lungo il cavo, senza rete.
La macchina da presa era piazzata con un'angolazione di 180 gradi
alla base del set verticale, per dare l'illusione che Bowman volasse
verso l'obiettivo. L'attore iniziava il suo "viaggio" su un'impalcatura
fuori dal set, vicino a un tecnico con un sistema di carrucole; il tecni-
co aveva i guanti e teneva in mano una corda annodqta: quando la
lasciava scorrere, Dullea precipitava verso la base del set; e quando il
nodo arrivava in fondo, l'uomo saltava dall'impalcatura e Dullea rim-
balzava più volte avanti e indietro, creando l'impressione che
Bowman fosse sballottato dall'intensa pressione dell'aria.
Kubrick usò la macchina a mano per l'inquadratura che segue
Dave Bowman quando esce dalla camera di equilibrio e attraversa la
nave fino alla scala che porta al cervello centrale di Hai. Anche que-
sta volta assistenti e macchinisti dovettero sostenere il peso della
cinepresa in modo che il regista potesse manovrarla e ottenere
l'inquadratura voluta.
Il più anziano amministratore Nasa del progetto Apollo, George
Mueller, e il primo astronauta Deke Slayton vennero in visita sul set
di 2001. Mueller si guardò attorno e ribattezzò il progetto spaziale di
Kubrick <da Nasa orientale>>. Scherzando con il regista disse laconica-
mente: <<Devi esserti fatto fregare da un venditore di capsule usate».
Le riprese della sequenza procedevano molto lentamente. Kubrick
e Geoffrey Unsworth continuavano a scattare Polaroid di ogni posta-
zione della macchina da presa, e a montarle su un pannello per ana-
lizzare l'illuminazione, la composizione e ogni dettaglio fotografico.
Spesso ci voleva la maggior parte della giornata per preparare tutto,
prima che gli attori potessero finalmente essere chiamati per comin-
ciare a girare.
Anche se Kubrick teneva segreti i particolari del suo film come se
si trattasse di una missione della Cia, restava un pragmatico uomo
d'affari: il 18 gennaio accolse quindi con un benvenuto il celebre
fotografo Lord Snowdon, marito della principessa Margaret, giunto a
Boreham Wood per un servizio fotografico sul regista e su 2001 per
la popolarissima rivista <<Life». Kubrick era ben conscio che la pub-
blicità giusta avrebbe stimolato le aspettative del pubblico.
Kubrick restava affascinato dalle nuove tecnologie. Ricorda Keir
Dullea: <<Bastava che sul set arrivasse qualcuno con un nuovo giocat-
tolo computerizzato o roba del genere perché tutto si fermasse. In
quel senso aveva la curiosità di un bambino».
Il regista cercò di arruolare i responsabili degli effetti di "The
Thunderbirds", la serie televisiva prodotta dalla Bbc nel 1966, ma i

308
produttori Sylvia e Gerry Anderson mangiarono subito la foglia
quando chiamò per invitare Sylvia a pranzo. Più avanti, alcuni mem-
bri dello staff di 2001 sarebbero riusciti ugualmente a convincere un
paio di tecnici della serie a d iserrare.
Il 19 aprile 1966, Arthur Clarke riapparve allo studio. Kubrick
faceva lavorare la troupe per lunghe, faticose ore. La moglie dello
scenografo Tony Masters, Heather, ricorda che di rado vedeva suo
marito prima delle dieci di sera. Quando Masters era a casa passava
la maggior parte del tempo al telefono con Kubrick, e questo andaz-
zo proseguì per due anni, mentre il progetto procedeva. Il regista era
paziente ma esigente: quando un tecnico del suono si scusò di non
aver finito il lavoro, Kubrick interruppe le riprese fino a quando
l'uomo non fu pronto, poi gli disse con voce tranquilla ma ferma:
«La prossima volta che io avrò cinque ore di prove prima di girare,
forse dovresti provare ad approfittarne per risolvere i tuoi problemi
di suono>>. Alcuni rispettavano questo perfezionismo esigente, ma
altri non reggevano allo sforzo. Uno dei consulenti esterni che lavo-
ravano ai modelli della superficie lunare continuò a fare una revisio-
ne dopo l'altra, senza mai ottenere l'approvazione di Kubrick, e fu
visto per l'ultima volta mentre lo trasportavano in lacrime via dagli
studi. Per mantenere sempre al massimo l'efficienza della troupe, il
regista esercitava una continua pressione psicologica creando
un'atmosfera competitiva, e arrivava ad affidare lo stesso obiettivo a
due équipe diverse in modo da costringerle a correre l'una contro
l'altra. Raccontava Harry Lange: <<Ti trasporta con il suo incredibile
entusiasmo. Ha la grande capacità di farti credere in quello che stai
facendo. Da lui si impara moltissimo. Un sacco di gente deve a
Stanley tutta la carriera». <<Stanley ispira la gente>>, diceva lo scena-
grafo John Hoesli. <<Non so proprio spiegare come, ma ha questo
dono di spingere la gente a fare quel qualcosa in più. Anche il ragaz-
zo dell'ufficio!>>.. Il "ragazzo dell'ufficio" Tony Frewin sarebbe poi
diventato l'assistente personale di Kubrick e dal 1965 è sempre
rimasto con il regista. Brian Johnson, un membro dell'équipe degli
effetti speciali, scoprì che Kubrick sembrava ignorare chi parlava di
qualsiasi altro argomento che non fosse il film. Un giorno Johnson
accennò di passaggio al suo interesse per l'aviazione, e il regista si
limitò a ignorarlo e ad andare via. Ma poi Johnson trovò sulla scriva-
nia una pila di riviste di aviazione con un biglietto di Kubrick che
diceva: <<Potresti trovarle utili>>.
Kubrick aveva fama di essere freddo e privo di emozioni nei con-
fronti di molti di coloro con cui lavorava. A un certo punto il figlio di
Ìony Masters si ammalò gravemente di difterite e il regista fece spedi-
re dagli Stati Uniti un inalatore. La sua mente lavorava con la logica

309
di un computer, utilizzando la ragione per risolvere tutti i problemi
che le si presentavano davanti. Più difficile era interpretare la sua vita
emotiva. Lavorava duramente, gomito a gomito con la troupe, pronto
a spostare un pezzo di attrezzatura se era necessario o a sdraiarsi a terra
per un'inquadratura dal basso. Le sue emozioni finivano nelle sinapsi
del suo cervello e si trasformavano in·visioni. <<Stanley è un genio>>, ha
detto Roger Caras a Piers Bizony. <<Ne devo aver conosciuti cinque o
sei nella mia vita e ci metto anche Arthur [Clarke}; beh, dentro di
loro c'è un mostro che li mangia vivi, ed è costituito dai loro lobi
frontali. Devono costantemente nutrire questa cosa e non sopportano
la noia. È questo che li guida a profondità sempre maggiori di com-
prensione, di sc~vo. Sostanzialmente, Stanley è una persona chiusa,
molto riservata. E tollerante e modesto. Non tiranneggia gli altri, ma
il fatto che capisca qualcosa venti minuti prima di chiunque altro, e
che abbia una memoria incredibile che raggiunge profondità impen-
sabili quando gli interessa qualcosa, tutto ciò fa sembrare Stanley
tranquillo e riservato a meno che non lo si conosca bene. Ma quando è
rilassato con qualcuno ha un senso dell'umorismo veramente eccezio-
nale, e naturalmente ha questa curiosità insaziabile».
Kubrick chiese all'amico Bob Gaffney, che aveva diretto la seconda
unità per Lolita, di fare lo stesso per 2001. Sul set Gaffney poté
osservare l'abilità di Kubrick con la macchina da presa. <<Era un otti-
mo operatore», ricorda Gaffney. <<Mi trovavo in Turchia e Stanley
aveva chiamato dicendo: "Quando torni a casa faresti un salto a
Londra? Ti voglio parlare". Così andai a Londra dove lui stava facen-
do 2001. Aveva un'idea per la sequenza finale ma non fu esplicito. Si
limitò a tirare fuori un libro e dire: "Voglio scene nella Monument
Valley girate con luce molto bassa, volando sulle formazioni rocciose
e lungo il terreno, più in basso possibile". Ma non disse il perché"».
<<Quel pomeriggio eravamo nel terreno dietro i teatri di posa.
Arthur Clarke e io stavamo là a parlare. Stavano riprendendo l'osso
che volava per aria e l'operatore non riusciva a tenerlo in campo. È
un'inquadratura molto difficile. Giravano ad alta velocità. Quando
butti in aria qualcosa non sai mai quanto in alto andrà perché l'osso
veniva lanciato in maniera sempre diversa. Lo lanciavano in modo
che girasse su se stesso. Così bisognava seguirlo mentre saliva e poi
seguirlo nella discesa. L'operatore lo mancò tre o quattro volte.
Stanley si mise dietro alla macchina e lo fece al primo colpo, ed è
l'inquadratura che si vede nel film. La macchina la manovrava lui».
La scena in cui Moon- Watcher scopre l'osso-arma fu la sola che
Kubrick girò in un ambiente reale, anche se non fu necessario andare
lontano: venne montata una piattaforma in un campo a pochi metri
dagli studi. Mentre Dan Richter nel suo costume da scimmia franru-

310
mava teschi e ossa di facocero, Kubrick teneva la macchina da presa
in basso puntandola verso il cielo. Automobili e autobus passavano
mentre la troupe continuava a girare, ma restavano fuori campo: solo
il passaggio occasionale di qualche aereo disturbava di tanto in tanto
il sapore preistorico della scena, costringendo Kubrick ad aspettare
che il ventesimo secolo, lentamente, uscisse di campo.
L'osso della scimmia, contemporaneamente utensile e arma, e il
computer degli astronauti erano molto significativi eer Kubrick, che
disse a William Kloman del «New York Times>>: «E sotto gli occhi
di tutti che tutta la tecnologia umana sia nata dalla scoperta
dell'utensile-arma. Non c'è dubbio che ci sia una profonda relazione
emozionale fra l'uomo e le sue macchine-armi, che sono i suoi figli.
La macchina sta cominciando a imporsi in un modo molto profondo,
anche suscitando sentimenti di affetto e di ossessione».
L'inquadratura dell'osso che vola in aria sarebbe stata usata come
transizione per staccare sul volo di un'astronave, in quello che
Arthur C Clarke ha chiamato: «II più lungo flashforward della sto-
ria del cinema: tre milioni di anni».
Inizialmente Kubrick voleva girare 2001 nel formato panoramico
di 1,85:1. In una delle loro innumerevoli discussioni tecniche, Bob
Gaffney gli parlò di altre possibilità: <<Gli dissi: "Devi fare una cosa
viscerale. Se vuoi portare la gente nello spazio non c'è niente di più
grande del 70mm, e il Cinerama è ancora meglio perché avresti uno
schermo curvo" e lui fu d'accordo. E lo fece. Costò pure un po' di
soldi alla Mgm». Gaffney aveva lavorato diversi anni con il formato
Cinerama, ma era un'autorità anche per il 70mm e aveva fatto parec-
chi cortometraggi in Todd-AO.
<<Passai ore al telefono con lui», ricorda Gaffney: <<Non fu necessa-
rio insistere. Gli avevo fornito uno spunto e ora lui mi avrebbe inter-
rogato per giorni. Stanley è un uomo dalla mente aperta. Questa è
una cosa che complica la vita alla gente, ma non c'è nulla su cui la
sua mente resti chiusa. Ascolta, valuta e vede se per lui può funzio-
nare. È dura per la gente che gli sta intorno perché è come avvicinar-
si a un aspirapolvere. Ti risucchia il cervello. Se fai un errore lui ti
scopre subito. Mi arrivavano strane telefonate: "Ora, se tu metti un
faro a trenta centimetri da te e ne indirizzi un altro uguale sullo stes-
so punto, ottieni il doppio di quella quantità di luce?". Voleva vede-
re se sapevo la risposta, lui la sapeva già. A volte non conosceva la
risposta e se ti capitava di dire qualcosa lui saltava su: "Che?". Una
Volta mi chiese: "Come fai a dire la differenza fra qui e lì?". Io dissi:
"È la triangolazione. Hai un punto qui e un punto lì. Misuri gli
angoli del triangolo". "Beh, ma come si fa?". "Beh, devi conoscere il
seno, il coseno e la tangente". Non aveva mai studiato quella roba a

31 l
scuola. Allora scriveva: "Nota per Margaret, procurami questo e quel
libro". Poi si sedeva e se lo leggeva>>.
Gaffney riprese il materiale del terreno per la sequenza della Porta
delle Stelle con le informazioni minimali che Kubrick gli aveva dato
circa il volare basso e il girare con luce bassa.
Quando 200 l uscì, molti p€nsarono che Kubrick avesse usato la
solarizzazione - la tecnica che Richard Avedon aveva usato nelle sue
celebri fotografie dei Beatles nello splendore dei colori psichedelici.
Ma le riprese aeree di Bob Gaffney non sono state solarizzate.
Parecchi anni dopo l'uscita del film, Gaffney vide una dimostrazione
che era stata presentata a Kubrick dalla Films Effects of Hollywood:
era l'immagine di un'onda che scivolava sull'oceano, e nel momento
in cui si rompeva l'acqua bianca esplodeva in mille colori. Al regista
era stato spiegato che l'effetto era stato ottenuto mescolando i master
di separazione in bianco e nero usati per produrre una stampa a colo-
ri5. Stampando la registrazione del giallo sul master ciano, e stam-
pando il ciano sul magenta, la mescolanza di master e registrazione
produceva spettacolari effetti di colore. Attente sperimentazioni e
test impegnativi avevano rivelato a Kubrick che era possibile con-
trollare i colori per alterare i paesaggi americani, in modo da farli
sembrare panorami alieni.
La maggior parte del materiale per la sequenza fu girato sopra
Page, in Arizona; un paio di scene furono riprese nella Monument
Valley, dove fu per poco evitato il disastro. «C'è mancato poco che
mi ammazzassi>>, ricorda Gaffney: «L'erosione da quelle parti è dovu-
ta alla forza del vento. lo ero in un Cessna 21 O con la macchina da
presa fissata sotto un'ala in modo da non riprendere il motore.
Andavamo a girare la mattina presto e la sera tardi. La prima sera
che ci trovavamo lì, la nostra pista era la stazione Texaco di fronte al
motel ed era piena di muli e capre. Diedi un'occhiata alla manica a
vento ed era completamente morta. Decollammo, e appena arrivati
in cima all'altopiano ci arrivò addosso un vento a 160 chilometri
orari, che sballottava l'aereo. Il pilota urlava: "Lo sapevo che uno di
questi giorni mi facevi ammazzare, stupido figlio di puttana!". Io gli
dissi: "Spingi giù la cloche, o lo faccio io!". Spinsi giù la cloche e ci
buttammo verso il basso per tornare dove l'aria era calma. Una volta

5 Per produrre una copia a colori, la pellicola individuale veniva scomposta su tre pdb-
cole monocromatiche attraverso tre filrri con i colori base Jel processo di stampa: gial-
lo, ciano e magenta. Questa pellicola era intrinsecamente molto più nitida di quella a
colori. Con i filtri appropriati, le tre pellicole potevano essere ricombinate restaurando i
colori originali attraverso la stampa, in successione, su una quarta pellicola a colori.
(N.d.T.)

312
riequilibrato l'aereo, girammo per tornare dove eravamo decollati. Il
sole stava tramontando proprio dietro la pista, e vi era tutta la polve-
re che avevamo appena alzato decollando. Lì non c'era un filo di
vento. La polvere ci impediva di vedere la pista, non vedevamo nien-
te. Io dissi: "Tu vola, io faccio il radar, due gradi a sinistra, a destra,
tira giù il carrello, togli gas" e boom lo portai a terra>>.
Kubrick aveva il controllo artistico su 200 l ma doveva sempre
rispondere alla Mgm, principale finanziatrice del film e responsabile
della distribuzione. Durante la lavorazione la società aveva comincia-
co a sprofondare nei debiti e Kubrick decise che il modo migliore di
placare l'ansia terribile dei dirigenti dello studio fosse presentare loro
un breve rullo dimostrativo del materiale ripreso nel primo mese di
lavorazione. Il programma includeva scene dell'interno della stazione
spaziale e della navetta lunare Orion. La maggior parte del materiale
era stato ripresa senza sonoro, così Kubrick aggiunse brani di musica
registrata che aveva ascoltato durante la preproduzione: le scene con
gli astronauti in assenza di gravità furono sonorizzate con Sogno di
11na notte di mezza e.rtate di Mendelssohn; per il materiale sulla luna e i
primi test per il clou spirituale del film (la sequenza sperimentale
della Porta delle Stelle) la colonna sonora scelta da Kubrick fu
l'Antanticct Suite di Vaughan Williams. Alla Mgm furono impressio-
nati dalla presentazione ma restarono nervosamente in attesa di sape-
re come sarebbero state usate immagini spaziali di un realismo così
sconvolgente, e come sarebbero andate al botteghino. Robert
O'Brien, presidente della Mgm e i suoi dirigenti più alti, per quanto
impressionati, cominciarono a trattenere il fiato sperando che il film
finisse presto. Intanto nella visione di Kubrick aveva cominciato a
prendere forma la relazione fra musica classica e immagini futuribili.
Instancabile, Kubrick pretese un orario basato su giornate di dodici
ore: cominciò ad arrivare sul set alle otto e un quarto del mattino,
per lavorare fino alle otto e mezza di sera, e così di seguito per mesi.
Il set più complesso e imponente del film era la centrifuga, il centro
dell'astronave Discovery, che trasportava gli astronauti. Per costruirlo
fu scelto un grosso teatro che assomigliava a un hangar per aeroplani.
Una volta approvata l'idea finale, basata su progetti dei programmi
spaziali americani e russi, Kubrick pretese espressamente una tecno-
logia ben superiore alle possibilità di una produzione cinematografica
convenzionale, e affidò alla Vickers Engineering Group il compito di
costruire una centrifuga funzionante su una scala sufficientemente
grande da permettere agli astronauti di viverci e lavorarci.
Il progetto durò sei mesi e costò alla produzione 750.000 dollari.
La centrifuga aveva un diametro di undici metri ed era composta di
travi d'acciaio. Pesava trenta tonnellate e poteva ruotare a una velo-

313
cità massima di quasi cinque chilometri all'ora. Vista dall'esterno,
ricordava da vicino una ruota panoramica da luna park. L'interno era
largo due metri e mezzo e gli scenografi, per raffigurare una proie-
zione delle astronavi del futuro, avevano ;;tudiato e decorato tutti i
360 gradi della struttura, fino al più piccolo dettaglio. Questo com-
portava la difficoltà di assicurare gli arredi interni, che avrebbero
dovuto ruotare costantemente in movimento circolare. All'interno
della centrifuga erano installati fino a due dozzine di proiettori cine-
matografici. Tutto era fisicamente avvitato al pavimento, inclusi una
consolle da computer, un dispensario medico controllato elettronica-
mente, una doccia, un solarium, una sala giochi completa di tavolo
da ping-pong e di un piano elettronico, e cinque involucri bombati
in plastica in cui dormivano i membri ibernati dell'equipaggio della
Discovery. Kubrick scherzò con Jeremy Bernstein: «Forse la società
può recuperare un po' dell'investimento vendendo visite guidate alla
centrifuga. Potrebbero anche farne un'attrazione>>.
Quando gli attori erano all'interno della centrifuga, si chiudeva
una botola che li isolava all'interno. Kubrick ordinò la disponibilità
immediata di una· squadra di vigili del fuoco e venne effettuata una
serie di esercitazioni per far uscire gli attori tempestivamente se
all'interno si fosse sviluppato un incendio. Disse Roger Caras a Nei!
McAleer: <<C'era molta elettricità e vi erano elementi infiammabili
come legno e plastica. Se fosse scoppiato un incendio lì dentro sareb-
be potuto essere un fuoco improvviso, come quello dell'Apollo 11
che aveva ucciso i tre astronauti. C'erano bulloni piazzati in punti
strategici che all'occorrenza potevano essere colpiti a martellate per
consentire agli attori di uscire. Gli attori erano sempre alla base
della centrifuga. La macchina da presa si muoveva e si muoveva il
macchinario, ma gli attori erano sempre alla base, ad appena un
metro, un metro e mezzo sopra il pavimento del teatrO>>. Un grande
sistema di ventilazione aiutava a fare uscire l'aria calda prodotta
dall'enorme potenza dei riflettori, e pompava dentro aria fresca.
Kubrick spiegò a Herb Lightman come aveva utilizzato la macchi-
na da presa all'interno della centrifuga: <<C'erano praticamente due
tipi di posizioni di macchina usate all'interno della centrifuga. Nel
primo la macchina da presa era fissata al set, così che quando questo
ruotava a 360 gradi la macchina lo seguiva. Però, in termini di orien-
tamento visivo, la macchina da presa non "sapeva" di essere in movi-
mento. In altre parole, sullo schermo sembra che la macchina da presa
sia ferma, mentre l'attore se ne allontana camminando su per la pare-
te, attraverso il soffitto, e scendendo dall'altra parte. Nel secondo tipo
di ripresa la macchina, montata su un dolly in miniatura, restava con
l'attore alla base, mentre tutto il set gli si spostava attorno. Non era

314
semplice come può sembrare perché, dato che la macchina da presa
doveva mantenersi a una certa distanza dall'attore, era necessario posi-
zionarla sulla parete a circa sei metri, e tenerla in quella posizione
mentre il set ruotava. Questo risultato si otteneva grazie a un cavo
d'acciaio che dall'esterno era collegato alla macchina da presa aura-
verso una fessura praticata al centro del pavimento e che correva
attorno all'intera centrifuga. L'apertura era dissimulata da tappetini
di gomma che ricadevano in posizione appena il cavo era passato>>.
A un certo punto delle riprese nella centrifuga, mentre la macchi-
na da presa viaggiava lungo le pareti del set, qualcosa la fece sgancia-
re e precipitare a terra da oltre nove metri. Per fortuna gli atrori
erano fuori portata: il peso della macchina da presa avrebbe potuto
ucciderli. Keir Dullea dichiarò a «Newsweeb>: <<Durante le riprese
di 2001 Stanley era l'unico a indossare sempre il casco protetrivo>>.
Cercando di individuare la corretta esposizione e il bilanciamento
della luce su un set così insolito, Kubrick e Geoffrey Unsworth scat-
tarono una serie di Polaroid in bianco e nero per controllare l'intrica-
to sistema di illuminazione. Nel corso della produzione, Unsworth
avrebbe scattato più di diecimila Polaroid, per risparmiare tempo e
poter controllare istantaneamente la luce.
Il set della centrifuga presentava un genere di pericoli più comune
agli operai dei grattacieli che a una troupe cinematografica. Tutto il
personale della produzione era equipaggiato con· elmetti d'acciaio
che proteggessero da detriti caduti dal set rotante. Gli uomini di
Unsworth dovevano assicurare il materiale delle luci alla strutrura
d'acciaio e gli elmetti tornavano utili quando una lampada scoppiava
sparando tutto attorno schegge di vetro, o quando un cacciavite o
altri utensili precipitavano dall'alto. Oltre agli elmetri erano di uso
comune anche leggere scarpe da tennis, che permettessero ai membri
della troupe di camminare per il set facilmente e silenziosamente.
Per raggiungere le varie aree della centrifuga, i membri della troupe
dovevano arrampicarsi sulle impalcature d'acciaio esterne o arrivare
in cima al cilindro tenendosi a una delle suppellettili inchiodate,
fìno a quando questa raggiungeva la destinazione. Una volta arrivati
dovevano aggrapparsi bene per maggior sicurezza. All'esterno della
struttura della centrifuga erano montati proiettori a 16mm per con-
sentire a Kubrick di creare gli effetti di proiezione della facciata che
venivano sviluppati dal supervisore agli effetti speciali Tom Howard.
All'interno della centrifuga fu installato un sistema di televisione a
circuito chiuso che permetteva a Kubrick di dirigere le scene da una
Postazione di controllo esterna al set.
All'inizio della sequenza del film ambientata sulla Discovery, l'astro-
nauta Frank Poole fa jogging e si esercita nella boxe attorno al perime-

)15
tro della nave. L'austera semplicità di questa scena entusiasmò gli spet-
tatori, immediatamente trasportati nella gravità zero dello spazio. La
centrifuga era necessaria a creare questa sequenza affascinante. Alla
proiezione dei giornalieri, Kubrick fece suonare un valzer di Chopin
un brano che gli pareva sarebbe potuto ~ssere scelto nel 2001 da u~
uomo intelligente. Sulla colonna sonora si poteva sentire di tanto in
tanto la voce di Kubrick che sovrastava Chopin dando a Lockwood
indicazioni per la difficile sequenza: «Guadagna un po' sulla macchi-
na, Gary! ... Ora una scarica di sinistri e destri!. .. Un po' più catti-
vo!». Dopo aver proiettato il materiale, Kubrick commentò: «È bello
avere due minuti di film utilizzabile dopo due giorni di riprese».
Durante le riprese Kubrick era sistemato a una consolle elettronica
fuori dalla centrifuga. Fuori e dentro il set erano installati sei
microfoni e un sistema di altoparlanti che, insieme al sistema di
televisione a circuito chiuso, permettevano al regista di osservare
l'azione su tre monitor e di comunicare con gli attori e con la troupe.
A portata di mano c'era anche un grosso e goffo videoregistratore
affinché Kubrick potesse vedere una scena dopo averla girata.
Il controllo video, che permette a un regista di rivedere subito i
ciak, oggi è un elemento standard della produzione cinematografica,
ma nel 1966 una tecnologia del genere non era così facilmente
disponibile. L'uso innovativo del video fatto da Kubrick per la pro-
duzione cinematografica sarebbe divenuto di attualità negli anni
Ottanta quando Francis Ford Coppola diresse Un sogno lungo un giorno
dall'interno di una roulotte parcheggiata sul set piena di attrezzatura
elettronica- un metodo che ribattezzò «cinema elettronico».
C'erano inquadrature per le quali Kubrick non aveva lo spazio per
far stare un operatore nella centrifuga. In quei casi Dullea o
Lockwood dovevano prima provvedere personalmente a far partire la
macchina da presa e poi tornare in posizione per recitare la scena,
mentre il regista li osservava dall'esterno su un monitor. Per altre
inquadrature la macchina da presa veniva montata su un dolly per
seguire gli astronauti mentre camminavano per la nave. In aggiunta
alla centrifuga, altri pezzi del set furono usati per le altre parti
dell'interno della imponente astronave. Anche molte di queste unità
ruotavano e avevano due metà, per creare effetti come la scena in cui
una hostess cammina su un muro ed entra in una botola sul soffitto.
Per l'inquadratura nella quale Poole è seduto a mangiare davanti a
Hal e Dave scende da una scaletta sull'altro lato della stanza cammi-
nando fino a lui, Gary Lockwood in realtà era legato capovolto alla
sedia. Il cibo era assicurato al tavolo e alla forchetta dell'attore. Keir
Dullea camminava sul posto mentre la centrifuga gli girava attorno
dando l'impressione che si avvicinasse a Lockwood.

316
Durante le riprese la sceneggiarura crebbe in lunghezza via via che
le improvvisazioni arricchivano le scene. Ricorda Keir Dullea:
,Quando stavamo girando una scena ma sapevamo che un'altra
sarebbe arrivata dieci giorni dopo, andavamo nella roulotte di
Stanley e lui accendeva un registratore. Noi improvvisavamo il dia-
logo basandoci sulle battute originali e il giorno seguente trovavamo
il nuovo copione».
«Avevamo un sacco di tempo libero, c'era molto da aspettare.
Tutti i film sono fatti di momenti frenetici e di lunghe pause, ma in
rutta la mia vita non mi è mai capitato di aspettare così a lungo tra
una inquadratura e l'altra. Le attese più lunghe per la nuova posizio-
ne macchina sono state su questo sec. Così avevamo del tempo. Lui
faceva mettere su carta dalla segretaria tutto quello che registravamo
e il giorno dopo avremmo improvvisato su quel materiale. Sicché
improvvisavamo su un'improvvisazione basata su un'improvvisazio-
ne tratta da un'altra improvvisazione, fino a quando era tutto ripuli-
to fino all'osso>>, conclude Dullea.
Per l'inquadratura in cui Bowman e Poole camminano attorno a
un nucleo che conduce a un passaggio aperto in collegamento con
un'altra area della nave, la macchina da presa era avvitata alla parte
in primo piano del cilindro della centrifuga, mentre il cilindro sullo
sfondo ruotava. Appena i due entravano nella seconda sezione, questa
cessava di ruotare e cominciava a ruotare la parte con la macchina da
presa, dando l'impressione che gli uomini camminassero sui muri e
nel passaggio sopra di loro.
Le riprese nella centrifuga procedevano lentamente. Cambiare le
luci per una nuova posizione macchina richiedeva un'attenta pro-
grammazione logistica, mentre la troupe si arrampicava su per i lati
ricurvi del set fino a poter spostare una luce o appendere un nuovo
faretto. Gli astronauti avevano scarpe munite di velcro, che permet-
tevano loro di camminare nell'assenza di gravità della nave. Quando
Kubrick vide il design completo delle scarpe ne rifiutò la forma e le
riprese furono interrotte per un giorno mentre le scarpe venivano
ridisegnate.
Kubrick lavorava con gli attori in privato, prendendoli individual-
mente da una parte come aveva fatto in passato con Marie Windsor
per Rapina a mano armata. Ricorda Keir Dullea: <<È un uomo molto
tranquillo e i tuoi rapporti con lui in questo senso erano intimi. Era
~olco facile lavorare con lui. I bravi registi sono dei meravigliosi
tmbroglioni. Si può imbrogliare un attore e fargli credere che sta
facendo una cosa perché pensa che sia una grande idea, e invece è
opera clel regista. Penso che sia bellissimo, e Kubrick sicuramente
aveva questo dono. I migliori registi con cui ho lavorato ce l'aveva-

317
no. Aveva una forza tranquilla. Era un fanatico del dettaglio, ma in
lui non c'era niente di tirannico. Non faceva drammi sul set. È vera-
'
mente una persona estremamente riservata>>.
Durante la difficile lavorazione del film, Stanley e Christiane ten-
nero ogni settimana una serie di eleganti pranzi per attori, troupe e
altri ospiti. I Kubrick intrattenevano scienziati, filosofi e scrittori.
Ricorda Keir Dullea, che partecipò a molti party vivaci, ricchi di sti-
molanti conversazioni: «Stanley è un autentico uomo rinascimentale.
Voglio dire, gli capitava lì uno storico dell'arte e lui era assoluta-
mente alla sua altezza nel parlare di rinascimento o di cubismo.
Osservai che era in grado di farlo in aree di ogni genere. È sempre
stato un uomo dalla curiosità insaziabile. Ti faceva un sacco di
domande sulle cose. Conosceva in profondità una quantità di cose che
nulla avevano a che fare con il cinema>>.
All'inizio, Kubrick aveva calcolato 130 giorni di riprese per le
scene principali del film (le inquadrature degli effetti speciali aveva-
no un lungo programma a parte) ma i ritmi inaspettatamente lenti
del lavoro negli interni della Discovery aggiunsero una settimana a
un calendario già prolungato. Per niente disposto ad accettare com-
promessi, il regista prendeva atto della lentezza dei ritmi senza farsi
problemi e quando si trattava di preparare una nuova posizione mac-
china usava il tempo necessario a suo beneficio. I membri della trou-
pe trainavano all'interno del teatro una roulotte blu, un tempo usata
come camerino di Deborah Kerr e ora convertita in un ufficio mobile
completamente attrezzato. Mentre Jeremy Bernstein osservava le dif-
ficoltà delle riprese all'interno della centrifuga, Kubrick si voltò
verso il giornalista e commentò: «Mi avvantaggio di ogni ritardo o
interruzione per andarmene e pensare. Un po' come quando si gioca
a scacchi e il tuo avversario ci mette molto tempo a pensare alla sua
prossima mossa».
Gli scacchi avrebbero fatto una nuova apparizione in un film di
Kubrick. Poole gioca con Hai e viene sconfitto dal computer. Il regi-
sta aveva chiesto alla Parker Brothers, la società che distribuiva il
Monopoli, di inventare un gioco elettronico che Hai potesse fare con
Bowman e Poole; la Parker aveva studiato il gioco e prodotto una
versione da tavolo che pensava di distribuire, ma il gioco non fu uti-
lizzato in 2001 e la società non lo distribuì mai. Keir Dullea ne rice-
vette una copia come ricordo del suo viaggio cinematografico nello
spaZIO.
Hai, il computer di bordo, era un personaggio fondamentale nelle
scene sulla Discovery. Dullea e Lockwood guardavano nel suo occhio
rosso, simile a un obiettivo, e dialogavano con lui come se fosse stato
un essere vivente in carne e ossa. Durante le riprese, le sue battute

318
venivano a volte dalla viva voce di Stanley Kubrick, trasmesse dalla
sua trincea elettronica attraverso microfono e ricevitore. Gli attori
rispondevano a battute di Hai pronunciate con l'irreprimibile accen-
to del Bronx del regista, che le avrebbe poi riscritte e fatte doppiare
da Douglas Rain. Agli attori, Kubrick offriva le frasi più quotidiane
come: «Buongiorno, cosa vuoi per colazione?>>. Lo scambio produce-
va una relazione intrigante ed eccitante fra l'uomo e la macchina.
Questa intima interazione psicologica rende la scena della morte di
Hai una delle più insolitamente toccanti del cinema contemporaneo.
Nella sequenza in cui Bowman disattiva Hai, Keir Dullea era
sospeso da cavi e durante i primi piani rallentava i suoi movimenti
corporei per accentuare l'impressione che stesse galleggiando attra-
verso l'unità centrale. L'aiuto regista Derek Cracknell leggeva le bat-
tute di Hai con il suo accento, pregando Dave di smetterla, e si pro-
dusse poi in una versione cockney di Giro giro tondor, così che Dullea
potesse reagire mentre disattivava Hai. L'attore commenta la toccan-
te scena dicendo: <<Era un po' come George che spara a Lenny in
Uomini e topi>>.
La stanza che ospitava il mainframe di Hai era chiamata dalla pro-
duzione <da stanza del cervello>>. Era alta tre piani, costruita vertical-
mente ma ripresa da un lato, in modo che sullo schermo apparisse
orizzontale. Lavorare sul set era pericoloso: durante la costruzione un
operaio cadde dalla sommità e si ferì seriamente la schiena.
I giorni nella centrifuga e nei set della Discovery continuavano a
trascinarsi. Attori e troupe lavoravano dalle dieci alle dodici ore al
giorno. All'epoca le troupe britanniche non erano abituate a fare
tanti straordinari, ma quella di Kubrick restò motivata e disponibile
a perseverare in questo progetto unico. Di tanto in tanto qualche
membro della troupe era portato all'esasperazione dall'insistenza per-
fezionistica del regista; Keir Dullea ricorda di averne sentito qualcu-
no lamentarsi per poi concludere con: «Ma sai che cos'è che ti frega?
Che il maledetto bastardo ha sempre ragione!>>.
Per le sequenze in cui Bowman e Poole galleggiano nello spazio, le
controfigure furono appese ai cavi grazie a busti speciali e furono for-
nite sia di un sistema radio per comunicare con Kubrick e con la
troupe, sia di bombole di ossigeno perché li aiutassero a sopportare
l'altezza.
Squadre di ricercatori furono inviate in giro per il mondo alla
ricerca di location per gli sfondi delle sequenze di "L'alba dell'uo-
mo" e della Porta delle Stelle, ma Stanley Kubrick non lasciò mai i

6 In realrà, nella versione originale, la canzone è Daisy. Daisy. (N.d.T.)

319
confini dello studio. Questo non era dovuto alla mancanza di
tempo. Kubrick era un'autorità in fatto di aviazionfi e aveva addirit-
tura la licenza di pilota, ma non avrebbe più messo piede su un
aeroplano. Aveva accumulato 150 ore di volo, per lo più attorno
all'aeroporto di Teterboro nel New Jersey, ma dopo aver fatto prati-
ca di decollo e atterraggio, aver volato in solitario fino ad Albany e
aver accompagnato nei cieli i suoi amici, aveva smesso di entrare
nella carlinga.
Il fatto che Kubrick si rifiutasse di prendere l'aereo è stato attri-
buito alla paura di volare e al suo senso della logica e delle probabi-
lità che gli avrebbe fatto decidere che non era un rischio che valesse
la pena di correre; però il regista aveva volato da una costa all'altra,
ed era stato lui stesso pilota. La paura che gli ha impedito di volare
per quasi trent'anni ha le sue radici in un particolare incidente.
Un certo giorno, mentre .ai comandi del suo aereo era in procinto
di uscire dall'aeroporto di Teterboro, Kubrick aveva cominciar~ a
rullare sulla pista. Mentre controllava gli interruttori, uno era rima-
sto incastrato a metà; l'aereo era partito di scatto e aveva decollato
con una parte del motore che non funzionava. Dopo una lotta frene-
tica, Kubrick era riuscito a far atterrare l'aereo, ma l'incidente, che
gli aveva mostrato quanto fosse sottile la linea fra la vita e la morte,
aveva chiuso la sua carriera di aviatore.
Quella che si potrebbe interpretare come una paura irrazionale era
la scelta pragmatica di un essere capace di mantenersi sempre razio-
nale. Kubrick leggeva continuamente riviste di aviazione e passava
ore a seguire le trasmissioni della torre di controllo di Londra con la
sua radio a onde corte. Il margine di errore nel volo, per lui, era
troppo alto. Kubrick prendeva le decisioni sulla base di dati raccolti,
e con quei parametri non poteva mettere a rischio la sua sicurezza.
Così aveva ristretto i suoi voli ai viaggi di celluloide di 2001. Aveva
disposto le circostanze in modo che non gli toccasse di volare e aveva
organizzato la vita in Inghilterra in modo da poter evitare rischi.
Mentre la ricerca continuava, Kubrick parlò a Jeremy Bernstein
delle location che stava prendendo in considerazione per il prologo:
<<Stiamo cercando un deserto fresco dove sia possibile girare alcune
sequenze a tarda primavera. Ci è caduto l'occhio su un luogo in
Spagna ma potrebbe fare troppo caldo per poterei lavorare comoda-
mente e potremmo avere difficoltà a controllare la luce. Se non andia-
mo in Spagna, dovremo costruire qui un set completamente nuovo.
Altro lavoro per (lo scenografo) Tony Masters e i suoi artisti>>.
A un altro scenografo, Ernie Archer, fu affidato il compito di dise-
gnare i panorami che corrispondessero agli sfondi fotografici proiet-
tati in trasparenza per gli ambienti di "L'alba dell'uomo".

320
A giugno, Clarke volò a Hollywood per rassicurare i dirigenti
.Mgm, sempre più nervosi, sullo stato del loro film di fantascienza.
Tornato a Boreham Wood, lo scrittore cercò di convincere Kubrick
che il manoscritto del romanzo era pronto per la pubblicazione, ma
il regista era ancora riluttante a dichiararlo definitivo. Voleva conti-
nuare a lavorarci ma gli impegni della lavorazione glielo impediva-
no. Clarke disse con fermezza che lo scrittore era lui e che doveva
avere il diritto di dichiarare completo il romanzo: la sua frustrazione
nasceva dal fatto di aver perso 15.000 dollari di lavori mentre era
impegnato nelle lunghe revisioni di 2001; aveva bisogno di soldi e
doveva chiedere un prestito. Kubrick propose un compromesso, pre-
vedibilmente alle sue condizioni: in poche settimane avrebbe anno-
tato i cambiamenti necessari per la versione finale.
Il 18 giugno, Clarke ricevette un memorandum di nove pagine,
composto di trentasette paragrafi che coprivano il manoscritto di
calcolate minuzie. Nei ritagli di tempo dei giorni esasperanti delle
riprese, Kubrick aveva discusso anche i particolari più piccoli. Ecco
alcuni estratti dalle annotazioni: <<Si può usare la parola prateria in
un'area colpita da siccità?»; <<I leopardi ringhiano?>>; <<Non penso
che il verbo "cinguettare" sembri giusto. Dobbiamo decidere come
parla questa gente>>.
Fiducioso di avere ormai in mano le correzioni definitive, Clarke
diede istruzioni al suo agente Scott Meredith di procedere alla chiu-
sura di un accordo di pubblicazione. Meredith ottenne un impegno
dalla Delacorte Press e Clarke firmò il contratto. L'accordo era che la
Dell pubblicasse il libro in un'edizione cartonata Delacorte e in un
tascabile Dell. Meredith ottenne da Helen Myer della Dell un antici-
po di 65.000 dollari. L'accordo completo, che ammontava a 160.000
dollari, era stato firmato da Clarke il 28 aprile 1967 e stabiliva che il
libro avrebbe dovuto essere pubblicato prima dell'uscita del film: ma
Kubrick non voleva firmare il contratto. Tutti quei ritardi avevano
già abbassato il prezzo, e Clarke passò un mese a riscrivere il roman-
zo per effettuare i cambiamenti elencati nel memorandum di
Kubrick: ma ogni volta che le critiche venivano accolte e il brano
riscritto, Kubrick immediatamente lodava la nuova versione e in
capo a qualche giorno indicava nuovi difetti, errori e imperfezioni,
fìno al punto in cui tutto era ridotto a frammenti inucilizzabili. La
mania perfezionista e le tattiche dilatorie del regista infransero le
speranze di Clarke di riuscire a chiudere e a ottenere la firma del
regista sulla linea tratteggiata.
Clarke cercava disperatamente di stare dietro al rapido accumularsi
delle revisioni che Kubrick pretendeva via via che leggeva il nuovo
materiale, scritto dopo il suo memorandum. Il regista si ostinava a

321
non voler firmare il contratto per la pubblicazione del libro.
Purtroppo la Delacorte aveva provveduto a far trascrivere e rileggere
il manoscritto e aveva già praticamente impaginato il libro: a Clarke
e Meredith toccò la sgradevole responsabilità di dare la notizia che il
libro non poteva essere pubblicato senza le modifiche di Kubrick. A
metà del 1967 la Dell aveva già speso 10.000 dollari sul progetto,
Clarke aveva 50.000 dollari di debiti e Kubrick continuava a non
firmare. La Delacorte fu costretta a rompere le matrici di stampa e a
smontare tutto, mentre Clarke si rassegnava a nuove revisioni, ren-
dendosi conto che il libro non sarebbe mai uscito finché Kubrick
non avesse ultimato il film. A questo punro la data era ignota, ma il
regista cercò di rassicurare lo scrittore dicendogli: «Non preoccupar-
ti, alla fine andrà tutto bene>>.
Ali' inizio d eli' estate 1967 Davi d Vaughan, coreografo d i Il bacio
dell'asscmino e amico di Ruth Sobotka, lavorava come attore di teatro
e si preparava a passare la stagione a Seattle. Prima che lui partisse,
Ruth Sobotka, che aveva divorziaro da Kubrick nel 1961, gli disse
di non sentirsi bene. Ricorda l'attore: «Poco dopo la mia partenza
per Seattle qualcuno mi chiamò e mi disse che Ruth era morta
improvvisamente. Non ho mai saputo veramente di cosa fosse morta.
Si era presa qualche strana infezione e il dottore era via per il week-
end quando lei aveva bisogno di cure; fu terribile. Le era venuta una
febbre altissima e se fosse sopravvissuta temevano che il cervello
restasse danneggiato. Penso che uno dei motivi per cui morì fu che
non voleva più vivere. Non voleva vivere per diventare come sua
madre. Aveva lasciato il gruppo di balletto e aveva tentato la carriera
di attrice. Era una persona di grande forza fisica ed era incredibil-
mente attraente, ma all'epoca aveva una relazione pessima con un
uomo orribile. Fu tragico e non necessario>>.
Dopo il matrimonio con Stanley Kubrick, Ruth Sobotka aveva
avuto altre storie, finite male. Morì il 17 giugno 1967 a New York.
Aveva quarantadue anni. Il suo necrologio, pubblicato su «Variety>>
il 21 giugno 1967, riportò che era <<morta per cause non immediata-
mente certe>>. Il trafiletto inoltre segnalava che Ruth Sobotka aveva
disegnato costumi per balletti e per rappresentazioni teatrali e che
dopo il suo divorzio da Stanley Kubrick si era dedicata agli spettaco-
li off-Broadway e alla televisione. Lasciava entrambi i genitori.
Nell'autunno 1967 Kubrick iniziò a lavorare a "L'alba dell'uomo",
il prologo di quindici minuti di 200 l. Le scene, che descrivevano la
Terra prima della nascita dell'uomo, illustravano attraverso una tribù
di scimmie l'inizio dei conflitti umani per il dominio del territorio,
per il cibo e per il potere. Dopo aver studiato fotografie e filmati
npres1 in Africa e in altre lontane località, Kubrick prese l'audace

322
decisione di girare tutta la sequenza negli studi di Elstree. Il ragio-
namento era che le imprevedibili condizioni del tempo avrebbero
reso difficile girare nei luoghi isolati e distanti che meglio avrebbero
potuto rappresentare l'intatta belJezza della Terra prima dell'arrivo
dell'umanità. Sopra tutto, Kubrick voleva il controllo. Alla fine
furono la sua decisione di non volare e l'ossessione per il controllo a
portare tutta la sequenza in un teatro di posa in Inghilterra.
Per prima cosa, squadre di operatori e di fotografi furono inviate
nelle località prescelte per riprendere panorami da utilizzare come
materiale per gli sfondi; seguendo le esplicite istruzioni di Kubrick
furono girati migliaia di metri di pellicola e scattate migliaia di dia-
positive. Lo scenografo Ernie Archer e il fotografo Robert Watts si
recarono in Sudafrica per scattare diapositive Ektachrome, ad alta
definizione e grande formato (20x24), dei cieli e del terreno. In una
delle loro trasferte, mentre guidavano su una stretta strada nel deser-
to della Namibia, andarono a sbattere contro un camion che viaggia-
va nella direzione opposta.
Affidare le riprese degli sfondi alla seconda unità a Hollywood era
divenuta una pratica standard per arricchire i film con location esoti-
che; i divi recitavano poi davanti a uno schermo semitrasparente su
cui veniva proiettata la scena ripresa in precedenza, in modo da dare
l'illusione che gli attori agissero in esterni.
A Kubrick non erano mai piaciuti i risultati della retroproiezione
-o, come li si chiamava a Hollywood, dei "trasparenti"- che produ-
cevano un'immagine leggermente sfocata e granulosa che di rado
sembrava uno sfondo reale. Alfred Hitchcock, un altro regista con
l'ossessione del controllo del set, vi ricorreva con tale frequenza che
la plausibilità delle location esotiche di film come Cacàa al ladro e
del remake a colori di L'uomo che sapeva troppo era guastata dall'abuso
dei trasparenti.
Era dagli anni Quaranta che si facevano esperimenti con la tecnica
di proiettare le immagini sullo schermo frontalmente - invece che
dai retro - ma di solito la si utilizzava per un'inquadratura occasio-
nale e non per sequenze di questa lunghezza. Sherman Fairchild, che
aveva sviluppato e fabbricato la prima macchina da presa automatica
per il Genio Radiotelegrafisti e Segnalatori dell'esercito americano,
aveva collaborato a Hollywood con il tecnico William Hansard,
creando il metodo di proiezione frontale Fairchild-Hansard, descrit-
to negli anni Sessanta dallo scrittore di fantascienza Murray Leinster.
Tom Howard, supervisore agli effetti speciali, studiò tutte le
attrezzature e le tecniche disponibili all'epoca e suggerì a Kubrick di
0 Ptare per quel sistema. Allo scopo di mantenere un'immagine cre-

dibile, Howard sentiva che la proiezione frontale era essenziale per

323
proiettare i giganteschi sfondi sui componenti reali dei grandi set
che molte sequenze richiedevano. Dopo un attento esame dell'attrez-
zatura esistente, Howard e Kubrick progettarono e brevettarono una
grande quantità di nuovi apparati per la proiezione frontale.
La struttura base per la proiezione frontale nel prologo - che fu
girato agli studi Elstree della Mgm - richiedeva un grande schermo
riflettente su cui si proiettavano le immagini riprese in Africa. Lo
schermo era composto da milioni di perline di un materiale studiato
dalla 3M per la realizzazione di catarifrangenti e segnali stradali. Di
fronte allo schermo gli scenografi creavano un'ambientazione prei-
storica che corrispondesse in modo perfetto agli sfondi proiettati.
Effettuando la ripresa attraverso uno specchio a due facce, posto a un
angolo di 45 gradi, si potevano eliminare le ombre degli attori e il
risultato era una versione antropologicamente corretta della Terra
preistorica, ottenuta nell'ambiente controllato dello studio. Kubrick
usava un binocolo per essere sempre sicuro che l'immagine sullo
schermo restasse nitidamente a fuoco.
Ernie Archer si occupò di creare in teatro il terreno in primo piano,
facendolo corrispondere con il materiale ripreso in Africa e altrove. I
set erano costruiti su una piattaforma rotante in modo che fosse pos-
sibile spostare i diversi scenari davanti allo schermo di proiezione.
La proiezione frontale divenne la tecnica favorita di Kubrick per
tutto 2001. Una delle applicazioni più spettacolari del sistema fu
l'immagine esterna di una imponente stazione spaziale, vista mentre
la nave del dottor Floyd si avvicina: la macchina da presa si accosta
lentamente alla stazione, si cominciano a vedere numerose stanze di
controllo affollate di equipaggi al lavoro. Per creare questa illusione,
Kubrick aveva fatto costruire un modello in scala, con sezioni vuote
riservate alle stanze di controllo. L'azione nelle stanze era stata ripre-
sa su set a grandezza naturale, e quindi proiettata e rifotografata nel
contesto dell'intero set della base spaziale. L'illusione finale era di
vedere l'asse centrale di una stazione spaziale in piena attività; le pic-
cole figure umane erano l'ingrediente chiave che dava al modello, già
perfettamente curato nei dettagli, una completa credibilità.
Le scimmie erano interpretate da ballerini e da mimi, truccati da
Stuart Freeborn. Moon-Watcher, il capo della tribù che compie la
fatale scoperta del fatto che un osso può essere sia un'arma sia un
utensile, era l'attore Daniel Richter. La sequenza sarebbe stata l'ulti-
ma della lavorazione di 200 l a como rendere azione dal vivo.
Geoffrey Unsworth, che doveva partire con un altro lavoro, lasciò
il set alla fine del giugno 1966, quando Kubrick si preparava a gira-
re "L'alba dell'uomo". Il direttore della fotografia era stato impegna-
to nelle riprese di 2001 dal Natale 1965. John Alcott, suo assistente,

324
rimase sul set per tenere sotto controllo il sistema di proiezione fron-
tale e si trovò in prima fila per lavorare con Kubrick sui progetti
successiVI.
L'audace incipit di 2001 era il modo di Kubrick di legare il passa-
to al futuro. A Gene L. Phillips il regista disse: «Qualcuno ha detto
che l'uomo è l'anello mancante fra le scimmie primitive e gli esseri
umani civilizzati. Si può dire che l'idea sia implicita anche nella sto-
ria di 2001. Siamo semicivilizzati, capaci di collaborazione e di affet-
to, ma abbiamo bisogno di un qualche tipo di trasfigurazione in una
forma di vita più elevata. Dato che i mezzi per cancellare la vita sulla
Terra esistono, ci vorrà qualcosa di più di un'attenta programmazio-
ne e di una cooperazione ragionevole per evitare qualche eventuale
catastrofe. Il problema esiste finché esiste il potenziale, ed è un pro-
blema essenzialmente morale e spirituale».
Gli interni della Discovery richiedevano molte immagini grafiche
animate sugli schermi e sui pannelli di controllo di tutta la nave. Il
rosso occhio-obiettivo centrale di Hal era circondato da schermi con
informazioni che cambiavano costantemente; altri monitor mostra-
vano funzioni della nave, controlli missione, un messaggio di buon
compleanno da parte dei genitori di Poole sulla Terra e uno schermo
news da tavolo che trasmetteva la registrazione di un programma
della Bbc sul volo. Alla fine degli anni Settanta i maghi degli effetti
speciali della Industriai Light and Magie di George Lucas avrebbero
perfezionato la tecnologia elettronica, digitale e video per poter pro-
grammare la grafica dalla tastiera, ma tutto ciò non era ancora dispo-
nibile a Stanley Kubrick: ogni immagine grafica era disegnata dal
settore scenografia, sulla base di dati forniti dai futurologi della
schiera di società consultate, e quindi ripresa su pellicola a 16mm.
Quando si giravano le scene principali in Super Panavision a bordo
del set della Discovery, le immagini venivano retroproiettate su
schermi appositamente inseriti nella scenografia.
Kubrick doveva definire Harry Lange "consulente tecnico" per
tenersi buoni i sindacati cinematografici; Lange non aveva una for-
mazione da scenografo ma aveva dato un enorme contributo alla pro-
gettazione di 2001. Alla fine l'ambiente del cinema iniziò ad accet-
tare Lange come uno di loro e Kubrick fu in grado di attribuirgli la
qualifica di scenografo.
La sequenza della Porta delle Stelle, che conclude il film, fece sì
che i figli dell'Età dell'Acquario tributassero a 2001 la palma del
film degli anni Sessanta per antonomasia. La trama voleva che
Bowman, unico superstite della tragica missione Giove, compisse da
solo un viaggio destinato a concludersi con la sua spettacolare rina-
scita. Kubrick voleva che la visualizzazione del viaggio fosse ciò che

325
veniva promesso dalla pubblicità di 2001: il Viaggio Definitivo. La
Porta delle Stelle univa vivide immagini di volo spaziale ad alta
velocità a sprazzi di colori psichedelici. Questo insieme di alchimia
cinematografica non aveva precedenti nel cinema commerciale ed era
stato appena accennato in certi film sperimentali.
Kubrick affidò l'inebriante compito a Douglas Trumbull, che con-
cepì una magica macchina delle immagini capace di produrre questo
luminoso spettacolo filmico. Dopo molti mesi di esperimenti,
Trumbull inventò la Slitscan, uno strumento che sfruttava un proce-
dimento fotografico a striscia per il quale l'otturatore della macchina
era tenuto aperto per un lungo periodo di tempo mentre le immagi-
ni venivano registrate direttamente sulla superficie di celluloide, e
non un fotogramma alla volta. Gli scenografi prepararono un flusso
di creazioni astratte, utilizzando dipinti di Op Art, progetti archi-
tettonici, circuiti stampati e fotografie di cristalli e strutture mole-
colari scattate al microscopio elettronico: tutto questo veniva elabo-
rato dalla Slitscan formando un corridoio composto di due piani infi-
niti di illuminazione. Questo tunnel di "luce liquida" segnava la
strada di Bowman, che tremava, strizzava gli occhi e fissava con ter-
rore e meraviglia i colori cangianti che gli illuminavano il volto.
A «Sight and Sound>> Douglas Trumbull spiegò: <<Avevo incontra-
to il cineasta sperimentale John Whitney, così avevo qualche idea
sulla sua tecnica di effettuare più esposizioni su un singolo foto-
gramma di pellicola, in modo automatico. John lavorava a un mec-
canismo per far scorrere una fessura attraverso un fotogramma, muo-
vendo un'immagine dietro la fessura in modo da creare forme, stria-
ture e altre cose. In realtà non vidi mai questa cosa, ma ne avevo
un'idea nella mia testa. E mi venne in mente che se si poteva farlo
piatto doveva anche essere possibile farlo su tre dimensioni. Dopo un
esperimento attraversai lo studio, andai nell'ufficio di Kubrick e gli
dissi: "Dovrò costruire una macchina grande come una casa, con
binari e motori, e grossi pezzi di vetro per arrivare in fondo a questa
cosa". Lui disse: "Penso che tu abbia ragione. Fallo, prendi tutto,
tutto quello che ti serve". Le immagini erano su diapositive
Kodalith alte circa un metro, un metro e mezzo, e larghe circa tre
metri: centinaia di figure da libri di Op Art, strane griglie trarre
dalla rivista <<Scientific American>>, fotografie al microscopio elettro-
nico ingrandite, contrastate e stampare in negativo; anche un sacco
di roba disegnata da me. Stranissime forme, più gelatine colorare,
montate insieme su un enorme tavolo luminoso. La macchina da
presa era montata su binari e si muoveva in una direzione, mentre le
immagini scorrevano dietro la fessura in un'altra. Ecco la sensazione
di tuffarsi in uno spazio che ha una profondità infinita. Non esisreva
326
un nome per questo procedimento, perché non era mai stato fatto
prima. Io lo chiamai Slitscan. Non so come Whitney avesse chiama-
co iJ SUO».
<<Quando Keir Dullea indossava il casco si vedevano i riflessi dei
film a 16mm fuori campo, e tutte le luci e la strumentazione e gli
schermi di controllo di Hai all'interno della capsula. Nella sequenza
in cui viene chiuso fuori e non ha il casco in testa, gli vengono proiet-
tate immagini sul volto. Non ha senso ma l'effetto è grandioso».
Trumbull creò anche la montagna di materiale grafico da retro-
proiettare sugli schermi installati in molti dei set. In alcune scena-
grafie c'erano fino a otto schermi, che mostravano tabulati di com-
puter e altre informazioni sulla missione.
Per le inquadrature di Bowman all'interno della capsula, quando
arrraversa la Porta delle Stelle, Kubrick riprese Keir Dullea che rea-
giva al viaggio mentre lo spettacolo delle luci si proiettava sul suo
volto. La sequenza non aveva dialogo, così Kubrick tornò alla tecnica
di usare una musica per aiutare l'attore a sentire l'atmosfera giusta,
come aveva già fatto per Woody Strade e Kirk Douglas in Spartaw.r.
Kubrick scelse un movimento dall'Antarctica Suite di Vaughan
Williams. Keir Dullea descrive la musica come dotata di un senso di
mistero bello e avvolgente, capace di aiutarlo a trasmettere ciò che
Bowman avrebbe pensato durante il viaggio che gli avrebbe cambia-
to la vita: <<Mi proiettavano delle luci sulla faccia. Nel pannello di
controllo della capsula, oltre a pulsanti multicolori che si illumina-
vano e continuavano a lampeggiare, c'era un monitor che doveva
essere uno schermo di computer su cui si vedeva qualche tipo di rap-
presentazione digitale. Così quella roba era proiettata sulla mia fac-
cia. Dovevo guardare in macchina e vedevo intorno a me il teatro.
Ecco perché usava la musica- non avevo niente su cui lavorare>>.
Per creare l'intensa pressione subita da Bowman e dalla capsula
durante il passaggio nella Porta delle Stelle, Dullea sottopose il suo
corpo a un intenso esercizio isometrico che lo faceva tremare violen-
temente. Per fotografare i primissimi piani dell'occhio di Bowman
quando attraversa una serie di cambiamenti cromatici, Kubrick
chiese a Dullea di stare seduto mentre l'obiettivo riempiva lo scher-
mo del suo occhio che sbatteva. Ricorda l'attore: <<Faceva un po'
paura perché non sapevo se stavo correndo il rischio di diventare
cieco. Usavano una luce ad arco che mi stava molto vicina. Cioè,
nessuno si avvicina mai a una luce ad arco. Ci sono cose che non
avrei fatto per nessun altro che non fosse stato Stanley>>. Più tardi,
nell'impegnativo processo di postproduzione, Kubrick avrebbe alte-
rato il colore dell'occhio, facendone una parte del viaggio cromatico
nella Porta delle Stelle.
327
Il trucco di Dullea per l'incarnazione più vecchia di Bowman
durante la metamorfosi richiedeva dodici ore di lavoro. Per accelera-
re la laboriosa applicazione, Kubrick diede ordine ai truccatori che
facessero un calco del volto di Dullea: il modello sarebbe poi stato
usato per fabbricare i pezzi di lattice e prepararli all'applicazione.
Nel copione originale, dopo aver attraversato la Porta delle Stelle
Bowman atterrava in una camera d'albergo creata dagli extraterrestri
per metterlo a suo agio. Su una scrivania vedeva un elenco del telefo-
no, ma quando si avvicinava scopriva che la stampa era sfocata e che
non era reale. Kubrick decise di abbandonare questo tipo di approc-
cio e fece ideare a Tony Masters un'elaborata versione futuribile di
una stanza in stile vittoriano.
Kubrick non parlò mai con gli attori del significato del film. Affer-
ma Dullea: <<Mai! Non parlava mai con noi della filosofia del film.
Penso che fosse una scelta intenzionale con me e Gary, perché i nostri
personaggi non potevan_o avere la minima idea dell'insieme, in quan-
to la loro esperienza era totalmente soggettiva. Sapevo che sarebbe
stato un film speciale perché ero in un film di Stanley Kubrick.
Sapevo che non era semplicemente un altro film di fantascienza>>.
Nel dicembre 1967 Kubrick rivolse le sue attenzioni alla colonna
sonora del film. Telefonò ad Alex North, che aveva ricevuto una can-
didatura all'Oscar per la sua eroica musica orchestrale di Spartacu.r.
North abitava al Chelsea Hotel, dove Arthur Clarke aveva scritto la
storia di 2001. Kubrick gli disse che lui era il musicista che più
rispettava e che lo voleva per scrivere la musica di 200 l; descrisse la
struttura antinarrativa e spiegò a North che il film aveva circa venti-
cinque minuti di dialogo e nessun effetto sonoro. North ci vide
un'occasione unica per comporre una colonna sonora creativa che
diventasse un complemento fondamentale del film.
Kubrick avvertì il musicista che non avrebbe potuto vedere il film
completo mentre componeva la musica, perché gli impegnativi effet-
ti speciali non sarebbero stati pronti fino alla fine della postprodu-
zione, e gli chiese di comporre un valzer per accompagnare le scene
del volo delle astronavi. Senza poter vedere il materiale, North dove-
va comporre e registrare la musica del film basandosi soprattutto su
lunghe conversazioni con Kubrick.
Ai primi di dicembre, Alex North volò a Londra per discutere con
il regista, che gli fece ascoltare la musica provvisoria usata durante la
lavorazione, dicendo che pensava di conservare alcuni di quei brani
per la versione definitiva. North non poteva accettare l'idea che la
sua parti tura fosse interpolata con brani di altri musicisti, ma sentiva
di dover comporre una musica capace di catturare l'essenza di ciò che
Kubrick voleva.
328
Alex North tornò a Londra il 24 dicembre 1967, preparandosi a
registrare la partitura il l gennaio 1968. Kubrick gli mise a disposi-
zione un lussuoso appartamento che si affacciava su Chelsea e gli
fornì un giradischi, un registratore e una serie di dischi. North
lavorò giorno e notte per fare in tempo, ma lo stress gli causò spa-
smi muscolari che gli provocarono acuti mal di schiena, costringen-
dolo a recarsi allo studio di registrazione in ambulanza. Al suo
posto, l'orchestra fu diretta da Henry Brande, mentre North stava
nella stanza di controllo. Kubrick andava e veniva per dare suggeri-
menti. Il musicista pensava che l'inizio che aveva scritto per sosti-
tuire Così parlò Zarathustra probabilmente non avrebbe soddisfatto
Kubrick, ma cercò ugualmente di catturare la natura drammatica
del pezzo.
In due settimane, North compose e diresse più di quaranta minuti
di musica e, nell'attesa di vedere il film finito per poterla sincroniz-
zare, si occupò di effettuare una quantità di modifiche. Al telefono,
Kubrick gli chiese senza troppa convinzione una serie di cambia-
menti per una registrazione successiva. North attese undici giorni
per vedere ancora un po' di film in modo da essere pronto per la
nuova incisione, prevista ai primi di febbraio, ma Kubrick chiamò
per dire che non aveva bisogno di altra musica e che per il resto del
film avrebbe usato suoni di respiro. North pensò che fosse strano ma
disse al regista di essere in grado di fare tutto ciò che sarebbe stato
necessario anche una volta tornato agli studi Mgm di Los Angeles.
La speranza del musicista era di essere richiamato più avanti per scri-
vere altra musica per il film: tornò a casa e attese di ricevere notizie.
Finite le riprese principali, gran parte del 1967 fu dedicato
all'immenso lavoro degli effetti speciali. In tutto sarebbero stati
impiegati diciotto mesi per completare i 205 effetti di 2001, quasi
metà delle inquadrature di tutto il film. Dei 10.500.000 dollari del
budget totale, 6.500.000 furono assorbiti dagli effetti, una cifra
senza precedenti per l'epoca. Mesi di sperimentazioni cromatiche nel
laboratorio di stampa trasformarono le riprese aeree effettuate dalle
seconde unità, sulle Ebridi in Scozia e sulla Monument Valley, nel
panorama ultraterreno visto da Bowman uscendo dalla Porta delle
Stelle. Per assicurare un risultato fotografico coerente, Kubrick insi-
stette perché la pellicola vergine fosse conservata in una camera sot-
terranea, così che ogni negativo di una determinata inquadratura
Potesse essere sviluppato n~lla stessa soluzione chimica. Questo
significava che per vedere se un'inquadratura composita aveva fun-
zionato poteva essere necessario aspettare fino a un anno, con disci-
plina Zen. Per creare le 205 inquadrature di effetti speciali in 2001
furono utilizzate più di 16.000 inquadrature diverse. Il Bambino
329
delle Stelle che appare nel finale fu creato dalla scultrice Liz Moore e
per montare la sequenza ci vollero otto ore.
Per lo strenuo lavoro del montaggio di 2001, Kubrick promosse
Ray Lovejoy, assistente al montaggio di Anthony Harvey per Il dottor
Stranamore. Kubrick sentiva che per Harvey era giunta l'ora di passa-
re alla regia; una volta, durante una pausa alla toilette, il regista si
era girato verso di lui e gli aveva detto: «Sai, Tony, sei diventato dav-
vero impossibile. Sei diventato il Peter Sellers del montaggio. Sarà
meglio che tu te ne vada a fare il regista prima di farmi diventare
matto>>. Più avanti avrebbe dato a Harvey una sceneggiatura con il
consiglio di prendere in considerazione l'idea di dirigerla. Il proget-
to non si sarebbe concretizzato, ma Harvey stava preparandosi a fare
il grande passo.
Dopo un meritatissimo riposo in barca ai Caraibi, lontano dai rigo-
ri del montaggio di Il dottor Stranamore, due mesi più tardi Harvey
era tornato a New York per parlare con Kubrick del nuovo progetto
di fantascienza. In città ne approfittò per vedere LeRoi Jones che
recitava D11tL"h111an al Cherry Lane Theater, il che l'aveva portato a
opzionare la pièce e a dirigere il suo primo film.
Mentre i laboratori facevano gli straordinari per sviluppare il
materiale, iniziò il rigoroso processo di montaggio di 2001. Il primo
montatore Ray Lovejoy e la sua squadra continuavano a catalogare e
schedare la quantità di girato ammassata durante la lavorazione.
Kubrick presiedeva alla sala montaggio. Lovejoy e i suoi manovrava-
no una serie di moviole mentre il regisra sceglieva ogni inquadratura
e determinava esattamente dove dovesse cominciare e finire: un
metodo opposto alla procedura più comune a Hollywood, in cui il
montatore completa un primo montaggio già durante la lavorazione,
prima di iniziare a lavorare in collaborazione con il regista. Il ritmo
era dettato dal lirismo delle immagini più che dalla cadenza dram-
matica imposta spesso ai film commerciali. Furono rimosse numero-
se scene che servivano di transizione.
Kubrick aveva girato scene di vita sociale e familiare sulla base
lunare che venivano mostrate al dottor Floyd durante la sua visita.
Una delle scene si svolgeva in una stanza blu che aveva una piscina
circolare e una moquette d i Astro-Turf. Durante il giro Floyd vedeva
anche un gruppo di bambine, figlie degli abitanti della stazione,
impegnate a dipingere su dei cavalletti: Anya e Katharina Kubrick,
sulle orme della madre Christiane, erano due delle bambine. La
scena fu eliminata al montaggio, ma la piccola Vivian Kubrick, che
aveva sei anni, fu la figlia del dottor Floyd, che fa un'apparizione su
un videotelefono. Vivian sarebbe stata l'unica figlia di Kubrick a
sopravvivere nella versione definitiva.
330
Kubrick effettuò numerosi tagli sostanziali dopo una proiezione
contrattualmente inevitabile per i dirigenti Mgm a Culver City,
California. Il prologo con gli esperti che discutevano la possibile esi-
stenza di creature extraterrestri fu tagliato dalla copia lavoro. Per
dare maggior enfasi alle immagini, fu rimossa anche la voce fuori
campo che aiutava a spiegare molti dei principi scientifici e filosofi-
ci. 2001: Odi.r.rea nello .rpazio era un nuovo tipo di film antinarrativo.
Dopo aver ascoltato la colonna sonora di Alex North, Kubrick
decise di abbandonarla completamente. Il fatto di aver proiettato i
giornalieri per tutta la lavorazione con un sottofondo di musica clas-
sica aveva influenzato il regista inducendolo a utilizzare per il film
una serie di pezzi preesistenti, passando da un valzer del diciannove-
simo secolo ai lavori atonali e di avanguardia del secolo ventesimo.
Con la scelta di Co.rì j1arlò Zarathu.rtra, Kubrick riecheggiava l'opera
principale di Friedrich Nietzsche, arricchendo il tessuto filosofico
del film. Il maestoso, eroico tema di Richard Strauss fa risuonare il
racconro profetico di Nietzsche.
Kubrick portò alle orecchie di una nuova generazione la musica di
Khacaturjan, Ligeti e degli Strauss, ridefinendo allo stesso tempo il
concetto di colonna sonora cinematografica. L'uso di musica preesi-
stenre in 200 l influenzò film disparati come Ea.ry Rider, ApocalyjJJe
Nou· e The Four Sea.ron.r.
Dopo tutto il suo duro lavoro per realizzare una colonna sonora
completa, incluso un valzer originale, Kubrick non disse mai ad
Alex North che la sua partitura era stata scartata. Una volta partito
da Londra, a febbraio, il musicista non seppe piì:1 nulla dal regista
circa la sua musica per 2001 e apprese la brutta notizia quando vide
una proiezione del film ultimato poco prima dell'uscita ufficiale. Gli
amici raccontano che North fu sconvolto dalla cosa, anche se le sue
dichiarazioni pubbliche in merito alla faccenda non esprimono alcu-
na amarezza.
Dopo l'uscita di 2001, Alex North raccontò a lrwin Bazelon- per
il libro Knou ing the Swre: Note.r on Film Mu.rù-- che un altro musicista
1

era stato chiamato all'inizio per la musica di 200 l. L'ignoto compo-


sitore aveva preso la Terza Sinfonia di Gustav Mahler, che Kubrick
pensava di utilizzare, e ne aveva registrata una parte. <<Poi Stanley
mi chiamò a New York, al Chelsea Hotel, e mi chiese di raggiunger-
lo e di scrivere una nuova partitura. lo ne feci metà. Ero molto,
molto frustrato da tutta la faccenda. Davvero mi ridussi a uno strac-
cio. Era la più grande occasione di scrivere una colonna sonora per
un film in cui non ci sono effetti sonori, o in cui non ce ne sono
guasi>>. <dn tre settimane scrissi cinquanra minuti di musica. Fui
Portato alla registrazione in ambulanza perché tutto il mio corpo si
331
era contratto per aver dovuto lavorare giorno e notte, ma sono felice
di averlo fatto perché mi rimane la partitura e perché per quello che
mi riguarda avevo realizzato una serie di cose molto innovative. Ma
in molti casi un regista che sceglie una musica guida provvisoria e la
usa per un'anteprima rimane così legato a questa scelta che non è più
in grado di adattarsi a una musica nuova».
Rimasta inedita per venticinque anni, la colonna sonora originale
di Alex North fu reincisa dal compositore Jerry Goldsmith: nel
1993 l'etichetta Varèse Sarabande distribuì in prima mondiale la
nuova registrazione, diretta da Goldsmith ed eseguita dalla National
Philharmonic Orchestra come tributo postumo a North.
Goldsmith era da tempo un ammiratore dell'opera di North e un
detrattore delle scelte musicali di Kubrick per 2001. «Mi ricordo di
aver visto 200 l: Odi.rsea nello spazio di Stanley Kubrick e di aver rab-
brividito per quello che considero un abuso abominevole della musi-
ca>>, ha detto Goldsmith a Tony Thomas. «Avevo sentito la musica
che Alex North aveva scritto per il film e che Kubrick aveva buttato
via, e penso che quello che Kubrick ha usato al suo posto sia un'idio-
zia. Sono conscio del successo del film, ma quello che North aveva
scritto gli avrebbe dato una qualità molto maggiore. L'uso del valzer
Danubio blu è divertente per un momento, ma ben presto ha un effet-
to distraente, perché è così familiare e non è collegato alle immagini.
Il valzer di North avrebbe avuto un effetto meraviglioso. L'aveva
trattato in un modo originale e provocatorio. È un errore inserire per
forza una musica in un film e per me 200 l è rovinato dalla selezione
delle musiche fatta da Kubrick. Le sue scelte non hanno coesione, e i
brani non possono commentare il film perché non ne fanno parte.
Così io resto della mia idea che una colonna sonora è come un tessu-
to che va cucito su misura per il film>>.
Nel febbraio 1968 Stanley Kubrick- grande giocatore di scacchi e
poker e appassionato speculatore in borsa - fece una scommessa sul
suo talento. Fiducioso che 2001 sarebbe andato bene al botteghino,
il regista acquistò cinquemila azioni della Mgm - un investimento
di 20.500 dollari.
A marzo Kubrick vide la prima copia completa di 2001, quattro
anni dopo il suo appuntamento con Arthur C. Clarke al Trader Vic's,
e si preparò alla reazione dell'ambiente cinematografico e del pubbli-
co. Ma niente avrebbe potuto prepararlo al fenomeno di 2001:
Odissea nello spazio.
In primavera Kubrick diede finalmente il permesso a Clarke di
pubblicare il libro simultaneamente all'uscita nazionale del film-
Scott Meredith tornò da Helen Myer alla Dell, ma dopo il disastrO
del luglio 1967 la casa non era più interessata a pubblicare il roman-
3.~2
zo. Meredith lo vendette allora a Sidney Kramer della New Ameri-
can Library, per una somma attorno ai 130.000 dollari.
La Mgm era assai preoccupata per il futuro del film. Fu organizza-
ta un'anteprima e Meredith portò Kramer a vederlo; durante l'inter-
vallo, Kramer non sapeva che cosa dire e alla fine chiese a Meredith
che cosa avrebbe dovuto fare. Meredith gli disse che sia il libro che il
film sarebbero diventati dei classici e Kramer decise di procedere
con l'acquisto dicendo: <<Okay, lo compro, ma solo su tua raccoman-
dazione, perché a dirti la verità non ho la minima idea di che diavolo
sia questa roba!>>. L'accordo era più basso del primo contratto con la
Dell, ma superiore al secondo -quello che era andato in pezzi quan-
do Kubrick aveva rifiutato di firmare.
Il romanzo 200 l: Odissea nello spazio fu pubblicato a luglio del
1968. Clarke lo dedicò <<A Stanley>>. Il libro non è tratto dal film e il
film non è una riduzione del libro. Kubrick si era servito del roman-
zo-in-progress per generare la sceneggiatura ma le sue immagini
usano le parole di Clarke secondo rapporti astratti e simbolici. Il
film è prima di tutto un'esperienza visiva; il romanzo colma molti
dettagli con la sua forte struttura narrativa e può servire come guida
allo spettatore del film nel decifrarne la natura astratta e simbolica.
Per molti è la chiave alla comprensione del significato del monolito
e del viaggio di Bowman nella Porta delle Stelle. Il film e il roman-
zo sono reciprocamente complementari e gli spettatori più devoti
sarebbero tornati a vedere il primo alla luce delle nuove informazioni
emerse dal secondo. Arthur C. Clarke amava dire: <<Dicevo sempre
alla gente: "Leggi il libro, guarda il film e ripeti la dose ogni volta
che è necessario">>. Dalla data di prima pubblicazione, il 1968, il
romanzo di 2001 ha superato le cinquanta ristampe e venduto più di
quattro milioni di copie. Fra Clarke e Kubrick continua a valere
l'accordo del 60/40.
Il 3 aprile, a New York, Kubrick tagliò 17 minuti dalla versione
originale di 156 minuti che era stata proiettata ai critici. Il regista
aveva attraversato l'Atlantico sulla Queen Elizabeth, a bordo della
quale si era fatto allestire una sala di montaggio; continuò a ritoccare
il montaggio del film mentre la nave si dirigeva a New York per la
prima, e perfino durante l'attracco stava individuando punti che ave-
vano bisogno di essere un po' limati. Durante la proiezione per la
stampa, Kubrick camminava su e giù per la platea, osservando il
pubblico per valutare le sue reazioni e capire dove il film aveva dei
rallentamenti. Aveva l'impressione di non aver avuto abbastanza
tempo per portare il film alla durata giusta, e la reazione del pubbli-
co gli servì per capire dove tagliare qualcosa dei 156 minuti.
<<Stanley rimase su tutta la notte a fare i tagli nella cantina dell'edifi-
333
cio Mgm sulla Sesta Avenue», ricorda Roger Caras. <<Per arrivare a
diciassette minuti, ci vollero trenta tagli singoli, effettuati su scene
diverse fra cui "L'alba dell'uomo", l'orbita della Orion III, la stazione
spaziale V, gli esercizi nella centrifuga e l'uscita dalla Discovery delia
capsula spaziale di Poole. Fu tagliata un'intera sequenza nella base
spaziale: c'era una piazza ricavata all'interno della base, con negozi,
un campetto giochi e bambini che correvano- fu tutto eliminato. E
la scena di Gary Lockwood che "respira" all'esterno dell'astronave,
prima di essere ucciso da Hai, fu ampiamente abbreviata». Fu can-
cellata anche una scena in cui Hal toglie energia alla radio di Poole
prima di terminarlo, e un pezzetto con Dave Bowman che cerca
un'antenna di ricambio nel corridoio-magazzino. Kubrick aggiunse
anche un flashback di un secondo del monolito alla scena in cui
Moon-Watcher scopre l'osso utensile-arma, per collegare il potere
della lastra alla Discovery.
Il film uscì a Hollywood il giorno dopo la prima newyorkese.
Nelle dichiarazioni alla stampa Kubrick cercò di chiarire che 200 l
non era un tipico film di fantascienza. A Henry T. Simon di
<<Newsweeb> dichiarò: <<Non considero 2001 semplice fantascienza.
La fantascienza naturalmente è un campo del tutto legittimo: ma ci
sono stati effetti speciali malamente eseguiti e troppa enfasi sui
mostri. 2001 non è fantasia, anche se una parte di esso è speculati-
va>>. A Simon, Clarke disse: <<Non c'è niente che volessimo fare che
non abbiamo potuto o voluto fare. Stanley diceva: "Se tu sei in grado
di descriverlo, io posso filmarlo">>.
2001 uscì a Washington, a New York e Los Angeles la prima setti-
mana di aprile del 1968. La stampa poté finalmente vedere per la
prima volta il progetto top secret di Kubrick.
Keir Dullea vide 2001 completato solo alla prima mondiale del
film a Washington, dove alloggiò al tristemente noto Watergate,
quando era ancora solo un albergo: <<Fui annientato fin dall'inizio da
"L'alba dell'uomo". Non riuscivo a crederci, ero senza fiato. Capii di
essere in un grande film ancora prima di vedermi, solo sulla base
della sequenza di "L'alba dell'uomo". Era il primo grande film di
fan rase ienza>>.
Ma quando cominciarono ad arrivare le recensioni fu evidente che
la maggioranza dei critici affermati non era preparata ad affrontare
un nuovo tipo di film americano. Sul <<The New Republio> Stanley
Kauffmann chiamò 2001 <<un film così noioso da riuscire a offuscare
anche il nostro interesse nell'ingenuità tecnica, per amore della quale
Kubrick ha consentito al film di diventare così noioso. È talmente
infatuato della tecnologia - del film e del futuro - da rendere insen-
sibile il suo un tempo acuto istinto per la soglia di attenzione>>. Sulla
3.~4
rivista << Vogue» Arthur Schlesinger J r. scrisse: <<È moralmente pre-
tenzioso, intellettualmente oscuro e disordinatamente lungo. Il mes-
saggio conclusivo è troppo privato, troppo profondo o forse troppo
poco profondo per essere immediatamente comprensibile>>. Peter
Davis Dibble sparò dal <<Women's Wear Daily»: <<2001 non è il peg-
gior film che io abbia visto. È semplicemente il più noioso>>. E
Renata Adler, dalle colonne del potente <<New York Times>>, affer-
mava: <<11 film è a tal punto assorto nei suoi problemi, l'uso del colo-
re e dello spazio, la devozione fanatica al dettaglio fantascientifico,
che è a metà strada fra l'ipnotico e l'immensamente noioso>>.
Pauline Kael vibrò un fendente maligno a Kubrick e a 2001 scri-
vendo: <<È divertente pensare a Kubrick impegnato a fare veramente
tutte le sciocchezze che voleva, costruire enormi set e macchine fan-
tascientifiche, senza mai preoccuparsi di capire che cosa farne. Per
certi versi è il più grande film amatoriale di tutti i tempi, completo
fino al punto di includere la scena obbligatoria dei filmini amato-
riali -la fielioletta del regista (con i ricci) che dice a papà che rega-
lo vuole. E un film afflitto da una monumentale mancanza di
immaginazione>>. La recensione della Kael fece arrabbiare Kubrick
in modo particolare.
Le recensioni non scoraggiarono il pubblico. Folle di spettatori
sotto i trent'anni stavano in fila con pazienza reverente davanti al
Capito! Theater come se fosse una chiesa. Con poca prevendita, il
film batté il record di apertura. Per i figli di McLuhan, 200 l aveva
un potere spirituale e religioso; gli spettatori fissavano lo schermo e
restavano a fissarlo, dopo aver assistito alla spettacolare rinascita di
Bowman, fino a quando il sipario si chiudeva. In una sala un giovane
corse verso lo schermo durante la scena della Porta delle Stelle e ci si
tuffò attraverso urlando: <<Vedo Dio!>>. L'odore di marijuana bruciata
permeava cinema stipati di giovani con le pupille dilatate e la mente
stimolata dal potere della pellicola. <<Ero presente a una riunione
Mgm quando arrivò il rapporto verbale di qualcuno che era pagato
per stare all'ingresso e annotare ciò che la gente diceva del film>>,
raccontò Kubrick a <<Rolling Stone>>: <<Quando gli chiesero che tipo
di pubblico avesse visto il film rispose: "Per lo più negri e gente
piena di perline">>. Questo lasciò molto perplesso il settore vendite.
Kubrick era compiaciuto dell'interesse per la sua esperienza visuale:
<<Se 2001 ha smosso le vostre emozioni, il vostro subconscio, le
vostre inclinazioni mitologiche, allora ha funzionato>>.
Mentre l'informazione discuteva del significato di 2001 su carta
stampata, radio e televisione, il film fu esaltato dalle sempre piti dif-
fuse pubblicazioni underground. I baby boomerJ si appropriarono di
200 l assicurandogli il successo economico. Gli sbigottiti dirigemi
335
Mgm, che non capivano un'acca del film, cominciarono a vedere la
luce calcolando gli incassi.
Anche se il pubblico sotto i trent'anni esaltava il film per la natura
psichedelica della sequenza della Porta delle Stelle, l'intento di
Kubrick non aveva nulla a che fare con la droga. A <<Rolling Stone>>
il regista dichiarava: <<Devo dire che non c'è mai stata l'intenzione di
rappresentare un trip acido. D'altra parte un collegamento c'è. Un
trip acido è probabilmente simile al tipo di esperienza strabiliante
che si potrebbe provare al momento dell'incontro con un'intelligen-
za extraterrestre. Sono stato scoraggiato dallo sperimentare l'Lsd dai
fatto che non mi piace ciò che sembra accadere a quelli che lo prova-
no. Sembrano sviluppare ciò che posso descrivere solo come un'illu-
sione di comprensione e comunanza con l'universo. È un fenomeno
che non sono capaci di articolare in modo logico ma che riescono a
esprimere emotivamente. Sembrano molto felici, molto appagati e
contenti di questo stato mentale, ma allo stesso tempo sembrano
totalmente inconsapevoli del fatto che esso li priva di qualsiasi senso
di autocritica - che, ovviamente, è assolutamente essenziale per un
artista. È molto pericoloso farsi sbalordire da tutto quello che vedi e
che pensi, ed essere convinto che tutte le tue idee abbiano proporzio-
ni cosmiche. Dovrei pensare che per uno che non abbia interesse a
fare l'artista questa illusione deve essere piacevolissima, ma per
quanto mi riguarda penso che sia un piacere a cui rinuncerò almeno
fino a quando sarò interessato a fare film».
L'uscita di 2001 divenne un evento degli anni Sessanta. Ai cock-
tail e ai sit-in l'aria era satura di discussioni fra spettatori che cerca-
vano di comprendere il significato del monolito e la natura astratta
e simbolica del film. Sui giornali di tutto il Paese, discussioni
infuocate ardevano su intere colonne. Molti lodavano il coraggio del
nuovo Kubrick, altri gli rispedivano i biglietti chiedendo il rimbor-
so. Un quattordicenne scrisse a Kubrick chiedendo consigli su come
diventare regista, un altro adolescente chiedeva una lettera di racco-
mandazione per entrare nel sindacato degli operatori cinematografi-
ci, un altro ancora descriveva la sua personale epica spaziale e chie-
deva se il regista non avrebbe potuto rinviare il progetto successivo
per filmare una sequenza con il Bambino delle Stelle dandogli le
sue fattezze.
Kubrick fu interrogato spesso sul significato del film, che aveva
creato soprattutto come un'esperienza visiva. <<Al più profondo livel-
lo psicologico, la trama del film simboleggia la ricerca di Dio e alla
fine postula ciò che è poco meno di una definizione scientifica di
Dio», diceva a <<Rolling Stone». <di film ruota attorno a questa con-
ceziOne metafisica e il realismo delle attrezzature e il senso docu-
111 entaristicodell'insieme erano necessari a scalzare la vostra congeni-
ta resistenza al concetto poetico».
Aleksei Leonov, il cosmonauta russo che era stato il primo uomo a
camminare nello spazio, vide il fìlm e commentò: <<Ora ho l'impres-
sione di essere stato nello spazio due volte». Nei! Armstrong vide
2001 prima della sua storica passeggiata sulla luna e disse: «Era una
produzione particolarmente buona, con una descrizione eccezional-
mente accurata delle condizioni di viaggio nello spazio e degli effetti
visivi>>. Gli astronauti dell'Apollo 8, Frank Barman, James Lovell e
William Anders videro il fìlm prima della loro missione nel dicem-
bre del 1968, e Anders scherzò: «Ricordo che all'epoca in cui vidi il
film pensai che sarebbe stato un bello scherzo dire che durante la
nostra missione Apollo avevamo trovato un monolito>>.
Harry Sternberg, l'insegnante di pittura di Christiane Kubrick e
l'orgoglioso possessore di un ritratto fotografico originale fattogli da
Stanley Kubrick, andò a vedere il film che tanto eccitava il regista
quando questi era andato a trovarlo: «L'inventiva di quest'uomo era
assolutamente fantastica. Potente, potente e molto convincente, un
film appassionato, appassionato. In quel fìlm ci mise tutto quello
che aveva. Dopo aver visto 200 l fui molto orgoglioso di avergli
stretto la mano>>.
Con l'allargarsi della distribuzione, il film lasciò di stucco il pub-
blico suburbano del sabato sera. Il romanziere John Updike scrisse
una cronaca di questo scontro culturale raccontando in Il ritorno di
Coniglio le perplessità di Rabbi t Angstrom in una platea confusa.
La reazione del mondo fu di consenso. Franco Zeffirelli e Federico
Fellini inviarono telegrammi al collega americano applaudendo i
suoi risultati. Reazioni favorevoli arrivarono anche da Francia,
Giappone e Unione Sovietica. Grazie al fatto di comunicare con
immagini e suoni più che con il linguaggio, il fascino di 200 l era
universale.
Fellini e Kubrick iniziarono una corrispondenza fitta di dichiara-
zioni di ammirazione per i fìlm l'uno dell'altro. Più avanti Fellini
avrebbe detto a Charlotte Chandler che Kubrick era «capace di farmi
credere a ciò che vedo, non importa quanto fantastico ... Kubrick
secondo me è un grande regista visionario e molto onesto. Quello
che ammiro di più in Kubrick è la sua capacità di fare fìlm in qual-
siasi tempo>>. Fellini trovò triste la morte di Hai e nel 1992, nel son-
~aggio internazionale dei registi lanciato da «Sight an d So un d>>,
Indicò 2001 fra i suoi dieci fìlm preferiti .
. Michelangelo Antonioni disse a Charles Thomas Samuels: «Vede,
•o sono un ammiratore della tecnologia. Dall'esterno, le parti interne
di un computer sono meravigliose - non solo per il fatto che funzio-
nano: è il modo in cui sono fatte a essere bellissimo in sé. Se faccia-
mo a pezzi un uomo, è rivoltante~ fai la stessa cosa a un computer e
rimane bellissimo. In 2001 le cose migliori del film sono le macchi-
ne, molto più belle degli stupidi esseri umani>>.
John Boorman ha detto: <<Col declino del western negli anni
Sessanta, le storie mitiche sono proseguite nei film di spionaggio;
quando anche quel filone si è esaurito, il testimone è stato raccolto
dalla fantascienza, e in particolare da Stanley Kubrick con 2001. II
mito tornava sullo schermo in tutta la sua misteriosa e irrazionale
gloria>>.
La Ibm, la società che simboleggiava i computer, non era contenta
di un film con un computer assassino. Kubrick aveva rimosso dal
film i logo più vistosi della Ibm ma ne era rimasto qualcuno sul pan-
nello strumenti della Discovery. La direzione si accigliava al sentir
nominare il film e fece circolare fra i dipendenti il consiglio di non
andare a vederlo.
2001 fu ampiamente ignorato dall'Academy of Motion Picture
Arts and Sciences, che non gli concesse la candidatura all'Oscar per
il miglior film. Ottennero una nomination la regia, la sceneggiatura
originale di Kubrick e Artlmr C. Clarke, la scenografia di Tony
Masters, Harry Lange ed Ernie Archer, e gli effetti speciali visivi;
solo questi ultimi però vinsero la statuetta. All'Academy, Kubrick
aveva indicato solo il proprio nome per la categoria effetti visivi e
vinse il premio personalmente. I nomi dell'équipe degli effetti spe-
ciali, capeggiata da Wally Veevers, Tom Howard, Douglas Trumbull
e Con Pederson, non furono menzionati.
Arthur Clarke era presente alla cerimonia e restò a guardare men-
tre Mel Brooks riceveva l'Oscar alla migliore sceneggiatura per Per
favore non toaate le vea·hiette: <<Feci a pezzi uno dei migliori discorsi di
ringraziamento che non abbia mai pronunciato. Quando, anni dopo,
mi capitò di imbattermi in Mel Brooks gli ringhiai: "Mel, mi hai
rubato I'Oscar">>. Brooks rispose: <<Tu sei un genio>>, placando il leg-
gendario ego di Clarke. Clarke fu particolarmente irritato dal fatto
che I'Academy avesse attribuito una statuetta onoraria a Il pianeta
delle sàmmie per i sensazionali risultati di trucco: <<200 l non vinse
I'Academy Award per il trucco perché probabilmente i giudici non
si erano resi conto che le scimmie erano attori>>.
2001 fu programmato al Festival di Mosca del 1969. Il sempre
loquace Jack Valenti, presidente della Motion Picrure Association of
America, riuscì a ottenere il permesso perché Edgar Bronfman -
capo della Mgm -potesse volare in Russia con il suo aereo personale,
a condizione che questi si fermasse a Copenhagen: da lì, due piloti
sovietici avrebbero guidato l'aereo fino a Mosca. Una volta arrivato,
338
Bronfman sostenne che non era stato Valenti a ottenere il permesso,
ma che era stato lui stesso con un cablogramma a Kosygin. «Terrò
gli occhi aperti>>, disse Kubrick a Joyce Haber del <<Los Angeles
Times>>: <<Bronfman farà bene a non cercare di caricare le spese di
quel volo sul budget del film>>.
Il 20 luglio 1969, Keir Dullea stava girando un film nelle Bahamas
quando ricevette una telefonata dal suo agente che lo avvertiva che la
Cbs News voleva lui per un pezzo di colore da inserire fra i servizi
dedicati al primo passo di un uomo sulla luna; la navicella aveva com-
pletato l'allunaggio e sarebbero passate altre sei ore prima che Nei!
Armstrong compisse gli storici passi. La Cbs spedì un jet Lear e porrò
Dullea al loro studio di New York, dove lo aspettava Harry Reasoner.
L'altro ospite era Buster Crabbe, che aveva interpretato Flash Gordon
nel seria! cinematografico. L'idea era di parlare del primo uomo sulla
luna con uno dei primi e uno degli ultimi attori che avessero inter-
pretato un astronauta. Ma il Controllo Missione cambiò programma,
anticipò tutto di quattro ore e diede a Nei! Armstrong il via libera
per la passeggiata. Ricorda Keir Dullea: <<Avevo appena cominciato
l'intervista che subito girò la voce: "Ehi, sta uscendo". Così andai
dritto nella stanza controllo della Cbs. Non mi aspettavo di trovarce-
lo, ma seduto accanto a me c'era Arthur C. Clarke e guardammo
insieme il primo uomo che camminava sulla luna. Ricordo di essermi
girato e aver visto che lui aveva le lacrime agli occhi>>.
La collaborazione di Kubrick con Clarke aveva prodotto uno dei
suoi film più importanti. Sul progetto, lo scrittore aveva avuto un
impatto enorme. <<La capacità di Arrhur di comunicare il pathos di
un oceano che muore o di una chimera intelligente è una dote
unica>>, diceva Kubrick. <<Ha quel tipo di mente di cui il mondo non
ha mai abbastanza, uno spiegamento di immaginazione, intelligen-
za, conoscenza, e una curiosità brillante che spesso può scoprire più
cose delle prime tre qualità>>. A proposito della collaborazione fra
Clarke e Kubrick, Roger Caras offrì a Piers Bizony questo commen-
to: <<Arthur ha un ego pazzesco, e ne ha motivo visto rutto quello
che ha fatto. In effetti, tempo fa, quello era uno dei suoi soprannomi,
mi sembra: "Ego". Ma ama sentirsi orgoglioso di quello che ha fatto
e penso che sia una cosa bellissima. Non ho mai visto Arthur lasciar-
si mettere in secondo piano da qualcuno in tutta la sua vita, tranne
che da Stanley ... Ma credo che anche Stanley fosse molto impressio-
~lato da Arthur. Quando quei due stavano insieme, palleggiandosi
Idee, era come guardare due duellanti intellettuali>>.
Nei primi trenta giorni di circolazione, la crescita degli incassi fu
lenta e le prenotazioni erano ai minimi. Richard McKenna era stato
chiamato a disegnare una serie di illustrazioni spaziali e una delle

339
basi spaziali fu usata per i manifesti. La Mgm aveva lanciato il film
come un grande spettacolo per famiglie, e non era quello il pubblico
principale di 2001. Robert O'Brien ricevette molte pressioni dalla
società affinché ritirasse 2001 dalle sale munite di Cinerama a favore
di Ba.re artù-a zebra, un altro film Mgm. Alla fine del 1969 la Mgm
aveva 80 milioni di dollari di debiti. Nel 1970 la casa di Leo il Leone
sarebbe stata rilevata dal finanziere di Las Vegas Kirk Kerkorian.
Alla fine 200 l divenne uno dei cinque maggiori successi della
Mgm, accanto a Via col vento, Il mago di Oz, Il dottor Zivago e Lawrence
d'Arabia. La prima edizione fu proiettata in alcune sale per due anni
senza interruzioni e il film divenne uno dei gioielli dello studio.
200 l era ancora in circolazione nel 197 2, a quattro anni dalla prima
uscita e la Mgm creò un pacchetto di repertorio chiamato "l favolosi
tre", in cui il film era abbinato a Il dottor Zivago e Via wl vento.
Negli anni Settanta, 2001: OdiJ.rea nello .rpazio fu rieditato cinque
volte, in un caso riscuotendo grande successo nella migliore sala di
New York, lo Ziegfeld. Kubrick chiese per l'occasione a Bob Gaffney
di prendere il suo posto, parlare con la stampa e assicurarsi che gli
standard tecnici della presentazione fossero degni della sua approva-
zione. Nel 1973 gli incassi domestici avevano totalizzato
20.347.000 dollari, e l'incasso all'estero nel luglio 1974 raggiunse i
7.500.000 dollari. L'incasso americano era ormai oltre i 25.000.000
di dollari. In turco il mondo 2001 è arrivato a 40.000.000 di dollari.
Nell'aprile 1973, Jerome Agel -guru di 2001 e autore di The
Making of Kubrù·k's 2001 -tenne una conferenza sui film di Stanley
Kubrick all'Experimental College di Sherwood Oaks. 11 padre del
regista, da tempo residente in California, era presente alla lezione e
senza dubbio si occupò di tenere il figlio informato.
2001 ha influenzato una generazione di cineasti. James Cameron,
regista di Aliens. Swntro finale, The Aby.rs e Terminator 2 - Il giorno del
giudizio raccontò a Syd Field - il maestro zen della sceneggiatura - il
profondo effetto che il film aveva avuto su di lui a quindici anni:
<<Non appena lo vidi, seppi che volevo diventare regista. Mi colpì a
una quantità di livelli diversi. Non riuscivo a capire come avesse
fatto rutta quella roba, dovevo imparare e basta». 11 montatore di
Kubrick per 2001, Ray Lovejoy, più tardi lavorò con Cameron per
Alien.r e disse: «2001 è il motivo per cui Jim si è dato al cinema. Ho
conosciuto una quantità di tecnici americani che dicono esattamente
lo stesso- che il film li ha ispirati a tentare la carriera cinematografi-
ca>>. Dan Bronson, executive story editor alla Paramount, commenta:
«Scoprii che esisteva un altro tipo di linguaggio - un linguaggio
altrettanto eccitante quanto le parole messe su carta da F. Scott
Fitzgerald. Feci questa scoperta vedendo 2001 di Kubrick, in parti-

.140
colare una scena che sicuramente dovete ricordare. Le scimmie tocca-
no il monolito e cominciano a evolversi, e iniziano a usare utensili
primitivi. C'è una scena magnifica, dopo che la scimmia ha ironica-
mente fatto il primo passo verso la civiltà e ha imparato a uccidere
con uno strumento. Prende in mano quel femore e lo sbatte, ancora e
ancora, su quella pila di ossa, facendole a pezzi, facendo volare fram-
menti dappertutto. E finalmente, in un senso di esaltazione e trionfo,
lo lancia verso l'alto, roteante, e il film "stacca", mentre l'osso ricade,
su un satellite nucleare in orbita sulla Terra. Mio Dio, centinaia di
migliaia di anni di evoluzione in una frazione di secondo sullo scher-
mo. È allora che ho pensato: "Sì, anch'io voglio saperne qualcosa"».
Quando gli chiesero del film, John Lennon rispose: <<2001, lo vedo
tutte le settimane».
2001 è stato riverito, citato e parodiato. In Minnie e Moskowitz,
John Cassavetes fa viaggiare i suoi due protagonisti su e giù per
l'Hollywood Boulevard in un camion che si muove sull'aria del
Danubio blu. In un articolo apparso nel 1969 su Don Siegel, il pittore
e critico Manny Farber vide nella sequenza iniziale di L'uomo dalla
cravatta di moio, con Clint Eastwood, <<un'esplosiva parodia dell'ini-
zio di 2001 di Kubrick: immagini che divorano lo spazio, la jeep di
uno sceriffo sparata attraverso il deserto e un indiano dal viso rovina-
to che saltella per le colline, preparando un arsenale per distruggere
il mondo mentre la jeep si avvicina>>. Sempre nel 1969 Davi d Bowie,
stimolato da una visione di 2001, scrisse e cantò Space Oddity, una
canzone su un astronauta che va alla deriva nello spazio. La cultura
popolare - pubblicità, affissioni e video musicali - ha dedicato alla
musica e al monolito un'infinita serie di tributi.
2001 fu un film innovativo e di fortissima influenza, ma deve
indubbiamente qualcosa ai film sperimentali di Jordan Belson e dei
fratelli Whitney. Nel 1970, Gene Youngblood, nel libro Expanded
Cinema e sulle pagine della rivista <<Film Culture», segnalò che il
film di Jordan Belson Al!UI·es <<ricordava fortemente il 2001 di
Kubrick - salvo che era stato fatto sette anni prima». Parlando di
Re-Ent1y, un altro film di Belson, Youngblood disse: <<Diventa un
vertiginoso e geometrico corridoio di luci inquietanti, quasi esatta-
mente come il corridoio in Slitscan della Porta delle Stelle dell'odis-
sea spaziale di Kubrick - salvo che Re-Enti)' è di quattro anni prece-
dente». Youngblood procedeva dicendo: <<Se si dovesse isolare una
singola qualità che distingua i film di Belson da altri film "spaziali",
è il fatto che la sua opera è sempre eliocentrica, mentre la maggior
Parte degli altri, anche 2001, è geocentrica».
Alla fine del ventesimo secolo, l'eredità di 200 l: Odissea nello spazio
continua a essere forte. Ray Bradbury getta luce sulla n6stra inesau-

341
ribile fascinazione per il film: <<Perché continuiamo a tornare e tor-
nare a 2001? Certo non per la trama fin troppo lineare e per il finale
sconcertante. Ci torniamo perché la stessa possibilità delle sue inter-
pretazioni ci rende liberi di carambolare nella più vasta delle archi-
tetture: l'universo stesso».
Precursore di una nuova era nel genere della fantascienza, 2001 è il
prototipo della tecnologia degli effetti speciali di Guerre ste!lari,
Incontri ravviànati del terzo tipo, Biade Runner e Terntinator 2. La strut-
tura narrativa visuale di Kubrick allargò il lessico cinematografico
dell'America e la sua favola epica emerge invariabilmente nelle liste
dei dieci migliori film di tutto il mondo, assieme a classici senza
tempo come Quarto potere, La regola del giow, Tempi moderni e l sette
samurat.
Kubrick continuò a identificarsi e a essere paragonato al primo
enfant terrible degli Stati Uniti, Orson Welles. Una sera Bob
Gaffney si fermò all'ufficio di Kubrick mentre andava a una registra-
zione per una pubblicità televisiva con Welles. Kubrick sapeva che
Gaffney stava per vedere Welles e voleva spedire al grande regista un
messaggio. «Stanley scavò furiosamente nei suoi archivi e produsse
una recensione di Bosley Crowther a Quarto potere, che stroncava il
film», ricorda Gaffney. «Stanley disse: "Fai vedere questa a Orson".
Ogni generazione ha il suo linguaggio visuale>>, conclude Gaffney,
collegando due uomini che hanno lasciato un marchio indelebile
nella storia del cinema.
La lavorazione di 2001 ebbe un impatto duraturo su Stanley
Kubrick. Ora l'Inghilterra era la sua casa, e gli offriva l'autonomia
che il regista si era sforzato di raggiungere dall'inizio della carriera.
Kubrick si sistemò con la famiglia in una sperduta proprietà
nell'Hertfordshire, nella campagna inglese: un rifugio situato nei
sobborghi di Londra, vicino a una casa di riposo per cavalli e a
distanza di macchina dalla maggior parte delle strutture di produ-
zione, con accesso ai migliori artigiani e servizi cinematografici. I
Kubrick portarono da New York tutta la loro roba in novanta bauli
da campo verde scuro, tutti numerati: «L'unico modo sensato di tra-
slocare>>, come spiegò Kubrick a Jeremy Bernstein. La casa aveva
molte stanze, inclusa una sala da biliardo con un grande tavolo da
snooker. In una delle camere, Christiane Kubrick ricavò uno studio
per dipingere. Un'altra stanza divenne l'ufficio di Kubrick, stiparo
delle onnipresenti macchine fotografiche, dei registratori e dei tac-
cuini neri. In una della sale inferiori si trovavano due armature
complete.
L'isolamento dalla comunità cinematografica internazionale e dalle
sue radici americane iniziarono a far sentire il loro peso sulla già

342
rigida autodisciplina di Kubrick. Divenne sempre più attento alla
sua sicurezza personale. Il suo rifiuto di volare rimase incrollabile e
si racconta che il suo autista fosse istruito a non spingere mai la mac-
china a piì:t di 35 miglia all'ora. La mente altamente logica del regi-
sta e l'esistenziale coscienza della morte che permea molti dei suoi
film lo spinsero in un'introversione più profonda. Kubrick elaborò
un modus operandi nel quale i mondi cinematografici da lui scoperti
sarebbero stati montati sul nudo palcoscenico di un teatro di posa.
Non gli era più necessario lasciare la sua base operativa. Sulle loca-
tion desiderate poteva mandare le seconde unità ma la, pur neonata,
era delle comunicazioni gli avrebbe permesso di corrispondere con
chiunque nel mondo: da casa sua, alle sue condizioni.
Con 2001, per Kubrick emerse un modo distintamente nuovo
nell'elaborazione del materiale cinematografico. Il regista si era stac-
cato dai metodi narrativi e produttivi convenzionali e prima di
impegnarsi su un nuovo progetto lo avrebbe esplorato sotto ogni
punto di vista. Per essere in grado di produrre un film avrebbe dovu-
to raggiungere un intenso stato ossessivo che lo portava a fare un
film senza più badare al tempo necessario.
2001: OdiJJea nello .rpazio posizionò Kubrick fra i maestri del cine-
ma, come artista puro; il salto di qualità era completo. Arthur
Clarke tornò a Ceylon, la troupe passò a nuovi progetti. Stanley
Kubrick rimase seduto nel suo ufficio, riflettendo sul prossimo film,
aspettando che un'idea raggiungesse il livello dell'ossessione. Questa
volta non si trovava nella cacofonia di New York, ma nella solitudine
bucolica dell'Inghilterra. Un piccolo staff iniziò a indagare le aree di
interesse per un nuovo progetto. La stampa cinematografica e il pub-
blico tentarono senza successo di scoprire che direzione stesse pren-
dendo Kubrick, e l'ufficio del regista mantenne il riserbo di un ser-
vizio segreto. Ma il 23 settembre 1968, un articolo su <<L'Express>>
offrì un presagio di ciò che doveva venire: <<Questa settimana, alcune
centinaia di libri su Napoleone sono stati spediti da Parigi all'ufficio
londinese di Stanley Kubricb.
Stanley Kubrick non riusciva a smettere di pensare a Napoleone
Bonaparte.
Capitolo 14
«È davvero Napoleone, vero?>>

«Sarebbe stata l'epica definitiva».


Bob Gaffney

«L'ho trovato un uomo piacevole.


E anche molto distante.
Doveva sempre esserci questo film su Napoleone.
Ho sempre pensato che per la parte
sarebbe andato benissimo lui stesso».
Jonathan Cecil

Nel periodo in cui usciva 2001, Kubrick, Christiane e le tre figlie


vivevano in una villa "alla Gatsby" a Long Island, New York. Bob
Gaffney ricevette una telefonata inattesa del regista, che voleva
vederlo: caricò in macchina la famiglia, arrivò a Long Island e si
accomodò davanti a Kubrick. «Stanley disse: "Parto con un progetto
sulla vita di Napoleone. Voglio che tu venga in Inghilterra con
me"». Kubrick proseguì: <<La gente non capisce ciò che deve passare
un regista. Tu sei l'unico che mi venga in mente che sia in grado di
capire quello che succede». Gaffney gli rispose: <<Ok, lo farÒ». Aveva
appena intrapreso un'attività bene avviata, ma per Stanley Kubrick
non esitò a chiuderla e a trasferirsi in Inghilterra con la famiglia.
Napoleone Bonaparte nacque in Corsica nel 1769. Da ragazzo fre-
quentò la regia accademia militare di Francia per poi fare rapida-
mente carriera. A ventisei anni era comandante in seconda
dell'armata dell'interno. Il 9 marzo 1796 sposò Giuseppina de
Beauharnais e continuò a guidare le sue truppe mettendo a segno
una serie di vittorie in Italia e in Egitto. Governò la Francia come
dittatore. Nel 1802 gli fu attribuito il titolo di primo con~ole a vita
ma continuò a inseguire il potere e, nel maggio 1804, fu eletto
imperatore dal senato francese. Dominò l'Europa in una serie di epi-
che battaglie fino a quando, nel cercare di estendere il suo potere
alla conquista della Russia, fu sconfitto. Esiliato sull'isola d'Elba,
Napoleone riuscì a fuggire, ma il suo tentativo di riguadagnare il
potere si infranse con la sconfitta, a opera di truppe inglesi e alleate,
nella battaglia di Waterloo. Morì di cancro il 5 maggio 1821, nuo-
vamente in esilio.
344
A Joseph Gelmis, che lo intervistò nel suo libro The Film DireL"tor
as St~perstat·, Kubrick disse di Napoleone: «Mi affascina. La sua vita è
stata raccontata come un epico poema d'azione. La sua vita sessuale
era degna di Arthur Schnitzler. Era uno di quei rari uomini che
muovono la storia e forgiano il destino del loro tempo e delle genera-
zioni successive; in un senso molto concreto, il nostro stesso mondo è
il risultato di Napoleone, esattamente come la mappa politica e geo-
grafica dell'Europa del dopoguerra è il risultato della seconda guerra
mondiale. E naturalmente non è mai stato fatto su di lui un film
buono o accurato. Trovo anche che tutti i temi che lo riguardano
siano stranamente contemporanei - le responsabilità e gli abusi del
potere, le dinamiche della rivoluzione sociale, il rapporto dell'indivi-
duo con lo Stato, la guerra, il militarismo, eccetera- per cui questo
non sarà soltanto una polverosa parata storica ma un film sulle que-
stioni base del nostro tempo, oltre che di quello di Napoleone. Ma
anche prescindendo da questi aspetti della storia, il semplice dram-
ma e la forza della vita di Napoleone sono un soggetto fantastico per
una biografia cinematografica. Dimenticando tutto il resto e !imi-
tandoci all'amore di Napoleone per Giuseppina, ad esempio, avrem-
mo già una delle più grandi passioni ossessive di tutti i tempi».
Napoleone era un soggetto ideale per Kubrick, un soggetto che
toccava le sue passioni per il potere, l'ossessione, la strategia e il mili-
tarismo. L'intensità e la profondità psicologica di Napoleone, il suo
genio logistico e la fame di potere sarebbero stati analizzati dettaglia-
tamente. Kubrick era eccitato dalla grandezza del soggetto: guerra,
sesso, il significato dell'esistenza e la natura malvagia dell'uomo,
tutto concentrato in un solo uomo. La ricerca di Kubrick su Napo-
leone Bonaparte fu vastissima: il regista aveva già letto diverse centi-
naia di libri, tra cui resoconti inglesi e francesi del diciannovesimo
secolo e biografie moderne. <<Ho saccheggiato tutti quei libri alla
ricerca di materiale e l'ho suddiviso tutto in categorie, dai suoi gusti
in fatto di cibo al tempo meteorologico del giorno di una particolare
battaglia, e ho creato indici incrociati di tutti questi dati in un archi-
vio di ricerca che comprende tutto>>, disse Kubrick a Gelmis.
«Ho cercato di vedere ogni film mai fatto sull'argomento, e devo
dire che non ne ho trovato nemmeno uno che fosse particolarmente
notevole. Ho visto di recente il film di Abel Gance, che negli anni si
è guadagnato fra i cinefili una certa reputazione, e l'ho trovato dav-
vero tremendo. Dal punto di vista tecnico era in anticipo sul suo
tempo e ha introdotto tecniche cinematografiche nuove e inventive-
in effetti Ejzenstejn gli attribuisce il merito di aver stimolato inizial-
mente il suo interesse nel montaggio - ma per quanto riguarda
trama e recitazione è un film molto rozzo>>.
345
Kubrick trovava in effetti che la versione russa di Guerra e jJace
fosse migliore della maggior parte dei film sull'argomento: «Era una
spanna sopra gli altri, e aveva qualche scena veramente buona, ma
non posso dire che mi abbia troppo impressionato. C'è una scena in
particolare che ho ammirato, quando lo zar entra in una sala da ballo
e tutti si affrettano ad andargli dietro per vedere quello che fa e poi
si scansano dalla sua strada quando ritorna. Mi sembrava che cattu-
rasse la realtà di una situazione del genere. Naturalmente, la visione
che Tolstoj ha di Napoleone è così lontana da quella di qualsiasi sto-
rico obiettivo, che non posso davvero dare la colpa al regista per il
modo in cui lo rappresenta. È un film deludente, e lo è doppiamente
perché aveva il potenziale per non esserlo>>.
Kubrick strinse anche un accordo di consulenza con il professar
Felix Markham dell'Università di Oxford, che studiava Napoleone
da trentacinque anni ed era considerato il massimo esperto napoleo-
nico mondiale. Il monumentale compito di Markham era di rispon-
dere a tutte le domande che il regista aveva sulla vita e l'epoca di
Napoleone. Le pretese di Kubrick di comprendere minuziosamente
ogni dettaglio mettevano a dura prova anche le enormi conoscenze
del noto studioso. Il regista stabilì il quartier generale della sua cam-
pagna napoleonica in casa sua, a Abbot's Mead. La famiglia Gaffney
abitava in un cottage sui terreni di Barbara Cartland, la regina del
romanzo rosa. Bob Gaffney arrivava a casa Kubrick ogni mattina,
svegliava tutti e cucinava la colazione per le tre ragazze Kubrick,
Katharina, Anya e Vivian, prima che andassero a scuola.
L'Inghilterra aveva avviato una intensa campagna antifumo, mirata
ai ragazzi e diffusa in televisione e nelle scuole. Mentre continuava le
sue ricerche su Napoleone, Gaffney fumava sigarette americane, che
in Inghilterra costavano fino a cinque dollari il pacchetto. La piccola
Vivian Kubrick, fresca di fama internazionale per il suo ruolo della
figlia di Floyd, entrava di nascosto mentre Gaffney lavorava, gli
rubava le sigarette e le buttava via, a testimonianza dell'efficacia
della pionieristica crociata inglese contro il fumo.
Bob Gaffney ricorda molte memorabili partite di ping-pong sul
prato di casa Kubrick: <<Una volta, lui ed io stavamo giocando ma ci
annoiavamo, così lanciavamo la palla in alto, andavamo molto indie-
tro e "schiacciavamo". Lui mise un piede in una buca e io sentii un
crac. Stanley si era rotto la caviglia, rimase a letto per mesi. Ho
ancora l'immagine di lui seduto in camera da letto con un righello
infilato nell'ingessatura, che si gratta. Era una brutta frattura».
Kubrick applicò al mondo di Napoleone Bonaparte la sua leggen-
daria attenzione ai dettagli: durante una visita ad Abbot's Mead,
Keir Dullea lo trovò impegnato a studiare una griglia da lui posta
346
sulla copia di un dipinto del diciannovesimo secolo che raffigurava
una battaglia napoleonica. L'ingrandimento prendeva tutto il muro
ed era diviso in quadratini da 2,5 centimetri; Kubrick contava
pazientemente il numero dei soldati in ogni quadrati no per determi-
nare la misura dell'esercito di Napoleone.
Kubrick e Gaffney organizzarono squadre che andassero a caccia di
location per tutta l'Europa Orientale, Francia, Italia, Romania,
Jugoslavia, Cecoslovacchia e Ungheria, mentre il regista lavorava a
una sceneggiatura basata su ricerche storiche su Napoleone.
<<Andai al governo rumeno e dissi loro che volevo sul campo tren-
tacinquemila soldati», ricorda Bob Gaffney. <<Avevamo immaginato
inquadrature dall'elicottero che sorvolavano la marcia di un esercito
infinito, con una cavalleria di cinquemila unità e fra i quindici e i
ventimila soldati della fanteria. Dovevo mettermi lì e immaginare le
distanze fra i vari soldati, e la lunghezza dei cavalli, e poi dire:
"Stanley, sarà lunga dieci miglia. Se volo a 120 miglia all'ora ci met-
terò ... ". Avevamo fatto tutti questi calcoli. Dovevo farmi fare delle
offerte. Eravamo stati abbastanza specifici da prevedere addirittura
duecentomila galloni di sangue da Technicolor. Stanley disse:
"Aspetta un attimo, battiamola con la macchina da scrivere, su un
lato, sulla macchina da scrivere a carrello largo, penseranno che
abbiamo un computer". Tutto questo avveniva prima dei personal
computer, lavoravamo con carta e matita. Così facemmo come diceva
e loro pensarono che avessimo un computer. C'era un refuso
nell'indicazione delle necessità per il materiale elettrico. Era una
cifra in più e indicava abbastanza energia da alimentare Parigi,
Roma e tre o quattro altre città>>.
<<A questo punto>>, raccontò Kubrick a Joseph Gelmis, <<siamo
nella fase di decidere i posti più adatti per le riprese, e dove sia pos-
sibile ottenere le truppe che ci servono per le scene di battaglia.
Intendiamo usare un massimo di quarantamila fanti e diecimila sol-
dati a cavallo per le grandi battaglie, il che significa dover trovare un
Paese che ci metta a disposizione l'esercito; possiamo solo provare a
immaginare il costo di cinquantamila comparse per un lungo perio-
do. Quando avremo trovato un ambiente che possa accoglierci, ci
saranno ancora grandi problemi logistici, ad esempio il sito di una
battaglia dovrà essere contiguo a una città o a un paese o a un'area
militare dove le nostre truppe siano già acquartierate. Immaginiamo
di lavorare con quarantamila soldati di fanteria; se riuscissimo a far
entrare quaranta uomini in un camion ci vorrebbero comunque mille
camion per spostarli. Così, oltre a trovare il terreno più adatto, dob-
biamo assicurarci che sia a distanza di marcia da una caserma>>. A
Gaffney, Kubrick chiese anche di organizzare una spedizione di mas-
347
sicci quantitativi di vaccino antinfluenzale perché si preoccupava che
un'epidemia di influenza potesse colpire tutta la troupe e il cast
militare, costando milioni alla produzione.
Kubrick sentiva che era necessario mettere in scena le battaglie
napoleoniche su «un vasto tableau in cui le formazioni si muovano
in un modo quasi coreografico>>. Nell'intervista a Gelmis il regista
dichiarò: «Voglio catturare questa realtà, e per farlo è necessario
ricreare tutte le condizioni della battaglia con minuziosa cura>>.
<<Ci sono diversi modi per fare una cosa del genere ed è molto
importante per l'accuratezza del film, perché il terreno è il fattore
decisivo nell'andamento e nel risultato di una battaglia napoleonica.
Abbiamo fatto ricerche approfondite su tutti i siri delle battaglie
basandoci su dipinti e schizzi, e siamo ora nella condizione di poter
descrivere il terreno con buona approssimazione. Da un punto di
vista puramente schematico, le battaglie di Napoleone sono così
belle che vale la pena di fare ogni sforzo per spiegare al pubblico la
configurazione delle forze. E veramente non è così difficile come
appare a tutta prima>>.
<<Diciamo di voler spiegare che durante la battaglia di Austerlitz le
forze austro-russe tentarono di tagliar fuori Napoleone da Vienna, e
che estesero l'idea a un doppio accerchiamento e Napoleone reagì
colpendo al centro e dividendo le loro forze a metà; beh, tutto ciò
non è difficile da mostrare con fotografie, mappe e attraverso la nar-
razione. Penso che sia estremamente importante comunicare l'essen-
za di queste battaglie allo spettatore, perché hanno tutte una brillan-
tezza estetica che può essere apprezzata anche da una mentalità non
militare. È una questione di estetica: è quasi come un grande brano
musicale, o come la purezza di una formula matematica. È questa
qualità che voglio trasmettere, assieme alla sordida realtà della bat-
taglia. Vede, c'è una strana disparità fra la bellezza puramente visua-
le e organizzativa di battaglie storiche lontane nel tempo, e le loro
conseguenze umane. È abbastanza simile a guardare da lontano due
aquile reali che volano nel cielo; potrebbero star facendo a pezzi una
colomba, ma se sei abbastanza lontano la scena è sempre bellissima>>.
<<Si tratta ovviamente di una storia enorme da filmare, perché non
prendiamo solamente un segmento della vita militare o personale di
Napoleone, ma tentiamo di includere tutti gli eventi principali della
sua carriera. Non ho fissato alcun limite rigido di durata; credo che
se si ha un film realmente interessante non conta quanto sia lungo,
purché, naturalmente, non si arrivi a estremi tali da spegnere la
capacità di attenzione del pubblico. Il film più lungo che ha costan-
temente offerto piacere a generazioni di spettatori è Via col vento, il
che indicherebbe che se un film è sufficientemente interessante la
348
gente è disposta a guardarlo per tre ore e quaranta minuti. Ma di
fatto il film su Napoleone sarà probabilmente più breve».
Kubrick considerava l'idea di usare un narratore e animazioni o
rnappe per illustrare e spiegare le battaglie e le campagne napoleoni-
che. Le riprese in esterni erano già state programmate per l'inverno
1969: Kubrick calcolava di completare le riprese in location in un
periodo fra i due e i tre mesi, e che altri tre o quattro mesi sarebbero
serviti per le riprese in studio. Gli autentici campi di battaglia di
Napoleone erano stati ormai occupati dallo sviluppo urbano e indu-
striale, così il regista stava scegliendo i luoghi migliori per girare.
«Cercavamo di capire come fare a realizzare tutti quei costumi»,
ricorda Bob Gaffney. <<Stanley e io avevamo stimato che ci sarebbero
stati quattromila costumi: costumi da sfondo medio, costumi da
sfondo pieno e costumi da vedersi molto da lontano. Poi a un certo
punto incontrai della gente che faceva vestiti e costumi da bagno
pubblicitari con un tessuto Du Pont. Il tessuto era indistruttibile e
usato soprattutto in ospedale. Era abbastanza resistente da sollevare
una persona e ci si poteva stampare sopra. Avevamo disegni, chiamati
"tavole di Rousellot", di ogni uniforme delle guerre napoleoniche,
russe, prussiane, assiane, francesi, corse ... voglio dire, era andata
avanti per un bel po' e per diversi periodi militari, fu un periodo
lungo. Portai a questa gente un'immagine e dissi: "Potete ingrandire
questa immagine, stamparla su una tuta e aggiungerci un berretto
da metterei sopra?" e loro dissero: "Certo". "Quanto?". "Due dollari
e cinquanta". Dissi: "Scoprirò se i rumeni hanno presse da stampa". I
rumeni vennero e mi dissero: "Signor Gaffney, possiamo accordarci
per i costumi da primo piano e per quelli dello sfondo medio, non c'è
problema" ma se ne uscirono con qualche cifra bizzarra, qualcosa tipo
venti milioni di dollari. Io dissi: "No, no, no, no, no, no". "Beh", dis-
sero loro: "quanto volevate pagare?". Risposi: "Due dollari e cinquan-
ta". Si grattarono la testa e se ne andarono in un'altra stanza>>.
<<Andai in giro per la Romania con un amico regista, un ebreo fug-
gito dal Paese. Mi disse: "Dovremo arruolare altra gente nell'esercito
per fare il film, ma siamo disposti a farlo">>.
Nell'intervista, Kubrick spiegò a Joseph Gelmis: <<Al momento
stiamo creando i prototipi di veicoli, armi e costumi dell'epoca, che
poi produrremo in massa, tutto copiato da dipinti e descrizioni scrit-
te dell'epoca, e curato in ogni dettaglio. Abbiamo già venti persone
che lavorano a tempo pieno alla fase preparatoria del film>>.
Bob Gaffney era stato consulente alla società Imax e mostrò a
Kubrick esempi del sistema panoramico. Gaffney sentiva che il film
avrebbe potuto impiegare come sfondi immagini della Francia in
Irnax, tratte da fotografie 20x24 e proiettate su schermi riflettenti,
~49
come era g1a stato fatto per la sequenza di "L'alba dell'uomo" in
2001. <<Avevamo anche previsto nel budget di far esplodere un edifi-
cio e di riprenderlo per poi utilizzare la scena in una proiezione fron-
tale>>, ricorda Gaffney. <<Avevo un'offerta della Krupps per volare in
Romania e far saltare l'edificio. Non c'era da preoccuparsi di aerei
che ci volassero sopra, avevano, praticamente, tre aeroplani. Cyrus
Eaton si occupava della garanzia di completamento: aveva degli affa-
ri finanziari con la Romania>>.
Mentre cercava di chiudere gli accordi necessari per la preprodu-
zione in Romania, Gaffney apprese che erano in programma diversi
progetti su Napoleone. Il più importante era Waterloo, diretto
dall'ucraino Sergej Bondarcuk con Rod Steiger nel ruolo di
Napoleone. Il film fu realizzato e alla sua uscita sarebbe stato accolto
da tiepide reazioni di critica e di pubblico, ma durante la lavorazione
le forze che appoggiavano la produzione fecero il possibile per sco-
raggiare la potenziale concorrenza di Stanley Kubrick. Bob Gaffney
ricevette minacce e i rumeni gli dissero di essere stati avvertiti: <<Se
lavorate con quella gente vi uccideremo>>.
Nel corso delle loro imponenti ricerche storiche, Kubrick e
Gaffney continuavano a trovare annotazioni dei generali di
Napoleone relative al fatto che il condottiero aveva dimenticato i
chiodi da ghiaccio per gli zoccoli dei cavalli. Per un progetto di
Kubrick era necessario capire ogni dettaglio, e Gaffney si ricordò del
libro su Ernest Shackleton che Kubrick gli aveva dato durante la
lavorazione di 2001, per le sue ricerche su casi di isolamento: la
barca a vela della squadra dell'esploratore era rimasta incastrata nel
ghiaccio per tutto un inverno; poi la primavera aveva sgretolato la
barca, costringendo la squadra a camminare sui ghiacci trascinandosi
dietro le !ance di salvataggio; infine avevano dovuto spingersi a forza
di remi attraverso il più insidioso tratto di oceano per arrivare
all'ultimo avamposto della civiltà, una piccola colonia norvegese di
balenieri. La traversata era durata due anni e tutti erano sopravvissu-
ti. Facendo ricerche sull'argomento, Gaffney apprese che, dopo
Shackleton, Roberc Falcon Scott non era riuscito a compiere l'impre-
sa ed era perito nel tentativo, ma per spostarsi nella neve aveva usato
pony dello Shetland invece dei cani. Gaffney cominciò a indagare su
che tipo di cavalli i russi avessero utilizzato per sconfiggere
Napoleone e scoprì che esistevano pony i cui zoccoli erano perfetti
per la neve: cominciò a chiedere agli abitanti della campagna inglese
e scoprì che per un cavallo non esiste protezione nella neve
dell'inverno, giungendo alla conclusione che la caduta di Napoleone
era stata causata dalla scelta dei cavalli sbagliati. Alla fine Kubrick e
Gaffney arrivarono a determinare che Napoleone, essendo originario
350
della Corsica, non era proprio in grado di capire il problema del
ghiaccio. Trovarono una storia che riguardava Napoleone, nel perio-
do in cui era un giovane cadetto dell'accademia militare. Era il suo
primo inverno in Francia, e un mattino si svegliò e prese una brocca
per lavarsi la faccia, ma non ne uscì nulla; guardò dentro e disse:
<<Qualcuno ha messo del vetro nella mia brocca». L'acqua, congelata
0 in movimento, divenne una delle metafore chiave per l'epica che
Kubrick stava mettendo in piedi.
Durante le sue ricerche tecniche per NajJOieon, Gaffney scoprì
obiettivi da .09 e .07 e ricorda ridendo di aver detto a Kubrick:
<<Stanley, ti rendi conto che con la sensibilità delle nuove pellicole e
di questi obiettivi potresti girare Napoleon a lume di candela?>>. A
quanto pare l'informazione fu archiviata nel computer mentale di
Kubrick, per essere recuperata per Barry Lyndon.
Kubrick aveva sviluppato una sfiducia intrinseca nei medici che
non conosceva. Una volta che il regista aveva bisogno di chirurgia
orale, Bob Gaffney dovette trovare un modo di portarlo dal dentista.
Kubrick non voleva saperne di andare dai dentisti inglesi perché non
li conosceva, ma non voleva nemmeno volare fino a New York; così
Gaffney, attraverso le conoscenze che aveva in un'ambasciata, ottenne
il permesso di usare la poltrona del dentista della marina militare.
Poi chiamò il dentista personale di Kubrick, sulla Grand Concourse
nel Bronx, e gli fece prendere un aereo per Londra perché potesse
eseguire l'operazione sulla poltrona presso l'ambasciata, l'unico loca-
le in cui potesse operare legalmente un dentista la cui licenza aveva
valore a New York.
Vivere in Inghilterra portò tranquillità alla famiglia Kubrick:
Stanley e Christiane lo trovavano un buon posto per crescere le figlie.
Ma Kubrick restava un figlio del Bronx: per il 4 luglio fece una festa
nella sua proprietà e ironicamente diede l'incarico di lanciare i fuo-
chi artificiali dal suo giardino ai membri del suo staff inglese.
Kubrick aveva bisogno di un attore di grande talento per il ruolo
dell'imperatore francese. Marlon Brando lo aveva interpretato nel
1954 in Désirée, ma dopo il disastro di I d11e volti della vendetta era
impensabile che i due lavorassero ancora insieme. Kubrick rivolse
allora l'attenzione su un giovane attore che si avviava a diventare un
grande divo, un talento esplosivo in grado di rivaleggiare con quello
di Brando.
La prima interpretazione di Jack Nicholson era stata The Cry Baby
Killer nel 1958, a cui erano seguite per tutti gli anni Sessanta le
apparizioni in una serie di B-movie a basso costo come Vivi t"on
rabbia, La jlit"L"ola bottega degli orrori, La .rjlarcttoria, Le t"o!line bl11 e
Angeli cdf'infemo .r11lle mote. Nicholson si era imposto con la perfor-
351
mance chiave di Ect.ry Rider e avrebbe dominato gli anni Settanta con
ruoli in Cinque pezzi facili, Conoscmza carnale, L'11ftima corvée e
Chinatown. Kubrick parlava di lavorare con Nicholson dai tempi
dell'uscita di Ea.ry Rider nel 1969; iniziò ad allettare l'attore con
l'idea di interpretare Napoleone e alla fine riuscì a portarlo al suo
stesso grado di ossessione per l'imperatore.
Nel libro Jack Nichol.ron Faceto Face (1975) Christopher Fryer e
Robert David Crane intervistarono l'attore su Napoleon. Alla doman-
da se Kubrick lo avesse contattato per interpretare l'imperatore,
Nicholson rispose: <<Ne abbiamo parlato un po'. Ero molto eccitato
all'idea, e lo sarei ancora, ma a questo punto ne parliamo da tanto di
quel tempo che la cosa si è quasi spostata nel regno dei sogni a occhi
aperti. Non penso che succederà mai, sapendo come sono i registi,
capricci, fisse e tutto quanto. Sarebbe bello. Ho un piano di riserva
se lui non mi dovesse usare. Mi limiterò a fare un film migliore. Lo
dico per scherzo, naturalmente. Mi ha interessato al personaggio. Ho
fatto ricerche su di lui, e su tutta quella roba, e mi piacerebbe prima
o poi usare quel materiale>>.
La United Artists era interessata a Napoleon, ma dopo essere stata
assorbita dalla Transamerica Corporation nel 1967 la società aveva
accumulato 45 milioni di dollari di perdite a causa di insuccessi pro-
duttivi come Il mal'inaio del GibiltetTa, .. . e il diavolo ha ri.ro, I .reicento
del Balaklava e altri: una situazione finanziaria così desolante da
costringere lo studio a rifiutare il progetto di Kubrick. Le esigenze
produttive dell'epoca cospiravano contro un progetto come Napoleon.
Kubrick calcolò che con l'inflazione uno studio americano che avesse
finanziato il film avrebbe dovuto chiedere prestiti a un interesse che
sfiorava il 20 per cento. La sceneggiatura era imponente, il respiro
era epico, probabilmente sarebbe stato un film di tre ore.
Quando fu chiaro che Napoleon per il momento non si sarebbe
potuto fare, Gaffney e la sua famiglia lasciarono l'Inghilterra.
Kubrick iniziò a esaminare altri possibili progetti. Uno di essi era
un adattamento di DojJjJio .rogno di Arthur Schnitzler.
Kubrick chiese a Terry Southern che gli facesse leggere le bozze del
suo nuovo libro Bl11e Movie, sulla lavorazione di un film pomo hol-
lywoodiano ad alto budget. Mentre lui leggeva il libro, Christiane Io
prese in mano e dopo averlo letto attentamente disse al marito:
<<Stanley, se fai questo non ti rivolgerò più la parola».
Andros Epaminondas, nato a Cipro, era stato il ragazzo dell'ufficio
di Kubrick e Gaffney mentre preparavano il progetto Napoleon. Ora
che Gaffney se ne andava, Andros iniziò a gestire l'ufficio. GaffneY
era stato favorevolmente impressionato dall'abilità di Epaminondas
nelle trattative e sapeva di lasciare Kubrick in buone mani.
352
Prima di andarsene dall'Inghilterra, Gaffney, che era un avido !et-
core, disse a Kubrick: «Ho letto un libro proprio di recente che era
veramente divertente, Ìl .reme inq11ieto di Anthony Burgess>>. Il libro
era una storia futuribile con elementi di fantascienza. Dopo aver
lavorato per anni su 200 l, Kubrick non era interessato a esplorare
nuovamente la fantascienza, ma cominciò a leggere tutta l'opera di
Anthony Burgess. Era solo questione di tempo prima che arrivasse a
Un'arancia a orologeria.
Napoleon avrebbe continuato a ossessionare Stanley Kubrick.
Durante la lavorazione del suo film successivo, Aranda meccanica,
Kubrick cercò di convincere Anthony Burgess a scrivere un roman-
zo su Napoleone da poter ridurre per un film. Da un bel po' di
tempo Burgess stava meditando di scrivere un romanzo ambientato
durante la Reggenza che facesse la parodia dello stile di Jane Austen
seguendo la struttura di una sinfonia di Mozart. Burgess aveva pia-
nificato l'opera in una serie di movimenti: un "allegro", un "andan-
te", un "minuetto", un "trio" e un "presto" finale; la trama doveva
essere dettata dalla forma sinfonica, non dalla probabilità psicologi-
ca. Il progetto costituiva una sfida enorme e alla fine Burgess decise
di metterlo da parte. Nella seconda parte della sua autobiografia
"You've Had Yo11r Tiwe": The Semud Part of the Coufe.r.rion.r, Burgess
scrive: «Ne parlai con Kubrick discutendo di tecniche narrative e
lui suggerì che io dovessi avere già una serie di associazioni narrati-
ve e, come trama, l'arricchimento del tema che aveva ispirato la
sinfonia. Alludeva alla Sinfouia rmmero 3 iu mi bemolle maggiore di
Beethoven, l'Eroica, che all'inizio doveva essere su Napoleone e alla
fine era stata dedicata a un grande eroe militare. Dov'erano queste
associazioni narrative? Il primo movimento era chiaramente sulla
lotta e la vittoria, il secondo su un grande funerale pubblico e il
terzo e il quarto innalzavano l'eroe al livello di mito- un mito spe-
cifico, quello di Prometeo, che Beethoven aveva sottolineato ispi-
randosi a un altro suo pezzo per un balletto dedicato a Prometeo.
Kubrick non proponeva questa idea per pura generosità: voleva fare
un film su Napoleon, usando tecniche che non erano state accessibili
ad Abel Gance, e voleva che la vita di Napoleone fosse contenuta in
un film di lunghezza non eccessiva. Aveva bisogno di una sceneg-
giatura, ma una sceneggiatura doveva essere preceduta da un
romanzo. La trasposizione in musica della vita di Napoleone dalla
Prima campagna italiana fino all'esilio di Sant'Elena sarebbe stata
un atto di compressione, e avrebbe suggerito le tecniche per com-
primere anche il film. Così, se la battaglia di Waterloo fosse stata in
corrispondenza dello "scherzo" di Beethoven, il racconto cinemato-
grafico sarebbe stato giustificato nell'accelerare la narrazione a un
-~53
livello quasi comico. L'esilio e la morte a Sant'Elena avrebbero
dovuto seguire la tecnica di Beethoven di tema e variazioni - forse
una ricapitolazione degli stili cinematografici da Ejzenstejn in poi_
e la morte di Napoleone avrebbe dovuto essere seguita dalla sua
resurrezione mitica, visto che così intendeva Beethoven. Finanziare
un film del genere- con riprese dall'elicottero delle principali bat-
taglie, tutte ricostruite nei più minuziosi dettagli - sarebbe costato
molti milioni più di Aranàa mercanica, ma prima o poi il film si
sarebbe dovuto fare e Kubrick era chiaramente l'uomo piì:1 adatto.
Intanto la stesura di un romanzo intitolato Napoleon Symphony (il
solo titolo possibile) avrebbe richiesto solo del tempo>>.
Nell'agosto 1972, dal suo appartamento a Roma, Burgess parlò dei
suo nuovo progetto a Sheila Weller del <<Village Voice»: << È un
romanzo sulla vita di Napoleone. Lo scriverò con la forma di una
sinfonia di Beethoven. Kubrick ne farà un film».
Alla Weller, Burgess disse: <<Kubrick voleva fare un film su Napo-
leone. Doveva essere il suo progetto successivo a 200 l ma aveva
avuto molta difficoltà a scrivere la sceneggiatura. Sapeva che avevo
da tempo l'intenzione di scrivere un romanzo con la forma di una
sinfonia. Io avevo avuto un'idea molto semplice: prendere una situa-
zione alla Jane Austen e scriverla nella forma di una sinfonia di
Mozart: dove i temi si capovolgono c'è uno sviluppo o una sezione
fantastica. Avrei combinato Jane Austen e il marchese de Sade.
Sarebbe stato piuttosto divertente ... Ma Kubrick mi chiamò al
telefono e disse: "Aaanthony, se devi scrivere una sinfonia perché non
la scrivi su Napoleone, che ... vedi ... , hai già una sinfonia su cui
lavorare: l'Eroù·a di Beethoven, che era naturalmente dedicata a
Napoleone". Così propose che invece di quella roba scrivessi il
romanzo come volevo e poi l'avremmo usato come base per un film.
Ma andrò avanti lo stesso, comunque. Dipende interamente da
Kubrick se sarà o no effettivamente trasformato in un film. Ma, cioè,
mi ha chiesto di farlo, e se cambiasse idea e mi chiedesse di farlo in
un altro modo, non mi disturberebbe». Burgess scrisse davvero il
romanzo Napoleon Symphony: A Nove/ in Four Movements, che fu pub-
blicato da Knops nel 1974.
Quando uscì Aranàa mea·anù-a, Kubrick disse a Joseph Gelmis per
<<Newsday»: <<Le grandi storie sono già rare, ma sembra che sulle
donne ce ne siano ancora meno che sugli uomini. Suppongo che
quando farò finalmente Napoleon avrò Giuseppina e le altre donne
della sua vita». Gelmis chiese a Kubrick se le donne sarebbero state
gli strumenti di Napoleone. <<Solo nella misura in cui le donne sono
strumenti dell'uomo», rispose Kubrick. <<Ma certamente trattandole
come personaggi di primaria importanza, invece che come vittime,
354
come in Arancia. Non è esattamente una rappresentazione irrealistica
del ruolo delle donne nella società>>.
Dopo Arancia meccanica, Kubrick diceva ai giornalisti che Napoleon
sarebbe stato il suo film successivo. A Penelope Houston del
"Sarurday Review>> disse: «Conto di fare Napoleon, adesso. Sarà un
grosso film ma certamente non sulla scala a cui erano arrivati i grossi
film prima che Hollywood morisse. Molti degli interni dei palazzi si
possono girare in Francia in ambienti reali dove c'è già tutto il
mobilio e gli arredi e basta entrarci con una piccola troupe, come per
un documentario, con gli attori, i costumi e qualche attrezzo da por-
care a mano. Le grandi scene di massa e le battaglie si farebbero in
Jugoslavia, Ungheria o Romania dove è possibile compiere imprese
di questo genere usando truppe regolari>>.
Kubrick sarebbe tornato al progetto di Napoleon più volte nella sua
carriera. Dopo Arancia meaanù·a lo riprese in seria considerazione e
durante le riprese di Barry Lyndon si diceva che stesse girando con-
temporaneamente le scene di battaglia di Napoleorz.
Nel 1983 Jack Nicholson continuava a parlare del progetto.
Quando «Variety>> gli chiese da chi avrebbe voluto essere diretto nel
film, Nicholson rispose: «Stanley Kubrick - mi sento obbligato a
offrirlo a lui per primo. Dopo tutto è stato lui il primo a "napoleo-
nizzarmi!">>. Nel 1986, Jack Nicholson era ancora affasc~nato
dall'idea di interpretare Napoleone. L'attore aveva pagato 250.000
dollari per i diritti di un libro intitolato The Murder of Napoleon, che
meditava di interpretare, produrre o dirigere. Nicholson stava par-
landone con Robert Towne perché gli scrivesse la sceneggiatura. A
Ron Rosenbaum del <<New York Times Magazine>> disse: <<Ho inve-
stito molto sull'argomento. Lo guardo in un certo senso come Shaw,
Nietzsche, quel tipo di pensatori che considerano Napoleone l'uomo
per eccellenza. Quando penso a lui ho una sensazione autobiografica
- di nuovo, in termini di poetica - nel senso che fu un uomo che
conquistò il mondo due volte. E perché è un simbolo del Diavolo. È
così che lo descrivevano in Inghilterra. Ma alla fine fu l'uomo che
rovesciò il feudalesimo, dopo tutto ... Fino ad allora tutto era basato
sulla famiglia. E ora, dopo di lui, potevi essere solo quello che eri>>.
Nel 1994 Ray Connolly, giornalista e sceneggiatore, scrisse il
romanzo Shadow.r on a Watl. Il libro raccontava del film più costoso
mai realizzato da un regista senza freni con una visione maestosa e
un insaziabile appetito per altro girato. Il film era un'epica girata in
location con un cast enorme e costi di produzione smodati.
Il film nel libro era basato sulla vita di Napoleone Bonaparte.
Ii film di Stanley Kubrick sulla vita di Napoleone resterà nei
recessi dell'archivio interno di Kubrick.
355
Capitolo 15
Ultra-violenza

«Lui è tutto. L'ho amato. L'ho odiato. Con lui ho provato ogni emo-
zione possibile. Ma la cosa che mi ricordo davvero è che, quando
facevo qualcosa, si cacciava il fazzoletto in bocca dalle risate. E non
c'è nulla che dia a un attore più adrenalina di vedere il suo regista
che si ficca in bocca il fazzolettO>>.
Malcolm McDowell

<<Arancia mea:anùa, al momento, è il mio preferito. Ero molto preve-


nuto sul film. Dopo averlo visto mi sono reso conto che è l'unico
film su ciò che significa veramente il mondo moderno>>.
Luis Bunuel

«Odio leggere, non lo sopporto. In tutta la mia vita ho letto due


libri. Uno sui fratelli Kray. E Arancia meaanùa>>.
Paul Cook, batterista dei Sex Pistols

Stanley, Christiane, Katharina, Anya e Vivian Kubrick erano


ormai stabiliti in Inghilterra. Per Stanley Kubrick la campagna
inglese era un luogo con poche distrazioni e con facile accesso agli
strumenti del mestiere, mentre Christiane Kubrick era contenta che
la famiglia fosse lontana dalla marea montante della violenza in
America: nei giorni in cui lasciavano gli Stati Uniti, il Paese era
lacerato dalla guerra in Vietnam, dalle tensioni razziali, dal fermen-
to nei campus di tutta la nazione e dagli assassinii di Robert
Kennedy e di Martin Luther King. Durante la traversata verso
l'Inghilterra, Stanley e Christiane Kubrick seppero con certezza di
aver preso la strada giusta sentendo sulla radio della nave il loro
primo programma della Bbc, "Gardener's Question Ti me". A
Valerie Jenkins dell'inglese «Evening Standard>>, Christiane
Kubrick avrebbe raccontato: «Era tutto dedicato a come mettere la
pacciamatura sulle radici e usare il compost numero 2 di John
In nes ... e tutto attorno il mondo stava impazzendo. Abbiamo pen-
sato ... questo è il posto dove vivere». La popolazione dell'Hertford~
shire, zona nota come la <<cintura degli agenti di cambio>>, dava al
due coniugi la privacy di cui avevano bisogno e a Stanley Kubrick-
che da tempo aveva la passione degli investimenti privati - un
356
ambiente ideale. <<Stanley è un perfetto ragazzo di città: tutto questo
per lui è nuovo di zecca>>, spiegò Christiane Kubrick alla Jenkins.
«Suppongo che siamo il tipico esempio di gente che ha vissuto a
New York, fanatici di qualsiasi cosa che si muova senza un'automo-
bile. Così adoriamo vivere in mezzo a tutte queste cose che si muo-
vono e crescono>>. A Christiane, che in tutta la vita non si era quasi
rnai fermata nello stesso posto per più di un anno, piaceva molto la
vecchia casa vittoriana; finalmente si sentiva sistemata. Nel loro
periodo londinese, durante le riprese di Lolita e Il dottor Stranamore, i
Kubrick avevano abitato a St. John's Wood, un'area dotata di un
grande patrimonio artistico; si erano poi trasferiti a Kensington,
continuando a spostarsi fra New York e Londra, e poi a Elstree,
prima di trovare una sistemazione nella campagna inglese, in una
zona punteggiata di case di campagna circondate da parchi, animali
e giardini curati.
Nel 1959, all'età di quarantadue anni, ad Anthony Burgess fu dia-
gnosticato un tumore al cervello che gli doveva lasciare un anno di
vita. Burgess, che aveva iniziato a scrivere appena tre anni prima,
sarebbe sopravvissuto alla diagnosi quasi un quarto di secolo, produ-
cendo oltre cinquanta opere; ma nel 1959, per lasciare un'eredità alla
famiglia, si mise alla macchina da scrivere e riuscì a produrre cinque
libri, sopravvivendo poi abbastanza da vederli pubblicati. Sotto la
pressione dei conti da pagare e alla ricerca di idee capaci di generare
profitti, lo scrittore provò inizialmente a scrivere due romanzi allo
stesso tempo: uno, l Trust and Love You, era basato sul secondo libro
dell'Eneide, mentre il secondo, Sealed with a Loving Ki.rs, era una
rilettura di Peaato .-he .ria una sgualdrina di John Ford. <<In preda alla
disperazione buttai giù un nuovo titolo- A Clo.-kwork Orange- e mi
chiesi che storia avrebbe potuto corrispondervi>>, scrive Burgess nel
secondo volume della sua autobiografia. «Mi era sempre piaciuta
l'espressione cockney "Strano come un'arancia a orologeria" e sentivo
che conteneva forse un significato più profondo della sola, bizzarra,
metafora di una stranezza non necessariamente sessuale. Allora
cominciò a coagularsi una storia>>.
Burgess aveva assistito all'avvento in Gran Bretagna di bande di
teppisti, i Teddy Boys, i Mods e i Rockers. Il primo pensiero dello
scrittore fu di ambientare una storia nell'ultimo decennio del sedice-
simo secolo, raccontando di giovinastri che andavano in giro a pic-
chiare le donne che vendevano a prezzi troppo alti burro e uova, ma
abbandonò l'idea e decise di guardare al futuro. Il nuovo decennio,
CJUello degli anni Sessanta, era appena cominciato, e Burgess
a~bienrò la sua storia nel futuro prossimo del 1970. Nella sua proie-
Zione, la violenza delle bande era divenuta così grave che per combat-
357
terne la piaga lo Stato doveva ricorrere a tecniche pavloviane per
modificare i comportamenti. L'idea di Burgess aveva una base teologi-
ca: il concetto di manipolare il diritto di scegliere liberamente il male
sul bene, non era forse un male maggiore del male stesso? La storia
sarebbe stata raccontata con le parole di un teppista, che si sarebbe
espresso in una versione personale e futuribile della lingua inglese.
A Sheila Weller del <<Village Voice>> Anthony Burgess descriveva
così la fase di scrittura del suo romanzo, Un'aranàa a orologeria.
<<Quel maledetto libro è stata la cosa più dolorosa che abbia mai
scritto. Cercavo di esorcizzare il ricordo di ciò che era avvenuto alla
mia prima moglie che a Londra, durante la seconda guerra mondiale,
era stata selvaggiamente aggredita da quattro disertori americani.
All'epoca era incinta, e perse il nostro bambino. Questo la portò a
una tremenda depressione e a un tentativo di suicidio. Dopo di allo-
ra fui costretto a imparare ad amare di nuovo. Scrivere quel libro,
tirar fuori tutto, era un modo di farlo. Ero sempre ubriaco mentre lo
scrivevo. Era l'unico modo in cui riuscivo a far fronte alla violenza.
N o n sopporto la violenza. Mi ... mi disgu.rta! E ci si sente così
responsabili nel mettere giù su carta un atto di violenza. Se uno rie-
sce a mettere su carta un atto di violenza, ha creato quell'atto! È
come se l'avesse wmpiuto! Oggi detesto quel maledetto libro>>.
Per il linguaggio speciale dei teppisti del futuro, Burgess scartò
l'idea di utilizzare il gergo contemporaneo, che presto avrebbe potu-
to passare di moda, e si mise a inventare un gergo dei futuri anni
Settanta. A metà libro, però, mise il manoscritto da parte, pensando
che il suo gergo arbitrario non funzionasse, e per un po' si dedicò ad
altri progetti. Alla fine lo scrittore trovò una soluzione linguistica e
creò il Nadsat, una lingua il cui nome derivava dal suffisso russo che
indica l'adolescenza: prendendo a prestito circa duecento vocaboli da
un volume russo sul lavaggio del cervello, Burgess plasmò il Nadsat
facendo un misto di russo, inglese popolare, gergo in rima e idioma
zmgaresco.
Un'aranàa a orologeria fu pubblicato in Inghilterra nel maggio
1962 e i recensori inglesi furono brutali: invece di ricevere elogi per
il suo ingegno linguistico, l'autore fu accusato di distruggere la lin-
gua inglese. La Bbc lo invitò per un'intervista, trasmettendo una
versione drammatizzata di buona parte del primo capitolo del
romanzo; ma anche se alla sua apparizione nel programma "Tonight"
della Bbc assistettero ben nove milioni di persone, il libro non andò
molto bene e totalizzò vendite inferiori a qualsiasi precedente oper~
di Burgess. L'intervista toccava i temi del libro solo di sfuggita: gh
inglesi erano sconvolti dalla sperimentazione che lo scrittore faceva
sul linguaggio.
358
Burgess aveva progettato il libro in tre sezioni di sette capitoli cia-
scuna, per un totale di ventuno capitoli, che rappresentavano il sim-
bolo della maturità dell'uomo: i ventuno anni di età. Quando
Urt'arancùt a 01·ologeria fu acquistato per gli Stati Uniti, il vicepresi-
dente della W.W. Norton, Eric Swenson, decise di eliminare il setti-
mo capitolo della terza parte, trovando che il capitolo finale edulco-
rasse troppo la storia. Contro l'opinione di Burgess, Norton volle
anche aggiungere, come guida al lettore, un glossario Nadsat.
In America il libro fu un successo. Nella sua autobiografia Burgess
scrisse: <<Fu gratificante essere compreso in America, e umiliante
essere frainteso nel mio stesso Paese. I critici americani mi obbliga-
rono a prendere sul serio la mia opera e a valutare se la morale impli-
cata dal romanzo fosse solida>>.
<<Vidi che il libro era potenzialmente pericoloso perché presentava
il bene, o quantomeno l'innocuità, come una verità remota e astratta,
qualcosa che era destinato al futuro remoto del mio protagonista,
mentre la violenza era descritta in gioiosi ditirambi. Ma la violen-
za>>, spiegò Burgess, <<andava mostrata. Se avessi cominciato la storia
con Alex in ospedale, condannato per crimini generalizzati dalla
retorica giudiziaria, anche la zitella più gentile avrebbe avuto ragio-
ne di lamentare il pretesto. La finzione si occupa del concreto e del
particolare, anche in Henry James, e il peccato di mostrare la bruta-
lità giovanile era, per me, necessario. Ma ero disgustato dalla mia
stessa eccitazione nel metterlo per iscritto, e scoprii che Auden aveva
ragione quando diceva che il romanziere deve essere impuro fra gli
1m puri>>.
Quando Anthony Burgess sentì dire per la prima volta che
Kubrick aveva acquistato Un'arartcia a orologeria per farne un film,
non ci credette del tutto. Molti anni prima aveva venduto i diritti a
un avvocato di New York, Si Litvinoff, e a Max Raab, dirigente a
Philadelphia di una catena di abbigliamento e la transazione era
ammontata a poche centinaia di dollari. Burgess ora non avrebbe più
visto un soldo, perché non aveva più alcun legame con i diritti cine-
matografici.
Kubrick non era il primo a interessarsi a una versione cinemato-
grafica di Urt'arartcia a orologeria. A metà degli anni Sessanta i
Rol!ing Stones ne avevano progettata una con Mick Jagger nel ruolo
di Alex e gli Stones in quello dei drughi. Nel 1968 era toccato a
Ken Russell prendere in considerazione il romanzo di Burgess, ma il
regista aveva poi preferito fare I diavoli dal libro di Aldous Huxley.
~er quanto tutte queste prospettive fossero interessanti e commercia-
h, i progetti non riuscirono a decollare e i diritti cinematografici di
Un'arancia a orologeria restarono in mano a Litvinoff e a Raab fino a
359
quando i due furono contattati dalla Warner Brothers e da Stanley
Kubrick.
Kubrick aveva sentito parlare per la prima volta di Un'm·anàa a
orologeria durante la lavorazione d i 200 l, quando Terry Southern era
venuto a trovarlo e gliene aveva portato una copia. Il volume era
rimasto sul suo ordinato scaffale per due anni e mezzo, mentre il
regista era immerso nei viaggi interstellari e nella vita extraterrestre.
Appena riuscì a trovare il tempo di leggere Un'arancia a orologeria,
Kubrick ne fu immediatamente attratto. Ad Andrew Bailey della
rivista «Rolling Stone>> dichiarò: <<Si potrebbe quasi dire che è il
tipo di libro nel quale si fa fatica a cercare un motivo per non farlo.
Ha tutto: grandi idee, una bella trama, azione esterna, personaggi
collaterali interessanti e uno dei protagonisti più singolari che abbia
mai incontrato nella narrativa, Alex. L'unico personaggio che si possa
paragonare ad Alex è Riccardo III e penso che entrambi agiscano in
modo molto simile sulla nostra immaginazione. Entrambi portano il
pubblico a dar loro confidenza, entrambi sono completamente one-
sti, acuti, intelligenti e privi di ipocrisia>>. A Bernard Weinraub del
<<New York Times>>, Kubrick raccontò: «Il libro ebbe su di me un
impatto immediato. Tutto mi eccitava, la trama, le idee, i personag-
gi e, naturalmente, il linguaggio. Per giunta, la storia aveva una
struttura tale da rendere più facile la riduzione a film>>.
<<La storia ha due livelli>>, spiegava Kubrick a Joseph Gelmis. <<Ci
sono le implicazioni sociologiche sul quesito se sia più gravemente
immorale togliere a un uomo la libertà, imprigionandolo, o il libero
arbitrio, trasformandolo in un'arancia meccanica, un robot. E il
potere della storia è nel personaggio di Alex che in qualche modo ti
conquista, come Riccardo III, a dispetto della sua malvagità, per la
sua intelligenza e acutezza e per la sua totale onestà. Rappresenta
l'inconscio, il lato selvaggio, represso, della nostra natura, che gode
innocentemente dei piaceri dello stupro>>.
Ad Andrew Bailey, Kubrick dichiarò: <<Direi che la mia intenzione
con Arancia mea:anira era di essere fedele al romanzo e di cercare di
vedere la violenza dal punto di vista di Alex, per mostrare che per
lui era un gran divertimento, la parte più felice della sua vita, che
era come una specie di grande balletto d'azione. Era necessario trova-
re un modo per stilizzare la violenza, proprio come fa Burgess con il
suo stile di scrittura. Il contrappunto ironico della musica era certa-
mente uno dei modi per ottenere questo risultato. Tutte le scene di
violenza sono molto diverse senza la musica>>.
<<II mio problema, naturalmente, era come presentarla nel filrn
senza l'appoggio dello stile letterario>>, spiegava Kubrick a Penelope
Houston. «La prima parte del film, che include la maggior parre
360
dell'azione violenta, ruota soprattutto attorno all'ouverture di La
gazza ladra di Rossini e, in un senso molto lato, potremmo dire che
la violenza viene trasformata in danza, anche se, naturalmente, in
nessun modo assomiglia ad alcun tipo di danza convenzionale. Ma,
in termini cinematografici, dovrei dire che il movimento e la musica
devono inevitabilmente essere associati alla danza, proprio come la
stazione spaziale rotante e l'astronave Orion di 2001 si muovevano al
ritmo di Danubio blu. Dallo stupro sul palco del casinò abbandonato,
alla lotta superfrenetica, attraverso lo stacco sulla statua di Cristo,
fino alla Nona di Beethoven, la lotta in ralenti sulla riva della baia e
l'incontro con la signora dei gatti dove il gigantesco fallo bianco è
opposto al busto di Beethoven, il movimento, il montaggio e la
musica sono le preoccupazioni principali- una danza?>>.
A Pau! D. Zimmerman di <<Newsweeb>, Kubrick disse: <<Anche se
in proposito esiste una certa dose di ipocrisia, tutti sono affascinati
dalla violenza. Dopo tutto, l'uomo è l'assassino più privo di scrupoli
che abbia mai calcato la terra. Il nostro interesse nella violenza riflet-
te in parte il fatto che a livello subconscio siamo molto poco diversi
dai nostri antenati primitivi>>.
La Warner Bros. pagò a Si Litvinoff e a Max Raab 200.000 dollari
per i diritti di Un'm·anàa a orologeria. L'accordo con la Warner, inol-
tre, concedeva loro il 5 per cento sui profitti, una potenziale manna
di circa 1.200.000 dollari, solo per aver conservato una proprietà che
avevano avuto per una miseria.
Burgess ebbe la certezza che Stanley Kubrick stava trasformando il
suo romanzo in un film quando questi cominciò a spedirgli una serie
di cablogrammi urgenti, chiedendogli di vedersi a Londra per discu-
tere la sceneggiatura. Le peggiori paure di Burgess si realizzavano, il
fìlm avrebbe mostrato nudità frontale e stupro.
Al <<London Evening News>>, Burgess dichiarò: <<II film e il libro
parlano del pericolo di recuperare i peccatori minandone la capacità
di scegliere fra bene e male. Più di ogni altra cosa, nella mia storia
volevo dire che Dio ha dato all'uomo la libertà di scegliere fra il bene
e il male, e che si tratta di un dono meraviglioso>>.
Kubrick vedeva nella storia di Un'arancia a orologeria uno studio a
più livelli dello stato naturale dell'uomo quando non è temperato
dalle regole della società. Ad Andrew Bailey il regista dichiarò: <<In
realtà, Un'aranàa a orologeria opera su due livelli. Uno è l'argomento
sociologico, la questione del male commesso dallo Stato nel cercare
di cambiare la natura di Alex. È un livello interessante, serve a forni-
re la struttura della trama, ma non penso che sia davvero da questo
~spetto che la storia trae la sua unicità o la sua forza. Ciò che è più
Irnponanre è che Alex rappresenta l 'uomo naturale nello stato in cui
361
è nato, senza limiti, senza repressione. Quando Alex è sottoposto alla
cura Ludovico, si può dire che ciò simboleggi la nevrosi generata dal
conflitto fra la nostra natura e le restrizioni imposte dalla società. È
per questo che ci sentiamo sollevati quando Alex è "curato" nella
scena finale. Se si accetta l'idea che un fìlm lo vediamo in uno stato
di "sogno a occhi aperti", allora questo contenuto onirico simbolico
diventa un fattore importante nell'influenzare le nostre sensazioni
sul film. Poiché i sogni ci portano in zone che non possono far parte
della mente cosciente, penso che un'opera d'arte possa "operare" su
di noi in un modo molto simile a quello di un sogno>>.
La prima stesura della sceneggiatura che Kubrick trasse da
Un'arancia a orologeria di Anthony Burgess porta la data del 15 mag-
gio 1970; era la prima volta che affrontava da solo il compito della
scrittura. Kubrick cominciò a fare esperimenti con il formato classi-
co della sceneggiatura, impaginato di norma mettendo il dialogo in
una colonna centrale e la descrizione delle scene a piena pagina: per
Arancia mencmica, il regista fece il contrario, centrando le descrizioni
in modo che si potessero leggere come un poema, e allineando il dia-
logo sul margine sinistro, così da catturare immediatamente lo
sguardo del lettore.
Per il ruolo cruciale di Alex, Kubrick voleva Malcolm McDowell,
un ventisettenne attore inglese nato a Leeds e che si era fatto notare
in Se ... di Lindsay Anderson. L'attore era anche apparso in Caccia
Jadica di Joseph Losey e in Luna arrabbia!tt di Bryan Forbes. Quando
Kubrick aveva letto per la prima volta Un'arancia a orologeria,
l'immagine di Malcolm McDowell gli si era fissata nella mente
prima di avere finito il quarto capitolo. A Penelope Houston,
Kubrick disse: «Attori di simile genio non si trovano in tutte le
forme, taglie ed età>>.
A Kitty Bowe Hearty della rivista <<Premiere>>, McDowell dichiarò:
«Stanley mi diede una copia del libro. Lo chiamai, e dovevo essere
assolutamente impazzito, ma gli dissi: "Mi stai offrendo questo?". Ci
fu una lunga pausa e lui rispose: "Sì". Una volta che mi fui tolto
quel pensiero, io dissi: "Beh, guarda, vorrei che ci vedessimo per par-
larne. Ti va di venire a casa mia?". Un'altra lunga pausa: "Dov'è?". E
venne. In una sorta di convoglio. Non mi ero reso conto che per
Kubrick uscire da casa fosse una faccenda così complessa. "Non è un
gran viaggiatore", come dicono>>.
«Ne fui completamente sedottO>>, raccontò McDowell a KittY
Bowe Hearty: «Trovavo che fosse un tipo straordinario. Onestamente
pensavo che stesse facendo una commedia nera e che puntasse
all'umorismo. Ho imparato presto dalla vita che non bisogna aver
paura di non piacere. E divertentissimo- parti suicide>>.
362
<<Alla fine Alex è libero; ed è una nota di speranza>>, disse
McDowell al giornalista Tom Burke. <<Forse nella sua libertà sarà
capace di trovare qualcuno che possa aiutarlo senza lavargli il cervel-
lo. Se il suo "Ludovico van" è in grado di parlargli, forse possono
farlo anche altri».
Kubrick ha detto che le idee di Burgess erano presentate così chia-
ramente nel romanzo da non aver avuto bisogno di coinvolgerlo nella
fase di scrittura della sceneggiatura, e di essersi limitato a chiamarlo
di tanto in tanto per salutarlo. Nei quattro mesi che gli furono neces-
sari per scrivere la sceneggiatura di Arancia meccanica, il regista cono-
sceva solo la versione americana del ltbro. Quando scoprì più tardi il
capitolo mancante - in cui Alex, crescendo, si libera della sua natura
violenta - dichiarò ad Andrew Bailey di <<Rolling Stone>> di averlo
trovato <<completamente fuori tono rispetto al resto del libro>>.
La preparazione di Kubrick per il film richiese un'immersione nel
mondo della psicologia dello sviluppo. Per comprendere la cura
Ludovico descritta nel libro di Burgess, Kubrick fece ricerche
approfondite sul condizionamento psicologico. Le sue letture lo por-
tarono ai classici esperimenti di Pavlov, a metodi di addestramento
basati sul riflesso condizionato e utilizzati dai russi durante la secon-
da guerra mondiale, e alle opere di B.F. Skinner. A «Rolling Stone>>,
Kubrick dichiarò: «Mi piace credere che Skinner si sbagliasse e che
ciò che è sinistro è che questa filosofia possa servire come base intel-
lettuale per qualche tipo di governo scientificamente repressivo>>.
«Un altro punto su cui bisognerebbe attaccare Skinner è il suo ten-
tativo di formulare una filosofia totale della personalità umana esclu-
sivamente in termini di condizionamento. Questa è una concezione
triste. Mi piace credere che esistano certi aspetti della personalità
umana che sono essenzialmente unici e misteriosi>>.
Anche se nel suo ultimo film aveva descritto un computer assassi-
no, Kubrick utilizzava i computer nella lavorazione di un film. Su
<<Rolling Stone» parlò del computer come di «una delle più belle
invenzioni dell'uomo>> e iniziò a fare esperimenti sulla struttura del
film ridisponendo le scene sul mezzo digitale, invece di mescolare
tessere di carta su un pannello di sughero.

La casa di Kubrick, ad Abbot's Mead, a mezz'ora da Londra, era un


centro di comando, uno stabilimento, un bunker. La zona ospitava
anche gli studi Elstree, Mgm e Emi. La tenuta era estesa e cinta da
un muro di mattoni, e accoglieva gli alloggi di Stanley, Christiane,
Katharina, Anya e Vivian Kubrick, sette gatti e tre Golden retriever,
gli uffici del regista e la struttura di montaggio in cui sarebbe stato
assemblato Arancia meccanÙ<t. A Bernard Weintraub del «New York
Times>>, Kubrick dichiarò: <<Qui si sta molto bene, è molto tranquil-
lo, molto civile. Londra è nel senso migliore ciò che New York dove-
va essere attorno al 191 O. Devo vivere qui dove faccio i miei film e,
per come si sono messe le cose, negli ultimi dieci anni della mia vita
ho passato la maggior parte del tempo a Londra>>. Parlando con il
regista in un ristorante vicino a casa Kubrick, Weintraub ne osservò
il tono gentile e non affettato e l'accento di New York, ma anche
certi momenti in cui sembrava teso e distratto. Durante la pausa
pranzo, Kubrick finì di mangiare in quindici minuti, con indosso un
pesante cappotto, e solo dopo si ricordò di levarselo.
Kubrick continuava a lavorare senza tregua sui suoi film. A partire
da 2001, il tempo che gli era necessario per concepirli, per fare le
ricerche, per la produzione e la promozione cominciava a lievitare.
La classica vacanza dopo le riprese del tipico regista americano o
inglese non faceva parte delle abitudini di Kubrick: non aveva fatto
una vacanza fino a quando Lolita non era stato completamente finito;
c'era poi stata una vacanza di cinque giorni con la moglie, per andare
a vedere i bunker del D-Day in Normandia, e sicuramente le infor-
mazioni erano state archiviate in vista di un futuro film. «Chiedermi
di prendere una vacanza dal cinema è come chiedere a un bambino
di fare vacanza dal gioco», disse Kubrick a Pau! D. Zimmerman.
Un'altra delle rare vacanze, in una località sul Mar Nero, offrì a
Christiane Kubrick l'occasione di scoprire l'eredità genetica del
marito: mentre assistevano a una commedia, in un'arena affluirono
cinquecento comparse, tutte munite di folte barbe nere e tutte simili
come gemelli a Stanley Kubrick, e Christiane ebbe modo di vedere
con i propri occhi il legame fra il marito e i suoi antenati dell'Europa
orientale.
In fondo a una stanza dell'area destinata da Kubrick a ufficio e
centro comunicazioni, sì trovavano due grosse casse altoparlanti,
mentre una serie di scaffalature industriali raccoglievano dischi accu-
ratamente catalogati che coprivano l'intera gamma dal tradizionale
repertorio classico fino al più libero jazz internazionale. Accanto
faceva bella mostra di sé un armadietto-schedario, con circa duecenro
cassettini.
L'etichetta di "eremita" cominciava ad aderire a Stanley Kubrick,
che non apparteneva ad alcun identificabile giro sociale o artistico di
Hollywood, New York o Londra. È vero che era sempre in contatto
con il mondo esterno, ma era il mondo esterno che andava da lui: la
radio a onde corte lo teneva in contatto con l'America e con altre
parti del globo, e amici intimi, parenti e colleghi dovevano venire
sul suo terreno, quello in cui conduceva la sua vita personale e pro-
fessionale in un deciso isolamento.
364
Sotto una tenda posta sul terreno della tenuta dei Kubrick era
sempre pronto un tavolo da ping-pong, dove il regista giocava con
amici e visitatori. In particolare, Kubrick amava misurarsi con gli
attori a ping-pong o a scacchi, per stabilire una superiorità che
avrebbe poi potuto sfruttare dietro la macchina da presa.
Il rapporto fra Kubrick e Geoffrey Unsworth, il direttore della
forografia di 2001, era stato positivo e aveva dato risultati spettaco-
lari. In passato, l'esperienza di Kubrick come operatore di tre dei
suoi corti e di due lungometraggi aveva compromesso i rapporti con
i successivi direttori della fotografia: la sua conoscenza delle macchi-
ne da presa, degli obiettivi e delle tecniche di illuminazione lo ren-
deva un interlocutore formidabile anche per l'operatore più esperto,
un regista sempre pronto a prendere in mano la fotografia dei suoi
film. Altri registi avrebbero detto al direttore della fotografia che
tipo di scena avevano in mente, per poi !asciargli mettere le luci e
girare, ma Stanley Kubrick decideva l'inquadratura, l'obiettivo e il
metodo: spesso manovrava personalmente la cinepresa e si riservava
sempre tutte le scene girate con la macchina a mano. Lavorare con
lui richiedeva un ego ben saldo, una conoscenza completa e solida
del mestiere, la capacità di collaborare e la disponibilità a rimettersi
ai suoi desideri fotografici. Lunghe ed estenuanti ore, giorni e mesi
di impegno erano un requisito fondamentale.
John Alcott, un bell'uomo dall'aspetto aristocratico, era nato a
Londra nel 1931. Aveva cominciato come assistente operatore in
produzioni inglesi come Il coraggio e la sfida, Whistle Down the Wind,
La grande attrazione e La vergine in collegio, e aveva lavorato con
Geoffrey Unsworth in 2001. Quando Unsworth aveva dovuto abban-
donare l'interminabile produzione a causa di un altro impegno,
Alcott gli era subentrato nelle ultime riprese. Il suo lavoro sul film
aveva favorevolmente impressionato Kubrick, che cercava ora un
direttore delle luci per Aranàa ntmanica. Alla rivista «American Ci-
nematographet>>, Alcott avrebbe raccontato: «Aranda mea·anica uti-
lizzava un tipo di fotografia più cupa e vistosamente drammatica.
Anche se il film non indicava con precisione l'epoca, era un'epoca
che richiedeva uno stile fotografico veramente freddo e duro>>.
Kubrick si teneva sempre aggiornato sulle innovazioni tecniche
che avrebbe potuto rendere operative nel suo cinema. Spesso gli
c~pitava di avere un'idea estetica o concettuale e di trovare poi le
nsorse tecniche per ottenere qualcosa che andava al di là della tecno-
logia allora disponibile sul mercato.
~er Aranda nteaanùa Kubrick aveva immaginato inquadrature in
~UI avrebbe utilizzato uno zoom per andare da molto vicino a molto
ontano in un solo, continuo, zoom all'indietro. Come spiegava Ed
365
Di Giulio, presidente della Cinema Products Corporation di Los
Angeles: <<Stanley si limita a telefonare dal suo ufficio di Londra e
contatta gente in tutto il mondo per raccogliere informazioni». II
noto direttore della fotografia Haskell Wexler aveva detto a Kubrick
che Di Giulio era molto aperto alle richieste pressanti dei cineasti:
<<Stanley cominciò quindi a chiacchierare con me circa la possibilità
di avere uno zoom 20:1 e io gli dissi "Si può fare">>. Di Giulio spiegò
a Kubrick che si poteva prendere uno zoom 20: l da 16m m della
Angenieux e metterei dietro un doppio duplicatore di focale in modo
che potesse coprire il formato del 35mm: <<Ma naturalmente fare ciò
ti fa perdere due stop di luce per via del doppio duplicatore, il che
rende il tutto parecchio lento>>, spiegò Di Giulio in una telefonata
intercontinentale, con Kubrick in Inghilterra. <<E lui mi fa: "Beh,
bisogna fare così?". Ed ecco il classico, perfetto, Stanley Kubrick,
perché riattacchiamo e il giorno dopo mi arriva un telex lungo un
chilometro in cui lui mi spiega che sul 35mm girerà in 1:1,85. Poi
recita il teorema di Pitagora per mostrarmi come x al quadrato più y
al quadrato sia uguale alla diagonale, radice della somma dei quadra-
ti. E per farmi notare che per passare dal 16mm al 35 non mi serviva
un duplicatore 2 a l, che potevo farlo con un l ,61. E quindi non era
necessario perdere tutta quella luce. Non dovevo perdere due stop,
forse uno stop, o uno stop e mezzo. Insomma, mi sta facendo la lezio-
ne, e io dico: "Ma guarda questo rompicoglioni, un altro di quei
registi genialoidi". Così ho chiamato il mio vecchio amico Bern Levy,
che allora lavorava per la Angenieux, e gli ho detto: "Bern, c'è 'sto
matto di regista che vuole fare questa cosa". Bern disse: "Beh, sai,
Ed, in effetti noi abbiamo un duplicatore l ,6". E io ho detto: "Oh
merda". Questo duplicatore esisteva per altre applicazioni, ma il
punto era che potevo prendere un obiettivo da 16mm, metterei su il
duplicatore e dare a Stanley esattamente l'obiettivo che voleva. Così
usò quello>>. Di Giulio acquistò per Kubrick anche una Mitcheil
BNC standard, che fu ritoccata per la produzione di Arancia
meccanica. La Cinema Products procurò un controllo a joystick che
consentiva di manovrare lo zoom automaticamente e in modo fluido.
Arancia meccanica fu girato in ambienti reali nell'inverno 1970-
1971, con un budget di 2 milioni di dollari. Kubrick voleva creare il
futuro prossimo utilizzando l'architettura moderna dell'Inghilterra
contemporanea. Una vecchia fabbrica fu convertita nei quarrieri
generali della produzione e in uno studio apposito. Gli unici set del
film costruiti in uno studio autentico furono il Korova Milkbar, la
reception della prigione, un bagno con specchio, e il corridoio co~
specchio della casa dello scrittore: si dovette costruirli perché non SI
era riusciti a trovarli dal vero.
366
Kubrick iniziò il lavoro di progettazione acquistando dieci anni di
arretrati di svariate riviste di architettura: il regista passò due setti-
mane a sfogliarle con lo scenografo John Barry, strappandone pagine
e archiviando le immagini ritenute interessanti sotto attenti indici
incrociati. Tutto il materiale era collocato in uno speciale schedario a
vetrina chiamato Definitiv, fabbricato da una società tedesca: quando
la scheda era inserita nello strumento, vari segnali colorati e con sim-
boli alfabetici e numerici permettevano a Kubrick e Barry di incro-
ciare gli indici dei materiali in un'infinità di modi.
Kubrick trovava che questo fosse un metodo più efficiente della
tipica ricerca delle location: inviare ricercatori incaricati di portare
delle fotografie dei luoghi visitati. La maggior parte degli ambienti
del film furono identificati e trovati notandoli dapprima sulle riviste.
L'isolato che ospita l'appartamento di Alex fu trovato al
Thamesmead di Londra, un audace progetto architettonico. L'audito-
rium in cui la cura di Alex viene illustrata in una conferenza stampa
era una biblioteca a South Norwood. La casa dello scrittore fu otte-
nuta girando in due location diverse: l'esterno era quello di una casa
neii'Oxfordshire, mentre l'interno era un appartamento a Radlett.
Alcune scene furono girate alla Brunei University, il negozio di
dischi al Chelsea Drugstore. li teatro deserto in cui una donna viene
violentata e Alex e i drughi si battono con un'altra banda era invece
il palco abbandonato del vecchio casinò di Tagg's Island dove Charlie
Chaplin aveva fatto i suoi spettacoli con Fred Karno.
Kubrick chiamò di nuovo Liz Moore, che per 2001 aveva scolpito
il Bambino delle Stelle, perché creasse i tavoli a forma di donna nuda
del Korova Milkbar. Più tardi l'artista sarebbe rimasta uccisa in un
incidente stradale mentre lavorava con Richard Attenborough in
Quell'ultimo ponte.
Diverse scene prevedevano dipinti a sfondo sessuale, ma per la casa
dello scrittore e di sua moglie, brutalmente aggrediti da Alex e dai
drughi, Kubrick aveva bisogno di una tela che riflettesse l'umanità e
la cultura sofisticata della coppia. Per questo set, Kubrick scelse
Seedboxes di Christiane Kubrick, un ampio dipinto 150x300, solare e
immerso in una luce ocra, con file di cassette acquamarina che con-
tengono germogli di piante e vasi da cui sbocciano fiori bianchi e
mirtillo. Sullo sfondo, circondata da alberi, c'è una grande tenda
bianca all'interno della quale due figure (una potrebbe essere Stanley
Kubrick) giocano a ping-pong. Nella scena il dipinto fa da ironico
contrasto con la violenza inflitta allo scrittore e a sua moglie.
<<Non ce la facevo proprio a vedere l'azione di quella scena, per
Paura che il dipinto si prendesse un calcio>>, disse Christiane
Kubrick a Valerie Jenkins di <<Evening Srandard>>. Alla fine delle
367
riprese, a Seedboxes fu riservata una parete intera nella sala da pranzo
di casa Kubrick. La grande casa divenne un museo delle numerose
opere di Christiane Kubrick, e trovare lo spazio per la continua espo-
sizione diventava arduo anche in una casa con tutte quelle stanze.
Anche Stanley Kubrick aveva le sue opere da appendere in giro:
aveva la passione di creare cartelli per precisare informazioni specifi-
che da impartire allo staffe ai visitatori. Fra i molti avvisi se ne leg-
gevano di questo tenore: «Cane da guardia. Non entrare se non
accompagnati>>, «Tenere il cancello chiuso a tutte le ore»,
<<Attenzione- bambini e cane» e <<Gatta in calore». li suo messag-
gio più ampolloso era probabilmente il seguente: <<Abbiamo un pro-
blema serio con il cane, che scappa se la porta principale viene lascia-
ta aperta. Per favore assicuratevi sempre di chiudere la porta quando
andate via. Il cane è stato quasi travolto in numerose occasioni».
La nuova tecnologia rendeva sempre più facile a Kubrick girare in
ambienti reali mantenendo i suoi rigidi standard tecnici. Il negozio di
dischi fu ripreso con un obiettivo da 9,8mm, con un angolo visuale di
90 gradi. L'obiettivo a f0,95 rendeva possibile a Kubrick e Alcott gira-
re in una stanza con luce naturale fino a tardo pomeriggio con il 200
per cento di luce in meno dei precedenti obiettivi standard da f2,0.
li sonoro un tempo era stato un problema per le riprese in esterni,
costringendo la troupe a riregistrare tutte le piste della colonna duran-
te la fase di postproduzione. Ma per Arancia meccanica non ci fu dialogo
doppiato: tutte le battute furono registrate sul posto, utilizzando
microfoni miniaturizzati e trasmittenti FM nascoste che eliminavano
le giraffe. La scena in cui Alex viene riconosciuto dal vagabondo che ha
picchiato all'inizio della storia fu girata sotto l'Albert Bridge, una
location così rumorosa che Kubrick e la troupe erano obbligati a urlare
per potersi sentire, ma l'avanzatissimo metodo di registrazione utiliz-
zato per il film permetteva di registrare Alex e il vagabondo così bene
che gran parte del suono del traffico circostante dovette essere aggiun-
to sulla colonna effetti in fase di missaggio: Kubrick aveva nascosto
nei risvolti della giacca degli attori un microfono Sennhesier non più
grande di un fermaglio da carta. Questa nuova tecnologia permetteva
al regista di girare personalmente a mano con una Arriflex e di avvici-
narsi fino a un paio di metri dagli attori senza dover utilizzare la
pesante custodia blimp 1 che avrebbe appesantito la cinepresa. A
Kubrick piaceva usare l'Arriflex, che pesava solo sedici chili mentre la
Mitchell -che per anni era stata lo standard dell'industria- si avvici-

l Cusrodia di metallo per la cinepresa, che serve ad assorbire il suono dei mecnmisrru
che permetrono lo scorrimento della pellicola. (N.d.T.)
368
nava ai cinquantasei. Per illuminare il film, Kubrick usò principal-
mente le lampade di scena. Scegliendo lampadari che avessero il giusto
aspetto futuribile e potessero anche ospitare una jJhotoflood2 o una pic-
cola q~tartz, Kubrick e Alcott erano in grado di girare senza dover uti-
lizzare ingombranti fari da teatro di posa. Furono utilizzate anche
alcune leggerissime quartz Lowell da l 000 watt, riflesse sul soffitto e
su ombrelli diffusori: questa tecnica permetteva di girare panoramiche
a 360 gradi senza doversi preoccupare di nascondere le luci, e rendeva
le riprese più efficienti, sveltendo il programma.
Per Malcolm McDowell la lavorazione di Aranàa meccaniw fu una
durissima prova fisica. L'attore aveva il terrore dei serpenti e Alex
aveva un serpente domestico che teneva in un cassetto nella sua stan-
za. Dopo aver concluso la cura Ludovico, Alex viene presentato a un
gruppo in una sala conferenze per dimostrare come sia stato "curato"
dallo Stato, e sul palco arriva un uomo che lo provoca sbattendolo a
terra e calpestandolo: il piede troppo energico del provocatore costò
all'attore qualche costola fratturata. Piì:1 avanti nel film, Alex incon-
tra due dei suoi ex drughi, ora poliziotti, che, in una lunga inqua-
dratura senza stacchi di salvataggio, gli immergono la testa in una
vasca piena di acqua sporca: McDowell eseguì la scena personalmen-
te immergendo la resta in un brodo di carne, e quasi soffocò per trat-
tenere il respiro fino all'ultimo. Le scene più difficili da girare furo-
no però quelle della cura Ludovico: gli occhi di McDowell furono
tenuti aperti dagli appositi divaricatori che costringevano il perso-
naggio a guardare i film violenti usati per purificarlo.
Ad Andrew Bailey di «Rolling Stone>>, Kubrick spiegò:
<<Abbiamo usato un normale attrezzo chirurgico detto "fissapalpe-
bre". Ci voleva coraggio e un'anestesia locale perché lui potesse met-
terselo. Posso assicurarle che non gli piaceva per niente, e che la
prima volta non si riuscì a completare veramente la scena. Ha dovu-
to tornare ad affrontarlo alla fine. Doveva farlo. La scena non sarebbe
stata credibile altrimenti. Una delle peggiori fantasie che si possano
immaginare è di essere in una camicia di forza, legato a una sedia, e
incapace perfino di sbattere gli occhi».
Kubrick dedicò alle scene chiave un tempo considerevole. A Paul
D. Zimmerman di <<Newsweeb> raccontò: <<l maestri di scacchi a
volte spendono metà di tutto il tempo a loro disposizione su
~n'unica mossa perché sanno che, se non è quella giusta, tutta la par-
tita crolla in pezzi. Allo stesso modo, a cerri aspetti cruciali del tuo
fìlm devi dedicare quella che sembra a volte una pericolosa quantità

2 Lampada che produce una luce diffusa. (N.d.T.)

369
di tempo. La scena dello stupro in Aranàa mea·anica in cui Alex fa
Singin' irt the Rain era uno di quei momenti. Ci vollero tre giorni per
riuscire a farla>>. Quei momenti, Kubrick li chiamava gli <<MCP>>, i
«momenti critici della prova>>, una fase in cui regista e attori devono
collaborare per definire la scena.
Durante le riprese, Malcolm McDowell fu invitato a Kensington
Palace per un pranzo della principessa Margaret. L'attore raccontò a
Tom Burke di aver chiesto a Kubrick se poteva ritenersi libero per
l'occasione, e che il regista aveva risposto: «Via, Male, non voglio
dover chiudere tutta la squadra per un giorno solo per lei!>>.
Kirk Douglas, che con Kubrick aveva lavorato in Orizzonti di gloria
e Spartam.r, e che aveva visto Aranàa meccanica, avrebbe un giorno
incontrato Malcolm McDowell e gli avrebbe chiesto come fosse stato
lavorare con il regista. La risposta dell'attore: «Mi ero graffiato la
cornea dell'occhio sinistro. Faceva male, non ci vedevo. Kubrick
disse: "Andiamo avanti con la scena. Farò in modo di farla a favore
dell'altro occhio">>.
Con Kubrick, McDowell sviluppò un rapporto di amore-odio. Una
volta uscito il film, il regista gli scrisse esprimendo il suo dispiacere
per i loro diverbi durante le riprese. Al giornalista Tom Burke,
McDowell confessò: «Ho scoperto qualcosa: che sono veramente affe-
zionato a Stanley, in una sorta di amore-odio. È unico, non esistono
tecnici migliori. È un genio, ma è dotato di un umorismo nero come
il carbone. A volte mi vengono dubbi sulla sua ... umanità>>.
Per il ruolo del poliziotto che interroga Alex, Kubrick scelse
Steven Berkoff, un attore e regista teatrale che aveva già diretto
apprezzate messe in scena di La metam01josi e di Il proce.r.ro di Kafka, e
del Mm·beth di Shakespeare. La carriera di Steven Berkoff sarebbe
proseguita con notevoli performance in Beverly Hill.r Cop - Un piedi-
piatti a Beverly Hill.r, Rambo 2 - La vendetta, Ab.rol11te Beginner.r, The
Kray.r- I Corvi e Barry Lyndon di Kubrick, accanto a molte produzio-
ni teatrali come la sua stessa Salomè del 1995.
La scena fu girata in un vecchio edificio che faceva parte del com-
plesso della Brunei University. Ricorda Berkoff: «Stanley Kubrick
era incredibilmente gentile e molto prodigo di informazioni su ciò
che voleva. Era una persona saggia e dai modi professionali, molto
sensibile agli attori. Se gli davi ciò che voleva non c'erano problemi».
Nella scena, Berkoff offre un'interpretazione molto intensa nel
ruolo di un poliziotto duro che schiaccia il naso di Alex proprio dove
questi è stato colpito con una bottiglia da uno dei drughi; Alex cad~
a terra per il dolore e per tut.to il resto della scena i suoi inquisitoCl
sono mostrati dal suo punto di vista. Kubrick diede a Berkoff l'occa-
sione di guardare in macchina per vedere quell'inquadratura unica,
370
dal basso e con il grandangolo. Racconta l'attore: «Mi offrì l'oppor-
tunità di guardare nel mirino per vedere esattamente come venivo
inquadrato. Pensava che fosse interessante perché era un grandangolo
piuttosto spinto. In effetti era un'inquadratura molto interessante.
Mi mostrava il risultato e lavoravamo benissimo. Stanley era molto
paziente con gli attori. Notai che non si arrabbiava mai, o non sem-
brava arrabbiarsi o essere infastidito da ciò che facevano o non face-
vano. Ricordo che un attore con cui recitavo la scena stava imparan-
do le battute quello stesso giorno perché la sua teoria era che non
voleva impararle prima di sapere esattamente cosa doveva fare.
Stanley disse: "Dovresti sempre imparare le battute prima, perché
così poi le hai dentro di te. Non importa come le faremo, se ci saran-
no cambiamenti o modifiche, almeno hai una base". Fu molto genti-
le nel rimproverare l'attore. lo pensavo che il mio collega fosse stato
sciocco a non voler imparare le battute, specialmente visto che lavo-
ravamo con il maestro. Io le mie battute le avevo imparate. Voglio
dire, le avevo imparate all'indietro, in avanti, dentro-fuori e capovol-
te, così non sarei mai stato colpevole di sbagliare un ciab>.
Essendo un attore di teatro, Berkoff apprezzava l'enfasi di Kubrick
sulla disciplina e sulle ripetizioni per mettere perfettamente a punto
le performance: «Girava una quantità di ciak, voleva avere più mate-
riale possibile. Stanley era dell'opinione che un attore, come nelle
prove a teatro, potesse provare e riprovare a lungo. ·così suppongo
pensasse che avremmo potuto migliorare facendo molte prove, se
facevamo molti ciak. Mi ricordo di aver fatto un bel po' di ciak, non
troppi, ma una discreta quantità. Davanti agli altri attori ti dava
indicazioni molto generali. Ma se c'era qualcosa di più specifico ti
prendeva in disparte, e non ti umiliava, non indicava mai che avevi
sbagliato davanti ad altri>>.
A Londra, Stanley Kubrick andò a vedere The Contraffar, una com-
media di David Storey diretta da Lindsay Anderson in cui Philip
Stone aveva il ruolo insolito e silenzioso del leader di un gruppo di
operai che montano una grande tenda. Lo spettacolo era in cartellone
da diversi mesi. Kubrick andò a teatro due volte a vederlo e fu
impressionato dalla recitazione di Philip Stone. Ricorda l'attore:
<<All'improvviso Stanley mi chiese di andarlo a trovare sul set. Le
riprese di Aranàct meccanù·a erano già cominciate. Ci incontrammo.
Mi disse: "La tua performance nello spettacolo è notevole. Ti andreb-
be di fare questo film?". lo dissi: "Beh, penso che potremmo fare un
bei lavoro insieme". Lui disse: "Già, già, potremmo. Okay, tu fai
Papà". Non sapevo che stavo per entrare nella storia del cinema>>.
<<Papà sembrava un personaggio triste e abbattuto. C'è un lato tri-
Ste della mia personalità e non era particolarmente difficile, purché
371
fossi sincero. Stanley non accetta stronzate. Fa attenzione a tutto con
cura estrema e interminabile prima di cominciare a girare - le luci e
soprattutto il suono. Tutto il set era pieno di piccoli microfoni. A
Stanley piace il suono autentico e immediato. Con tutta quella pre-
parazione ti dà fiducia, ti permette di !asciarti andare ed essere te
SteSSO».
<<Nello stesso periodo di due o tre settimane in cui giravo Arancia
meccanica, lavoravo ogni sera sul palcoscenico per The Contraaor.
Erano giornate lunghe. Mi alzavo alle cinque e mezza e tornavo a
letto a mezzanotte. Mentalmente ero molto eccitato lavorando tutto
il giorno e parte della notte. Alle sei del pomeriggio dovevo finire.
Una macchina mi riportava dal seta Londra. In macchina mangiavo
un panino al prosciutto per tenermi in piedi e poi via sul palcosceni-
co a montare la tenda. Era durissima, oggi non ce la farei piÙ>>.
Kubrick montò il film con Bill Butler in salette approntate negli
ambienti della sua proprietà. Ad Alexander Walker, Kubrick spiegò:
<<L'attrezzatura base che utilizzo sono due tavoli di montaggio
Steenbeck e una moviola. Uso gli Steenbeck per fare le scelte e aven-
done due posso guardare la pellicola ininterrottamente, senza dover
aspettare che l'ultimo rullo sia riavvolto e sostituito. Non mi sento
troppo colpevole per il fatto di avere due Steenbeck, perché il costo
per affittarli entrambi è una percentuale minima degli interessi pas-
sivi che pesano ogni giorno sulla produzione, anche di un piccolo
film, quando si è in fase di montaggio. Trovo che lo Steenbeck sia
meraviglioso per le scelte: consente il fast forward e la marcia indie-
tro, e a velocità normale è molto silenzioso. Ma quando si tratta di
montare veramente il film, e di gestire brevi pezzi di pellicola, la
vecchia moviola è molto superiore, con tutto il suo rumore sferra-
gliante. Quando monto, lavoro sette giorni la settimana. All'inizio
faccio dieci ore al giorno ma poi, quando ci si avvicina alla data ulti-
ma, arrivo anche a quattordici o sedici>>.
La musica di Arancia meccanùa era un elemento cruciale al centro
della storia di Burgess: Alex aveva un amore estremo per la musica
di Ludwig van Beethoven e la Nona Sinfortia era parte integrante
della trama. Kubrick aveva capito subito di volere in tutto il film
musica classica come punto e contrappunto della vicenda, ma rutti
gli elementi del film avevano un trattamento futuribile: per dare lo
stesso sapore a motivi del diciottesimo secolo, il regista si rivolse
all'avanguardia della musica: l'elettronica.
Il 1968 aveva visto l'uscita di uno degli album più venduti di rutti
i tempi, Swiuhed-on Bach, una raccolta di musica al sintetizzatore
creata da Walter Carlos. Carlos aveva composto a dieci anni Trio for
Clarinet, Aa:ordion, and Piano, e a quattordici anni aveva fabbricato
372
un piccolo computer. Le sue passioni per la musica e per la tecnolo-
gia si erano fuse quando Walter aveva compiuto diciassette anni e
aveva impiantato uno studio di musica elettronica. Nel 1966, dopo
aver studiato musica e fisica alla Brown University, e aver lavorato al
centro per la musica elettronica della Columbia-Princeton, Carlos
aveva iniziato a collaborare con l'ingegnere Robert Moog. Il risultato
fu un prototipo di sintetizzatore usato per eseguire adattamenti di
Bach e altri musicisti classici: il sintetizzatore Moog.
Carlos e la sua socia Rachel Elkind incontrarono il produttore
Mike Frankovitch per la colonna sonora del film Abbandonati nello
spazio. Alla fine i produttori decisero di fare il film senza musica e
Rachel pensò a Stanley Kubrick, che si diceva stesse facendo un
nuovo film. Rachel disse all'agente letterario Lucy Kroll che lei e
Walter erano interessati a contattare il regista, e la Kroll li mise in
contatto con Louis Blau, da tempo avvocato e collaboratore di
Kubrick. Il regista ricevette così le copie dei primi due album di
musica sintetizzata di Carlos e della Elkind, e chiese di incontrarli.
Carlos e la Elkind iniziarono a creare brani di prova, che Kubrick
avrebbe inserito nella copia lavoro del film. Via via che il montaggio
procedeva cominciarono a creare brani studiati sulla natura di
Arancia meaanùa.
Kubrick chiese a Carlos e alla Elkind di andare in Inghilterra a
vedere un primo montaggio. Il film era quasi finito, ma non erano
ancora stati inseriti alcuni brani delle fantasie di Alex, mancavano
un paio di scene e alcune sequenze avevano ancora bisogno di essere
scorciate. Durante la proiezione, Carlos e la Elkind si accorsero che
molti dei brani di prova che avevano spedito erano nel film. Uno di
essi, Timestep.r, era una composizione originale di Carlos realizzata
anni prima. Carlos aveva letto il libro e aveva avuto l'ispirazione per
comporre Time.rtep.r, un brano che alternava suggestivi suoni elettro-
nici in un montaggio che produceva una sorta di poema sonoro nar-
rativo. «Stanley era affascinato dai suoni>>, ricorda Carlos, oggi noto
come Wendy. «Ricordo che mi chiese: "Perché non vieni al pianofor-
te e non mi mostri esattamente che note sono?". La parte che chiude
il primo blocco principale di Time.rtep.r finisce con una musichetta e
dovetti fargliela sentire al piano. Aveva questo grande pianoforte
Verticale che sembrava recuperato da qualche magazzino dell'esercito
della salvezza. Stanley insegnava musica alle figlie, che prendevano
lezioni di piano>>.
«Con noi Stanley fu sempre aperto. Rispondeva sempre a tutte le
rnie domande, e io ne avevo tonnellate su 200 l, perché era un film
che mi aveva proprio travolto. Rispondeva su tutto, così quando era
lui a farmi domande era piacevole avere quel tipo di scambio>>.
373
Inizialmente la sequenza dell'orgia era commentata da una regi-
strazione tradizionale dell'ouverture del Guglielmo Te/l. Ricorda
Wendy Carlos: «Buttai lì quasi per scherzo che sarebbe stata molto
più divertente se ne avessi fatta una versione sintetizzata e accelerata.
Era buffa, ma non tanto quanto avrebbe potuto essere>>. Kubrick
chiese: «Aspetta, che vuoi dire? Mi fai vedere?>>. Non appena ebbe
sentito la versione sintetizzata da Carlos del classico di Rossini, il
regista lo inserì immediatamente nel film.
Kubrick era pieno di domande sul sintetizzatore e sulla musica.
Dice Wendy Carlos: «È molto aperto alla collaborazione, una persona
molto aperta. È molto facile parlarci. È estremamente intelligente.
Mentre stavamo lì, Rachel e io facevamo scintille. Voglio dire che
quasi non ce la facevamo nemmeno più a tornare in albergo per dor-
mire. Eri così in tensione che non potevi più smettere. Poi lui manda-
va il suo autista a prenderti all'alba per la prossima cosa da fare. Non
so da dove prenda tutta quell'energia, ma è affascinato da tutto>>.
La Elkind, Carlos e Kubrick si piazzavano sul tavolo Steenbeck di
casa Kubrick con una quantità. di dischi, e ascoltavano miriadi di
brani guardando il montaggio. Ricorda Carlos: <<Provava varie cose.
Faceva veramente cadere la puntina. Naturalmente all'epoca c'erano
solo gli Lp. RijJ, rijJ, la puntina andava giù. "Sentiamo questa, tor-
niamo indietro". Stanley aveva lì il suo Steenbeck e riavvolgeva la
pellicola e provava un'altra combinazione. Saltava fuori questo acco-
stamento. "Beh, funziona davvero? Proviamo a metterlo un po'
prima". Stanley lo faceva direttamente dai dischi che avevamo porta-
to, e alla fine ci toccò prendere i nastri che gli avevamo spedito e
mandarli in un posto dove stampassero su vinile, in modo che potes-
se avere dei 33 giri da far girare. Per lui era molto più comodo così
che avere la musica su un nastro da un quarto di pollice, che avrebbe
dovuto trasferire su pellicola magnetica e quindi sullo Steenbeck per
vedere se funzionava o meno. Quella fase sarebbe arrivata dopo, ma
la prima fase era: sentiamo direttamente dal disco, anche se non
suona granché bene, giusto per sentire se siamo dalle parti giuste.
Era stata un'idea di Rachel, si doveva a lei un bel po' dell'energia,
della creatività e di tutti quegli elementi che spesso si tende a dare
per scontati ma che fanno avvenire un progetto e rendono creativa
l'interazione>>.
«C'erano volte che Stanley si piantava su certe cose anche se io ero
convinto che avevamo idee molto migliori. Niente da fare, la voleva
così e naturalmente era un suo diritto, essendo il regista. Funziona
così in qualsiasi impresa creativa, e il cinema è l'esempio migliore.
Ho lavorato con Rachel per anni, e non si sa mai da dove venga
l'idea di una musica, si sa solo che viene, solo questo importa>>.
374
Oltre alle creazioni al sintetizzatore di Carlos e della Elkind,
Kubrick usava registrazioni classiche preesistenti - molte della
Deutsche Grammophon -come già aveva fatto per 2001. Jan
Harlan, fratello di Christiane Kubrick e assistente alla produzione,
era essenziale nell'assicurare una consulenza in fatto di musica e di
cultura. Spiega Wendy Carlos: «]an studiava musica. Lui e sua
moglie sono molto colti, in un senso meravigliosamente europeo.
Quando Stanley diceva: "Esiste un brano musicale che suoni un po'
come ... ", Jan diceva: "Oh, sì, Stanley, naturalmente, c'è questo e
quest'altro di tale e talaltro" e li trovava al volo. Quando feci gli
adattamenti da Beethoven e mi serviva una partitura completa, Jan
ce l'aveva. Aveva queste splendide registrazioni tedesche che erano
meravigliose>>.
Quando Carlos e la Elkind tornarono a New York da Londra, rien-
trarono al loro studio con un'immensa pila di appunti e bloccarono
gli appuntamenti di tutto per il mese successivo, e oltre, per creare
la musica di Arancia 11teccanica. Ricorda Wendy Carlos: «Ci assicu-
rammo che nello studio tutto fosse in linea e funzionasse, chiamam-
mo un po' di gente perché ci desse una mano e cominciammo sem-
plicemente a fare ricerche, correndo in biblioteca a procurarci spar-
titi e inviando musiche a Kubrick. La svolta venne con uno dei pri-
missimi registratori a cassetta Dolby. Ce ne prendemmo uno e se ne
prese uno anche Stanley. Divenne quello il modo in cui ci spediva-
mo avanti e indietro la musica. Era perfetto. Poteva mandarci roba
che aveva sentito: "Perché non ascoltate un attimo questa cosa?
Potete provare a metterei qualcosa dentro?", e ci mandava una cas-
setta. Ancora non esisteva il Fed Ex3 e così dovevamo andare giù
all'aeroporto e spedire pacchi avanti e indietro per corriere aereo.
Quando finivamo certi missaggi del sonoro prendevamo il nastro da
un pollice, a otto piste, e a fine serata lo portavamo all'aeroporto.
Era estate. Ti trovavi in un ingorgo, sotto il caldo soffocante.
Arrivavamo all'aeroporto, allo sportello "corrieri" del Kennedy,
mollavamo il pacco, ci prendevamo la ricevuta, tornavamo a casa,
acchiappavamo qualcosa da mangiare per strada e telefonavamo alla
segreteria telefonica di Stanley: "Sta sull'aereo, ce l'avrai domattina.
Allora, la pista uno è questa pista, la pista due è questa, la pista tre
è una versione che abbiamo provato a fare così, la pista quattro è
una versione diversa, la pista cinque è quella fatta come dicevi tu
ma che a noi sembrava che non funzionasse, la pista sei è una varia-

3 Espressione familiare per 'Tederal Express'', popolarissimo corriere internazionale.


<N.d.T.)

375
zione su quest'ultima, che forse è il miglior compromesso". A metà
pomeriggio, il corriere aereo aveva mollato la roba a casa sua. Allora
lui la portava allo studio, che aveva preso in affitto tutto intero, e
vedeva se poteva usare qualcosa. Insomma, lavoravamo a distanza in
un modo che può sembrare goffo, perché ora si può fare molto più
facilmente».
<<II problema era che Stanley lavorava sempre a Londra. Non voleva
viaggiare e quando abbiamo fatto sia Arancia meccanica che Shining la
nostra attrezzatura era totalmente impossibile da trasportare. Ne
parlammo. Potevamo affittare un appartamento a Londra e spedire
su un po' di roba, in parte si sarebbe scassata definitivamente, in
parte la si sarebbe potuta aggiustare. Negli anni Cinquanta, quando
i Barron fecero la colonna sonora di Il pianeta proibito, lavorarono pro-
prio qui sull'Ottava strada di New York mentre il film veniva girato
alla Mgm, e spedivano la roba avanti e indietro>>.
La Elkind e Carlos tentarono di convincere Kubrick a scegliere, per
i titoli e per certi momenti del film, qualcosa che non fosse il brano
di Henry Purcell Mu.ric for the Funeral of Queen Mary, ma lui non
volle smuoversi dalla decisione; non gli piaceva però l'esecuzione,
che aveva trovato su un vecchio Lp, e si rivolse a Carlos e alla Elkind
dicendo: <<Vedete se vi riesce di farne una versione migliore per il
film>>. Così i due produssero la inquietante e ossessiva musica che
sarebbe stata identificata con Alex e i suoi drughi. Spiega Wendy
Carlos: <<Ii termine esatto è "metamorfizzato". Puree!! è metamorfiz-
zato in una cosa più ampia, elettronica, strana, e funzionava. A
Stanley piacque molto e non ci ripensò piÙ>>.
Per scegliere fra la profusione di idee musicali che Carlos e la
Elkind gli proponevano, Kubrick ricorreva alla diplomazia. Ricorda
Wendy: <<Quando non voleva qualcosa, diceva sempre: "Beh, pare
che ci sia un'altra buona idea per il disco", intendendo: almeno così
puoi risparmiare un po' di chilometri. Era un modo di usare il suo
senso dell'umorismo per superare qualcosa che non sarebbe stata una
buona notizia. In effetti, uno non ha voglia di fare l'ambasciatore
porta-pena>>.
La musica di Carlos e della Elkind fu registrata in stereo, ma a
Kubrick non piaceva usare lo stereo per un film, così tutte le piste
della colonna sonora furono riregistrate in mano. Arancia meccanica
sarebbe stato il primo film a fare uso del Dolby per ridurre il fruscio
in tutte le fasi del missaggio, ma Kubrick non era ancora pronto a
usarlo durante la produzione del sonoro.
Nel suo nuovo film, Kubrick voleva il nome sopra il titolo. Il
nome di David Lean appariva prima del titolo delle sue opere pìù
recenti con la dizione <<David Lean's Film of>>, una posizione che
376
conferiva al regista di Lawrence d'Arabia e di Il dottor Zivago il rango
di superstar. Kubrick insistette per chiamare il film Stanley K11brick:r
A Clockwork Grange, presentandolo con una rivendicazione di pro-
prietà: Anthony Burgess era l'autore e il creatore del testo, ma il film
era di Stanley Kubrick. L'espressione scelta dal regista lo definiva
come una superstar (e infatti fu scelto per essere intervistato per il
libro The Film Director a.r S11per.rtar). Kubrick voleva far sapere a tutti
di essere l'unico creatore del film: era l'autore della sceneggiatura, il
produttore e il regista e manteneva il totale controllo artistico, oltre
ad avere in mano gran parte degli aspetti economici.
Nell'autunno del 1971, la Warner Bros. invitò Anthony Burgess,
sua moglie Liana e il figlio di sette anni a Londra, facendoli venire
dalla loro casa in Italia e ospitandoli in una lussuosa sui te al Claridge
Hotel per farli partecipare a una proiezione privata del film.
Burgess era un ammiratore dei film di Stanley Kubrick, special-
mente di Orizzonti di gloria e Il dottor Stranamore. Lolita gli aveva dato
qualche preoccupazione perché sentiva che vi erano delle affinità con
il modo in cui Kubrick avrebbe affrontato Arancia meccanica. Burgess
trovava che Kubrick non fosse stato capace di trovare uno stile cine-
matografico adatto a rendere la danza letteraria di Nabokov. Lo scrit-
tore pensava di avere in comune con Nabokov la scelta di concentrarsi
più sull'uso del linguaggio che non sul sesso o sulla violenza, a diffe-
renza di Kubrick. Nella sua autobiografia, Burgess scrisse: «Il fine
dello scrittore in entrambi i libri è di mettere in primo piano il lin-
guaggio, non il sesso o la violenza. Temevo che il fatto di ripetere per
Arancia meccanica la tecnica usata con Lolita, di ridurre tutto all'osso
narrativo, ne avrebbe fatto un esempio di pornografia gratuita. Ciò in
cui speravo, avendo visto 2001: Odi.r.rea nello .rpazio, era uno sforzo
esperto nella direzione dì un futurismo visuale. Un'arancia a orologeria
era stato ambientato in un vago futuro che probabilmente era già pas-
sato; Kubrick aveva l'opportunità di creare un nuovo, fantastico futu-
ro che, essendo realizzato negli arredi, poteva influenzare il presente>>.
Arthur C. Clarke, che aveva lavorato con Kubrick su 2001, aveva
visto una copia lavoro dì Arancia meccanica e aveva telefonato al colle-
ga Anthony Burgess per dirgli che il film era visivamente eccitante.
Finalmente, Burgess e sua moglie si recarono in una sala di proiezio-
ne di Soho per vederlo. Durante la proiezione, Kubrick sedeva in
fondo alla sala. A dieci minuti dall'inizio Deborah Rogers, ospite
dello scrittore, gli disse che non ce la faceva e che voleva andar via;
un minuto dopo, Liana sì girò verso il marito e annunciò anche lei
l'intenzione di andarsene. Burgess subito pregò le donne di evitare
Una scortesia nei confronti del gentilissimo Stanley Kubrick, ed
entrambe rimasero fino alla fine del film.
377
Nonostante le sue paure, Burgess trovò che il film rispondesse in
modo brillante al suo virtuosismo linguistico: gli piacquero in parti-
colar modo la scelta cinematografica di usare il rallentatore per la
scena del tentato suicidio di Alex, e l'accelerazione dell'orgia.
Leo Greenfield, capo della distribuzione alla Warner, pensava ini-
zialmente di far uscire Arancia meaanùa alla fine di settembre, ma
Kubrick voleva che il suo film uscisse nel periodo natalizio, quando
erano distribuiti tutti i film in cui gli studios riponevano le speranze
per gli Academy Award.
A fine novembre 1971, la Warner Bros. voleva iniziare le proiezio-
ni stampa del film. La data della prima era fissata per il 19 dicembre
al Cinema I di New York e in sale di San Francisco. A Londra,
Kubrick stava ancora lavorando sulla versione definitiva. Alla
Warner erano preparati a vedersi classificare il film con una X, come
gli era già successo per l diavoli di Ken Russe!!. Il 15 novembre, lo
studio iniziò a diffondere annunci sui giornali, spot radiofonici e
trailer di Arancia ntece"anù·a senza ancora avere una risposta sicura sul
divieto, nell'attesa ansiosa del verdetto della Mpaa. Kubrick aveva il
diritto al fina/ c-ut: quando l diavoli aveva avuto la X, la Warner
aveva richiesto a Ken Russell di effettuare una ventina di tagli sul
suo montaggio per alleggerire il materiale sessualmente più esplici-
to, e la X era stata tolta. Gli studi erano molto nervosi circa l'impat-
to negativo che una X poteva avere sugli incassi: la Columbia aveva
schivato la X tagliuzzando il Mm·beth di Roman Polanski, e lo stesso
aveva fatto la Cinerama Releasing con Cane di paglia di Sam
Peckinpah; ma la Warner Bros. non sapeva bene come avrebbe potu-
to reagire Kubrick.
La stampa voleva informazioni sul nuovo film del regista, che
però si rifiutava di fare un tour di conferenze: chiunque fosse inte-
ressato a intervistare Stanley Kubrick doveva andare da lui. La
Warner Bros. diede una mano a organizzare appuntamenti con
Kubrick per Pau! Zimmerman, Jay Cocks e Judith Crist, ma i
viaggi furono pagati dai rispettivi capi dei giornalisti alle riviste
<<Newsweek>>, «Time>> e «New York>>. Quando alla Warner Bros. si
resero conto che non si sarebbe mai riusciti a far arrivare a New
York una copia della pellicola nella data prevista, pagarono il volo
in Inghilterra a Hollis Alpert del «Saturday Review>> perché potes-
se fare una copertina su Kubrick e Aranàa meuanie"a. Durante
l'intervista con Penelope Houston, il regista aggiunse alla registra-
zione un elemento acustico felino, così descritto dalla giornalista
nel suo pezzo sul «Saturday Review>> del «Times>> di Londra:
«Mentre parliamo con Kubrick, uno dei suoi inquilini, un enorme
gatto, si avvicina maestoso sul lungo cavolo, mettendo le zampe
378
nel registratore e facendo vigorosamente le fusa nel microfono.
Continuiamo a parlare e il gatto continua a registrare il suo bron-
tolio. E anche questo suono, sul nastro, sembra un'appropriata
scelta kubrickiana».
Kubrick ammetteva in casa e in ufficio giornalisti e visitatori, ma
manteneva il più stretto riserbo su molte questioni inerenti al suo
modo di fare film, un'area che considerava privata, e arrivava al
punto di nascondere fisicamente le zone che mostravano come lavo-
rava. Raccontò Malcolm McDowelJ a Pau! D. Zimmerman: <<Quando
andai a casa di Stanley notai una quantità di asciugamani che copri-
vano un muro. Venne fuori che nascondevano il suo sistema di indici
incrociati. Gli piace la segretezza>>.
Vietar Davis del «Daily Express» intervistò Kubrick in un risto-
rante vicino alJa casa del regista nelJ'Hertfordshire. Kubrick entrò
indossando una pesante giacca e scarpe d'ordinanza e passò a disagio
accanto a uomini d'affari che bevevano e parlavano ad alta voce al
bar. Kubrick era in una giornata filosofica e parlò a Davis della
moralità di Aranàa meccanica: «La cultura sembra non avere effetti
sul male. Molte pagine sono state scritte sul falJimento delJa cultura
nel ventesimo secolo: l'enigma dei nazisti, che ascoltavano
Beethoven e mandavano milioni di persone nelJe camere a gas. Non
serve a niente sostenere che la legge e l'ordine sono un falso argo-
mento solJevato da elementi neofascisti che ci si vogliono attaccare.
Può darsi, in effetti, che lo facciano, ma è un problema autentico. Di
sicuro una delJe serie questioni morali poste da Aranàa meccanica è se
il male del metodo usato dallo Stato per trovare una "cura per il cri-
mine" sia peggiore del male individuale di Alex. A ogni modo, qual-
siasi cosa io pensi e quale che sia la vera natura dell'uomo, in qualche
modo è riuscito a sopravvivere, e c'è da sperare che continuerà a
sopravvivere».
A Londra, Kubrick stava seguendo il suo film attraverso i laboriosi
passaggi delJa produzione della copia definitiva. Non comprava un
paio di scarpe nuove da più di un anno, e nelJ'andirivieni fra il suo
centro di comando e i laboratori di sviluppo e stampa, riuscì a trova-
re un momento per fermarsi al Golden Green, a nord di Londra. Il
regista passava da una vetrina all'altra, indeciso se prendere il paio di
stivali da lavoro che avrebbe preferito o un paio di scarpe più elegan-
ti, come da istruzioni di sua moglie: per Aranàa meccanica, l'unifor-
me di Kubrick era costituita da un paio di pantaloni grigi stazzona-
ti, una giacca monopetto blu con i gomiti ormai lucidi e una giacca
a Vento di colore olivastro; abitualmente indossava camicie larghe e
Pantaloni sformati: l'uomo che una volta aveva posseduto tre abiti
ora aveva nelJ'armadio solo semplici giacche.
.179
Mentre Kubrick scorreva le vetrine cercando le scarpe giuste, il suo
ufficio lo stava cercando. Quando riuscì finalmente a entrare in un
negozio di scarpe che gli andasse a genio, il commesso gli chiese se
fosse americano e, quando il regista ripose di sì, gli passò un telefo-
no. Ali 'inizio della giornata, guidando la sua Mercedes del 1967,
Kubrick aveva notato che la lucetta rossa sul quadro aveva comincia-
to a lampeggiare e, dal telefono mobile dell'auto, aveva dato istru-
zioni al suo assistente Andros Epaminondas perché contattasse la
Mercedes chiedendo informazioni sulla macchina. Nell'organizzatis-
sima operazione paramilitare, Kubrick era l'operativo 285 e Andros
l'operativo 783. Una volta stabilita la connessione, Kubrick ordinò
ad Andros di chiamare il quartier generale della Mercedes per sco-
prire cosa andasse male nella sua macchina e, quando apprese che
poteva trattarsi di una perdita nel liquido dell'impianto frenante,
tornò a casa a una velocità dimezzata rispetto ai ritmi già molto lenti
che si era imposto di recente per motivi di sicurezza, e prese la sua
Land Rover a dodici posti per andare al laboratorio del National
Screening a vedere la prima copia dei titoli di Aranda mea-anù-a.
La proiezione andò male. Kubrick trovò che il fondo blu divorava le
lettere bianche, e su uno degli sfondi dei titoli si vedeva l'ombra di
una riga. L'occhio del regista, preciso come un obiettivo, percepì che
tutta la scena era proiettata fuori fuoco. Con calma scrisse le sue
annotazioni. Il capo del laboratorio rispose che molti dei problemi
lamentati non potevano esistere, ma Kubrick ordinò una nuova stam-
pa e ottenne la promessa dei nuovi risultati per il giorno seguente.
Kubrick aveva uno scaff personale di otto persone che adempivano
alle sue dettagliate commissioni. Ad Andrew Bailey, che era venuto
a trovare il regista per un articolo che stava scrivendo per <<Rolling
Stone>>, Andros confidò: <<Vede questo pezzo di carta? Misura quin-
dici centimetri per dieci, perché Stanley ritiene che quindici per
dieci sia il formato migliore per un memo. Il fatto è che ha ragione.
Certo, può essere frustrante lavorare per Stanley, non perché taglia
fuori le iniziative personali, ma perché ha sempre ragione. In realtà
lavorare per lui dà grandi soddisfazioni. Penso di dedicargli parte
della mia vita. So che ne varrà la pena>>.
Bailey trovò assai arduo intervistare Stanley Kubrick: il regista
discuteva raramente l'argomento dei suoi film ed era molto circo-
spetto sui lavori ancora in corso. Bailey imparò, come Arthur C.
Clarke prima di lui, che Kubrick amava saltare da un argomento
all'altro senza preavviso: mentre il giornalista voleva parlare di
Aranda mea-anù-a, Kubrick passava ad argomenti che andavano dal
costo della stampa dei giornali allo stile della difesa del calcio ingle-
se. Bailey si accorse che molta gente desiderava incontrare il regista e
380
che tutti erano costretti ad adattarsi ai suoi orari. Il giornalista trovò
Kubrick cortese e diplomatico.
Una settimana prima dell'uscita di Arancia meaanùct, il negativo
originale fu graffiato e la qualità del colore si rivelò non corrispon-
dente alle richieste specifiche di Kubrick. Il regista si sfogò con
Bernard Weintraub del «New York Times>>: <<11 laboratorio è capa-
cissimo di fare orribili errori. Proprio l'altra sera ho visto in televi-
sione Orizzonti di gloria, e molti rulli erano stati stampati fuori sin-
crono. Le macchine stampano a volte troppo scuro, a volte troppo
chiaro, o con i colori sbagliati. Ci sono un sacco di variabili>>.
Quando Kubrick scoprì il graffio sul negativo decise di cambiare
laboratorio per proteggere il film e pianificò la mossa con precisione
militare, trasportando personalmente i sedici rulli di negativo con la
sua Land Rover corazzata. Come un agente dei servizi segreti, chiese
al suo montatore di precederlo a breve distanza con la sua auto, per
assorbire l'impatto nell'eventualità di un incidente. Ma Kubrick
restava sempre calmo di fronte allo stress e alle avversità; Ed Haben,
un tecnico del doppiaggio che aveva lavorato con lui dieci settimane
per Arancia meaanùa, dichiarò a Pau! D. Zimmerman: «Ha avuto un
bel po' di buone ragioni per esplodere con tutti. Ma non ha mai alza-
to la voce, non una sola volta>>.

La copia definitiva finalmente pronta di Arancia meaanica fu mos-


trata in anteprima per una serie di pomeriggi ai distributori esteri e
ad altri, nella sala 7 dei Pinewood Studios, con Kubrick che si occu-
pava personalmente di controllare la messa a fuoco e i livelli del
sonoro: il regista aveva passato giorno e notte a controllare personal-
mente la qualità di ogni copia che usciva dal laboratorio prima di
concedere il nulla asta e spedirla alle sale.
In una settimana, la Warner Bros tenne quindici proiezioni e il
film fu proiettato nove volte in un'ampia sala della 20th Century-
Fox. Sei anteprime erano previste per il Cinema I, la sala di New
York che avrebbe ospitato la "prima" assoluta. Circa cinquemila per-
sone avrebbero visto il film prima che il pubblico avesse potuto met-
tere i soldi in mano ai bigliettai.
Dal suo centro di comando casalingo in Inghilterra, Kubrick tene-
va gli occhi bene aperti sul modo in cui sarebbe stato trattato
A1·ancia meccanica. A New York era prevista una proiezione stampa al
Cinema I, ma Kubrick sapeva che la sala proiettava i film su un
~uro bianco di cemento, senza una maschera che circondasse e
Inquadrasse l'immagine, e pretese che per l'occasione fosse montata
una maschera nera. Fu fatta pressione su Donald Rugoff, proprietario
della sala, che acconsentì a montare la maschera. Ma Kubrick teneva
381
sempre le fila della situazione e alle sei del mattino, ora di Los
Angeles, chiamò Dick Lederer, vicepresidente dell'ufficio pubblicità
della Warner Bros., per chiedergli di tenere un occhio sul Cinema I.
A sua volta, Lederer mandò Joe Hyams, il suo vice incaricato della
pubblicità, a controllare i progressi della maschera nera, e questi lo
richiamò facendo rapporto: «Meno male che mi ci hai mandato, sta-
vano dipingendo la maschera di arancione neon».
Le reazioni critiche ad Arancia meccanica furono un campionario di
estremi. Vincent Canby del <<New York Times>> fece al film una
recensione entusiastica definendolo <<brillante, un tour de force di
immagini, musica, parole e sensazioni straordinarie, un risultato ben
più originale per il cinema di quanto il romanzo di Burgess sia stato
per la letteratura, perché Burgess, dopotutto, aveva antecedenti let-
terari imbattibili, fra cui l'opera di Joyce. Arancia meccanica è così
splendido da vedere e da ascoltare che abbaglia i sensi anche mentre
trasforma il vecchio, autentico, vino rosso in ghiaccio».
Andrew Sarris, il guru americano della teoria dell'autore, aveva a
suo tempo stroncato 2001, ma rivedendolo aveva poi cambiato radi-
calmente opinione. Nel suo commento ad Arancia meccanica nella
rubrica "Films in Focus" sul <<Village Voice», Sarris scrisse: <<Non
fidatevi di quello che dico. Andate a vedere Arancia meccanica e subi-
te la dannazione della noia. Coloro che ricordano la mia parziale
ritrattazione su 2001 non si aspettino che questa volta io faccia mar-
cia indietro». In una recensione profondamente negativa, Sarris
dichiarava: <<Lasciatemi solo dire che Arancia meccanica si manifesta
sullo schermo come una fantasia futuribile senza dolore, senza san-
gue e, alla fine, senza senso». Sarris chiudeva definitivamente il
discorso su Kubrick con un monito che attaccava l'eccessiva violenza
del film: <<Ciò che mi fa paura è il caos che ci inghiotte tutti. Sono
stanco del culto della violenza. Sono stanco di quelli che fanno a
pezzi la gente e le cose nel nome della libertà e dell'espressione per-
sonale. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il definitivo
fallimento di Arancia meccanica. Quello che abbiamo qui è semplice-
mente un pretenzioso falso».
John Simon, acido e facondo critico cinematografico, annunciò
durante il popolare "Dick Cavett Show" che Arancia mea-anica si era
piazzato nella sua lista dei dieci film peggiori. Invece il <<Daily
News» ospitò l'entusiasmo di Rex Reed, che definiva Kubrick un
genio e Arancia mea-anica «un'opera stupefacente di abbagliante ori-
ginalità e intelligenza che funziona a più livelli di coscienza». Reed
proclamò: <<Arancia meccanù-a è uno dei pochi film perfetti che abbia
visto in tutta la mia vita». Quando la stampa cattolica e i conserva-
tori attaccarono la violenza di Arancia mea·aniw, Burgess prese pub-
382
blicamente le difese del film, mentre Kubrick taceva. Nella sua
autobiografia, lo scrittore disse: «Non ero sicurissimo di cosa stessi
difendendo: il libro, che era stato definito "un maligno, piccolo
shock" o il film su cui Kubrick manteneva il silenzio. Mi resi conto,
non per la prima volta, di quanto minore possa essere l'impatto di
un libro anche scioccante rispetto a quello di un fìlm. li risultato di
Kubrick aveva inghiottito il mio, e tuttavia ero io il responsabile di
ciò che qualcuno definiva una maligna influenza sui giovani».
Per stilizzare la violenza e il sesso in Arancia mm-anica, Kubrick
aveva fatto ricorso al rallentatore e all'accelerazione. Anthony
Burgess aveva usato nel suo libro una lingua vera e inventata.
Kubrick aveva usato diversi stili cinematografici per trasformare la
violenza grafica e gli atti sessuali in qualcosa di natura meno esplici-
ta; come spiegò a Joseph Gel mis: «Volevo trovare un modo di stiliz-
zare tutta quella violenza e di renderla il più possibile simile a un
balletto. Il tentativo di stupro sul palco ha gli ipertoni di un ballet-
to. Essi si muovono attraverso il palcoscenico. La sequenza accelerata
dell'orgia è una barzelletta. Ci vollero circa ventotto minuti per gira-
re quella scena a due fotogrammi al secondo. Sullo schermo dura
circa quaranta secondi. La lotta di Alex contro i suoi drughi sarebbe
durata circa quindici secondi se non fosse stata al rallentatore.
Volevo rallentarla fino a un piacevole movimento sospeso>>.
<<Raccontare una storia in modo realistico è un modo di procedere
così ozioso e pesante, e non soddisfa i bisogni psichici della gente>>,
spiegò Kubrick a Pau! D. Zimmerman. «Sentiamo che nella vita e
nell'universo c'è più di quanto il realismo sia in grado di descrivere>>.
Le sequenze delle fantasie di Alex erano un problema complesso.
Per trovare le immagini adatte allo stato sognante di Alex quando
ascolta il suo amato Ludovico van, Kubrick si rivolse al cinema. A
Joseph Gelmis, spiegò: «Ii libro descrive stilisticamente cose che
non potevo filmare. Io volevo solo che visualizzasse le immagini
meno appropriate che possono venire in mente ascoltando la Nona
Sinfonia di Beethoven. Immagini violente. La sequenza dei caverni-
coli veniva da Un milione di anni fa, il film con Raquel Welch. Alex
avrebbe immaginato cose che aveva visto al cinema>>.
La pubblicità per Arancia mea·anica includeva un'impressionante
espositore destinato alle sale con illustrazioni all'aerografo dell'arti-
sta Phil Castle e uno slogan a caratteri cubitali che proclamava:
<<Che cosa stava combinando Stanley Kubrick?>>. Le audaci illustra-
zioni mostravano Alex con una dentiera in un bicchiere, Alex con un
bicchiere di latte e Alex e i suoi amici drughi.
Arancia mea-anù-a uscì al Cinema I di New York e batté ogni record
di incasso per una programmazione limitata a sei proiezioni. Un
383
record sui sette giorni fu stabilito al Towne di Taranto e al Metro di
San Francisco.
Arancia meccanica finì per ricevere dalla Mpaa proprio la X, la
temutissima lettera che veniva utilizzata per etichettare la pornogra-
fia hard-core. Il dottor Aaron Stern della commissione Mpaa spiegò
la decisione dicendo: <<Sono volato a Londra per parlare a Stanley
della X. All'inizio si è arrabbiato. Ma gli ho detto che non potevamo
dare ad Arancia una R solo perché aveva accelerato la macchina da
presa nella scena del ménage à trois perché, se l'avessimo fatto, qual-
siasi pornografo hard-core avrebbe potuto accelerare le sue scene e
chiedere legittimamente una R sulla stessa base: avremmo creato un
precedente. Alla fine della nostra conversazione, Stanley ha capito il
mio punto di vista». Stern era frustrato e dichiarò pubblicamente
che avrebbe voluto che esistesse una categoria speciale di classifica-
zione per film X di qualità eccezionale. Questa posizione sul sesso ad
alta velocità reggeva ancora quindici anni dopo, quando la Mpaa
diede inizialmente una X al film d'esordio di Spike Lee, Lo/a
Darling, per via di una scena d'amore pixilated 4 che conteneva alcuni
fotogrammi di un pene.
In Inghilterra, il British Board of Film Censors vietò il film ai
minori di diciotto anni. L'organizzazione era stata creata dall'indu-
stria cinematografica per vigilare su sesso e violenza e il presidente
in carica era Steven Murphy. Le autorità locali avevano ancora il
diritto di controllare ciò che veniva mostrato nelle loro zone, ma
quando una commissione di Leeds cercò di muoversi per mettere il
film al bando, Murphy scrisse loro cercando di difendere l'integrità
del film di Kubrick.
Arancia mea·anica ricevette una candidatura agli Oscar come
miglior film, insieme a Il vio/ini.rta S!tl tetto, L'ultimo spettacolo, Nicola e
Ale.rsandra e Il braccio violento della legge. La maggioranza dei 3.078
membri dell'Academy votò per Il braccio violento della legge, diretto da
William Friedkin. Kubrick era candidato anche come miglior regi-
sta e per la miglior sceneggiatura non originale. Sorprendentemente,
Arancia mecumù·a ricevette solo una candidatura agli Oscar tecnici,
quella per il montaggio di Bill Butler; ma il film fu sconfitto su
tutti i fronti da quello di Friedkin.
Come reazione all'incremento del sesso e della violenza nei film,
trenta quotidiani statunitensi inaugurarono la politica di rifiutare

4 La pixilation indica, in questo caso, la tecnica di accelerare una scena girata a velocità
normale tagliando un fotogramma ogni due o tre, in modo da ottenere un'accelerazione
a scarti. (N.d.T.)

384
Ja pubblicità di film classificati con la X. Il <<Detroit News», uno
dei principali che prese questa posizione, annunciò le sue intenzio-
ni nell'edizione del 19 marzo 1972: il giornale, con una tiratura
quotidiana di 65.000 copie, asserì che a partire ddla domenica
seguente non avrebbe più <<ospitato pubblicità o dato pubblicità
editoriale a film X-rated e a quegli altri film non classificati che, a
nostro giudizio, siano di natura pornografica». Indipendentemente
dal contenuto, nessuna pubblicità per un film con la X sarebbe
più stata pubblicata sul giornale, né sarebbero pitl apparsi articoli
promozionali, interviste o recensioni riferiti a film di quella cate-
goria. Il <<Detroit News» proclamò: <<A nostro modo di vedere,
un'industria cinematografica malata sta usando la pornografia e il
richiamo alla libidine per puntellare la frequentazione delle sale:
molto semplicemente, non abbiamo intenzione di essere loro com-
plici in questa strategia. Non pensiamo che il risultato della
nostra decisione sarà una pulizia dell'industria cinematografica.
Anche se siamo il più grande giornale del Paese a fare un passo del
genere, ci rendiamo conto che agli esercenti restano accessibili
altri mezzi di propaganda, sia a Detroit che all'esterno della città.
Forse gli unici risultati saranno nella soddisfazione a noi procurata
dalla nostra modesta presa di posizione contro una teoria che fa
del sesso hard-core, del voyeurismo e della violenza sadica gli
ingredienti principali dell'arte e dell'intrattenimento negli anni
Settanta».
Ironicamente, il << Village Voi ce», che accettava pubblicità per film
classificati con la X, pubblicò la locandina del film in 3D per adulti
The Stewardm proprio accanto alla recensione negativa di Andrew
Sarris ad Arancia meccanic•t, il cui titolo era The Ultimate Trip- F!ying
Again5.
Stanley Kubrick rispose con l'eloquenza di un paladino del primo
emendamento. Arancia meccanica non era nominato direttamente
nell'editoriale del <<Detroit News>>, ma faceva parte di un gruppo di
film commerciali prodotti da una major e che avevano ricevuto
un'etichetta fino a quel momento riservata esclusivamente a film
per adulti hard-core. Nel 1969, Un uomo da marciapiede era stato il
Primo a ricevere la X, ma aveva vinto l'Academy Award, segnalan-
do che l'America era pronta per un nuovo tipo di film drammatico

S Letteralmente: Il viaggio definitiz'o - Si volti di n11ol'IJ. "The ultimare rrip" allude allo
slogan con cui era sraro lanciato 200 l, ma il riferimento al volo mette probabilmente
tn t'Onta il doppio senso sessuale anribuiro a volte al verbo "to fly" e messo qui in rilie-
Vo dall'at'costamento forse casuale alla locandina di un film erotico il cui titolo si
Porrebbe tradurre con "La hostess". (N.d.T.)

385
adulto; anche I diavoli di Ken Russell e Il 1Jl/1Cchio selvctggio di Sarn
Peckinpah, contemporanei di Aranàa merwnirct, erano !;taci colpiti
dalla X. Kubrick si scagliò contro il tentativo di censurare e mette-
re i film al bando: la sua lettera al direttore fu pubblicata sul
<<Detroit News>> il 9 aprile 1972, e si apriva definendo la <<modesta
presa di posizione>> del giornale un <<diktat irrazionale>>.
<<Nella sua enfasi sulla protezione e la purificazione, sul purificare
la mente del pubblico da ciò che "a nostro giudizio" sono film di
natura pornografica, esso ricorda le parole di un altro arbitro della
pubblica morale e del gusto nazionale, che disse: "Opere d'arte che
non sono comprensibili e che richiedono una serie di istruzioni per
giustificare la propria esistenza, e che trovano la via per farsi cono-
scere da nevrotici pronti ad assorbire questa dannosa immondizia,
non potranno pitl raggiungere il pubblico. Non facciamoci illusio-
ni: abbiamo intrapreso la missione di liberare il Paese e la nostra
gente da tutte quelle influenze che ne minacciano l'esistenza e il
carattere">>.
Kubrick stava citando un commento di Adolf Hitler a una mostra
di arte "degenerata" tenuta a Monaco nel 1937. <<Al giorno d'oggi,
in questa epoca, i censori del <<Detroit News>> si sentiranno forse
meglio attrezzati per fare distinzioni così sottili, anche se non invi-
dio loro il compito>>, scriveva Kubrick. <<Ma ciò che fanno è, essen-
zialmente, la stessa cosa>>.
L'argomento principale di Kubrick era che la pubblicità sui gior-
nali è fondamentale alla promozione di un film, e che se il pubblico
non è in grado di sapere dove e quando un film viene proiettato,
questo è - a tutti gli effetti e quali che siano le intenzioni - messo al
bando. Il regista accusò il giornale di violazione di quello stesso
primo emendamento che proteggeva la sua libertà di stampare le sue
opinioni e spiegò che la Mpaa non condanna un film, limitandosi a
identificare quelli che possono essere visti solo dai maggiori di
diciassette o diciotto anni, a seconda degli Stati. Dichiarava il regi-
sta: <<Questa categoria è coerente con l'opinione della Corte Suprema
degli Stati Uniti, che solo la morale dei minori sia vulnerabile e
debba essere protetta>>.
Dopo questo attacco generale e ancorato ai principi più alti,
Kubrick rivelava i suoi motivi personali: <<A parte i principi antide-
mocratici che animano la posizione del "Detroit News>> ", l'arbitra-
rietà indiscriminata del suo editto è illustrata dalla scelta di proibire
il mio film, Aranàa meccanira, dalla pubblicità e dalle pagine edito-
riali. Il film ha ottenuto dai critici di New York i premi per il
miglior film dell'anno e il miglior regista dell'anno, ed è stato can-
didato agli Oscar come miglior film, migliore regia, migliore sce-
386
0 eggiatura e miglior montaggio; e tuttavia i censori del "Detroit
News" sono pronti a diffamare e a screditare indiscriminatamente
rutti i film classificati con la X perché non si conformano a quello
che essi giudicano gli standard dei loro lettori>>.
Kubrick concludeva dicendo: <<Un alto livello di comportamento
morale può essere ottenuto soltanto attraverso l'esempio di persone
che pensano nel modo giusto e dell'intera società, e non può essere
mantenuto attraverso l'effetto coercitivo della legge. O di certi
giornali>>.
Lo scandalo su A1'ancia meccanira si appuntava sul divertimento
sfoggiato da Alex e dai suoi drughi nell'infliggere dolore alla società.
Ad Andrew Bailey di <<Rolling Stone>> Kubrick spiegò: <<Quando ci
si chiede se sia giusto che la violenza sia divertente, è necessario ren-
dersi conto che la gente è abituata al divertimento di certi tipi di
violenza. Lo si vede quando l'eroe del western alla fine ammazza
tutti i cattivi. La violenza eroica nel senso hollywoodiano è molto
simile al problema dei ricercatori motivazionali nella vendita dei
dolciumi. Il problema con i dolciumi non è convincere la gente che
sono buoni, ma liberarli dal sentire un senso di colpa quando li man-
giano. Abbiamo visto chissà quante volte film in cui tutto serve solo
come scusa per motivare il sanguinoso massacro finale dei nemici da
parte dell'eroe, e allo stesso tempo sollevare il pubblico dal senso di
colpa che deriva dal fatto di godersi questo macello>>.
La discussione su Arancia meccanica e sulle sue implicazioni era
ovunque. <<Hollywood Reporter>>, noto soprattutto per il suo punto
di vista "interno all'industria", con recensioni ai film basate più sul
potenziale commerciale che sulle implicazioni sociali, arrivò a chie-
dere al professar Emanuel K. Schwartz, del Postgraduate Center far
Menta! Health di New York, di fornire un'analisi psichiatrica di
Arancia meccanica. Schwartz fu d'accordo con Kubrick che guardare
un film fosse un'esperienza affine al sogno, e definì il film un'impor-
tante affermazione sul condizionamento umano. Nelle sue conclusio-
ni, il dottor Schwartz scriveva: <<È la ricorrenza di esperienze estreme
in un modo meccanico, a orologeria, che rende istruttivo questo par-
ticolare film. La ricerca dell'esperienza estrema è la ricerca maniacale
dell'onnipotenza. Questo ci porta agli aspetti morali del film. La
civiltà sopravvive nello sforzo di controllare, modificare, attenuare,
limitare l'assolutismo magico e maniacale delle fantasie inconsce.
Scoprire se ci sia possibile introdurre limiti all'interno dei quali pos-
sano essere intensificati determinati gradi di libertà, all'interno dei
~ua[i si possa vivere senza un senso di impotenza o di onnipotenza, è
l arduo compito degli ingegneri sociali. Il fatto, comunque, è che
Arancia 1JteaiHtù·a è fatto del materiale di cui è fatto l'uomo>>.
387
Kubrick iniziò il suo nuovo rapporto con la Warner Bros. in termi-
ni che gli assicuravano il completo controllo dei suoi film e dedicò
grande cura alla distribuzione di Aranda mea-anira. Il regista e il suo
staff avevano ammassato un'enorme banca dati che dissezionava i
mercati americani ed esteri: Kubrick aveva analizzato due annate di
« Variety>> compilando una lista che comprendeva ogni sala citata nei
rapporti sugli incassi pubblicati settimanalmente dalla rivista: di
ognuna erano stati annotati il numero dei posti, il prezzo del bigliet-
to, i film programmati e la tenirura, per poter avere una mappa delle
sale più adatte ad Arancia mea-anù-a. Ogni cinema fu scelto sulla base
di una serie di buoni risultati ottenuti con film di analogo livello.
Il vicepresidente delle vendite della Warner Bros., Leo Greenfield,
che si occupava dei territori nazionali, trovò astuta e preziosa la stra-
tegia di Kubrick. Il regista e il suo staff usarono lo stesso metodo per
determinare in quali sale sul mercato internazionale sarebbe stato
proiettato Arancia mea-anù-a. Norman Katz, il primo dirigente della
Warner lnternational, aveva avuto contrasti con Ted Ashley, presi-
dente della Warner Bros., circa il modo di guidare la società, e nella
sfera delle sue competenze rifiutò i suggerimenti di Kubrick. Ma il
regista osservò attentamente la distribuzione di Arancia rttea-anica, e
non apprezzò il modo in cui lo studio gestiva il film in Europa. Con
la stessa attenzione che applicava alla fase della produzione, Kubrick
cominciò a indagare su come stesse andando il film, e convocò una
riunione per esprimere il suo disappunto: ai dirigenti Warner pre-
sentò una serie di stampate con gli incassi di 2001 distribuito dalla
Mgm, confrontati con i risultati di Arancia mea-anica nelle stesse sale.
Anche con tre anni di differenza, le cifre provavano la tesi di
Kubrick che la Warner non stesse facendo del suo meglio, e il regista
chiese di cambiare i dirigenti che si occupavano del film, minaccian-
do altrimenti di togliere Arancia meccanù-a alla Warner. Le tattiche
decise che Kubrick aveva imparato sulle scacchiere del Washington
Square Park, sul sete nei suoi studi personali della storia militare gli
tornavano ora utili nel ruolo del cineasta che protegge il suo film.
Con l'aggravarsi del contrasto, Ashley colse l'occasione per colpire
Katz e si schierò a fianco di Kubrick sulla base dei suoi risultati eco-
nomici sul mercato interno. Katz perse il lavoro e Kubrick consolidò
la sua posizione alla Warner. All'incontro annuale della Warner
Communications, Ashley parlò del regista come di un genio che
combinava l'estetica con la responsabilità fiscale.
Nel gennaio 1972, Anthony Burgess camminava in Bond Street a
Londra quando fu fermato da un amico che gli chiese perché avesse
l'aria così depressa e lo scrittore gli rispose che stava andando a pran-
zare con Stanley Kubrick. L'amico gli disse che Arancia mecwniut era
388
il successo cinematografico dell'anno, e Burgess rispose: <<Appunto.
Ho venduto i diritti cinematografici molto tempo fa per poche cen-
tinaia di dollari>>.
Kubrick regalò a Malcolm McDowell un Labrador retriever, e
l'attore lo battezzò Alex. Il regista chiese a McDowell di contribuire
a promuovere il film in televisione, e continuò a farlo mentre l'attore
lavorava sul progetto successivo, O Lucky Man, con il regista Lindsay
Anderson. McDowell eseguì quanto Kubrick gli chiedeva, accettan-
do premi ai festival cinematografici in cui Arancia meccanù·a era
acclamato.
Burgess e Malcolm McDowell intrapresero un giro promozionale
per Arancia meccanica. La Warner Bro,s. sistemò Burgess all'Algon-
quin Hotel di New York e gli fissò appuntamenti per parlare del
film in programmi radiofonici e televisivi. Kubrick restava in
Inghilterra, a controllare la pubblicità e la promozione. Arthur Beli,
del << Village Vo ice>>, passò la giornata con McDowell e Burgess, scor-
tato da Mike Kaplan, che era stato il responsabile della campagna
"Viaggio definitivo" per 2001. I due si diedero i turni, apparendo al
"Today Show", dove Malcolm fu intervistato da Barbara Walters con
una certa riprovazione, al "The David Frost Show" e a "Midday" con
Lee Leonard. McDowell rivelò ad Arthur Beli che Kubrick sorveglia-
va ogni mossa sua e di Burgess. Durante la loro giornata promozio-
nale, l'attore disse al giornalista come era nata la celebre scena in cui
Alex picchia lo scrittore e lo costringe a guardare mentre lui violenta
sua moglie, cantando il classico di Gene Kelly Singin' in the Rain:
<<Stanley Kubrick mi chiese se ero capace di cantare e ballare e io
dissi di sì, ci pensai su qualche minuto e poi feci questo vecchio
passo "strisciato" su "la dee had had doo, la dee dah dah doo, l'm
singing, just dancing in the rain", ci stava bene e Kubrick disse:
"Useremo questa"; ed è così che nascono i momenti più belli>>.
<<Avevamo fatto le prove di ciò che era previsto dalla sceneggiatura
ed era impossibile da fare>>, raccontò Malcolm McDowell a Nat
Hentoff in una trasmissione radiofonica nel 1972. <<Non funzionava,
la scena con i drughi che si scaraventano dentro e Alex che acchiappa
il manoscritto e lo butta in aria come coriandoli e tutto il resto.
Semplicemente non funzionava. Era molto piatto. Restammo lì a
pensarci per tre giorni. È qui che si vede la grandezza di quest'uomo,
che sa prendersi il tempo necessario. Sono pochissimi quelli in grado
di farlo, perché sono sottoposti a tali pressioni. Kubrick era sotto
pressione, ma nel suo giardino aveva messo un tendone dove la trou-
pe poteva aspettare mentre si creava qualcosa sul posto. Il terzo gior-
no venne da me e disse: "Sai ballare?". E io mi lanciai in questo
Passo "strisciato" e siccome stavo pensando come Alex mi venne in
389
mente d'istinto una delle canzoni più allegre che conoscevo dalla
mia adolescenza, cioè Singin' in the Rain. Nessuno avrebbe potuto
scrivere una cosa simile. È per questo che con gli attori Stanley
Kubrick è così grande, perché ti permette di creare e ti dà molto. Ti
incoraggia e accetta quello che tu hai da dare. Se si fìda di te, va
tutto bene>>.
Quando i critici di New York diedero ad Arancia meccanùa i premi
per il miglior fìlm e il miglior regista, Kubrick chiese a Burgess di
andare lui alla cerimonia al Sardi's, e lo chiamò a New York per dir-
gli il discorso che voleva che lo scrittore leggesse a nome suo.
Burgess ascoltò con attenzione, ma davanti ai critici di New York
usò più le sue parole che quelle di Kubrick.
Finito il tour promozionale a New York, Burgess si diresse nuova-
mente a Roma, dove abitava, ma fece tappa a Londra per consegnare
a Kubrick le targhe di miglior film e miglior regia dei critici di
New York. Proprio nei suoi giorni a Londra, Burgess fu invitato a un
programma radio della Bbc dove Arancia meaanùa veniva attaccato
pesantemente. La violenza nei film divenne un soggetto incande-
scente. Spesso Arancia meaanùa veniva associato nei discorsi a Cane
di paglia di Sam Peckinpah: entrambi i fìlm avevano ricevuto la X,
ma la maggioranza dei critici inglesi lodava Kubrick e condannava
Peckinpah. Tredici critici cinematografici scrissero al <<Times>> di
Londra per condannare Cane di paglia, dicendo che il film era
«Sospetto nelle intenzioni, eccessivo nei risultati>>.
A Pau! D. Zimmerman, Kubrick dichiarò: «La violenza non è
nf.'cessariamente ripugnante in se stessa. Dal suo punto di vista, Alex
si diverte molto e volevo che la sua vita ci apparisse come appare a
lui, senza le restrizioni delle convenzionali regole di comportamento.
Non si può paragonare ciò che fa Alex a una qualsiasi realtà quoti-
diana. Vedere un fìlm è come sognare a occhi aperti. Puoi esplorare
senza pericolo aree che nella vita quotidiana ti sono precluse. Ci sono
sogni in cui si fanno tutte le cose terribili che il nostro pensiero
cosciente ci impedisce di fare>>.
Nell'ottobre 1972 Kubrick decise di ritirare dalla circolazione
Arancia meccanica per sessanta giorni, per ottemperare alle regole
della Mpaa sul sottoporre un fìlm a un nuovo esame per una classifi-
cazione diversa. Kubrick sostituì trenta secondi di materiale, in due
scene che contenevano materiale sessualmente esplicito, con inqua-
drature più innocue delle stesse scene. Quando la Mpaa vide la
nuova versione diede al fìlm una R e il fìlm uscì di nuovo alla fìne
dell'anno. Il cambio di etichetta permetteva alla Warner Bros. di
mostrare il fìlm in molte zone dove le pellicole con la X non erano
ammesse.
390
Il 9 maggio 1973, Anthony Burgess fece causa presso l'Alta Corte
di Londra contro Si Litvinoff e Max Raab, e contro la Warner Bros. e
varie società collegate, con l'accusa di aver cospirato per defraudare
!'autore dei diritti cinematografici sul romanzo. Stanley Kubrick
non era citato. Burgess, che si trovava a New York e insegnava al
City College, sosteneva che Litvinoff l'avesse portato con false
dichiarazioni a cedere i preziosi diritti sulla sua opera senza diritti
d'autore. Burgess ottenne alla fine una percentuale minore dei pro-
duttori esecutivi Litvinoff e Raab, pagabile quando il film fosse stato
in attivo.
Anche se Anthony Burgess era un prolifico autore e musicista, fu
conosciuto e divenne famoso soprattutto per il romanzo Un'arancia
a orologeria. Il libro aveva avuto una vita tranquilla fino all'uscita
del film di Kubrick: da quel momento, Burgess fu vilipeso per la
violenza da lui inflitta alla società e per aver scatenato emuli che
ripetevano le azioni di Alex nella vira reale. Nella sua celebrità,
Burgess ricevette proposte da molte donne e parecchie ridicole
offerte cinematografiche.
Arancia meccanica di Stanley Kubrick fece sì che Burgess raggiun-
gesse la fama non per la sua sterminata produzione musicale e lette-
raria ma per un unico romanzo. Il libro fu pubblicato in Bulgaria, in
Cecoslovacchia e in Polonia, e ne furono fatte anche un'edizione in
ebraico e una in russo per gli emigrati di lingua russa. Come
Nabokov, Burgess accettò facilmente questa attenzione così circo-
scritta, ma attorno al 197 3 cominciò a stancarsi di dover rispondere
del film mentre Kubrick restava in silenzio. A <<Variety>>, lo scrittore
dichiarò: <<Comincio a essere esasperato dalla presunzione di colpa
che fa sì che io debba difendere il film, e non solo il mio libro, da chi
lo attacca. Spetta all'autore difendere la sua opera».
<<È possibile che questo non sia strettamente rilevante, ma è inevi-
tabile che io sia un po' stufo del fatto che in generale tutti pensano
che Un'arancia a orologeria sia il solo romanzo che ho scritto. Sono
aurore di quasi trenta libri e mi piacerebbe che qualcuno di questi
venisse letto. La maggior parte delle mie dichiarazioni riportate dai
giornalisti sono in realtà distorsioni di ciò che ho detto veramente.
Si può dare la colpa alla difficoltà delle comunicazioni telefoniche
fra Roma, dove abito, e Londra. Ma la colpa si deve dare in primo
luogo all'apparato "disordinatore" che risiede nei cervelli di troppi
giornalisti,,.
Nel 1974, il senatore dell'Arizona John Roeder introdusse un
decreto che divenne noto come <<II decreto Arancia meccanica»: la
normativa proponeva di proteggere i detenuti che si fossero offerti
Volontari per programmi di terapia che, come la cura Ludovico,
391
sostenessero di trasformare criminali violenti in pacifici membri
della società.
Aranàa meccanica ebbe un effetto inquietante in Inghilterra. Critici
e gruppi sociali furono sconvolti dalla violenza del film, a cui fu
attribuita la responsabilità di stupri e omicidi compiuti da imitatori.
Per le strade della Gran Bretagna si vedevano giovani che saccheg-
giavano le strade vestiti come Alex e i suoi drughi.
Quando Arthur Bremmer fu arrestato per aver sparato al governa-
tore George Wallace durante un comizio per le elezioni presidenziali,
la polizia trovò un diario in cui Bremmer aveva scritto: «Milwaukee,
24 aprile. Dovevo liberarmi dai miei pensieri. Sono andato allo zoo, e
lungo il fiume, ma non è servito a niente. Ho visto Arancia meacmica
e ho pensato di far passare a Wallace tutto il film>>. Usava anche il
termine «ultra-violenza>>, spesso citato da Alex. Più avanti il diario
di Bremmer sarebbe stato una delle fonti di ispirazione della sceneg-
giatura di Pau) Schrader per Taxi Driver di Martin Scorsese. Quel
film avrebbe acceso un'altra ossessione, quella di John Hinckley, che
avrebbe sostenuto di aver deciso di sparare al presidente Ronald
Reagan dopo aver visto Jodie Foster, che nel film interpretava una
giovane prostituta.
In Inghilterra cominciarono a verificarsi atti di violenza che rispec-
chiavano quelli di Aranàa meccanù·a: una ragazza olandese di dicias-
sette anni fu violentata in un campeggio del Lancashire da una
banda che cantava Singin' in the Rain; il tribunale di Oxford Crown
condannò all'ergastolo un sedicenne ossessionato dal film che aveva
ucciso a calci un barbone sessantenne; un altro sedicenne picchiò sel-
vaggiamente un bambino più giovane, indossando un completo
bianco come Alex, una bombetta nera e stivali da combattimento. Il
giudice Desmond Bailey disse al ragazzo: «Dobbiamo schiacciare
questa orribile moda ispirata da quel miserabile film. Teniamo conto
del fatto che le tue azioni siano state ispirate da un film perverso, ma
questo non significa che tu non abbia colpa>>. Bande di giovani pas-
seggiavano per Leicester Square vestiti da drughi. Stupri e delitti
erano attribuiti all'influenza del film.
Miriam Karlin, che interpretava la "signora dei gatti" che Alex
ammazzava schiacciandola con la scultura fallica, difese il film dichia-
rando all'inglese <<Daily Mirron>: <<Rifiuto recisamente l'affermazione
in tribunale che [uno degli omicidi] sia un risultato del film. Nessun
essere umano normale che non ospiti in sé intenzioni cattive o deside-
ri selvaggi può farsi influenzare dalla visione di questo film>>.
Kubrick non rispondeva alle accuse che il suo film incitasse i gio~
vani inglesi alla violenza. Anthony Burgess, che aveva creato Alex e 1
suoi spietati drughi, si espresse con eloquenza dichiarando al
392
,,Saturday Review>> del <<Times» inglese: <<Né il cinema né la lettera-
tura possono essere accusati del pecca.to originale. Un uomo che
uccida suo zio non può giustificarsi incolpando una rappresentazione
dell'Amleto. D'altra parte, se la letteratura è da ritenersi responsabile
per il caos e il delitto, allora il libro più degno di condanna è la
Bibbia, l'oggetto letterario più imbevuto di vendetta che esista».
Nel 197 4, Stanley Kubrick, preoccupato di tutti i reali atti di vio-
lenza attribuiti alla visione di Arancia meccanica, ritirò il film dalla
distribuzione in Inghilterra, autoimponendosi un'efficace messa al
bando dell'opera. Kubrick chiese alla Warner Bros. di interrompere
la distribuzione del film in Inghilterra, e di rendere illegale la sua
proiezione ovunque nel Paese. Arancia meccanica era stato proiettato
per sessantuno settimane al Warner West End Cinema, attirando un
pubblico record: 55.716 persone, per un incasso di 438.797 sterline.
Il film fece solo una breve apparizione nelle altre città, prima che
Kubrick lo facesse ritirare per sempre dalla Warner. In Inghilterra,
Aram·ia meccanica aveva incassato due milioni e mezzo di dollari,
subito dietro al film di James Bond Agente 007 - Vivi e la.rcia morire e
a Il padrino.
In Inghilterra la vita cominciava a cambiare, i pakistani erano
aggrediti da teppisti di estrema destra, mentre i sindacalisti radicali
soffiavano sul fuoco dell'odio politico e razziale. Alla fine del decen-
nio, i Sex Pistols rappresentavano la prima linea di un movimento
punk che andava oltre la musica in una visione del mondo nichilista,
arrabbiata, violenta e autodistruttiva. Nel vedere che la violenza di
Arancia meccanica lasciava lo schermo e si allargava alle strade del
Paese in cui abitava, Kubrick cominciò a preoccuparsi della sicurezza
della sua famiglia e dell'impatto che il film poteva avere nell'ambien-
te che lo circondava.
Nell'agosto 1985, A1·ancia meccanica fu finalmente distribuito in
Argentina. Nel 1971 il governo argentino aveva condizionato
l'approvazione del film a una serie di tagli e Kubrick si era rifiutato:
il film rimase al bando per quattordici anni, fino al giorno in cui il
sistema censorio argentino fu smantellato. Nell'arco del periodo si
erano succeduti nel Paese dieci presidenti. Kubrick insistette perché
le copie argentine avessero sottotitoli tecnicamente aggiornati, il che
ne ritardò la distribuzione di un altro anno.
Durante il bando autoimposto in Inghilterra, Channel 4 trasmise
~n documentario di venticinque minuti su Arancia meaanica che
Includeva dodici minuti e trenta secondi del film. Su richiesta di
Kubrick, la Time Warner avviò un'azione legale contro l'emittente.
Channel 4 sostenne di avere un diritto giornalistico dovuto all'"equo
Utilizzo" previsto dalla legge sul diritto d'autore del 1988. La Time
393
Warner accusava l'emittente di aver ottenuto le immagini illegal-
mente, riproducendole da un laser disc americano del fìlm. Il giudi-
zio d'appello diede ragione a Channel 4.
Nel 1993, dopo quasi vent'anni di assenza dagli schermi inglesi, il
fìlm fu proiettato in pubblico e Kubrick continuò a imporre la sua
autocensura. La ventinovenne Jane Giles, responsabile della pro-
grammazione del cinema Scala di Londra, fu accusata di aver proiet-
tato una copia pirata di Arancia meccanica. Gli avvocati della Fact, la
Federation Against Copyright Theft, accusarono lei e il proiezionista
di violazione del Designs and Patents Act del 1988. I diritti appar-
tenevano alla Warner Bros.
Lo Scala, una sala di King's Cross, nel nord di Londra, fu accusato
di aver proiettato il fìlm, annunciato sui giornali come <<fìlm a sor-
presa>>. La Giles dichiarò di aver avuto la copia di Arancia meccanica
da Jean Mare Brenez, che glielo aveva offerto gratis. Il proiezionista
Jeremy Cusans, che avrebbe lasciato lo Scala per andare a lavorare
alla Warner Bros., sostenne che la sala aveva proiettato il fìlm alme-
no due volte negli anni Ottanta; agli avvocati e al magistrato Ian
Baker del Wells Street Magistrates Court di Londra centro disse di
aver avuto una conversazione con la Giles sui rischi di proiettare il
fìlm e di averla avvertita che Kubrick sorvegliava con attenzione il
bando, dicendole: <<Tutti sanno che Kubrick ha spie dappertutto che
tengono gli occhi aperti per proteggere i suoi diritti d'autore>>.
Cusans disse alla corte che la copia era stata fornita da un collezioni-
sta privato, che l'aveva lasciata nel magazzino della sala nel 1989.
Il 21 giugno 1990, a Pittsburgh in Pennsylvania, Michale Ander-
son, che aveva compiuto diciotto anni il giorno prima, ricevette una
condanna per aver pugnalato sei volte la diciassettenne Karen
Hurwitz con una spada da arti marziali di novanta centimetri, e con-
fessò che il giorno dell'omicidio indossava una maglietta di Aranàa
meccanica. Il suo avvocato sostenne che l'omicidio era stato indotto da
ripetute visioni del fìlm di Stanley Kubrick. Come parte della strate-
gia difensiva, Botula mostrò alla giuria cinquanta minuti di Arancia
meccanica per dimostrare la violenza presente nel fìlm. Il pubblico
ministero W. Christopher Conrad ribatté l'argomentazione dicendo:
<<Anche il giovane Alex potrebbe prendere lezioni di "ultra-violenza"
da Mich>>. Sui mezzi di comunicazione si riaccese la discussione sul
problema della forza dei fìlm nell'incitare alla violenza.
La controversia sul sesso e la violenza in Arancia meccanùa ha finito
per mettere in ombra il magistrale e sempre attuale controllo del
mezzo di Kubrick. Oltre venticinque anni dopo la sua prima uscita,
Arancia meccanica non ha perduto la sua forza viscerale. Come docu-
mento sociale, esso dimostra che Burgess e Kubrick hanno anticipato
394
il futuro che ci aspettava: quando il film uscì stava concludendosi la
stagione di pace e amore dell'età dell'Acquario, e il concerto dei
Rolling Stones all'Altamon Speedway aprì la porta a un'ondata di
violenza giovanile. Nei due decenni seguenti, la società avrebbe visto
movimenti punk, skinhead e neonazisti, e violenza nelle città, tutti
riconducibili al mondo di Alex e dei suoi drughi.
Come esperienza cinematografica, la sempre più oscura visione del
mondo di Kubrick si saldava con la sua lucida visualizzazione del
denso e complesso virtuosismo linguistico di Burgess nel descrivere
un punto di vista dei teppisti del futuro che non è facile accantonare.
Arancia meccanica è strutturato come un flusso continuo delle tre
parti definite nel libro. Kubrick lavora su grandi pannelli, ripren-
dendo le scene in audaci totali, con la macchina da presa che carrella
e si muove, che osserva attraverso grandangoli, distorcendo le imma-
gini del mondo appariscente, sessuale e violento visto da Alex. Nel
fondamentale l111tua·hio .relvaggio di Sam Peckinpah, il regista ricorre
al rallentatore, al montaggio alternato, all'iterazione e a un'ondata di
sangue a 360 gradi per trascendere la violenza in un catartico ballet-
to di morte. In Aranàa meccanica, Stanley Kubrick usa rallentatore,
accelerazioni e immagini allungate da cartone animato per trasfor-
mare violenza e sesso espliciti in una presa di posizione sociopolitica
sulla minaccia dello Stato alla libertà personale. Il sintetizzatore di
Walter Carlos mette un filtro magico e futuristico al passato, trasfor-
mando Purcell, Rossini e Beethoven in una colonna sonora per le
azioni ultra-violente perpetrate con vivace cattiveria da Alex.
Aranàa meccanica era il primo film realmente inglese di Kubrick.
Lolitct, Il dottor Stranamore e 200 l erano stati prodotti in Gran
Bretagna ma conservavano la sensibilità americana del regista. La
visione proposta da Kubrick del futuro prossimo creò uno scalpore
che finì per renderlo invisibile in Inghilterra per più di trent'anni.
La voce e le immagini di Amnàa meccanica rimasero così in silenzio,
tacitate dal loro stesso creatore, che forse sentiva che il potere violen-
to del film era troppo vicino alla sua patria di adozione.

Stanley e Christiane Kubrick avevano trasformato la loro proprietà


di campagna in una casa per se stessi e per le figlie, e in un ambiente
di lavoro per le rispettive professioni di regista e di pittrice. Mentre
Stanley continuava a sviluppare le sue strutture produttive e l'uffi-
cio, Christiane creò uno studio in cui dipingere e trasformò l'enorme
tenuta attorno alla casa in un giardino continuo che sarebbe divenu-
to il soggetto della sua prolifica carriera artistica. I giardini furono
Progettati, sotto la supervisione eli Christiane, da Bill Rowson, il
talenroso responsabile clei festini floreali che adornavano gli sfondi di
.'\95
tanti film della Mgm. Rowson partì da zero, creando una successione
di panorami punteggiati di tavolini e di sedie bianche, che permet-
tevano al visitatore di sedersi all'ombra di un cedro o di fronte al
bagliore di fiori che esprimevano tutto lo spettro di sfumature di un
unico colore. A Valerie Jenkins dell'<<Evening Standard», Christiane
Kubrick disse: <<Qui c'è sempre qualcosa che sboccia. È sistemato in
modo che non ci sia mai un momento morto. Una meravigliosa fio-
ritura dopo l'altra, tutto è seminato in previsione di tagli e potature,
in modo da non distruggere l'effetto scenografico. Molto vittoriano.
È quel tipo di cosa di una ricchezza terribilmente inglese di cui
avevo solo letto, e che ancora continua a impressionarmi».
I giardini ospitavano uno stagno artificiale costruito da Rowson.
All'inizio l'acqua diventava nera a causa di uno squilibrio ecologico,
ma divenne di un verde laguna quando vi furono aggiunte ninfee,
girini e altre forme di vita. Christiane Kubrick era ben a conoscenza
dei cinquantotto girini del suo stagno privato, poiché li aveva dise-
gnati uno per uno. Il terreno era adornato anche da una giostra che
aveva fatto parte un tempo di un set cinematografico.
Come molti altri della sua generazione, Christiane non si sentiva
legata alla sua patria originaria, ma tornava in Germania solo quan-
do era necessario per obblighi familiari: <<Torno a casa principalmen-
te per i funerali. In quei casi sono attaccata da alcuni tedeschi che
non capiscono come faccia a vivere in Inghilterra, ma naturalmente
il giovane tedesco di oggi è molto diverso>>. Essendo stata costretta
da ragazza a far parte del movimento nazista, e avendo imparato la
disciplina tramite lo sport, ora evitava l'esercizio fisico e aveva tra-
sformato il campo da tennis in frutteto fiorito.
Dipingere fuori nel giardino portava parecchi problemi, che spin-
sero Christiane a crearsi uno studio personale in cui lavorare: <<Ci si
sfianca a portare tutta quella roba là fuori, e poi le mosche si posano
sulla vernice e naturalmente comincia a piovere>>, disse alla Jenkins.
Per dipingere i panorami locali Christiane caricava la sua attrezzatu-
ra sulla Land Rover e spesso, quando trovava una veduta che la ispi-
rava, montava il cavalletto sul tetto della vettura e dipingeva dalla
posizione rialzata. Anche questa esperienza esterna aveva le sue con-
troindicazioni: alcuni contadini la inseguirono quando la videro
mettere un materasso sul loro terreno, accusandola a torto di scarico
illegale di immondizia, e capitava che la interrogasse la polizia,
sostenendo che la Land Rover fosse rubata.
Christiane convertì una scuderia in uno studio di pittura, uno spa-
zio personale altrettanto importante per il suo lavoro quanto l'ufficio
e le salette di montaggio lo erano per Stanley. L'ampio spazio conte-
neva alcuni fra i suoi vecchi mobili preferiti, un letto per quando
396
veniva sua madre, una televisione, un giradischi, una caffettiera di
ottone su un fornelletto, un fornello, un divano coperto di stampe
liberty, grossi cuscini morbidi, tele, cavalletti, vernici e pennelli. Il
cortile era pieno di gerani variopinti. Il pane con la marmellata, uno
degli spuntini preferiti, non mancava mai: Christiane mangiucchiava
le conserve spalmate sul pane mentre rifletteva su un'opera in corso.
A volte, i panini diventavano parte delle sue nature morte e doveva-
no essere sostituiti dopo che qualche morso ne aveva trasformato la
forma originale. Trovava che il saporito spuntino, così amato dai
bambini, avesse un effetto calmante quando si trovava nella <<fase
gemiti e lamenti», durante la lavorazione di un dipinto. Spesso la
televisione restava accesa mentre Christiane dipingeva, e anche la sua
presenza aveva un doppio fine: la comunic~zione con il mondo ester-
no la teneva collegata a luoghi oltre l'isolamento della tenuta, e
l'oggetto stesso diventò un'immagine ricorrente nella sua pittura.
Alla Jenkins, Christiane dichiarb: <<l televisori mi intrigano, perché
sono dietro a tutto e ne tengo sempre uno acceso quando disegno.
Specialmente la Tv a colori, perché è un'intrusione così strana.
Continuo a essere affascinata da tutto quello che puoi vedere nel tuo
stesso salotto in mezzo a tutta la roba normale».
Lo studio era il regno di Christiane Kubrick, e lei pretendeva di
godervi della stessa privacy di suo marito. Dipingeva con grande
disciplina secondo orari prestabiliti e scrupolosamente osservati,
lasciandosi interrompere solo dalle figlie adolescenti, Katharina,
Anya e Vivian. L'ambiente accogliente che aveva creato nello studio
doveva aiutarla a superare i blocchi creativi. Ad Ann Morrow del
<<Times>> di Londra disse: <<Quando mi trovo distaccata da un qua-
dro, mi siedo e leggo o ascolto musica. Anche roba comprata dalle
bambine- musica pop- posso andare avanti così per ore e poi torna-
re sul problema>>.
La bellezza naturale di Christiane Kubrick filtrava attraverso il suo
personaggio di artista occasionale. La sua vita di attrice era ricca di
fascino, ma era a suo agio anche con i capelli lunghi e la frangetta,
lunghi vestiti stampati, tute e un funzionale paio di occhiali tondi.
Era una donna vivace e allegra, che rideva spesso, e la si vedeva di
frequente con una consunta tuta blu e un grembiule da pescatore
carico di penne e matite, i suoi ferri del mestiere.
Quando i Kubrick abitavano sull'Ottantaquattresima strada a New
York, Christiane Kubrick dipingeva i poliziotti, gli autobus e le
strade che costituivano il mondo attorno a lei. In Inghilterra dipin-
geva ci(> che la circondava nella campagna agricola inglese. Alla
Morrow, Christiane confessava: <<A New York guardavamo un sacco
di televisione, ci eravamo incollati. È interessante come la vita casa-
397
linga proceda senza interruzioni mentre sulla televisione in salotto
passano eventi mondiali di portata esplosiva. Siamo la prima genera-
zione a guardare gli astronauti mangiando pane e marmellata>>.
Christiane Kubrick traeva gran parte della sua ispirazione da una
grande serra piena di azalee, fiori esotici e piante. Rowson mantene-
va la serra con la stessa cura minuziosa con cui Kubrick proteggeva
casa propria, e anche lui scriveva cartelli destinati ai visitatori:
«Tenere chiusa la porta>>, «Si prega di innaffiare in modo uniforme>>,
<<Se continua a fare caldo, si prega di tenere aperte tutte le finestre di
giorno>>, <<Si prega di controllare la pompa che tiene pieno lo stagno.
Il caldo fa evaporare l'acqua>>. Tutta la proprietà Kubrick era piena
di istruzioni e di regole. La serra, il giardino, la casa e la famiglia
erano il mondo di Christiane e i soggetti primari della sua pittura.
Christiane era una pittrice colta ma, come suo marito, non sopporta-
va le analisi troppo intellettualistiche dell'arte. Nelle sue opere evi-
tava il simbolismo e si lasciava influenzare da pittori francesi come
Matisse, Cézanne e Vuillard, che avevano inaugurato l'era della pit-
tura moderna. Alla Jenkins disse: <<Sono andata alla Arts Students
League di New York e alla Ucla in California mentre aspettavo le
mie figlie, e ho fatto corsi accelerati in tutti gli "-ismi" che esistano.
Ma se cerco di spiegare la pittura a Katharina, mi ritrovo a declama-
re cliché asinini e devo zittirmi da sola>>. Katharina aspirava a diven-
tare scenografa, seguendo le orme di entrambi i genitori.
Christiane Kubrick chiamava casa sua una <<perfetta fabbrica fami-
liare>>. Oltre al suo lavoro di pittrice affermata governava la casa con
l'aiuto di una domestica a ore e delle figlie, a cui si riferiva come <de
mie tre schiavette>>. Nel viale era parcheggiata una roulotte da trou-
pe cinematografica e quando lo staffe la troupe di Kubrick erano nei
paraggi lei si assicurava che tutti fossero nutriti e trattati bene.
Christiane lavorava nel suo studio in orari prestabiliti e disciplina-
ti. Programmava intervalli per i pasti per controllare il cibo che pre-
parava in quantità, come una <<cuoca della Croce Rossa>>. Il suo
tempo era organizzato rigidamente, al punto da lasciare a metà la
tritatura di una cipolla se era ora di tornare a un'opera in lavorazio-
ne. L'ossessione per il proprio mestiere - arte e cinema - di
Christiane e Stanley Kubrick faceva sì che ognuno rispettasse il
tempo e lo spazio necessario all'altro per ottenere i suoi risultati.
Avevano anche in comune il bisogno di una famiglia e di una casa
calda e accogliente. La privacy era essenziale per entrambi. Ad Ano
Morrow, la Kubrick disse: <<Quando Stanley si rilassa, gioca a scacchi
e ama stare molto tranquillo. Io a scacchi sono una frana. Sono inca-
pace d i pensieri astratti>>.
Stanley Kubrick sosteneva con forza il lavoro della moglie.
398
Seedboxe.r era uno dei suoi quadri preferiti, così era stato orgoglioso di
rnetterlo nel film. Naturalmente era perfetto per la natura gentile e
intellettuale del personaggio. Christiane trovava misogini molti
degli altri quadri del film, che rappresentavano immagini sessuali e
pornografiche: la violenza e il terrore sessuale di Arancia rmrranira la
angosciavano terribilmente, e parecchie scene la facevano sentire fisi-
camente male. <<Ma, naturalmente, è proprio l'effetto che vuole
farti>>, spiegò ad Ann Morrow.
Christiane Kubrick dipingeva da diciannove anni, e l'attenzione
suscitata dal controverso ultimo film di suo marito ne aumentarono
la fama di artista. Alla Morrow, Christiane disse: «È il mio più gran-
de fan. Più il quadro è dolciastro, più gli piace. Preferisce quelli gen-
tili e a soggetto floreale, ma io ho paura di essere troppo da scatola
di cioccolatini>>. Christiane vedeva un lato di suo marito inaccessibi-
le al pubblico, soprattutto da quando Arancia meccanica aveva conso-
lidato l'opinione che il regista avesse del mondo una visione misan-
tropica: <<Di recente, il giornale locale è venuto a trovarmi. Era per
un progetto di raccolta fondi per aiutare i sordi. Immaginatevi come
mi sono sentita il giorno dopo quando ho visto un titolo che diceva:
"Mio marito non è una belva". Era così buffo. Stanley è una persona
così gentile, così timida e sensibile>>. Nel febbraio 1973, Christiane
Kubrick tenne a Londra una mostra delle sue opere, vendette trenta-
nove tele a prezzi che andavano dalle 100 alle 500 sterline e mise in
programma un'altra mostra importante.
Chrisriane lavorava su tele grandi, 120x180 o 120x275 centimetri,
alternandole con disegni e dipinti più piccoli. I titoli dei suoi quadri
rivelano un'artista diretta e senza pretese che dipinge ciò che vede:
Bean.rhoot.r and Cummber.r, Orange Tree.r in Blue Pots e Plants on a Red
Plastic Tray sono solo quanto indicato dai titoli. I quadri mostrano
un forte senso della composizione e la predilezione per toni ocra vivi-
do, arancione e terracotta.
I quadri di Christiane Kubrick registrano una vita vissuta con il
marito e le tre figlie. Madre di un fiume di immagini che esplorano
una bellezza naturale, pastorale e bucolica, l'artista mostra nei suoi
dipinti un catalogo della vita in cui lei e Stanley Kubrick hanno
scelto di immergersi: i soggetti delle sue opere sono rose rosse, siepi
con gazze e tane di talpa, erba tagliata, un albero color corallo, pian-
te alpine, un vaso di viole, crisantemi, fiori blu, televisori, ampie
tende su{ prato, gatti, cani e la famiglia. Stanley è un ritratto del
regista a casa, visto come marito e padre. La tela, 120xl80, rappre-
senta Stanley Kubrick seduto su una sedia arancione. Sullo sfondo,
dietro a muri arancioni, si vedono la neve dell'inverno e alcuni uccel-
li. Stanley Kubrick è a destra della composizione, fra una vasca per
399
pesci e diversi quadri senza cornice appoggiati al muro. Guarda
direttamente sua moglie. La pelle è olivastra, i capelli e la barba sono
neri, gli occhi sono spalancati e profondamente segnati, con soprac-
ciglia inarcate. Sembra tranquillo, forse pronto a un leggero sorriso,
l'espressione attenta ma rilassata. Stan!ey consente di vedere Kubrick
in atteggiamento di riposo, attraverso gli occhi di qualcuno che lo
conosce oltre l'immagine pubblica di cineasta intenso, misantropo,
ossessivo e schivo. Stanley Kubrick appare anche in Bal!ynatray
Rehear.ral in the Rain, un paesaggio in cui lo si vede sotto la pioggia,
con addosso un parka e in mano un ombrello, mentre lavora con una
figura vestita di nero che assomiglia al reverendo Runt di Barry
Lyndon. Kubrick è piegato all'indietro e osserva attentamente il suo
attore. La veduta delle colline verdi, dolcemente arrotondate, dietro
di lui e la strada che lo circonda lo pongono in un ambiente aperto,
insolito rispetto alle innumerevoli fotografie che lo rappresentano
sotto le luci artificiali e nei confini di un teatro di posa. Anya and
Cats ritrae la secondogenita che legge in giardino, con i capelli ricci,
il prendisole, una giacca color lavanda e la bandana. L'intera famiglia
appare in Sunf/ower.r and Blue Desk, in quattro piccole foto con cornici
dorate fra un vaso di girasoli, porcellane e addobbi natalizi. Il dipin-
to riproduce i ritratti fotografici di Vivian, Anya e Katharina con
Stanley Kubrick (senza barba) al telefono, nel periodo di Lolita e Il
dottor Strancmtore.
Altri quadri rappresentano delle tende, i gatti e i cani dei Kubrick,
la serra, della frutta, il giardino, il cane Teddy, la cucina e l'esterno
di Abbot's Mead e una cornucopia di fiori in uno splendore degno di
Cézanne, Chagall e van Gogh. Christiane Kubrick è una pittrice
seria con uno stile consapevole e vigoroso. Non si tratta di nature
morte amatoriali ma delle opere di un'artista con una visione auten-
tica e una tecnica meticolosa. La'll:.orando con olio su tela, con un
tratto regolare pieno di un colore che si trasforma in un'affermazione
vibrante di vita, Christiane ha proseguito nella sua esplorazione della
vita con un occhio deciso, proprio come Stanley puntava il suo obiet-
tivo al lato oscuro dell'umanità.
Quando non dipingeva, Christiane lavorava a un teatrino c;! i mario-
nette, una passione che risaliva alla sua infanzia tedesca: creava rac-
conti e si inseriva in una tradizione europea che univa la commedia
dell'arte al surrealismo, rievocando le favole dei Grimm e abbrac-
ciando televisione e cinema.
Con l'uscita di Arancia meccanica, l'escursione di Kubrick nel con-
dizionamento psicologico e nella morale moderna lasciò il posto alle
manierate regole dei costumi sociali del diciottesimo secolo.
La prossima volta, Kubrick avrebbe guardato al passato.
400
Capitolo 16
La forza delle candele

,,Tecnologia al servizio della creatività».


Motto della Cinema Products Corporation

William Makepeace Thackeray aveva scritto The Lurk of Barry


Lyndon nell'ottobre 1843. L'opera fu pubblicata a puntate sulla rivi-
sta «Fraser's» nei numeri fra gennaio e dicembre 1844. Nel 1856,
Thackeray effettuò modifiche per pubblicarla nel secondo volume
delle sue Miscellanies: Prose and Vene, e il titolo cambiò in The
Memoirs of Barry Lyndon, Esq., of the Kingdom of lreland. 1
La storia di Barry Lyndon si inseriva perfettamente nella visione
desolata, ironica e oscura che Kubrick aveva dell'uomo. Thackeray
aveva creato una biografia fittizia di Redmond Barry, vagabondo
irlandese, seguendone le vicissitudini di soldato, disertore, giocatore
e amante che riesce a raggiungere i vertici della società solo per tor-
nare lentamente al suo punto di partenza di piccolo possidente. Se
con Aranda meacmùa Stanley Kubrick aveva potuto fare di Alex un
eroe cinematografico per la nuova era, Barry apparteneva di diritto
alla sempre più cupa visione del mondo di Kubrick e della società.
Il criterio scelto da Kubrick per portare Thackeray sullo schermo
non fu di elaborare una sceneggiatura basata su Le memorie di Barry
Lyndon, ma di usare il testo del romanzo come filo conduttore del
film, per poi sviluppare l'equivalente cinematografico di ogni scena:
lo script non era che una traccia. Il film sarebbe stato fatto con tec-
nologia, cura artistica e con attori che potessero dare il soffio della
vita ai personaggi settecenteschi delle pagine di Thackeray.
Ancora una volta a John Alcott fu chiesto di curare la fotografia.
Alla rivista «American Cinematographer>>, Alcott spiegò: «Il nostro
rapporto professionale è solido perché dal punto di vista fotografico
la pensiamo esattamente allo stesso modo. Vediamo veramente con
lo stesso occhio».
Dal punto di vista della fotografia, Barry Lyndon sarebbe stata una
sfida colossale. Kubrick non era impressionato dall'aspetto di tutti i
film in costume che aveva visto, e sentiva che l'unico modo di cattu-

l In Italia, Le 11/ellltJrie di Bcm)' Lynt!on. (N.d.T.)

401
rare il diciottesimo secolo era la luce naturale, poiché l'elettricità
ancora non esisteva: la gente del mondo di Barry Lyndon concepiva
solo la luce del sole o della candela.
Kubrick e Alcott avevano parlato della possibilità di girare a lume
di candela durante la lavorazione di 2001, quando il regista proget-
tava il film su Napoleone, ma all'epoca non esistevano obiettivi
abbastanza sensibili per poterlo fare - e non esistevano ancora nem-
meno per Barry Lyndon.
Negli anni Settanta la sensibilità della pellicola era ancora bassa. I
vari tipi disponibili fra i 50 e i l 00 Asa non avevano l'ampiezza suf-
ficiente per consentire all'emulsione di essere impressionata dalla
fioca luce di una candela. Le pellicole di oggi, molto più sensibili,
avrebbero reso la cosa più semplice, ma nei primi Settanta Kubrick
poteva solo sperare di trovare un obiettivo abbastanza luminoso, che
gli permettesse di catturare la patina delle antiche case signorili in
cui pensava di effettuare le riprese.
Mentre progettava il suo film in costume, Kubrick apprese che la
tedesca Zeiss aveva messo a punto per il programma spaziale Apollo
alla Nasa un sensibilissimo 50mm fotografico. La disponibilità di
lenti del genere dava a Kubrick la possibilità di spingere ancora oltre
i limiti della fotografia cinematografica: i film in costume di
Hollywood erano girati con luce artificiale, illuminando scene che si
presumevano illuminate solo dalle candele: nonostante il tremolio
delle fiammelle, gli interni erano inondati dalla luce di fari elettrici
multidirezionali che distruggevano il bagliore caldo e modulato
dell'autentica luce di candela.
Per affrontare il problema, Kubrick telefonò a Ed Di Giulio della
Cinema Products, che gli aveva procurato Io zoom 20: l per Aranàa
meccanica: <<Stanley mi chiamò e disse: "Ho questo obiettivo della
Zeiss". A quanto pare era stato pensato per la Nasa, che doveva usar-
lo su uno di quei satelliti-spia. Era una lente fissa da 50mm, niente
messa a fuoco o cose del genere, solo un'ottica che aveva 50mm di
focale. L'apertura era fO, 7, un intero stop più luminoso del fl ,O o due
stop più veloce delle lenti super sensibili che abbiamo oggi, cose
come fl ,2. Così Stanley dice: "Ho quest'obiettivo e voglio montarlo
sulla mia BNC Mitchell". Ci diedi un'occhiata. Più un obiettivo è
sensibile, più si avvicina alla superficie della pellicola, e questo arri-
vava a mezzo centimetro dalla superficie, arrivava fino a lì. Gli dissi:
"Stanley, non ci starà proprio. La BNC ha un otturatore a due lame.
Sulla BNC hai una lastra di apertura che è piuttosto spessa". Stanley
disse: "Beh, potrei levare una delle lame dell'otturatore. Non rni
serve un otturatore regolabile e magari tu potresti rimuovere la lastra
di apertura". "Sì, potrei farlo, Stanley, ma poi la macchina sarebbe
402
rovinata per qualsiasi altro uso". Stanley disse: "Va benissimo, faccia-
molo". Così fabbricammo un supporto speciale con messa a fuoco per
quest'obiettivo. Per andare da zero a infinito ci volevano tre giri
completi della ghiera. Dovevamo fare la filettatura abbastanza fine
da far sì che si potesse metterla a fuoco in modo esatto, perché con
rutto aperto e un obiettivo così luminoso non avevi la minima possi-
bilità di mettere a fuoco a occhio. Ci riuscì di montare questo 50mm
con successo. Stanley lo provò ed era felicissimo. Poi mi disse: "Okay,
Ed, adesso voglio un 35mm". Così chiamai il mio vecchio amico, il
dottor Richard Vetter della Todd-AO, e Dick mi disse che avevano
questi adattatori Manocom per obiettivi da proiezione fatti da Cole
Morgan. È un adattatore che si mette davanti a una lente da proie-
zione per cambiare leggermente la focale, più larga o più stretta, a
seconda della direzione in cui ci si mette e di cosa deve essere riempi-
to. Puoi adattare una lente di proiezione che magari non riempie
bene il proscenio, o il contrario. Così ho messo tutto insieme e sono
riuscito a fabbricargli un 75mm e un 35mm. Adesso ha questi tre
meravigliosi obiettivi, e ha girato Barry Lyndon con quelli. Non
penso che dopo li abbia più usati nessuno. Mi ha chiamato un sacco
di gente e io li mandavo tutti da Stanley. Ma lui naturalmente era
geloso della sua attrezzatura e non la faceva toccare a nessunO>>.
Kubrick aveva cominciato a fare progetti con uno scenografo e
aveva studiato il progetto in modo da girare tutto a Picketts Manor.
Non voleva andare in un teatro di posa: era stufo dell'aspetto posato
dei film in costume e voleva reinventare il genere, come aveva fatto
con la fantascienza in 200 l.
Quando l'idea di Picketts Manor divenne troppo limitativa per
Barry Lyndon, Kubrick contattò Ken Adam, il grande scenografo che
aveva creato gli ambienti spettacolari di Il dottor Stranamore. Barry
Lyndon sarebbe stato per lui un progetto molto più complesso e diffi-
cile: lo scenografo pensava di creare nel teatro di posa i set delle
dimore signorili dell'epoca, ma Kubrick insistette per girare in
ambienti reali. «Doveva sempre essere una combinazione di esterni e
interni, ma con scenografie ricostruite in studio>>, spiega Adam.
«L'ho fatto in scala molto più ridotta per La pazzia di Re Gi01·gio,
dove gli appartamenti reali erano stati costruiti agli Shepperton
Studios. lo ho cercato di dar loro più importanza usando alcuni
interni reali fantastici>>. Ma Kubrick rimase inflessibile sull'inten-
zione di girare in ambienti autentici ed era sempre piti ossessionato
dall'idea eli ottenere quella che chiamava la patina degli interni
dell'epoca. La luce delle candele, combinata con le autentiche archi-
tetture dell'epoca, avrebbe creato una purezza di immagine che
avrebbe permesso di ritrarre il diciottesimo secolo con il realismo
40.~
pittorico di un documentario. Per rendere le cose ancora piì:t difficili,
Kubrick pretendeva location vicine alla sua casa di Boreham Wood,
subito fuori Londra, e spedì squadre di fotografi a scattare foto di
tutte le belle case a distanza di novanta minuti da casa sua.
A Richard Schickel, Kubrick spiegò che era «di grande aiuto non
essere costantemente esposti alla paura e all'ansietà che prevale nel
mondo del cinema». Era felice di vivere in un'ampia residenza di
campagna con due staccionate a guardia della sua preziosa privacy. II
complesso ospitava ancora sei gatti e tre cani. Alexander Walker
diceva che Kubrick era «Come un artista medievale che vive sopra la
sua bottega».
Poiché gli era stato richiesto di lavorare solo in ambienti reali, Ken
Adam dovette usare stanze di case diverse per creare gli spazi delle
abitazioni del film, e alla fine riuscì a convincere Kubrick che per gli
ambienti di Barry Lyndon era necessario andare piì:t lontano: la ricerca
si estese all'Irlanda, ma trovarvi edifici di tipo continentale era
impresa ardua. Parte del film si svolgeva in Germania, ma lo scena-
grafo non riuscì a convincere Kubrick a spingersi fin là: solo alla fine
della produzione Kubrick spedì a Potsdam e a Berlino Est una
seconda unità con il compito di catturare l'atmosfera tedesca
dell'epoca attraverso fotografie di castelli e di strade.
Per concepire le sequenze tedesche, Kubrick non lasciò mai la sua
casa in Inghilterra ma studiò un numero incalcolabile di immagini
scattate in Germania da squadre di fotografi, in modo da determina-
re esattamente in che modo la seconda unità avrebbe dovuto ripren-
dere le inquadrature richieste. Il sistema era lo stesso utilizzato in
2001 per gli sfondi di "L'alba dell'uomo". Kubrick aveva messo a
punto un sistema complesso, sovrapponendo alle foto una griglia con
lettere e numeri, che gli permetteva di dirigere la seconda unità per
telefono: bastava dare alla troupe le coordinate della griglia, con pre-
cisione matematica.
Le ricerche del settore scenografia per Barry Lyndon furono impo-
nenti. Adam ricorda: «Stanley voleva farlo quasi come un documen-
tario su quell'epoca>>. Al momento di cominciare, Kubrick sapeva
ben poco sul periodo storico; Adam aveva una solida conoscenza di
arte e architettura, ma con il passare del tempo il regista divenne
molto esperto, assorbendo montagne di dettagli sulla vita nel diciot-
tesimo secolo. <<Fotografavamo tutte le location e tornavamo a casa
per analizzare le foto>>, spiega lo scenografo. «Scoppiavano terribili
discussioni perché Stanley era attratto più dagli interni vittoriani che
da quelli, più formali e rigidi, del diciottesimo secolo. Diceva: ".Mi
piace quella tappezzeria", e io rispondevo: "Stanley, non puoi usare
quella tappezzeria, è vicroriana". "Perché?". Naturalmente, alla fine
404
Stanley ne sapeva più di me, e probabilmente di chiunque altro, su
quell'epoca, a causa della quantità di ricerche- le condizioni di vita,
i pidocchi nelle parrucche, i loro spazzolini da denti, i profilattici -
esaminammo tutto per scoprire come viveva quella gente>>. Per via
delle molte scene che mostravano il gioco d'azzardo, si fecero ricerche
su tutti gli accessori dell'epoca. Adam ricorda che «Dovemmo fab-
bricare noi le carte da gioco perché allora non avevano gli angoli
arrotondati. Erano dotate di spigoli acuti, rettangolari e senza nume-
ri». Il dipartimento scenografia lavorava in stretto contatto con quel-
lo delle luci: Adam e i suoi fecero prove con candele a stoppino sin-
golo, doppio e triplo per ottenere la necessaria intensità luminosa.
Furono disegnati e fabbricati candelabri da utilizzare negli ambienti
reali, e preparati schermi per proteggere dal calore i soffitti, i muri e
i preziosi quadri a olio. Fu Adam a disegnare e a collocare in un
ambiente reale la vasca da bagno Luigi XVI usata da Lady Lyndon.
Kubrick e Adam avevano approcci differenti alla scenografia di
Barry Lyndon: il metodo di Adam partiva da un'ampia ricerca
sull'epoca in cui doveva essere ambientato il progetto, sulla base
della quale lo scenografo creava una sua interpretazione che era una
sintesi della sua esperienza e della sua immaginazione. Kubrick
intraprese invece uno studio meticoloso dei dipinti con l'intenzione
di ricreare esattamente le immagini dei maestri dell'epoca, usandoli
come guida per rendere l'esatto aspetto dei set, degli arredi e dei
costumi. <<11 minuzioso processo di dover quasi riprodurre i dipinti
dell'epoca fu per me una sfida diversa», ricorda Ken Adam, che è
noto soprattutto per le sue immaginose interpretazioni di realtà pas-
sate e future in film, come La pazzia di Re Giorgio, che gli ha fatto
vincere un Oscar, e i fantasiosi e giganteschi film di James Bond.
Per i costumi, Kubrick ingaggiò Milena Canonero e Ulla-Britt
Soderlund, che acquistarono vestiti del diciottesimo secolo, ancora
disponibili in Inghilterra. In media, le persone nel Settecento erano
di taglia più piccola e fu quindi necessario aprire i vestiti e crearne
di nuovi sugli stessi modelli. La produzione scelse una fabbrica a
Radlet per produrre i molti costumi necessari a popolare il diciotte-
simo secolo che la macchina del tempo di Kubrick si preparava a
visitare.
A Leonard di Londra, che aveva lavorato con Kubrick in Arancia
meccanica, toccò il logorante compito di creare le parrucche per Barry
l.yndon: solo per Ryan O'Neal ne furono confezionate quindici. Come
~ateriale di base, Leonard utilizzava i capelli tagliati alle giovani
Italiane che entravano in convento; al giornalista Thomas Wood,
spiegò: <<E pensare che, se non fosse stato per tutte quelle giovani
suore, Ryan avrebbe dovuto interpretare tutte le sue scene d'amore
405
indossando pelo di yab>. Leonard passò sei mesi a mettere a punto le
acconciature d'epoca per Marisa Berenson e per le altre donne del
film. Il celebre parrucchiere di Londra lavorava io coppia con
Barbara Daly, la truccatrice che aveva creato il trucco dei drughi in
Arancia meccanica e che era una beniamina della moda londinese.
Approfondite ricerche furono effettuate sulla pittura del diciottesi-
mo secolo. Spiega Adam: <<Abbiamo usato pittori come Watteau e
Zoffany. E per qualche scena sul continente il polacco Chadowiecki>>.
L'aspetto di Barry Lyndon sarebbe stato influenzato fortemente anche
da Gainsborough, Hogarth, Reynolds, Chardin e Stubbs.
I quadri servivano a capire e a studiare l'epoca, come modello per
dar forma all'aspetto "fisico" del film e come elementi che rivelavano
uno stile di vita sontuoso. Le case signorili del diciottesimo secolo
erano piene di magnifici dipinti: molte dimore sembravano musei e
contenevano vaste collezioni. Le abitazioni scelte per Barry Lyndon
ospitavano molti dipinti classici che Adam e Kubrick utilizzarono
come arredi. Spiega Adam: <<Wilton ha dei bellissimi Van Dyck in
una stanza che ho utilizzato di nuovo in La pazzia di Re Giorgio>>.
<<Stanley ha un occhio incredibile. Composizioni strane o strane
cornici lo attraevano, e voleva includerle nelle riprese. Trovammo
che molti dei quadri negli interni erano appesi sulle pareti molto in
alto. Questo affascinava Stanley, lo affascinavano queste stranezze>>.
Lentamente, gli ambienti furono tutti scelti. La fattoria dove abi-
tava la madre di Barry fu trovata sui monti Camara, mentre le enor-
mi mura di pietra del castello di Caher furono scelte per il pranzo
della famiglia Brady. A Powercourt, che aveva forti influenze tede-
sche ma non era lontana da Dublino -e che fu usata per le scene di
battaglia - furono scoperte location adatte per le scene tedesche. Il
castello di Dublino divenne la casa di Chevalier, mentre il luogo
dove Barry incontra il capitano Potzdorf e le sue truppe era un punto
vicino a Waterford e Kerkenny. Una volta stabilitosi in Irlanda,
Kubrick cercò di convincere Ken Adam a trovare lì tutte le location
per le sequenze continentali, e solo alla fine si rese conto che le scene
inglesi si sarebbero dovute girare in Inghilterra. Gli esterni di casa
Lyndon furono ripresi al castello di Howard, e gli interni sono una
combinazione di Wilron, Corsham Court e Glenum. Singole scene
che si svolgevano in stanze determinate furono girate in ambienti
diversi e unificate in sala montaggio, per creare la stravagante e
magnifica dimora dei Lyndon. La continuità era un problema, e
Kubrick doveva tenere a mente l'insieme di ambienti che stava usan-
do per descrivere nel film una singola stanza.
Per organizzare le riprese in location, Kubrick decise che la produ~
zione avrebbe dovuto essere sempre mobile, e per poter tenere ogni
406
dipartimento in grado di spostarsi assegnò a ciascuno un minibus
Volkswagen. Ken Adam e i suoi scenografi erano sempre in movi-
mento: «Nel retro del mio minibus avevo un tavolo da disegno e
rutti i documenti di cui avevo bisogno. Stanley pensava a noi come
Rommel nel deserto», ricorda lo scenografo.
Il viaggio in Irlanda richiedeva una massiccia pianificazione. Negli
incontri preliminari, i direttori di produzione Douglas Twiddy e
Terence Clegg iniziarono a bombardare Kubrick di domande detta-
gliate su cosa spedire in tutte le varie location in cui si doveva gira-
re. Il regista cercava di rinviare le questioni per occuparsi di altro,
ma i due continuarono a insistere finché Kubrick accettò di rispon-
dere alle loro richieste, a una condizione: ogni volta che non avesse
saputo cosa rispondere a una loro domanda avrebbe suonato un cam-
panello e si sarebbe passati alla prossima. Quindi si dedicò a decidere
che tipo di campanello dovesse essere. Il direttore di produzione si
offrì di procurare un piccolo campanellino da tavola: Kubrick
respinse il suggerimento, spiegando che uno strumento simile avreb-
be urtato la sensibilità di classe dei presenti. Fu proposto allora un
campanello d'allarme, ma il regista lo trovava fastidioso e ordinò al
direttore di produzione: <<Chiedi agli scenografi di procurarmi esem-
pi di ogni campanello disponibile e io ne sceglierò uno>>. Questo
risolse il problema delle troppe domande del direttore di produzio-
ne, che già sapeva come all'inizio delle ricerche per Barry Lyrzdon
Kubrick avesse spedito squadre di assistenti a fotografare ogni
campo irlandese che avesse un albero al centro. Quando Stanley
Kubrick affrontava qualcosa, pretendeva di conoscere ogni alternati-
va prima di prendere una decisione, ma il problema del campanello
era davvero troppo per un direttore di produzione già sovraccarico di
lavoro. A Stanley Kubrick non piaceva dover rispondere a domande a
cui non aveva ancora voglia di rispondere - in realtà, gli piaceva
essere lui a farle.
Rispetto a tutti i precedenti progetti di Kubrick, Barry Lyndon era
quello più avvolto nel segreto. Durante tutta la fase di preproduzio-
ne e durante le riprese l'unica notizia disponibile fu che Stanley
Kubrick stava girando un film con Ryan O'Neal e Marisa Berenson:
tirolo e argomento restavano un mistero. Si diceva che Kubrick
mantenesse questo alto livello di segretezza perché stava utilizzando
un'opera letteraria che era fuori diritti e temeva che far sapere che
stava portando sullo schermo il romanzo di Thackeray potesse bru-
ciargli rapidamente un'idea non protetta, scatenando una sgradita
concorrenza al botteghino. La preoccupazione di Kubrick per la
segretezza era così intensa da fargli chiedere e ottenere i finanzia-
menti della Warner Bros. sulla base di un soggetto in cui nomi, luo-
407
ghi e date della storia erano stati cambiati, in modo che nessuno
potesse riconoscere con esattezza il romanzo da cui era stato tratto.
Sviluppare storie da raccontare sullo schermo sulla base di opere
già pubblicate era una costante di Kubrick, che per tutta la sua car-
riera non fu mai in grado di generare una storia originale tratta dalla
sua esperienza personale. A Richard Schickel disse che creare una
storia composta di attimi di vita era «uno dei risultati umani più
fenomenali>>. La sua infinita curiosità lo attraeva verso mondi al di
fuori della sua esperienza, che poteva esplorare attraverso strati su
strati di dettagli, fino a raggiungerne il nucleo.
Alla fine del gennaio 197 3, pur essendo costantemente in contatto
con Kubrick, la Warner Bros. era in grado di dire a «Variety» solo
che le riprese sarebbero iniziate in Inghilterra a maggio o giugno, con
Ryan O'Neal e Marisa Berenson. Per Arancia meccanica, la Warner era
partita sapendo solo che il film era basato su un libro di Anthony
Burgess. Kubrick non volle alcun ufficio stampa. << Variety» ipotizzò
che il regista stesse girando un progetto che la Warner aveva annun-
ciato a suo tempo, una riduzione del romanzo Doppio sogno di Arthur
Schnirzler, che una comunicazione stampa descriveva come un dram-
ma psicologico incentrato su una coppia, un medico e sua moglie, il
cui reciproco amore è minacciato dalla rivelazione dei rispettivi sogni.
Tutti cercavano di indovinare la prossima mossa di Kubrick.
La stampa era irritata dalla mancanza di materiale sul film e colse
l'occasione per sparare a zero sul regista, sempre più invisibile, reclu-
so e ossessionato dal segreto. Intanto Kubrick non accettava nemme-
no più di ricevere i giornalisti selezionati che erano stati ammessi sui
set dei film precedenti. Il suo ufficio approvava pochissime foto pub-
blicitarie e gli attori erano stati istruiti a non parlare con la stampa
senza un consenso previamente espresso. L'assenza di notizie scatenò
la circolazione di voci su ogni aspetto della produzione, dai metodi
di regia di Kubrick a un rapporto del <<New York Daily News»
secondo il quale il budget - arrivato a 11 milioni di dollari - era
partito da 2 milioni e mezzo. L'articolo descriveva Kubrick come un
autore ormai incontrollabile. Richard Schickel fu uno dei pochi gior-
nalisti ammessi a incontrare il regista: ma anche se il film gli fu
mostrato prima che a tutti gli altri critici, per consentirgli di dedica-
re a Barry Lyndon una copertina per la rivista <<Time», la sua intervi-
sta di quattro ore fu condotta sotto le restrizioni imposte da
Kubrick, nel cuore della notte in uno studio pieno di nebbia.
Il regista era restio a parlare anche con i suoi protagonisti. Marisa
Berenson, un'ex modella che si era distinta in Cabaret di Bob Fosse,
accettò di interpretare il film sapendo solo chi l'avrebbe diretto. Al
giornalista Thomas Wood dichiarò: <<Non ho fatto un provino per la
408
parte. Mi è arrivata e basta. Ero seduta nel mio appartamento di
Parigi un pomeriggio del febbraio scorso, quando è squillato il
telefono. Era Kubrick. Disse che aveva visto la mia interpretazione
in Cabaret e mi chiese se ero disponibile per un film da girare più
avanti, quest'anno. "Naturalmente", ho risposto. Allora lui ha detto
che non poteva dirmi molto, salvo che la storia si svolgeva nel
diciottesimo secolo e che era basata su un classico. Ma non importa-
va. Dopo tutto era Kubrick. Non avevo bisogno di sapere altro, così
ho accettato sui due piedi. C'era un'altra cosa. Mi ha chiesto di non
prendere il sole tutta l'estate. Devo avere questo pallore. Così quan-
do sono andata qualche settimana a Saint-Tropez ho dovuto tenere
la testa sotto un parasole. Il che è stata per me una circostanza
molto fortunata, perché mi faceva sembrare molto misteriosa e
romantica».
La Berenson aveva ventotto anni ed era figlia di Robert L. Berenson
e nipote di Elsa Schiaparelli, la disegnatrice parigina che era stata la
beniamina della moda degli anni Trenta. Gli occhi verdi della
modella, che usciva con membri del jet set come David de
Rothschild e Ricky von Opel, erede dell'industria automobilistica,
avevano contribuito a farla definire dalla rivista <<Elle>> <da ragazza
più bella del mondo>>. Oltre al suo ruolo in Cabaret, la Berenson
aveva interpretato la madre in Morte a Venezia di Luchino Visconti.
Ryan O'Neal aveva trentaquattro anni. Era apparso in prima serata
in oltre cinquecento episodi della fortunata e storica soap opera tele-
visiva "Peyton Piace". Barry Lyndon fu per lui un'esperienza unica: le
sue interpretazioni in Love Story, Ma flajJà ti manda .rola? e Paper Moon
ne avevano fatto un importante divo di Hollywood ma non lo aveva-
no preparato a recitare per Stanley Kubrick. <<Dio, come ti fa lavora-
re duro>>, disse O'Neal a Richard Schickel: <<Ti smuove, ti pungola,
ti aiuta, si arrabbia con te ma soprattutto ti insegna il valore di un
bravo regista. Stanley ha tirato fuori aspetti della mia personalità e
dei miei istinti di attore che erano sopiti. Dovevo dargli tutto ciò
che voleva, e voleva praticamente tutto quello che avevo. Avevo il
forte sospetto di essere coinvolto in qualcosa di grande>>.
Ryan O'Neal fu insolitamente abbottonato sul suo lavoro con
Stanley Kubrick. Interrogato dalla stampa quando arrivò a Londra
dopo aver ultimato le riprese in Irlanda, si limitò a dire: <<Questo film
parlerà da solo>>. Alla Warner Bros. non avevano da preoccuparsi del
tono furtivo, perché non ne sapevano molto di più di chiunque altro.
Nel novembre 1973 <<Variety>> riportava che John Calley, capo
della produzione della Warner, e Stanley Kubrick, avevano deciso di
comune accordo di sospendere la lavorazione di ciò che veniva allora
chiamato The Luck of Barry Lyndon, il titolo originale clelia storia di
409
Thackeray. Calley confermò una dichiarazione della produzione che
spiegava che le riprese venivano interrotte per non imporre un'intru-
sione ai proprietari delle dimore che volevano rientrare a casa propria
durante le vacanze. La Warner annunciava che Kubrick avrebbe rico-
minciato a girare nel gennaio 1974 per otto ulteriori settimane. Si
diceva che la pausa aggiungesse circa un milione di dollari al bud-
get. A Richard Schickel, Calley disse: <<Non avrebbe senso dire a
Kubrick: "Okay, caro, hai ancora una settimana per chiudere". Si
otterrebbe così un film mediocre che costa, diciamo, 8 milioni di
dollari, invece di un capolavoro che ne costa 11. Quando qualcuno
spende un sacco di soldi tuoi, la cosa più saggia è dargli il tempo di
fare un lavoro ben fatto. Questo lavoro è, nel migliore dei casi, un
tiro di dadi. Il fatto che Stanley sia convinto che il film incasserà
somme a nove cifre ci rassicura. Non si sbaglia mai di molto su nes-
sun argomento>>. L'accordo di Kubrick con la Warner Bros. prevede-
va che lo studio fornisse i finanziamenti e che il regista si prendesse
il 40 per cento dei profitti.
La produzione di Barry Lyndon, fra preparazione e riprese, era in
Irlanda già da sei mesi quando la lavorazione fu interrotta. Per spie-
gare la sospensione e il trasferimento di tutta la troupe in Inghilterra
furono fatte diverse ipotesi. Da Dublino circolava la notizia che l'Ira
avesse minacciato attentati dinamitardi ai danni della produzione:
Kubrick negò fermamente, ma è un fatto che abbandonò l'Irlanda e
riportò tutti in Inghilterra nell'arco di ventiquattro ore. Una dichia-
razione ufficiale della produzione spiegava che le riprese erano state
sospese perché si era rivelato impossibile girare in molte delle case
previste come location nel periodo natalizio. Durante la chiusura, fra
i membri del cast e della troupe circolarono voci di ogni genere:
molte riguardavano la veridicità delle minacce dell'Ira; altre ipotiz-
zavano che durante le riprese di Barry Lyndon ii regista stesse anche
realizzando scene di battaglia che sarebbero apparse nella sua epica
su Napoleone attesa da tempo. La scarsità di informazioni e la fitta
cortina di segretezza contribuirono a gonfiare ancora il mito crescen-
te di uno Stanley Kubrick autort-eremita.
Le riprese dovevano ricominciare all'inizio del nuovo anno. Molti
membri della produzione sospettavano che Kubrick stesse ripensan-
do tutto il film. Di sicuro, Barry Lyndon dovette subire una revisione
quando la lavorazione fu ripresa. Più che considerarlo il segno di una
produzione ormai senza controllo, lo si poteva vedere come u~
segnale ulteriore dell'evoluzione dei metodi registici di Kubrick: 1
suoi film non nascevano come un intero, ma erano costruiti metico-
losamente ed esaminati pezzo per pezzo durante la realizzazione,
quasi fossero fatti a mano. Barry Lyttdon avrebbe raggiunto gli scher-
410
mi in tutta la sua gloria con un'estetica disciplinata, anche se a tratti
debordante, e con l'idea di presentare la storia attraverso il rigore
degli zoom, del lume di candela e della voce istruttiva del narratore.
I detrattori del film avrebbero commentato: «Quando un regista
muore diventa un fotografo».
Alcott e Kubrick illuminarono con le candele intere scene. Per la
sequenza di gioco con Lord Ludd, Alcott chiese specchi di metallo
che impedissero al calore delle fiammelle di danneggiare i soffitti e
creassero un'illuminazione diffusa dall'alto. Ogni lampadario poteva
ospitare settanta candele, e dava all'operatore l'equivalente di tre foot-
L"ttrldles di illuminazione standard. Unafoot-candle è l'unità di misura
cinematografica che definisce l'intensità di una luce su una superficie
ogni punto della quale dista un piede dalla fonte di una candela. Il
negativo fu "tirato" di un intero stop in fase di sviluppo per pompare
nell'immagine complessiva la quantità di luce necessaria.
Girando con luce così scarsa diventava impossibile vedere l'imma-
gine attraverso un tradizionale mirino a prisma, e Kubrick e Alcott
ne adattarono uno tratto da una vecchia macchina da presa per il
Technicolor a tre strisce, montandolo sulla loro BNC Mitchell già
convertita. Il vecchio mirino funzionava con il principio dello spec-
chio e rifletteva ciò che vedeva, permettendo di vedere l'immagine
chiaramente anche con poca luce.
L'obiettivo da 50mm fabbricato originalmente dalla Zeiss e adatta-
to per il cinema da Ed Di Giulio fu usato praticamente per tutti i
campi medi e stretti. L'obiettivo era molto luminoso ma aveva
pochissima profondità di campo e rendeva necessarie prove molto
accurate e un sistema che tenesse conto delle distanze critiche a cui
l'obiettivo riusciva a tenere il fuoco. A Douglas Milsome, assistente
di Alcott e responsabile della messa a fuoco, fu data una telecamera a
circuito chiuso per mantenere la massima precisione. Alla rivista
<<American Cinematographen> Alcott spiegò: <<La telecamera era
posta a novanta gradi rispetto alla posizione della macchina da presa
ed era controllata attraverso uno schermo televisivo montato sopra la
scala degli obiettivi della cinepresa. Sullo schermo era posta una gri-
glia, e registrando le posizioni dei vari attori era possibile trasferire
le distanze sulla griglia per consentire loro una certa flessibilità di
movimento senza perdere il fuoco su di loro. Era un'operazione
molto delicata>>.
Kubrick e Alcott passarono ore a studiare gli effetti di luce ottenu-
ti nei dipinti dei maestri olandesi, ma trovarono che il loro stile fosse
piatto e decisero di illuminare le scene lateralmente.
Gli interni delle ville che racchiudono il mondo di Barry Lyndon
furono ripresi in modo da ricreare l'atmosfera di luce naturale
411
dell'epoca. Ad <<American Cinematographer», Alcott disse: <<Come
operatore sono sempre stato più incline a usare la luce naturale.
Penso che sia emozionante, in effetti, vedere il tipo di luminosità
offerta dalla luce del giorno e poi cercare di crearne l'effetto. A volte
è impossibile quando la luce esterna scende sotto un certo livello.
Abbiamo girato alcune di quelle sequenze in inverno, quando la luce
naturale era disponibile forse fra le nove del mattino e le tre di
pomeriggio. La necessità era di alzare la luce fino a un livello che ci
permettesse di girare dalle otto del mattino fino a qualcosa come le
sette di pomeriggio, mantenendo un effetto uniforme. Allo stesso
tempo cercavamo di riprodurre le situazioni decise in base alla ricer-
ca, e di riferirei ai disegni e ai dipinti previsti per la giornata - in
che modo erano illuminate le stanze e così via. Le composizioni
effettive delle nostre inquadrature erano molto fedeli ai disegni
dell'epoca».
Molte furono le tecniche impiegate per dare l'impressione di luce
naturale. La stanza in cui Brian, figlio di Barry, chiede se suo padre
gli ha portato un cavallo aveva cinque finestre, con una più grande al
centro. Kubrick e Alcott controllavano la luce in modo che sembras-
se entrare da quella centrale per dare alla stanza una sola fonte lumi-
nosa. Sulle finestre veniva messo materiale di plastica e carta velina,
e la luce naturale era simulata dai minibruti. Ogni scena di Barry
Lyndon fu girata in un ambiente reale, in autentiche case irlandesi e
nell'Inghilterra sud-orientale.
Molte delle proprietà usate nel film erano aperte al pubblico e
Kubrick non poteva tenere lontani i visitatori. Alla produzione era
permesso di lavorare in stanze specifiche, che venivano chiuse al
pubblico che passava nei corridoi. A volte il regista riusciva a lavora-
re solo quando non c'erano visite, altre volte si poteva girare solo fra
una visita e l'altra. Solo in qualche caso Kubrick e la sua troupe
ebbero la location a completa disposizione.
Per alcune sequenze, come ad esempio quella nella stanza da letto
di Lady Lyndon, furono costruite grandi tribune per le luci, che
potevano essere spinte da una parte quando la troupe riprendeva un
controcampo frontale rispetto alle finestre.
Per controllare le condizioni di luce in perpetuo cambiamento, fu
utilizzato un assortimento completo di gelatine e di filtri e anche la
tecnica di "tirare" lo sviluppo, in modo da mantenere regolare la
luce del giorno durante tutta la lunga e faticosa lavorazione. La scena
in cui Barry subisce un'imboscata da due briganti fu iniziata in
pieno giorno: via via che la giornata procedeva, e aumentava il
numero dei ciak, Alcott doveva usare lenti sempre più luminose per
mantenere la stessa esposizione del materiale girato in precedenza
412
mentre la luce diminuiva. Le ultime parti della sequenza furono
riprese con un obiettivo Tl.2 tutto aperto.
Storicamente, i film in costume si affidavano a una serie di filtri
diffusori per addolcire l'immagine e creare l'atmosfera di un passato
idealizzato. Alcott e Kubrick decisero di non usare diffusori ma per
tutte le riprese impiegarono invece un filtro Tiffen n. 3, a basso
contrasto, e una rete marrone. <<Abbiamo optato per il filtro a basso
contrasto invece che per un diffusore perché la nitidezza e la defini-
zione in Irlanda crea una situazione per le riprese che è molto simile
a un paradiso del fotografo», disse Alcott ad «American Cinema-
rographer>>. «L'aria è così pulita, penso, perché l'Irlanda è nella cor-
rente del Golfo. L'atmosfera è praticamente perfetta e abbiamo pen-
sato che sarebbe stato un peccato distruggerla con il diffusore, spe-
cialmente riprendendo i paesaggi».
Per il matrimonio fra Barry e la contessa, Kubrick e Alcott voleva-
no ottenere una morbidezza che diventasse un commento visivo alla
scena, e aggiunsero un elemento al loro filtro a basso contrasto: «Lo
combinammo con un velo per creare il tipo di radiosità visiva che
uno associa alla felicità», spiegò Alcott a Miche! Ciment.
La maggior parte delle riprese furono effettuate con una Arriflex
35BL. Ad «American Cinematographer>>, Alcott disse: «Hai il con-
trollo dell'apertura letteralmente sulla punta delle dita. Ha una scala
più ampia e quindi una regolazione più precisa della maggioranza
delle macchine. Questa dote è particolarmente importante quando si
lavora con Stanley Kubrick, perché a lui piace continuare a lavorare,
che il sole ci sia o non ci sia. In Barry Lyndon, durante la sequenza in
cui Barry compra il cavallo per il figlioletto, il sole continuava ad
andare e venire per tutta la sequenza. In questi casi bisogna provve-
dere. La vecchia battuta che dà lo stop perché il sole se ne è andato
non funziona più». La precisione dei comandi dell'apertura
deli'Arriflex 35BL permetteva ad Alcott di adeguarsi rapidamente
ed esattamente alle cangianti condizioni di luce.
La visione di Kubrick per Barry Lyndon prevedeva un uso massiccio
dello zoom: spesso la macchina da presa esplora un'immagine perfet-
tamente composta partendo da un dettaglio e poi zoomando indietro
fìno all'inquadratura piena. Alcott e Kubrick decisero di usare uno
zoom 20: l della Angenieux, che il regista si era fatto fabbricare da
Ed Di Giulio. Il progetto implicò una lunga serie di telefonate, telex
e lettere fra Kubrick, Di Giulio e la Angenieux Corporation: l'acume
tecnico del regista abbagliava gli ingegneri, che vedevano in lui un
caso senza precedenti fra i cineasti contemporanei.
Il fluido movimento dello zoom fu ottenuto con un controllo a
ioystick studiato da Di Giulio e dalla Cinema Products: il sistema
41.~
permetteva a Kubrick e Alcott di far partire e fermare uno zoom
senza il salto improvviso che spesso si verificava con gli zoom a
motore. Alla rivista «Millimeter>>, Alcott disse: <<Pochissimi sanno
usare correttamente gli zoom. [In Barry Lyndon] lo zoom accentuava
l'aspetto fluido del film ed è stato usato in tutto il film, e non solo
come un mezzo per fare più in fretta». <<Lo abbiamo usato molto»,
disse il direttore della fotografia a Michel Ciment. <<Ogni volta
diventava un'immagine in se stessa e non, come capita di solito, un
mezzo per spostarsi da un punto nello spazio a un altro. Così ogni
inquadratura era una composizione, come lo zoom indietro dal duel-
lo con le pistole in riva al fiume. Lo zoom significava anche che non
dipendevamo più di tanto dal montaggio e dava a tutto il film una
certa morbidezza e fluidità>>.
La tecnica dello zoom divenne la scelta stilistica di Barry Lyndon
rimpiazzando i rinomati dolly e carrelli di Kubrick, così memorabili
in Orizzonti di gloria. L'uso dello zoom diventava uno strumento este-
tico che sezionava composizioni accuratamente incorniciate. La
metafora era quella di un dipinto d'epoca che prendeva vita. La
messa in scena era minima e manierata, e la costante ripetizione
dello zoom per introdurre una scena contribuiva a trasportare lo
spettatore indietro nel tempo, fino al diciottesimo secolo, attraverso
un mondo di quadri classici meticolosamente rappresentati. Quando
l'occhio della cinepresa zoomava da vicino a lontano, Kubrick espan-
deva la sua esplorazione del mondo della pittura del diciottesimo
secolo, senza superare i rigidi confini del quadro ma esaminando la
profondità dello spazio in rapporto al mutare delle distanze.
Kubrick continuò a usare il video come mezzo per comunicare fra
la macchina da presa e quello che otteneva sulla pellicola. Girando in
video dalla stessa angolazione, il regista raffinava il suo approccio
alla macchina da presa e coordinava la messa in scena e la composi-
zione in movimento.
Quando Kubrick decideva di muovere davvero la macchina da
presa, lo faceva su scala grandiosa: per intensificare l'eccitazione
viscerale della grande scena di battaglia studiò un carrello imponen-
te. Ad <<American Cinematographer», John Alcott spiegò: <<Nella
sequenza della battaglia avevamo un carrello lunghissimo, con le
macchine da presa su un binario di quasi 250 metri. Sul carrello
c'erano tre cineprese che si spostavano con le truppe. Usavamo un
dolly Elemack, con ruote da carrello, montato su una normale piat-
taforma di metallo con ruote a una distanza di oltre un metro e
mezzo, perché avevamo scoperto che questo ci aiutava molto nel cer-
care di eliminare le vibrazioni quando si girava con lo zoom a fondo.
Sembrava che assorbisse le vibrazioni più che se fossimo andati direr-
414
ramenre suli'Eiemack. Praticamente tutti i primi piani fatti dal
binario durante quella scena di battaglia sono fatte con lo zoom tira-
to a 250mm>>.
Prima di cominciare le riprese, Alcott aveva provato una macchina
da presa su un binario normale e poi su uno montato su una base: a
Kubrick erano piaciuti i risultati e aveva ordinato di fabbricare piat-
taforme su cui mettere i binari. A Ken Adam e agli uomini del suo
settore toccò l'incarico di costruire la base di legno su cui mettere i
binari. La sequenza della battaglia richiese un'ampia preparazione:
Ken Adam visualizzò con lo story board le idee grafiche di Kubrick
per girare con lenti di varie focali. Con gli story board, il regista era
in grado di decidere per ogni inquadratura quali soldati avrebbero
indossato costumi reali e quali potevano indossare quelli di carta -
fino ai campi lunghi, sullo sfondo dei quali potevano essere usati dei
fantocci. Per consentire a Kubrick di vedere le sue potenziali inqua-
drature da ogni angolazione possibile si fecero infinite simulazioni
schierando in varie formazioni dei soldatini di piombo.
Nel senso migliore dell'espressione, la maestosa e splendida foto-
grafia di Barry Lyndon fu una collaborazione fra Joh n Alcott e
Stanley Kubrick. Un operatore che lavorasse con il regista non pote-
va essere che un con-direttore della fotografia: sia Alcott che Kubrick
si occupavano del posizionamento della macchina da presa, della
composizione, della scelta degli obiettivi e anche di manovrare per-
sonalmente la cinepresa.
Per il cast di Barry Lyndon, Kubrick attinse a un vasto gruppo di
esperti attori di teatro e di cinema, che fossero abili verbalmente, e
che avessero esperienza di repertorio d'epoca. Per le sequenze irlan-
desi, il regista si rivolse agli allievi del celebre Abbey Theater.
Alcuni attori inglesi furono scelti in base alle loro specifiche abilità
ed eccentricità. Jonathan Ceci! fu inizialmente ingaggiato per inter-
pretare un personaggio del romanzo di Thackeray che lo stesso Ceci!
descrive come <<Un giovane ufficiale snob e di classe alta». L'ufficiale
viene ferito e Barry lo aiuta a salire le scale di una fattoria tedesca,
dove una giovane donna si prende cura di lui. Nella versione finale
dei film tutto quello che resta di questo brano è la storia d'amore di
Barry con la giovane tedesca che, rimasta sola, aspetta con il figlio il
ritorno dalla guerra del marito.
A ogni attore secondario di Barry Lyndon fu fatto un provino: era il
direttore del casting James Liggat a convocare gli attori, molti dei
quali erano scelti personalmente da Kubrick, che continuava a vede-
re quanti più film era possibile per rastrellare nuovi talenti.
Jonathan Ceci! aveva un'ampia esperienza di televisione e di teatro.
Mentre nei primi anni Settanta recitava in Cowardly Cu.rtard, una
415
rivista di Noel Coward, gli avevano detto che Kubrick era stato pre-
sente tra il pubblico. Ma per il regista era essenziale visualizzare
ogni attore nel ruolo che gli era proposto dalla sceneggiatura di
Barry Lyndon. Dopo aver visto il provino di Ceci!, Kubrick disse ai
suoi di avvertire l'attore che avrebbe avuto la parte. <<Fu un'esperien-
za straordinaria, posso dire con sincerità che fu una delle più strane
mai avute in trentadue anni di carriera», affermò Ceci!, che in segui-
to avrebbe lavorato con Federico Fellini, Billy Wilder e Lindsay
Anderson.
«Ci fu una giornata disastrosa, in cui diluviava come accade solo in
Irlanda. Siamo arrivati tutti alle sei del mattino in questa piccola
fattoria, che doveva essere il cover set2 , per scoprire che era senza tetto.
Entrava acqua da tutte le parti, era una rovina. Così siamo arrivati lì
solo per trovare Stanley e tutta la troupe che partivano per andare da
un'altra parte a girare qualcos'altro».
Alla fine fu trovata una location adatta a girare la sequenza della
fattoria e Kubrick iniziò a lavorare con Jonathan Ceci! e Ryan
O'Neal alla creazione della scena. Ricorda Ceci!: «Cercava di farci
inventare qualcosa, e sarebbe stata una scena molto divertente. Io,
nella parte del giovane ufficiale arrogante, cercavo di sedurre questa
ragazza tedesca in un modo alquanto rustico. Barry Lyndon, natural-
mente, aveva più fortuna con lei e io ne ero seccato. Quando comin-
ciai a interpretare il ruolo, si era all'inizio delle riprese. Ryan O'Neal
mi trasportava e io dovevo fingere di essere ferito. Mi davo un gran
da fare a lamentarmi e contorcermi dal dolore, come immaginavo
avrebbe fatto qualcuno con una pallottola nella coscia. Stanley disse:
"È troppo. Deve essere più inglese, cerca di reagire al dolore". Era
tutto il contrario di quanto risultava dalla sceneggiatura originale,
in cui il giovane ufficiale è ferito solo leggermente ma fa un sacco di
scena. Era molto drammatizzato, ma Stanley non voleva quella roba,
continuava a ripetermi: "Ora, ricordati, labbro superiore rigido". È
così che lo chiamiamo noi inglesi. Essendo diventato un vecchio
attore, credo di capire che era molto più efficace. Non mi sembrava
di stare esagerando in modo particolare, ma facevo parecchio rumore.
Stanley stava a guardare e io dissi: "Sto facendo un po' il merluzzo?".
Stanley disse: "Cosa è questa parola, "merluzzo"?". Gli spiegai che
era una vecchia espressione del gergo teatrale inglese, che significava
eccedere leggermente nella recitazione, o renderla ridicola. Si diceva:

2 Un set eli emergenza, sempre pronto a ospitare un programma alternativo nel e<IS 0
che le condizioni meteorologiche non consenrano di rispettare il programma eli riprese
all"aperto. (N.d.T.)
416
"Ha recitato da merluzzo". Voleva dire gigioneggiare. Non se ne fece
mai niente, perché Stanley decise all'improvviso che tutta questa
scena era superflua ai fini della trama>>.
<<Molti attori furono mandati a casa e le riprese furono sospese per
due o tre settimane. Non sapeva dove stava andando a finire, perché
sembrava che le scene in Irlanda andassero avanti così a lungo che il
film non sarebbe finito mai. Ci sistemarono tutti in albergo. Mentre
Stanley decideva come riadattare le trame ed eliminare alcune scene,
gradualmente sempre più attori venivano pagati e rimandati a casa e
noi stavamo lì a giocare senza fine a Scarabeo, senza sapere niente.
Quando ero un giovane attore c'erano queste commedie popolari, alla
fine delle quali tutti sono morti - era quel tipo di situazione. C'era
sempre una telefonata. Allora i telefoni irlandesi funzionavano malis-
simo. Non ci voleva niente a collegarti a Londra o all'America, ma
cercare di telefonare a un altro luogo in Irlanda era incredibilmente
difficile, e a me capitava di sentire questa voce gracchiante che dice-
va: "Tu resti nel film, ma mi chiameresti questo e questo?". Ogni
giorno mi truccavano e mi preparavano per fare l'ufficiale, anche se il
personaggio non esisteva più nella forma prevista dalla sceneggiatura
originale. Alla fine fui chiamato sul set. Mi sono sempre trovato
benissimo con Stanley, che trovavo un uomo straordinario ed estre-
mamente cortese. Ho lavorato con Fellini in E la nave va. Erano per-
sone molto diverse, ma avevano in comune una qualità: quando eri in
loro presenza ti guardavano come se fossi la cosa pitl importante, per-
ché di fatto eri un oggetto d'arte da mettere sullo schermo con tutte
le possibilità di quello che potevano fare con la tua faccia>>.
<<Tutti i week-end Stanley veniva al nostro albergo. Se veniva al
bar io scappavo perché non sopportavo di sentire puntati su di me
quegli occhi inquisitori. Pensavo: "In questo momento sono fuori
servizio". Aveva questi occhi scuri fiammeggianti e una immensa
serietà. Era interessato a ogni aspetto, anche a un attore che si limi-
tava a passare nel film con una sola battutina. Non è che mancasse di
umorismo. Il mio aspetto è quello di un eccentrico tipo inglese e
quel costume d'epoca mi stava perfettamente. Ricordo che la prima
volta che mi vide in costume si divertì. Durante il periodo, fra un
mese e le sei settimane, che mi tennero in stand-by permanente,
l'aiuto regista Brian Cook mi telefonava a casa a Londra e diceva:
"Sai le battute?", perché Stanley ha un modo incredibile di rifilarti
le battute. Una volta all'improvviso mi fu data una frase in tedesco.
Trovavo molto difficile imparare rapidamente nella roulotte, con
addosso il trucco e tutto quello che succedeva. Allora non avevo
molta esperienza: ero soprattutto un attore di teatro ed ero abituato
ad avere parecchio tempo per studiare le battute. Così Brian Cook
417
mi diceva: "Sai le battute?" e io dicevo: "Sì". "Saresti pronto a reci-
tarle domani se ti dovessimo chiamare?", e io: "Sì". E Brian: "Beh
vogliamo provarle?". Così lo facevamo al telefono. Certo che sapev~
le battute, ve lo dico io. Beh, per quanto ne sapeva lui poteva darsi
che avessi la sceneggiatura in mano e stessi leggendo. Andavamo
dappertutto in questi furgoncini Volkswagen, da una location
all'altra, anche per distanze molto brevi. Quando Stanley era in mac-
china non smetteva mai di lavorare. Aveva sempre un registratore in
funzione e ascoltava la musica che avrebbe usato, una straordinaria
collezione di musica folk e di Schubert>>.
Per la scena con l'ufficiale ferito che ha cercato di sedurre la conta-
dinella tedesca, Ryan O'Neal doveva portare Jonathan Ceci) su per
una scala di legno. Ricorda Ceci): «Facevamo un ciak dopo l'altro.
Povero Ryan. Mi portava su per la scala sollevandomi come un pom-
piere. Era molto pericoloso perché eravamo in una zona umida
dell'Irlanda e tutto era molto scivoloso per via del muschio e del
resto. Quella scena fu rifatta un sacco di volte. Io dovevo fare tutto un
discorso. Alla fine si riuscì a finirla e Stanley disse: "Stop! Jonathan
l'ha rovinata, si è dimenticato di recitare". Io pensavo di aver fatto
tutto bene. Eravamo arrivati in cima alla scala, non avevo sbagliato
alcuna battuta, non avevo sbagliato il tedesco, i passi erano giusti, la
posizione era proprio quella ma in effetti mi ero scordato di recitare».
Kubrick non dava a Ceci) molte indicazioni. Spesso si limitava a
dire: <<Ancora>> e fare un altro ciak. <<Poi una volta mi disse: "Okay,
Jonathan, sembra che la tua parte non sia più nel film, ma mi piaci,
penso che tu sia bravo. In questo film non ci sono ruoli da nobile
inglese. È possibile che ti troveremo qualcosa più avanti. Ti voglio
nel film". E fu tutto, fui mandato a casa. Pensavo: "Oh, beh, è genti-
le da parte sua parlare così". A fine ottobre o ai primi di novembre
tornai in Inghilterra per fare una serie televisiva comica, feci un'altra
cosa per la Tv e partecipai a un Amleto. Non avevo idea che Barry
Lyndon stesse ancora andando avanti. Ero a Glasgow e all'improvviso
mi arriva una telefonata. Stanley mi mandò il suo assistente, Andros
Epaminondas, per farmi un provino a torso nuclo nella sala
dell'albergo. Andros gli aveva detto: "Ma scusa, hai tutto quesro
materiale girato di Cecil, perché devo andare fin lassù". Stanley, con
il suo perfezionismo, aveva detto: "Che fai domenica?". "Beh, nien-
te", aveva detto Andros. Così dovette venire a Glasgow e riprender-
mi in questo albergo molto puritano. Io avevo il terrore che entrasse
qualcuno e mi trovasse nei panni di questo ufficiale gay, a torso nudo
nella sala riservata agli ospiti>>.
Quando Ceci) tornò sul set di Barry Lyndon, aveva sempre il ruol.o
dell'odioso ufficiale che Barry usa per disertare prendendogli l'uni-
418
forme: ma stavolta Kubrick gli fece fare la parte di un soldato gay
innamorato di un altro ufficiale.
«Una cosa che non dimenticherò mai di Stanley accadde nel giu-
gno seguente, mesi dopo che avevo usato quella parola, "merluzzo",
che chiaramente aveva archiviato nella sua mente, perché mentre
facevo l'ufficiale omosessuale nell'acqua con l'altro ufficiale mi disse:
"Jonathan, così come l'hai appena detto è un po' da merluzzo".
Pensai: "Che uomo straordinario". Io avevo usato questa espressione
all'antica, da attore estivo, e lui l'aveva ricordata e utilizzata. Pensavo
che fosse straordinario, calcolando che da quando c'ero stato io nel
film erano passati più di un centinaio di attori».
Il nuovo ruolo di Jonathan Ceci! sopravvisse nella versione defini-
tiva di Barry Lyndon. Mentre i due ufficiali gay si struggono per
l'imminente separazione, Barry spunta da dietro una collinetta e
ruba l'uniforme e il cavallo di uno di loro per sfuggire ai rigori del
suo reggimento e riacquistare la libertà. La macchina da presa inizia
su Barry che porta dell'acqua- fuori campo sentiamo le voci dei due
amanti, mentre lui si avvicina ai vestiti e al cavallo. La macchina
continua la panoramica e zooma nell'acqua mentre vediamo i due
uomini a media distanza, quindi torna su Barry che ruba le loro cose.
La conversazione rimane costante per tutta la scena.
La sequenza si svolge in una giornata calda, che incoraggia i due
uomini a spingersi nell'acqua nudi dalla cintola in su. Kubrick deci-
se di girare in un giorno che era tutt'altro che caldo. Ricorda
Jonathan Ceci!: <<Mi battevano i denti. Stanley continuava a gridare
nell'altoparlante: "No, no, no. Jonathan, rilassati, fa caldo, è una
splendida giornata">>.
La situazione era aggravata dalla passione di Kubrick per girare
tutti i ciak necessari a trovare di una scena ogni sfumatura possibile.
<<Sessanta ciak! Non ne avevo mai fatti tanti in tutta la mia vita»,
dice Cecil. <<Fu girata da ogni angolazione. Stanley stava subito
sopra l'argine e noi eravamo subito sotto. Io e il mio partner,
Anthony Dawes, continuammo a essere convocati per tutta l'estate.
Era bellissimo essere sul libro paga. Continuavano a convocarci e
Stanley non è mai convinto della location. Stanley non è sicuro fino
al momento in cui è proprio sul posto e vede la location, e solo allora
lo sa. L'ho visto andarsene da un set, anche se lo scenografo gli aveva
assicurato che era perfetto e prima aveva visto ogni tipo di diapositi-
:a e fotografia. Fino a quando non si trovava lì, con gli attori e tutti
m posizione nella scena, non aveva ancora deciso di volerla in quel
modo. Era un'area bellissima nella campagna nell'Inghilterra occi-
dentale. Eravamo in un fiume e Stanley stava sull'argine. Girava da
lontano. Dovevamo essere in piedi nell'acqua, ma era troppo poco
419
profonda, per cui in realtà eravamo in ginocchio su una chiana mon-
tata su una specie di lancia>>. Per girare la scena ci volle un'intera
giornata di dodici ore.
Agli attori esperti di Barry Lyndon Kubrick chiedeva disciplina.
Spiega Ceci!: <<Stanley era molto rigoroso, tutto doveva essere prova-
to fino all'ultimo dertaglio e un attore aveva pochissimo spazio per
variare l'interpretazione da un ciak all'altro. Su Peter Sellers, in
Lolita, lasciava che la macchina da presa continuasse a girare.
Leonard Rossiter, che diede un'interpretazione straordinaria come il
capitano Quin, era un attore imprevedibile e insolito. A Stanley pia-
ceva quel tipo di attore. Era molto rigoroso nel volere che turto fosse
ripetuto esattamente. Stanley non era troppo propenso a lasciare che
uno se ne uscisse fuori con qualcosa di leggermente diverso, ma face-
va qualche eccezione per artori dotati di quel genere di eccentricità».
Kubrick continuava a decidere come si doveva girare una sequenza
anche quando si trovava sul set di fronte agli attori. A R ic hard
Schickel, Ryan O'Neal dichiarò: «Il momento più difficile della
giornata di Stanley era trovare la prima inquadratura. Una volta fatta
quella, turte le altre andavano a posto. Ma agonizzava sulla prima.
Una volta che era proprio bloccato cominciò a cercare in un libro di
riproduzioni artistiche del diciottesimo secolo. Trovò un quadro, non
mi ricordo quale, e sistemò Marisa e me come se fossimo in quel
quadro>>.
O'Neal ricorda un momento durante una scena particolarmente
difficile che per lui costituì la svolta per capire l'approccio totale di
Kubrick al cinema: «Trovò il modo di passarmi vicino mentre dava
istruzioni alla troupe - "Passiamo alla trentadue, sposta quelle luci
in primo piano" e così via - ma quando mi fu vicino, mi prese la
mano e me la strinse. Fu il gesto più bello e più apprezzato della mia
vita. Il momento più bello della mia carriera>>.
Gay Hamilton, che interpretava la cugina di Barry, Nora Brady,
non incontrò Stanley Kubrick fino a quando - dopo essere già stata
scelta- arrivò sul set pronta a interpretare il ruolo. L'attrice scozzese
era venuta a Londra dopo aver studiato al Glasgow College: era stata
membro della Royal Shakespeare Company ed era apparsa in nume-
rose produzioni televisive. «Conoscevo bene il direttore del casting,
Jimmy Liggat>>, ricorda la Hamilton. «Mi chiamò per un colloquio e
mi disse: "Stanley Kubrick non incontra nessuno". Fui chiamata.
Non c'era una sceneggiatura. Mi dissero di fare qualcosa in video,
così feci Il fmfantello dei/'Ove.rt di J.M. Synge. Mandarono quella roba
a Stanley e lui disse: "Sa fare anche altro?". Alla fine feci una cosa
che avevo imparato da bambina e ci siamo fatti un sacco di risate.
Jimmy Liggat disse che Stanley aveva chiesto se io potevo "far vedere
420
le gambe" per qualche motivo - non penso che nel film si vedano
01 ai, tranne forse un pochino quando balliamo. Non ho incontrato
Stanley fino alle prove costume, che sono state tenute con grande
attenzione. La parte inferiore dei materiali che usavano era parecchio
sbiadita. La forma dei costumi e dell'acconciatura prevista per il mio
ruolo era basata su dipinti francesi. C'è un Fragonard con una ragaz-
za, con le guance rosa, i capelli marroni raccolti e la testa inclinata a
leggere un libro. Ogni materiale veniva mostrato a Stanley Kubrick,
esaminava personalmente ogni costume. Era in contatto con tutto.
Era circondato da consiglieri ma alla fine dovevano mostrare tutto a
lui e farglielo approvare. Non c'era dubbio che avesse il controllo su
ogni singolo aspetto del fare cinema>>.
«Quando lo incontrai per la prima volta ero stata portata in un
campo in Irlanda. Faceva piuttosto fresco. Lui era su un'ampia strut-
tura e filmava dall'alto. Guardava in basso verso di me ed era il
nostro primo incontro. "Salve", disse. "Ti puoi girare?". Era straordi-
nario. Naturalmente mi rendeva estremamente nervosa, anche se ero
già stata scelta e avevo già il costume ed ero pronta a partire, ma non
l'avevo mai incontrato. È solo che evita di incontrare chiunque a
meno che non sia proprio necessario. Mi ci trovai benissimo. Fu sim-
patico perché la mia parte nel libro è molto piccola e alla fine mi
disse: "Vorrei che il personaggio avesse da fare qualcosa di più ma,
sai, non posso inventarmelo">>.
Gay Hamilton aveva letto il romanzo di Thackeray per assorbire
tutto quello che poteva del personaggio. «Non era molto>>, ricorda
l'attrice: «I suoi capelli sono descritti come color carota, e ovviamen-
te erano diversi dai miei. Speravo che non mi avrebbero fatto una
cosa simile. In sostanza, Stanley mi diede una sola indicazione, che
durò per tutta la lavorazione. Noi attori inglesi interpretiamo la
Restaurazione, così l'epoca mi era familiare, e la interpretiamo in
modo manierato. Stanley disse: "Posso parlarti un minuto?". Mi
prendeva da parte e mi diceva: "Gay, posso parlarti un minuto?". Mi
parlò con molta pazienza: "Vedi, questo personaggio è una civetta,
ed è una birbona, così interpretalo con rutta la dolcezza che riesci a
metterei". Era magnifico. Da allora ho ripensato molte volte a quella
indicazione, perché era così giusta. L'aveva centrato fin dall'inizio,
dicendo: "Questa la facciamo sul serio e tu devi interpretarla come
una persona simpatica perché noi sappiamo tutto del tuo personag-
gio". Era un'indicazione che ti spiegava direttamente come interpre-
tare il personaggio. Naturalmente la narrazione stava spiegando al
pubblico chi io fossi. Di tanto in tanto ti prendeva in disparte e si
Parlava del livello dell'energia o dell'emozione, ma dopo quella sin-
gola indicazione su come interpretarla non ne ebbi molte altre. È un
421
po' come se l'avessimo risolta e in qualche modo ora il personaggio
fosse presente>>.
<<Con me fu sempre gentile, tranne una volta che mi slacciai
quell'infernale corsetto e lui gridò: "Gay - servono due persone per
prepararlo!", ma nel complesso ci trovammo estremamente bene.
Ryan O'Neal stava in questa casa vicino Dublino. Stanley e Ryan
guardavano sempre video di pugilato perché a Stanley piace molto, e
piaceva anche a Ryan. Naturalmente all'epoca c'era in giro Tatum, la
figlia di Ryan, che scorrazzava dappertutto. Una volta dovevo pro-
varmi un costume e andare a mostrarlo a Stanley, ma lui e Ryan
erano così occupati a guardare il video della boxe che io dicevo:
"Scusate? Scusate!- Sono qua!". Stanley si limitò ad alzare la testa, e
mi fissava. Gli dissi: "Oh, quanto sai essere difficile">>.
<<Le inquadrature erano così lunghe - tutta quella luce. Stanley
metteva un bel po' delle luci, in stretta collaborazione con John
Alcott, ma se ne occupava personalmente. Kubrick non se ne andava
a fare altro, stava sempre lì. Una volta andammo tutti ai monti
Wickley in Irlanda e non si fece nulla tutto il giorno. Era una lunga
carovana- tutte le roulotte, e tutti quanti a guidare, guidare, guida-
re - non si girò neppure un fotogramma>>.
Quando le riprese iniziarono in autunno in Irlanda, la sceneggiatu-
ra era completa ma molti degli elementi che dovevano descrivere una
scena non c'erano. <<Mi diedero tutto quello che era stato scritto, ma
su ogni cosa c'era un'aria di mistero>>. Per la scena in cui Barry e sua
cugina Nora Brady attraversano a piedi il bosco, Kubrick si rivolse
agli attori perché sviluppassero il dialogo. Ricorda Gay Hamilron:
<<Stanley disse a Ryan: "Questa è tua cugina e tu sei ... " e poi si voltò
verso di me e disse: "E tu cosa diresti a questo punto?". Lui impostò
la situazione e praticamente toccò a noi scrivere le battute>>.
Kubrick usò lo stesso metodo per la prima scena fra Barry e Nora,
all'inizio del film. Incontriamo Barry che gioca a carte con sua cugi-
na Nora in una stanza decorata con conchiglie. La scena fu girata a
Powercourt Mansion, subito fuori Dublino. Ricorda Gay Hamilron:
<<Non sapevamo nemmeno che avremmo dovuto giocare a carte.
Arrivammo sul posto e ci mettemmo a sedere cercando di decidere
come sarebbe stato. Poi, all'improvviso, a qualcuno venne in mente
che avremmo potuto giocare a carte. "Andate a prendere delle carre".
Lì non c'era nulla>>.
Kubrick continuò a usare il metodo di rifare una quantità di ver:
sioni in un solo ciak, una filosofia che sposava la teoria che quando 51
fa un film la pellicola è la cosa che costa meno. Kubrick cercava una
tensione erotica fra Barry e sua cugina, quando lei lo stuzzica
nascondendosi un fiocco nella scollatura e sfidandolo a rrovarJo.
422
Ricorda la Hamilton: «Quella volta c'era una sorta di eccitazione
nell'aria. Quando lo bacio nella casa estiva con le conchiglie ricordo
che erano le otto di sera e avevamo fatto qualcosa come quattordici
ciak del bacio e Ryan disse: "Devo andar via perché Tatum ha la feb-
bre!". Certo, avevamo giorni lunghissimi che iniziavano alle sei del
mattino, e terminavamo attorno alle nove di sera. Erano giornate
lunghissime. Attingevi a riserve di energia che non sapevi di avere, e
alla fine della giornata ti sostenevi a forza di Guinness>>.
Kubrick mandò Gay Hamilton e Leonard Rossiter, che interpreta-
va il corteggiatore di Nora, il capitano Quin, da un'insegnante di
ballo a Londra, perché imparassero una danza irlandese che avrebbe-
ro dovuto fare nel film. Dopo molte lezioni, la Hamilton e Rossiter
conoscevano il ballo alla perfezione. La produzione era a Waterford e
Kubrick girò la scena a County Clare, con la gente del posto che
scava a guardare la coppia che danzava felice. Durante le riprese, la
Hamilton e Rossiter eseguirono il ballo alla perfezione, ma Kubrick
continuava a girare un ciak dopo l'altro. Ricorda la Hamilton: «La
facemmo perfettamente molte volte. Alla fine urlavamo: "Che diavo-
lo c'è che non va? Perché continua a rifarla?". Lui non spiegava.
Diceva soltanto: "Okay, benissimo, di nuovo". Penso che ce la voles-
se lasciar rifare ancora e ancora e ancora fino a quando fossimo arriva-
ti a farla quasi senza pensarci, come se avessimo ballato così tutta la
vita. Non sì voleva dare l'impressione che ci fosse appena stata inse-
gnata. Probabilmente la facevamo in modo un po' precisino, con
tutti i passi giusti. All'improvviso i capelli cominciavano a spetti-
narsi e sudavamo- era voluto>>.
<<Aveva un lato abbastanza diabolico. Una volta ero in un campo
lungo, quello a fianco della collina, quando mi si vede che do un
fiocco a qualcun altro e si scopre come sono veramente, e Stanley
disse, e questa la disse ad alta voce: "Gay, non riesco a vedere quello
che fai. Qui sei in un campo lunghissimo. Falla come quando hai
fatto il tuo primo piano, così possiamo vedere cosa stai facendo" e
intendeva che sul primo piano avevo esagerato. Mi stava prendendo
in giro, ma in modo simpatico>>.
«Cominciava in campo lungo. Partiva da lontano e poi zoomava in
avanti. Ricordo che fui molto sorpresa quando lo vidi. Ero molto
sorpresa che all'inizio fossimo così lontani. Non ne avevo idea. Solo
che ci volle un sacco, ma un sacco di tempo a preparare quella inqua-
dratura. Una volta preparata, la si fece un po' di volte ma non con
rnolte macchine da presa. Era solo quella singola inquadratura. La
Preparazione richiese secoli. Stette un bel po' a guardare in obiettivi
diversi fino a quando si decise a girarla in un certo modo. Non penso
che avesse un piano prestabilito, proprio non è così che lavorava.
423
Trovava l'attore e andava sul set, anche nella casa delle conchiglie
stavamo lì e creavamo sul posto, facendo tutto in brevi pezzetti>>.
Spesso Kubrick stava personalmente alla macchina ed era molto
esigente circa la precisione della coreografia della ripresa. Il macchi-
nista del dolly Luke Quigley, lavorando con Bob Gaffney su una
pubblicità parecchi anni dopo, gli avrebbe raccontato un esempio:
<<Avevamo preparato questa scena che aveva circa otto movimenti del
dolly. L'ultimo movimento era poco più di due centimetri. Abbiamo
fatto il ciak e Stanley aveva una cuffia per controllare il dialogo e
stava in macchina>>. Luke manovrò il dolly per tutta la complessa
sequenza, facendo tutti i movimenti tranne l'ultimo. <<Stanley Io
chiamÒ>>, racconta Gaffney. <<Pensa alla difficoltà di vedere la diffe-
renza: Stanley seguiva il dialogo, stava in macchina e aveva ancora
abbastanza testa per accorgersene. Non è che contasse gli otto movi-
menti: tutto il suo corpo era accordato su quel movimento di mac-
china>>. L'abitudine di Kubrick di stare alla macchina personalmente
provocò le dimissioni di uno degli operatori, che se ne andò perché si
sentiva inutile.
La pressione dovuta al fatto di girare in ambienti reali e le neces-
sità dell'enorme produzione di Barry Lyndon forse non erano evidenti
per il cast e la troupe, che vedevano Kubrick attraversare con sicu-
rezza le difficoltà della lavorazione, ma lo stress cominciava a farsi
sentire: sulle mani di Kubrick apparve uno sfogo che non andò via
fino a quando Barry Lyndon non fu ultimato. Anche se Christiane lo
aveva recentemente convinto a smettere, il regista riprese a fumare
pesa n teme n te.
L'attore scelto per fare il capitano Potzdorf interpretò il ruolo
davanti all'obiettivo per quasi tre settimane e poi Kubrick decise che
non funzionava. Il regista non parlò personalmente con lui: come
aveva fatto con Alex North, preferì evitare di affrontarlo e lasciò che
fossero i membri dello staffa informare l'attore che non faceva più
parte del film. A un certo punto Kubrick discusse il ruolo di
Potzdorf con Steven Berkoff, ma poi decise di assegnare il ruolo a
Hardy Kruger, che aveva un certo nome in Europa e in America.
Girare a lume di candela fu un'esperienza unica per gli attori.
Ricorda Steven Berkoff: <<Sul set si parlava parecchio di quanto fosse
unico. Ricordo che ero affascinato dal fatto che non ci fossero luci
dall'alto o per gli sfondi. Doveva essere soltanto luce di candela, in
modo da dare un contributo unico all'arte della cinematografia risa~
lendo alla pittura. La pellicola era poco sensibile e la profondità dJ
campo era ridotta. Di conseguenza non c'era molto spazio di movi-
mento per gli attori: bisognava posare quasi come se fosse per un
ritratto. Avevamo tutte queste candele accese e, naturalmente, a
424
rneno che si facesse tutta una tirata, le candele si riducevano fra un
ciak e l'altro. Stanley faceva così tanti ciak e così tante inquadrature
che bisognava continuamente rimpiazzare le candele accese, e i loro
costi diventavano enormi. Dovevano costantemente controllare per
vedere quante candele c'erano. Continuavano a tirare fuori dei librini
e a controllare i prezzi delle candele. Divenne un ulteriore elemento
di stress, perché era necessario usare le candele rispettando la conti-
nuità: una candela dura a lungo ma dopo un paio d'ore ha un aspetto
diverso, per cui era un grosso problema>>.
«Andai a un grosso edificio municipale di Dublino che usavano
per una scena. A Dublino c'era un enorme temporale e fuori dalle
finestre c'erano grandi luci ad arco per creare la sensazione della luce
del giorno. Il temporale sferzava l'edificio e all'esterno i macchinisti
irlandesi dovevano tenere fermi i cavalletti di questi fari giganteschi.
All'interno c'era un'immagine di serenità e calma. C'erano dozzine
di comparse in attesa e in mezzo a tutto ciò questi tizi sono fuori a
reggere le lampade ad arco. Era pieno di comparse, e tutto quel truc-
co ... E Stanley se ne stava lì tranquillo, seduto in un angolo a parla-
re con Hardy Kruger. Stanley è un perfezionista fantastico: vuole
sempre vederne ancora, perché sente che se un ciak viene ripetuto ne
uscirà qualcosa di nuovo. Dopo qualche dozzina di volte, un attore
comincia a sbottonarsi, cade a pezzi. A furia di ripetere le parole non
sa più se suona inglese o indostano. Sicuramente non significa più
niente, perché hai ormai esaurito l'associazione che la parola ha nella
tua mente, e comincia a diventare solo un buffo suono. Stanley ha
quest'occhio incredibile, un'intelligenza attenta e acuta, e pensa che
stia sempre per succedere qualcosa>>.
Steven Berkoff interpretava Lord Ludd, un giocatore e dongiovanni
che gioca a carte contro Chevalier, un truffatore interpretato da
Patrick Magee. La scena si svolgeva in una stanza elegante, piena di
uomini e donne facoltosi e ben vestiti che assistevano all'incontro di
gioco. Ricorda Berkoff: «Prima dovevano girare con Patrick, poi
avrebbero potuto mandarlo a casa e io sarei passato per ultimo.
Patrick doveva dire tre parole, e per quelle tre parole ci volle tutto il
giorno -tutto il giomo. Patrick doveva dire: "Faite.r vo.r jeux, Mesdames,
Messieurs", e poi dare le carte. Per i primi due o tre ciak sembrava
tutto a posto. Pat diceva: "Faites vo.r jettx, Me.rdames, Mes.rieurs", con la
sua cadenza irlandese, ma andava bene. Poi all'improvviso jeux
~ivenne yeux, che significa occhi. Ricordo Stanley che diceva: "No, è
J~ux, Pat,faire vo.r ye11x è truccarsi gli occhi". Stanley la metteva gen-
tilmente, in un modo intellettuale, fraterno. Così Patrick disse: "Mi
spiace, Stanley, la farò bene". Ma visto che Pat si stava concentrando
Per dire vo.r je11x, la toppa che aveva sull'occhio tremava, perché sotto
425
sbatteva l'occhio, si supponeva che fosse orbo. Così a quel punto
Stanley disse: "Pat, se solo potessi tenere quell'occhio chiuso, perché
si vede che sei agitato e la toppa si muove". Allora Pat riuscì a tenere
ferma la toppa, ma disse "Vos yeux" perché stava pensando alla toppa.
Poi, qualche ciak dopo, Pat cominciò a sudare perché stava preoccu-
pandosi del "jmx" e della toppa: così le carte che aveva in mano
cominciavano ad appiccicarsi, perché il sudore delle sue mani le
impiastricciava, e dovettero pulirle. Tutto questo andò avanti per
altri dieci ciab>.
«Allora ero soptattutto un attore di teatro, avevo alle spalle dieci
anni di esperienza, e così mi ripeto: "A me non succederà". Mi carico
di energia, come un lottatore. La cosa va avanti e avanti. Facciamo
una pausa e Stanley dice: "Pat, faremo solo il primo piano per "jeux"
e poi faremo le mani a parte, perché so che per te è difficile".
Quando Stanley riprese solo le mani di Pat, erano di nuovo sudate,
così lui disse: "Pat, non possiamo usare le tue mani". Così pensai:
"Non possono girare le mani -e allora come si fa?". Così quello che
fece Stanley fu di telefonare in Inghilterra e chiedere un mago che
venisse solo per dare le carre. Facciamo una pausa, ed ecco che arriva
David Bergraff, un mago meraviglioso, e Stanley filma solo le sue
mani. Le mani di David sono bellissime e le carte volano via dalle
sue dita come se andassero a reazione. Stanley è soddisfatto e a que-
sto punto si torna a Pat, perché nel campo medio si vedono le sue
mani ma non corrispondono. E Stanley dice a Pat: "Bisogna che ti
radi le mani, Pat", perché ha le mani pelose. Così è Pat, questo gran-
de divo, una forza che ha lavorato con Peter Brook, che è costretto ad
adattarsi alla controfigura, invece di mettere un po' di pelo sulle
mani di quest'ultimo. Ma è che avevano già ripreso le mani di
Bergraff, lisce, bianche come la panna. Le mani di un maestro della
prestidigitazione, così si dovettero rasare le mani di Pat. Pat tornò il
giorno dopo con le mani nude e dovette fare di nuovo "jeux". E fu
tutto. Alla fine si fece il controcampo con me e le ragazze>>.
«Io dicevo alle ragazze: perché non venite a sussurrarmi cose
all'orecchio, mi prendete la mano, sorridete, fate le carine, mi mor-
dicchiate il lobo dell'orecchio - ci si divertiva. Dovevo anche dire
qualche battuta in francese, e lo feci con l'enfasi di un francese e,
naturalmente, Stanley disse: "Perfetto, perfetto". lo mi limitavo a
guardare le ragazze e diedi loro un buffetto, guardai, strizzai l'occhio
e continuai a recitare, e Stanley disse: "Va bene, stop, ottima. Okay,
Steve, la rifacciamo". Cambiava obiettivi, provava varie possibilità,
così rifeci la scena; la rifacciamo e Stanley fa: "Bene, ora proviamo a
farla un po' più stretta, okay, di nuovo". E fa otto, nove ciak. "Okay,
proviamo di nuovo e magari mettiamo la macchina qui". Io avevo la
426
strana sensazione che a Stanley piacesse vedere l'arcore quando
cominciava a perdere colpi, forse perché gli avrebbe rivelato qual-
cos'altro, gli avrebbe dato qualcosa di diverso. L'operatore comincia-
va a essere stanco ma io mi dicevo: "Non perderò un colpo, mai!
Non me ne importa se dobbiamo stare qui giorno e notte, si romperà
la macchina da presa, si romperanno tutti prima che io perda un
colpo, non mi spezzerò mai!>>.
<<Così abbiamo fatto ciak dopo ciak dopo ciak dopo ciak e su ogni
ciak non ho mai sbagliato una parola, anzi, cominciavo a godermeli
rutti uno più dell'altro. Dopo circa venticinque ciak, Stanley disse:
"Okay, ce l'abbiamo". Io dissi: "Oh, tutto qui?". Fu una giornata
indimenticabile>>.
<<Stanley ha un'aria vagamente rabbinica. Nel suo lavoro c'è una
qualità riflessiva perché è un intellettuale, e gli intellettuali non si
irritano perché versano il prezioso contenuto della loro mente - un
fesso può sempre urlare e strepitare perché non ha niente da versare,
è vuoto. Quando hai una tazza piena, la muovi con calma>>.
<<Vedevo Lord Ludd come un bellimbusto inglese. Indossava una
parrucca bianca, nei di bellezza e rossetto. Lo interpretai come un
ganimede decadente, pieno di indulgenza ed enormemente facoltoso.
Quando vidi i costumi che stavano preparando e gli effetti del truc-
co, riuscii facilmente a entrare in quel modo di pensare, e a recitare
il ruolo di quel tipo di bellimbusto elegante e molto sofisticato, che
amava le donne ed era una specie di dandy della Reggenza.
Provammo la scena e io improvvisai un po'. La scena era in gran
parte di mia creazione. Ormai conoscevo Stanley, aveva fiducia in me
avendo io lavorato su Arancict meccanica, e mi lasciò mano libera>>.
Ryan O'Neal e Steven Berkoff avevano un maestro di scherma che
li seguiva per la scena in cui Barry e Lord Ludd duellano per risolve-
re la questione del debito di Ludd con Chevalier. Ricorda Berkoff:
<<Durante il duello infilzai Ryan. C'era un cappuccio di sicurezza
sulla spada, ma dato che era un primo piano la punta era solo smus-
sata e facendo una parata lo colpii sulla nocca. Mi dispiacque molto
perché è una persona adorabile. Stanley non fece troppi ciak del
duello, ma ci fece improvvisare. Fece un discreto numero di ciak ma
non credo che potesse tirare Ryan più di tanto perché Ryan aveva
tanto da fare ed era un divo, e i divi sono trattati un po' diversamen-
te da ogni regista>>.
<<Kubrick era chiaro e comunicava con tutti. Non lasciava mai nes-
suno nel dubbio. Era buono con le persone, disposto a parlare con
tutti, non c'era nessuno con cui non fosse disposto a parlare, nemme-
no l'attore piì:t piccolo. Aveva tempo per tutti, incoraggiava la gente.
Quella era casa sua, eravamo la sua famiglia. Non era dittatoriale,
427
dogmatico, scostante, era un essere umano, leggermente ossessivo
ma profondamente umano nel suo lavoro e con i suoi attori, e total-
mente disponibile>>.
Kubrick non dava mai ai suoi attori molte istruzioni. Ascoltava i
suggerimenti e lavorava facendo loro raffinare le caratterizzazioni
attra~erso una costante ricerca di nuove sfumature, ottenuta girando
ciak a ripetizione. A Richard Schickel, Patrick Magee raccontò: <<Le
parole chiave sul set sono: "Falla più in fretta, falla più lentamente,
falla di nuovo". Soprattutto "Falla di nuovo">>. Murray Melvin, che
era apparso in Sapore di miele e I diavoli, interpretava il reverendo
Runt. La straordinaria faccia e il portamento di Melvin evocavano il
diciottesimo secolo in modo inquietante: dava l'impressione di essere
arrivato sul set di Barry Lyndon uscendo da un dipinto di un maestro
olandese. Kubrick non metteva sotto pressione Marisa Berenson o gli
attori bambini, Dominic Savage e David Morley, ma spremeva fìno in
fondo gli interpreti con più esperienza. Su una scena particolare di
Murray Melvin girò qualcosa come cinquanta ciak. <<Sapevo che aveva
visto qualcosa che avevo fattO>>, disse l'attore a Richard Schickel, <<ma
essendo un bravo regista non mi avrebbe detto cos'era. Perché se
qualcuno ti dice che hai fatto un pezzetto buono, dopo tu lo sai e lo
metti fra parentesi e lo uccidi. Più eri bravo più roba ti tirava fuori>>.
L'utilizzo di un così alto numero di ciak da parte di Kubrick era
considerato da molti un uso irrazionale e ossessivo del potere registi-
co, ma lui credeva fermamente che i buoni attori di cinema fossero al
loro meglio nel momento della ripresa. Come disse a Richard
Schickel: <<Gli attori che hanno fatto molti fìlm non riescono vera-
mente a comunicare nelle loro interpretazioni un senso di autentica
eccitazione se nella cinepresa non sta scorrendo la pellicola>>.
Per il ruolo di Graham, nella seconda metà del fìlm, Kubrick scel-
se Philip Stone, che era stato "Papà" in Arancia meccanica. Graham è
un devoto servitore di casa Lyndon che passa un bel po' di tempo a
curare gli affari e spulciare i conti con l'accuratezza di un ragioniere.
L'attore appare in molte scene sullo sfondo, intessuto nel ricco arazzo
d'epoca ordito da Kubrick, fino alla fine del film quando Lord
Bullingdon lo manda a informare Barry dei rigori dell'accordo finan-
ziario in relazione alla sua messa al bando dall'Inghilterra e a Lady
Lyndon. Ricorda Stone: <<Nel bellissimo Barry Lyndon, Graham era sì
e no una comparsa ma poi, alla fìne, nella locanda, dopo che a Barry
hanno fatto fuori una gamba, dovevo all'improvviso venire fuori con
una scena molto intensa. Ryan O'Neal fu molto sorpreso della rnia
performance, dopo che ero stato sullo sfondo per settimane. Stanley
si limitò a strizzarmi l'occhio e disse serafìco: "Non preoccuparn,
Ryan, sa come farla">>.
428
<<Stanley è strano, cupo e silenzioso, sembra taciturno e ossessivo -
rna chi non lo sarebbe facendo i fìlm che fa lui. Sembra che il suo
occhio interno sappia esattamente dove sta andando. Bisogna avere
in lui una grande fiducia: cerca sempre il fattore X e va avanti finché
non sente di averlo trovato. Diceva: "Okay, ottimo! Di nuovo". Ogni
ciak è una creazione. Lavorare con lui richiede un sacco di pazienza.
Ti può capitare di essere nella roulotte, truccato e pronto a partire, e
aspettare una settimana. Poi all'improvviso viene da te per una scena
intensa. Ci vuole coraggio a lavorare per Stanley, all'improvviso è
capace di cambiarti il dialogo sul set o di darti una quantità di bat-
tute da imparare in poco tempo e tu devi stare calmo, non serve a
niente perdere la bussola. A me non era mai capitato, e per ogni
nuovo film continuava a chiamarmi>>.
Kubrick aveva deciso di usare per Barry Lyndon autentica musica
del diciottesimo secolo e non una colonna sonora originale. Per
arrangiare, orchestrare e dirigere la musica, che avrebbe spaziato
dalla musica classica a quella folk dell'epoca, il regista scelse
Leonard Rosenman, un rinomato musicista per il cinema e la televi-
sione che aveva scritto musica per La valle dell'Eden, Gioventù brJtcia-
ta, Jack Diaruond gangster, L'inferno è per gli eroi, Viaggio allucinante,
Un uomo ,·hiamato cavallo, L'altra faa·ia del pianeta delle .ràrumie, The
Defender.r, Combat, "Il virginiano", "Kojak" e "Marcus Welby". A un
seminario presso l'American Film Institute, Rosenman disse:
«Stanley mi chiamò un lunedì chiedendomi di andare in Inghilterra
il mercoledì successivo - il film era finito. Non avevo mai fatto
adattamenti prima, e per me era l'occasione di dirigere la London
Orchestra in alcuni pezzi classici che mi interessavano. Non mi face-
vo illusioni di avere alcun lavoro creativo da fare sul film. Gli chiesi
che cosa avesse scelto e lui disse: "La prima cosa che voglio è com-
prare il tema di Il padrino". Dissi: "Beh, se pensi di fare una cosa
simile dimmelo subito, così faccio in tempo a prendere il primo
aereo per andarmene". "Che c'è che non va? È un tema bellissimo".
Risposi: "Hai ragione, ma l'ultima volta che ho visto Il padrino era
un film di gangster, non sugli aristocratici del diciottesimo secolo".
Ascoltai tutti i dischi che aveva, e aveva scelto una sarabanda regi-
strata con un clavicembalo; pensava che il basso sarebbe stato mera-
viglioso per le scene del duello. Aveva un altro tema per il bambino
morente, tratto da una delle peggiori opere di Verdi. Era come se
una classe di psicologi si fosse riunita e avesse detto: "Cerchiamo
qualcosa che davvero respinga la gente". Gli dissi che con quella
roba non avrei potuto fare niente e suggerii di provarlo con le per-
cussioni per sentire come veniva. Provammo a farlo così con la
london Symphony e lui se ne innamorò perdutamente>>.
429
<<Me ne andai dopo aver scelto tutta la musica e averla registrata
sul posto. Poi lui praticamente fece un anello del tema di Verdi e lo
usò a ripetizione. Se avessi saputo che lo voleva così lungo, ne avrei
orchestrato qualche altra variazione; il pezzo aveva cinque variazioni
deliziose. Quando vidi questo film incredibilmente noioso con tutta
la musica che avevo scelto ripetuta in continuazione pensai: "Mio
Dio, che pasticcio!" Volevo rifiutare l'Oscar. La musica classica usata
nel film è molto più vicina a me perché sono un pianista. Io ne scelsi
solo circa metà e fu lui a scegliere l'altra>>.
La straordinaria sequenza in cui Barry duella con Lord Bullingdon
costituiva solo una riga nella sceneggiatura di Kubrick: "Barry duel-
la con Lord Bullingdon". La sequenza richiese quarantadue giorni di
montaggio. Per trovare la sarabanda di Handel usata come colonna
sonora, Kubrick aveva ascoltato ogni disco disponibile di musica del
diciassettesimo e del diciottesimo secolo e acquistato migliaia e
migliaia di dischi.
Mentre la postproduzione si avvicinava alla fine, Kubrick accelerò
i suoi ritmi passando qualcosa come diciotto ore al giorno sulla
colonna sonora e pianificando le campagne pubblicitarie e la promo-
zione. La sua devozione al lavoro andava ben al di là del paradigma
di un cineasta appassionato. La distinzione fra vita e lavoro era sfoca-
ta per Stahley Kubrick, con la sua ossessione per la perfezione e
l'inseguimento di una visione sempre in evoluzione. A Richard
Schickel spiegava: <<Se dici che non ti importa c'è un senso di totale
demoralizzazione. Dall'inizio alla fine di un film, le uniche limita-
zioni che io osservo sono quelle che mi sono imposte dalla quantità
di denaro che devo spendere e dalla quantità di ~onno di cui ho biso-
gno. O ti importa o non ti importa e semplicemente non saprei dove
tracciare la linea di demarcazione fra questi due punti>>.
La Warner Bros. vide solo pezzi e bocconi di Barry Lyndon durante
la lavorazione e la postproduzione. I dirigenti Warner, che avevano
dato a Kubrick la loro completa fiducia e il sostegno finanziario,
videro per la prima volta il film appena tre settimane prima della
data di distribuzione. Kubrick aveva su Barry Lyndon il completo
controllo artistico. Nessuna pubblicità poteva uscire dallo studio
senza la sua approvazione esplicita.
A New York, Barry Lyndon uscì il 18 dicembre 1975, allo Ziegfeld
e al Baronet. C'erano voluti tre anni e 11 milioni di dollari per por-
tare sullo schermo il film, che durava tre ore, quattro minuti e quat-
tro secondi. Barry Lyndon era il primo lungometraggio di Stanley
Kubrick a essere girato interamente in ambienti reali. Le riprese
erano durate otto mesi e mezzo. Il cast e la troupe erano arrivati a
170 persone, più i consulenti e le comparse.
430
La campagna pubblicitaria utilizzava i caratteri usati nei titoli di
resta e nelle didascalie, un montaggio illustrato di scene tratte dal
film. A Barry Lyndon fu concessa una distribuzione limitata, con
rutto lo spazio per consentire il passaparola.
Kubrick continuava a incaricare gente del suo staff di seguire i
dettagli degli incassi in modo da poter far uscire Barry Lyndon nelle
migliori sale di prima visione delle città chiave di tutto il mondo. Il
regista usò il sistema che aveva istituito per Arancia meccanica, sug-
gerendo di usare le sale sulla base dei risultati di precedenti film
analoghi a Barry Lyndon. Questo gli permetteva di decidere in modo
intelligente dove far uscire il film.
La reazione della critica fu diseguale. I detrattori continuavano a
trovare che il metodo di Kubrick e l'estremo estetismo del suo modo
di fare cinema fossero qualcosa da ridicolizzare più che da ammirare,
ma i fedelissimi erano felici del suo ritorno. <<Stanley Kubrick: la
prova che esistono geni viventi>>, scrisse un fan in relazione alla
copertina che <<Time>> dedicò al film. Un altro scrisse: <<Stanley
Kubrick è uno Shakespeare del cinema. E penso che lo sappia>>. Il
nome del regista aveva il potere di attrarre platee in cerca di una
pura esperienza cinematografica. «Grazie a Dio Stanley Kubrick è
tornato a salvarci dal rischio di annegare, vittime stremate, nelle
aùuali mode cinematografiche>>, scrisse uno spettatore, mentre un
altro definiva Kubrick <<il personaggio più innovativo che abbia toc-
cato il cinema dai tempi di Thomas A. Edison>>.
I critici furono meno generosi. Jerry Oster, del <<New York Daily
News>>, ammettendo di esserci rimasto male per aver visto il film
dopo Richard Schickel, ed esprimendo la sua frustrazione per non
aver potuto intervistare Kubrick al telefono, disse: <<Si rimane lì a
domandarsi se con la sua riservatezza Kubrick non si sia dato la
zappa sui piedi. L'arte- e, ancor più importante, l'intrattenimento-
non nascono dal vuoto. Barry Lyndon è un film egocentrico, fatto da
un uomo che ha perso contatto con i suoi simili, i suoi critici e i suoi
spettatori>>. Michael Billington del <<London Illustrated News>>
disse: <<[È} una serie di immagini fisse che soddisfano la retina senza
placare la nostra sete di drammaticità>>.
Quando Barry Lyndon fu proiettato a New York, la Warner Bros.
contattò Bob Gaffney per dirgli che Kubrick aveva chiesto che
~ndasse lui a controllare i livelli della proiezione e si assicurasse che
11 proiezionista facesse molta attenzione alla messa a fuoco, perché
gli obiettivi usati per le scene a lume di candela avevano un fuoco
rnolto delicato.
Gaffney era l'inviato di Kubrick sulla costa orientale; per quella
Occidentale il regista si rivolse a Ed Di Giulio. Il film stava per esse-
431
re programmato al Cinerama Dome Theater per i dirigenti della
Warner Bros., quando Kubrick apprese di un problema al sistema di
proiezione. A quanto sembrava, l'arrrezzatura non produceva lo stan-
dard corretto di foot-cand!eJ. Temendo che lo studio non potesse vede-
re la gloria del suo miracolo di luce bassa, Kubrick telefonò a Di
Giulio a casa e gli chiese di andare a controllare. <<A quel punto non
sapevo un bel niente sui proiettori», racconta Di Giulio. <<Ora ho
imparato un bel po' perché ne ho fabbricati alcuni per lo Showscan,
ma allora non ci capivo niente e tuttavia volevo fare turto il possibile
per aiutare Stanley a risolvere il problema. Per fortuna era arrivato
qualcuno e aveva risolto, ma la sua era la meticolosa attenzione per
ogni fase della produzione, fino alla proiezione. È veramente un
maestro di ogni dettaglio della sua arte».
Dopo che il film fu distribuito, Kubrick parlò con Jack Hofsess
del <<New York Times» e colse l'occasione per spiegare ciò che lo
attraeva nei nuovi progetti: <<Quello che succede nel mondo del cine-
ma è più o meno questo: quando uno sceneggiatore o un regista
comincia a lavorare, i produttori e gli investitori vogliono vedere
tutto scritto nero su bianco. Giudicano il valore di una sceneggiatura
come se fosse una pièce teatrale, ignorando la grandissima differenza
fra i due mezzi. Vogliono un buon dialogo, una trama asciutta, uno
sviluppo drammatico. Quello che ho scoperto è che più un film è
completamente cinematografico, meno interessante diventa la sce-
neggiatura, perché una sceneggiatura non nasce per essere letta, ma
per essere realizzata su pellicola>>.
<<Così, se i miei film più vecchi sembrano più parlati dei più recen-
ti, è perché ero obbligato a conformarmi a certe convenzioni lerrera-
rie. Poi, dopo un certo successo, mi è stata data più libertà per esplo-
rare il mezzo come preferivo. Non sarà mai pubblicata una sceneg-
giatura di Barry Lyndon perché non c'è niente da leggere che abbia
un interesse letterario>>. Kubrick avrebbe continuato a cercare modi
cinematografici di raccontare storie e disse a Richard Schickel che il
cinema <<non ha ancora nemmeno iniziato a scoprire come si possano
raccontare storie secondo la sua specificità>>.
La National Society of Film Critics nominò John Alcott miglior
direttore della fotografia del 1975 per il suo lavoro in Bany Lyndon.
Vincent Canby scrisse sul <<New York Times>> che la fotografia di
Alcott <<si trasforma scena dopo scena in qualcosa che suggerisce un
Gainsborough o un Watteau>>. Alcott vinse anche I'Oscar per il suo
straordinario contributo a Barry Lyndon.
Ken Adam vinse l'Oscar per la notevole scenografia di Barry
Lyrtdon. Il progetto era stato faticoso e clifficile, ma gli esigenti mero-
di di lavoro di Kubrick avevano sospinto il film al di là della rigi-
4.12
dezza da museo dei precedenti film in costume. Ricorda Aclam: «È
)a cosa più vicina a un genio con cui io abbia mai lavorato, con tutti
i problemi del genio. Mette in discussione tutto, devi giustificare
rutto dal punto di vista intellettuale, che non è sempre facile se fai le
cose istintivamente. Sta sempre tentando combinazioni all'ennesima
potenza- è come un computer umano>>.
Barry Lyndon fu candidato anche all'Oscar per il miglior film, e
Kubrick ebbe una nominarion come miglior regista. In aggiunta a
quelli per la scenografia e la fotografia, il film vinse anche I'Oscar
per la miglior colonna sonora non originale (Leonard Rosenman) e
per i costumi (UIIa-Britt Soderlund e Milena Canonero).
Nel 1977, Kubrick ricevette a Taormina il David di Donatello per
la sua regia di Barry Lyndon.
La fotografia a lume di candela di Barry Lyndon entrò istantanea-
mente nella leggenda del mondo del cinema. Direttori della fotogra-
fia di tutto il mondo volevano avere notizie del magico obiettivo di
Kubrick. Quando il noto operatore cecoslovacco Miroslav Ondricek
si imbarcò nella fotografia deli'Aruade11.r di Milos Forman, scrisse a
Kubrick chiedendogli se poteva usare l'obiettivo per riprendere a
lume di candela il mondo di Mozart e Salieri: <<Mi rispose scrivendo
che fabbricare l'obiettivo gli era costato 150.000 dollari e che l'aveva
usato solo per sé. Capii, e iniziai Amctdm.r a modo mio>>. Col tempo,
pellicole e obiettivi più sensibili hanno raggiunto la tecnologia di
Kubrick, ma il regista aveva fissato uno standard tecnico e artistico
che portava all'arte del cinema una disciplina e una dedizione zen.
Bm-ry Lyndon partì benissimo in tutta l'Europa. Solo a Parigi il
film incassò 3 milioni di dollari. La Warner puntò la promozione
internazionale sul successo europeo del film, ma nel complesso Barry
Lyndon non fu all'altezza delle aspettative di incasso di Stanley
Kubrick e della Warner Bros. A John Hofsess del <<Los Angeles
Times>>, il regista spiegò: <<Barry Lyndon è stato uno dei maggiori
successi della Warner Bros. sul mercato internazionale, ma non negli
Stati Uniti. Se fosse andato bene come in Europa, il film sarebbe
stato un grande successo finanziario>>.
Nonostante l'accoglienza deludente, Barry Lyndon è stato rivaluta-
to e accolto nella lista dei migliori film di tutto il mondo. Come per
2001, con Barry Lyndon Kubrick aveva portato ancora più avanti la
sua tesi che immagini, suoni, musica e recitazione potessero essere
articolati in senso cinematografico.
Capitolo 17
«Di nuovo))

«È una specie di cineasta dispeptico, un cineasta di tipo A, che si


preoccupa e vuole fare modifiche fino all'ultimo momento. È molto
diligente, come è ovvio. Sai cosa? Penso che con questo film voglia
fare del male alla gente. Penso che voglia veramente fare un film che
farà del male alla gente)>.
Stephen King

«Stanley è bravo sul sonoro, molti registi lo sono, ma Stanley è


bravo a studiare un nuovo supporto. Stanley è bravo a scegliere il
colore del microfono. Stanley è bravo con il commerciante da cui ha
comprato il microfono. Stanley è bravo con la figlia del commer-
ciante che ha bisogno di cure dentistiche>>.
Jack Nicholson

Nel 1974, prima che fosse terminata la lavorazione di Barry


Lyndon, Stanley Kubrick ricevette da Ed Di Giulio della Cinema
Products Corporation il filmato dimostrativo di una nuova inven-
zione. Guardò il filmato e la sua mente fredda, metodica e logica
elaborò ciò che stava osservando: il regista cercò di determinare
come fosse stato tecnicamente possibile ottenere ciò che stava veden-
do, mentre le sue emozioni cinematografiche decollavano. Il filmato
conteneva circa ventiquattro diverse riprese- quelle che nel cinema
si chiamavano «riprese impossibili>>. In ogni inquadratura la mac-
china da presa si muoveva costantemente- non era proprio un muo-
versi, ma un galleggiare, un volare attraverso lo spazio senza alcun
percepibile mezzo di controllo. Kubrick sapeva che la macchina non
poteva essere su un dolly, su un binario o a spalla: le riprese erano
troppo morbide per essere state effettuate con qualsiasi tecnica con-
venzionale: era come se l'obiettivo, senza alcuna costrizione, potesse
andare dovunque l'operatore volesse. Le immagini erano fluide e
mostravano la macchina da presa navigare fra i rami dei pini di una
foresta, sorvolare dolcemente un campo da golf e inseguire una
donna su per le scale del museo di Philadelphia. Kubrick era sempre
stato ipnotizzato dal movimento di macchina- l'eleganza delle evo-
luzioni della cinepresa di Max Ophuls era stata una delle prime
forze che l'avevano motivato- e per tutta la sua carriera aveva cerca-
434
ro nuovi modi di muovere la macchina da presa esplorando la gram-
matica del linguaggio cinematografico.
La visione del filmato fu una rivelazione che avrebbe avuto un
profondo impatto nella tecnica di ripresa del film successivo di
Kubrick, che contattò Di Giulio e, con la sua caratteristica capacità
di analisi, lo avvertì di aver notato qualcosa che poteva inavvertita-
mente rivelare il segreto della nuova invenzione. Il cablo inviato da
Kubrick a Di Giulio dai suoi uffìci londinesi della Hawk Films dice-
va: <<Caro Ed, il misterioso stabilizzatore è spettacolare e puoi conta-
re su di me come cliente. Dovrebbe rivoluzionare il modo in cui si
girano i film. Se sei veramente preoccupato di proteggere la tua
invenzione prima di averla coperta con un brevetto completo, sugge-
risco che tu elimini dal fìlmato le due occasioni in cui l'ombra sul
terreno offre, all'attenta controspia che esamina l'immagine, la rap-
presentazione abbastanza chiara di un uomo che regge un'asta con
una mano, con qualcosa o qualcuno alla base della canna che sembra
muoversi lentamente. Ma le mie labbra sono sigillare. Ho una
domanda: c'è un'altezza minima a cui è possibile usarla?>>.
Lo stabilizzatore misterioso si rivelò essere la sreadicam, inventata
e manovrata da Garrett Brown, ed era uno strumento che avrebbe in
effetti rivoluzionato il modo di girare un fìlm. Il progetto successivo
di Kubrick, Shirting, avrebbe dimostrato alla perfezione cosa erano in
grado di fare Garrett Brown e la sreadicam.
Finito Barry Lyndon, Stanley Kubrick avviò il lungo processo di
letture alla ricerca del progetto successivo. Non stava cercando un
genere o una storia particolare, e per mesi il suo metodo non seguiva
alcun criterio: trovava spesso cose interessanti sul retro di articoli che
aveva ritagliato per altri motivi. Andò avanti a leggere giornali, rivi-
ste e romanzi, ma niente attirava la sua attenzione.
Nel maggio 1975, Paddy Chayefsky e il produttore Howard
Gottfried sottoposero alla Unired Artists i nomi dei registi adatti al
loro Quinto potere, una sceneggiatura originale dello scrittore. Lo stu-
dio respinse molti dei nomi- fra cui Arthur Peno, Roman Polanski e
Martin Scorsese- e ne approvò solo cinque, tra i quali vi era Kubrick.
Il regista ricevette la sceneggiatura e si dichiarò interessato ma
Chayefsky, che era un fanatico del controllo quanto Kubrick, non era
disposto ad affidare la sua visione a un altro autore. Quinto potere alla
fìne sarebbe stato diretto in modo magistrale da Sidney Lumet. John
Calley, dirigente della Warner, aveva letto in bozza Shining 1, il

l In realrà il romanzo uscì inizialmente in lralia con il rirolo Un" sfJ/endida(esla di 111orte
(Sonzogno, 1978). Dopo l'uscira del tìlm fu poi riccliraro come Sbining. (N.d.T.)

435
romanzo di Stephen King, e ne spedì una copia a Kubrick. A
Vincente Molina Foix il regista avrebbe dichiarato: <<Fra tutto il
materiale che mi è stato spedito quello era il solo che trovavo interes-
sante o che mi piaceva. La maggior parte di quello che leggo devo
!asciarlo perdere dopo dieci pagine per non sprecare tempo>>. Kubrick
non cercava una storia sul paranormale, ma per l'argomento aveva un
atavico interesse. Calley lo sapeva e pensava che il libro avrebbe cattu-
rato la sua immaginazione.
Kubrick non aveva mai letto Stephen King prima, ma fu attratto
dalla struttura di Shining: «Avevo visto il film Carrie lo .rgum·do di
Satana, ma non avevo mai letto nessuno dei suoi romanzi. Devo dire
che il meglio dell'ingegno di King sta nella costruzione della storia:
non sembra troppo interessato alla scrittura. Dicevano che avesse
scritto, riletto, forse riscritto una volta e spedito tutto all'editor.
Quello che sembra interessargli è l'invenzione e penso che sia quello
il suo forte>>.
«Trovai che fosse una delle storie più ingegnose ed eccitanti di
quel genere che avessi lettO>>, ha detto Kubrick a Miche! Ciment.
«Sembrava trovare un equilibrio straordinario fra la psicologia e il
soprannaturale, in un modo tale da farti pensare che il soprannatura-
le sarebbe alla fine stato spiegato dalla psicologia: "Forse Jack si sta
immaginando queste cose perché è pazzo". Questo ti permetteva di
sospendere il tuo dubbio sul soprannaturale fino al punto in cui eri
così completamente preso dalla storia da accettarla quasi senza accor-
gertene>>.
Stephen King, che aveva scritto Carrie, Le notti di Salem e Shining,
viveva tranquillamente in una piccola città del Maine con sua
moglie Tabitha e tre figli, ma stava diventando un fenomeno. Dalle
sue opere cominciavano a essere tratti film: Brian De Palma aveva
diretto la versione cinematografica di Carl'ie, Tobe Hooper il film
televisivo Le notti di Salem e George A. Romero aveva in programma
di dirigere L'ombra dello .rmrpione (il progetto sarebbe stato realizzato,
sotto forma di miniserie, solo quindici anni dopo e senza Romero).
Quando uscì Shining, King aveva trentadue anni e aveva venduto 22
milioni di copie con sei romanzi e l'antologia A volte ritornano.
Kubrick era stato sempre evasivo nello spiegare la sua attrazione
per una storia specifica: il materiale doveva soddisfare le sue enormi
ambizioni di regista, oltre a presentare sfide cinematografiche e a
permettergli di realizzare le sue intuizioni fotografiche; e doveva
anche stimolare la sua natura misantropica. A John 1-Iofsess, Kubrick
confessò: «È molto difficile dire perché ho finalmente scelto una
certa storia. Potrei elencare le qualità necessarie - una storia forte,
un potenziale cinematografico e ruoli interessanti per gli attori. Ma è
436
una cosa più profonda di una semplice valutazione basata su qualche
tipo di punteggio. Il romanzo di Stephen King aveva una cascata di
invenzioni che non avevo trovato prima nei romanzi del genere, che
nella maggioranza dei casi tendono a essere costruiti attorno a
un'idea sola».
Kubrick era vagamente a disagio quando era interrogato sul suo
interesse in Shining, e disse a Jack Kroll che pensava che il romanzo
fosse un ingegnoso esempio di storia di fantasmi. Kroll sarebbe stato
uno dei pochi critici a dare al film una recensione positiva, dicendo:
«Primo esempio di horror epico, Shining sta agli altri film dell'orro-
re come 200 l: Odi.r.rea nello .rpazio stava agli altri film di fantascien-
za>>. Il critico, che stava preparando un pezzo sul film, continuava a
chiedere a Kubrick cosa lo affascinava nel romanzo di King, e il
regista rispose: «C'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella per-
sonalità umana. C'è un lato maligno. Una delle cose che le storie
dell'orrore sono in grado di fare è di mostrarci gli archetipi dell'in-
conscio: possiamo vedere il lato oscuro senza doverlo affrontare
direttamente. Inoltre, le storie di fantasmi fanno appello alla nostra
sete di immortalità. Se puoi aver paura di un fantasma, allora devi
credere alla sua esistenza, e se esiste un fantasma, allora l'oblio
potrebbe non essere la fine>>.
King, incoronato il legittimo erede dei giorni nostri di Edgar
Allan Poe e H.P. Lovecraft, fu informato che Kubrick aveva ordinato
al suo staff di portargli mucchi di libri horror per nascondersi nel
suo ufficio a leggerli tutti. La segretaria di Kubrick sentiva il suono
di ogni libro che colpiva il muro quando il regista lo scagliava sulla
pila degli scarti dopo averne letto le prime pagine. Finalmente, un
giorno la donna si accorse che era passato un po' di tempo dall'ulti-
ma volta che aveva sentito un altro libro mordere la polvere: si affac-
ciò a controllare e scoprì il capo profondamente assorto nella lettura
di Shining.
Prima che il progetto finisse in mano a Kubrick, King aveva scrit-
to per la Warner Bros. una sceneggiatura tratta dal romanzo, ma il
regista decise di non leggerla perché voleva usare lo scheletro della
storia concepita dallo scrittore per infondervi le sue idee personali.
Kubrick scelse la scrittrice Diane Johnson perché collaborasse con
lui all'adattamento. <<Deve essere plausibile, non usare trucchi da
quattro soldi, non avere buchi nella trama, né essere carente nelle
motivazioni ... deve essere wmpletamente spaventoso>>, disse la
]ohnson al <<New York Times>>. Era la prima sceneggiatura della
]ohnson, di cui Kubrick aveva apprezzato i romanzi. Il regista aveva
cominciato a sviluppare un trattamento di Shining, quando aveva
saputo che la scrittrice curava presso l'università californiana di
437
Berkeley un corso sul romanzo gotico: sembrava la collaboratrice
ideale per il progetto e, dopo essersi impegnato in una discussione
dei suoi lavori, Kubrick le chiese di affiancarlo nel lavoro. <<Con
Shining, il problema era estrarre la trama essenziale e reinventare le
parti più deboli della storia», disse Kubrick a Michel Ciment. <<l
personaggi dovevano essere sviluppati in modo un po' diverso da
quello che succedeva nel romanzo. È nella riduzione che i grandi
romanzi di solito vengono rovinati perché una parte così grande di
quel che c'è di buono ha a che fare con la bellezza della scrittura,
l'intuito dello scrittore e, spesso, la densità della storia. Ma il caso di
Shining era diverso: le sue virtù erano quasi solo nella trama e adat-
tarlo a una sceneggiatura si rivelò un problema abbastanza semplice.
Diane e io parlammo un sacco del libro e poi abbozzammo una sca-
letta delle scene che pensavamo si sarebbero dovute inserire nel film.
Questa lista di scene fu mescolata e rimescolata fino a quando ci
parve che andasse bene, quindi cominciammo a scrivere. Abbiamo
fatto diverse stesure della sceneggiatura, che in seguito è stata rivista
a più riprese, prima e durante la lavorazione>>.
A Kubrick era piaciuto The Shadow Knou·s, un romanzo che la
Johnson aveva pubblicato nel 1974 e che raccontava di una donna
che si vede come la futura vittima di un mitico romanzo giallo:
aveva letto dell'autrice nel <<New York Times Book Review>> e cono-
sceva la sua opera di saggista. <<Lui è il tipo di persona con una pro-
pensione all'analisi critica>>, disse la Johnson a Denis Barbier. <<Sa
individuare quelli che hanno questa qualità. Credo che fra di noi ci
sia una sorta di affinità intellettuale>>.
La Johnson e Kubrick lavorarono insieme, in Inghilterra, per tre
mesi nel 1978. La Johnson era alloggiata in un appartamento a
Londra e ogni giorno, alle due del pomeriggio, veniva portata in
macchina alla proprietà di Kubrick. Seduti a un grosso tavolo in una
grande stanza, la Johnson e Kubrick lavoravano all'inizio separata-
mente, scalettando il film: poi mettevano a confronto le scalette e
discutevano ogni scena. Il processo fu ripetuto due o tre volte nel
corso dello sviluppo della trama. La Johnson e Kubrick passavano
ore a discutere una varietà di temi intellettuali: a volte lui estraeva
un libro dai suoi immensi scaffali e si lanciava in una discussione
analitica relativa al contenuto. La Johnson trovò Kubrick un uomo
altamente organizzato, circondato da telefoni, attrezzatura e raffinati
strumenti di scrittura. <<Ha un forte senso letterario. Sotto ogni
aspetto pensa come un romanziere>>, disse la Johnson a Denis
Barbier. La scrittrice fu la benvenuta nella famiglia Kubrick e passò
molte piacevoli serate a cena con Stanley e Christiane, trovando che
Stanley fosse un affezionato capofamiglia. Parlavano di H.P.
438
Lovecraft, della lettura psicanalitica delle fiabe di Bruno Bettelheim
e delle intuizioni di Freud su come gli individui esprimono espe-
rienze parapsicologiche. Anche se Kubrick stava facendo un film
dell'orrore, non guardò con laJohnson pellicole del genere, preferen-
do film di Jack Nicholson, Guerre ste!lari e Il leopardo nella neve con
Keir Dullea.
La Johnson e Kubrick avevano diverse copie di Shining, che fecero
a pezzi e archiviarono in buste diverse intitolate ciascuna a un singo-
lo personaggio del libro.
Il rapporto di Stanley Kubrick con Stephen King era simile a quel-
lo che c'era stato con Anthony Burgess: Kubrick non voleva che
l'autore adattasse il suo stesso romanzo, ma voleva che rispondesse a
una serie di domande che spaziavano dal filosofico al concettuale,
sviluppando i personaggi e la trama.
Alla rivista «American Film>> Stephen King confessò: «Fui così
lusingato che Kubrick volesse fare qualcosa di mio. La prima volta
che chiamò, erano le sette e mezza del mattino. Io ero in piedi nel
bagno, in mutande, a radermi, quando entra mia moglie con gli
occhi che le schizzano dalle orbite. Pensai che uno dei bambini fosse
in cucina che soffocava o qualcosa del genere. Lei dice: "C'è Stanley
Kubrick al telefono!". Accidenti, la cosa mi stese, non mi levai nem-
meno la crema da barba dalla faccia. Più o meno la primissima cosa
che mi disse fu: "Il concetto stesso di fantasma è sempre ottimistico,
no?". E io dissi, con il mal di testa e un occhio mezzo aperto: "Non
capisco cosa voglia dire". Lui disse: "Beh, l'idea di fantasma presup-
pone la vita dopo la morte. Questo è un concetto allegro, no?". E
suonava così plausibile che per un momento rimasi lì a dibattermi e
non dissi nulla, e poi dissi: "Ma, e l'inferno?". Dall'altra parte ci fu
una lunga pausa, e poi lui rispose con una voce molto rigida e disse:
"Ma io non credo all'inferno". Non crede neanche nei fantasmi, solo
che trovava tutta l'idea molto ottimistica, il che mi porta alla sua
versione del lieto fine per Jack Torrance- questo anello che si chiude
in cui lui è il guardiano per sempre. Non sembrava che volesse
seguire l'idea di un fantasma come anima dannata>>.
King ricevette molte telefonate e un giorno gli fu concesso di
andare sul set. Trovò Kubrick amichevole ma ne verificò la leggen-
daria riservatezza. Ad «American Film>> spiegò: <<È un uomo con cui
puoi uscire a farti qualche birra, purché non pensi di andare avanti a
bere insieme tutta la notte>>.
Stephen King, in definitiva, ha espresso delusione nei confronti del
film continuando però a dichiararsi onorato che un regista così pre-
stigioso abbia portato sullo schermo il suo libro. Kubrick in effetti
eliminò parecchio materiale e fece diversi cambiamenti. Fra i più
439
notevoli, furono eliminate le siepi a forma di animale, che nel
romanzo di King prendevano vita in modo sinistro e cambiavano
forma: il regista prese l'idea in considerazione, ma le possibilità
offerte dagli effetti speciali non soddisfacevano i suoi esigenti stan-
dard di credibilità. La soluzione fu di creare un gigantesco labirinto,
formato da una complessa disposizione di vialetti ed angoli. Il deda-
lo esprimeva una logica primordiale e offriva la metafora della trap-
pola e della fuga.
In effetti, Kubrick discusse con King un finale alternativo, propo-
nendo di chiudere il film sulla famiglia Torrance che cena piacevol-
mente a un tavolo dell'hotel mentre il direttore dà il benvenuto al
nuovo guardiano. e alla sua famiglia. Mentre questi ultimi passano
accanto al tavolo, i loro occhi guardano dritto attraverso i Torrance,
che sono divenuti fantasmi invisibili. King disse a Kubrick che
secondo lui il pubblico si sarebbe sentito imbrogliato. Lo scrittore
restava con la mente aperta, senza preoccuparsi che Kubrick volesse
cambiare la storia ma solo che i cambiamenti funzionassero dal
punto di vista drammatico.
A John Hofsess, Kubrick dichiarò: «Avevo deciso molto presto che
il finale del romanzo non avrebbe funzionato. Non volevo la classica
conclusione, con il grande luogo malvagio che brucia completamen-
te>>. Il regista e la sua cosceneggiatrice optarono quindi per l'idea del
labirinto di siepi, che ritenevano visivamente stimolante.
L'idea di Kubrick era di evitare le trappole del tipico film horror:
non ci sarebbero state porte scricchiolanti o scheletri che rotolavano
fuori dagli armadi. Per dare una base di credibilità, il regista girò il
film in quella che sembra luce naturale, senza gli effetti melodramma-
tici tipici del genere. <<È solo la storia di un uomo che impazzisce len-
tamente con tutta la sua famiglia>>, spiegò Kubrick aJohn Hofsess.
Gli attori erano stati scelti già durante la lettura del libro. Jack
Nicholson fu la scelta inequivocabile del regista per Jack Torrance,
mentre Shelley Duvall, che lui considerava «Una splendida attrice»,
avrebbe incarnato la sua tormentata moglie Wendy. A Hofsess,
Kubrick spiegò: «Certo non si poteva dare la parte a Jane Fonda; c'è
bisogno di qualcuno che sia timido e vulnerabile>>.
Un primo trattamento della sceneggiatura rivela che, prima di
arrivare alla trama usata per il film definitivo, Kubrick stava andan-
do in una direzione diversa. In quella versione, il film finisce con
Jack che aggredisce Wendy alle spalle: lei lo pugnala allo stomaco
con un coltello, Jack muore e la moglie fugge fuori sentendo il
motore di un gatto delle nevi. Danny ha una visione di Halloran che
arriva e parla con Grady, una visione da cui si capisce che il cuoco è
lì per uccidere Wendy e il bambino. Halloran diventa un maniaco
440
assassino e Wendy fugge per tutto l'albergo, con il coltello in mano.
Con il suo potere psichico, Danny riesce momentaneamente a ferma-
re Halloran: Wendy arriva di corsa e lo uccide a pugnalate. Sul tavo-
lo da scrittore di Jack si vede un album con la fotografia di una festa
di Capodanno del 1919 in cui appare Jack. Wendy fugge con Danny
sul gatto delle nevi. La mano di un uomo chiude l'album e lo porta
via. Appare un cartello che dice: «L'Overlook Hotel sarebbe soprav-
vissuto a questa tragedia, come era successo per molte altre. È ancora
aperto ogni anno dal 20 maggio al 20 settembre. FINE>>.
Il trattamento parla di un album che dettaglia la <<Storia sinistra
dell'albergo- delitti, suicidi e incidenti fatali che hanno coinvolto la
gente ricca e famosa che da sempre lo frequentava». Nel film si vede
l'album aperto sul tavolo di Jack, ma non è identificato, spiegato o
mostrato nel dettaglio. La stanza 217, che racchiude il terrore per
Jack e Danny, ha lo stesso numero del romanzo: nel film sarebbe alla
fine stata cambiata in 237.
Fu Kubrick a cambiare il numero della stanza da 217 a 23 7. La
facciata anteriore dell'Overlook fu girata al Timberline Lodge, vicino
alla foresta Nazionale del monte Hood nell'Oregon; la facciata poste-
riore dell'Overlook fu costruita sui terreni degli studi Emi-Elstree,
ma modellata sul Timberline Lodge. L'albergo reale aveva la stanza
217 ma non la 23 7, e la direzione chiese a Kubrick di cambiare il
numero, temendo che dopo aver visto il film nessuno avrebbe più
voluto dormire nella 217. Nella scena del bagno così come è delinea-
ta nel trattamento, Jack incontra il cadavere vivente della moglie
assassinata di Grady, ma a differenza del film non la si vede all'inizio
come una giovane, seducente e bellissima donna nuda.
Kubrick prese seriamente in considerazione l'idea di tornare negli
Stati Uniti per fare Shining: non aveva piit girato film in patria
dopo SjJartams, nel 1960. Il regista chiamò l'amico e collaboratore
Bob Gaffney e gli chiese se fosse disponibile una casa di Long
Island in cui aveva abitato con Christiane e le figlie. Gaffney aveva
recentemente girato una pubblicità nel prato antistante la pro-
prietà, che era in vendita. Il 5 giugno 1977, il <<Los Angeles Herald
Examiner» annunciò che Kubrick sarebbe tornato negli Stati Uniti
per girare Shining in Colorado. Army Archerd rilanciò la storia il
giorno seguente nella sua rubrica "Just for Variety". Le illazioni
erano fondate su una serie di dati che Kubrick prendeva sempre in
esame prima e durante la lavorazione di un film. Il regista comin-
ciava a preoccuparsi dell'aumento del clima di violenza in
Inghilterra, ma alla fine decise di restare a Londra e di portarsi
l'America in casa costruendo un albergo americano in un teatro di
Posa inglese.
441
Il Film 77 - una fiera della cinematografia allestita a Londra -
portò in Inghilterra Ed Di Giulio e Garrett Brown. I due andarono a
trovare Kubrick a Boreham Wood e gli mostrarono il modello più
recente messo ·a punto della steadicam. Kubrick stava iniziando la
preproduzione di Shining. Poiché Roy Walker stava progettando la
scenografia deii'Overlook Hotel, a Kubrick interessava capire che
cosa potesse veramente fare la steadicam, così che i set potessero far
risaltare la possibilità della macchina da presa di spostarsi senza sfor-
zo da una stanza all'altra. Con in mente la steadicam, Kubrick partì
dalla premessa che tutte le stanze del set dell'albergo dovessero esse-
re comunicanti.
Kubrick abituò subito Garrett Brown e la steadicam ai suoi ritmi:
aveva sempre una ragione per riversare su chiunque avesse informa-
zioni una raffica di domande per lui preziose e, anche se non spiega-
va mai il motivo delle sue dense e specifiche richieste, ogni risposta
veniva archiviata per contribuire all'idea cinematografica che comin-
ciava a prendere forma nella sua mente. Kubrick chiese a Brown di
mostrargli la precisione che poteva ottenere con la steadicam nel
portarsi in posizioni prestabilire e tenere il fuoco lavorando a esposi-
zioni T l ,4 che richiedevano un'attenzione critica per la messa a
fuoco. Quando Brown riuscì ad arrivare ai segni perfettamente,
l'occhio della mente di Kubrick cominciò a vedere le inquadrature
dentro I'Overlook.
Roy Walker era stato il decoratore di Barry Lyndon e aveva vinto
I'Oscar con lo scenografo Ken Adam per il suo contributo al film. Il
suo lavoro su Shining lo confinava al teatro di posa, ma era partito
con una serie di perlusrrazioni negli alberghi e nei condomini ameri-
cani. Walker attraversò tutti gli Stati Uniti scattando fotografie,
seguendo le istruzioni di Kubrick di fotografare ogni cosa che potes-
se essere usata come riferimento, e aveva preso le misure esatte di
tutto ciò che aveva fotografato, per poter utilizzare quei dati al
momento della progettazione. Quando Walker tornò dai sopralluo-
ghi, Kubrick fece passare tutte le foto, scegliendo gli elementi e le
componenti che gli piacevano, e il dipartimento scenografia ricreò i
colori e gli elementi architettonici preferiti combinando rutto
nell'immagine dell'hotel definitivo.
I muri della hall principale deii'Overlook erano pieni di piccole
foto in bianco e nero incorniciate che raccontavano la lunga tradizio-
ne di ospitalità dell'albergo e i suoi ospiti illustri. Kubrick utilizzò il
ricco archivio di foto di film e news formato 20x25 della Warner
Bros. e le dispose in modo da rappresentare il passato deii'Overlook.
La stanza da bagno in cui Grady e Torrance tengono la loro inquie-
tante e spaventosa discussione si basava sulla sranza di un hotel io
442
Arizona, progettato da Frank Lloyd Wright. I principi scelti da
Kubrick per le luci nascevano dalla stessa filosofia realistica della
scenografìa: una grande intensità di energia fu utilizzata per duplica-
re la luce solare che si riversava nell'Overlook dalle finestre, mentre
le lampade all'interno dell'albergo dovevano avere l'intensità giusta
per poter essere registrate sulla pellicola come fonti naturali
dell'illuminazione. La luce che simulava i raggi solari che entravano
neli'Overlook fu creata all'inizio incaricando la Roseo Company di
fabbricare un fondale opaco di due metri e mezzo per nove: più pezzi
furono saldati insieme per creare un pannello unico. Il set della hall
aveva all'esterno una piccola terrazza con alcuni alberi, e lo sfondo fu
montato dietro a questi ultimi. Dietro allo sfondo c'erano 860 fari
Medium Flood Par 64 da 1.000 watt e 110 volt, montati su un'im-
palcatura tubolare di dodici metri a distanza di mezzo metro l'uno
dall'altro. Ogni lampada poteva essere spostata individualmente da
un comando all'interno del set, consentendo di muovere le luci
durante il complesso movimento di una ripresa con la steadicam. Il
calore emesso dall'apparato era così intenso da rendere impossibile a
chiunque passare fra lo sfondo e i fari da una estremità all'altra.
L'acclamazione per la fotografia di Bany Lyndon aveva fatto di John
Alcott un operatore rinomato di statura internazionale. Shining fu
girato nei confini di un teatro di posa, consentendogli un controllo
maggiore di quello possibile nelle location autentiche del film prece-
dente, ma fu un'impresa altrettanto ardua. La sfida principale di
Alcott fu illuminare l'intero set in modo da rendere l'illuminazione
naturale di un albergo: era necessaria un'intensità luminosa di molte
candele- intese come unità di misura della luce prodotta da potenti
fonti elettriche. «Lui mi ispirava>>, avrebbe detto Alcott a Jack
Kroll. <<Se Stanley fosse un direttore della fotografia sarebbe il più
ricercato al mondo. Per molti film dopo quelli che ho fatto con
Kubrick, continuo a usare idee che mi ha dato lui».
Dieci mesi prima di cominciare a girare, Kubrick aveva dato ad
Alcott una copia del romanzo di Stephen King. Anche se Alcott
aveva nel frattempo parecchi altri impegni, fu coinvolto nella pro-
gettazione e nella costruzione dell'imponente set, mappando le fonti
di luce date da finestre e caminetti.
Di tutti i set furono fabbricati modellini di cartone, con gli stessi
colori e arredi utilizzati nel film. Alcott fece una serie di prove, illu-
minando i modellini e fotografandoli con una Nikon dalle angola-
zioni che sarebbero state usate dalla cinepresa. Mesi prima delle
~iprese, Alcott andava ogni settimana a visitare e a sorvegliare i set
•n costruzione. Tutte le luci all'interno dell'Overlook erano collegate
alla rete elettrica come se fossero realmente parte dell'albergo, un
44.'>
lavoro immenso che richiese quattro mesi di collegamenti elettrici. I
lampadari nella hall principale e nella sala da ballo erano collegati a
un variatore in un pannello di controllo centrale; i corridoi di servi-
zio e la hall erano tutti collegati, e illuminati da lampade fluorescen-
ti che fornivano anche la luce necessaria alle riprese. Tutti i controlli
dei trasformatori e le messe a terra stavano nei corridoi del teatro,
per non interferire con il sonoro in fase di ripresa. L'occhio vagabon-
do della steadicam avrebbe colto qualsiasi luce supplementare: a
tutti gli effetti, Stanley Kubrick aveva costruito l'Overlook come un
albergo reale, non un albergo da film.
Il realismo della scenografia dell'albergo e lo stile di illuminazione
nascevano da un'osservazione che Kubrick aveva fatto leggendo
Franz Kafka: «Mi sembrava che la guida perfetta per questo metodo
si potesse trovare nello stile di scrittura di Kafka. Le sue storie sono
fantastiche e quasi giornalistiche. D'altra parte, tutti i film che sono
stati tratti dalle sue opere sembrano aver completamente ignorato
questo particolare, facendo sembrare tutto il più strano e onirico
possibile>>.
Anche se gran parte del film fu ripreso da Garrett Brown e dalla
steadicam, l'illuminazione era tutta sotto il controllo di Alcott che,
sotto l'occhio attento di Stanley Kubrick, trovò tutte le soluzioni ai
problemi causati dall'immane compito di illuminare un grande
albergo.
Questo era il quarto film di Alcott insieme a Kubrick. Ogni volta
Alcott si trovava a inseguire strati più profondi di perfezione, supe-
rando nuovi ostacoli e incontrandone di sempre più grandi.
Quando Shining uscì, Alcott dichiarò a Herb Lightman, direttore di
<<American Cinematographer>>: «Penso che con il passare del tempo
Stanley diventi più preciso, più esigente nelle pretese. Penso che
dopo aver fatto un film con lui uno debba andare via, acquisire
nuove conoscenze, tornare e cercare di sommare queste conoscenze
alle sue in un altro film. Pretende la perfezione, ma è pronto a darti
tutto l'aiuto necessario se pensa che quello che vuoi fare otterrà i
risultati voluti. Ti darà tutta la forza di farlo, ma allo stesso tempo
bisogna che funzioni. Stanley ti dà una grande ispirazione. Ti ispi-
ra. È un regista con un magnifico occhio per l'immagine>>.
Kubrick e Jack Nicholson parlavano di lavorare insieme dal 1969,
quando dopo una lunga gavetta l'attore era stato lanciato dalla
nomination all'Oscar per la sua parte in Easy Rider. Kubrick definiva
Nicholson «indiscutibilmente il più grande attore cinematografico
cl e i nostri giorni>>. Raccontava Jack Nicholson: «Avevo appena finit.o
di lavorare un'intera estate su una sceneggiatura che speravo di din-
gere, quando mi chiamò Stanley, all'improvviso, e mi chiese se ero
444
interessato a lavorare con lui nel suo prossimo film. Non avevo letto
il libro, ma non avrebbe fatto differenza. Avrei fatto tutto quello che
Stanley voleva. Chiunque avrebbe voluto lavorare con lui. Mi mandò
una copia del libro. Lo trovai straordinario. Una grande occasione.
Una storia straordinaria. Tutto qui. Mi è stata attribuita la dichiara-
zione che io devo essere il 75 per cento di tutti i personaggi che
interpreto, ma la verità è che prima cerco qualcosa che catturi la mia
attenzione nella storia e poi la supervisione di un grande regista.
Shining è una storia eccezionale. E anche se può darsi che si tratti
della mia interpretazione, l'orchestrazione è di Kubrick. Sono felice
di avere avuto questa opportunità di tentare qualcosa di così diverso.
Sono orgoglioso delle nuove cose che ho provato a fare ... anche
quando non hanno funzionato. È un vecchio cliché dell'attore, ma
puoi essere bravo solo nella misura in cui sei disposto a essere un
cane. Penso che questo film sarà molto, molto buono>>.
«Penso che Jack sia uno dei migliori attori di Hollywood, forse
alla pari con le più grandi star del passato, come Spencer Tracy e
Jimmy Cagney>>, ha detto Kubrick a Miche! Ciment. <<Direi che sia
il primo della lista di chiunque per qualsiasi ruolo che gli si confac-
cia. Il suo lavoro è sempre interessante, pensato con lucidità, e ha il
fattore X, la magia. Jack è particolarmente adatto per ruoli che
richiedono intelligenza. È un uomo intelligente e colto, qualità che
sono impossibili da recitare. In Shining è perfettamente credibile
come scrittore, fallito o meno>>.
Shelley Duvall fu la prima e unica scelta di Kubrick per il ruolo di
Wendy Torrance. L'attrice era stata scoperta da un altro americano
indipendente, Robert A!tman, che aveva incontrato nel 1970 per
mostrargli i quadri di un suo fidanzato. Attratto dal suo aspetto
insolito e dalla sua identità di ragazza texana contemporanea,
Altman l'aveva presa per Aru·he gli tHL"el/i màdono, un film insolito,
perfetto per il talento della Duvall, che sarebbe andata a ingrossare
le file del clan del regista e sarebbe apparsa in I L"ompari, Gang,
Nashville, Buffalo Bill e gli indiani e Tre donne.
Danny Lloyd aveva cinque anni e mezzo, era figlio di un ingegnere
ferroviario americano e fu scelto per interpretare Danny Torrance da
una serie di provini su video. Kubrick aveva spedito Leon Vitali e
sua moglie Kersti a Chicago, Denver e Cincinnati per sei mesi per
selezionare cinquemila bambini - le tre città erano state scelte per-
ché il regista cercava un bambino il cui accento fosse una via di
rnezzo fra quelli di Jack Nicholson e di Shelley Duvall. Vitali, che
aveva offerto un 'interpretazione appassionante in Barry Lyndon nel
ruolo di Lord Bullingdon, era divenuto un fedele adepto di Kubrick
e in Shining ebbe il titolo di assistente personale al regista: durante la
445
lavorazione, Vitali avrebbe fatto da tramite fra Kubrick e gli attori.
Un ufficio locale della Warner Bros. fece pubblicare annunci sui
giornali, invitando i genitori a proporre foto e a fare richiesta per il
film, e si arrivò a selezionare una lista di circa centoventi bambini
che secondo Kubrick avevano l'aspetto giusto. Il regista li cercava
con un viso espressivo e spiegò al vecchio amico Alexander Walker
che voleva che i muscoli del bambino reagissero in linea diretta ai
suoi centri nervosi. Vitali provinò tutti i bambini della lista regi-
strando le loro improvvisazioni su videocassetta: sulla base di questo
lavoro, Kubrick scelse Danny Lloyd, figlio di Jim e Ann Lloyd, che
abitavano in una cittadina dell'Illinois.
Le leggi inglesi sul lavoro minorile imponevano restrizioni al
tempo che Kubrick aveva a disposizione per lavorare con Danny
Jack Nicholson, Shelley Duvall e Scatman Crothers potevano essere
trattenuti sul set per lunghe ore, macinando oltre un mezzo centi-
naio di ciak; Danny poteva essere coinvolto nella produzione per
non più di quaranta giorni lavorativi all'anno, con orari limitati e
l'ordine, strettamente osservato, di lasciare il set per le quattro e
mezza del pomeriggio. In termini pratici, per Kubrick tutto questo
voleva dire un alto grado di organizzazione per il tempo in cui
Danny Lloyd era davanti all'obiettivo. Le regole non includevano le
prove, così Kubrick faceva provare Danny un giorno e poi lo porta-
va davanti alla cinepresa quello seguente. Il regista fece fabbricare
un fantoccio del bambino da usare nelle inquadrature in cui Wendy
lo porta in braccio. Kubrick prese la saggia decisione di affidare il
giovanissimo attore a Leon Vitali, che gli avrebbe dedicato tutta la
sua attenzione: il compito principale di Vitali era di prendersi cura
di Danny Lloyd ed essere il suo protettore, amico e primo interlo-
cutore.
Scatman Crothers aveva ottenuto il suo famoso soprannome nel
1932 quando, con il nome Benjamin Sherman Crothers, aveva fatto
un provino per uno spettacolo radiofonico a Dayton, neii'Ohio. Al
giovane batterista, cantante e suonatore di chitarra, il regista aveva
detto che avrebbe avuto bisogno di uno pseudonimo più brillante;
Crothers aveva risposto: «Chiamatemi Scatman, perché faccio un
sacco di canzoni .rcat». Scatman aveva scritto e interpretato centinaia
di canzoni e nel 1948 era divenuto il primo attore nero della televi-
sione di Los Angeles: sarebbe apparso in molte serie, fra cui "Get
Smart", "Kojak", "Sanford and Son", "McMillan and Wife", "Adarn
12" e "Chico and the Man". Crothers divenne un popolare caratteri-
sta, partecipando a La .rignora del blue.r, Wagon-lit.r wn omiàdi, Il jli.rto-
lero, Per .ralire fJÙÌ in b?t.r.ro e Hello, Dolly.'. Aveva lavorato con Jack
Nicholson in Il re dei giardini di Marvin, D11e Nomini e 11na dote e
446
Qualcuno volò Jlll nido del mmlo. Kubrick lo scelse per interpretare
Halloran, il capocuoco dell'albergo con il dono della luccicanza,
!'abilità di comunicare per via Esp.
Di ritorno negli Stati Uniti nell'estate del 1978, Garrett Brown
cominciò a ricevere di tanto in tanto telefonate di Kubrick la matti-
na presto. Fra domande tecniche e altri dati, il regista organizzò le
cose in modo da avere a disposizione Brown e la sua steadicam a par-
tire da dicembre: il piano era che Kubrick affittasse la steadicam, e
che Brown andasse per un breve periodo in Inghilterra per addestra-
re l'operatore che l'avrebbe manovrata in Shining.
I programmi delle riprese di Kubrick cambiarono e a Brown fu
detto che la data di inizio sarebbe stata in primavera. Per l'operatore
erano giorni inebrianti, dato che la steadicam affascinava tutti coloro
che ne vedevano i notevoli risultati in Rocky, Questa terra è la mia
terra e Ilmaratoneta: l'invenzione cominciava a rivoluzionare il modo
di usare la macchina da presa e il suo lavoro dietro la steadicam
entrava nella storia del cinema. Brown vinse il Bert Easey Technical
Award assegnato dalla British Society of Cinematographers, decise di
andare in Inghilterra per ricevere il prestigioso premio di persona e
ne approfittò per tornare a trovare Kubrick e mostrargli il prototipo
di un nuovo modello, che permetteva di tenere l'obiettivo a un'altez-
za variabile dai quarantacinque centimetri ad altezza vita. Il regista
apprezzò molto la possibilità di effettuare riprese a bassa quota per-
ché stava per fare un film con un bambino e voleva entrare nel suo
punto di vista abbassando la macchina alla sua prospettiva. Kubrick
accompagnò Garrett Brown in una visita dell'Overlook, con alcuni
mesi di anticipo sulle riprese. Passando per la cavernosa cucina e per
tutte le stanze e i corridoi comunicanti dell'immenso set, Brown
cominciò a intravedere incredibili possibilità per spingersi ancora
più avanti di quanto non avesse fatto con Hai Ashby, John Avildsen
e John Schlesinger e disse a Kubrick che voleva essere lui a pilotare
la steadicam nel film.
Le riprese di Shining iniziarono nel 1978, poco dopo l'uscita di
Verso il sud, interpretato e diretto da Jack Nicholson. Seguendo
guella che ormai era un'abitudine caratteristica, Kubrick fece avere
alla stampa, alla direzione della Warner Bros. e agli studi Emi-
Elstree, dove sarebbero state effettuate le riprese, pochissime infor-
mazioni sul nuovo film. Uno spiritoso portavoce dichiarò a
<<Variety>>: <<Come si conviene a ogni albergo, il signor Kubrick ha
appena appeso il cartello "Non Disturbare">>. All'inizio del 1978, i
terreni dello studio, che aveva ospitato una strada usata per dieci
anni per ricostruire luoghi stranieri come Amsterdam e Singapore,
furono spianati con le ruspe in modo che la produzione potesse
447
costruire la facciata posteriore dell'Overlook Hotel e il giardino-
labirinto. All'interno, Kubrick occupava quattro dei nove teatri di
posa di Elstree.
Shining sarebbe stato il primo film di Kubrick dopo 200 l a essere
ripreso principalmente in teatro: Amncia meccanica era stato girato
prevalentemente in ambienti reali e praticamente tutto Barry Lyndon
era stato girato in location. Dopo aver accarezzato l'idea di girare
Shining in location negli Stati Uniti, Kubrick aveva deciso di rico-
struire una parte degli Stati Uniti in Inghilterra, anche se questo
richiedeva di mettere sottosopra i terreni degli studi. La fama inter-
nazionale del regista gli dava credito in qualsiasi teatro di posa;
erano tutti anche troppo felici di essere chiamati da Stanley Kubrick.
L'insistenza di Kubrick nell'ottenere la perfezione era nota, ma
Garrett Brown poté verificarla personalmente quando si trovò a
dover soddisfare le sue esigenti richieste. Il suo primo giorno,
Brown fece più di trenta riprese, guidando la sua steadicam attra-
verso l'ampio set dell'ingresso con la grazia di un ballerino e la pre-
cisione di un pilota dell'aeronautica. La temperatura sul set sfiorava
i 43 gradi per via dei 700.000 watt generati da una batteria di lam-
pade: Kubrick e Alcott avevano elaborato, per creare la luce del
sole, un sistema che non si limitava a simulare, ma duplicava l'ener-
gia solare. Alla fine gli addetti all'aria condizionata sarebbero riu-
sciti a trovare un modo per dare un po' di sollievo, ma al momento
Garrett Brown doveva usare tutte le sue energie e le sue capacità per
riuscire a puntare la sua arma cinematografica esattamente nel
punto su cui Kubrick insisteva. Spiritosamente, in un articolo per
<<American Cinematographer>>, Brown scrisse: <<Mi resi conto presto
che quando Stanley diceva che il puntatore a croce del mirino dove-
va essere sulla narice sinistra di qualcuno nessun'altra narice sarebbe
andata bene>>.
Dai tempi dei suoi esordi come forografo, Kubrick aveva usato
nelle immagini il criterio di centrare le sue composizioni: le imma-
gini cenerate e bilanciate sono piacevoli da vedere e rispettano il
riquadro che le accoglie. Un'immagine centrata rappresenta ordine,
controllo, disciplina, logica e organizzazione- proprio le qualità
intrinseche alla personalità di Kubrick e alla sua psiche di artista.
Negli anni in cui aveva sviluppato la sua abilità di creatore di imma-
gini, Kubrick aveva passaro centinaia di ore seduto a una scacchiera,
un emblema visivo dell'ordine, con le sue sessantaquatrro caselle in
otro file di otto blocchi alternaci di scuro e di chiaro. La rappresenta-
zione della scacchiera - vera o simbolica - compare spesso nei fìl~
di Kubrick, e la precisione dell'immagine centrata è un caposaldo dl
quasi tutte le sue inquadrature. Garrett Brown gradualmente dover-
448
re riprogrammarsi l'occhio per gestire il continuo movimento e la
costante riquadratura nel manovrare la steadicam, e per essere
all'altezza del bisogno di ordine e stabilità di Kubrick nel lavoro
fotografico imparò a centrare il puntatore anche se questo era visibile
solo dall'obiettivo e non dall'oculare.
L'esigenza tecnica di centrare il puntatore nell'obiettivo divenne la
scusa di Kubrick per chiedere altri ciak, permettendo ulteriori svi-
luppi dell'arte della steadicam. Spiega Brown: <<Una buona parte era
fumo, solo per avere l'occasione di fare un altro ciak. Ai giornalieri
avrebbe ammesso che le riprese erano tutte uguali, tutte buone.
Dopo un po' mi resi conto che, dopo quattro o cinque riprese, dal
mio punto di vista erano tutte perfette e allora potevo concentrarmi
sui particolari più minuti del controllo dello strumento. È lì che ho
davvero imparato a controllare quella dannata macchina. Sono arri-
varo al punto che potevo posizionare il margine del fotogramma o i
puntarori dovunque e in qualunque momento, come danzando. Era
bellissimo, adoravo farlo. Adoravo fare cinquanta o settanta ciak. Per
me non sarebbero mai stati troppi perché non era stancante. Ne face-
vi uno, poi si discuteva e lo si rivedeva. Dopo ogni ciak ti riposavi.
Era un'opportunità di imparare a governare la tecnica che non avrei
trovato da nessun'altra parte. Metà del lavoro sta nel trasportare
tutta l'attrezzatura da un aeroporto all'altro, e l'altra metà è solo cer-
care di star dietro all'azione e di fare l'inquadratura sfruttando le tue
doti naturali. Se ti fanno fare tre ciak sei fortunato, ma non ti capita
mai di poterla fare e riguardare e rifarla e guardarla ancora - e capire
che se tieni la spalla così, funziona questa cosa, se metti il piede lì,
funziona quest'altra. Hai la possibilità di coltivare una memoria
muscolare, così ti rendi conto che se tieni la mano alla cintura e
accanto allo sterno, allora hai esattamente l'asta all'altezza che ti
serve. Io ero in grado di manovrare questo strumento snodato e
incontrollabile e di usarlo con il massimo della precisione».
Kubrick non era soddisfatto della qualità dell'immagine televisiva
che la steadicam trasmetteva a distanza per permettergli di control-
lare l'inquadratura: il problema avviò un'altra serie di richieste tec-
niche e filosofiche a cui fu necessario far fronte. Alla fine per miglio-
rare l'immagine video fu studiato un nuovo trasmettitore: per libe-
rarsi dalle restrizioni imposte dal segnale video, dietro ai muri di
turco il set furono nascoste antenne che permettessero al trasmettito-
re di essere captato da qualunque posizione. Brown sostiene di aver
capito allora che la parola «ragionevole>> non faceva parte del lessico
di Kubrick.
_L'alta quantità di ciak girati permetteva a Kubrick di crearsi una
btblioteca di reazioni ed emozioni dei personaggi per ogni singola
449
inquadratura: con l'accumularsi dei ciak, Jack Nicholson e Shelley
Duvall cominciavano a passare attraverso una gamma di emozioni
che andavano dalla catatonia all'isteria. Kubrick si era conquistato il
potere di fare i film come voleva lui, e il suo metodo gli dava una
quantità di scelte lungo rutto il processo di lavorazione, fino al
momento in cui approvava la copia definitiva da consegnare alla
Warner Bros. per la distribuzione.
Il risultato di una giornata di lavoro poteva essere una scena 0
un'inquadratura. Prima di girare anche un solo fotogramma veniva-
no fatte approfondire prove di illuminazione. Kubrick persisteva
fino a quando sentiva di aver tirato fuori da una scena tutto il possi-
bile. Non partiva da un'idea prestabilita, ma trovava ciò che stava
cercando attraverso una metodica progressione di passi e di ricerche
dell'inquadratura.
Garrett Brown doveva riprendere molte delle inquadrature in
piedi, camminando, correndo e roteando per coreografate i complessi
piani sequenza di Kubrick. La Elstree Camera, sotto la direzione di
Mick Mason e Harold Payne, elaborò una serie di supporti appositi
che permisero di montare la steadicam su ruote. Uno skateboard
riconvertito e un marchingegno fabbricato appositamente si rivelaro-
no inadeguati a garantire mobilità e precisione. La soluzione fu di
usare un prototipo di sedia a rotelle di Ron Ford, già messa a punto
su indicazioni di Kubrick: lo strumento consentiva a Garrett Brown
di stare seduto e di non dover correre, di essere spinto e quindi di
non essere costretto ad attraversare le stanze a passo di carica con il
peso supplementare del suo attrezzo. La steadicam era una meravi-
glia di ingegneria- abbastanza leggera da poter essere portata da un
operatore - ma, come Garrett Brown apprese quando il piccolo
Danny Lloyd scoprì di poter usare Brown e la cinepresa come altale-
na, I'Arriflex BL usata per Shining pesava quanto il ragazzino.
Sul set, Garrett Brown, la sua invenzione e il suo modo di espri-
mersi con la pellicola erano una presenza che si faceva notare: alto,
aggraziato e dotato di notevole fermezza, l'operatore aveva un
immenso rispetto per Stanley Kubrick. Mentre camminava, correva,
scivolava e, a volte, dava l'impressione di volare attraverso il set
deii'Overlook con la grazia di un Barijsnikov, Brown aveva il dono
di mettere l'obiettivo dovunque il regista lo volesse, e la convinzione
che la sua scoperta fotografica stesse soddisfacendo le aspettative del
mezzo stesso.
Kubrick fece rifare tre volte, per averla perfettamente liscia, una
pista di compensato di novanta metri costruita per la sedia a rotelle
della macchina da presa. Brown, secondo gli standard normali un
perfezionista, sentiva di essere in grado di realizzare una ripresa
450
accettabile e buona da stampare dopo i primi tentativi; Kubrick
d'altro canto era sempre critico fino a quando Brown non si avvicina-
va al quattordicesimo tentativo, e non si rilassava fino a quando sul
ciak non si leggevano numeri dal venti in su. In Shining Brown
divenne un altro degli artisti messi alla prova dalla filosofia della
moltiplicazione dei ciak fino al limite.
L'inquadratura in cui la macchina da presa segue Wendy per tre
rampe di scale e rallenta per poi subito precederla quando la donna
vede due ospiti fantasma impegnati in un atto sessuale divenne una
delle favorite di Garrett Brown: ebbe trentasei possibilità di girarla.
Il montaggio di Shining non sarebbe cominciato fino alla fine delle
riprese. Nei precedenti film di Kubrick si era cominciato prima, una
pratica abituale nell'industria cinematografica, perché aiuta il regista
a vedere di cosa c'è ancora bisogno o cosa deve essere girato di nuovo,
e permette al montatore di cominciare a dare un ritmo al film.
Kubrick stava avvicinandosi sempre più ad avere il controllo com-
pleto e assoluto sui suoi film. Sapendo che avrebbe seguito l'intera
crafila della postproduzione, il regista calcolava di aver bisogno di
almeno due o tre ciak che soddisfacessero i1 suo crìterio di perfezio-
ne. Guardando scorrere ogni ripresa con la steadicam, Kubrick divi-
deva la sua concentrazione fra la performance dell'attore e l'abilità di
Garrett Brown a mettere i puntatori esattamente nel punto richiesto.
Più avanti nella lavorazione, Kubrick avrebbe ammesso con Brown
che la recitazione degli attori era il fattore principale nella scelta del
ciak per il montaggio finale, ma che ciò non riduceva la sua pretesa
di eccellenza tecnica.
Lo spettatore occasionale di Shining tende a credere che la steadi-
cam sia stata usata solamente per le sbalorditive inquadrature che
seguono Danny sull'automobilina per i corridoi dell'Overlook, e per
la forza onnipresente che si muove nel labirinto, ma Kubrick usò
Garrett Brown per girare un'altissima percentuale del film. Con il
suo acume tecnico, Kubrick aveva capito presto che la steadicam era
in effetti così stabile da poter essere utilizzata in situazioni difficili e
che poteva essere usata anche per le scene in cui la macchina da presa
doveva essere fissa. Stanley Kubrick e Garrett Brown facevano
entrambi parte della società dei pensatori concettuali del cinema:
studente di cinema, Brown aveva capito che i cineasti cercavano un
modo di liberare la macchina da presa e, nel concepire e inventare la
Steadicam, aveva cercato di mettere a punto uno strumento che per-
mettesse all'operatore di mettere l'obiettivo dove voleva. Kubrick lo
capì e spesso ricorse all'inizio o al finale di una ripresa con la steadi-
carn come parte di una scena girata in prevalenza con una normale
macchina fissa. Brown utilizzò un obiettivo 18mm Cooke che per-
451
metteva alla steadicam di passare attraverso spazi strettissimi di
muri e porte. L'obiettivo grandangolare e le illimitate possibilità di
movimento della steadicam costituivano una immane sfida per la
luce. John Alcott risolse pazientemente ogni problema posto dalla
onnipresente macchina allestendo una luce senza ombreggiature,
adatta da un punto di vista emotivo alla scena e spesso rafforzata
dalla luce apparente del sole.
Garrett Brown seguì Shelley Duvall e Anne Jackson nel corridoio
fino al salotto, e rimase poi fisso su di loro che sul divano discuteva-
no la condizione di Danny in mezza pagina di dialogo. Per navigare
attraverso la cavernosa cucina, zeppa di cavoli, oggetti e scatoloni,
l'operatore manovrava come il corridore Mario Andretti, trovando la
linea più morbida per ogni curva: questo modo di curvare come su
un'auto da corsa permetteva di mantenere la macchina da presa invi-
sibile e di tenere l'occhio sulla scena. Brown si intrufolava nella
porta dell'appartamento dei Torrance nell'albergo, saliva e scendeva
le scale e incarnava le soggettive di Jack e Danny Torrance quando
entravano nell'orrore della stanza 23 7.
Le sequenze della cucina e del labirinto diedero a Brown la possibi-
lità di raffinare ancora di più la sua analogia con le corse automobili-
stiche: doveva sempre cercare la via più breve da seguire per ottenere
la dinamica messa in scena della scena pensata da Kubrick. Spiega
Brown: <<La macchina da presa non era mai stata in grado di percor-
rere quella che si potrebbe definire la retta di un'auto da corsa attra-
verso l'angolo. La retta di un'auto da corsa è il massimo raggio che si
può tagliare, quindi il passaggio pitt vicino possibile all'angolo vero
e proprio. Io posso muovere l'obiettivo con il minimo del disturbo,
così gli attori non sono schiacciati contro lo sfondo. Hai questa
meravigliosa serenità>>.
Brown montò sulla sua steadicam una livella a bolla d'aria che
durante le riprese nel labirinto consentiva di tenere l'obiettivo oriz-
zontale e di evitare le distorsioni dell'immagine che si verificano
spesso con un grandangolo.
Kubrick e il suo gruppo entrarono nel set dell'Overlook Hotel nel
maggio 1978 e lo tennero occupato fino all'aprile 1979. Gli Elsrree
Srudios dovettero trovare un altro modo per ospitare produzioni
come Flash G01·don di Dino De Laurentiis e L'imj1ero colj1isce ancora,
secondo episodio della trilogia di Guerre stellari di George Lucas.
Kubrick mantenne il suo abituale riserbo con molti degli attori.
Per il ruolo della dottoressa, che viene chiamata per visitare DannY
dopo che il suo primo episodio di luccicanza ha dato al bambino un
flash sul passato orripilante dell'Overlook Hotel, ii regista voleva
Anne Jackson, attrice di teatro e di cinema e moglie di Eli Wallach.
452
Kubrick telefonò alla Jackson e le parlò del ruolo in termini gene-
rici. L'attrice ricorda: <<Alla fine della conversazione, gli dissi:
"L'unica cosa, signor Kubrick, da quello che mi dice, se c'è qualcosa
che ha a che fare con l'essere ammazzata in una vasca da bagno non
posso fare la parte perché non sopporto le pugnalate. Non voglio
essere ammazzata". E lui non si mise a ridere. Disse solo: "Oh, nien-
te del genere". Aranàa meccanùa mi aveva spaventata a morte, è per
quesro che gli dissi: "La prego, non mi faccia uccidere. Se mi vuole
per farmi uccidere nella vasca, non posso farlo perché mi verrebbero
gli incubi"».
Dopo aver parlato un po', Kubrick disse alla Jackson che la voleva
per la parte di un dottore. All'attrice fu mandato il romanzo di
Stephen King e tutto fu organizzato per farla venire a Londra. La
prima impressione di Anne Jackson fu che Sranley Kubrick non
sembrava un tipico regista: <<Indossava una giacca da boscaiolo come
i ragazzi nella parte est di New York, quando ero una bambina e
andavo da quelle parti. Non sembrava l'abbigliamento adatto a un
adulto e sicuramente non era chic. Sembrava u·n uomo con un sacco
di cose a cui pensare. Non aveva facilità di rapporti con la gente. Fu
chiarissimo sul mio costume nel film. Non mi riuscì di farmi dire
come voleva che fosse il personaggio. Mi resi conto che probabil-
mente non lo sapeva fino a quando non vedeva cosa aveva creatO>>.
Erano state fatte delle ricerche su cosa avrebbe indossato nel
Colorado la gente di un particolare ceto sociale, e la Jackson fu man-
data in giro per Londra a fare compere con un membro dello staff,
per trovare il vestito indossato dalla dottoressa nella visita a domici-
lio. Ricorda l'attrice: «Ci furono fissati diversi appuntamenti e quelli
dello staff continuavano a mostrare vestiti a Stanley. Mi portarono
una gonna pieghettata e una specie di top da dottore. Lui diceva:
"No, no". Diceva solo "No", no a tutto. Poi io arrivai con una giacca
e un paio di pantaloni che avevo messo in aereo. Fa così freddo quan-
do si viaggia in aereo. Quel giorno a Londra pioveva e io me li ero
messi e Stanley disse: "È così che la voglio, procuriamoci quei vesti-
ti". Ma li aveva già visti prima perché non mi ero portata troppi
vestiti a Londra, non mi aspettavo di starei così a lungo>>.
<<Poi cominciò a insegnarmi come fare la dottoressa. Invitò un dot-
tore sul set e un week-end mi rimandò a casa con uno stetoscopio. lo
dissi: "Non capisco cosa intendi, Stanley. Dove la trovo la gente su
cui fare pratica?". Lui rispose: "Basta che suoni i1 campanello
all'albergo e ti fai mandare il personale". È quello che feci. Facevo
tUtto quello che mi diceva- era come se fossi sotto ipnosi>>.
La Jackson voleva sapere se doveva essere una pediatra o una psico-
loga infantile: <<Continuavo a chiedere a Stanley: "Quanto ne sa?
453
Non è una bravissima dottoressa del Colorado? Quanto ne sa?". Beh,
mi dava solo uno sguardo come per dire: "Dimmelo tu"».
Nel week-end, laJackson provò a ripetere la scena in cui si mette a
sedere con Wendy Torrance e spiega che l'episodio di Danny è stata
una normale esperienza infantile. La dottoressa apprende allora che
Jack ha un problema con il bere e che una volta involontariamente
ha rotto il braccio al bambino. Questa scena sarebbe stata girata
prima ma nel fìlm avrebbe seguito quella in cui la dottoressa visita
Danny e lo interroga sull'episodio avvenuto nel bagno. La sceneggia-
tura riportava solo le battute del dialogo, offrendo scarsi indizi sulle
motivazioni dei personaggi o sulle indicazioni di movimento. Le
riprese iniziarono e Kubrick girò diversi ciak della scena senza dire
nulla alla Jackson: chiedeva di girare e poi se la riguardava in video.
Ricorda l'attrice: <<Si fece un ciak e lui disse: "Ancora", e allora la
facemmo di nuovo e lui disse: "Ancora". Alla terza o quarta volta
cominciavo a innervosirmi perché avevo provato varie strade, non
sapevo cosa voleva, la prima mi sembrava a posto. Gli dissi: "Stanley,
quanto vuoi che ne sappia questo personaggio?". Lui si limitò a
guardarmi come per dire: "Perché fai tutte queste domande?". Non
mi dava la minima soddisfazione. Andammo avanti. Lui continuava
solo a rifarla mille volte. Alla fìne gli dissi: "Per favore, dimmi se c'è
qualcosa che non va o se ti manca qualcosa. Cos'è che vuoi,
Stanley?". In effetti avevo un certo nervosismo nella voce. Gli dissi
solo: "Cosa devo fare di diverso? Cosa c'è che non ti va bene?". Lui
mi guardò e mi fece veramente sentire come una ragazzina a scuola
che ha fatto qualcosa di sbagliato. Ma non sapevo cosa. All'inizio ero
stata abbastanza contenta della scena. Pensai: "Se dopo tutti questi
ciak non ho ancora fatto quello che vuole, allora finirà per licenziar-
mi". Dopo averla fatta tutte quelle volte cominciai a farne versioni
sospettose e alla fìne cominciai ad ascoltare semplicemente come se
non avessi la minima idea di cosa Shelley stesse dicendo. Questo
creava un'atmosfera di tensione. Andò avanti così fìno al momento
della pausa pranzo, e allora Shelley Duvall disse: "Non preoccuparti,
Annie, ha fatto così con tutti". Shelley mi diede uno di quei libri di
autoistruzione, del genere "Come non dire sì quando vuoi dire no".
Disse: "Ecco, prendi questo libro eleggilo". Mi piaceva molto lavo-
rare con lei, era così cara, gentile e così brava>>.
<<Poi tornammo dal pranzo e si ricominciò da capo. Non so quante
volte. So che nel fìlm ha usato il primo ciak perché mi ricordo cosa
avevo fatto nel primo ciak. So che Stanley ha usato il primo ciak per-
ché ci avevo messo molti più colori rispetto alle ultime versioni, per-
ché dopo cercavo di correggere qualcosa senza sapere cosa stavo cor-
reggendo. Tutte le scene che ho fatto dopo quella sono state ottenute
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solo con uno o due ciak. In seguito fu molto disposto ad aiutarmi.
Mentre facevo la scena con Danny Lloyd, cercavo di ingraziarmelo e
di fare amicizia. Stanley disse: "Non voglio niente del genere, voglio
che sia fatto molto seriamente". Questo mi aiutava. Mi era piaciuto
molto che mi avesse mandato a casa con lo stetoscopio. Avevo osser-
vato quel dottore con molta attenzione e avevo osservato il suo atteg-
giamento. Il suo atteggiamento era esattamente ciò che Kubrick
aveva in mente, cioè un dottore che fa bene il suo lavoro e che lo fa
in modo efficiente, senza essere troppo amichevole. La maggior parte
dei miei pediatri erano meravigliosi con i miei ragazzi, ma Stanley
non voleva niente del genere)).
Quando Anne Jackson lasciò lo studio alla fine del primo giorno,
si imbatté in Barry Nelson, che aveva conosciuto a New York.
L'attrice gli disse di chiamarla quando avesse finito il primo giorno
di riprese. «Volevo avvertirlo di quello che succedeva>>, ricorda la
Jackson. <<Gli dissi: "Chiamami, Barry'' e lui mi guardò. Quando mi
chiamò, sapeva esattamente perché glielo avevo detto. Gli chiesi:
"Quanti ciak?" e lui scoppiò a ridere. Disse: "Oh, direi circa trenta-
cinque. Ma tu avevi una scena, io avevo una battuta. Ho detto,
"Ehi là Jack, ehilà Jack, ehi}ack". E io dissi: "Che ha detto Stanley?".
Barry rispose: "Ha detto che sembravo un imbonitore da fiera">>.
Le riprese della scena in cui la dottoressa visita Danny e gli parla
filò liscia. Ricorda la Jackson: <<Quella fu proprio veloce. A quel
punto il personaggio era stato definito, Kubrick aveva scelto. Furono
necessari solo un ciak o due, perché Danny era un bambino e biso-
gnava soprattutto preservare la sua spontaneità. Non poteva lavorare
tutte quelle ore al giorno. Immagino che la ragione per cui Stanley
aveva fatto prima la scena con Shelley fosse perché voleva definire il
personaggio prima di farmi lavorare con Danny Lloyd>>.
Le due scene che Anne Jackson aveva in Shining richiesero fra le
due e le tre settimane di riprese: <<Era il regista più meticoloso con
cui avessi mai lavorato. Non avevo mai lavorato con uno così prima.
Ho per lui una tale ammirazione. Ero arrivata con quell'ammirazio-
ne e ce l'ho ancora. Cioè, anche dopo quella scena pensavo: "Se mi
dovesse chiedere di fare un altro film, lo farei". Non è un tiranno.
Stanley è tranquillo. Ti mette soggezione solo per via del suo
immenso talento e per il fatto che quando vedi i suoi film in essi c'è
tanta ricchezza che ti viene da pensare che lui sarà probabilmente
espansivo e loquace e invece non lo è per niente>>.
Kubrick aveva gradualmente imparato ad accettare le pause richie-
ste dalle troupe inglesi per riposarsi e per mangiare. Avendo comin-
ciato a New York come cineasta da guerriglia, il regista era abituato
a lavorare per lunghe ore, mangiando e dormendo in modo irregola-
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re, mentre la troupe inglese si prendeva regolarmente le pause per il
tè e i rotoli di bacon. Quando nei paraggi fu aperto un McDonald's,
le pause serali iniziarono a includere il Big Mac, in aperta violazione
delle abitudini culinarie inglesi.
In un'insolita infrazione alle misure di sicurezza, Kubrick permise
a Vivian, la figlia minore, di fare un documentario sulla lavorazione
di Shining che fu trasmesso dalla Bbc. Il filmato offriva una rara
occasione di vedere Kubrick al lavoro. Per tutta la sua carriera,
Kubrick è stato ampiamente fotografato: le immagini raccolte negli
anni documentano l'intensa concentrazione, i leggendari occhi pene-
tranti e l'aria da cane ispido; le foto sui set rivelano un atteggiamen-
to diretto, la padronanza dietro la macchina da presa e una autorita-
ria presenza sul set. Il formato del documentario, mostrando
Kubrick in azione, lo rivela come un uomo tranquillo ma intenso. Lo
si vede sempre mentre si muove in avanti, sull'orlo dell'impazienza
con quelli che non riescono a stargli dietro e attratto da coloro con i
quali si trova in sintonia. Le sue indicazioni e i suoi suggerimenti
sono espressi con parole semplici e pragmatiche. Il suo abbigliamen-
to per Shirzing includeva un ampio parka e a volte una giacca
Eisenhower blu. La barba di Kubrick spuntava in tutte le direzioni e
veniva spesso tormentata e tirata inconsapevolmente quando era
assorto in qualche pensiero. Qualche chilo in più aveva accresciuto la
sua taglia, un tempo media, dandogli le proporzioni di un piccolo
Welles, ma la presenza ampia e autoritaria di Stanley Kubrick che
guidava il cast e la troupe nelle profondità dell'Overlook era impres-
sionante. Sembrava timido ma concentrato, un uomo che quando
guarda in macchina o in un mirino sorride quasi sempre. La som-
mità della testa era quasi calva, ora inquadrata da una zazzera di
capelli sfuggiti al controllo di pettini o spazzole. I suoi occhiali da
aviatore erano fabbricati con materiale di alta qualità. Spesso teneva
gli occhiali in mano mentre guardava nell'obiettivo per controllare il
fuoco, la composizione o la scena.
L'abitudine di Kubrick di girare un ciak dopo l'altro pesò in modo
particolare sul sessantanovenne Scatman Crothers. Una particolare
inquadratura della scena in cucina, nella quale Danny e Halloran
parlano della luccicanza, arrivò a centoquarantotto ciak. Si trattava
di una sola posizione macchina e non includeva le ampie coperture e
tutti i ciak che Kubrick si assicurava su altre angolazioni delle stesse
scene: quell'unica inquadratura durava sette minuti e Kubrick fec~
stampare ogni singolo ciak. Comunemente, i registi stampano solo 1
ciak che pensano siano riusciti bene, lasciando gli altri nel rullo del
negativo originale, ma Kubrick voleva vedere ogni fotogramma per
cercare l' «MCP», quel momento critico che riteneva conferisse alla
456
sua opera una distinzione nella regia. Anni di vorace frequentazione
delle sale cinematografiche gli avevano insegnato che nei film i
momenti magici non capitavano facilmente ma solo quando macchi-
na da presa, recitazione, scenografia, contenuto e stile trovavano
!'allineamento che creava la magia cinematografica.
Inesorabile, Kubrick girò quaranta ciak della scena in cui Halloran
è colpito con un'ascia da Jack Torrance. Dopo aver abbattuto per la
quarantesima volta l'attore ormai stanco, Jack Nicholson - che con
Scatman aveva lavorato in altri film -chiese a Kubrick di non conti-
nuare ancora a lungo. Come sempre, il regista pensava più ai risulta-
ci che alle esigenze umane del cast. Nicholson era all'apice del suo
potere creativo, aveva un immenso rispetto per Kubrick e, essendo a
sua volta stato regista, aveva una gran reverenza per le sue intuizioni
ed era pronto a sottoporsi a tutti i ciak che Kubrick avesse voglia di
fargli fare. Il regista sentiva che Nicholson dava il meglio di sé ogni
volta che si tuffava in qualcosa di nuovo e lo incoraggiava a trovare
nuove sfumature in tutto quello che la scena richiedeva. Tuttavia
l'attore si sentì obbligato a intervenire in favore di Crothers.
La lavorazione di Shinirtg fu per Scatman Crothers un'esperienza
emozionante. Quando Vivian Kubrick e la troupe del documentario
gli chiesero come fosse stato lavorare con Danny Lloyd, scoppiò in
lacrime: «È stato splendido, proprio come mio figlio. Se vedi delle
lacrime, devono essere lacrime di gioia perché ringrazio il Signore di
essere stato qui e di avere avuto modo di lavorare con questa gente
meravigliosa. Non lo dimenticherò mai>>.
La scena di Nicholson con Joe Turkel, veterano attore di Kubrick
che qui interpretava Lloyd, il barista fantasma, fu fatta e rifatta non
meno di trentasei volte. Disse Kubrick: <<L'interpretazione di Jack
qui è incredibilmente intricata, con im12rovvisi cambiamenti di pen-
siero e di umore- tutte note di grazia. E una scena molto difficile da
fare perché il flusso delle sue emozioni è così mercuriale. Richiede
cambi di direzione nettissimi e una enorme concentrazione per con-
servare lucidità e misura. In questa scena particolare Jack ha prodot-
to i suoi ciak migliori verso la fine>>.
In The Emerald Fore.rt Diary, John Boorman scrive: <<A Kubrick
piace fare molti ciak. Jack Nicholson mi ha detto che in Shining
Stanley a volte faceva settanta od ottanta ciak per inquadratura.
Quando ho visto il film ho capito cosa Kubrick avesse cercato di
fare. Cercava di ottenere imerprerazioni che nascessero dall'estremo,
dalia spossatezza>>.
Nicholson era attratto dalla crisi di famiglia dei Torrance. Per
Stephen King, quella era la miccia che faceva scaturire scintille in un
albergo infestato da fantasmi, ma per Kubrick e Nicholson, il vero
457
orrore del fìlm erano i demoni personali di Jack Torrance e la furia
che scatenava sulla sua famiglia. Nicholson, che aveva interpretato
Randle P. McMurphy in Qualcuno volò sul nido del mmlo, non era
estraneo a personaggi patologici ed era attratto dalla psicosi di Jack
Torrance. In un'intervista l'attore dichiarò: «II libro iniziava con
quel presagio, e io mi sono limitato a farlo esplodere. È un'interpre-
tazione impegnativa ed estremamente difficile, che ha qualcosa del
balletto. Se chiedi a una persona normale di camminare lungo un
corridoio di trenta metri, comincerà ad agitarsi dopo i primi dieci,
chiedendosi dove guardare, ma un attore deve riempire lo spazio.
Deve trovare un luogo in cui lo stile si fonde con la realtà del pezzo,
un qualche tipo di progetto simbolico».
L'attore Tony Burton fu scelto per il ruolo di Larry Durkin, il pro-
prietario di un'officina meccanica in Colorado che fornisce ad
Halloran il gatto delle nevi per raggiungere l'Overlook nella tempe-
sta di neve, nel momento culminante di Shining. Racconta l'attore,
che è apparso in molti film memorabili come la serie dei Rorky, The
Bingo Long Travelling AII-Star.r and Motor Kings e l ragazzi del Max's
bar e nell'acclamata serie televisiva "Frank's Place": <<II primo film in
cui avessi mai lavorato era Distretto 13: le brigate della morte di John
Carpenter. All'epoca lo proiettarono per anni in una sala di Londra.
Divenne un cult. Stanley lo vide e gli piacque. Disse di averlo visto
come un fìlm di cowboy, era come se avessero messo i carri in circolo
e i coloni fossero stati attaccati. È in questo modo che ho avuto il
lavoro in Shining. Non ho dovuto fare provini o cose simili. II mio
contratto era per una settimana. Nel film avevo solo due brevi scene.
Rimasi sei settimane perché Stanley e io giocavamo a scacchi>>.
Burton arrivò a Londra verso la fine della lavorazione di Shining:
Kubrick, il cast principale e la troupe lavoravano sul fìlm da quasi
un anno. «<I primo giorno non dovevo lavorare. Arrivai sul set e
mentre stavamo lì seduti io tirai fuori la scacchiera, ci misi sopra i
pezzi e cominciai a spostarli. Per Stanley fu una piacevole sorpresa.
Cominciammo a giocare. Io ero arrivato subito dopo pranzo.
Giocammo a scacchi per il resto della giornata. Quel giorno non si
girò più niente. Nessuno disse: "Forza, giriamo questo film". Stanley
e io giocammo due partite per il resto della giornata. Da allora non
fui più ammesso sul set. Mi vedevano alla porta e dicevano: "Tony,
per favore!">>. .
<<Stanley era più forte di me, ma io ero abbastanza forte da dargh
abbastanza da fare per divertirsi. Nella prima o seconda partita che
giocammo insieme riuscii a batterlo, e poi non vinsi più, ma era sem-
pre una lotta dura. È questo che adorava; credo che non ci fosse nes-
sun altro là che giocasse bene. Stanley è un ottimo scacchista. Parlava
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di passare il tempo con Bobby Fischer e con tutti quei tizi a New
York. Stanley stava in piedi quando giocava con me. Era coinvolto dal
gioco a un livello fisico, non solo mentalmente, era come l'atletica. La
psicologia del suo corpo cambiava, con il procedere della lotta diven-
tava più animato. Tutti sapevano che non dovevano disturbarlo>>.
<<Stanley giocava in uno stile classico, convenzionale. Dovevi cono-
scere bene le aperture perché non sta molto a pensare. Conosce tutte
]e mosse dei manuali, la "difesa siciliana", la "Ruy Lopez", la "partita
Larson", adorava fare !"'attacco indiano di re". A me piaceva fare
!'"attacco indiano" al contrario, così ci capitava di fare delle battaglie
molto interessanti. A Stanley non piacevano gli scambi di pezzi. Gli
piaceva tenere la scacchiera piena di possibilità e tensione al centro.
Stanley aspettava che tu facessi un errore e ci si avventava sopra.
Per la sequenza con Larry Durkin, Kubrick aveva fatto fotografare
una vera autofficina nel Nordovest e le foto erano state usate per
replicarne l'esterno sul retro degli studi e l'interno in teatro di posa.
Per dare l'impressione che Tony Burton fosse fuori dall'officina
durante una violenta tempesta di neve, furono usate macchine per la
neve artificiale.
Com'era sua abitudine, Kubrick continuò a riscrivere la sceneggia-
tura di Shining mentre il film procedeva lentamente attraverso la
lavorazione. Quasi ogni giorno, agli attori erano consegnate pagine
nuove, al punto che Jack Nicholson lasciò perdere la sua copia origi-
nale e cominciò a usare come sceneggiatura corrente le revisioni
giornaliere. Quando riceveva pagine nuove tracciava una riga sotto il
nome del suo personaggio ogni volta che compariva: l'attore aveva
visto usare questo sistema a Boris Karloff quando aveva lavorato con
lui in I 11taghi del terrore e Lct vergine di cera, e da allora l'aveva adotta-
to. Kubrick mise sempre in chiaro, spesso attraverso la segretaria di
edizione June Randall, che le pagine date agli attori non erano il
"copione" ma solo una base da usare per trovare la vera scena con gli
attori, sul set, davanti alla macchina da presa, accanto a montagne di
pellicola vergine pronta a catturare ciò che avevano trovato.
Sul set, Nicholson appariva sempre nel personaggio: k sue leggen-
darie sopracciglia arcuate, molto simili a quelle del regista, si muo-
vevano costantemente su e giù, a destra e a sinistra, esprimendo la
personalità giocosa, maniacale e maligna che covava all'interno.
Passando il tempo con la troupe e rivolgendosi alla macchina da
Presa della troupe di Vivian Kubrick, Nicholson meneva in mostra
l~ sua intelligenza diabolica e il ghigno da bambino cattivo. La parte
dt Jack Torrance era estremamente fisica, così spesso l'attore si cari-
cava fino alla frenesia, saltando su e gil.t e imprecando ad alta voce
lllentre aspettava di girare.
459
Una delle più ispirate improvvisazioni di Nicholson fu l'ormai leg-
gendaria battuta <<Here's Johnny! >> dopo aver abbattuto a colpi di
scure la porta del bagno per raggiungere la terrorizzata Wendy.
Vivian Kubrick stava accumulando su pellicola uno studio senza
precedenti di Stanley Kubrick all'opera e il regista usava l'opportu-
nità per tenere a mente ogni sua mossa. Ricorda Tony Burton:
<< Vivian era sempre lì che ci riprendeva mentre facevamo il film.
Aveva anche un carrettino che spingeva in giro. Stavi parlando con
Stanley, veniva fuori qualche discussione o qualche tema e lui diceva:
"Già, ne stavo parlando ieri con Jack. Vivian, cos'è che dicevaJack?".
E lei frugava nel carrettino, trovava l'argomento della conversazione
e glielo rileggeva>>.
La madre di Stanley Kubrick, Gertrude, venne a trovare il figlio
durante la lavorazione di Shining. Kubrick aveva ereditato l'aspetto
di sua madre: gli occhi di Gert erano acuti, pesantemente segnati e
coronati da sopracciglia finemente arcuate. Intelligente e raffinata
nel parlare, la donna approfittò della visita per interrogare il figlio
sui metodi del fare cinema.
June Randall e gli assistenti di Kubrick lavoravano con Nicholson
e con gli altri attori e li aiutavano a imparare le battute leggendo il
dialogo assieme a loro, in modo da farglielo memorizzare completa-
mente. Anche se il regista incoraggiava l'improvvisazione e l'inven-
zione - se era ispirata - dai suoi attori si aspettava professionalità.
Parte del mestiere di recitare stava nell'imparare le battute e recitar-
le con precisione. Kubrick non amava l'improvvisazione se sentiva
che un attore non aveva perfetta padronanza di ogni parola della sce-
neggiatura. Una volta attenutala, se riteneva che fosse il caso,
Kubrick incoraggiava allora quelli che, come Jack Nicholson e Peter
Sellers, erano dotati n eli 'improvvisazione.
«Stanley mi mandava in albergo un assistente ai dialoghi che
ripetesse le battute con me>>, ricorda Tony Burton. <<Alla fine dovet-
ti dirgli: "Capo, la devi smettere di venire qui. Non ho bisogno di
te. Sapevo già le battute quando sono arrivato qui", così smise di
venire>>.
Kubrick continuò a lavorare alla sceneggiatura durante la lavora-
zione, battendo furiosamente, con un improvvisato e incerto stile a
due dita, su una macchina da scrivere portatile e non elettrica- per
quell'attività non usava un approccio elettronico, digitale o high-
rech. Osservare il regista che flagella i tasti, con gli occhi fissi sulle
lettere che formano le parole, e il carrello che scatta, dà l'impressione
che le dita dietro ai fogli di «Il mattino ha l'oro in bocca>> che riern·
piano il manoscritto su cui Jack Torrance ha lavorato tutto l'inverno
potessero essere le sue. Le forme e i ritmi delle parole riflettono
460
l'approccio innovativo di Kubrick al formato della sceneggiatura e la
sua ossessione per la simmetria, la configurazione e la ripetizione.
Mentre dirigeva, Kubrick si faceva coinvolgere fisicamente dalla
pianificazione di una scena. Per un'inquadratura dal basso verso
l'alto di Jack Torrance che prega sua moglie di !asciarlo uscire dalla
dispensa, il regista definì l'inquadratura con il suo mirino: dopo aver
deciso per un'inquadratura molto dal basso in alto verso Jack,
Kubrick lasciò la comoda sedia da regista e andò a sdraiarsi sul pavi-
mento per guardare Jack Nicholson che recitava sopra di lui.
Durante la ripresa della scena, Kubrick rimase sdraiato accanto
all'operatore di macchina per tenere una gelatina su una lampada
puntata sul volto maniacale di Nicholson. Lo si vede spesso sdraiato
a terra per studiare inquadrature wellesiane dal basso, o mentre roto-
la sul pavimento, riprende, assiste e guarda direttamente il suo sog-
getto accanto alla macchina da presa. Le indicazioni di Kubrick a
Nicholson erano spesso brevi e chiare, come: <<Ce la faresti a trovare
qualche modo per non guardare qui ma guardare in basso mentre
dici la battuta?». Attore intuitivo e dotato di un grande controllo
del suo mestiere, Nicholson non aveva difficoltà a dare a Kubrick
quello che lui voleva per quel ciak e a prepararsi ai successivi.
Kubrick non occupava spesso la sedia da regista. Era sempre in
piedi dietro a Brown e alla sua steadicam oppure, quando non stava
guardando lo schermo video, era seduco sul dolly o sul pavimento
per vedere direttamente quello che vedeva la macchina da presa. Il
regista stava sempre un passo avanti a tutti sul set: la sua intensità
dava l'impressione di un conflitto interiore fra pazienza e impazien-
za. Gli scacchi gli avevano insegnato a non catturare un pezzo sulla
base di una spinta emozionale, così sul set rimaneva calmo, conti-
nuando a pungolare tutti coloro che gli stavano attorno perché fosse-
ro migliori, più veloci e più perfetti.
Nicholson, un veterano che aveva lavorato con molti registi impor-
tanti, aveva un incrollabile rispetto per Stanley Kubrick. Alla troupe
dei documentario, l'attore dichiara: «Quando mi scontro con un
regista che ha un'idea con la quale magari non sono d'accordo,
magari non ci ho pensato su o roba del genere, sono più pronto a
seguire loro che non me stesso, perché come attore voglio essere
senza controllo. Voglio che siano loro ad avere il controllo, altrimen-
ti diventerà prevedibilmente opera mia e non è più divertente».
f momenti centrali della steadicam in Shining sono -le scene in cui
l'obiettivo segue Danny che pedala sulla sua automobilina fra i corri-
doi e le stanze dell'Overlook. Visivamente, le scene sono stupefacen-
ti, con la macchina da presa montata sulla sedia a rotelle che insegue
Danny a pochi centimetri dal pavimento. Ma il suono delle ruote di
461
plastica che scorrono alternativamente sul legno e sul tappeto nella
stanza principale crea un effetto viscerale che comunica direttamente
con il bambino presente in ogni spettatore. La concezione delle
sequenze richiese molte prove ed errori: al primo tentativo, Garrett
Brown correva a piedi dietro all'automobilina di Danny, ma le
inquadrature di tre minuti che Kubrick richiedeva lo sfiancavano. A
piedi, Brown era anche limitato dal non poter mettere la macchina
da presa a meno di cinque centimetri da terra- troppo alta per met-
tere l'obiettivo direttamente dietro il bambino che pedala furiosa-
mente per l'Overlook. La steadicam fu allora adattata alla sedia a
rotelle speciale di Ron Ford: ora Garrett Brown si poteva muovere
assieme alla macchina da presa, controllando il livello. Fu costruita
una piattaforma perché si potesse portare dietro il tecnico del suono,
l'assistente operatore Douglas Milsome e altri. Milsome, che avrebbe
firmato la fotografia del successivo film di Kubrick, Full Meta/
ja.-ket, era l'addetto al fuoco di John Alcott, un ruolo particolarmen-
te difficile con una macchina da presa costantemente in movimento:
Milsome, usando un comando senza fili, poté offrire al regista imma-
gini affilate come rasoi.
Il peso dell'attrezzatura e dei suoi occupanti si rivelò eccessivo per
le gomme originali. Una corsa all'inseguimento di Danny nei corri-
doi si concluse con l'esplosione di uno pneumatico che quasi provocò
un serio incidente, e furono quindi montate gomme più solide.
Kubrick continuava a cercare modi per duplicare i ciak di una data
inquadratura con regolarità e precisione: la sua soluzione fu di mon-
tare un tachimetro molto preciso, che si poteva controllare per stabi-
lire il ritmo esatto di una determinata ripresa, in modo che Garrett
Brown potesse fare ciak uguali uno dopo l'altro.
Le scene in cui Danny esplora con la sua automobilina i corridoi
stregati dell'Overlook permettevano a Kubrick di usare i metodi
classici dei registi del cinema muto: molte inquadrature non avevano
dialogo sincronizzato e il regista poteva usare due tecniche che risali-
vano ai giorni di David W. Griffith. Una era di far sentire della
musica per stabilire un ambiente emotivo per Danny Lloyd e per
creare un'atmosfera sonora in cui il bambino potesse recitare.
Kubrick aveva usato il medesimo espediente in SJwrtams e 2001.
L'altro classico trucco era di dirigere l'attore mentre la macchina da
presa continuava a girare: nel riprendere la scena in cui Danny corre
nei corridoio e si sorrrae ai padre infuriato nascondendosi in uno
degli armadi della cucina e chiudendo la porta, Kubrick istruì Leon
Vitali, che comunicava direttamente con il bambino, perché dicesse
a Danny di <<Stare a sentire Stanley», dandogli accesso diretto al pic-
colo attore; Vitali era la figura che sul set Danny associava con
462
l'autorità, ed era anche l'amico del bambino e la persona che control-
lava il suo universo sul set di Shining. Una volta fatte partire le mac-
chine, Kubrick dirigeva Danny gridando con insistenza nel suo
megafono elettronico: <<Danny, salta fuori, Danny, esci di lì, guarda
di nuovo fuori, Danny, esci, Danny, guarda dietro, guarda dietro,
Danny, comincia a rallentare, comincia a rallentare, vedi la porta,
vedi la porta, guarda nell'armadietto, presto, entra nell'armadietto,
Oanny!>>. Per una coincidenza, Kubrick aveva scelto un attore di
nome Jack per il ruolo di Jack Torrance e uno di nome Danny per
suo figlio, Danny Torrance, e nel caso del ragazzino la cosa dava
immediatezza alla performance, perché gli era pii:1 facile rispondere
al suo nome di battesimo.
Per la sequenza in cui Jack entra nella sala da ballo piena di ospiti
del 1920 che danzano e si godono l'atmosfera di festa, Kubrick fece
provare alle comparse le eleganti danze dell'epoca. Il regista seguì
attentamente le prove e scelse personalmente le musiche pii:1 adatte
spostando la puntina sul giradischi. Dirigeva i ballerini e gli ospiti
della festa con il megafono, dando loro cortesi indicazioni su dove
stare e come apparire rispetto alla macchina da presa. Kubrick chiese
alle comparse di non parlare veramente, in modo da non interferire
con il sonoro in presa diretta, ma di limitarsi a mimare le reciproche
conversazioni. Ma gli anni passati a esaminare migliaia di film ave-
vano insegnato al regista che spesso le comparse tendono a mimare le
loro azioni annuendo e usando ampi gesti che si percepiscono subito
come falsi. Kubrick chiese loro esplicitamente di recitare con natura-
lezza, per dare alla scena un inquietante senso di realismo temporale,
mentre Jack passa dagli anni Settanta ai ruggenti anni Venti.
Kubrick proiettava i giornalieri con proiettori di sua proprietà, che
faceva smontare e rimontare regolarmente per contrastare l'instabi-
lità dovuta ali 'usura. Il regista era particolarmente sensibile alla niti-
dezza e alla stabilità delle immagini proiettate. Le copie erano stam-
pate su pellicola matte-perf, che assicurava stabilità durante la proie-
zione. I laboratori Rank avevano la sola stampante che secondo
Kubrick era in grado di dargli la stabilità necessaria. Il regista fece
disegnare dal suo staff una tabella che forniva i requisiti e le peculia-
rità di ogni obiettivo del suo vasto arsenale fotografico: mentre gli
altri tendevano ad affittare, per anni Kubrick aveva acquistato la
maggior parte della sua attrezzatura, vedendo nella proprietà del
materiale il modo di assicurarsi, di mantenere e di controllare la
qualità che richiedeva ai suoi strumenti .
. Ogni fotogramma delle sequenze nel dedalo primordiale e labirin-
tJco sul retro dell'Overlook fu girato con la steadicam. I cespugli
erano stati fabbricati con rami di pino inchiodati su forme di com-
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pensato disposte in modo da creare un dedalo di file, angoli e curve
che conducevano verso il centro e di nuovo all'esterno, se chi cercava
la strada trovava i passaggi giusti. I sentieri erano lastricati di
ghiaia. Una parte centrale del labirinto era costruita su un lato de!
set ed era più ampia del resto: nel montaggio finale sarebbe apparsa
al centro, collegata alle file e agli angoli delle siepi esterne, che sem-
bravano tutte uguali al visitatore confuso. All'inizio il labirinto era
stato costruito con alcuni punti aperti, ma la cosa a volte disorienta-
va Brown e se gli capitava di puntare l'obiettivo su uno dei buchi,
distruggendo l'illusione del labirinto, l'inquadratura era rovinata.
Kubrick fece fare una mappa completa del percorso, che veniva
usata per entrare e uscire e decidere le inquadrature. Alla troupe ne
furono distribuite delle copie, ma durante la lavorazione c'era sem-
pre chi ci si perdeva. Ricorda Garrett Brown che, se ti perdevi e gri-
davi <<Stanley!», la risata di Kubrick sembrava venire da ogni dire-
zione all'interno del labirinto. Il regista era spesso seduto davanti a
un monitor che riceveva l'immagine da un'antenna montata su una
scaletta. Per vedere il replay, Brown doveva rifarsi tutta la strada
attraverso il labirinto dopo averlo attraversato per fare la ripresa. Per
girare le complesse sequenze, l 'operatore usava un obiettivo
Kinoptik da 9,8 a sessanta centimetri dal suolo. La steadicam fu
usata anche per inquadrature fisse all'interno del labirinto, perché
consentiva di risparmiare tempo, non dovendo portare tutta l'attrez-
zatura dentro e fuori dall'immenso rompicapo.
Per l'inseguimento notturno nella neve fra padre e figlio che conclu-
de Shining, Roy Walker e i suoi scenografi avevano costruito il labirin-
to nel teatro uno degli studi Emi. Per creare abbastanza neve da ripro-
durre l'effetto di una tormenta nel Colorado si usarono sale grosso
bianco e polistirolo sbriciolato. La troupe si muoveva con difficoltà nel
materiale sabbioso e la cosa era particolarmente ardua per Garrett
Brown, che doveva correre senza posa dietro a Jack Nicholson e
Danny Lloyd: in alcune inquadrature, la sua steadicam seguiva o
precedeva i personaggi, in altre diventava la soggettiva dell'uno o
dell'altro. Per otto ore al giorno, il set era inondato di denso fumo
artificiale, per creare l'impressione della nebbia sulle quartz da giar-
dino usate per illuminare il labirinto immerso nella neve. Il fumo
rendeva difficile respirare, soprattutto per Brown che era sempre
sotto sforzo: la troupe all'inizio indossava maschere antigas, ma
l'operatore trovava che così non gli arrivasse abbastanza aria per
poter correre da un estremo all'altro del labirinto; inoltre la nev~
artificiale rendeva difficile muoversi e le luci erano sempre fra 1
piedi: furono le inquadrature pitt difficili clel film. Una ripresa che
seguiva i piedi di Danny fu fatta con l'obiettivo a meno di clieci cen-
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timetri di altezza e fu realizzata con una copia della prima steadi-
cam: solo la macchina da presa, la batteria e un caricatore. Per
['inquadratura in cui Danny torna indietro sulle sue stesse orme si
nasconde e semina suo padre, che non riesce a capire perché le orme
si interrompano all'improvviso, Garrett Brown dovette indossare
trampoli speciali su cui erano inchiodate le scarpe di Danny, in
modo da poter camminare nelle orme del bambino.
Durante le riprese dell'inseguimento notturno nella neve con cui
culmina il film, Kubrick fece suonare una musica che riteneva adat-
ta. Regolando personalmente il volume e i punti chiave, Kubrick
lanciava istruzioni a Danny Lloyd per mantenerlo al giusto livello
emotivo. <<Non guardarti le mani, Danny! Non guardarti le mani
quando torni indietro! Lentamente. Lentamente. Continua a venire
avanti. Più spaventato, Danny. Ora, vai -corri, corri, corri!>>, grida-
va enfatico Kubrick mentre Danny arrancava fra montagne di sale e
polistirolo.
Le grandiose inquadrature dall'elicottero con le quali si apre
Shining furono girate al Glacier National Park nel Montana: Kubrick
inviò sul posto una seconda unità che gli riferì che l'area era priva di
interesse. Quando il regista vide le riprese di prova, capì che la loca-
tion era perfetta, ma che era sbagliata la troupe; chiamò quindi Greg
McGillivray, un rinomato operatore di scene dall'elicottero, che
passò diverse settimane nel Montana ottenendo risultati spettacolari.
Incontrare Stanley Kubrick faccia a faccia stava diventando sempre
più difficile per chiunque non lavorasse direttamente su uno dei suoi
film o non facesse parte della sua selezionata sfera privata. Il mondo
cominciava a vedere il regista come lo Howard Hughes del cinema
contemporaneo: usciva raramente da casa, se non per lavorare in uno
studio vicino, e non se ne andava quasi mai dall'Inghilterra. Restava
in contatto con molte persone in tutto il mondo, non per chiacchiere
spicciole- un'abitudine che non condivideva né comprendeva- ma
per ottenere informazioni e nutrire quei rapporti personali che erano
incondizionati e fermamente consolidati.
Sul set di Shining le misure di sicurezza erano rigide e il cartello
<<Non disturbare>> non fu mai staccato dall'Overlook Hotel. Uno dei
pochi visitatori esterni che Kubrick ammise durante le riprese fu il
suo vecchio amico Alexander Walker, che conosceva il regista meglio
e da più tempo di qualunque altro giornalista cinematografico.
Anche se Walker aveva scritto il primo saggio imporrante sul regi-
sta, Stanley Kubrù·k Direct.r, e aveva seguito la sua carriera da vicino,
Kubrick era ancora per lui un parziale enigma. Walker andò in visita
su( set di Shining e passò attraverso i rigidi controlli che Kubrick
aveva instaurato: il giornalista non era stato annunciato in anticipo
465
ma, quando arrivò, il suo nome fu comunicato a Kubrick sul walkie-
talkie e il generale diede l'okay. A Walker fu fornita una mappa dei
labirinto che dettagliava le coordinate esatte del punto in cui
Kubrick stava girando in quel momento.
Alexander Walker seguì l'intricata mappa e, dietro l'angolo di un
muro di siepi, trovò Kubrick in piedi dietro a Garrett Brown, che
preparava un'inquadratura con la steadicam: il regista teneva le mani
appoggiate con delicatezza sui fianchi di Brown per guidarlo mentre
eseguiva nel labirinto il balletto della steadicam che sarebbe diventa-
to uno degli elementi più sorprendenti di Shining. Walker osservò
che Kubrick non era cambiato molto dall'ultima volta che si erano
visti: la barba era più lunga e la leggendaria trascuratezza nel vestire
era diventata «una versione standardizzata di tenuta da lavoro e
tempo libero>>.
Walker era stato in presenza di Kubrick molte volte in diversi
decenni, ma gli occhi del regista continuavano ad affascinarlo. In un
articolo pubblicato sul «Los Angeles Herald-Examiner>> scrisse: <d
suoi occhi ipnotici, dominati da rughe di insolita forza, continuano a
folgorare con lo sguardo visitatori, amici e perfino familiari>>.
Verso la fine del gennaio 1979, una settimana dopo la visita di
Alexander Walker, mentre Kubrick girava su un set, poco dopo le
sei di sera scoppiò un incendio in un teatro adiacente che conteneva
parte dell'hotel. Quando qualcuno si accorse del fumo, l'edificio fu
evacuato, ma l'incendio stava ancora covando il mattino seguente. I
danni al set e al teatro di posa furono notevoli: inoltre erano andate
distrutte le fotografie degli archivi classici della Warner Bros.
L'immagine delle foto che bruciavano - le stampe in bianco e nero
inghiottite dalle fiamme -avrebbe potuto essere utilizzata in
un'altra versione di Shining, più vicina al finale del libro di Stephen
King che al freddo approccio psichico di Kubrick. L'incidente pro-
lungò di tre settimane il programma di riprese, che inizialmente
avrebbe dovuto concludersi a fine febbraio, posticipando la fine alla
metà di marzo. Andrew Mitchell, direttore generale degli Emi-
Elstree, stimò che la ricostruzione del teatro, inclusi un nuovo muro
e il tetto, sarebbe costata 2 milioni e mezzo di dollari. Subito dopo,
il teatro era stato prenotato da L'impero colfJi.ra amm·a, ma l'impegno
fu subappaltato alla struttura della Lee lnternational a Wembley.
Dopo aver valutato il danno, Kubrick e i suoi decisero di riprodurre
parte del set in un altro teatro per completare Ie riprese in quella
parte dell'Overlook. .
Kubrick e il suo montatore, Ray Lovejoy, erano alla ricerca di
nuovi metodi di lavoro da introdurre in sala montaggio e, perfetta·
mente aggiornati sulle nuove tecnologie, iniziarono a esplorare un
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metodo che applicava il nastro magnetico al montaggio di un film.
Una delle persone contattare fu Bob Gaffney, rintracciato alla proie-
zione dei giornalieri di una pubblicità della Exxon. Kubrick gli disse
che voleva sapere un po' di cose sul montaggio al computer, e
Gaffney si rese conto che la struttura in cui si trovava disponeva di
un sistema di montaggio non lineare CMX, così chiamò subito il
recnico della società. Kubrick rimase a lambiccarsi il cervello per
oltre un'ora.
Philip Stone fu chiamato per la sua terza apparizione in un film di
Stanley Kubrick, questa volta nel ruolo di Grady, il precedente guar-
diano deli'Overlook Hotel, che ha ammazzato a colpi di scure la
moglie e le due figliolette. Nel film, Stone dà un'interpretazione
snervante di Grady, che appare aJack mentre esce dal bar durante un
ballo degli anni Venti. Grady, che ora è un cameriere, versa un drink
addosso a Jack Torrance e lo porta in bagno per aiutarlo a pulirsi. La
scena si svolge in un bagno rosso sangue e, lentamente, la lunga
discussione si sposta sul male presente nel passato dell'albergo e sul
male attuale della mente surriscaldata di Jack. Ricorda Philip Stone:
«Quella lunga scena con Grady e Jack richiese molto tempo. Lunghi
ciak ogni volta. Sembrava di essere in quel set da sempre. Ero orgo-
glioso di quel lavoro. Jack Nicholson continuava a dire: "Dovresti
andare negli States, Phil, guadagneresti una fortuna". La concentra-
zione e l'immobilità mi venivano dall'esperienza in commedie di
Pirandello, lunghi discorsi recitati con leggerezza, il dramma della
mente, ma dietro le battute ci devi mettere le palle».
Kubrick era stato duro con i suoi attori principali. A Janet Huck,
Jack Nicholson disse: <<Stanley è esigente. Fa una scena cinquanta
volte e per fare una cosa simile devi essere bravo. Ci sono così tanti
modi di entrare in una stanza, ordinare la colazione o morire di
paura in un armadio. Il metodo di Sranley è: come possiamo fare per
farlo meglio di quel che è stato fatto prima? È una grande sfida.
Molti attori gli danno quello che lui vuole. Altrimenti, te lo tira
fuori lui a forza- con il guanto di velluto, naturalmente>>.
Kubrick fu durissimo con Shelley Duvall, spingendola all'estremo
via via che Wendy Torrance è tormentata dalla depravazione di suo
marito. Spesso il regista piagnucolava: <<Shelley, non è così. Quanto
dovremo aspettare perché ti riesca di farla giusta?>>.
Kubrick tendeva a schiacciare Shelley Duvall dal punto di vista
psicologico, facendo sentire all'attrice che non stava riuscendo a dar-
gli quello che lui voleva, che stava facendo perdere tempo a tutti. Il
regista voleva che la Duvall usasse queste vessazioni per la parte di
Wencly, ma l'attrice era un tipo mire e il suo stile personale non fun-
zionava al meglio sotto pressione. Kubrick trovava che la Duvall rea-
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gisse in modo eccessivo nella scena in cui si nasconde in bagno men-
tre Jack minaccia di buttare giù la porta ad accettate. «Shelley,
l'unica parte chiaramente sbagliata era alla fine, quando hai detto:
"Dobbiamo farlo uscire di qui". Alla fine ci hai messo forza ma io
penso che debba essere un'ultima preghiera disperata e penso sempre
che non dovresti trasalire a ogni singola battuta enfatica. Sembra
finto. Davvero. Shelley, te lo ripeto, succede troppe volte, tutte le
volte che lui parla enfaticamente tu trasalisci e sembra falso>>. La
Duvall cercava di far sue le battute, modificandole per adattarle alla
sua interpretazione del personaggio. Kubrick le disse: <<Onestamente,
non credo che le battute faranno molta differenza se riesci ad avere
l'atteggiamento giusto. Penso che tu ti preoccupi della cosa sbaglia-
ta>>. Il regista continuò a lavorare sull'atteggiamento, mantenendo la
pressione sull'attrice per farle esprimere nella sua situazione nervosi-
smo e paura autentici.
Per girare l'inquadratura in cui Wendy corre fuori dalla porta
posteriore deli'Overlook, Kubrick e la troupe stavano fuori dalla fac-
ciata costruita sui terreni degli studi. Il regista ordinò di riempire
l'aria di neve e di fumo, diede l'azione facendo partire video e cine-
presa e attese con impazienza che la Duvall schizzasse disperata fuori
dalla porta cercando di sfuggire al marito impazzito. Dal walkie-
talkie, mentre la Duvall aspettava il segnale all'interno, usciva il fra-
casso della macchina per la neve e un accavallarsi di ordini da
Kubrick e dal suo assistente. Confusa, l'attrice non riuscì a uscire,
perché pensava che le avessero detto di aspettare un minuto prima di
partire. Quando Kubrick vide che la Duvall non usciva diede lo srop
e partì alla carica verso la porta. In un raro e m~mentaneo scoppio di
rabbia rimproverò l'attrice: <<Non c'è disperazione!>>, gridò. <<Là fuori
ci stiamo massacrando, cazzo, e tu devi essere pronta!>>. La Duvall
spiegò che non aveva capito il segnale alla radio, ma a Kubrick inte-
ressava solo l'atteggiamento del personaggio: <<Sì, ma quando lo fai
devi essere disperata, Shelley, ora stai facendo perdere tempo a tutti>>.
La lavorazione di Shirtirtg fu per la Duvall un tormento, ma alla
fine fu fonte di soddisfazione. Kubrick lavorava direttamente e con
facilità con Nicholson, ma l'attrice trovava che non le fosse prestata
la stessa attenzione e che non ci fosse altrettanto rispetto o conside·
razione per le sue idee e i suoi sentimenti. Lo stress della lunga lavo-
razione le causò problemi di salute. La troupe si prese cura della
Duvall quando un giorno si sentì mancare e dovette sdraiarsi un
attimo, ma Kubrick continuava a dirle che tutta quell'attenzione
non l 'aiutava a catturare lo spirito frenetico di una moglie malcrat·
rata come Wendy Torrance. <<Non commiserate Shelley>>, diceva,
<<non è di aiuto>>.
468
,,Da maggio fino a ottobre ho continuato davvero a stare male perio-
dicamente, per via dell'enorme stress del ruolo e per quello di essere
lontana da casa- proprio sradicata e spostata da un'altra parte- e si
era appena chiusa una mia storia, quindi per me era proprio un perio-
do tumultuoso>>, spiegò la Duvall all'obiettivo di Vivian Kubrick.
Ripensando alla difficile esperienza, la Duvall disse nel documen-
tario che in fondo il fine aveva giustificato i mezzi, vista la qualità
del film ultimato: <<Se non fosse stato per quella raffica di idee, e a
volte di scontri di teste, non sarebbe venuto fuori così bene. Ti aiuta-
va anche ad aumentare l'emozione e la concentrazione perché in
effetti faceva montare la rabbia. Riesci a tirar fuori di più, e lui lo
sapeva. Sapeva che facendo così mi faceva dare di più. Era un po'
come un gioco. Tu provi dolore e non ti piace ciò che provoca il
dolore, e provi risentimento. Così a volte avevo risentimento per
Stanley, perché mi pungolava e mi feriva. Ce l'avevo con lui per que-
sto motivo. Pensavo: "Perché vuoi farmi questo?", "Come puoi farmi
questo?". Mi tormentava ma era un tormento necessario a tirar fuori
quello che voleva tirare fuori. Avevamo in mente lo stesso fine, solo
che a volte i mezzi erano diversi, e alla fine i mezzi arrivarono a coin-
cidere. Lo rispetto davvero come persona e come regista. Sono sbalor-
dita, mi ha insegnato più lui, nell'arco di un anno in un solo film, di
tutto quello che ho imparato negli altri film che ho fattO>>.
<<Stanley mi ha spinto e pungolato più di quanto non mi fosse mai
successo prima>>, ha detto la Duvall. «È il ruolo più difficile che
abbia mai interpretato. Stanley ti fa fare cose che non avresti mai
pensato di poter fare. Robert Altman dice che sono un'artista diversa
da quando ho lavorato con Kubrick. Se Stanley non mi avesse pun-
golata così tanto, non sarei mai riuscita a tirar fuori un'interpretazio-
ne come quella. Non avrei mai pensato che fosse possibile>>. Quando
Altman lavorò di nuovo con la Duvall, nel suo sfortunato ma ispirato
Popeye - Brarào di ferro, si accorse che dopo aver sofferto quasi un
anno con Kubrick l'attrice era trasformata.
Scatman Crothers, che compì settant'anni mentre Shining usciva,
non aveva mai sentito parlare di Stanley Kubrick fino a quando era
stato scelto per fare Halloran, e lo trovò una forza della natura. A Jack
Kroll, Crothers dichiarò: «In una scena dovevo uscire da un gatto
delle nevi e attraversare la strada, niente battute. Cinquanta ciak.
Fece attraversare la strada a Shelley, Jack e il bambino. Ottantasette
ciak, caro mio, vuole sempre qualcosa di nuovo e non si ferma finché
non l'ottiene>>.
Ricorda Tony Burton: «Un giorno stavano girando un primo piano
di Scatman. Non era un dolly, non aveva movimenti di macchina.
Stanley girò qualcosa come centotrenta ciak e non ne stampò nem-
469
meno uno. Lo giravano e Stanley diceva: "Di nuovo, di nuovo, di
nuovo". Tutti stavano diventando pazzi: "Sono io? Sono io? Vuoi che
provi io a farla? Cosa posso fare?". Stanley diceva: "Di nuovo". II
giorno dopo Stanley spostò alcune delle battute. Scatman aveva otto
o dieci battute, così Stanley spostò alcune di quelle in cima giù nel
mezzo, e qualcuna che stava in fondo in cima. La girarono così e
stamparono la buona attorno al quarto ciab>.
«<o sono famoso per brontolare dietro le quinte>>, raccontava Jack
Nicholson. <<Mi lamentavo perché era l'unico regista che illumina i
set senza controfigure. Dovevamo stare lì anche per farci illuminare.
Solo perché sei un perfezionista non vuoi dire che tu sia perfettO>>.
Nicholson accettò il sistema di Kubrick di scoprire cosa si potesse
tirar fuori dalla sceneggiatura un ciak dopo l'altro, cercando modi
diversi di fare praticamente tutto quello che era richiesto. Alla troupe
del documentario, Nicholson spiegò: <<Quando sei un attore di suc-
cesso, puoi fare una cosa un sacco di volte, ma non puoi avere una
serie di teorie pronte. Puoi andare avanti per anni a dire: "Questa cosa
la voglio fare reale, perché nessuno l'ha veramente vista dal vero".
Continuano a vedere un tipo di irrealtà dopo l'altra che passa per esse-
re reale e tu diventi pazzo con il realismo e poi vai a sbattere in qual-
cuno come Stanley che dice: "Già, è reale, ma non è interessante">>.
Tony Burton era sul set quando Kubrick stava lavorando sull'ulti-
ma inquadratura del film: un lento carrello che attraversa l'ingresso
dell'Overlook e finisce sul primo piano di una foto del 1920 in cui
Jack è fra gli ospiti dell'albergo. <<Girarono quella scena per giorni>>,
ricorda Burton. <<Stanley si limitava a guardare il monitor e a dire:
"Di nuovo". Non riuscivano a superare un terzo della distanza attra-
verso la hall. Gli ci volle una settimana per coprire un terzo della
strada. Stanley continuava a vedere dei sobbalzi, voleva che fosse per-
fettamente liscia. Così cambiarono il carrello del dolly. Poi lo misero
su un binario. Poi lo tolsero dal binario. Poi cambiarono le ruote.
Poi ci misero piti peso. Poi il peso non bastava e ci misero su più
persone. C'era gente appesa a questo carrello che cercava di stare
immobile per poter fare questa inquadratura».
<<Non so quante volte hanno girato il sangue nell'ascensore.
Qualcuno mi ha detto che la giravano da prima ancora che le riprese
fossero iniziate l'anno prima. Mentre stavo lì la fecero tre volte. Circa
ogni dieci giorni la giravano di nuovo e Stanley diceva: "Non sem_IJ~
sangue" e loro chiedevano: "Beh, è un problema di consistenza? E 1!
colore?". Gli ci volevano qualcosa come nove giorni per preparare di
nuovo l'inquadratura e allora tornavano, la porta si apriva, veniva
tutto fuori e Sranley diceva: "Non sembra sangue". Ma alla fine riu-
scirono a farla>>.
470
Le due scene di Tony Burton andarono abbastanza lisce. Il suo
costume fu scelto facilmente e Kubrick non fece troppi ciak. Ricorda
Burton: <<Non dovette dare molte indicazioni. Essendogli stato
intorno per sei settimane e avendo avuto a che fare con lui sulla scac-
chiera, sapevo più o meno cosa voleva da questo personaggio. Voleva
qualcosa di molto semplice. Stanley era molto diverso in momenti
diversi con gente diversa. Gli piaceva portar fuori a pranzo la gente
in gruppi, e in quei momenti era diverso da quando era alla scacchie-
ra o da quando era sul seta lavorare. Quando lavora sul set non parla
con nessuno. Non spiega niente. Dice solo: "Di nuovo. Di nuovo".
Tu sai che non va bene e nessuno sa che aggiustamenti si devono
fare. È questo che fa diventare tutti pazzi. Dice solo: "Di nuovo". Se
è una scena di sessanta secondi, magari ti ferma dopo dieci e tu dici:
"Perché mi ha fermato?". Ma lui non te lo dice. Se dici: "Che cosa
c'è, Stanley?", lui risponde: "Tutto bene, tu sei a posto. Di nuovo.
Proviamoci ancora". Non si può mai sapere>>.
Durante il film, Kubrick torna sull'immagine delle due bambine
assassinate da Grady che appaiono a Danny nei corridoi dell'Over-
look. L'immagine, surreale e inquietante, evoca l'innocenza e l'iden-
tità dell'infanzia e ha le sue radici in due foto del passato di foto-
grafo del regista. Nella sua biografia di Diane Arbus, la scrittrice
Patricia Bosworth rileva che Kubrick potrebbe essere stato influen-
zato dalla famosa foto della Arbus di due bambine affiancate: la
fotografia, che stuzzica e turba, è divenuta quasi il simbolo
delJ'enigmatica artista, che esplorava l'anima dei suoi soggetti e, ai
tempi del Greenwich Village, aveva preso il giovane Stanley
Kubrick sotto la sua ala protettrice. L'altra foto era nata dalJ'obiet-
tivo dello stesso Kubrick, quando era stato inviato a fotografare
scene della vita dei dipendenti della Electric Light and Power
Companies, per il numero di <<Loob> del 25 maggio 1948:
nell'angolo di destra dell'articolo c'è la foto di due bambine -
Phyllis, di cinque anni, e Barbara, di otto - in piedi davanti a due
uomini che hanno salvato loro la vita quando sono state stordite da
fumi velenosi di monossido di carbonio. Le bambine stanno fianco a
fianco, indossano vestitini simili e hanno le braccia tese verso il
basso mentre si danno la mano. Sorridono e guardano direttamente
nell'occhio inquisitore di Kubrick. Padre di tre figlie, Kubrick
aveva passato anni a ritrarre con la macchina fotografica Katharina,
Anya e Vivian: anche quando il soggetto era la famiglia, l'occhio
dietro l'obiettivo era sempre, prima di tutto, quello dell'artista. Le
bambine di Grady restano nella memoria dello spettatore a lungo
dopo che Shining si è concluso: l'immagine di due bambine assassi-
nate che sorridono fianco a fianco aiia macchina da presa nell'invi-
471
rare e tentare Danny Torrance suscita echi di una storia fotografica
che va oltre l'immaginazione di Stephen King. ·
Un altro degli argomenti di Sbining era il tormento dell'atto di
scrivere. Ron Rosenbaum, che scrisse per il «New York Times
Magazine>> un profilo di Jack Nicholson, definì il film <<il primo
horror sul blocco dello scrittore>>. Anche se deve la celebrità al fatto
di essere uno dei migliori attori americani, Jack Nicholson aveva
scritto molti dei suoi primi progetti, firmando le sceneggiature di
Fligbt to Fury, Le colline b/11, Il .re111e1/fe di fitoco e Head. Scrivere, così
come le sue escursioni dietro la macchina da presa per dirigere
Yel!oU' 33 e Ver.ro il .rud, aveva dato forma alla recitazione di
Nicholson; e lavorando con un regista come Stanley Kubrick, che
ogni giorno e a ogni ciak affrontava la scrittura di una scena, anche
l'attore partecipò alla creazione di Jack Torrance e alla definizione
del suo comportamento di scrittore tormentato. Ogni bravo scritto-
re o attore lavora sulla sua esperienza, e Nicholson andò al cuore del
suo stesso passato per la scena in cui Jack scatena la sua rabbia, che
collega alla sua frustrazione come autore, sull'affezionata moglie che
osa chiedergli come vada il suo lavoro. A Ron Rosenbaum,
Nicholson disse: «Quella è la scena del film che ho scritto io. Quella
scena alla macchina sola da scrivere ... ero così quando ho divorziato.
Sentivo la pressione di essere un capofamiglia con una figlia e un
giorno accettai una parte in un film e recitavo di giorno ma scrivevo
un altro film di notte ed ero appena tornato nel mio angolino quan-
do la mia amata moglie, Sandra, si avvicinò a quello che era, a sua
insaputa, un maniaco ... l'ho raccontato a Stanley e l'abbiamo
aggiunto alla scena. Mi ricordo che ero alla scrivania e le dicevo:
"Anche se non mi senti battere a macchina non significa che non
stia scrivendo. Questo è scrivere ... ". Ricordo bene quello stato
d'animo. Beh, io poi ho divorziato».
Dopo ricerche e consultazioni, Kubrick mise a punto un sistema
che utilizzava videoregistratori e monitor per rendere il materiale di
Shiniug più accessibile a sé e al suo montatore Ray Lovejoy. Il sistema
in seguito sarebbe stato acquistato dal celebrato montatore Dede
Allen per ReciJ di Warren Beatty, che utilizzava un'imponente quan-
tità di materiale: il metodo avrebbe permesso a due montatori candi-
dati aii'Oscar come Allen e e Craig McKay di trovare rapidamente il
materiale e giudicare le interpretazioni di molti ciak seguendo un
codice numerico che scorre.
Ray Lovejoy, che aveva montato 200 l, era di nuovo in sala mon-
taggio con Kubrick che, come sempre, era molto presente alla pose-
produzione del suo film. Si lavorava in una saletta presso gli Elstree
Studios. Kubrick ascoltava scrupolosamente delle registrazioni per
472
trovare la musica che voleva: una volta scelto il compositore e il
pezzo specifico ascoltava tutte le registrazioni disponibili, lasciando
al suo staff annotazioni di questo tenore: «Male eseguita. Trovare
un'altra registrazione>>. È abitudine comune che sulle pareti di una
sala di montaggio si appendano fotografie o disegni per divertire i
visitatori e lenire il tedio di un lavoro pesante e solitario. Kubrick
aveva appeso una foro dei capi dello staff riuniti con il commento
scritto a mano «Ombre del dottor S.>>.
Per la musica di Shining, Kubrick si rivolse ancora a Wencly Carlos
e Rachel Elkind, che avevano realizzato la provocatoria colonna
sonora di Arancia mmcmica. Il regista aveva contattato Carlos e la
Elkind per dire loro che era interessato a utilizzarli per il suo nuovo
fìlm. Il cognato e produttore esecutivo di Kubrick, Jan Harlan, era a
New York e passò a trovarli per dire loro che il regista stava facendo
un film tratto dal romanzo di Stephen King, e li incoraggiò a leg-
gerlo. <<Così la prima cosa che abbiamo fatto è stata correre in libre-
ria, procurarci una copia del libro e leggerlo>>, racconta Wendy
Carlos. Quando ebbero letto il romanzo, Kubrick telefonò eli nuovo
da Londra e chiese: «Avete qualche idea su che tipo di musica
potrebbe essere adatta?>>.
«Non avendo visto un metro di pellicola eravamo nella bizzarra
posizione di dover scrivere musica per un romanzo>>, ricorda Carlos.
«Abbiamo fatto un po' eli musica dimostrativa e poi gli abbiamo
chiesto: "Che cosa ascolti in questo periodo?" e lui ha citato il Val.re
Tri.rte di Sibelius. Così siamo andati a sentire quello e un paio di altre
cose, qualcosa di Mahler, e li abbiamo usati come punto di partenza.
Abbiamo preso una piccola orchestra e l'abbiamo portata nel nostro
studio per registrare una mezz'ora di stacchi e prove. Non abbiamo
saputo più nulla. Poi sentiamo dire che stanno ancora girando, che
ancora non hanno niente da farci vedere, ma c'è un trailer e "Ci pote-
te mandare una copia degli ultimi due stacchi che avete fatto sul
nastro?". Così mandiamo a Stanley un po' di nastri da un quarto di
pollice e Jan viene in città e ci dice: "Stanley vuole comprare i diritti
del penultimo stacco per il trailer perché il film è in ritardo e dovre-
mo mandare un trai ler nelle sale per tener desta l'attenzione della
?ente, perché non ce la faremo a uscire prima dell'estate e ora è
mverno».
«Così comprarono i diritti di quel solo pezzettino di musica. Poi
Stanley chiamò e voleva che ci organizzassimo per andare a Londra
~ubito all'inizio dell'anno. Il primo gennaio presi un aereo. Rachel e
10 ci trovammo a Londra e fummo accompagnati agli Elstree Studios

Per vedere una versione provvisoria. Era arrivato al punto in cui


\'Vendy scopre che un pezzo del gatto delle nevi è stato tolto. Il film
47)
tendeva un po' sul lungo. C'era tutta una strana scena mistica in cui
Jack Nicholson scopre oggetti che sono stati messi in un certo ordi-
ne nel suo spazio di lavoro nella sala da ballo, con frecce e altre cose.
Scende giù e pensa di sentire una voce. Un fantasma gli rilancia una
palla. Niente di tutto questo rimase nel film finito. Scrivemmo
musica per molto di quel materiale, non sapevamo con certezza cosa
sarebbe stato usato>>.
«Il giorno dopo andammo su a vedere Stanley e lui ci mostrò pez-
zetti di quello su cui stavano lavorando per finire il film - era in una
forma molto grezza. Per Arancia meccanica ci avevano fatto dalla
copia lavoro una copiaccia in bianco e nero da usare per montare la
musica. Mi ricordo il passaggio alla dogana a New York. Negli anni
Settanta c'era un sacco di roba che era preferibile che un doganiere
non vedesse. Dissero: "Oh, e questo cos'è?". Gli dicemmo che
cos'era. "Oh, è il nuovo di Kubrick? Oh, sì, bene, andate". Bam, ci
mise su un timbro e ce ne andammo">>.
<<Shining non era ancora pronto per noi. Così una settimana dopo
Stanley ingaggiò un ragazzo perché venisse in aereo e ci portasse un
videonastro del film. Per Shining abbiamo prodotto una quantità
enorme eli materiale, un sacco di musica. Quando eravamo a
Londra, Stanley aveva voluto sapere se c'era niente che mi venisse in
mente che fosse adatto a una musica su tombe, morte e fantasmi. Io
suggerii Die.r hae che fa, naturalmente, parte della messa di
requiem in latino. Mi ha sempre ossessionato come ossessionava
Rachmaninov, come ossessionava Ravel, come ossessionava Berlioz.
Kubrick mi chiese di pensare a un luogo dove la si potesse sentire, e
io dissi: "Beh, ci sono alcune registrazioni di archivio che hanno i
veri canti gregoriani". Così gli suggerii il Requiem di Berlioz. Gli
dissi di ascoltare l'ultimo movimento. Si procurò il disco e deve
averlo sentito cento o più volte e ci si affezionò molto. Con ogni
cineasta che sente una cosa così spesso c'è il pericolo che non sia più
in grado di sentire alcuna variazione. Gran parte della colonna sono-
ra che registrammo con l'orchestra nella chiesa di Saint Giles a
Londra non fu usata, semplicemente perché non suonava come il
Requiem di Berlioz. C'era uno sproposito di musica elettronica e
orchestrale che avevo fatto per quel progetto che non ha mai visto la
luce del giorno>>.
In anni recenti, Kubrick aveva sviluppato sempre più l'inclinazio-
ne a usare nei suoi film musica preregistrata invece che composta
appositamente. Ancora una volta, il controllo era un fattore chiave.
La colonna sonora di Shining è un'interessante mistura di diversi ele-
menti musicali d'atmosfera, che creano una sorta di sciabordio a~uk
stico capace di spaventare lo spettatore quanto le immagini. KubnC
474
usò pezzi di Ligeti e di Penderecki e li fuse a materiale elettronico
realizzato da Carlos e dalla Elkind, con risultati impressionanti e
provocatori.
«Stanley voleva questi suoni che si avvicinano e passano oltre. Li
chiamava le "planate basse". Sono suoni che penetrano in te in modo
inconscio. Alla fine, la tecnologia non era all'altezza della ricchezza
di timbri che lui cercava, ed è per questo che cercammo di fare alcu-
ne delle cose con l'orchestra. Sfortunatamente, andammo troppo in
là con il Dies lrae, e alla fine lui decise che non voleva più usarlo a
meno che fosse più simile al pezzo di Berlioz. Cercava suoni bassi e
lenti, quasi un "gravissimo". Era materiale molto lento. Per questo
tipo di sfondo acustico la sincronizzazione non era una priorità>>.
L'inizio del film utilizza suoni creati dalla voce della Elkind e dalle
creazioni di Carlos. Molti degli effetti di vento nascono da effetti
sonori creati da loro. La profonda voce da contralto della Elkind ha
una gamma straordinaria e quando si combina con le diavolerie di
Carlos, fra elaborazioni, sintetizzatore e piste multiple, si trasforma
in momenti eterei di suoni non verbali che trasmettono un brivido
nelle onde sonore.
Wendy Carlos descrive con filosofia la sua collaborazione con
Stanley Kubrick e dimostra il massimo rispetto per i suoi metodi di
lavoro e per l'opera nel suo complesso: <<Chiunque abbia occasione di
lavorare con lui avrà un'esperienza analoga a un vertiginoso ottovolan-
te e non la dimenticherà mai. È una meravigliosa esperienza di vita>>.
Anche se Barry Lyndon non era stato un successo commerciale in
America, Kubrick e la Warner Bros. idearono una strategia aggressi-
va per vendere Shining alle sale. Dopo la prima, sale come il Sutton e
il Criterion di New York furono prenotate per il primo periodo di
programmazione, ~revisto per il 23 maggio, e si aprirono le offerte
per la programmazione a tappeto di giugno. Il piano era di far uscire
il film in cinquanta, sessanta sale nell'area metropolitana di New
York con gli stessi termini e condizioni della prima fase di distribu-
zione. La Warner chiedeva un minimo di otto settimane di tenitura,
con una ripartizione dell'incasso che- una volta dedotto il contratto
di noleggio dal tetto massimo e dai minimi, che specificavano tre
settimane all'SO per cento, tre al 60, due al 50 e una nona settimana
al40 per cento -le riservava il 90 per cento, e lasciava all'esercente il
lO. La Warner aveva il diritto di scegliere la soluzione più vantaggio-
sa fra la ripartizione 90/1 O dopo il contratto di noleggio e una per-
centuale fissa. Lo studio chiedeva anche 50.000 dollari per schermo
come prezzo fisso, un meccanismo che poteva assicurarle qualcosa
come 3 milioni di dollari da pagarsi in anticipo ancor prima che
Shining uscisse.
475
Kubrick aveva sempre lanciato i suoi film lentamente, facendo
montare con cura un passaparola che generava l'interesse e aumenta-
va gli incassi, ma per Shining sia lui che la Warner Bros. volevano un
rapido rientro economico. 200 l era costato attorno ai l O milioni di
dollari e ci aveva messo dieci anni a generare profitti; Arancia mecca-
nica era costato 2 milioni di dollari e nel 1978 ne aveva totalizzati
più di 40, ma prima di coprire i costi aveva dovuto "tenere" a lungo
ed essere rieditato più volte.
Il mercato cinematografico cambiava rapidamente e Kubrick lo
doveva cavalcare: se voleva realizzare film con budget fra i l O e i 15
milioni di dollari, i soldi dovevano rientrare più in fretta e non con-
sentire che l'inflazione e i crescenti tassi di interesse che colpivano un
successo graduale mettessero a rischio la possibilità di un profitto.
Kubrick mise a punto il piano di distribuzione un anno prima
dell'uscita di Shining. Il film sarebbe partito da New York e Los
Angeles in dieci sale nel Memoria! Day 2 , e poi il 13 giugno sarebbe
stato distribuito in altre settecentocinquanta sale, sostenuto da
quattro settimane di pubblicità sulle televisioni nazionali, concen-
trate, sulla rete Abc perché aveva gli ascolti più alti relativamente
alla fascia fra i diciotto e i trentaquattro anni, il gruppo della popo-
lazione considerato più propenso ad andare al cinema. Kubrick
aveva creato un trailer impressionante che mostrava solo l'ascensore
dell'Overlook Hotel con l'onda di sangue che si riversa fuori: il trai-
ler fu proiettato durante l'importantissima stagione natalizia, stuz-
zicando le platee con un brivido promesso per l'estate 1980. Le
legioni di fan che si chiedevano che fine avesse fatto Kubrick accol-
sero con piacere la notizia che la loro attesa di quasi un lustro stava
per finire. Uno studio di marketing fatto dal regista calcolava che,
alla quarta settimana di distribuzione, il 93 per cento di tutti gli
adulti nella fascia fra i diciotto e i trentaquattro anni avrebbero
visto il trailer almeno sette volte e 1'88 per cento delle famiglie
americane sarebbe stato esposto alla pubblicità l 0,8 volte. Il piano
era studiato per mettersi al riparo da qualsiasi critica negativa, con-
solidare in tutta la nazione un pubblico deciso ad affluire fin
dall'inizio e garantire un rapido ritorno dell'investimento, che si
diceva essere fra i 12 e i 18 milioni di dollari. La Signet stava
ristampando il libro, con il lago e alcune scene del film, garantend~
la circolazione di un milione e mezzo di copie in centomila punn
vendita di tutto il Paese.

2 Giorno commcmorarivo dei caduri in guerra. Nella maggior parre degli Srari è il )O
maggio. (N.d.T.)

476
La Mpaa concesse a Kubrick e a Shining un'insolita dispensa, per-
111ertendogli di stampare la R del divieto sotto i diciassette anni
sulla pubblicità del film prima che questo fosse stato effettivamente
classificato: la concessione era subordinata alla condizione che il film
fosse classificato entro il sabato successivo, ma gli annunci erano già
stati programmati per le uscite della domenica sul <<Los Angeles
Times>> e il <<New York Times». La consegna della copia definitiva
del film era vicinissima alla data di uscita del 23 maggio.
Nell'ambiente si stavano diffondendo voci che Shining si avviasse a
ricevere una X, come era successo all'inizio ad Aranàa mecwnù·a.
Richard D. Heffner, il capo della commissione giudicante, aveva
visionato una versione non definitiva del film, ma la commissione
affermò che non tutto il <<materiale rilevante per la classificazione»
era nella copia provvisoria e che quindi non era in grado di dare il
giudizio finale fino a quando non avesse visto il film completato. La
Warner propose due diverse versioni di pubblicità per Shining, con e
senza il simbolo della R rating. Se il film non fosse stato classificato,
si sarebbe usciti con gli annunci senza rating, ma tutto sembrava
avviato verso la R e così per le pubblicità del week-end imminente
la Mpaa aveva deciso di correre il rischio e di confidare che Kubrick
stesse in riga senza spostarsi in zona X. l più recenti film di una
major che avevano ricevuto la X erano stati Emmanuelle e Il
pornografo, per materiale sessualmente esplicito, e The Street Fighter,
solo sulla base del suo approccio alla violenza. La Mpaa fece come
Kubrick si aspettava e Shining passò con la R.
Kubrick chiese a Saul Bass, lo stimato grafico e creatore di titoli,
di disegnare il logo per la campagna pubblicitaria di Shining. Il regi-
sta stimava da tempo il contributo di Bass alla rivoluzione del design
dei titoli, e lavorare con lui era stata una delle poche esperienze posi-
tive che aveva avuto in Spartam.r. Bass disegnò un volto spettrale
fatto di un turbine di puntini bianchi che appariva in una grande
"T".> e si allargava su tutto il "The" del titolo su uno sfondo di un
rosso profondo. Naturalmente Kubrick arrivò ad approvare il risulta-
to finale al termine di una lunga elaborazione. Ricordava Bass: <<Fu
un'esperienza infernale. Stanley era ossessionato da quello che voleva.
Anche se mi faceva impazzire, lo rispettavo profondamente perché io
tratto così tutti quelli che lavorano per me. Ci volle uo sacco di lavo-
ro. Stanley mi pungolò molto, molto fortemente. Feci trecento dise-
gni. Alcuni erano stupendi. Ho la più profonda ammirazione per
quel modo di procedere. È un metodo che uso anch'io quando lavoro.

3 la ""T" compare nel rirolo originale del film, TbeSbining. (N.d.T.)

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È questo ciò che si deve fare se si vuole ottenere qualcosa di buono.
Adoravo proprio lavorare con lui. Adoro i suoi modi. È completa-
mente in un bozzolo, e il bozzolo è ancorato allo studio, e c'è un altro
bozzolo a casa sua. Stanley si sposta da un bozzolo all'altro attraverso
un piccolo tunnel. Vive in modo monastico nella sua attitudine men-
tale ed emotiva verso quello che sta facendo. Stanley non esita a but-
tare via le cose e a rifarle perché pensa di poterle migliorare, cambia-
re o rifarle meglio. Può darsi che ci sia un'angoscia interna, ma
all'esterno è freddo. Ammiro quel campo di forza assorbente, ossessi-
va e concentrata che crea attorno a sé. È un tipo straordinario>>.
Shining uscì a New York il venerdì 23 maggio 1980. Stanley
Kubrick ci aveva lavorato tre anni. Le copie del film non furono
disponibili per le anteprime fino al mercoledì che precedeva l'uscita:
le proiezioni per la stampa furono rinviate quando il regista respinse
il missaggio sonoro delle prime tre copie stampate.
Cinque giorni più tardi, il 28 maggio, Kubrick ordinò di tagliare
un epilogo del film. Nella scena cancellata, Ullman, il direttore
dell'albergo interpretato da Barry Nelson, andava a trovare Wendy
in ospedale. Kubrick aveva deciso di eliminare la scena durante il
primo week-end; al <<New York Times>> dichiarò: <<Dopo diverse
proiezioni a Londra il giorno prima che il film uscisse a New York e
Los Angeles, quando ho potuto vedere per la prima volta il fantasti-
co picco di eccitazione raggiunto dal pubblico nel momento clou del
film, ho deciso che la scena non era necessaria>>. Il giovedì seguente,
tramite la Warner Bros., il regista mandò due montatori nelle due
città, che correvano in bicicletta da sala a sala per rimuovere la scena
dalla copia in distribuzione. Come per 2001, Kubrick sentiva di non
aver avuto il tempo di riflettere sul film terminato, e quando l'aveva
fatto aveva visto chiaramente che l'epilogo era superfluo.
Tony Burton andò a vedere Shining quando uscì in California e
ricorda di averci visto entrambe le sue scene. Oltre a quella in cui
parla ad Halloran dall'autofficina di Durkin ce n'era all'inizio anche
una più breve che si svolgeva all'esterno, quando Halloran arriva.
Mentre Halloran saliva sul gatto delle nevi, Durkin aveva un breve
scambio di battute con lui prima che partisse. La scena non appare
nella versione attuale del film.
Poco dopo l'uscita di Shining a New York, Alexander Walker andò
a trovare Kubrick nel suo ufficio e, superando un cartello che diceva
<<Hawk Films- Divieto d'ingresso>>, trovò Kubrick tra pile di scatole
di pellicola, con un telefono all'orecchio e una lente d'ingrandimento
stretta nell'occhio: davanti a lui c'era una copia del <<New York
Times>> di quel giorno, arrivato per via aerea, aperta su un manifesto
di Shining a tutta pagina. Kubrick parlava nel ricevitore con tono di
478
rimprovero a un burocrate dello studio, che a quanto pareva non
aveva fatto bene il suo lavoro: <<Non le suona curioso che lei si trovi a
tremila miglia di distanza a New York e che io sia qui a Londra a
informarla che la proiezione supplementare di Shining all'una di
notte non è segnalata nella pubblicità sul "Times" eli oggi?>>.
Stephen King collegò la decisione di Kubrick di girare Shining in
teatro di posa a Il bacio della jJanterct, opera di due maestri del cinema
dell'orrore come Val Lewton e Jacques Tourneur. In Danza macabra,
il suo saggio sul genere horror, King scrive: <<Tourneur con grande
sensibilità scelse il teatro di posa, ed è interessante rilevare che, qua-
rant'anni dopo, Stanley Kubrick fece esattamente la stessa cosa in
Shining ... E, come Lewton e Tourneur prima di lui, Kubrick è un
regista con una squisita sensibilità per le sfumature di luce e
ombra>>. <<Nel 1942 Val Lewton non poteva girare di notte a Centrai
Park, ma in Barry Lyndon Stanley Kubrick girò diverse scene alla
luce delle candele. È un progresso tecnico enorme, con un effetto
paradossale: ha svaligiato la banca dell'immaginazione. Forse perché
se ne rendeva conto, Kubrick fece un grande passo indietro verso il
teatro di posa nel suo film seguente, Shining>>.
Shining fu uno dei film di Kubrick di maggior successo commer-
ciale. A dispetto di una maggioranza di recensioni negative, il film
partì benissimo a New York e a Los Angeles nel week-end del
Memoria! Day. Terry Seme!, vicepresidente e primo dirigente delle
operazioni della Warner Bros., ipotizzò un incasso di un milione di
dollari per il primo week-end e lo definì <da migliore apertura che un
nostro film abbia mai avuto a New York e Los Angeles. È più grande
di L'e.rorà.rtct, più grande di SujJermam>. La campagna pubblicitaria,
l'uscita estiva e il traino di Jack Nicholson fecero superare al film un
fuoco di fila di critiche negative dal <<Christian Science Monitor>>,
<<Films in Review>>, <<The New Leader>>, <<New York Magazine>>,
<<Newsday>>, <<Saturday Review>> e <<Village Voice>>. l buoni incassi
non aiutarono Shining agli Academy Awards: il film fu il primo di
Kubrick in ventitré anni a non ricevere nemmeno una nomination.
L'ultimo film del regista a essere snobbato dali'Academy era stato
Orizzonti di gloria.
Ed Di Giulio rimase stupefatto da ciò che Garrett Brown e Stanley
Kubrick erano riusciti a fare con la steadicam. Dopo aver visto
Shining, Di Giulio scrisse a Kubrick per congratularsi e commentare
le notevoli scene in cui la steadicam segue Danny Lloyd e la sua
automobilina: <<Era come una soggettiva malevola. 11 male seguiva il
bambino>>.
Più avanti, tenendo un seminario sulla tecnologia del film alla
scuola di cinema della Usc, Di Giulio pensava ancora a Stanley
479
Kubrick: «In pratica dissi agli studenti che qualsiasi cosa facessero,
che fosse dirigere, scrivere, riprendere o qualsiasi cosa, la loro tavo-
lozza era la tecnologia del cinema. Era quella la loro tavolozza di
artisti. Dovevano conoscere la tecnologia dei film come un pittore
conosce i suoi ferri del mestiere, i pigmenti, le tinte e i colori, in
modo da poterla usare e manipolare. Per me il più consumato artista
capace di mettere in pratica questo comandamento era Stanley
Kubricb>.
Negli anni seguenti, Stephen King ha riconosciuto di essere orgo-
glioso che Stanley Kubrick avesse tratto un film da uno dei suoi
romanzi -di certo gli portò attenzione e gli fece vendere pitt libri -
ma da amante del genere horror trovava che il film non fosse
all'altezza delle sue aspettative. Alla rivista «American Film>>, King
dichiarò nel 1986: <<C'è molta roba buona. Ma è come una grande e
bellissima Cadillac senza il motore. Ti ci puoi sedere dentro, e puoi
goderti l'odore delle imbottiture in pelle- l'unica cosa che non puoi
fare è andarci in giro. Così io farei tutto diverso. Il vero problema è
che Kubrick ha deciso di fare un film horror ma non dà l'impressio-
ne di capire il genere. È una verità urlata in ogni fotogramma
dall'inizio alla fine, dalle decisioni della trama a quella scena finale-
che era stata già usata prima in Ai confini della realtà>>.
Shinirzg fu l'ultimo film di Stanley Kubrick a valersi della fotogra-
fia di John Alcott. Quando il film uscì nel 1980, Alcott e sua moglie
Sue e il figlio Gavin si trasferirono dall'Inghilterra agli Stati Uniti.
Alcott divenne cittadino americano e si stabilì a Studio City, in Cali-
fornia. Negli Stati Uniti divenne molto richiesto, curando la foto-
grafia e dirigendo spot pubblicitari e lungometraggi. Nell'ambiente
del cinema americano Alcott era una leggenda, dato che il suo con-
tributo ad Arancia meccanica, Bany Lyrzdon e Shining aveva fissato gli
standard dell'eccellenza nell'arte della fotografia. Il suo lavoro in
Sotto tiro e Grey.rtoke- La leggenda di Tarzan signore delle .rcimmie sotto-
linearono un talento che era tutto suo. Comprendere la collaborazio-
ne fra un regista e coloro che lavorano con lui è un concetto miste-
rioso, spesso offuscato dalla percezione del regista come autore, ma
una delle qualità di autentico genio registico di Stanley Kubrick era
quella di lavorare con artigiani magistrali come Alcott. Per quanto
avesse il controllo sulle sue opere, Kubrick non poteva essere più
bravo di quelli che lo circondavano. Il tempo fu crudele con John
Alcott e non gli permise di raggiungere di nuovo le vette di Barry
Lyndon, uno dei film con la fotografia più bella della storia del cine-
ma. Nell'agosto 1986, durante una vacanza con la famiglia nel Sud
della Francia, morì per un attacco di cuore. John Alcott aveva cin-
quantacinque anni. Progettava di girare con David Lean il progettO
480
annoso del Nostronto di Joseph Conrad. Anche Lean, regista per molti
versi affine a Kubrick in fatto di convinzione, controllo e perfezione,
morì prima di cominciare le riprese.
Tre anni prima di morire, John Alcott riassunse le sue sensazioni
sulla collaborazione con Stanley Kubrick in una conversazione con
Herb Lightman, direttore di «American Cinematographer>>: <<Sento
che quando stai con Stanley il rapporto professionale ne guadagna di
film in fìlm. Abbiamo lavorato insieme a cominciare più o meno dal
1965, e lavorando con lui c'è sempre un modo di vedere diverso, una
diversa idea: "Proviamo qualcosa di diverso. In che modo possiamo
farlo molto meglio di quel che è stato fatto prima?". Sento che quan-
do hai tutto il tempo che io ho avuto in Shining per assicurarti che i
set siano a posto e che lo scenografo li stia costruendo, oltre che
secondo il suo progetto, sapendo come tu metterai le luci, è un gran-
de privilegio. Non hai quel privilegio con qualcuno a cui mancano
l'esperienza e la percezione dell'immagine di Stanley. È pronto a farsi
in quattro per darti tutto quello che ti serve per ottenere una nuova
tecnica di illuminazione e tutto questo è di grande aiuto. Quando
qualcuno lavora in questo modo ti rende il lavoro molto più facile.
Non penso che nulla di sostanziale sia cambiato nel nostro rapporto
professionale. Forse è più esigente di quanto fosse prima, ma questo
ti rende tutto più facile quando lavori su un fìlm di qualcun altro.
Per usare un'analogia riferita al gioco inglese del cricket: è come fare
pratica con cinque porte e giocare con tre. Sei abituato a difenderne
cinque e quindi quando ti trovi a difenderne tre è tutto più facile>>.

-181
Capitolo 18
«Sono stati sette anni?
Non ricordo mai gli anni>>

«Non so che cosa abbiate letto di Stanley ma l'impressione che


avevo io era che fosse un pazzo lunatico terrorizzato dai germi e
dalle mosche. È semplicemente falso>>.
Matthew Modine

«Per quanto mistica possa essere, l'opera di Kubrick è saldamente


piantata nella realtà>>.
Tony Spiridakis

<<È probabilmente la persona più di cuore che abbia mai incontrato.


Per lui, che viene dal Bronx dove c'è una mentalità del tutto diffe-
rente, è una strana qualità e cerca di dissimularla. Subito sotto quel-
la vernice c'è un uomo molto affettuoso e coscienzioso, che detesta la
sofferenza, che detesta vedere uomini o animali che soffrono. L'uomo
mi ha veramente sorpreso».
Matthew Modine

Con l 'uscita e la distribuzione commerciale di Shining, Stanley


Kubrick ricadde nella sua abituale attività di prepreproduzione.
Non aveva intenzioni definite per il suo film successivo, ma aveva
riattivato le sue routine: ricerche, letture, visione di materiale e ten-
tare tutto il possibile per trovare il punto iniziale che sarebbe culmi-
nato nel suo prossimo progetto.
Nel 1982, Arthur C. Clarke pubblicò 2010 Odi.rsea due, il seguito
del romanzo di 2001. Clarke telefonò a Kubrick scherzando: «<l tuo
compito è impedire a chiunque di farlo, così nessuno mi seccherà».
La Mgm firmò un accordo per fare il film ma Kubrick non era tipo
da ripetersi e declinò il progetto. Louis Blau, l'avvocato di Kubrick,
trattò con la Mgm le somme che riguardavano i diritti sul film e il
materiale tratto dall'originale.
A metà del 1983, Peter Hyams- regista di Capricom One, Unct .rtra~
da, un amore, Atmo.rfera zero e Condannato a morte per mancanza di indizt
- contattò Arthur C. Clarke dichiarandosi interessato al progetto.
Ricorda Hyams: <<Avevo riserve di ogni tipo. Le prime due persone
che volevo contattare erano Arthur Clarke e Stanley Kubrick. Parlai a
lungo con Stanley e gli dissi cosa stava succedendo. Se avessi avuto la
482
sua approvazione, avrei fatto il film; altrimenti, no. Certo non avrei
potuto pe!"lsare di fare il film se non avessi avuto la benedizione di
J(ubrick. E uno dei miei idoli; semplicemente uno dei massimi talen-
ti che siano mai apparsi sulla faccia della Terra. Disse più o meno:
"Certo. Fai pure. Non mi importa". E un'altra volta disse: "Non aver
paura. Vai e fai il tuo film"». Come il suo idolo, Hyams riprendeva
spesso i suoi film personalmente ed era anche stato accreditato come
diretrore della fotografia. Hyams andò avanti e fu regista e operatore
di 201 O - L'anno del contatto.
IliO marzo 1984, Stanley Kubrick divenne suocero. La figlia mag-
giore Katharina, trentenne, si sposò nella contea dell'Hertfordshire a
Saint Albans, Inghilterra, con Philip Eugene Hobbs, un ristoratore
di trentuno anni. Anche se anagraficamente era figlia dell'attore
tedesco Werner Bruhns, il primo marito di Christiane Kubrick,
Katharina indicò come suo padre Stanley Kubrick, il regista.
Quando non era impegnato attivamente nella produzione di un
film, Kubrick andava al cinema- o meglio, erano i film che andava-
no da lui, dato che se li faceva proiettare nella saletta personale situa-
ta nella sua proprietà. Le proiezioni a cui assisteva il regista non
erano limitate ai lungometraggi, ma si estendevano a diversi mezzi
di comunicazione, permettendogli di individuare esempi di racconto
cinematografico in sedi apparentemente improbabili. Stanley
Kubrick era un appassionato di football americano: per mantenere il
suo legame con la cultura americana in tutti i suoi svariati aspetti,
chiedeva a sua sorella Barbara di registrare le partite dei Giants e di
spedirgli i nastri dal New Jersey a Londra. Registrati dalla televisio-
ne, i nastri contenevano tutta la partita e anche molte pubblicità:
Kubrick li guardava con piacere e spesso si divertiva a rivedere parti-
te giocate uno o più anni prima, come tanti si rivedono la cassetta di
un vecchio film; esaminava le partite accuratamente e ne studiava i
momenti migliori e i significati strategici, ma ad affascinarlo vera-
mente erano le pubblicità. Kubrick cominciò a essere ossessionato
dall'economia e dalla bellezza fisica dello spot da trenta secondi, una
forma da tempo considerata, da molti nell'ambiente cinematografi-
co, un minifilm, agli antipodi di megaproduzioni come 2001 o
Barry Lyndon. Quando Francis X. Clines venne a Londra per conto
del <<New York Times>> a intervistare Kubrick su Full Meta! jm·ket, il
regista era entusiasta di una serie di spot che aveva visto su una delle
sue cassette di football. «Ha visto quegli spot della Michelob?>>,
chiese Kubrick a Clines. <<Rappresentano una serata piacevole, ragaz-
Zo-ragazza, tutto per portarci al momento di versare la birra, in tren-
ta secondi, girati e montati in modo splendido>>. E a Tim Cahill di
<<Rolling Stone>> il regisca disse: <<Il montaggio, la fotografia erano
483
uno dei lavori più brillanti che avessi mai visto. Dimentichiamo
quello che stanno facendo - vendere birra -ed è poesia VISiva.
Stacchi incredibili di otto fotogrammi. E ti accorgi che in trenta
secondi hanno creato la sensazione di qualcosa di alquanto comples-
SO>>. <<L'economia del messaggio non è esattamente la qualità tipica
dei film. I migliori spot televisivi creano un senso dell'atmosfera,
una complessa presentazione di qualcosa, enormemente vivida>>,
disse Kubrick a Clines. Per poi rilanciare, con Cahill: <<Alcuni degli
esempi più spettacolari di arte cinematografica appaiono nei miglio-
ri spot televisivi. Se mai si potesse raccontare una storia, qualcosa
con qualche contenuto, usando quel tipo di poesia visiva, si potrebbe
affrontare materiale molto più complesso e sottile».
Dopo l'uscita di Shining, Kubrick cominciò a pensare di fare un
film di guerra, un tema che aveva affrontato in Fear and De.rire e in
Orizzonti di gloria. Nella primavera del 1980 aveva preso i primi con-
tatti con Michael Herr, corrispondente dal Vietnam per <<Esquire»
fra il 1967 e il 1968 e autore di Di.rpatche.r, acclamatissimo libro sulle
sue esperienze in Indocina, pubblicato nel 1977. Herr aveva lavorato
con Francis Ford Coppola in Apocalypse Now, scrivendo la narrazione
del film dopo che il regista aveva cercato disperatamente di farlo
funzionare come esperienza visiva e acustica. Le parole di Herr, lette
da Martin Sheen nel ruolo del capitano Willard, penetravano la
mente del soldato e mettevano a nudo la follia dell'esperienza del
Vietnam. La sceneggiatura di John Milius era basata su Cuore ditene-
bra di Joseph Conrad, ma la voce fuoricampo di Herr era tratta
dall'esperienza diretta dello scontro di sensibilità che imperava in
Vietnam. Quando Herr e Kubrick si incontrarono in Inghilterra, lo
scrittore aveva passato sette anni a lavorare al suo libro e un anno a
combattere di nuovo tutta la guerra assieme a Coppola; aveva pro-
messo a se stesso di farla finita con il Vietnam.
Durante la loro prima conversazione, i due parlarono di guerra, di
film e di una varietà di altri argomenti. Kubrick disse a Herr che
voleva fare un tipo particolare di film di guerra ma che non aveva
ancora trovato una storia da adattare.
Il regista continuava a leggere alla ricerca di una nuova storia da
portare sullo schermo. A Tim Cahill disse: <<Leggo. Ordino libri
dagli Stati Uniti. Letteralmente, vado in libreria, chiudo gli occhi e
prendo roba dallo scaffale. Se dopo un po' quel libro non mi piace,
non lo finisco. Ma mi piace essere sorpreso>>.
Che cosa cercava Kubrick in una storia? Cosa, in un'opera lettera~
ria, lo attraeva al punto di spingerlo verso quello stato ossessivo di
cui parlava spesso? Era una domanda a cui non avrebbe mai saputo
rispondere con precisione e infatti, ogni volta che gli veniva chiesto
484
perché fos~e stato attratto da una certa storia, rispondeva in modo
generico. E probabile che invecchiando, e dedicando sempre più
tempo alla questione, lui stesso desiderasse conoscere la risposta. Le
sue indagini filosofiche rivelavano un senso di magia provato nel
leggere per la prima volta una storia che stimolava la sua immagina-
zione: «La sensazione che la storia ti fa provare la prima volta che la
leggi è il metro più sicuro>>, disse Kubrick a Francis X. Clines:
«Ricordo cosa ho provato con il libro. Ricordo cosa ho provato scri-
vendo la sceneggiatura e cerco di tenere in vita la sensazione nelle
circostanze molto poco adatte che si verificano sul set di un film>>.
Kubrick approfittava di tutto ciò che la tecnologia gli offriva per
comunicare e ricevere l'informazione che costituiva la linfa vitale
della sua esistenza, inviando e ricevendo fax e posta elettronica.
Parlando del regista che aveva raffigurato in 200 l la scoperta del
primo utensile da parte degli antenati dell'uomo, Herr commentava:
<<Stanley è un grande animale da strumenti>>.
Kubrick e Herr continuarono a parlare ininterrottamente, conver-
sazioni che Herr avrebbe descritto come <<una sola telefonata lunga
tre anni, con delle pause>>.
Il regista leggeva religiosamente <<Kirkus Reviews>> a caccia di
libri che potessero interessargli, e spesso il rito lo portava a trovare
opere letterarie da prendere in considerazione per una riduzione
cinematografica. Fu su <<Kirk Reviews>> che, nel 1982, Kubrick sco-
prì per la prima volta il romanzo Nato per uccidere. Lo lesse con atten-
zione e fu fortemente attratto dal suo approccio stilistico. Michael
Herr aveva ricevuto una copia rilegata delle bozze e aveva immedia-
tamente pensato che fosse un capolavoro.
Il libro era l'opera prima di Gustav Hasford, un ex marine e corri-
spondente militare di guerra che aveva partecipato alla campagna in
Vietnam nel momento cruciale della guerra. <<Direi che è stata la
storia, non l'argomento>>, disse Kubrick a Lloyd Grove del <<Wash-
ington Post>>: <<Questo libro era scritto in un modo molto, molto
poeticamente asciutto. Nel film ho cercato di mantenere questo
approccio. Penso che il risultato sia che il film si muove a un ritmo
allarmante, almeno spero>>.
Gustav Hasford era cresciuto nell'Alabama rurale. Il suo lungo e
strano viaggio verso la scrittura era cominciato a quattordici anni
come cronista per il <<Franklin County Times>> e il <<Northwest
Alabamian>>, con articoli su avvenimenti come partite di calcio e
incidenti stradali. Lo stesso anno aveva pubblicato su <<Boys' Life>>
un articolo sul collezionismo di monete. Hasford non aveva termina-
to il liceo ma aveva aperto <<Freelance>>, una patinata rivista trime-
strale per scrittori. Era entrato nei marines nel 1967, all'età di
485
diciotto anni, ed era stato assegnato al ruolo di giornalista militare,
con l'ordine di entrare, alla fine dell'addestramento, nello staff della
rivista «Leathernecb>. Hasford fu poi trasferito nel North Carolina,
dove collaborò al giornale della base. I suoi articoli sul Vietnam gli
diedero la spinta a prestare un turno di servizio nel Paese, dilaniato
dalla guerra. Con ancora dieci mesi di servizio da compiere, Hasford
divenne corrispondente di guerra unendosi alla prima divisione dei
marines in Vietnam. Nel 1968 fu inviato a Red Beach nella baia di
Da Nang, dove conobbe Dale Dye, che sarebbe stato consulente tec-
nico di Oliver Stone per Platoon e che sarebbe anche comparso nel
film, premiato da un Oscar. Hasford era presente all'offensiva di Tet
e fu congedato nell'agosto l 968.
Quando Hasford fu rimpatriato, scoprì che la sua famiglia stava
trasferendosi nello stato di Washington e si stabilì a Kelso, in un
appartamento a buon mercato, mentre sua moglie lavorava in un
Kentucky Fried Chicken. Hasford era un impiegato notturno in una
pensione per taglialegna e doveva spesso intervenire a sedare le risse:
quando, verso le tre del mattino, la situazione diventava più tran-
quilla, leggeva avidamente, con una passione speciale per Nathaniel
West. Hasford riuscì a pubblicare una poesia su Winning Heart.r and
Mindr, la prima antologia di scritti di reduci sulla guerra, ma quan-
do il suo matrimonio andò in pezzi si trasferì a Los Angeles con lo
scrittore di fantascienza Art Cover; i due andarono ad abitare insie-
me a Harlan Ellison, il saggio maestro della fantascienza speculativa.
Hasford era un omone panciuto e brusco e dalla voce acuta; aveva un
leggero accento dell'Alabama e indossava spesso T-shirt militari e
scarpe da ginnastica rotte. A Los Angeles trovò impiego come redat-
tore di riviste per adulti.
Le prime stesure di Nato per ucàdere avevano preso forma mentre
Hasford era ancora in Vietnam, seduto alla macchina da scrivere a
battere articoli in qualità di corrispondente di guerra: molti dei per-
sonaggi del libro avevano nomi di amici del posto. Ci vollero sette
anni per finirlo e tre per venderlo a un editore. Sarebbe uscito final-
mente nel l 979 con la Harper and Row e la Bantam Books, anche se
la Harper all'inizio aveva rifiutato il manoscritto perché toccava un
tema impopolare ed era stato scritto da uno sconosciuto.
Autodidatta, Hasford aveva una collezione di oltre diecimila libri,
immagazzinati in scatole numerate e catalogate per argomento. Il
fine di queste compilazioni era avvolto nel mistero: Hasford era
appassionato soprattutto di romanzi dell'epoca della Depressione,
libri sulla storia del West, gialli hard-boiled, la guerra civile ameri-
cana, Napoleone, Alamo, Custer, la civiltà minoica, Jack London,
Ambrose Bierce e antiche monete greche. Voleva scrivere una bio-
486
grafia di Bierce centrata sui suoi anni da ufficiale, e progettava di
seguire personalmente il percorso compiuto da Bierce durante la
guerra civile.
Hasford faceva il guardiano e viveva nella sua auto, quando un
uomo d'affari di Monaco, apparentemente senza alcun legame con
l'industria cinematografica, opzionò i diritti di Nato jJer uccidere.
Hasford intascò l'inatteso guadagno, comprò altri libri e fece il suo
primo viaggio in Australia. Quando tornò in California scoprì che
Stanley Kubrick era proprietario dei diritti del suo primo romanzo.
L'approccio di Kubrick alla guerra in Vietnam fu di puntare il
mirino sulla struttura militare. Come in Il dottor Stranamore, il regi-
sta focalizzò l'attenzione sui poteri che stavano dietro alla struttura.
Ad Alexander Walker disse: <<II Vietnam fu una guerra piena di
bugie, con i falchi tecnocrati che aggiustavano i fatti come un'agen-
zia pubblicitaria, parlando di "quote di perdita" e di "pacificazioni
rurali" e incoraggiando gli uomini a falsificare il computo delle per-
dite nemiche, o almeno a contare anche le "tracce di sangue" con il
presupposto che conducessero a cadaveri>>.
Nel 1985, Kubrick chiese formalmente a Michael Herr di collabo-
rare alla sceneggiatura del suo film di guerra. Il regista aveva già
scritto un trattamento dettagliato del romanzo di Hasford. Herr abi-
tava in Inghilterra, a una distanza accettabile dalla casa di Kubrick,
e i due iniziarono a incontrarsi ogni giorno, spezzando il trattamento
in una serie di scene. Ogni scena aveva un cartellino con il titolo.
Herr si basò sui cartellini per scrivere la prima bozza della sceneg-
giatura in sequenza: ogni pomeriggio le pagine completate erano
portate via in macchina, e la sera Kubrick e Herr discutevano il lavo-
ro al telefono.
Kubrick decise di cambiare il titolo del film da The Short-Timerst a
Full Meta! }t:tcket. Il libro di Hasford non era un romanzo celebrato o
famoso come Shining, Un'arancia a orologeria o Lolita, per cui cambia-
re il titolo non avrebbe rischiato di interferire con il riconoscimento
del pubblico. Kubrick temeva che il senso del titolo del romanzo
sarebbe stato frainteso come un riferimento a gente che lavorava a
mezza giornata. Sfogliando un catalogo di armi, Kubrick trovò
l'espressione full meta! jacket che descriveva una pallottola di piombo
racchiusa da un involucro di rame che aiutava il proiettile a scorrere

l Titolo originale di Nc11o Jler màclere. Il rermine sbor/-/Ùuer indica lertcralmenre chi
fa una ferma ridorta, cioè il soldaw di leva, a cui si conrrappone il li(er (a vira), vale a
dire il milirare di carriera. Quesw spiega la preoccupazione di Kubrick per !"equivoco
in cui il tiwlo avrebbe potuto indurre il grande pubblico (N.d.T.).

487
nel fucile. Il proiettile era accettato dalla Convenzione di Ginevra
perché non si espandeva quando penetrava il corpo.
Kubrick e Gustav Hasford fecero telefonate-maratona sulla sceneg-
giatura. Il regista continuava ad accrescere la sua reputazione di
Howard Hughes del cinema contemporaneo, ma era felice di comu-
nicare tramite telefono, e-mail e fax con chiunque fosse connesso alla
sua vita dedicata ai film.
Per tutto il lungo periodo del loro lavoro insieme, Hasford incon-
trò Stanley Kubrick una sola volta. Kubrick resisteva a tutti i meto-
di tradizionali di collaborazione a una sceneggiatura, smentendo
l'immagine del regista e dello sceneggiatore che passano insieme ore
e giorni, rilanciandosi idee, con infinite tazze di caffè e cene a domi-
cilio. Kubrick si era comportato così agli inizi, passando il tempo
con Marlon Brando e Calder Willingham e perfino con Arthur C.
Clarke, ma a cinquantasei anni era divenuto molto più isolato che a
trenta o a quaranta.
Quando Michael Herr ebbe finito la sua prima stesura della sceneg-
giatura, Kubrick la riscrisse tutta; poi Herr rielaborò la versione di
Kubrick. Anche Gustav Hasford lavorò alla sceneggiatura a Londra.
Kubrick continuò poi a riscrivere durante tutta la lavorazione.
Kubrick chiamò il suo eterno collaboratore Bob Gaffney e gli chie-
se di andare a Parris Island, in South Carolina: doveva fotografare i
marines durante gli allenamenti, senza dire ai militari a cosa sarebbe
servito il materiale. Quando Gaffney disse a Kubrick che il piano
non era realistico e che si sentiva a disagio a imbrogliare il corpo dei
marines degli Stati Uniti, l'idea fu scartata. Ma Gaffney andò a
Parris Island con una videocamera e riprese un giuramento per forni-
re a Kubrick dati utili a studiare sul monitor la vita dei marines.
Per mettere insieme il cast di Full Meta! Jacket, Kubrick fece fare
dalla Warner Bros. una ricerca in tutti gli Stati Uniti, pubblicando
annunci che invitavano ai provini giovani aspiranti attori. Come già
per Shining e Barry Lyndon, il regista si servì del videonastro per i
provini: poteva così vedere centinaia di attori senza essere costretto a
incontrarli di persona. Gli annunci chiedevano ai candidati di indos-
sare T-shirt e calzoni e di interpretare una scena di tre minuti adatta
a un film sul Vietnam: i partecipanti dovevano parlare di sé e dei
propri interessi e poi alzare un grosso cartello con nome, indirizzo,
numero di telefono, età e data di nascita, il tutto seguito da una serie
di primi piani, totali ed esempi di entrambi i profili. Il provino
doveva essere spedito a Kubrick attraverso la Warner Bros. inglese:
Il regista ricevette qualcosa come tremila videocassette di potenziali
marine cinematografici e il suo staff li esaminò tutti, eliminando
quelli giudicati inaccettabili: Kubrick ne guardò personalmente
488
ottocento, e notò che la maggioranza dei ragazzi suonavano la chitar-
ra e facevano body building.
Nel 1961, Lee Ermey, che in Fu!/ Meta! Jacket avrebbe interpretato
il sergente istruttore, era un ragazzino diciassettenne in una fattoria
del Kansas che era arruolato nei marines subito dopo la maturità.
<<Ero robusto, avevo cinque fratelli e mio padre credeva con forza
nella disciplina>>, avrebbe spiegato Ermey ad Aljean Harmetz del
<<New York Times»: <<Le prendevo ogni giorno, che lo meritassi o
no. Ed ero bravo a sparare. Ero un ragazzo di campagna, così sapevo
come si spara». Ermey fece trenta mesi nei mari n es come sergente
ispettore nel periodo del Vietnam. Dopo undici anni la sua carriera
nel corpo si concluse bruscamente nel 1969, quando un missile
esplose a nord di Da Nang dove lui militava nella prima divisione
dei marines: la schiena e un braccio di Ermey furono crivellati di
schegge. Dopo quattro mesi in ospedale, Ermey usò l'indennità per
comprare un bordello a Okinawa e lo trasformò in un bar notturno.
Poi, instancabile, si trasferì nelle Filippine, si sposò, fece un breve
tentativo all'università e infine apparve come performer in pubblicità
televisive, vendendo quella che chiamava «merce da macho» - di
tutto, dal rum agli orologi, dai jeans alle scarpe da ginnastica.
La carriera cinematografica di Ermey iniziò nel 1976, quando
conobbe Francis Ford Coppola che era nelle Filippine per realizzare
AjJoctt!ypJe Now. Ermey frequentava l'Università di Manila grazie al
regolamento delle Forze Armate sui reduci di guerra, quando fu
preso per il ruolo di un pilota di elicottero. Ermey divenne il consu-
lente tecnico di Apoca/yjm Now, I ragazzi della Comj1agnia C e
Dimemione inferno e apparve sullo schermo in tutti e tre i film. Anche
in I ragazzi della Comj1agnia C interpretava un sergente istruttore.
Ermey incontrò Kubrick la prima volta mentre era in pensione di
invalidità e lavorava in una fabbrica al controllo di qualità. L'attore
adorava stare davanti alla macchina da presa e chiese a Kubrick di
fargli un provino per il ruolo del sergente artigliere Hartman in
Fu/! Meta! Jacket. Il regista gli disse che non era abbastanza cattivo
per interpretare il brutale istruttore del suo film, ma Ermey colse
l'occasione per dimostrare il suo talento di recitazione e l'intensa
comprensione di come i marines facciano a pezzi il carattere delle
giovani reclute per poterli ricostruire correttamente come combat-
tenti. Kubrick stava vedendo dei soldati inglesi per ruoli da mari-
nes, così Ermey cominciò a tormentarli e a umiliarli con un diluvio
di insulti. Il regista ne fu così impressionato che diede a Ermey la
Parte del sergente Hartman, e gli incontri con Ermey furono video-
registrati e usati nella sceneggiatura: Kubrick fece battere a macchi-
na una trascrizione del nastro e usò il materiale per le battute di
489
Hartman. Ad Alexander Walker, Kubrick disse: <<All'inizio fui col-
pito dalla sua straordinaria abilità come attore: lo abbiamo videore-
gistrato mentre interrogava dei paracadutisti dell'esercito territoria-
le britannico che stavamo considerando come marines americani.
Lee li mise in riga come reclute appena scese dall'autobus per Parris
Island e scatenò tutto il fuoco di intimidazione e insulti adatto
all'occasione>>. Kubrick compilò una trascrizione di duecentocin-
quanta pagine delle improvvisazioni di Ermey e inserì le scelte nella
sceneggiatura. Kubrick calcolò che il cinquanta per cento delle bat-
tute di Ermey, incluse frasi come <<Non mi piace il nome Lawrence!
Solo finocchi e marinai si chiamano Lawrence!», venisse dalle
. . . .
tmprovvtsazwni.
Ermey interpretava il ruolo del sergente Hartman sulla base della
sua esperienza da sergente istruttore. Quando il film fu completato,
dichiarò nelle interviste che non voleva essere identificato con
l'estremismo del personaggio, ma ai suoi tempi era stato un istrut-
tore altrettanto duro. A Martin Burden confessò: <<I sergenti istrut-
tori sono pieni di inventiva. Quando facevo l'istruttore ero capace di
passare lungo una fila di reclute e farne cadere in ginocchio una ogni
tre o quattro senza farmi vedere. Solo con una piccola gomitata, a
terra cosÌ».
Kubrick vedeva i sergenti istruttori come attori naturali. <<Recitare
è un dono incredibile, in parte follia in parte magia>>, disse a Pene-
lope Gilliatt. <<Il potere di un attore sta nella sua capacità di creare le
emozioni in se stesso, e così nel pubblico. La capacità di piangere
allo scatto di un ciak è un talento molto strano e raro. Naturalmente,
ai sergenti istruttori viene naturale perché sono degli attori. Lo
sanno fare bene i bugiardi, perché mentire è generalmente importan-
te per un bugiardo>>.
Kubrick usò l'interpretazione da Oscar di Lou Gossett, nei panni
di un sergente istruttore in Ufficiale e gentiluomo, per spiegare a Tim
Cahill di <<Rolling Stone>> che la maggior parte dei film si arruffia-
nano il pubblico: <<Penso che la performance di Lou Gossett fosse
splendida, ma doveva fare quello che la storia gli imponeva. Il film
chiaramente vuole ingraziarsi il pubblico. Molti film lo fanno>>.
Le prove con Lee Ermey si svolsero in una sala prove lunga quindi-
ci metri. Leon Vitali, assistente di Kubrick, lanciava all'attore arance
e palle da tennis: <<Io dovevo acchiappare la palla e rilanciarla a Leon
più in fretta possibile e dire le battute più in fretta possibile»,
spiegò Ermey ad Aljean Harmetz. <<Se pronunciavo male una sola
parola, o ne saltavo una o rallentavo, mi toccava ricominciar~·
Dovevo farlo venti volte di seguito senza un errore. Leon fu il rotO
sergente istruttore>>.
490
A Martin Burden del <<New York Post>> Lee Ermey dichiarò:
«Kubrick dice che io sono un superintimidatore. Il mio dialoghista
mi ha detto che avrei potuto diventare famoso a Hollywood come la
persona più offensiva della città, che faccio sembrare Don Rickles un
insegnante della scuola domenicale>>.
Da ex istruttore, Ermey aveva capito che il sergente istruttore era
l'unico che doveva parlare e che le reclute dicevano solo «Sì, signo-
re>>, «No, signore>>. «La maggior parte dei film sui campi di adde-
stramento hanno troppe chiacchiere; è per questo che non sono reali-
stici>>, spiegò Ermey a Burden. «Ma suppongo che gli altri attori si
sentano esclusi se non hanno niente da dire. Ma è così, è tutto
autentico>>.
Kubrick assegnò a Matthew Modine il ruolo del soldato Joker, un
personaggio che - come Gustav Hasford - era un giornalista milita-
re durante la guerra. Con Alexander Walker, il regista descrisse
Modine come «il tipo di bambino che Gary Cooper e Henry Fonda
avrebbero potuto avere>>. L'attore, ventisettenne quando Kubrick gli
diede la parte, era nato a Loma Linda in California ma era cresciuto
nello Utah, ed era in rapida ascesa, essendo apparso in sette film
negli ultimi quattro anni. Modine aveva già interpretato un soldato
del Vietnam in Birdy - Le ali della libertà e in Streamen, e aveva ruoli
in Prome.r.re, promes.re, Hotel New HamjJJhire, Crazy for you - Pazzo per te
e Fuga d'inverno. Tre dei suoi quattro fratelli maggiori e una delle sue
sorelle avevano prestato servizio nella guerra del Vietnam. «Era una
cosa con cui ero cresciuto>>, raccontò Modine a Susan Linfield di
«American Film>>. «E più leggo, e più cerco di capire, meno senso
ha. Guardavo la guerra in televisione. Sentivo il conto dei cadaveri -
sa, come sentire il punteggio. Chi vinceva. Era come una partita di
baseball. Abbiamo avuto dieci vittime, loro cento. Oh, oggi ci è
andata bene>>. A Caryn James del «New York Times>> l'attore
dichiarò: «Di certo ero abbastanza grande per capire cosa stava suc-
cedendo. Probabilmente il ruolo mi interessava per il fatto di esserci
cresciuto>>. Modine capiva la filosofia marine dei campi di addestra-
mento e l'idea di Kubrick di presentare il realismo e di non accatti-
varsi il pubblico. «Cerchi di non colorarlo con le tue opinioni, per-
ché il campo di addestramento non ha nulla a che vedere con la
caratterizzazione o la personalità>>, spiegò Modine alla James. «Per
tutta la vita ti insegnano a non fare del male alla gente, a non ucci-
dere la gente; ma quando entri in un sistema come i marines,
all'improvviso quelle regole non valgono piÙ>>.
«Joker non ha un nome nel film. È il soldato Joker fin dall'inizio;
Potrebbe essere qualsiasi soldato di qualsiasi guerra. Ha così tante
contraddizioni. È questo che penso sia il bello del film. Quando lo
491
guardi non sai per chi tenere. Vuoi vivere in un mondo di pace, ma
se gratti un pachino la vernice ed entri nella psiche di un uomo lo
vedi diventare un animale; c'è una belva subito sotto la sottile super-
ficie della pace>>.
A Susan Linfield, Modine dichiarò: <<Ci chiamavamo "uccelli don-
dolanti" perché se socchiudi gli occhi e ci guardi - tutti con la testa
rapata sull'attenti -sembriamo delle gigantesche erezioni. Era umi-
liante. Voglio dire, non è piacevole farti rasare la testa una volta alla
settimana e farsi urlare da un tizio dieci ore al giorno>>.
<<Tutto quello che succede in Full Meta! Jacket esiste. La sequenza
del campo di addestramento è probabilmente la descrizione più rea-
listica di un campo di addestramento dei marines che sia mai stata
messa su pellicola, con l'eccezione di un filmato di un addestramento
di Parris Island. Non ti è concesso scampo. La ragione per cui le sto-
rie di Stanley sono scioccanti è che sono così vere. Non cerca di crea-
re un po' di simpatia per qualcuno perché è un film, perché vuole
conquistarsi il pubblico. Non è piacevole vedere uccidere qualcuno.
E non è piacevole morire. Perché cercare di rendere romantico qual-
cosa che non lo è? Forse in tutti quei film sulla seconda guerra mon-
diale - per via di quello che succedeva in Europa - era necessario
rendere romantica la gente che andava a combattere. Ma perpetuare
quel romanticismo è un errore. È stata una cosa straordinaria negli
anni Sessanta, che la gente abbia cominciato a chiedere perché>>.
Modine superò senza difficoltà le lunghe ore di lavoro e il perfezio-
nismo di Kubrick, e rispettava la visione del regista. <<Stanley è mio
amico>>, disse alla Linfield. <<C'erano delle volte che, per pura frustra-
zione, ti arrabbiavi con Lee. Ma c'è un qualche tipo di legame che si
crea e non puoi veramente arrabbiarti con nessuno. Non ti arrabbi
con il regista perché sta cercando di creare una forma d'arte invece
che un semplice film. Non è come la musica pop, che senti l'estate e
ci ridi sopra. È come un pezzo di musica classica che puoi ascoltare e
riascoltare, e ogni volta che la ascolti trovi sfumature diverse. È que-
sto che sento per Stanley>>.
Vincent D'Onofrio aveva saputo delle selezioni per Full Meta!
Jacket dal suo amico Matthew Modine. Nato a Brooklyn, D'Onofrio
era un attore dall'aspetto atletico, alto uno e novanta, capelli ricci
scuri, e aveva lavorato in produzioni off-off-Broadway. Aveva passato
la prima infanzia nelle Hawaii e aveva fatto il liceo a Miami. Aveva
studiato all'American Stanislavsky Theater di New York e passaro
tre anni interpretando ruoli teatrali come Murphy in The Indian
Want.r the Bronx e Lenny in Uomini e topi. Il suo primo impegno pro-
fessionale a Broadway era stato il ruolo di un ragazzo italiano dei
Bronx con un difetto di pronuncia in Oj1en Admùsions.
492
Quando Modine gli disse che la parte del soldato Palla di Lardo era
disponibile, D'Onofrio affittò una videocamera amatoriale per realiz-
zare il suo provino. Trovò una veranda verde che poteva passare per
le scalette di una baracca militare e indossò per il suo monologo un
berretto dell'esercito e una tuta da lavoro. D'Onofrio aveva trovato
un discorso che gli piaceva, scritto per un poliziotto alle prime armi,
e cancellò tutte le frasi riferite alla polizia. Spedì il nastro in
Inghilterra e ricevette subito una risposta: la parte era sua. <<Palla di
Lardo era il ruolo più difficile da assegnare di tutto il film. Volevo
trovare volti nuovi. Abbiamo ricevuto circa tre o quattromila video-
cassette», disse Kubrick a Penelope Gilliatt.
Quando D'Onofrio ebbe avuto la parte, Kubrick gli chiese di met-
tere su più di trenta chili, portando il suo peso a centoventisette. Il
bel fisico dell'attore fu trasformato in un capro espiatorio sovrappeso
e fuori forma, etichettato Palla di Lardo da un sergente istruttore
deciso a spezzare il giovane o trasformarlo in una macchina per ucci-
dere. <<Presi peso dappertutto>>, disse D'Onofrio a Leslie Bennetts del
<<New York TimeS>>: <<Le mie cosce erano enormi, le mie braccia
erano enormi, anche il naso era grasso. Avevo problemi ad allacciar-
mi le scarpe, ma era l'unico modo per interpretare Leonard, perché
dovevo avere la sua stessa mitezza. A causa del peso, e del fatto di
essere completamente fuori dal suo elemento, la mente di Leonard si
era indebolita. Era lento a partire, uno zoticone di campagna, ma
non penso che fosse pazzo. Quello che facevano a Leonard era di tra-
sformarlo in una efficientissima macchina per uccidere>>. La fisicità
delle sequenze degli addestramenti era una sfida per D'Onofrio, per-
ché il peso extra e la mancanza di forma del personaggio lo rendeva-
no vulnerabile agli infortuni: lavorando sul set di uno dei percorsi a
ostacoli del film, D'Onofrio si fece così male al ginocchio da doversi
sottoporre a una ricostruzione chirurgica.
Kubrick aggiunse il volto del soldato Palla di lardo alla sua colle-
zione di immagini minacciose: in Arancia meuanica, Malcolm
McDowell aveva bucato lo schermo nel ruolo di Alex, con l'aspetto
maniacale conferitogli dallo sguardo in tralice e dalla testa inclinata;
Jack Nicholson aveva perfezionato il kubrickiano sguardo da folle con
il suo ghigno malvagio e gli occhi sconvolti, la resta leggermente
curva, guardando nell'obiettivo. Vincent D'Onofrio ha i suoi momen-
ti, quando guarda l'istruttore parlare di ciò che un marine può fare
con il suo fucile, con la resta sghemba, le rughe che convergono ad
angoli simmetrici, la bocca aperta, il bianco degli occhi visibile sotto
le pupille indurire. E il bizzarro sguardo finale quando Palla di Lardo
è seduto nella latrina prima di uccidere il sergente Hartman e se stes-
so. I denti digrignati e gli occhi da folle di D'Onofrio sono degni di
49.~
Nicholson e di McDowell e si aggiungono alla galleria kubrickiana
di ritratti di pazzi. <<Quella scena era molto forte>>, disse a Ron
Magid il neodirettore della fotografia Douglas Milsome. «D'Onofrio
lancia ciò a cui ora ci si riferisce come lo "sguardo folle di Kubrick".
Stanley ha uno sguardo come quello, che è molto penetrante e a volte
ti spaventa a morte; ne concludo che sia in grado anche di iniettarlo
nei suoi attori>>.
Alla fine delle riprese, dopo che il soldato Palla di Lardo ha
ammazzato l'istruttore Hartman e si è ucciso facendosi saltare la
testa con il fucile, Vincent D'Onofrio concentrò tutte le sue energie
nel ritornare quello che era prima: radersi la testa e ingrossarsi fino a
centoventisette chili aveva provocato sconvolgimenti nella psiche del
giovane. «Mi cambiò la vita>>, disse D'Onofrio a Leslie Bennetts. «Le
donne non mi guardavano più; il più delle volte ero io che guardavo
la loro schiena mentre scappavano. La gente mi diceva le cose due
volte perché pensavano che fossi stupido>>. Un anno dopo il congedo
dall'esercito di Kubrick, facendo ogni giorno dieci chilometri di
corsa, D'Onofrio riuscì a tornare al suo peso normale: i suoi ricci
erano ricresciuti, il ginocchio era guarito e, grazie alle buone recen-
sioni ricevute per il ruolo del soldato Palla di Lardo, la sua carriera
era decollata.
Kubrick completò il cast con un gruppo forte di giovani attori. Per
il suo provino Adam Baldwin propose materiale da La mia g11ardia
del <"011JO, 3:15 e una scena dalla commedia Bm·k to Back, su due solda-
ti seduti in una trincea in Vietnam, e ottenne la parte di Animai.
Venticinquenne, alto un metro e novantadue, l'attore ammirava
Kubrick da quando aveva visto per la prima volta Arcmcia meacmùa,
2001: Odi.r.rea nello .rpazio e RajJina a mano armata. Baldwin disse che
ammirava «il fatto che ti portava via da film emotivamente consola-
tori e dalle scelte facili e commerciali della maggior parte degli altri
cineasti e che cattura veramente il senso della guerra, che sia guerra
psicologica, guerra nello spazio o una guerra da commedia nera come
Il dottm· Stranamore. Mi piace il modo in cui ha descritto la guerra>>.
Adam Baldwin era apparso anche in Amare con rabbia, D.C. Cab e
Gente cmmme. Era stato scoperto dal produttore e regista Tony Bill
mentre giocava a hockey su ghiaccio a Winnetka, nell'Illinois. Era
stato Bill a scegliere Baldwin per il suo debutto nella regia, La mia
guardia del cm1Jo, che anche aveva segnato l'esordio dell'attore.
Baldwin lesse per la prima volta Nato jJer uccidere dopo aver avuto l~
parte ed essere arrivato in Inghilterra. «La cosa che veramente mi
colpÌ>>, ricorda l'attore, «è che sembrava un ritratto stretto e clau-
strofobico solo di quel pugno di uomini. Praticamente ti dava solo
quel piccolo ritratto della guerra e di ciò in cui essa consisteva per
494
quei pochi giovani, e fare una cosa del genere era già per me una suf-
ficiente presa di posizione antimilitarista. Io sono uno di quei libera-
li dal cuore che sanguina e qualsiasi affermazione di sinistra contro la
guerra mi trova d'accordo».
Dorian Harewood, scelto da Kubrick come Eightball, aveva reci-
tato in "Radici: Le nuove generazioni", "The ]esse Owens Story" e la
miniserie "Amerika". A teatro era apparso in Streamer.r e The Two
Gentlemen of Verona. Era anche nei film Il gioco del falco e Due vite in
giow.
Arliss Howard, che in Full Meta! jacket interpreta Cowboy, era
stato scoperto dalla Abc Circle Films a Kansas City, nel Missouri,
dove di giorno gettava fondamenta di cemento e di notte appariva al
teatro locale. Howard era membro a vita dell'Actors Studio e aveva
una formazione teatrale. Era nella discussa miniserie The Day Ajte1· -
Il giorno dopo, e nel film LightshijJ - La nave faro.
Ed O'Ross, il tenente Touchdown, era figlio di un operaio metal-
lurgico di Pittsburgh, in Pennsylvania, e veniva da undici anni di
Broadway, off-Broadway e teatro regionale. O'Ross si era guadagnato
da vivere come gioielliere, imbianchino, uomo delle pulizie e mecca-
nico. Era apparso in Cotton Club, Il "Papa" di Greenwù-h Village e nelle
serie televisive "Moonlighting" e "Scarecrow and Mrs. King".
Kevyn Major Howard, che interpreta Rafterman, aveva lavorato
per dieci anni in serie televisive a episodi e in film per la televisione.
Era apparso nei film Coraggio ... fatti armnazzar·e e Il giustiziere della
notte n. 2 e nei film televisivi Scared Straight, For Love and Honor e
Minnesota Strip. Si trovava a Roma in vacanza quando aveva ricevuto
una frenetica telefonata dal suo agente che gli diceva che Stanley
Kubrick lo voleva nel suo nuovo film per interpretare Rafterman, un
fotografo di guerra innocente e ingenuo.
Kubrick non permise mai a Lee Ermey di provare con gli attori
che interpretavano le reclute di Hartman: voleva che le loro reazioni
nei suoi confronti producessero emozioni autentiche, e non voleva
che i ragazzi avessero rapporti o legami con Ermey. Il risultato fu il
tipo di distacco che il regista aveva ottenuto con Danny Lloyd in
Shining. Ad Aljean Harmetz, Ermey spiegò: «Fu terrificante per
quegli attori. Il mio obiettivo era l'intimidazione. Nessuno aveva
mai invaso il loro spazio privato. Nessuno aveva avvicinato la faccia
alla loro. La prima volta che saltai addosso a Vincent, tutto quello
che doveva dire era "Sì, signore" e "No, signore" ed era così scioccato
che sbagliò le battute tre o quattro volte>>.
Lee Ermey ebbe un ruolo centrale nella realizzazione di Full Meta!
}acket: oltre al ruolo del sergente Hartman, che domina la prima
parte del film, l'attore ricevette da Kubrick l'ordine di creare
495
un'atmosfera da campo di addestramento su un set impregnato di
realismo documentario. II film inizia con un montaggio di reclute a
cui vengono rasate le teste, ma dopo alcune prove Kubrick scoprì
che i rasoi elettrici tradizionali non radevano abbastanza a fondo da
produrre il look del campo di addestramento dei marines; Ermey
fece una telefonata a un amico al campo della vera Parris Island nel
South Carolina e scoprì che utilizzavano rasoi usati per tosare i bar-
boncini francesi.
Kubrick continuò a lavorare con gli attori attraverso la mancanza
di indicazioni, motivandoli a cercare una scena assieme a lui durante
le riprese. «La mia impressione è che, non dicendoti lui quello che
vuole, in qualche modo lo si troverà insieme>>, disse Matthew
Modine a Susan Linfield. <<Spesso si conversava, spaziando dalla boxe
alla mitologia greca, un sacco di conversazioni che spaziavano dalla
A alla Z. Era bellissimo>>.
Modine trovò che, nonostante Kubrick puntasse al realismo negli
aspetti concreti della produzione, quello che cercava erano attori
capaci di andare oltre la realtà. Come era successo a Jack Nicholson
in Shining, Modine scoprì che il regista voleva catturare la moltitudi-
ne di scelte che esistevano in ogni movimento o parola pronunciata.
<<Stanley dice: "Ok, è reale, ma è interessante?">>, disse l'attore a
Susan Linfield. <<0 è più interessante intensificare la realtà e renderla
una metafora? Voglio dire, come si comporta uno a cui puntano una
pistola in faccia? Non puoi dire che questo sia "il" comportamento
reale. È "un" comportamento. Ci sono centinaia di modi diversi di
reagire a una pistolapuntata in faccia. Penso che Stanley sia interes-
sato alla realtà, ma non si accontenta della prima cosa che viene in
mente a un attore o a lui stesso. Sta cercando qualcosa che può essere
più interessante, più insolita, strana. Altri cineasti non hanno il
tempo di cambiare. Devono girare qualcosa domani, e spesso non è il
modo in cui vorrebbero girare. Con Stanley, lo fai nel modo che vuoi,
non perché sei costretto a prendere una decisione sulla base del
tempo>>.
Kubrick mantenne in famiglia le posizioni cruciali di Full Meta!
Jacket: lui era regista e produttore, il cognato Jan Harlan era produt-
tore esecutivo e il neogenero Philip Hobbs fu preso a bordo come
coproduttore.
Per la scenografia di Full Metal]a,·ket, Kubrick scelse Anton Furst,
che aveva lavorato con Ken Adam in Moonraker - Operazione .rpazio,
aveva fatto parte della squadra di progettisti per Alien di Ridley
Scott ed era autore delle scenografie di In wmfh:tgnia dei l11pi di Neil
Jordan. Nato in Inghilterra ma di discendenza regale lerrone, Furst
aveva una sensibilità europea e un audace stile architettonico.
496
Full Meta! }acket era notevolmente differente da altri film sul
Vietnam. Non era come Platoon o AjJocalyjJ.re Nou·, girati nelle
Filippine per trovare una giungla simile a quella vietnamita.
Kubrick non avrebbe fatto un film di guerra nella giungla: la prima
parte era a Parris Island; la storia della seconda parte si svolgeva a
Hue, in Vietnam, durante l'offensiva di Tet nel 1968. Le ricerche per
il progetto, con l'ovvia intenzione di ricreare Hue in Inghilterra,
furono difficili: Kubrick e il suo staff cercarono informazioni sui car-
telli vietnamiti e alla fine scoprirono che la Library of Congress
aveva edizioni microfilmate di quotidiani vietnamiti e di riviste
dell'epoca. Kubrick, Furst e la squadra degli scenografi lavorarono su
fotografie giornalistiche storiche scattate nella città vietnamita di
Hue nel 1968, e che descrivevano un'area della città ridotta in mace-
rie dai combattimenti: il regista e i suoi scenografi usarono quelle
fonti per conferire autenticità ai set.
Kubrick spedì una troupe all'esplorazione delle aree nei dintorni
di Londra, dopo aver già fatto fare ricerche su ogni base aerea deser-
ta come possibile luogo per le riprese. Il regista voleva girare in
esterni per catturare il realismo necessario. Le location per il campo
di addestramento di Parris Island e per le sequenze in Vietnam
furono trovate in tre punti diversi a nord-est di Londra, in un rag-
gio di ottanta chilometri dai domini di Kubrick. <<Quando pensi al
Vietnam, è naturale pensare alla giungla. Ma questa storia parla
della guerriglia urbana», disse Adam Baldwin a Mare Cooper della
rivista «American Film>>: «È per questo che Londra non era una
location così folle, dopo tutto>>. Molti erano sbalorditi che Kubrick
girasse il film in esterni a Londra. «La battuta ricorrente era che
Stanley aveva già girato il film da qualche altra parte e che quando
siamo arrivati a Londra doveva solo sovraimporci a esso>>, scherzò
Adam Baldwin.
Il campo di addestramento di Full Meta! Jacket fu costruito su un
terreno industriale di Enfield. Una base dell'esercito territoriale bri-
tannico a Bassingbourne fu usata come Parris Island, South Carolina.
Lee Ermey fornì la sua consulenza sull'accuratezza del set mentre
veniva costruito e arredato.
L'area delle latrine nel campo addestramento, dove si sarebbero
svolti l'omicidio e il suicidio, fu progettata e costruita in un teatro
di posa a Londra. Kubrick era schiavo del dettaglio realistico, tranne
quando vedeva l'occasione di possibilità drammatiche. La vera area
delle latrine di Parris Island non aveva l'aspetto che il regista voleva:
«L'abbiamo fatta come una specie di licenza poetica>>, disse a Lloyd
Grove riferendosi alla sua interpretazione espressionistica dell'am-
biente: «Sembrava buffa e grottesca>>.
497
Per il sito della scena di battaglia che occupa l'ultima parte di Full
Meta/ Ja,·ket, Kubrick scelse una fonderia abbandonata degli anni
Trenta nel quartiere di Beckton sul Tamigi nella East London: un
tempo usato per l'estrazione del carbon fossile, l'impianto era stato
utilizzato per il remake di Nel 2000 non .rorge il .role, Orwe/1 1984.
Beckton era stato bombardato durante la seconda guerra mondiale e
gran parte dell'architettura industriale dell'area era stata progettata
dagli stessi architetti francesi che avevano lavorato a Hue in
Vietnam. Un certo numero di edifici a Beckton erano copie carbone
di quelli nei quartieri industriali di Hue.
Kubrick scoprì che l'area, di un paio di chilometri quadrati, appar-
teneva alla British Gas, che aveva in programma la sua totale demo-
lizione. La zona era isolata e poteva quindi essere chiusa come il ter-
reno di uno studio, salvo che il materiale presente era autentico e
non costruito dal nulla come la facciata posteriore deii'Overlook
Hotel di Shining. Kubrick trovò che la location fosse il posto perfetto
per mettere in scena le sequenze che si svolgevano a Da Nang, Phu
Bai e nella città imperiale di Hue, che era stata devastata nell'offen-
siva di Tet. Gli fu dato il permesso di usare l'area. A Lloyd Grave,
Kubrick disse: «Per una settimana abbiamo avuto una squadra di
demolitori che faceva saltare in aria edifìci, e lo scenografo ha passato
circa sei settimane con un tizio con una palla per demolizioni, sfon-
dando gli spigoli e creando rovine davvero interessanti, che nessuna
somma di denaro ci avrebbe mai permesso di costruire>>.
Durante le demolizioni, i dirigenti della British Gas portarono le
famiglie una domenica a vedere la troupe che faceva esplodere le
costruzioni. Poi il set fu completato con inferriate e altri elementi
architettonici. «In questo modo abbiamo ottenuto qualcosa di
unico, che non sarebbe stato possibile fare in alcun altro modo per
nessuna somma>>, disse Kubrick ad Alexander Walker. «Non penso
che alcun film abbia mai avuto modo di lavorare con rovine così
vaste e genuine; grazie alla geografia isolata del posto abbiamo
avuto modo anche di accendere fuochi enormi e di creare immense
colonne di fumo>>.
Anne Edwards si occupava delle Berkely Nurseries da vent'anni.
La società, che era stata fondata dal suo ex marito, forniva, affittava,
vendeva e manteneva piante per banche e società di pubblicità, desi-
gn e computer. L'attività della Edwards nel mondo del cinema ini-
ziò quando ricevette una telefonata inattesa da Staniey Kubrick, che
le chiese se era in grado di procurargli sessanta palme. «Io dissi:
"Sì", e gli chiesi quando gli servivano, garantendo la consegna, P01
mi domandai: "Che cosa ho fatto mai?">>, ricordava la Edwards
all' <<Observer>> di Londra.
498
La Edwards si recò personalmente in Spagna e fotografò trecento
diversi alberi di palma di varietà differenti. Ciascuno era identificato
e numerato, con tutti i dati precisi: altezza, lunghezza del fogliame e
la circonferenza. Kubrick studiò le fotografie e scelse gli alberi che
voleva usare per ricreare il Vietnam a Londra per Full Metal Jacket.
Le palme nordafricane scelte dal regista erano state piantate poco
dopo la seconda guerra mondiale. La Edwards seguì lo sradicamento
delle piante e la loro preparazione per il trasporto in Inghilterra: le
radici di ogni albero furono racchiuse nel gesso e gli alberi legati
insieme. La produzione pagò mille sterline per pianta, e si dovette
richiedere un permesso di esportazione per portare il tutto dalla
Spagna all'Inghilterra. Gli alberi furono controllati per assicurarsi
che non venissero usati per trasportare droga. Ogni giorno dovevano
essere bagnati con un idrante antincendio per tenere i tronchi umidi
e le foglie fresche. Il primo ordine di sessanta palme richiese cinque
rimorchi da dodici metri per trasportarle alla location una volta arri-
vate in Inghilterra: ogni pianta era alta nove metri, conservata in una
singola gabbia e trasportata in un involucro con un'intelaiatura spe-
ciale.
La Edwards andò al porto domenica notte, prima della scadenza di
lunedì, e fu sollevata nel vedere che i cinque rimorchi da dodici
metri erano arrivati. Scoprì più tardi che quella notte le palme ave-
vano avuto un altro visitatore: Kubrick era venuto per essere sicuro
che gli alberi fossero pronti per il suo Vietnam di Beckton. Quando
furono arrivati, il regista ne ordinò altri, arrivando alla fine a quasi
duecento palme. Per completare la vegetazione, migliaia di piante in
plastica furono spedite da Hong Kong e messe in posizione.
Dopo aver lavorato in Full Metal Jacket, la Edwards creò la Palm
Brokers, una società formata esclusivamente per offrire servizi a cine-
ma e televisione. La Palm Brokers avrebbe fornito la vegetazione per
Il giardino segreto, il film di James Bond 007 Zona pericolo, Quarto pro-
tocollo, L'impero del .role di Spielberg e molte pubblicità, video-clip e
spettacoli televisivi.
Per le scene in strada, Kubrick fece arrivare cinquemila immigrati
vietnamiti che vivevano a Londra, che dovevano popolare la zona e
farla sembrare la Da Nang nel 1968. Per completare il resto del
gruppo dei marines, una volta assegnati i principali ruoli con battu-
te, il regista scelse membri dell'esercito territoriale, la versione
inglese delia Guardia Nazionale degli Stati Uniti.
La scena di battaglia che conclude Full Metal Jacket era unica nel
cinema sul Vietnam, che di solito descriveva combattimenti nella
giungla in cui la logistica e il movimento delle truppe non sono
molto chiari, per via della natura paludosa del terreno. In F11ll Metal
499
Jacket, il campo di battaglia è chiaramente delineato. <<L'intera zona
di combattimento era un'unica area>>, disse Kubrick a Tim Cahill.
<<Esisteva nella realtà. Una delle cose che ho cercato di fare è stata di
darti un senso di dove ti trovi, di dove è tutto il resto. Che nei film
di guerra è qualcosa che spesso non hai. Il terreno dell'azione dei
commando è realmente la storia dell'azione. E questa è una cosa che
abbiamo cercato di rendere assolutamente chiara: c'è un passaggio
basso, c'è Io spazio delle costruzioni. E una volta che ti ci trovi den-
tro, tutto è esattamente dove era prima. Non ci sono stacchi di salva-
taggio, non si imbroglia. Così si trattava di dove sarebbe stato il cec-
chino e dove sarebbero stati i marines>>.
Con John Alcott che viveva e lavorava in America, Kubrick si
rivolse al suo assistente, Douglas Milsome, perché fosse il direttore
della fotografia in Full Meta! Jacket. Milsome era stato l'assistente
alla messa a fuoco di Alcott in Barry Lyndon, e in Shining si era occu-
pato della messa a fuoco e di girare parte del materiale della seconda
unità. Milsome aveva lavorato con Alcott per quindici anni e la sua
morte prematura aveva avuto su di lui un forte effetto. A Ron Magid
di <<American Cinematographer>>, Milsome dichiarò: <<Mi piacerebbe
continuare da dove John si è fermato. Pensavo che fosse un grande
direttore della fotografia e ho imparato moltissimo da lui mentre
lavoravamo per Stanley. La scomparsa di John è stata per me un tale
colpo che ho preso la decisione di cercare di perpetuare quello che
stava cercando di fare>>.
Milsome lavorò in F11ll Meta! ja.-ket per un anno e mezzo. Le ripre-
se principali richiesero un po' più di sei mesi, ma gran parte del
tempo fu impiegata nella preproduzione con Kubrick. <<C'è sempre
una quantità di cose da discutere con Stanley in preproduzione per-
ché nei suoi film c'è così tanto di cui occuparsi>>, disse Milsome a
Magid. <<Sono sempre grandi temi, così l'operatore è spesso chiamato
un po' prima del solito, non solo per controllare l'attrezzatura ma per
verificare ogni singolo aspetto di ogni possibile situazione all'ennesi-
mo grado. Richiede tempo per accurate discussioni. Nella prepara-
zione è tanto metodico quanto nelle riprese. A volte la preparazione
richiede tanto tempo quanto le riprese, spesso di più. Lui dà un
nuovo significato alle parole "meticoloso" e "metodico". Per quello
che riguarda l'illuminazione, è del tutto aperto alla discussione.
Costruiamo modellini dei sete discutiamo di come illuminarli, e poi
facciamo prove approfondite>>.
<<Ho avuto in effetti difficoltà molto maggiori lavorando con gente
con meno talento di Stanley. Ti prosciuga, ti risucchia completamen-
te, ma è il primo a lavorare duro e si aspetta che lo facciano tutti gli
altri. A volte diventa pesante perché è così lento e complesso, ma
500
adora fare le cose in modo molto diverso da tutto quello che è stato
fatto prima. Non si può veramente fare qualcosa così come ti viene,
così si lavora molto per ottenere insieme qualcosa di diverso che
porti il suo marchio. Tutto questo può essere un po' autoritario, e
tende a folgorarti e ad assorbire quasi tutto il tuo tempo. A volte il
rapporto può diventare un po' teso perché devi dedicarti solo a lui.
Mangi, bevi e dormi il film e sei sotto contratto con Stanley corpo e
anima. Ma ti concede il tempo di fare tutto perfettamente nel modo
giusto, che è quello che trovo così appagante>>.
Milsome aveva osservato anche, come era successo a Garrett Brown
nel lavorare con il regista in Shining, l'uso particolarissimo che
Kubrick faceva della composizione: <<La composizione di Stanley è
molto stilizzata. Il modo in cui mette la gente in posizione è sempli-
cemente sbalorditivo. Non troverai mai un'inquadratura di Kubrick
in cui si tagliano i piedi agli attori: ogni inquadratura è dalla vita in
su o a figura intera. Ciascuno dei suoi film ha quell'aspetto: molto
quadrato, molto equilibrato e simmetrico. Ogni volta le cose sono
sistemate esattamente al punto giusto. lo uso quello stile anche
quando non sto lavorando con lui, perché è il tipo di cosa che piace
anche a me. Anche l'uso dei grandangoli è tipicamente suo, e ci offre
una vasta area in cui manipolare l'azione. Abbiamo usato molti gran-
dangoli per comporre inquadrature interessanti, oltre a un sacco di
angolazioni strette delle stesse inquadrature, e Stanley avrebbe poi
staccato da un estremo all'altro>>, disse Milsome su «American
Cinematographer>>.
Il clou dello scontro dei marines con il cecchino contiene immagi-
ni notevoli. Quando gli uomini venivano colpiti, Kubrick usava il
rallentatore. A volte il regista girava con macchine ad alta velocità,
riprendendo cinque volte più in fretta per enfatizzare l'orrore e il
dolore degli uomini colpiti dalla pallottola del cecchino. L'inquadra-
tura più agghiacciante è quella in cui si scopre che il cecchino è una
giovane donna vietnamita, che si gira e spara sugli uomini che le si
stanno avvicinando. A Ron Magid, Milsome rivelò: <<Quella non fu
ottenuta semplicemente rallentando la pellicola. Abbiamo dovuto
mettere l'otturatore della macchina da presa fuori fase rispetto al
movimento del film, creando un leggero effetto stroboscopico verti-
cale. Mentre lei si muove su e giù nel voltarsi, le fiamme sembrano
stare ferme, e quando lei si sposta verso le fiamme, queste non si
muovono ma sembra che le sanguinino sul volto. In effetti la pellico-
la si sta impressionando in movimento, ed è questo che dà
quell'effetto stroboscopico. Normalmente la pellicola si ferma quan-
do l'otturatore è aperto, il che congela l'immagine, ma in questo
caso la pellicola si sta muovendo con l'otturatore aperto. Appena
501
appena fuori sincrono - forse un 25 per cento - ma basta a dare
l'effetto di una luce che nell'inquadratura dura quell'attimo di più».
Per la sequenza finale di F111l Meta! ja.·ket, quando i marines mar-
ciano attraverso la città in fiamme cantando la musica del Club di
Topolino, gli edifici circostanti furono fotografati alla luce di un ser-
batoio che conteneva undicimila litri di benzina incendiata. Gli
impianti per bruciare olio generavano fumo nero e un forte bagliore
rosso.
Gustav Hasford fece una visita a sorpresa nel Vietnam ricostruito
da Kubrick a Beckton, passando in Inghilterra per assicurarsi che il
film basato sul suo romanzo fosse effettivamente in lavorazione.
«Andai al set dove pareva che Stanley stesse girando, in un paesino
chiamato Beckton, vicino a Essex. È sul Tamigi, una centrale a gas
abbandonata», disse Hasford a Grover Lewis. <<All'epoca meditavo di
fare causa, e non avrebbe avuto senso se non ci fosse stato alcun film.
Mi portai dietro un paio di amici. Ci vestimmo con tute mimetiche.
La nostra idea era che stessero girando e che ci saremmo potuti sem-
plicemente mescolare alle altre comparse. Entrammo e questo picco-
lo assistente ci portò alla tenda dei viveri mentre qualcuno controlla-
va chi ero. Mangiavamo ciambelle e l'assistente chiese: "Chi siete?
Perché siete venuti?". lo dissi: "Beh, sono il tipo che ha scritto il
libro su cui è basato questo film". I suoi occhi si illuminarono e
disse: "Scherzi! Sei tu il tizio? Sei proprio tu?". Io dissi: "Già, già, ho
scritto il libro". Lui disse: "Beh, voglio stringerei la mano, perché
Di.rpahhes è il libro più bello che abbia mai letto". "Eh, lo penso
anch'io", dissi>>.
La vecchia fascinazione e ammirazione di Kubrick per l'epoca del
muto lo portò alle scelte di regia in Full Meta! }a<"ket. Il suo desiderio
era di far sì che il film comunicasse con le immagini e con un dialo-
go ridotto e succinto. Kubrick disse a Francis X. Clines che voleva
che «l'economia della frase strutturale fosse il più vicina possibile al
film muto>>, perché trovava il dialogo di Full Meta! ]a<"ket «quasi
poetico nella sua qualità grezza, quasi scavata>>.
Tony Spiridakis era in Inghilterra a lavorare in Il giustiziere della
notte 3 per il regista Michael Winner, quando sentì dire che Stanley
Kubrick riceveva provini su nastro di potenziali attori per un nuovo
film: «Ci andai subito. Il suo assistente Leon Vitali stava seguendo le
audizioni ed era completamente impegnatO>>. Spiridakis, che si era
formato come attore teatrale alla Yale Drama School, aveva interpre-
tato il catcher nella serie televisiva di Steven Bochco "The Bay City
Blues", e aveva scritto e interpretato Sognando Manhattan, dichiarò:
«Lo beccai in un momento di pausa e gli dissi: "Guarda, sono qui.
Ne ho sentito parlare all'ultimo minuto", e lui mi fece passare alla
502
fine della giornata. Un paio di giorni dopo Leon chiamò e disse:
"Stanley vuole sentirti meglio" e tutto cominciò così. Così mi
mandò un paio di fotocopie delle pagine di sceneggiatura per due
ruoli diversi e io tornai e feci un altro provino per le due parti».
Spiridakis provò la parte di capitan Gennaio e del capitano Lockhart.
«Feci il provino un paio di volte. Mi piaceva davvero Leon, era forte.
Leon faceva tutto. La mia immagine di Leon Vitali è di lui che aveva
letteralmente appunti e numeri di telefono scritti con la biro diretta-
mente sulla pelle, dalla punta delle dita fino in cima alle spalle>>.
Oltre al casting, Vitali aiutava gli attori nel dialogo, recitava le bat-
tute e fungeva da collegamento fra loro e Kubrick. «Così, ci crediate
o no, Stanley disse: "Decide Tony, va bene quello che vuole lui, una
qualsiasi delle due parti". Uscii a prendere un caffè con Leon per,
diciamo, deliberare e fummo d'accordo che capitan Gennaio aveva il
maggior impatto>>.
Spiridakis lavorò in Full Meta! }afket per cinque settimane. Si fece
tutto il programma di addestramento con Lee Ermey e gli altri attori
che interpretavano le reclute dei marines. «Lee era presente per
tenerci in tensione, ci arrivava in faccia e la preparazione era sia psi-
cologica che fisica>>, ricorda Spiridakis.
In questa fase, la sceneggiatura di Full Meta! }afket conteneva una
parte in cui il soldato Joker andava a Phu Bai a trovare capitan
Gennaio. <<Il film era diviso in tre parti, c'era il terzo di Parris Island
- che era il campo di addestramento - e poi c'era il pezzo centrale,
dove si verificava la vera disillusione di Joker. Il personaggio veniva
disilluso da tutta la macchina propagandistica del corpo dei marines.
Da giornalista, si rendeva conto che la realtà del giornalismo aveva a
che fare solo con la falsificazione. Quella era una parte affascinante
del percorso del personaggio. Era tutto un terzo in mezzo che non
comparì nel film. Così Joker andava da Parris Island -che di per se
stessa era già una forte delusione - dritto nella follia del combatti-
mentO>>.
Il montatore Martin Hunter mostrò a Spiridakis le scene in cui
l'attore appariva. Capitan Gennaio era un ufficiale pazzo affine al
personaggio di Robert Duvall in Apocalyp.re Now: <<Giocava a
Monopoli con sold~. veri. La sua idea di una cosa meravigliosamente
nobile era rispedire alla sua fidanzata la testa di un muso giallo>>.
Spiridakis era in due scene. In una gioca a Monopoli con Joker, e
nell'altra discute la conta dei cadaveri. Le scene con capitan Gennaio
erano state girite a Londra, in un set che riproduceva un ambiente di
giungla vietnamita più tradizionale.
<<Sapevo molto poco di Kubrick, così mi sconvolse scoprire che era
solo un tizio del Bronx e io ero un tizio del Queens. La cosa mi stese.
503
Non mi capacitavo proprio. Quando trovi qualcuno così mitologica-
mente leggendario come Stanley Kubrick e scopri che viene da
Kingsbridge Road, c'è da impazzire>>.
«Ero tornato a New York e mi ero abbronzato perché stavo nelle
scene della giungla. Quando tornai a Londra, Stanley era fuori di sé
perché ero molto più scuro di tutti gli altri attori. Subito dopo mi
ritrovai a essere portato continuamente avanti e indietro dal trucca-
tore e dal parrucchiere. Continuavano a mettermi diversi tipi di fon-
dotinta e cominciarono a provarmi dei baffi. Stanley stava cercando
di cambiare il mio aspetto in quello di un portoricano. Alla fine
venne fuori la cosa del Queens e io non ci vidi più. Dissi: "Senti, ho
fatto le mie ricerche, è così che sarei se avessi fatto un paio di giri da
queste parti!". Quando mi arrabbiai, pensavo davvero che mi avreb-
bero licenziato. Diedi proprio di fuori e Stanley mi guardò, questo
gran sorriso gli si dipinse sulla faccia e il giorno dopo tutti quegli
attori erano a farsi la lampada. Il giorno dopo Matt Modine disse:
"Grazie tante, mi devo alzare un'ora prima e farmi la lampada". Alla
fine, Stanley l'aveva vista come una buona idea. Avevano cominciato
a prendermi in giro perché ogni mezz'ora arrivavo con un paio di
baffi nuovi. Tutti facevano le imitazioni: "Capitano Rodriguez, non
ci servono quei distintivi del cavolo!". Era una gag ricorrente e
cominciavo a rompermi le scatole. Così ci avevo provato, ci avevo
pensato bene e avevo deciso che io avevo ragione e loro si sbagliavano
e Stanley era stato d'accordo con me. Fu eccezionale da parte sua per-
ché gli sarebbe stato più facile !asciarmi perdere che mandare tutti
quei ragazzi sotto le lampade. Da quel momento mi innamorai di
Stanley; eravamo molto vicini, andavamo veramente d'accordo».
Kubrick girava in video molte prove con gli attori e a volte le
montava in sequenza. Ricorda Spiridakis: <<Se stanno cambiando le
luci e c'è un attimo di pausa ti porta in una stanza e ti fa vedere una
prova».
«Alla fine della giornata sei esausto, sei stato davvero spinto al
limite. Veramente riesce a tirar fuori il massimo dai suoi attori come
un grande allenatore di basket riesce a fare con i suoi atleti al colle-
ge. Ti pungola per tirarti fuori il meglio. Alla fine sei esaurito ma ti
senti splendidamente>>.
«Quando Matte io facevamo la scena del Monopoli, in una capan-
na, c'era una comparsa che ci stava dando dentro un po' troppo.
Stanley venne da me e disse: "Quel tizio sta proprio esagerando,
vero?" e io dissi: "Beh, decisamente sì". Cominciamo il ciak successi-
vo e all'improvviso Stanley è seduto nella sedia del tipo e sta recitan-
do la scena fuoricampo. Stanley voleva esserci. Stava veramenre reci-
tando. Era incredibile. È un regista così analitico. Dava l'impressio-
504
ne di saltare in giro e fare tutto. A un certo punto della scena aveva
un monitor in grembo, aveva la cuffia in testa- era proprio coperto
di attrezzatura>>.
<<Dopo dieci o dodici ciak diceva: "Andiamo a farci un giro" e
andavamo a fare una passeggiata. Come un atleta, potevi spingerti
solo fino a quel punto e poi dovevi ritirarti. Parlavamo a lungo di
diversi attori. Tutto il processo creativo ce l'aveva proprio nel san-
gue. In qualsiasi professione si incontrano pochissime persone che
possono lavorare così duro e mantenersi equilibrate. A un livello
vuoi essere la persona più competitiva del mondo e all'altro vuoi
essere un Buddha e non finalizzare tutto al risultato, per cui è una
enorme contraddizione- può fare a pezzi una persona- ma Stanley
ha la capacità di lavorare duro tutto il tempo ma mantenere sempre
l'equilibrio. È come un bambino, ma sofisticato come un vecchio
saggio, è entrambe le cose insieme. Piuttosto che andare nella rou-
lotte, appoggiava la testa alla tua spalla e chiudeva gli occhi. È inna-
moratissimo dell'atto di recirare, e dell'atto fisico di fare il cinema>>.
<<Mi fece dei grandi complimenti per la recitazione e io ne fui
molto commosso. Diceva sempre: "Mi ricordi qualcuno". Alla fine,
dopo un paio di settimane, disse: "So chi. Se Ben Gazzara e John
Cassavetes avessero un figlio, saresti tu". La cosa mi stese totalmente
e così dopo mezz'ora gli dissi: "Se Rasputin e Babbo Natale avessero
un figlio, saresti tu". È quello l'incrocio che verrebbe fuori. C'è un
po' di Rasputin in lui e ti viene decisamente voglia di abbracciarlo.
Quei due personaggi per me sono Stanley: di uno hai paura e l'altro
vorresti abbracciarlo>>.
<<È molto spiritoso e alla mano, racconta aneddoti eccezionali su
George C. Scott e su pezzi di attrezzatura che ha inventato. Disse:
"Vedi questo occhiaie? L'ho inventato io e non ci faccio un soldo per-
ché non sono stato a sentire mia moglie, ma questa cosetta l'ho
messa insieme io">>.
Quando il film fu assemblato, Spiridakis fu tagliato al montaggio.
Kubrick chiamò personalmente l'attore per dirglielo. <<Mi chiamò e
disse che c'era un cinquanta per cento di probabilità che io fossi
tagliato dal film e che gli dispiaceva molto. È così che lo fece, non
lasciò che lo scoprissi vedendo il film. Apprezzai molto. Un mio
amico è amico di sua figlia, e Vivian disse quanto era spiaciuto a suo
padre tagliarmi via e che mi adorava. Io lo adoravo. Sapeva quanto
era duro per me essere tagliato e ci stava veramente malissimo. Hu
un punto debole nel cuore, anche se la cosa mi sconvolgeva. Ciò che
è successo era inevitabile e lui si comportò da perfetto gentiluomo.
Era la dimostrazione che avevamo un legame. Non avrei potuto chie-
dere di essere trattato meglio di cosÌ>>.
505
<<Sono sempre stato affascinato dal regista, ma di persona penso che
sia molto piLt affettuoso di quel che avevo sentito dire. Il modo in
cui lo caratterizzano lo trovo semplicemente insensato. Con me era
affettuoso, divertente, davvero una presenza calda. Con tutta la follia
del lato tecnico della lavorazione, era sempre lì con un luccichio
negli occhi. Proprio adorava quella roba. Era come un ragazzino.
Quella sensazione che aveva nel sangue lo rendeva felice>>.
I giovani attori di Kubrick funzionavano come una squadra mili-
tare. Svegliati all'alba per fare il lungo viaggio in autobus fino alla
location, avevano sviluppato un certo spirito cameratesco che nasce-
va dalla comune sopravvivenza ai turni di servizio durante la lavo-
razione di Full Meta! Jac-ket. Le riprese erano molto pesanti dal
punto di vista fisico, le scene di battaglia così realistiche che l'atto-
re Dorian Harewood temette che il continuo e intenso suono di
esplosioni e sparatorie avesse danneggiato il suo udito, e andò due
volte a farsi visitare da un dottore, preoccupato di essersi perforato i
timpani. «Spero di non trovarmi mai più vicino di così a una guer-
ra>>, dichiarò Harewood ad «American Film>>: «Tutto il tempo,
tutte quelle attese, ci avevano trasformato in una "unità", proprio
come nel film. Eravamo lì in divisa, con i fucili in grembo, al
caldo, seduti nello sporco e nei detriti e aspettavamo e aspettava-
mo, fumando, giocando a carte e restando per mesi lontani da casa e
dalle nostre mogi i. Erct l'esercito!>>. Le riprese si trascinarono dalla
calda estate del 1985, che inflisse all'Inghilterra un caldo soffocante
che aiutava a riprodurre l'atmosfera del Vietnam, e si conclusero nel
settembre 1986. Proprio nel mezzo del programma di riprese,
l'auto di Ermey aveva avuto un incidente nella foresta di Epping
scivolando fuori strada all'una di notte, e l'attore si era fratturato
tutte le costole di un fianco. L'incidente, che per poco non era stato
fatale a Ermey, aveva costretto Kubrick a chiudere la produzione
. .
per cmque mesi.

Mentre Stanley Kubrick dirigeva il suo dodicesimo lungometrag-


gio, morirono i suoi genitori. Gertrude Kubrick morì il 23 aprile
1985 a Los Angeles, mentre F11ll Meta! jm·ket era nelle ultime fasi di
preproduzione. Aveva ottantadue anni. Sei mesi dopo, il 19 ottobre,
anche Jacques Kubrick morì al Cedars-Sinai Medicai Center di Los
Angeles, di polmonite batterica. Aveva ottantatré anni. I Kubrick si
erano trasferiti nel 1965 in Caiifornia, dove jacques aveva onenuco
un permesso per esercitare la professione medica. La coppia abitava
in Avenue of the Stars 2222. Gertrude e Jacques furono sepolti fian-
co a fianco al B'Nai Abraham Memoria! Park di Union, nel NeW
Jersey.
506
Il testamento di Gertrude aveva lasciato a Jacques tutti i suoi effet-
ti personali. Jacques fece in modo che dopo la sua morte la loro pro-
prietà fosse distribuita secondo i desideri di Gertrude. A proposito
della famiglia, Gertrude riconosceva il successo di suo figlio. Nel suo
testamento si legge: <<Dal mio matrimonio ho due figli viventi,
Stanley Kubrick e Barbara Kroner. Non ho altri figli. Intenzional-
mente nel testamento ho provveduto solo a mia figlia Barbara e alla
sua discendenza, poiché mio figlio Stanley e la sua discendenza sono
già adeguatamente sistemati>>.
Il grosso della proprietà Kubrick fu distribuito equamente nella
famiglia di Robert e Barbara Kroner. A Toba Metz Kubrick Adler, a
cui Gertrude si riferiva come <<mia amica>>, furono lasciati 20.000
dollari e due anelli. A loro figlio Stanley furono dati <<tutti i premi,
le targhe e altri articoli analoghi offerti in dono a Stanley Kubrick (a
suo nome) che erano stati in precedenza dati da Stanley Kubrick ai
defunti>>. Alla loro nuora, Christiane Kubrick, furono restituiti
<<tutti quei quadri che aveva dato ai defunti>>. Il testamento di
Jacques restituiva alla nipote Anya Kubrick <da poesia a punto croce
che aveva dato al defunto all'età di undici anni>>.
Molti altri effetti personali furono distribuiti a membri della fami-
glia e ad amici. L'asse ereditario provvedeva anche a ripagare i presti-
ti che Stanley aveva offerto affettuosamente a suo padre dopo la
scomparsa di sua madre.
Oltre alla perdita di entrambi i genitori, la vita di Kubrick ebbe
anche un evento gioioso. Sua figlia Katharina aveva dato alla luce un
figlio, Alexander Philip Hobbs, il 20 gennaio 1985 all'Ospedale di
St. Mary a Westminster, rendendo Stanley Kubrick nonno e il suo
coproduttore, Philip Hobbs, padre.

Kubrick conduceva lunghe prove con gli attori e riprendeva ogni


scena tre o quattro volte su nastro in modo da poterla analizzare.
Continuava a girare una gran quantità di materiale, arrivando a set-
tantacinque ciak per inquadratura, che poi stampava e visionava.
<<Perché non vedere tutto?>>, diceva Kubrick ai suoi attori, spiegando
che la pellicola era l'elemento meno costoso dell'operazione.
La scena di apertura nel campo di addestramento reclute fu ripresa
venticinque volte prima che Ermey avesse l'incidente. Douglas
Milsome notò che, dopo la guarigione, l'interpretazione dell'attore
sembrava migliorata dalla dura esperiema.
Kubrick continuava a essere criticato per il fatto di girare tutti
quei ciak con i suoi attori. La quantità astronomica di ciak per
Shining era presto diventata una leggenda dell'ambiente, ma
.Kubrick insisteva che fosse stata necessaria. Il regista disse a Jack
507
Kroll che la cosa che lo irritava di più era il mito che lui fosse <<un
perfezionista fuori di testa che gira cento ciak». <<Succede quando gli
attori non sono preparati>>, disse Kubrick a Tim Cahill. <<Non puoi
recitare senza conoscere il dialogo. Se gli attori devono pensare alle
parole, non possono lavorare sull'emozione>>. A Jack Kroll il regista
spiegava: <<Un sacco di attori oggi sono mal consigliati da maestri
che dicono loro di non inchiodarsi sulle battute>>. <<Così finisci a fare
trenta ciak di qualcosa. E ancora puoi vedere nei loro occhi la con-
centrazione; non conoscono le battute. Così la giri, e la giri, e speri
di paterne tirare fuori qualcosa pezzo per pezzo>>, disse Kubrick a
Tim Cahill. <<Ora, se l'attore è un tipo simpatico, va a casa e dice:
"Stanley è un tale perfezionista, fa cento ciak di ogni scena". Così i
miei trenta ciak diventano cento. E io mi becco questa reputazione.
Se facessi cento ciak di ogni scena non finirei mai un film. Lee
Ermey, per esempio, passava ogni secondo libero con il dialoghista e
sapeva sempre le battute. Suppongo che Lee abbia una media di otto
o nove ciak, a volte ce l'ha fatta in tre, perché era preparatO>>.
<<Stanley ha sempre fatto moltissimi ciak, ma in effetti non si trat-
ta semplicemente di ripetizioni della stessa cosa, spesso hanno origi-
ne da un tema o da un'idea che può maturare e svilupparsi in qualco-
sa di straordinario>>, disse Douglas Milsome a Ron Magid. <<L'intera
struttura di una scena può cambiare durante l'atto di riprenderla.
Inoltre Stanley riesce a ottenere molto di più dai suoi attori quando
ci lavora più a lungo. È un metodo prezioso soprattutto per tirar
fuori qualcosa da attori che magari non sono esattamente all'altezza
della parte, ma Stanley ci lavora su duramente fino a quando produ-
cono quello che ci vuole. È per questo che è così bravo con gli attori:
alla fine li fa provare e riprovare fino a quando sono perfetti su ogni
parola, e quando arrivano a questo punto deve succedere il resto -
devono recitare. L'alto numero di ciak serve soprattutto a tirar fuori
dagli attori qualcosa che non sono disposti a dare subito.
Naturalmente la cosa pesa anche sulla troupe, ma è molto più dura
per gli attori che per noi. Una volta che hai fatto una scena di otto o
dieci minuti un certo numero di volte, dopo la trentesima o la rren-
tacinquesima, ce l'hai dentro. In realtà non arriva sempre a farne così
tante. In Full Meta/ jaL"ket ci sono stati casi in cui abbiamo fatto
qualcosa di più di venticinque o trenta ciak, ma di solito la media
non supera i dieci o quindici ciak, anche se può capitare che si torni
indieuo più tardi per rigirare qualche scena>>.
La musica per Full Meta/ jaL"ket fu composta da Abigail Mead. Ad
Alexander Walker, Kubrick disse che voleva che la colonna sonora
evitasse <<ogni precedente associazione musicale che possa essere
innescata da strumenti da orchestra convenzionali>>.
508
Di Abigail Mead si sapeva poco, solo che F11ll Meta! Jacket era la
sua prima colonna sonora cinematografica e che la musica originale
era stata eseguita su un computer musicale Fairlight Series III. Il
nome della Mead appariva nei titoli e sulla copertina dell'album ori-
ginale della colonna sonora del film.
Il 28 gennaio 1988, mentre la corsa ali 'Oscar 1987 cominciava a
scaldarsi, un articolo di Robert Koehler sul «Los Angeles Times>>
rivelò che Abigail Mead era in realtà Vivian Kubrick, pubblicando
una foto della figlia minore di Kubrick - ora ventisettenne e molto
somigliante a suo padre - seduta nel suo studio musicale. Era la
terza volta che Vivian lavorava in un film di Stanley Kubrick: la
prima era stata la sua apparizione nel ruolo della figlia del dottor
Floyd sullo schermo di un videotelefono in 200 l, la seconda la sua
collaborazione al settore scenografia di Shining e la regia di un docu-
mentario sulla lavorazione del film. In Full Meta! Jacket, oltre a com-
porre la colonna sonora originale, Vivian compariva in una scena
dove i soldati e la stampa restano davanti alla tomba aperta di un
vietnamita morto.
Per il trailer del film, Kubrick aveva inizialmente ordinato una
musica di tamburi giapponese, ma non gli era piaciuta e aveva chie-
sto a Vivian di studiare un brano musicale da usare come alternativa.
<<Gli è piaciuto così tanto quello che gli ho dato che mi ha chiesto di
fare la colonna sonora>>, disse la ragazza a Robert Koehler.
Vivian aveva deciso di cambiarsi il nome perché voleva che il suo
lavoro fosse giudicato per i suoi meriti. La sua prima scelta per lo
pseudonimo fu Moses Lumpkin. <<Stanley ne fu orripilato>>, raccontò
la Kubrick a Koehler, riferendosi a suo padre per nome. <<Allora pen-
sai alla casa in cui viveva la nostra famiglia, dove eravamo stati bene
per tanto tempo, e che come molte case inglesi aveva un nome:
Abbot's Mead. Abbot divenne Abigail e allora Stanley fece cercare da
qualcuno il significato del nome. Il suo antico significato è "un
padre si rallegra". Adora le coincidenze, e questa gli piacque vera-
mente>>.
Quando la colonna di Full Meta! Jacket fu presentata al settore
musicale deii'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, fu
respinta all'unanimità dai ventotto membri della commissione, con
la motivazione che non conteneva una quantità sufficiente di mate-
riale originale per essere qualificata. Il musicista John Addison, pre-
sidente della commissione, disse: «C'erano momenti chiave del film
che usavano canzoni pop. Il cinquanta per cento non era {della
Mead}. Significativamente, l'impressione dell'intera commissione è
stata che le canzoni avessero un ruolo chiave nel film come musica
originale. Cii'> che la Mead ha scritto, per quanto efficace, non costi-
509
tuiva un corpo sufficientemente sostanzioso di musiCa per il com-
mento drammatico>>.
<<Penso che sia ingiusto ritenerla non qualificata per via della
quantità o della percentuale di musica che è mia», disse Vivian a
Robert Koehler, in un'intervista telefonica da Londra a Los Angeles.
«Io non so se il ragionamento della commissione regga. Sarei sorpre-
sa se nella colonna sonora ci fosse più musica pop che musica scritta
da me>>. Jan Harlan, parlando nelle vesti sia di produttore esecutivo
di Stanley Kubrick che di cognato e zio della musicista, dichiarò:
«Penso che sia assurdo definire il suo lavoro non sufficientemente
sostanzioso. È una colonna sonora meravigliosa che porta avanti la
narrazione drammatica>>.
Realizzata al sintetizzatore, la colonna sonora creava suoni di
atmosfera che danno la sensazione acustica di porte che cigolano su
cardini arrugginiti e altri effetti ambientali che molti giudicarono
innovativi, ma Addison commentò: «Ripetere una sequenza di tam-
buri per due minuti non è stato particolarmente fantasioso>>.
Vivian spedì le pagine della colonna sonora al «Los Angeles
Times>> per mostrare che la sua composizione originale durava venti-
due minuti e ventisei secondi e che le canzoni arrivavano a diciasset-
te minuti e trentanove secondi. Questi tempi non includevano però
quattro minuti costituiti dalle cadenze di marcia di Lee Ermey,
lasciando a Koehler la supposizione che, aggiungendo queste ultime,
si arrivasse al rapporto cinquanta-cinquanta che secondo la commis-
sione escludeva Abigail Mead dalla possibilità di concorrere agli
Oscar.
Un membro anonimo del comitato disse a Koehler che il pareggio
aveva indotto a un esame più attento del film e che la decisione fina-
le si era basata sull'impressione della commissione che le canzoni
pop dominassero nel complesso la colonna sonora di Full Meta!
}Mket. Il problema era che nel 1986 il musicista jazz Herbie
Hancock aveva vinto l'Oscar come miglior colonna sonora originale
per 'Round Midnight - A mezzanotte cina, ma molti avevano discusso
la vittoria perché la musica era costituita più dagli arrangiamenti di
Hancock di jazz tradizionale che da una sua colonna drammatica ori-
ginale. Il regolamento del 1987 era così stato rivisto per includere il
seguente passo: «Colonne sonore diluite dall'inserimento di musica
non scritta dal compositore o preesistente>> non possono partecipare.
Addison spiegò: «Queste regole sono un tentativo di fissare linee
guida per valutare colonne sonore per risultati eccezionali. La nuov~
regola era stata inserita per aiutare a rendere più pratici i criteri dJ
valutazione dell'eccellenza. [La colonna sonora] può piacere al regi-
sta, ma questo non ne fa un'ottima colonna sonora>>.
510
<<In nessun modo avrebbe lavorato su un film per quattro anni per
poi rischiare tutto con una brutta musica scritta da qualcuno della
sua stirpe», disse Vivian Kubrick a Robert Koehler. <<Credeva in me,
credeva che avessi realizzato una buona colonna sonora». Fuori gara
per la categoria della miglior musica, Full Meta! Jarket ricevette una
sola candidatura ali 'Oscar: Kubrick, Herr e Hasford ebbero una
nomination per la miglior sceneggiatura non originale.
Full Meta! }ctrket aveva anche una colonna composta da canzoni
pop dell'epoca come Chaj1e! of Love, Wooly Bu!!y, The.re Boots Are Made
for Wa!king e Smfin' Bird. Metodico come sempre, Kubrick studiò le
classifiche Billboard della Top l 00 fra il 1962 e il 1968 e provò
molte canzoni prima del montaggio finale.
L'album della colonna sonora originale conteneva un brano intito-
lato Full Meta! Jarket, un rap dei marines condotto da Lee Ermey che
non era nel film ma che fu distribuito come singolo. Il brano, pro-
dotto da Vivian Kubrick e dal chitarrista Nigel Goulcling, raggiunse
la posizione numero due nelle classifiche pop inglesi e vendette bene
in Europa.
Circolavano voci che Full Meta! Jarket fosse stato progettato in ori-
gine come un film molto più cruento. Molti critici riportarono che
una scena che descriveva una partita di calcio con la testa eli un viet-
cong decapitato era stata tagliata dal film, ma la notizia è priva di
fondamento. Robert Koehler del <<Los Angeles Times» poté vedere
la sceneggiatura definitiva, che rivelava scene violente previste e che
poi non erano apparse nel film completato. Koehler riportava che lo
script conteneva un momento in cui Animai decapitava il cecchino
nella scena finale. Koehler era presente a una prima proiezione del
film con Aclam Balclwin, e notò che l'attore era deluso che la scena
fosse stata tagliata.
J ulian Seni or della Warner Bros. negò che il film fosse stato altera-
to dopo le prime proiezioni, ma disse in effetti che in una certa fase
il film iniziava diversamente. <<In origine, il film cominciava al fune-
rale di Joker>>, disse Senior a Koehler. <<Era tutto raccontato in un
flashback. Ma {Kubrick} decise che era sbagliato, che così avrebbe
raccontato già tutta la storia prima che fosse stata data la possibilità
di vederla. Ciò che importa è l'affermazione di vita di Joker>>.
Gustav Hasford non aveva un agente o un avvocato. Kubrick e
Herr volevano che allo scrittore fosse riconosciuto un credito a parte
per i dialoghi. Hasford pensava di aver contribuito tanto quanto
Stanley Kubrick e Michael Herr e aveva l'impressione che Herr fosse
fortemente contrario a fargli avere il suo stesso credito nel film.
<<Può darsi che io abbia un po' brontolato>>, diceva Herr nell'articolo
cli Grover Lewis su Hasford. <<Probabilmente pensavo eli aver avuto a
511
che fare con questa cosa per così tanto tempo. Ma non ne feci un caso
di Stato. Non fu una cosa difficile convincermi a dividere con Gus il
credito. Deve sapere cosa penso del suo lavoro. E se non lo sa vorrei
che lo sapesse. Ho sempre pensato che lo si dovesse consultare su
questa cosa. Il fatto che io non sia in contatto con Gus non significa
niente. Per me non è una cosa così drammatica. Certamente ci vuole
qualcosa di molto più grave di questo per rovinare un'amicizia>>.
Il disaccordo sui crediti della sceneggiatura di Full Meta/ Jacket
continuò per tutta la lavorazione del film. A Grover Lewis, Gustav
Hasford disse: <<Abbiamo litigato per un anno e mezzo. Dal mio
punto di vista, mi meritavo il pieno credito. Ho sentito tutte le
argomentazioni contro il mio atteggiamento da Stanley, la Warner
Bros. e Michael Herr, e non mi sono mai convinto che avessero qual-
che validità. Ho insistito fino a quando ho vintO>>.
Dopo che la sceneggiatura fu completata e la lunga guerra sulla
paternità di Full Meta/ Jacket fu chiusa, Gustav Hasford andò a
Perth, in Australia, per rimettersi dalla dura esperienza. In una lette-
ra a Grover Lewis, Hasford scrisse: <<Nel mondo cinico di Los
Angeles, in cui gli accordi dell'industria dello spettacolo sono tratta-
ti nei vialetti nascosti durante i cocktail, come negli scarti autoironi-
ci di un comico film noir, forse potremmo inserire questa nota alle-
gra di (temporaneo) ottimismo: ho vinto la mia battaglia con Stanley
per il credito. Ho battuto Stanley, City Hall, i poteri occulti e tutti
gli avvocati della Warner Bros., fino al supremo avvocato capo.
Come direbbe un mio piccolo amico canuck: Li ho pigliati a calci nel
culo>>.
<<Michael {Herr] e io eravamo diventati buoni amici fino alla
disputa sul credito>>, disse Hasford a Grover Lewis. <<Per quanto ne
so, continua a non volermi più parlare. Io gli parlo ma lui non mi
risponde. Nella sceneggiatura c'era tanta roba mia quanta ce n'era
di sua, ma lui sembra tuttora interpretare il fatto che io abbia otte-
nuto il pieno credito come un'intrusione sul suo terreno. Tipo, chi è
questo intruso. Ma in effetti io ho lavorato sulla sceneggiatura per
quattro anni. Avevo proprio scritto cose, cioè scene e commenti.
Spedivo il mio lavoro a Stanley, e senza dubbio Stanley stava facen-
do scrivere a Michael la stessa scena. Poi Stanley ci lavorava su come
voleva lui. Per qualche motivo, Stanley aveva dato a Michael un bel
po' del mio lavoro da guardare, ma io non lessi mai niente di quello
che Michaei scriveva per il film. In realtà non ne parlavamo molro.
Voglio dire, ne parlavamo in termini generici, tipo: "Quando finisce
'sto scemo?". Stanley mi piace. Stanley è divertente e umano e non
eccentrico come forse preferirebbe apparire. Il mio film preferito è I(
dottor Stranamore e Orizzonti di gloria è uno dei grandi classici del
512
film di guerra. In qualsiasi momento sono pronto a offrire un bic-
chiere a Stanley, magari due>>.
I titoli definitivi di F111l Meta/ Jacket dicevano: «Sceneggiatura di
Stanley Kubrick, Michael Herr, Gustav Hasford>>.
Nella prefazione all'edizione in volume della sceneggiatura di Full
Meta! Jacket, Michael Herr riassume le sue sensazioni sul fatto di
avere scritto per Stanley Kubrick: <<Quando nel 1952 uscì Viva
Zapata.', gli annunci sfoggiavano una lode smisurata di John
Steinbeck, qualcosa come: «II più grande film di tutti i tempi>>.
Ricordo come mi sono sentito quando ho scoperto che John
Steinbeck aveva anche scritto la sceneggiatura. Senza avere le parole
per dirlo, fui scioccato dall'immodestia, dallo sfacciato conflitto di
interessi. Ma avevo solo dodici anni, allora, e non avevo mai scritto
per il cinema. Almeno dal giorno in cui ha visto l'espressione full
meta! jacket su un catalogo di armi e l'ha trovata "bellissima e toccan-
te, e quasi poetica", Stanley ha portato il libro e lo script, il cast e i
tecnici nella sua ossessione. Ne saremmo usciti quando fosse uscito il
film. Non è solo il film che viene lasciato andare quando si finisce
un film potente>>. Kubrick usava di nuovo il credito possessivo -
«Full Meta/ ]acket di Stanley Kubricb> - voleva attribuirsi tutto il
film.
Fu studiata una campagna pubblicitaria con lo stile grafico sempli-
ce e audace che Kubrick prediligeva. I poster mostravano un elmetto
mimetico con una fila di pallottole jit!l meta! jacket, un distintivo con
il simbolo della pace e le parole «Born to Kill,,2 dipinte in nero. Per
vendere il film furono usati slogan come «Il Vietnam può uccidermi
ma non far sì che me ne importi qualcosa>> e «In Vietnam il vento
non soffia, succhia>>:l.
Full Metal]acket diede a Kubrick l'occasione di attaccare il mondo
militare e quello dei mezzi di comunicazione. Senza cercare l'aperto
umorismo nero di Il dottor Stranamore, in Full Meta/ Jacket il regista
mantiene un livello costante di cinismo. Una sequenza in cui la
troupe di un documentario intervista i marines nel Paese diede a
Kubrick l'opportunità di esplorare il modo in cui la guerra era per-
cepita. Ad Alexander Walker disse che la sequenza <<Sembrava un
modo molto economico di rappresentare uno spaccato degli atteg-
giamenti prevalenti sul Vietnam e allo stesso tempo prendere in giro

2 «Naro per uccidere».(N.d.T.)


3 "To mck" ("succhiare") significa in gergo "l'are schifo". Lo slogan suggerisce sicura-
rnenre anche un doppio senso basaro sull'uso gergale del verbo "to bloll'" ("soffiare") per
indicare l'arra del "blou·-job", il nosrro "pompino". (N.d.T.)

513
i mezzi di comunicazione>>. Le scene che si svolgono durante le riu-
nioni di redazione del giornale dei marines furono pensate in modo
da dare l'impressione che <<avessero apparecchiato le loro notizie sul
modello dei film hollywoodiani degli anni Quaranta>>.
Platoon, il film che segnò la svolta nella carriera di Oliver Stone,
era uscito nel 1986 e aveva vinto I'Oscar come miglior film, miglio-
re regia, miglior montaggio e miglior suono, appena qualche mese
prima che uscisse Full Meta! Jacket. Critici e spettatori misero a con-
fronto i due film e i loro diversi punti di vista. Platoon era un film di
guerra più tradizionale e si concentrava sui soldati, gli aspetti fisici
del combattimento e una descrizione realistica dell'esperienza del
Vietnam. I precedenti film sul Vietnam, come Tornando a ca.ra e
Apocalyp.re Now, erano nati come diretta reazione alla guerra.
Tornando a casa ne descriveva gli effetti negli Stati Uniti e Apocalyp.re
Now ne proponeva una interpretazione espressionistica. I berretti verdi
di John Wayne aveva scelto la strada dell'apologia, ed era macho e
propagandistico, mentre Vittorie perdute di Ted Post, del 1978, era
forse stato il primo tentativo di affrontare con onestà la guerra e gli
uomini che l'avevano combattuta. La guerra del Vietnam secondo
Kubrick era legata alla sua percezione della guerra in generale: come
Orizzonti di gloria, Full Meta! Jacket penetra la mentalità militare e
sottolinea la futilità e l'inevitabilità del conflitto. Kubrick espresse
pubblicamente il suo rispetto per Oliver Stone, ma assunse la posi-
zione estrema che, con tutta la sua brutale onestà, anche quel film si
accattivasse il pubblico usando elementi narrativi tradizionali del
genere. Kubrick era spesso accusato di alienarsi il pubblico, e con
Full Meta! Jacket realizzò un film che si distaccava dal tema con un
approccio freddo e notarile. La prima parte era un agghiacciante
sguardo alla creazione di un soldato come macchina per uccidere, la
seconda era l'ineluttabile effetto. «Piatoon è un buon film - il nostro
è meglio>>, disse Adam Baldwin ad «American Film>>: «Ii nostro è
una sorta di prequel. Ti fa vedere come dei giovani americani sono
trasformati in individui distrutti, sono ridotti a stracci, sono degra-
dati e disumanizzati>>. Il Vietnam era stato considerato un argomen-
to da non toccare dal mondo del cinema, poi, una volta avviato il
ciclo, i cineasti si erano avvicendati nell'esplorare i mille volti della
guerra. Ma Full Meta! Jacket era prima di tutto un film di Stanley
Kubrick. Ancora una volta, il regista usava un genere - in questo
caso il film bellico- per esplorare la base malvagia dell'uomo e sod-
disfare la sua ossessione per le possibilità cinematografiche all'inter-
no delle convenzioni della forma.
Kubrick prese la decisione di eliminare da Full Meta! Jacket il
discorso sull'uso di stupefacenti, che pure aveva costituito un ele-
514
mento importante di Platoon e di Apocalyjm Now. A Tim Cahill di
<<Rolling Stone>> spiegò che l'uso di droghe avrebbe implicato che i
soldati fossero privi di controllo. Le sue ricerche mostravano che i
marines avevano le giacche da artigliere abbottonate, il che significa-
va che erano sempre ben preparati.
A Lloyd Grave del «Washington Post>>, Michael Herr dichiarò:
«So che questo film scatenerà un sacco di reazioni scandalizzate e
offese. La sinistra politica lo chiamerà fascista, e la destra, beh, chi lo
sa? Non so immaginare cosa penseranno le donne di questo film>>.
«Puntiamo semplicemente a come è in realtà>>, disse Kubrick a
Grave. «Di certo non credo che il film sia antiamericano. Penso che
cerchi di dare un senso della guerra e della gente, e degli effetti della
prima sulla seconda. Penso che con qualsiasi opera d'arte, se posso
chiamarla così, che stia attorno alla verità e sia efficace, sia molto
difficile scrivere una bella microspiegazione di quale sia l'argomento.
Penso che Platoon cercasse maggiormente di accattivarsi il pubblico.
Ma io ho abbastanza fiducia nel pubblico da pensare che sia in grado
di apprezzare qualcosa che non lo faccia. Almeno non ti annoi>>.
Com'era prevedibile, la sicurezza sul set di Full Meta! jm·ket era
stata rigida. Quando si arrivò a ridosso dell'uscita del film, Kubrick
concesse alcune interviste, che si tennero negli uffici vuoti dei diri-
genti ai Pinewood Studios: sempre restio a farsi intervistare,
Kubrick le rilasciava solo per aiutare a promuovere i suoi film. Era
un maestro a evitare di discutere i significati delle sue opere: preferi-
va che il pubblico vivesse i suoi film come esperienze viscerali e sen-
soriali. Le sue interviste erano spesso discorsi su una moltitudine di
argomenti lontani dal film, di solito fondati sui suoi attuali interessi
o fissazioni.
Una serie di interviste legate all'occasione dell'uscita di Full Meta!
}acket fornì un parziale aggiornamento su Stanley Kubrick, che si
avvicinava a completare il suo sesto decennio di vita e si trovava nel
suo terzo decennio da americano in Inghilterra. Francis X. Clines del
<<New York Times>> definì Kubrick all'epoca di Full Meta! ]acket
spiegazzato «Come un guardiano notturno>>. Clines riconobbe che
parlare con il regista era un'esperienza intensa: «Barbuto e con lo
sguardo attento quando gli si fa una domanda, il signor Kubrick
parla con una mano che si sfrega la fronte, spesso guardando in
basso, come un uomo che recita il Confiteor o calcola le quote della
prossima corsa>>. Il cronista avvertì un casuale accento di New York
nella voce di Kubrick, ma anche una «terribile determinazione>>.
Quando Lloyd Grave intervistò il regista in una sala riunioni di
Pinewood per un articolo del «Washington Post>> su Full Meta!
}acket, ne descrisse l'aspetto disordinato- con addosso una giacca di
515
velluto a coste ocra che aveva una macchia blu scura sul petto, panta-
loni kaki tenuti bassi e scarpe da jogging consunte, sicuramente non
usate per correre. Grove notò anche che dalla incipiente calvizie di
Kubrick spuntavano capelli neri e che la sua barba - che cominciava
a ingrigire- ricordava più <da vegetazione di una giungla>>. Durante
la conversazione, Kubrick consultava spesso il suo orologio digitale.
Tim Cahill, che gli fece un'intervista per <<Rolling Stone>>, riportò
che Kubrick ci aveva messo venti minuti a trovare l'ufficio di
Pinewood in cui dovevano parlare. Aveva gli stessi abiti descritti da
Lloyd Grove. Cahill ipotizzava che la chiazza blu sulla giacca del
regista fosse stata provocata dall'esplosione di una penna biro. Il
giornalista trovò Kubrick privo di pretese nonostante la sua abituale
evasività, e gli dedicò un superbo profilo.
A Cahill, Kubrick raccontò che oltre ai suoi tre Golden retriever
ora la famiglia aveva un bastardino che aveva trovato per strada.
All'aperto il regista indossava ancora occhiali da aviatore e un giac-
cone informe. Disse a Penelope Gilliatt di sentirsi ancora americano,
<<con la distanza, che offre una prospettiva migliore>>. La giornalista
trovò Kubrick impregnato di cultura pop americana.
Kubrick continuò a lavorare su Full Meta/ ]acket fino all'ultimo
momento, mettendo a punto il montaggio e il missaggio sonoro. I
suoi aggiustamenti dell'ultima ora costrinsero la Warner a ritardare
le proiezioni per critici e esercenti.
L' <<Hollywood Reporter>> scrisse che Kubrick aveva rimandato al
laboratorio una tale quantità di copie del film che si dovette rivedere
il programma originale di aprire a tappeto in dodici mercati chiave.
F111! Meta/ Jacket uscì il 26 giugno 1987, con alcune ottime recen-
sioni e un rispettabile incasso di 5.655.225 nei primi dieci giorni.
La strategia era di far uscire il film in tre fasi. Kubrick consegnò la
sua versione definitiva all'ultimo minuto, così la Warner Bros. non
ebbe la possibilità di fare molte anteprime; fu necessario affidarsi al
passaparola per spingere il film oltre le più tipiche produzioni estive
di azione o commedia. Dopo una prima fase in 215 sale, la program-
mazione si estese ad altri 635 schermi, e infine ad altri 570 per una
distribuzione nazionale completa. Pur continuando a fare film icono-
clasti, Kubrick puntava a un ampio successo commerciale. Il traino
di Jack Nicholson aveva aiutato a vendere Shining, ma F11ll Meta!
Jacket, che pure aveva un ottimo cast maschile, non dava le sicurezze
garantite da un divo di primo piano.
Le recensioni furono diseguali, anche se l'accoglienza fu migliore
di quella disastrosa riservata a Shining. David Steritt del <<Christian
Science Monitor>> lo definì <<il film più artistico sulla guerra del
Vietnam>>. F11!1 Meta/ Jacket fu recensito positivamente sul «L05
516
Angeles Time>>, <<Newsday>>, <<Newsweeb>, <<Time>> e <<Women's
Wear Daily>>, con riserve da <<Films in Review>> e <<]ump Cut>> e
negativamente da J. Hoberman del <<Village Voice», <<Cineaste»,
<<Monthly Film Bulletin>> e <<New York Magazine>>.
Kubrick sostiene che la sua enfasi sul realismo e quel tipo di coin-
cidenza che in Shining gli aveva portato attori con gli stessi nomi dei
personaggi fossero responsabili di quello che sembrava un riferimen-
to a 2001 in vistosa evidenza in Full MetaljaL"ket. Dopo che Cowboy
è stato colpito e sta morendo, dietro a lui e agli uomini che cercano
di confortarlo si vede una lastra di cemento che somiglia a un mano-
tito. Kubrick disse ad Alexander Walker che era il risultato dei lavo-
ri che avevano fatto per creare le macerie e che si trovava là per puro
caso. È possibile che la struttura sia nata casualmente, ma il simbolo
resta in campo a lungo ed è in bella vista per tutta la scena. In una
inquadratura gli uomini sono sistemati in modo da essere perfetta-
mente allineati, in una posizione che ricorda le scimmie di 2001
davanti al monolito. Quando Walker disse a Kubrick che l'immagi-
ne poteva incoraggiare ipotesi di critici e cinefili, Kubrick lo guardò
male e disse: <<Vuoi dire, irrilevanza critica!>>.
Kubrick continuò a preoccuparsi degli standard tecnici delle sale
che proiettavano il suo film. Applicava sempre la "legge di Peter": se
qualcosa può andare male, ci andrà. Lo disturbava essere etichettato
come un maniaco ossessivo mentre vedeva le sue preoccupazioni
come semplice pragmatismo. <<C'è chi si meraviglia quando mi
preoccupo delle sale dove si proietta il film», disse a Tim Cahill.
<<Pensano che sia una forma di ansia demente. Ma la Lucas-films ha
un Programma di allineamento sale. Sono andati in giro e hanno
controllato un sacco di sale e pubblicato i risultati in un rapporto
che conferma tutti i peggiori sospetti. Ad esempio, nell'arco di un
giorno, il cinquanta per cento delle copie sono graffiate. Di solito c'è
qualcosa di rotto. Gli altoparlanti non sono buoni e il suono fa
schifo, le luci sono sbilanciate ... Beh, certi cinema cercano di mette-
re il film su uno schermo più grande della sorgente di luce che
hanno pagato. Se compri un proiettore da 2.000 watt puoi ottenere
un'immagine decente larga fino a sei metri. E diciamo che quel cine-
ma proietta invece su una larghezza di dodici metri, mettendo una
lente più ampia. In effetti, a questo punto hai il 200 per cento di
luce in meno. Ma loro vogliono un'immagine più grande, così viene
-scura. Molti esercenti sono terribilmente colpevoli di ignoranza
degli standard minimi di qualità dell'immagine. Per esempio, ora ci
sono sale dove tutti i rulli sono proiettati in un unico anello conti-
nuo. E non puliscono mai l'otturatore. Basta che ci finisca un bricio-
lina di polvere dura, che questa aumenta con lo scorrere del film.
517
Dopo un paio di giorni comincia a graffiare la pellicola. Il graffio va
dall'inizio alla fine del film. Ora, è una preoccupazione eccessiva se
voglio assicurarmi che nelle proiezioni per la stampa o alle prime
nelle città chiave tutto nella sala funzioni al meglio? Basta mandare
qualcuno a controllare il posto tre o quattro giorni in anticipo.
Assicurarsi che non ci sia niente di rotto. Si tratta veramente solo di
fare una o due telefonate, facendo un po' di pressione perché certa
gente metta a posto le cose. Voglio dire, è una preoccupazione legit-
tima o è un'ansia insensata?>>.
Fttll Meta! jac·ket era costato 17 milioni di dollari e ne incassò 38
nei primi cinquanta giorni di programmazione. Kubrick continuò a
seguire il film nella distribuzione, facendo un nuovo missaggio per
l'uscita europea. Gli incassi all'estero furono particolarmente alti in
Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Svezia.
Lee Ermey fu mandato a fare un tour promozionale per il film.
Come sempre, Kubrick manteneva uno stretto controllo sulle infor-
mazioni rivelate. Una volta che Ermey doveva essere intervistato da
Jack Kelly per la rivista «People>>, un memo da Edward S. Crane, un
responsabile della pubblicità, suggerì <<che ci sono certe aree della
conversazione che sarebbe preferibile non riportare>>. Crane segnala-
va che qualsiasi commento negativo su Kubrick facesse parte della
categoria. Ad Ermey, Crane scriveva: <<Mi piace molto la tua battuta
sul fatto che non si aspetta dalla gente che lo circonda niente più di
quanto non imponga a se stesso, nel massimo sforzo e nell'attenzione
al dettaglio ... che permette grandi film. Se Kelly vuole il numero di
telefono di Stanley, non ce l'hai>>.
Full Meta! jaL"ket fu nominato per la miglior sceneggiatura non ori-
ginale nell'anno dominato da L'ultimo imperatore di Bernardo
Bertolucci. Prima della scadenza per i voti, le autorità di Sacramento
e San Luis Obispo, California, annunciarono di essere alla ricerca di
Gustav Hasford, sospettando che lo scrittore e alfine accreditato sce-
neggiatore avesse rubato centinaia di libri dalle biblioteche - una
possibile spiegazione dell'ampiezza dei suoi misteriosi archivi. Da
San Clemente, California, Hasford fece sapere che non sarebbe anda-
to alla cerimonia perché non gli andava di mettersi lo smoking.
Un'agenzia di polizia privata stava considerando l'idea di presentare
un mandato d'arresto ad Hasford nella hall dello Shrine Auditorium,
dove si sarebbe tenuta la cerimonia.
Il ciclo dei film sul Vietnam proseguì: uscì Hamburger Hil!-
Collina 937, Apo,alyp.re Now fu rieditato in una copia 70mm con i!
Dolby e Oliver Stone annunciò di stare scrivendo un seguito dJ
Platoon. Per Kubrick, la guerra del Vietnam era stata una piattafor-
ma su cui montare le sue idee e sensazioni sul mondo militare e sulla
518
guerra; per Oliver Stone era un'ossessione. Il seguito di Platoon
sarebbe poi diventato una trilogia sulla guerra; a Nato il q11attro
l11glio, una libera e potente biografia del reduce dal Vietnam Ron
Kovic, seguì il più riflessivo Tra cielo e terra, uno dei pochi film a
presentare la guerra attraverso gli occhi di una donna vietnamita.
Kubrick aveva la sua personale trilogia della guerra: Fear and Desire,
Orizzonti di gloria e F11ll Metal }acket, realizzati nell'arco di quasi
rrentacinque anni. L'ossessione del regista per l'argomento veniva da
decenni di fascinazione per i conflitti militari. Il generale Kubrick
aveva instillato nei suoi film il suo codice di comportamento orga-
nizzativo e la minuziosa programmazione. La guerra parlava al regi-
sta, che non credeva alla convinzione di Anna Frank che l'umanità
sia fondamentalmente buona: Kubrick era convinto che il male fosse
vivo e in ottima salute. Era un pessimista attratto dal lato oscuro
dell'esperienza umana, che prosperava nel conflitto armato. Lo vede-
va nelle !ance e nei tronchi fiammeggianti di Spm-taCNs, nella bomba
atomica di Il dottor Stranamore, nell'osso- utensile ma anche arma-
di 200 l, negli stivali e nella scultura fallica di Arancia mea·anùa, nei
moschetti e nelle pistole di Barry Lyndon e nelia scure di Shining. Tl
tema della vera natura, violenta e malvagia, dell'uomo attraversa
quarant'anni di cinema di Stanley Kubrick.
Nel giugno 1988 Kubrick ricevette per Full Metal}acket il premio
Luchino Visconti, attribuitogli per il suo contributo al cinema alla
cerimonia di premiazione dei David di Donatello in Italia.
Una volta finito il film, Kubrick cominciò a recuperare i film usci-
ti nei diciotto mesi in cui era stato assorbito profondamente da Full
Metal Jacket. Per il regista era essenziale tenersi al corrente del cine-
ma internazionale e dell'industria cinematografica americana. Pur
restando in Inghilterra, non girava a vuoto e continuava a raccogliere
informazioni per nutrire il suo risoluto appetito intellettuale.
Ricominciò anche a leggere, in cerca della sua prossima ossessione.
Kubrick i film li faceva per sé e per il pubblico, prestando poca
attenzione ai recensori. La disastrosa accoglienza critica di 200 l e il
successo che il film aveva poi avuto al botteghino gli avevano inse-
gnato ad aver fiducia nel pubblico. <<La gente che non aveva la
responsabilità di doverlo spiegare o di formulare una posizione chia-
ra nei confronti del film due ore dopo averlo visto non aveva avuto
problemi>>, disse Kubrick a Francis X. Clines.
Il fatto che Kubrick restasse a Londra continuava a suscitare per-
plessità: il pubblico e l'ambiente cinematografico lo vedevano come
un eremita perché non viaggiava e si era sepolto nella sua proprietà
londinese. Ma il modo in cui viveva il regista si basava su una logica
solida e non emotiva: esistevano solo tre posti al mondo dove potesse
519
fare film: New York, Los Angeles e l'Inghilterra. New York gli aveva
fornito un ambiente amichevole quando era un giovane cineasta, ma
non aveva le strutture tecniche ed esigeva uno stile di vita frenetico.
Los Angeles aveva le strutture ma era un posto che detestava intensa-
mente: Kubrick non aveva mai fatto parte della scena sociale o poli-
tica di Hollywood e non rientrava nello schema. L'Inghilterra aveva
le strutture richieste, oltre alla civiltà e alla privacy di cui lui aveva
bisogno. Poteva girare i suoi film a costi ridotti, senza i budget ele-
fantiaci con cui Hollywood sovraccaricava un film, indebolendone la
forza sullo schermo.
«Poiché dirigo film, devo per forza abitare in un importante centro
di produzione dove si parli inglese», disse Kubrick a Tim Cahill.
«Questo restringe le scelte a tre luoghi: Los Angeles, New York e
Londra. Mi piace New York, ma è inferiore a Londra come centro di
produzione. Hollywood è il migliore, ma non mi piace abitarci».
<<Mi piace anche stare lontano dalla falsità di Hollywood>>, disse a
Jack Kroll. «Quando abitavo là, la gente ti chiedeva come va e sape-
vi che speravano di sentire che eri in ritardo sul programma o avevi
problemi con il divo».
A Cahìll, Kubrìck spiegò: <<Avrà letto libri o visto film che descri-
vono gente corrotta da Hollywood, ma non è quello. È questo terri-
bile senso dì insicurezza. Un sacco di competitività distruttiva. Al
confronto, l'Inghilterra sembra molto distante. Cerco di tenermi al
passo, leggo le riviste specializzate, ma è bello averle su carta e non
essere costretto a sentire quelle notizie dovunque tu vada. Penso che
sia meglio limitarsi a lavorare e isolarsi dalle correnti sotterranee di
una malevolenza di basso livello».

520
Parte sesta

Infinito
Capitolo 19
Progetti e un film, l'ultimo

<<Sono felice- a volte- quando faccio dei film. Sono sicuramente


infelice quando non li faccio>>.
Stanley Kubrick

<<Ogni mese che passa senza che Stanley Kubrick faccia un film è
una perdita per tutti>>.
Sidney Lumet

Una volta che ebbe finito di seguire Full Meta/ }ctcket attraverso
tutte le fasi della distribuzione negli Stati Uniti e sul mercato inter-
nazionale, Stanley Kubrick ritornò alla sua normale routine. La
maggior parte dei registi si prendono una lunga vacanza dopo aver
finito un film, ma Kubrick in vacanza non ci andava mai: dopo
l'austerità imposta dalla produzione di un film avviava una procedu-
ra operativa standard che restava costante. Cominciava a controllare
le nuove uscite recuperando i film che aveva perso negli anni di
lavoro a tempo pieno sul suo ultimo progetto. Kubrick cercava di
vedere ogni film che usciva per soddisfare il suo profondo amore per
il cinema: guardava i film sia come fan che per raccogliere informa-
zioni e tecniche e per studiare tecnici e attori che avrebbe potuto
usare in eventuali progetti. Quando non era direttamente impegna-
to a lavorare su un film, Kubrick dedicava molto del suo tempo a
leggere riviste, giornali e libri alla ricerca di idee per i prossimi
film. Continuava a essere affascinato dagli scacchi e ordinò alla
Chess & Bridge Ltd. di Londra il software Fritz and M-Chess per
mettere alla prova le sue abilità contro un computer. Ma Kubrick
era sempre al lavoro, sempre impegnato a sviluppare nuovi piani,
spesso senza che il pubblico e la stampa fossero informati.
Stanley Kubrick fa uscire film a lunghi intervalli e procede caura-
mente con i suoi affari, lontano dall'occhio inquisitore della pubbli-
cità e dalla frenesia della notizia. Può darsi che qualcuno fraintenda
questo silenzio per quello di un uomo che ha perso ogni contatro ed
è ormai in una parabola discendente ma, come bene di consumo, il
regista Stanley Kubrick ha una vitalità costante e non ha mai perso
l'apprezzamento dell'industria. Se molti registi della sua generazio-
ne hanno ormai difficoltà a farsi richiamare quando fanno una
523
telefonata, Kubrick rimane una solida forza generatrice di film: atto-
ri, direttori di studios, agenti e tecnici sognano di essere chiamati da
Stanley Kubrick. Dopo venticinque anni, la Warner Bros. continua a
essere il suo studio preferito, e la concorrenza coglierebbe al volo
l'occasione di finanziare e distribuire un film di Stanley Kubrick.
Nei tre decenni passati in Inghilterra, è divenuta una costante che
ci sia un intervallo fra la conoscenza pubblica di un progetto di
Kubrick e un lungo periodo di lavoro in privato. Il regista è spinto
da una ricerca sincera del materiale che innescherà lo stato di osses-
sione che gli è necessario raggiungere per dedicarsi ad un nuovo
film. Negli anni fra un film e l'altro, Kubrick sottopone a questo
esame un incalcolabile numero di proposte. Ogni decisione è presa
sulla base di ricerche, piani, test e incessanti discussioni con esperti.
Molti progetti sono presi in esame, alcuni ci vanno vicino, ma solo
quelli che soddisfano le esigenze letterarie, cinematografiche, filoso-
fiche e psicologiche di Kubrick riescono ad avvicinarsi allo stato di
film in preparazione.
Nel 1993, dopo molti anni di ricerche ed esami delle opzioni
disponibili, Kubrick cominciò a muoversi verso la produzione di un
nuovo film. Nell'aprile di quell'anno, «Variety>> riportò che il regi-
sta stava pianificando un film da girare nell'Europa dell'Est. Le fonti
affermavano che il film si sarebbe svolto nel periodo successivo alla
caduta del Muro di Berlino e che sarebbe stato centrato su un ragaz-
zo e una giovane donna in viaggio nell'Europa orientale. L'ufficio di
Kubrick e la Warner Bros. tacevano e, come sempre, non conferma-
vano o smentivano le voci. Scott Henderson, agente della William
Morris, confermò che al suo cliente Joseph Mazzello- il bravo e gio-
vane interprete di Il grande volo e del blockbuster di Spielberg
Jura.r.rù· Park- era stato chiesto di tenersi libero per l'estate. Il titolo
del progetto e la fonte letteraria su cui era basato erano segreti. Né
Mazzello né il suo agente avevano visto un copione. L'attore apparve
nel programma televisivo "Live with Regis and Kathie Lee" e con-
fermò che stava per lavorare con Stanley Kubrick. L'unica persona
che si sapeva avesse letto la sceneggiatura era il copresidente della
Warner Bros., Terry Semel. Kubrick non era disposto a spedire il
copione in California, per paura che potessero trapelare informazioni
sulla fonte del materiale facendogli correre il rischio che la storia gli
fosse rubata o fosse data in pasto alla concorrenza: a Semel era stato
chiesto dì andare in Inghilterra, era andato a casa di Kubrick e lì
aveva letto il copione. Le notizie indicavano l'interesse di Kubrick
per J ulia Roberts e per Urna Thurman per la parte della giovane
donna. Alcuni ricercatori erano stati mandati in Polonia, Ungheria e
Slovacchia per fare indagini sulle location e sulle strutture. Si preve-
524
deva una lavorazione di cento giorni, facendo probabilmente base a
Bratislava, in Slovacchia. Il progetto era stato inserito nei program-
mi dello studio per il Natale del 1994.
Nel maggio 1993, fu rivelato che il nuovo film di Kubrick era
tratto dal romanzo Wartiwe Lies, di Louis Begley, uscito nel 1991. Il
film doveva svolgersi nel 1944 e seguire un ragazzino, un ebreo
polacco, nelle peregrinazioni con sua zia per la campagna bombarda-
ta. L'inizio delle riprese era stato rinviato a settembre o ottobre.
L'agente di Urna Thurman riferì che non aveva ricevuto dall'ufficio
di Kubrick telefonate relative al progetto. Fonti vicine a Julia
Roberts confermarono che l'attrice era stata contattata da Kubrick
ma che non avrebbe preso una decisione finché non le fosse stato
dato un copione. Un'attrice già vincitrice di Oscar, il cui nome non è
noto, avviò una campagna per ottenere la parte contattando l'ufficio
di Kubrick così spesso che i membri dello staff l'avevano ribattezzata
«Attila la gallina>> l.
A lungo interessato all'argomento, Kubrick cercava da oltre dieci
anni un romanzo sull'era nazista. Quello di Louis Begley si svolgeva
nel 1939 in Polonia. Quando il Terzo Reich invade il Paese, il picco-
lo protagonista Maciek si ritrova orfano e viene affidato alla volitiva
zia Tania. I due si fingono polacchi cattolici e assistono alle persecu-
zioni perpetrate dalla Gestapo sulla comunità ebraica. Sono testimo-
ni della distruzione di Varsavia e fuggono dalla città devastata su un
treno diretto ad Auschwitz. Trovano rifugio in una fattoria e soprav-
vivono alla fine della guerra, ma Maciek non ha avuto un'infanzia
che possa aiutarlo ad affrontare l'età adulta.
Wartiwe Lies è un progetto di Stanley Kubrick per antonomasia. Il
romanzo è scritto dal punto di vista di Maciek e offre al regista
l'opportunità di raccontare la storia e di mostrare il terrore della
seconda guerra mondiale dagli occhi del ragazzino. L'asciutta ma
poetica prosa di Begley permetterebbe a Kubrick di creare le
impressionanti immagini del terrore reale e senza fine imposto dai
nazisti.
Nell'ottobre 1993 !'«Hollywood Reporter>> rivelò che Wartime Lies
sarebbe stato girato in esterni ad Aarhus, la seconda città della
Danimarca, e dintorni. Le riprese dovevano cominciare a febbraio
1994. Il genero di Kubrick, Philip Hobbs, lo scenografo Roy Walker
e la regista danese Eva Bjerregaard effettuarono ricerche per indivi-
duare ambiemi adarri a rappresentare la Varsavia della guerra e ie

l Nella traduzione si perde il gioco di parole fra ··1-ltm·· ('"Un no··) e "Hen" ('"gallina").
<N.d.T.)

525
foreste polacche. All'approvazione di Kubrick furono sottoposte più
di duemila fotografie della zona. Il regista aveva fondato la Hobby
Films per produrre il progetto, finanziato dalla Warner Brothers che
lo avrebbe distribuito in tutto il mondo. Il Danish Film Institute
riferì di aver fornito a Kubrick «casse di video di film danesi>>, forse
richiesti a fini di ricerca e di casting. La troupe avrebbe dovuto essere
composta da cinquanta persone e avrebbe impiegato anche tecnici
danesi. Kubrick scrisse una lettera personale al sindaco di Aarhus,
Thorkild Simonsen, esprimendo <<gratitudine e sollievo>> per aver
trovato una location e le strutture per realizzare il suo progetto.
L'azione centrale del film si doveva svolgere nel ghetto di Varsavia e
la città di Aarhus avrebbe fornito a Kubrick baracche abbandonate e
fabbriche, oltre alle strutture per accogliere la produzione.
Il progetto subì un cambiamento di titolo: Kubrick lo ribattezzò
Aryan Papers. Come Nato per uccidere, Wartinte Lies non era un titolo
commercialmente identificabile come Lolita, Arancia mea·anica e
Shining, così il regista si era preso la libertà di cambiarlo.
Nel novembre 1993, la Warner Bros. annunciò che il film succes-
sivo di Stanley Kubrick sarebbe stato AI, l'abbreviazione di
"Artificial Intelligem·e". Si diceva che fosse un progetto che Kubrick
aveva abbandonato nel 1991, dopo due anni di ricerche: a
quell'epoca il regista aveva determinato che le immagini di questo
progetto di fantascienza fossero al di là della tecnologia degli effetti
speciali del tempo; le recenti conquiste nelle immagini al computer
e nell'animazione digitale viste in Jurassù- Park avevano riacceso
l'interesse di Kubrick nell'impresa. Sul progetto proposto furono
diffuse poche informazioni: il film si sarebbe ambientato in un futu-
ro in cui robot intelligenti erano utilizzati per molti compiti. L'effet-
to serra aveva sciolto le calotte polari e molte città erano sott'acqua. I
grattacieli di Manhattan erano diventati monumenti che emergeva-
no dall'Oceano Atlantico. Per quanto concerneva Aryan Papers, la
Warner disse che Kubrick avrebbe potuto limitarsi a produrre e non
dirigere la riduzione di Wartinte Lie.r di Begley, o dirigerlo lui stesso
dopo aver completato AI. L'inizio delle riprese di A1·yan Papers era
stato programmato per febbraio 1994, in Danimarca, su sceneggia-
tura di Kubrick. Ora i piani erano slittati. Quando <<Variety>> riportò
la notizia, affermava che AI fosse ambientato in una New Jersey
Shore postapocalittica.
Nel luglio 1994 la rivista <<Premiere>> chiese a Cheryl Lee Terry, la
numerologa di <<Elle>>, di analizzare la firma manoscritta di Kubrick.
La Terry trovò che Kubrick era un perfezionista, con paure e ansie.
L'evidenza della S e della K della sua firma rivelavano che era tenace
e ossessivo. Il numero del destino di Kubrick era otto, che secondo la
526
spiegazione della Terry rappresentava l'infinito e dotava il regista di
un lato spirituale e mistico. Le intuizioni della numerologa seguiva-
no da vicino la personalità di Kubrick, ma la Terry si sbilanciò apre-
vedere che la numerologia indicava che nel 1994 il regista avrebbe
completato un progetto che sarebbe stato considerato un capolavoro.
Il 1994 passò e il mondo rimase in attesa del prossimo film di
Stanley Kubrick.

Nell'estate 1995 fu riportato che Kubrick stesse parlando con il


maestro degli effetti speciali Dennis Muren alla Industriai Light and
Magie di George Lucas, e agli esperti degli effetti alla Quante!. Si
diffondevano voci che Aryan PajJer.r fosse stato cancellato per via
della sua somiglianza con Schind!er's List di Spielberg. Allo stesso
modo, Al era stato accantonato perché troppo simile a Waterwor!d.
Queste teorie sembrano improbabili, visto che Kubrick aveva realiz-
zato Fu!! Meta/ Jacket dopo numerose e importanti uscite sul
Vietnam, e la sua angolazione di regia su un progetto non ne ha mai
rispecchiato nessun altro.
AI rimase coperto dall'abituale massima sicurezza di Kubrick.
Rebecca Ascher-Walsh di «Entertainment Weekly>> riuscì a procu-
rarsi un numero di telefono riservato dell'ufficio del regista. Parlò
con un assistente che si presentò come Leon, forse Leon Vitali. La
Ascher-Walsh lasciò il suo numero e un messaggio. La chiamata non
ricevette da Kubrick alcuna risposta personale, e Leon <<si informò
educatamente a quali profondità criminali ci fossimo spinti per otte-
nere un numero che non era sull'elenco>>.
Nel 1995 una conversazione telefonica con Louis Begley, autore di
Wartime Lies, rivelò poco circa la possibilità che Aryan Papers o qual-
siasi progetto tratto dal libro diventasse un film di Stanley Kubrick.
Begley, un avvocato di New York che aveva scritto anche The Man
Who Was Late, As Max Saw lt e Parlando di Schmidt, non aveva mai
incontrato Stanley Kubrick né aveva mai parlato con lui. Jan Harlan
aveva contattato Begley per i diritti di Wartime Lies ed erano state
fatte tutte le pratiche per assicurare i diritti cinematografici a
Kubrick. A Begley, ammiratore del regista, nessuno aveva chiesto di
scrivere il copione, o di collaborarvi.
li 15 dicembre 1995 l'ufficio pubblicità della Warner Bros. rese
pubblico il seguente comunicato stampa: <<Il prossimo film di
Kubrick sarà Eye.r Wide Shut, una storia di gelosia e di ossessione ses-
suale, con Tom Cruise e Nicole Kidman. L'inizio delle riprese è stato
programmato nell'estate 1996. Kubrick sarà produttore e regista del
film e ne ha scritto la sceneggiatura. La Warner Bros. distribuirà il
film in tutto il mondo. li precedentemente annunciato film di fanta-
527
scienza di Kubrick, AI, che si ritiene essere uno dei fìlm di effetti
speciali più ardui e innovativi tecnicamente mai tentati, è alle ulti-
me fasi di progettazione delle scenografie e dello sviluppo degli
effetti speciali, e seguirà Eyes Wide Shut>>.
Full Metal].tcket era uscito nell'estate del 1987. Il comunicato su
Eyes Wide Shut/AI sottolineava il fatto che erano passati quasi nove
anni dall'uscita di un fìlm di Stanley Kubrick e che l'annuncio di
una data di inizio riprese era solo l'inizio di una lavorazione che
avrebbe potuto durare un anno o più, e di un programma di postpro-
duzione che avrebbe potuto durare almeno altrettanto.
Quando la Warner Bros. annunciò la produzione di Eye.r Wide Shut
e mise in chiaro anni di voci relative ad AI, si diffuse l'eccitazione
sul fatto che il regista avrebbe lavorato con la coppia più in vista di
Hollywood, Nicole Kidman e Tom Cruise. Su Internet i fan di
Kubrick discutevano se la super-coppia fosse all'altezza del maestro
e la notizia della collaborazione Kubrick-Kidman-Cruise si sparse
per tutti i mezzi di comunicazione senza che si sapessero ulteriori
dettagli.
La stella registica di Kubrick non aveva perso nulla del suo splen-
dore. Tom Cruise raccontò a <<Newsweeb> come era stato coinvolto
in Eye.r Wide Shut, che descrisse come un dramma psicologico: <<Un
giorno mi è arrivato un fax che diceva che nel giro di qualche mese
ci sarebbe stato un copione e chiedeva se ero interessato. È semplice-
mente un dannato miracolo, che abbia voluto me e Nic per fare que-
sto fìlm>>. Kubrick continuava insomma ad attirare grandi star sem-
plicemente facendo un'offerta.
L' <<Hollywood Reporter>> cominciò a segnalare Eye.r Wide Shut con
la dizione <<(già Stanley Kubrick senza titolo)>> nelle liste di fìlm in
produzione, indicando come sceneggiatori Stanley Kubrick e
Frederic Raphael.
Raphael è un noto romanziere e sceneggiatore. Lo scrittore è nato a
Chicago nel 1931 e ha vissuto in Inghilterra fìn dalla prima infanzia.
Raphael è autore dei romanzi California Time, DojJo la guerra, The
Trouble with England e The Glittering Prize.r. Ha scritto le sceneggiatu-
re di Darling, Due per la strada, Dai.ry Miller e Via dalla pazza folla.
Ha scritto anche commedie per la radio e per la televisione e ha il
genere di cultura e di intelligenza più indicate a lavorare secondo il
complesso metodo usato da Kubrick per creare una storia per lo
schermo, sviluppando una sceneggiatura durante la lavorazione e con-
tinuando a far evolvere la struttura fìno a quando la postproduzione è
giudicata completa, dopo aver esaurito ogni possibilità conosciuta.
Un articolo su <<Premiere>> del gennaio 1996 aggiunse altri dati
alle voci che circondavano Al, affermando che il progetto poteva
528
essere stato ribattezzato SujJertoy.r, e basato su un racconto dello scrit-
tore di fantascienza Brian Aldiss. La popolare rivista di cinema con-
divideva i sentimenti degli aficionados di Kubrick in tutto il mondo
dicendo: <<Per i fan che aspettano la prima autentica opera d'arte
digitale, il maestro non riemergerà mai troppo presto>>. Il racconto
di Aldiss Supertoys La.rt Ali S1111t11ter Long è stato scritto nel 1969 e
contiene l'elemento robot dell'annunciato AI di Kubrick ma non la
parte sull'effetto serra e la sovrappopolazione. Alexander Walker ha
riferito che Kubrick era interessato a fare un film di fantascienza
basato su un racconto di lsaac Asimov. Ma Stanley Kubrick continua
a saper tenere un segreto. Uno sguardo retrospettivo ai suoi film pre-
cedenti e i loro annunci stampa originali conferma la capacità del
regista di tenere il suo lavoro ampiamente celato. E l'articolo di
«Premiere>> continuava a riaffermare la statura crescente di Kubrick
nella comunità cinematografica internazionale: la rivista offriva i
profili di quindici individui che definivano il futuro high-tech del
cinema. Kubrick era battezzato «Messia>>.
Ringraziamenti
Filmografia
Note
Ringraziamenti

Prima di rutto devo ringraziare Sranley Kubrick per la sua opera e i suoi film, e per
aver vissuto con fantasia, genialità arrisrica e tecnica e intensità. Come oggetto di stu-
dio, per decenni ha accresciuto la mia ammirazione e la mia fiducia nelle illimitate
potenzialità del cinema.
Questa biografia non è né ufficialmente autorizzata né ufficialmente smentita. A
Kubrick è srara inviata una lettera in cui gli si chiedeva di consentire l'incontro con per-
sone che intendevano chiedere il suo permesso prima di essere intervistare, e la coopera-
zione del suo ufficio su questioni di farro. Questa lerrera e copie dei miei libri sulle arri e
i mestieri del cinema gli sono stare recapitare in Inghilterra grazie alla cortesia di un suo
amico e collega di lunga data, Roger Caras, arrualmente presidente dell'Associazione
Americana per la Prevenzione delle Crudeltà contro gli Animali. Ringrazio Roger Caras
per la sua gentilezza nell'inoltrare la mia corrispondenza a Sranley Kubrick. Alle mie
richieste non è mai stata farra pervenire alcuna risposta, né di consenso né di diniego;
Kubrick non ha né aiuwro né osracohl[o i miei sforzi per realizzare questo progetto.
Desidero ringraziarlo per non aver reso ancora più difficile un compito già impegnativo.
Le ricerche per quesro volume hanno richiesto la consultazione di fonti primarie e
secondarie in molti archivi e biblioteche, di ritagli e articoli scritti durante il corso
della carriera di Kubrick. Tali fonti primarie e secondarie, così come l'apporto origina-
l"', sono indicare nelle note ai capitoli. Le interviste originali sono stare realizzare (di
persona, al telefono, o rramire corrispondenza) con persone che hanno conosciuro e
hanno lavorato con Kubrick. La generosità di coloro che altruisticamente hanno con-
cesso parre del loro tempo per p;trlare con me di Sranlc:y Kubrick è stata di inestimabile
valore per la comprensione di un uomo e di un regista che è diventato un miro per il
pubblico e per la comunità cinematografica internazionale. Attraverso queste conversa-
zioni, durare pochi minuti, ore, talvolta anche giorni, è emerso l'uomo dietro la leggen-
da. Per la fiducia dimostrata nell'avermi confidato le esperienze personali, privare e
professionali da loro vissute insiem"' con Sranley Kubrick ringrazio: Claire Abriss, Ken
Adam, Richard Anderson, Louis Begley, Sreven Berkoff, Simon Bourgin, Alice Brewer
Brown, Tony Burron, Vincent Carrier, Wendy Carlos, Jonarhan Ceci!, Bernard
Cooperman, Harrier Daniels, Jane de Rochemont, Ed Di Giulio, Keir Dullea, Gerald
Fried, Bob Gaffney, Berry Garbus, Lou Garbus, Sranley Gerzler, Max Glenn, Gay
Hamilron, James B. Harris, Anthony Harvey, Perer Hollander, Faith Hubley, Anne
Jackson, Gerald Jacobson, Loren Janes, Joseph Lairin, Roberr Lawrence, John Lee,
Norman Lloyd, Richard May, Roberr Sandelman, G. Warren Schloar, Jr., Valda
Serrerfield, Howard Silver, Donald Silverman, Alexander Singer, Rose Spano, Tony
Spiridakis, Harry Srernberg, Philip Srone, Richard Sylberr, Marvin Traub, Daniel
Traister, Clifford Vogel, David Vaughan e Marie Windsor.
le -if:rer•:isre u -Ken Adam, John Bonner, Garrerr Brown, Don Roge1's e frank
Warner, realizzare per il mio libro sui mestieri del cinema, sono swre fonti di preziose
informazioni per il prog"'tro.
Sono debirore di quegli scrirrori che si sono occupati prima di m"' dell'opera di
Sranley Kubrick. I seguenti volumi hanno alimentato la mia insazi;tbile sere di norizi"'
sul regista durante ~li ultimi venticinque anni, e sono stati essenziali nel fornire dari,

53.'>
fomi e una solida base per la realizzazione di questa biografia: Stanley K11brick Directs di
Alexander Walker; K11brick di Miche! Cimcnr; Sttmley K11brick: A Film Ot!issq di Gene
D. Phillips; Tbe Cine111a o{ Stanley K11brick di Norman Kagan; K11brick: lnsitle A Film
Artist's Maze di Thomas Allen N cison; Tbe Film Direaor As S11perstar di Joseph Gelmis;
Tbe Making o/ K11brick's 2001 di )e rome Age l; 2001: Filming tbe F11111re di Piers Bizony e
Stanley K11brick: A Narratit'e ant! Stylistic Analysis di Mario Falsetto. Li ringrazio rutti per
la loro erudizione, acume e competenza.
Archivi, biblioteche e depositi di documenti, negli Stati Uniti e in Inghilterra, con
rutto il loro personale, sono srari essenziali nel fornire preziose informazioni alla mia
ricerca. Desidero ricordare tra questi: Sam Gill, Barbara Hall c !"intero personale della
Margarcr Herrick Library di Las Angeles; Charlcs Silvcr e Ron Magliozzi del Film
Srudy Center del Museum of Modern Art di New York; i dipendenti della New York
Public Library far rhe Performing Arts Research Collecrion presso il Lincoln Center;
Sruarr Ng, archivista della Warner Bros. Collccrion alla Universiry of Sourhern
California e !"intero personale della Doheny Library; Bevcrly Brannen, conservatore
fotografico alla Library of Congress; Madeline F. Marz, Film and Television Research
Library; la Morion Picrure Broadcasring and Recorded Sound Division della Library of
Congress e i suoi dipendenti; Alan Dein della Bbc Radio; Ella Abney, bibliotecaria; la
Medica! Sociery dello Stato di New York; Lmra Tosi, bibliotecaria; The Bronx County
Hisrorical Sociery; James Gerlich, aiuro archivista; il New York Hospiral/Cornell
Medica! Center; la Art and Architecture Library della Yale Universiry; Judy Myers; la
Rare Books Collecrion; la Medicai Scicnces Library del New York Medicai College;
Lawrencc Campbell, archivista della Art Srudents League di New York; Jill Abraham,
tecnico archivista; la Morion Picrure, Sound and Video Branch dei N ariana! Archivcs di
College Park, Maryland; Richard Sydenham delle Nazioni Unire; il professar Shawn
Rosenheim del Williams College; Nan Farinkoff del California State Pharmacy Board;
Karen Mix, della Boston Universiry Library; Rick Ewig, manager, Rcfcrence Services
dell"American Herirage Center dcll'Universiry of Wyoming; Karhy Crawford della
LaRue County Public Library; la American Society of Media Photographers; Carhy
Wcbb, dcll'lnterlibrary Loan Program; Elizaberh Cornely, Sharon Cohen e Linda
Armsrrong, bibliotecarie della Mount Vcrnon public Library; Bill Schilling, del reparto
consultazione della Albany Public Library; la Easrchester Public Library; la Greenwich
Library in Connecticut; la Sarah Lawrcnce College Library; la Ncw York Public Library
della Quarantaduesima Strada.
l miei ringraziamenti alle redazioni dei molti periodici che hanno fornito informazio-
ni riguardanti Sranley Kubrick e la sua opera: Stephcn Pizzello, caporedarrore di
«American Cinematographer Magazine» cd esperto di effetti speciali; Ron Magid; Roy
Frumkes, direttore di «Films In Review»; Malcolm Peio, editore della rivista «Chess
Magazine•• di Londra; il «Courier-Journa(, nella contea di LaRuc; Charles McGrarh e la
«New York Times Books Review" per il loro prezioso aiuto nel pubblicare le mie
richieste e le mie domande; Martin Singerman, editore del «New York Post», per aver-
mi presentato a persone che potessi intervistare; gli editori e i direttori di «Back in rhe
Bronx», Srephen M. Samrur e Susan H. Samrur, per aver realizzato una pubblicazione
così ricca di informazioni sul quartiere di nascita e sulla casa del giovane Kubrick.
Molte persone hanno fornito un appoggio incondizionato a questo libro e al suo auro-
re, contribuendo con informazioni essenziali. Voglio ringraziare sinceramente: Everctt
Aison per la sua guida, !"amicizia, le informazioni utili, c per avermi messo in contatto
con soggetti chiave da intervistare; Michael Brashinsky; Roberta Burrows; Pau!
Clcmcns per la sua conoscenza approfondita di Kubrick e per aver proiettato per me '{be
Mtlking o( The Shining, di Vivian Kubrick; !"operatore Ala n Daviau per avermi reso
partecipe della sua sterminata conoscenza della storia del cinema e di Sranley Kubrick;

5.14
la signora Falkenberg; Dana Fishkin per la sua professionalità e per il suo saldo appog-
gio; Morton Gorrlieb per avermi raccontato delle sfide di sciarada nelle quali Diane
Arbus aveva coinvolto Sranley Kubrick; Mani! Gunawardene, segretario personale di
Arrhur C. Clarke, e lo stesso Arrhur C. Clarke, per le informazioni e l'interesse dimo-
strato; John Joyce per il sostegno e la consulenza in materia militare; Lames D. LaRue;
Edward Lewis; Nora Linn; Shelby Lyman per avere condiviso con me la sua immensa
conoscenza relativa al mondo degli scacchi; Joel Miller Esq.; Nihal del Fox Limousine
Service per l'impeccabile e cortese servizio di aurisra e per le informazioni fornire sul
dottor Arrhur C. Clarke e lo Sri Lanka; Marilyn Perlman; Bob Phillips; Charles
Reynolds per avermi rivelato parre della sua estesa conoscenza sulla fotografia di scena;
Joe Rosner per la sua preziosa cultura bibliografica e per le informazioni relative a Il
dottor Strana111ore; il regista Michael Rirchie per le informazioni sulla partecipazione di
Kubrick al programma "Omnibus", sulla vira di Lincoln; Grace Rothstein; Roberr
Saudek; Ltrry Schwartz per la sua asrura tecnica e competenza nell'archiviazione delle
fotografie; Le See del Gfi Computer Service; Fanchon Scheier; Jonarhan Srern; Roseanne
Spano Swider, straordinaria storica del cinema; Gene Sravis per la sua cultura enciclope-
dica su tutto ciò che concerne il cinema; Ed Tassinari per le dettagliate informazioni
sulla preparazione di Kubrick nel gioco degli scacchi; Tony Walton; Freda Welsh (pre-
sidente) ed Evi Allen (vicepresidente) della Westport Film Society per il loro costante
sostegno e l'aiuto relativo ai soggetti da intervistare; Jay Harris; Max Wild; Joseph
Winsron; Sreve Siegel per i suoi generosi consigli sulla genealogia.
Molti alrri hanno fornito un contributo di grande valore: Nina Lesser per avere sco-
perto una rara registrazione di una discussione di gruppo di Arancia 1/Jeccanim; il mio
collega e amico Ed Bowes per l'assistenza video; il Cinema Bookshop di Londra per aver
reperiro libri rari; il dorror Manhinderjir Singh per la sua saggezza; Amos Vogel per i
ricordi della sua pionierisrica sala di proiezione, il leggendario Cinema 16.
Grazie anche alla comunità di scrittori che continuamente mi forniscono ispirazione,
e specialmente a Jerome Age!, non solo per la sua pietra miliare T be Making of K11brick's
200 l: A Space Odissey, ma anche per il sostegno e le preziose ricerche e interviste; a
Patricia Bosworth per le notizie riguardanti Kubrick e Diane Arbus; a John Andrew
Gallagher per l'incoraggiamento, l'appoggio e il contatto con soggetti da intervistare; a
Patrick McGilligan per i suoi messaggi, telefonici e scrirri, di sostegno e fiducia e per
avermi accolto nell'albergo; a David Weddle per avermi dato accesso a preziose infor-
mazioni relative al regista e al suo lavoro per la serie "Omnibus", e per una vivace
discussione su Stanley Kubrick e Sam Peckinpah; a Gary Carey, antico maestro, per la
sua pazienza e ispirazione.
In turro il mondo è sraro pubblicato materiale su Sranley Kubrick. Vorrei ringraziare
diversi traduttori per il loro preciso lavoro: David Abunaw e Joseph K. Bannauti per
aver tradotto in francese numerose opere su Kubrick; Simone Olmsted per la sua perizia
nel rendere il piacevolissimo francese contenuto in interviste personali; mia figlia
Rcbecca Morrison per aver decifrato lo pseudo-russo parlato in 2001: Odissea nello spazio.
È con grande tristezza che mi trovo a segnalare la scomparsa di Saul Bass, John
Banner, Vince Edwards e Herman Gerrer durante la stesura di questo libro; li ringrazio
per avermi reso partecipe dei loro ricordi su Sranley Kubrick.
Numerosi ricercatori hanno scoperto dari e articoli molto utili per il mio lavoro. Sono
grato ad Amanda Donnellan per le sue ricerche sul lavoro di Kubrick a «Look»; a
Michael Pisani per aver scoperto molti saggi critici; a John Sawyer e Jeffrey Roenning
per avermi assistito nel corso delle ricerche in biblioteca. La genealogista e ricercatrice
Esrelle Guzik ha contribuito fornendo informazioni preziose sul passato della famiglia
Kubrick, essenziali per la stesura della prima parte del libro: la ringrazio per la consu-
lenza su rutta la materia genealogica del progetto.

535
Il mio impegno di docente e di assistente alle tesi per il Department of Film, Video
and Animation della School of Visual Arrs di New York continua ad alimentare la mia
passione per la storia e l'insegnamento del cinema. Ringrazio il mio direttore di diparti-
mento Reeves Lehmann, per il costante e incondizionato appoggio al mio lavoro e per
avermi aperto molte porte; Salvatore Petrosino per la sua amicizia, le innumerevoli e
animare discussioni, e per avermi presemam soggetti da intervistare; ringrazio inoltre
tutti i miei studenti della Scuola, passati e presenti, che continuano a darmi ispirazione
con il loro entusiasmo e le loro idee: il loro sostegno e interesse mi ha aiutato a capire
l'importanza di questo libro. Molti dei miei studenti hanno fornito un valido contributo
al volume, ascoltando e scambiando opinioni su Stanley Kubrick: voglio ringraziare in
modo speciale Shiho Karaoka, Adii Mohammed, Dixie Serrano e Randy Wilcox per le
informazioni e il materiale rrovam.
Per la capace e attenta rappresentanza ringrazio Ellen Levine e l'intero personale clelia
Ellen Levine Lirerary Agency, specialmente il mio agente personale Anne Dubuisson,
che ha creduto in me e in questo progetto finché questo ha trovato casa, e il mio agente
attuale Diana Finch per la sua scrupolosità e per aver guidato il manoscritto attraverso
le maglie del processo produttivo. Un grazie anche al suo assistente Jay Rogers per
l'aiuto.
Desidero ringraziare il mio editore Donale! l. Fine per la sua fiducia verso questo pro-
getto e il suo aurore. La mia riconoscenza all'intero personale della Donale!!. Fine, !ne.,
al mio editor personale Jason Poston per la sua perizia in ambito editoriale durante i
primi passi del manoscritto, e al mio attuale editor Tom Burke per l'abile gestione del
manoscritto finale e per averlo accompagnato durame il processo produttivo. Ringrazio
anche i dipendenti della Penguin Usa per l'interessamento e la competenza che hanno
dimostrato riguardo a questo progetto.
Sono grato ai miei genitori Rose e Anthony LoBrutto per il loro affetto e per l'appog-
gio assoluto; a mia figlia Rebecca Morrison per avermi costantemente ricordato la defi-
nizione di determinazione; a mio figlio Alexander Morrison per aver condiviso con me
una conoscenza culturale e artistica fuori dal comune per la sua età.
Nel ringraziare mia moglie, Harriet Morrison, cercherò di essere breve, un compito
difficile, riconoscendo l'incredibile forza d'urto che ba avuto nella mia vita personale e
professionale. È stata di grande aiuto nel fornire ricerche, notizie, percorsi possibili,
soggetti da intervistare, grandi quantità di dati e, soprattutto, buon gusto in qualsiasi
cosa di cui si sia occupata relativamente a questo progetto. Harriet è stata la prima let-
trice del libro e ba dovuto ascoltare teorie, discussioni, idee, principi narrativi e psicolo-
gici concernenti la vira e le opere di Stanley Kubrick (e il cinema in generale), più di
quanto può essere umanamente tollerato da coloro che non sono totalmente ossessionati
(come me) da tale materia. È stata lei a mantenere l'ordine nelle nostre vite e a dare a
me la possibilità di dedicarmi al progetto. A Harrier devo gratitudine per il suo contri-
buto letterario e umano, e amore per la generosità dimostrata nel mio ultimo viaggio
attraverso la Porta delle Stelle.

Per l'edizione italiana i traduttori desiderano ringraziare:


Gabriele Albanesi, Federica Arnolfo, Nicola Barnaba, Elena Dawker, Enrica
Deringhelli, Federico Bizzarri, Stefano Dotti, Liana Durgess, Paolo Corvi, Loredann De
Carli, Stefano Dessena, Alberto Farassino, !olanda Ginosa, Maurizio Giri, Donnie
Haner, Alan Jones, David McGillivray, Domenico M. Pisanelli, Tinn Porcelli, Luca
Vanzella, Fabio Zambarbierie, Gianfilippo Ranieri di Sorbello.

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Filmografia

1951 DAY OF THE FIGHT (r.I.: Il giorno del mmbattimento)


Regia: Sranley Kubrick; sceneggiatura: Roberr Rei n; 111ontaggio: J ulian Bergman; 11/IISica:
Gerald Fried; narratore: Douglas Edwards; protl11ttore: Jay Bonafield; tlistrib11zione: Rko-
Parhé, !ne.; rl11rata: 16'.
Nota: Kubrick afferma di aver effettuato la fotografia (bianco e nero) e il montaggio,
delle immagini e sonoro, per il film.

FLYING PADRE (r.I.: Il patire l'filante)


Regia: Sranley Kubrick; 111ontaggio: Isaac Kleinerman; 1/lllsim: Narhaniel Shilkrer; narra-
tore: Bob Hire; sonoro: Harold R. Vivian; protl11ttore: Burton Benjamin; tlistrih11zione:
Rko-Parhé, !ne.; d11rata: 8'30".
Nota: Kubrick afferma di aver effettuato la fotografia (bianco e nero) e il montaggio,
delle immagini e sonoro, per il film.

1953 THE SEAFARERS (r.I.: /marinai)


Regia e fotografia (colore): Sranley Kubrick; soggetto: Will Chasan; narratore: Don
Hollenbeck; msistenza tecnica: personale della Seafarers; prod11ttore: Lesrer Cooper per la
Seafarers lnternarional Union, Adantic and GulfCoasr Disrricr; d11rata: 30'.

FEAR AND DESIRE (r.I.: Pa11ra e desiderio)


Regia. prod11zione. fotografia (bianco e nero) e 111ontaggio: Sranley Kubrick; sceneggiat11ra:
Howard O. Sackler; 11/llsica: Gerald Fried; ispettore di protl~tzione: Bob Dierks; ai11to regia:
Sreve Hahn; tmcm: Cher Fabian; scenografia: Herberr Lebowirz; titoli: Barney Ettengoff;
dialoghista: Toba Kubrick; interpreti: Frank Silvera (Mac), Kennerh Harp
(Corby/General), Pau! Mazursky (Sidney), Sreve Coir (Flercher), Virginia Leirh (la
ragazza), David Allen (narratore); prod11ttore associatr1: Martin Perveler; tlistrih11zione:
Joseph Bursryn, !ne.; d11rata: 68'.

1955 KILLER'S KISS (IL BACIO DELL'ASSASSINO)


Regia. 111ontaggio e fotografia (bianco e nero): Sranley Kubrick; soggetto: Sranley Kubrick;
11/IISim composta e diretta da Gerald Fried; direttore di prod11zione: Ira Marvin; operatori di
1!/tlcchina: )esse Paley, Max Glenn; capo elettricista: Dave Golden; fonici: Walrer
Ruckersberg, Clifford van Praag; assistenti 111ontatori: Par Jaffe, Anthony Bezich; ailfto
•·egia: Ernesr Nukanen; mono: Tirra Sound Studio; te111a lllmimle dalla canzone Once di
Norman Gimbel e Arden Clar; seq11enza del balletto danzata da Rurh Soborka; coreogra-
fitt: David Vaughan; interpreti: Frank Silvera (Vincent Rapallo), )arnie Smirh (Davey
Gordon), l rene Kane (Gloria Price), Jerry Jarrer (Alberr), Mike Dana, Felice Orlandi,
Ralph Roberrs, Phil Srevenson (i gangster), Skippy Adelman (proprietario della fab-
brica di manichini), David Vaughan, Alec Rubin (partecipanti al convegno), Rurh
Soborka (lris), Shaun O'Brien, Barbara Brand, Arrhur Feldman, Bill Funaro; prodlltto-
ri: Sranley Kubrick e Morris Bousel per la Minoraur; distrib11zione: Unired Arrisrs;
d11rata: 67'.
Nota: Howard O. Sackler lavorò alla sceneggiarura senza essere accreditato.

1956 THE KILLING (RAPINA A MANO ARMATA)


Regia: Sranley Kubrick; sceneggiat11ra: Sranley Kubrick; dialoghi: Jim Thompson. Dal
romanzo !?apina a 111ano ar111ata di Lione! Whire (rir. i r. Rapina a mano amJata); direttore
della foto.~ra(ia (bianco e nero): Lucien Ballard, A.S.C.; scenogrtr(ia: Rurh Soborka; 111on-

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taggio: lletry Steinberg; 111/IJÙ"tl m111po.r1t1 e diretta da Gerald I'ried; m.r111111i: Jack Masters;
el/etti .rpeàali: Dave Koehlcr; operttlore di IJJaccbina: Dick Tower; (({po.rquadra elettricùti:
Bobby Jones; (({po.rquadra 1/Ja(t·biniJti: Cari Gibson; .regrelttria di edizione: Mary Gibsone;
!!moro: Earl Snyder; ai11to capo.rq11adra elettriciJti: Lou Cortese; .remndo tt.r.riJtente operatore:
Robert Hosler; cttJw.rqumh·a m.rtmttori: Bud Pine; ""·pentiere capo: Chrisrophcr E bse n; dem-
ratore capo: Robert L Stephen; tmcm: Roberr Litdefìeld; arredatore: Harry Reif; a.r.ri.rtente
a1·redatore: Cari Brainard; 111ontatore colonntt 11111.ricale: Gilbcrt Marchant; 111ontatore effetti
.rrmori: Rex Lipron, M.P.S.E.; aiuto regia: Milton Carter; .rmmdo ai11to regitt: Pau! Feiner,
Howard Joslin; .regrelttria di produzione: Margucrite Olson; attrezzi.rta: Ray Zambel; tra-
.rporti: Dave Lesser; to.rtu111i fe111111inili: Rudy Harrington; ammàature: Lillian Shore; opera-
tore effetti .rpeàali: Pau! Eagler; a.r.riJtente del regiJta: Joyce Hartman; m.r111111i di .rcena di
Mary Wind.ror: Beaumellc; effe/li fotogmfiti: Jack Rabin, Louis De Witt; mono: Rea
Sound System; inte•·preti: Sterling Hayden <Johnny Clay), Coleen Gray (Fay), Vince
Edwards (Val Cannon), Jay C. Flippen (Marvin Unger), T ed DeCorsia (Randy Kennan),
Marie Windsor (Sherry Peatty), Elisha Cook Jr. (George Peatty), Joe Sawyer (Mike
O'Reilly), Timothy Carey (Nikki Arane), Kola Kwariani (Maurice Oboukhoff), Jay
Adler (Leo), Joseph Turkel (Tiny), James Edwards (guardiano del parcheggio), Tiro
Vuolo, Dorothy Adams, Herberr Ellis, James Griffìth, Ceci l Ellior, Sreve Mirchell,
Mary Carroll, William Benedicr, Charles R. Cane, Roberr B. Williams; produllore:
James B. Harris per la Harris-Kubrick Productions; produllore a.r.roàato: Alexander
Singer; diJtribuzione: United Arrists; durata: 83'.

1957 PATHS OF GLORY (ORIZZONTI DI GLORIA)


Regia: Sranley Kubrick; .rteneggiattmt: Sranley Kubrick, Calder Willingham, Jim
Thompson. Dall'omonimo romanzo di Humphrey Cobb (ti t. it. Orizzonti di gloria); foto-
grafia (bianco c nero): Georg Krause; .rcenogm(ia: Ludwig Reiber; 111ontaggio: Eva Kroll;
111/IJÙ"tt: Gerald I'ried; m.rtu111i: lise Dubois; e{(etti .rpeàali: Erwin Lange; iJpettore di produ-
zirme: Helmut Ringelmann; aiuto regia: H. Stumpf, D. Sensburg, F. Spieker; .regretaria di
edizione: Trudy von Trotha; mono: Marrin Muller; omwlente 111ilitare: barone V.
Waldenfels; ai11to 11/tmlag,~io: Helene Fischer; 11/atcbiniJta addello alla 11/a(t·bina da P•·e.ra:
Hans Elsingcr; tmcm: Arrhur Schramm; prodotto negli Studi Bavaria di Monaco di
Baviera; ofJeratore di 11JcltdJina: Hanncs Staudinger; direi/ore di Jmulllzione per I'A111erim:
John Pommer; direi/ore di fmJduzione per la Ger111ania: George von Block; interpreti: Kirk
Douglas (colonnello Dax), Ralph Meeker (caporale Paris), Adolphe Menjou (generale
llroulard), George Macready (generale Mireau), Wayne Morris (tenente Roget), Richard
Anderson (maggiore Saint-Auban), Joseph Turkel (Arnaud), Timothy Carey (Ferol),
Peter Capell (giudice), Susanne Christian (ragazza redesca), Bere l'reed (sergente
Boulanger), Emile Meyer (prete), Ken Dibbs (Lejeune), Jerry Hausner (Meyer), l'red
Beli (soldato ferito), Harold Bcnedict (sergente Nichols), John Srein (capitano
Rousseau); pmdu/lore: James B. Harris per Bryna Productions; di.rtrilmzione: United
Arrisrs; durata: 86'.

1960 SPARTACUS (SPARTACUS)


Regia: Stanley Kubrick; .rceneggiatura: Dalton Trumbo. Dall'omonimo romanzo di
Howard Fast; fotogrc~(ia (colore): Russell Metty, A.S.C Technicolor, fìlmaro in Super
Technirama-70, obiettivi Panavision; mpen•i.rirme alla .rcenografia: Alexander Golitzen;
JCenografia: Eri c Orbom; arreda111ento: Russe l! A. Gausman, J ulia Heron; 11/ontaggio:
Roberr Lawrence; 111u.rica m111po.rta e dire/la da Alex North; co.r111111i: Valles; aiuto regia:
Marshall Green; titoli e mnmlmza gra(ù·a: Saul Bass; .r11ono: Waldon O. Watson, Joe
Lapis, Murray Spivack, Ronald Pierce; con.rulenza .rtorica e terniCCI: Vittorio Nino
Novarese; direttore di prod11zione: Norman Deming;fotogrc0a .rcene aggi11nte: Clifford Stine,
A.S.C.; a.r.ri.rtente di prod11zione: Stan Margulies; .rartoria: Peruzzi; co.rtu11Ji di Jean Si111mon.r:
Bill Thomas; a.r.riJtenti a/montaggio: Roberr Schulte, I'rcd Chulack; tolonna .ronora co-diret-
ta da Joseph Gershcnson; 1/Jonlctggio 11tu.ricale: Arnold Schwarzwald; tmuo: Bud
Westmore; ammàature: Larry Germain; interpreti: Kirk Douglas (Sparraco), Laurcnce
Olivier (Marco Crasso), Jcan Simmons (Varinia), Charles Laughron (Gracco), Pcter
Ustinov (Lentulo Batiato), John Gavi n (Giulio Cesare), Nina l'och (Elena), John Irchwd

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(Crisso), Herbert Lom (Tipane), John Dali (Glabro), Charles McGraw (Marcello),
Joanna Barnes (Claudia), Harold J. Srone (David), Woody Strade (Draba), Peter llrocco
(Ramon), Pau! Lambcrt (Giannico), Robcrc J. Wilke (capitano della ~uarclia), Nicholas
Dennis (Dionisio), John Hoyt (ufficiale romano), Fredcric Worlock (Le! io), Tony Curcis
(Antonino), Dayron Lummis (Simmaco), Jill Jarmyn, Jo Summers; prod111tore: Edward
Lcwis; prod111tore esemtit,o: Kirk Douglas per la llryna Productions; diJtriiJIIzione:
Universallnternational; d11rata: 184'; t'ersirme mta!lratcl ( 1')')2): 196'.

1962 LOLIT A (LO LIT A)


Regia: Sranley Kubrick; Jreneggiat11m: Vladimir Nabokov, dal suo omonimo romanzo;
fotografia (bianco e nero): Oswald Morris, ll.S.C.; scenogm(ia: Bill Andrews; mrmtaggio:
Anthony Harvcy; 111/IJÙ-a compOJta e dire/la da Nclson Riddlc; lellltl IIIIISicale "Lolita": Bob
Harris; orchesll·azirmi: Gil Grau; iJpellore di prrHlllzione: Raymond Anzarut; sarta: Elsa
Fennell; cosl11111i di Shelley WinterJ: Gene Coffìn; aJJiJtenle alla Henogm(ia: Sidney Cain;
direttore di prod11zirme: Robert Sternc; ai11to regia: Rene Dupont; opera/ore di macchina:
Denys N. Coop; seg1·etm-ia di edizione: Pame1a Davi es; montaggio del doppiaggio: Winsron
Ryder; fonici: Len Shilton, H.L. Bird; direttore delt-ast: James Liggat; tmcm: George
Partlcron; ammciat11re: lletty Galsow; regia semntl:t 11nitcì: Dennis Stock; ai111o montaggio:
Lois Gray; titoli: Chambers and Parcners; girato negli studi Associated British, Elstree,
In~hilterra; seg1·etaria di prod11zione: Joan Purcell; segretaria del prod11ttore: Josephine
Baker; a111111iniJt1·atore di prod11zione: Jack Smirh; ai11to t/1/IIIJiniJtratore: Doreen Wood; segre-
tari: Jack Smith, Jennifer Halford; seamdo ai11to regia: Ray Millichip; terzo aù1to regia:
Joan Sanischewsky; segretaria del regista: Stella Magee; Heneggiatore aggi11nto: David
Sylvestcr; assistente segretctria di edizione: Joyce Herlihy; operatore eu/detto alla messa a .(11om:
Jimmy Turrell; ciacdJiJta: Michae1 Rutter; opemtori addelli alla marrhina da preSti: A.
Osborne, W. Thompson; seamdo ai11to montaggio: W.W. Armor; progettista rafHJ: Frank
Wilson; disegnatori: John Siddal, Roy Dorman; pittore di Hena: A. Van Montagu; arreda-
mento: Andrew Low, Peter James; mposq11arlra mstmllori: Harry Phipps; sctrta di srenc1:
Barbara Gillett; assiJtente alla sartoria: Wyn Keeley; aJJistente cd trm<·o: Stella Morris;
responsabile arq11isti per la prod11zione: Terry Parr; p11hhlirista: Enid Jones; ai11to mim!{oniJta:
Peter Carnocly, T. Staples; man11tenzione sonrm1: L. Grimmel, Jack Lovelacc; mirrojimiJta:
Dan Worcham;jiJtogmfie di scena: Joe Pcarce; segretarie/ per la p11Miit"itcì: Amy Allen; inter-
preti: James Mason (Humbert Humbert), Shelley Winters (Charlotte Haze), Sue Lyon
(Lolita), Peter Sellers (Clare Quilty), Gary Cockrell (Dick), Diana Dccker (Jean Farlow),
Jerry Stovin (John Farlow), Suzanne Gibbs (Mona Farlow), Lois Maxwell (la nurse Mary
Lore), Bill Grcene (George Swine), Shirley Douglas (signora Srarch), Marianne Stone
(Vivian Darkbloom), Marion Marhie (Miss Lebone), James Dyrenforth (Beale), Maxine
Holden (addetta alla réception dell'ospedale), John Harrison (Tom), Colin Maitland
(Charlie), C. Denier Warren (Potts), Roland Brand (llill), Roberta Shore (Lorna), Cee
Linder (dottore), Isobel Lucas (Louise), Eric Lane (Roy), Irvin Allen (assistente in ospe-
dale), Craig Sams (Rex), Tcrence Kilburn; pmd111tore: James B. Harris per Seven
Arts/ Anya/Transworld; distrih11zione: Mgm; d11rata: 15 2'.

1964 DR. STRANGELOVE OR: HOW I LEARNED TO STOP WORRYING AND


LOVE THE llOMB (IL DOTTOR STRANAMORE, OVVERO COME IMPARAI A
NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA BOMBA)
Regia: Stanley Kubrick; sreneggiat11ra: Stanley Kubrick, Terry Sourhern, Peter George,
dal romanzo Red Alert di Peter George; jiJtografia (bianco e nero): Gilbert Taylor, ll.S.C.;
srenog•·afia: Ken Adam; arredamento: Peter Murcon; montaggio: Anthony Harvey; IIIIIJim:
Laurie Johnson; mstm11i: Bridget Sellers; effetti speciali: Wally Veevers; operatore di macchi-
na: Kelvin Pike; ai11to operatore: Bernard Ford; direttore di prod11zione: Clifton Brandon;
ai11to regia: Eric Rattray; seg>·etaria di edizione: Pamela Carlton; miJsaggio del doppiaggio:
John Aldred; tmt"m: Stewarr Freeborn; maschera mobile: Vie Margutti; montaggio sonoro:
Leslie Hodgson; ammriatm·e: llarbara Ritchie; remrdiJta: Richard llird; ai11to montaggio:
Ray Lovejoy; mmlllente aerona11tim: capitano John Crewdson; fonico: John Cox; premontag-
gio: Gcoffrey Fry; titoli: Pablo D. l'erro; giretto agli Shepperton Studios, Inghilterra, dalla
Hawk Films, Ltd; inte•·preti: Peter Sellers (capitano Lione! Manclrake - presidenre

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Muffley - dottor Stranamore), George C. Scocc (generale "Buck" Turgidson), Sterling
Hayden (generale Jack D. Ripper), Keenan Wynn (colonnello ''Bat'' Guano), Slim
Pickens (maggiore T.J. "King" Kong), Perer Bull (ambasciatore de Sadcsky), James Ear!
Jones (tenente Lothar Zogg), Tracy Reed (Miss Scocc), Jack Crcley (Mr. Staines), Frank
Berry (tenente H.R. Dierrich), Robert O'Neil (ammiraglio Randolf), Roy Stephens
(Frank), Glen Beck (tenente W.D. Kival), Shane Rimmer (capitano G.A. "Ace"
Owens), Pau! T amari n (tenente B. Go!Jberg), Gordon Tanner (generale Faceman), John
McCarrhy, Laurence Herder, Hai Galili (membri del Corpo di Difesa della base di
Burpelson); Jm~tlllttore: Stanley Kubrick; prod11ttore associato: Victor Lyndon; distrib11zione:
Columbia Pictures; d11rata: 93'.

1968 2001: A SPACE ODISSEY (2001: ODlSSEA NELLO SPAZIO)


Regia: Stanley Kubrick; sceneggiatttra: Sranley Kubrick, Arrhur C. Clarke; fotografia
(colore): Geoffrey Unsworrh, B.S.C.; fotografia aggi11nta: John Alcort; scenografia: Tony
Masters, Harry Lange, Ernest Archer; montaggio: Ray Lovcjoy; 11111JÙ't1: Aram Khacatu-
rian, Gayane, eseguita dall'Orchestra Filarmonica di Leningrado direcca da Gennadi
Rozhdestvensky, per concessione della Deutsche Grammofon; Gyorgy Ligeri,
Atmospbì:res, eseguira dall'Orchescra della Radio della Germania sudoccidentale diretta
da Ernest Bour; t11x Aeterntt, eseguita dall'Orchestra Nazionale di Stoccarda direcca da
Clycus Goccwald; ReqiiÙ!tll, eseguita dall'Orchestra Radiofonica Bavarese direcca da
Francis Travis; Johann Strauss, il Dan11bio b/11, eseguita dall'Orchescra Filarmonica di
Berlino direcca da Herberr Von Karajan, per concessione della Deucschc Grammofon;
Richard Strauss, Cr1sÌ parlrì Zamtbmtra, eseguita dall'Orchestra Filarmonica di Berlino
direcca da Karl Bohm; e(/i:tti speciali fotografici disegnati e diretti da Stanley Kubrick; Jllper-
visione effetti sfJeciali fotografici: Wally Veevers, Douglas Trumbull, Con Pederson, Tom
Howard; mstm11i: Hardy Amies; primo ai11to regia: Derek Crackncll; 11nità effetti speciali
fotografici: Colin J. Cancwell, Bruck Logan, Bryan Lofcus, David Osborne, Frederick
Mare in, John Jack Malick (Tcchnicolor, Metrocolor); operatm·e di macchina: Kelvin Pikc;
arredamento: John Hocsli; montaggio sonoro: Winston Ryder; tmcm: Srewarr Freeborn; assi-
stente montaggio: David Dc W ilde; frmim: A.W. Warkins; missaggio sonoro: H.L. Bird; mpo
missaggio doppiaggir1: J .B. Smith; mn.mlenza scientifica: Frederick l. Ordway III; filmato in
Super Panavision; girato negli Mgm Bririsb Srudios, Led., Dorebam Wood, lnghilrerra;
In Cinerama; interpreti: Keir Dullea (David Bowman), Gary Lockwood (Frank Poole),
William Sylvesrer (doccor Heywood Floyd), Daniel Richrer (la scimmia "Guarda la
Luna"), Leonard Rossirer (Smyslov), Margarer Tyzack (Elena), Roberr Bearry
(Halvorsen), Sean Sullivan (Michaels), Douglas Rain (voce di Hai 9000), Frank Miller
(addecco al controllo missione), Vivian Kubrick (la figlia del doccor Floyd), Alan
Gifford (il padre di Poole), Penny Brabms (la hostess), Bill Wcston, Edward Bisbop,
Glenn Bcck, Ann Gillis, Edwina Carro!!, Hearher Downham, Mike Lovell, John
Ashley, Perer Delmar, David Hines, Darryl Paes, Jimmy Beli, Terry Duggan, Tony
Jackson, Joe Refalo, David Charkham, David Fleerwood, John Jordan, Andy Wallace,
Simon Davis, Danny Grover, Scocc Mackee, Bob Wilyman, Jonarhan Daw, Brian
Hawley, Laurence Marchant, Richard Wood; prod11ttore: Sranley Kubrick; distribttzionc:
Mgm; d11rata: 139'.

1971 A CLOCKWORK ORANGE (ARANCIA MECCANICA)


Regia: Sranley Kubrick; saneggiat11ra: Stanley Kubrick, dal romanzo omonimo di
Anthony Burgess (tic. ir. Un'arancia a orologeria); fritografia (colore): John Alcorr; sceno-
gra{ia: John Barry; montaggio: Bill Burler; 11msica: W alter Carlos (brani eleccronici origi-
nali e arrangiamenti); Sinfrmia n. Y in re minrwe. Opm 125 . di Ludwig van Beethoven;
ouverture da La gazza ladt·a e Gttglielmo Te/l di Gioachino Rossini; Pomp ami
Cirmmstance, marce n. l e 4 di Edward Elgar, dirette da Marcus Dods; Singin' in the
Rain, di Archur Freed e Nacio Herb Brown, dal film della Mgm, interpretata da Gene
Kelly; Om•et·t11re to tbe Sttn, di Terry Tucker, l Wam to Marry a Ligbtbome Keeper, scricca e
interprerara da Erika Eigen; mstm11i: Milena Canonero; amJIIIenza ammciat11re: Leonard of
London; montag}!,io sonrwo: Brian Blamey; frmim: John Jordan; missaggio del doppia}!,gio: B.ll
Rowe, Eddie Haben; armlm11ento: Russell Hagg, Pcrer Shields; Sttl'lo: Ron Beck; morti!-

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na111ento sttmt-111an: Roy Scammell; dipinti e sml111re speciali: Herman Makkink, Cornclius
Makkink, Liz Moore, Chrisriane Kubrick; selezione attori: Jimmy Lit-:gar; mpomabile di
produzione: Tercnce Clegg; sujlert'Ùore dettrirùti: Frank Wardale; aiuto regia: Derek
Cracknell, Dusry Symonds; mposq11adra ,-o.rtmttrwi: Bill Welch; ,-apo attrezzùta: Frank
Bruron; aiuto 111ontaggio: Gary Shepherd, Percr Burgess, David Bceslcy; operatori di 11/ac-
rhina: Ernie Day, Mike Molloy; addetto alla 11/eSStl a_{ttom: Ron -Drinkwarcr; aiuto ope•·ato-
ri: Laurie Frosr, David Lenham; 111imifonùta: Perer Glossop; lllac,-hinùti: Don Budge,
Tony Cridlin; elettricisti: Louis Bogue, Derek Garrell; attrezzisti: Perer Hancock, Tommy
Jbberson, John Oliver; mordinatrwe pm111ozione: Mike Kaplan; a111111inistratore di produzione:
Len Barnard; segretaria di edizione: June Randall; armnciature: Olga Angelinerra; trttcm:
Fred W illiamson, George Parrleron, Barbara Daly; segretaria di produzione: Lorerra
Ordewer; segretaria del regista: Kay Johnson; segretario di produzione: Andros
Epaminondas; coordina111ento dei set: Arrhur Mort-:an; mmulenza tecnica: John Marshall; un
ringrazia111ento speciale a: Braun AG Francofone, Dolby Laborarories lnc., Konrakr
Werksraerren, Ryman Conran Limired, Sreinheimer Leuchrenindusrrie, Temde AG.
Girato nei Pinewood Srudios, Londra, lnghilrerra, negli Emi-Mgm Srudios, Boreham
Wood, Herrs., lnghilrerra, e in esrerni in lnghilrerra dalla Hawk Films, Limired; inter-
preti: Malcolm McDowell (Alex), Parrick Magee (signor Alexander), Michael Bares
(capo guardiano), Warren Clarke (Dim), John Clive (arrore della prova di guarigione),
Adrienne Corri (signora Alexander), Cari Duering (dorror Brodsky), Pau! Farrell (vaga-
bondo), Clive Francis (giovane a pensione dai genirori di Alex), Michael Gover (gover-
narore della prigione), Miriam Karlin (la signora dei garri), James Marcus (Georgie),
Aubrey Morris (Delroid), Godfrey Quigley (cappellano della prigione), Sheila Raynor
(madre di Alex), Madge Ryan (dorror Branom), John Savidenr (cospirarore), Anrhony
Sharp (minisrro), Philip Srone (padre di Alex), Pauline Taylor (psichiarra), Margarer
Tyzack (cospirarrice), Sreven Berkoff (poliziorro), Lindsay Campbell (isperrore), Michael
Tarn (Pere), David Prowse ()ulian), Jan Adair, Vivienne Chandler, Prudence Drage
(odalische del sogno), Richard Connaut-:hr (Billyboy), John J- Carney (uomo del CIO),
Caro! Drinkwarer (infermiera Feeley), Virginia Werherell (arrrice della prova di guari-
t-:ione), Gillian Hills (Sonierra), Karya Wyerh (ragazza), Barbara Scorr (Marry), Barrie
Cookson, Gaye Brown, Perer Burron, Lee Fox, Shirley Jaffe, Nei! Wilson, Craig
Hunrer, Cheryl Grunwald; produttore: Sranley Kubrick; prod11ttori esemtivi: Max L Raab,
Si Lirvinoff; produttore aJsoàato: Bernard Williams; assùtente del produttore: Jan Harlan;
distribuzione: Warner Bros.; d11rata: 137'.

1975 BARRY LYNDON (BARRY LYNDON)


Regia: Sranley Kubrick; adattmmnto per lo Hher111o: Sranley Kubrick, dal romanzo Le
ll/e111orie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray; fotografia (colore): John
Alcorr; Jtenografia: Ken Adam; 11/ontag}!,io: Tony Lawson; tlllatta111ento e direzione della
111usira: Leonard Rosenman (brani da Johann Sebasrian Bach, Federico il Grande, George
Friedrich Handel, Wolfgang Amadeus Mozarr, Giovanni Paisiello, Franz Schuberr,
Anronio Vivaldi); musica rradizionale irlandese eseguira dai Chiefrains; Trio per pia-
noforte in Mi be111ol!e, Op. ]00, di Franz Schuberr eseguiro da Ralph Holmes (violino),
Moray Welsh (violoncello) e Anrhony Goldsrone (pianoforre); Conrmo per t'ioloncel!o in
Mi 111inore di Anronio Vivaldi eseguiro da Pierre Fournier (violoncello), regisrraro per
Deursche Grammophon; ammciat11re e parmcche: Leonard; cr1stu111i: Ulla-Brirr Soderlund,
Milena Canonero; J(enogra_(ia: Roy Walker; assistente del prod11ttore: Andros Epaminondas;
aiuto regia: Brian Cook; 111ontaggio sonoro: Rodney Holland;jimim: Robin Gregory; 111issag-
gio dd doppiaggio: Bill Rowe; t!Ùtlo 111ontaggio: Perer Krook; ai11to 111ontaggio sonoro: George
Akers; operatwe semnda unità: Paddy Carey; operatori di 11/acchina: Mike Molloy, Ronnie
Taylor; addello alla l/lessa a jimm: Douglas Milsome; wri_(ira del m/ore: Dave Dowler; aiuto
operatori: Laurie Frosr, Dodo Humphreys; 11/tlcchinisti addelti aliti 11/tl(china da presa: Tony
Cridlin, Luke Quigley; caposquadm e!ettriàrti: Lou Bogue; e!eltrirùta capr1: Larry Smirh;
direttori di pmduzione: Douglas Twiddy, Terence Clegg; aiuto regia: David Tomblin,
Michael Srevenson; ispettori di produzione: Malcolm Chrisropher, Don Geraghry; direttore
di prod11zione pe•· la GLO'IIJania: Rudolf Hcrrzog; coordinmllento dei se/: Arrhur Morgan; col.
William O'Kelly; arredtmJento: Vernon Dixon; ai111o Henogrt~(ia: Bill Brodie; ailflo JCeno-

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grafia per !et Ger111anict: Jan Schlubach; capo atlrezzista: Mike Fowlie; atlrezzista: Terry
Wells; trot•m·obe: Ken Dolbear; .-aprJJqllat!.·a crJJ/rttllori: Joe Lee; pittore di Jt"ena: Bill
Beechman; taPfJezzeria: Richard Dicker, Clco Nethersole, Chris Seddon; sarto: Ron Beck;
realizzazione mstmni: Gary Dahms, Yvonne Dahms, Jack Edwards, Judy Lloyd-Rogers,
Willy Rothery; t"tfpjJe//i: Francis Wilson; ai111o sartoria: Gloria Barnes, Norman Dickens,
Colin Wilson; tmcm: Ann Brode, Alan Boyle, Barbara Daly, Jill Carpenrer, Yvonne
Coppard; parmc.-hieri: Susie H ili, Joyce James, Maud Onslow, Daphne Vollmer; segreta-
ria del prod1111ore: Margaret Adams; selezione allori: James Liggat; mreografie: Geraldine
Stephenson; allllllinistralore di prod11zùme: John Trehy; segretarie di prod11zione: Loretta
Ordewer, Pat Pennelegion; ai111o am111inistratori: Ron Bareham, Carolyn Hall; segretaria
rli edizione: J une Randall; comlllenza m/ giom d'azzardo: Davi d Berglas; conm/enzct storit"tf:
John Mollo; istmi/ore di scher111a: Bob Andcrson; morrlina111ento slllni-1Jlan: Roy Scammell;
IJJaes/rtJ rli eq11itazione: George Mossman; addetlo agli animali di scena: Peter Munr; ar111iere:
Bill Aylmore; tm ringrazia111ento speciale a: Corsham Court, Glastonbury Rural Life
Museum, Stourhead House, National Trust, Casrle Howard; obielliz•i per la fotografia a
l11ce di candela realizzati da Cari Zeiss, Germania Ovest; adallcmlenlo per il cine111a di Ed Di
Giulio; assistenza a11dio speciale: laboratori Dolby. Girato in esterni in Inghilterra, Irlanda
e Germania da Hawk Films, Ltd. e registrato pres.ro gli smdi Emi di Elsrree, Inghilterra;
inte1preti: Ryan O'Neal (Barry Lyndon), Marisa Berenson (Lady Lyndon), Patrick Magee
(Chevalier de Bali bari), Hardy Kruger (capitano Potzdorf), Steven Berkoff (Lord Ludd),
Gay Hamilron (Nora), Marie Kcan (madre di Barry), Diana Koerner (ragazza tedesca),
Murray Melvin (reverendo Runr), Frank Middlemass (Sir Charles Lyndon), Andre
Morell (Lord Wendover), Arrhur O'Sullivan (bandito), Godfrey Quiglcy (capitano
Grogan), Leonard Rossiter (capitano Quin), Philip Srone (Graham), Leon Vitali (Lord
Bullingdon), Dominic Savage (Lord Bullingdon bambino), David Morley (il piccolo
Brian), Roger Booth (Giorgio III), Norman Mitchell (Brock), Pat Roach (Toole),
Anrhony Sharp (Lord Harlan), Michael Horden (m~tratore), John Dindon, Billy Boyle,
Jonathan Ceci!, Peter Cellier, Geoffrey Chater, Anrhony Dawes, Parrick Dawson,
Bcrnard Hepron, Anrhony Herrick, Barry Jackson, Wolf Kahler, Parrick Laffan, Hans
Meyer, Ferdy Mayne, Liam Redmond, Frederick Schiller, George Scwell, Roy Spencer,
John Sullivan, Harry Towb, John Sharp; pmd1111ore: Stanley Kubrick; prod1111ore esemtiw:
)an Harlan; pmd11t1ore msociato: Bernard Williams; prod11zirme: Hawk Films/Peregrine per
la Warner Bros.; distrih11zione: Warner Bros.; dt~rala: 183'.

1980 THE SHINING (SHINING)


Regia: Stanley Kubrick; s.-eneggiatllra: Stanley Kubrick, Diane Johnson, dall'omonimo
romanzo di Stephen King;fotografia (colore): John Alcorr; scenografia: Roy Walker; 11/on-
taggio: Ray Lovejoy; 11/IISÙ"tf: Béla Barr6k; 11111sÙ"tf per arrhi. permssioni e .-elesta, direrra da
Herberr von Karajan, regisrrata dalla Deucsche Grammophon; Krzyszrof Penderecki;
Wendy Carlos e Rachel Elkind; Gyorgy Ligeti; mstmni: Milena Canonero; direttore di
prod11zione: Douglas Twiddy; ai11to regia: Brian Cook; operatore alla stet~di((f111: Garrerr
Brown; fotografia dall'e/icollero: Macgillivray Freeman Films; assistente personale del regista:
Leon Vitali; assistente rle/ prod11t1ore: Andros Epaminondas; scenografia: Les Tomkins; tml"-
m: Tom Smith; ammciat11re: Leonard; ojJeratm·i di 111a.-china: Kelvin Pike, James Dewis;
fotografia semnda 11nità: Douglas Milsome, Macgillivray Freeman Films; a.r.ristenti cri/a
111essa a f11om: Douglas Milsome, Maurice Arnold; ai11to operatori di 111acchina: Peter
Robinson, Martin Kenzie, Danny Shelmerone; 111accbinista: Dennis Lewis; capisq11adra
elettricisti: Lou Bogue, Larry Smith; 111ontaggio sonoro: Wyn Ryder, Dino Di Campo, Jack
Knight; ftmici: lvan Sharrock, Richard Daniel; 111issaggio del doj1piaggio: Bill Rowe; ai11to
111ontaggio: Gill Smith, Gordon Srainforrh; mns11lenza Il/fiSica anni Venti: Brian Rust, John
Wadley; ai11to regia: Terry Needham, Michael Srevenson; tmcmtore: Barbara Daly; segre-
taria eli edizione: J une Randall; mmuinistratore di jnwl11zione: J o Gregory; arreda111ento:
Tessa Davies; mposq11adra mstmllori: Len Fury; titoli: Chapman Beauvais and National
Screen Service; allrezzista: Peter Hancock; demratore: Roberr Walker; se.-ondo ai11to 11/on-
taggio: Adam Unger, Sreve Pickard; t•erifit"tf del m/ore: Eddie Gordon; consti/enza Hotel:
Tad Miche!; selezione allori: James Liggat; ricert'tl /r)("tf/Ùm: Jan Schlubach, Katharin"
Kubrick, Murray Closc; .regretarie di JmHlllzirme: Par Pennclegion, Marlcne Burland; segre-

542
taria del P'"'""'l/ore: Margaret Adams; aJSistente di prod11zione: Emilio D'Alessandro; stmt-
l!tre temù·he: Norank of Elstrce; sarti: Ken Lawron, Ron Beck; progellisti: John Fenner,
Michael Lamom, Michael Boone; tromrobe: Edward Rodrigo, Karen Brookes; operatore
t'ideo: Dan Grimmel; microfonisti: Ken Weston, Michael Charman; tappezzerÙI: Barry
Wilson; s/1/tca/ore: Tom Tarry; coslmllore capo: Jim Kelly; carpemiere capo: Fred Gunning;
pillore di scena: Del Smirh; al/rezzisti: Barry Arnold, Philip McDonald, Peter Spencer; 11n
ringraziamento speciale a: Timberline Lodge, Moum Hood National Forest, Oregon;
Continemal Airlines; Commissione Cinematografica dello Stato del Colorado; Kbrv
Channel D. Denver, Wplg Channel 10 Miami, Khow Radio Denver, Harrods di
Londra, American Motor Company, Cari Zeiss (Germania Ovest), National Vendors,
Music H ire Group Ltd., Cherry Leisure (GB) Ltd;filmato mn 111acchine da presa Arreiflex;
girato dalla Hawk Films agli Emi Elsrree Srudios, Inghilterra; interpreti: Jack Nicholson
(Jack Torrance), Shelley Duvall (Wendy Torrance), Danny Lloyd (Danny), Scatman
Crothers (Halloran), Barry Nelson (Ullman), Philip Stone (Grady), Joe Turkel (Lloyd),
Anne Jackson (pediatra), Tony Burton (Durkin), Lia Beldam (giovane donna nel
bagno), Billie Gibson (anziana donna nel bagno), Barry Dennen (Watson), David Baxt
(prima guardia forestale), Manning Redwood (seconda guardia forestale), Lisa Burns
(figlia di Grady), Louise Burns (figlia di Grady), Allison Coleridge (segretaria), Burnell
Tucker (poliziotto), Jana Sheldon (hostess), Kate Phelps (addetta alla reception),
Norman Gay (cliente ferito); prod11zione: Stanley Kubrick, in associazione con The
Producers Circle Company, Robert Fryer, Marrin Richards, Mary John; prod1111ore em·llti-
vo: )an Harlan; distrib11zione: Warner Bros.; d11rata: 142'.

1987 FULL ME TAL JACKET (FULL MET AL JACKET)


Regia: Stanley Kubrick; sceneggiat11ra: Stanley Kubrick, Michael Herr, Gustav Hasford,
dal romanzo The Short-Timers di Gusrav Hasford; fotografia (colore): Douglas Milsome;
stenografia: Anron Furst; 11111111aggio: Martin Hunter; 11111siche originali: Abigail Mead;
mstmui: Keith Denny; tecnici ef(eui speciali: Perer Dawson, Jeff Clifford, Alan Barnard;
ai111o regia: Leon Vitali; s11ono: Edward Tise; microfrmista: Martin Trevis; montaggio sonoro:
Nigel Galt, Edward Tise; mis.raggio del doppiaggio: Andy Nelson, Mike Dowson; missag-
gir~: Delta Sound, Shepperton; .wperi'Ùore e(/elli speciali: John Evans; selezi,me allori: Leon
Vitali; set,Jmla selezione allm·i: Mike Fcmon, Jane Feinberg, C.S., Marion Dougherty; sele-
zione allori vielnamiti: Dan Tran, Nguyen Thi My Chau; primo ai111o regia: Terry
Needham; semndo ai111o regia: Chrisropher Thomson; direi/ore di prod11zione: Phil Kohler,
Bill Shepherd; organizzatore generale: Margaret Adams; sarto: John Birkenshaw; assistente
sarto: Helen Gill; lrrtt(tl/ori: Jennifer Boost, Christine Allsop; monta/ore colonna dialoghi:
Joe llling; ai11to 11/lmtaggirJ sonoro: Pau! Conway, Peter Culverwell; ingegnere de/montaggio:
Adam Watkins; opemlore t'ideo: Manuel Harlan; apprendisti operatori: Vaughn Marrhews,
Michaela Mason; apprendista monta/ore: Rana Buchanan; acamcia111re: Leonard; direi/ori
artistici: Roe! Srratford, Les Tomkins, Keith Pain; arredatore: Stephen Simmonds; assi-
stenti diret/11ri artistici: Nigel Phelps, Andrew Rothschild; rom11lenza /emica: Lee Ermey;
ricerca per dipartimento stenografia: Anthony Frewin; tmuieri: Hills Small Arms, Ltd.,
Robert Hills, John Oxlade; mode/lista: Eddie Burler; al/rezzista: Brian Wells; <"tlposq11adra
mstmttori: George Crawford; tiSsistente caposq11adra tostml/ori: Joe Martin; trwarobe: Jane
Cooke; m/ore: Rank Film Laborarories, Denham; operatori steadit"t1111: John Ward, Jean-
Marc Bringuier; cambiamento di f11om: Jonathan Taylor, Maurice Arnold, James Ainslie,
Brian Rose; macchinista: Mark Ellis; ai11to operatore: Jason Wrenn; capo elettricista: Seamus
O'Kane; pilota elimllero: Bob Warren; segretaria di edizione: Julie Robinson; amministratore
di prod11zione: Pau l CadiGli; aJSistenti del prod1111ore: Emilio D'Alessandro, Amhony
Frewin; segretaria del prod111111re: Wendy Shorter; segretari di prod11zione: Steve Millson,
Michael Shevloff, Matthew Col es; aJSistenle amministratore: Rira Dean; operatore alla conta-
bilità: Alan Steele; infermiere: Linda Glatzel, Carme l Fitzgerald; programmi infrmuatiti s,tJe-
ciali per il montaggio: Julian Harcourt; a11tisti: Sreve Coulridge, Bill Wright, James
Black, Pau! Karamadza; elitollero: Sykes Group; laboratlwio: Chester Eyre; temim gm
lomJJa: Ada m Samuelson; sistema di montaggio gm lo11ma e t'ideo: Samuelsons, Londra; /rilo-
gmfia aerea: Ken Arlidge, Samuelsons Australia; smmo ollim: Kay-Metrocolor Sound
Srudios; rÙ'erJtmlenlo del sonm·o: Roger Cherrill; titoli: Chapman 13eauvais; ristorazione:

543
The Locarion Carerers, Lrd.; trasporti: D&D lnrernarional, Daven Croucher, Ron
Digweed, Chalky Whire; fabbisogno temim: WiJJies Wheels, Ron Lowe; trasporto della
trrJI/pe: Focus Cars; ingegnere del z•eicolo di scena: Nick Johns; allrezzista cbargeband: Pau!
Turner; allrezzisti a disposizione: Danny Hunrer, Sreven AJJert, Terry WeJJs; attrezzisti:
R. Dave FaveJJ Clarke, Frank BiJJingron-Marks; accessori di demrazione di Hena: Mare
Dillon, Michael Wheeler, Winsron Depper; s11pm•isore pillori di scena: )oh n Chapple; pit-
tori di Hena: Leonard Chubb, Tom Roberts, Leslie Evans Pearce; mstmllori: Perer
Wilkinson, Les Pipps; <"tlrpentieri: Mark Wilkinson, A.R. Carrer, T.R. Carter; st11cmtori:
Dominic Farrugia, Michael Quinn; macdJinisti: David Gruer, Michael Marrin, Srephen
Marrin, Ronald Boyd; mstmllori a disposizione: George Reynolds, Brian Morris, Jim
Cowan, Colin McDonagh, John MarseJJa; 1111/Sica: l-/ello Vietncllll, eseguita da Johnny
Wrighr (per concessione di Mca Records), scrirra da Tom T. HaJJ, UnichappeJJ Music
!ne., Morris Music !ne.; Tbe Mcrrines Hymn, eseguita da The Goldman Band (per conces-
sione di M ca Records); Tbese Brillts Are Ma de f,r Walking, eseguita da Nancy Si narra (per
concessione di 13oors Enrerprises, !ne.), scrirta da Lee Hazelwood, Crirerion Music
Corp.; Cbapel of Loz•e, eseguita da The Dixie Cups, arrangiamento di Shelby Singleron
Enrerprises c/o Origina! Sound Enrerrainmenr, seri rea da Jeff Barry, EJJie Greenwich e
Phil Specror, Trio Music Co., !ne., Morher Berrha Music, !ne.; \Vooly Bttlly, eseguita da
Sam rhe Sham and rhe Pharaohs (per concessione di Polygram, Division of Polygram
Records l ne.), scrirra da Domingo Samudio, Beckle Publishing Co., lnc.; Paintlt Black,
scrirra da Mick Jagger e Keirh Richards, eseguita dai RoJJing Srones, prodorra da
Andrew Loog Oldham (per concessione di Abkco Music and Records, Inc.); maccbine da
presa Arri Munich. Fairlighr Digiral Audio-Posr Music Sysrem; 11n ringraziamento speria-
te c1: deposito Queens Division Bassingbourn, PSA Bassingbourn Barracks, Brirish Gas
PLC Norrh Thames, la comunità viernamira, Narional Trusr di Norfolk; girato in ester-
ni e nei Pinewood Srudios, lver, Bucks; interpreti: Marrhew Modine (soldaro Joker),
Adam Baldwin (Anima!), Vincenr D"Onofrio (soldaro Pyle), Lee Ermey (sergente isrrur-
rore Harrman), Dorian Harewood (EighrbalJ), Arliss Howard (soldaro Cowboy), Kevyn
Major Howard (Rafrerman), Ed O"Ross (renenre Touchdown), John Terry (renenre
Lockharr), Kieron Jecchinis (Crazy Earl), Bruce Boa (colonneJJo Poge), Kirk Taylor
(Payback), John Srafford (Doc Jay), Tim Colceri (il mitragliere deJJ"elicorrero), Ian
Tyler (renenre Cleves), Gary Lanon (Donlon), Sal Lopez (T.H.E. Rock), PapiJJon Soo
Soo (prima prosrirura), Ngoc Le (ragazza cecchino), Perer Edmund (SnowbaJJ), Tan
Hung Francione (il mezzano), Leanne Hong (seconda prosrirura), Marcus D'Amico
(Hand Job), Cosras Dino Chimona (Chili), Gil Kopel (Srork), Keirh Hodiak (Daddy
Da), Perer MerriJJ (giornalista rv), Herberr NorviJJe (Dayrona Dave), Nguyen Hue
Pong (ladro), Due Hu Ta (N.V.A. morro); reclute di Parris Island e plotone in
Viernam: Marrin Adams, Kevin Aldridge, Del Anclerson; Philip Bailey, Louis Barlorri,
John Beddows, Parrick Benn, Sreve Boucher, Adrian Bush, Tony Carey, Gary
Cheeseman, Wayne Clark, Chris Corniberr, Danny Corniberr, John Curris, Harry
Davies, John Davis, Kevin Day, Gordon Duncan, Phil Elmer, Colin Elvis, Hadrian
FolJerr, Sean Frank, David George, Laurie Gomes, Brian Goodwin, Nigel Goulding,
Tony Hague, Sreve Hands, Chris Harris, Bob Harr, Derek Harr, Barry Hayes, Tony
Hayes, Robin Hedgeland, Duncan Henry, Kennerh Head, Liam Hogan, Trevor Hogan,
Luke Hogdal, Sreve Hudson, Tony Howard, Sean Lamming, Dan Landin, Tony Leere,
Nigel Lough, Terry Lowe, Frank McCardle, Gary Meyer, Brerr Middleron, David
Milner, Sean Minmagh, Tony Minmagh, John Morrison, RusseJJ Morr, John Ness,
Roberr Nichols, David Perry, Perer Rommely, Par Sands, Chris Schmidr-Maybach, Al
Simpson, RusseJJ Slarer, Gary Smirh, Roger Smirh, Tony Smirh, Anrhony Sryliano, BilJ
Thompson, Mike Turyansky, Dan Weldon, Dennis WeJJs, Michael WiJJiams, John
Wilson, John Wonderling; prod111tore: Sranley Kubrick per Warner Bros.; protl1111ore ese-
mtiz•o: )an Harlan; coprod111tore: Philip Hobbs; prod111tore assoàato: Michael Herr; distribll-
zirme: Warner Bros.; d11rata: 116'.

544
Note

Nei cinquant'anni trascorsi dall'inizio della carriera di Sranley Kubrick, il nome 'e
1 lavori del regista sono stati menzionati in centinaia di quotidiani, riviste e libri;
purtroppo lo spazio a mia disposizione nori mi consente di elencarli tutti. Sono rico-
noscente a quanti prima di me hanno scritto di Sranley Kubrick: la loro opera mi è
stata di grande aiuto e ha illuminato il lavoro che ho svolto per creare la sua biogra-
fia. A quei lettori che desiderassero approfondire ulteriormente la conoscenza di
Kubrick consiglio l'eccellente opera di Wallace Coyle dal titolo Stanley K11brick: A
G11ùle to Re/erenceJ and RmmrceJ. Ringrazio inoltre i molti critici e teorici che hanno
espresso i loro commenti sui film di Sranley Kubrick: i loro scritti hanno contribuito
allo sviluppo delle mie personali opinioni sull'argomento e mi hanno aperto la strada
verso altre vie da esplorare. Qui di seguito elencherò le fonti principali alle quali ho
attinto per approfondire gli elementi presenti in quest'opera. Mi scuso per eventuali
omissioni o errori. Secondo quanto è stato più volte affermato, un biografo beneficia
della cortesia degli sconosciuti: dunque il mio ringraziamento va a tutti gli scono-
sciuti che si sono trasformati in amici grazie al conrribuw .appor.raro alla s.t.es.uca di
questo resto.

Prologo

Lettera da Jim Coleman a W alter Scott, Walter S(f)tt'J Pemmality Parade, «Parade»,
«Newsday••, 25 febbraio 1996, p. 2.

Parte prima 1928-1948: Il Bronx

Capitolo l. «Stanley si interessava solo a ciò che lo interessava>>

Le informazioni genealogiche sulle famiglie Kubrick, Perveler e Metz sono srate rac-
colte dalle seguenti fonti: United States Petitions far Naruralizarion, State of New
York, New York City Hall of Records, Social Securiry Death lndexes, 1920 Census
Records, NYC, Birrh Cerrificates, New York City Hall of Records, Healrh
Departement/Ciry Clerk, NYC Hall of Records, New Jersey State Departemenc of
Health e U.S. Peririon far Cirizenship.
Le informazioni riguardanti la carriera medica di Jacques Kubrick provengono dalle
seguenti fonti: Rare Books Collecrion, Medicai Sciences Library ofNew York Medicai
College, Medicai Directory of New York, New Jersey and Connecticut 1935-1936,
1963-1964.
La storia del Lying-ln Hospital è stata ricavata dai New York Hospiral Archives.
Le notizie riportare dai quotidiani del 26 luglio 1928 sono del «New York Times».
Le informazioni sul2160 di Clincon Avenue, il1131 e il 1135 di Grane Avenue, il
1414 di Shakespeare Avenue e il 1873 di Harrison Avenue sono frutto della ricerca e
delle fotografie scattate sul posto il 23 marzo 1996., e ar.tingono ai .dati .riportati nelle
seguenti fonti: Bronx Address Directory e Bronx Councy Historical Sociery.
Le informazioni riguardanti l'iter scolastico di Sranley Kubrick provengono dalle
seguenti fonti: gli archivi scolastici, gli annuari del W.H. Tafr High School, le intervi-
ste rilasciare all'autore da Bernard Cooperman, Lou Garbus, Betty Garbus, Herman
Gerter, Robert Sandelman, Alexander Singer, Rose Spano e Daniel Traister.
La storia di Martin Perveler è srata ricavata dalle seguenti fonti: California Stare
545
Pharmacy Board, Las Angeles Coumy Superior Courr Divorce Records, l'intervista rila-
sciata da Harriet Morrison a David Niemerow del Cal-Oaks Pharmacy.
Le informazioni sulla macchina fotografica Graflex provengono da Life Library of
Photography.
Le informazioni sulla Grand Concourse e il 2715 di Grand Concourse provengono
dalle interviste rilasciate all'autore da Donald Silverman, Cliff Vogel e Stanlcy Getzler.
Le informazioni riguardami l'amicizia rra Sranley Kubrick e Marvin Traub provengo-
no dalle conversazioni telefoniche avure dall'aurore con Marvin Traub, dalle interviste
rilasciare all'aurore da Donald Silverman, Cliff Vogel e Harriet Daniels.
La storia del Loew's Paradise è srata ricavara dalle seguemi fonti: Thearer Files, Bronx
County Hisrorical Society.
La fotografia che Scanley Kubrick ha scattato al giornalaio dopo la morte di Franklin
Delano Roosevelr è apparsa sul numero del 26 giugno 1945 di <<Loob.
Le informazioni riguardami la relazione di Stanley Kubrick con Aaron Traisrer pro-
vengono dalle interviste rilasciate all'autore da Lou Garbus, Berry Garbus e Daniel
Traister.
Le fotografie che Sranley Kubrick ha scattato ad Aaron Traisrer sono apparse sul
numero del 2 aprile 1946 di <<Looh.
I ricordi legati all'amicizia era Gertrude Kubrick e Rose Florio provengono da
un'imervisra rilasciata all'autore da Rose Spano.
L'articolo fotografico di Stanley Kubrick Un bret'e corto nella galleria di 11n cinema è
comparso sul numero del 16 aprile 1946 di <<Looh. La storia a esso relativa proviene da
un'imervisra rilasciata all'aurore da Bernard Cooperman.
Le informazioni relarive alle fotografie scartare da Sranley Kubrick alle cheerleadm del
Tafr High School provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Claire Abriss.
Le informazioni relative al rapporto era Stanley Kubrick e Alexander Singer al Tafr
High School provengono da un'imervisra rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni relative a Howard O. Sackler al Tafr provengono dagli archivi scola-
stici e dagli annuari del Tafr High School.
Le informazioni relative al rapporto tra Sranley Kubrick ed Herman Gerrer al Tafr
provengono da un'imervisra rilasciata all'aurore da Herman Gerter.
Le informazioni relative all'iter scolastico di Toba Metz provengono dagli archivi sco-
lastici e dagli annuari del Taft.
James Monaco, Why Stili PhotographerJ Make Great Directrm, << Village Voice», 22
dicembre 1975 ha cosriruiro un'utile base per la discussione sui focografi che sono
diventati regisri.
Le informazioni relative a Gardner Cowles e alla creazione della rivista <<Look» pro-
vengono da The Look Book.
Il lavoro di fotografo svolto in quel periodo da Stanley Kubrick per la rivisra <<Looko>
è apparso nei seguemi numeri; 8 gennaio 1946, 11 giugno 1946, 23 luglio 1946, 20
agosto 1946, 3 sertembre 1946, 17 sertembre 1946, l O ortobre 1946, 28 novembre
1946, 10 dicembre 1946, 4 marzo 1947, 18 marzo 1947, 5 agosto 1947, 6 gennaio
1948, 20 gennaio 1948, 2 marzo 1948, 16 marzo 1948, 30 marzo 1948, 27 aprile
1948, 11 maggio 1948, 25 maggio 1948.
Le informazioni relative alla collezione di libri di cinema di Arrhur Rorhsrein pro-
vengono da una conversazione telefonica avura dall'aurore con Grace Rothstein e
Beverly Brannen.
La tecnica utilizzata da Sranley Kubrick per focografare di nascosto i passeggeri della
meeropolirana di New York e il lavoro alla rivista <<Look» sono srati discussi in
un'imervista rilasciata all'aurore da G. Warren Schloar Jr.

Parte seconda 1948-1956: New York


Capitolo 2. Fotografie di Stanley Kubrick
Le informazioni riguardanti il matrimonio di Sranley Kubrick e Toba Metz risultano

546
dagli archivi dei certificati matrimoniali della cirrà di New York e dalla Commissioner
ofDeeds, Mount Vernon, New York.
Le informazioni sull'iter scolastico di Barbara Kubrick provengono dall'Adelphi
College.
Il lavoro di fotografo svolto in quel periodo da Stanley Kubrick per la rivista «Loobo
comparve nei seguenti numeri: 8 giugno 1948, 3 agosto 1948, 17 agosto 1948, 12
orrobre 1948, 18 gennaio 1949, 26 aprile 1949, IO maggio 1949, edizione uscita in
occasione della festa del papà del 1949, 14 luglio 1949, 2 agosto 1949, 16 agosto 1949,
13 settembre 1949, 27 serrembre 1949, 25 ottobre 1949, 8 novembre 1949, 6 dicem-
bre 1949, 3 gennaio 1950, 17 gennaio 1950, 14 febbraio 1950, 14 marzo 1950, Il
aprile 1950,9 maggio 1950, 23 maggio 1950, 20 giugno 1950, 18 luglio 1950, l ago-
sco 1950, 15 agosto 1950.
Le informazioni riguardanti Stanley Kubrick e Diane Arbus sono trarre da Patricia
Bosworch, Diane Arb11s e da una lettera seri era da Patricia Bosworth all'aurore.
«Niente è mai cosÌ...» citazione tratta da Diane Arb11s, Aperture Monograph.
«A quell'età mi divertivo enormemente ... » citazione cratta da Miche! Ciment,
l01brick.

Capitolo 3: «Ora sapeva di voler fare il regista>>

Epigrafe: <<Stanley arriva preparato ... » da un'intervista dell'autore con Vincent Cartier.
Le informazioni sul diploma di Alexander Singer provengono dall'annuario del Taft
del 1945.
Le informazioni riguardanti Alexander Singer e le ambizioni artistiche e registiche;
appunti e produzione di The I!iad, Mgm; Dory Schary; le esplorazioni in coppia con
Stanley Kubrick della scena cinematografica newyorkese; l'obierrivo di diventare un
regista; l'obierrivo di Scanley Kubrick di diventare un operatore cinematografico; il
lavoro alla Time !ne.; la decisione di realizzare un cortometraggio insieme a Stanley
Kubrick; la progerrazione del corro; i cosci del documentario per "The March ofTime";
la scelta di Stanley Kubrick di scegliere Pugile profmionista come base per il suo corto-
metraggio; le riprese efferruate con la seconda macchina da presa in Day of the Fight; il
desiderio di Stanley Kubrick di avere una colonna sonora originale per Day of the Fight e
l'incontro con Gerald Fried; il finanziamento e il costo di Day of the Fight; le fotografie
del matrimonio scattate da Stanley Kubrick provengono da un'intervista rilasciata
all'aurore da Alexander Singer.
<<A diciassette anni decisi ... >>; <<Fu molto gentile ... »; <<Non lo dimenticherò mai ... »;
<<Pensavamo che se ne sarebbero ... »: intervista rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni riguardanti la produzione di The I!iad di Singer e Kubrick, la lerrura
dei classici da parre di Scanley Kubrick provengono dall'intervista rilasciata all'aurore
da Faith Hubley.
La storia di "The March ofTime" è trana da Ephraim Kacz, The Fil111 Encydopedia.
Le informazioni relative alla scelta di Stanley Kubrick di utilizzare P11gile professionista
come base per il suo cortometraggio; Stanley Kubrick e Walter Cartier; la morte di
W alter Cartier; il film sul combarrimento di Roland LaSrarza; i fratelli Cartier; la carriera
nel pugilato di W alter Carrier; il lavoro di Scanley Kubrick e Walcer Cartier in Day of the
Fight; Stanley Kubrick al lavoro con i fratelli Cartier nel loro appartamento; lo Steak
Joint; le pratiche religiose di W alter Carcier; la medaglia di San Giuda; i fratelli che gio-
cano a scacchi; Scanley Kubrick membro di un club degli scacchi e le partite di scacchi
giocate a Washingcon Square Park; data e luogo dell'incontro Cartier-James; Montgomery
Clifc preso in considerazione come narratore di Day of the Fight; il k.o. di W alter Cartier
per opera di Joe Rindone dopo quarantaserre secondi dall'inizio dell'incontro; la carriera
di intrattenicore di Walct"r Cartier; i consigli di Stanley Kubrick sulla carriera de! figlio di
W alter Carrier provengono dall'intervista rilasciata all'autore da Vincent Carrier.
L'articolo fotografico di Stanley Kubrick Pugile profmionista è apparso nel numero del
18 gennaio 1949 di <<Loobo.
L'articolo fotografico di Scanley Kubrick The Day of the Fight IJ a LongOne è apparso
sul numero del 14 febbraio 1950 di <<Loob>.

547
Le notizie relative alla richiesta avanzata a Bernard Cooperman di creare la colonna
sonora per Day o/ the Fight derivano dall"inrervisra rilasciata all'aurore da Bernard
Cooperman.
«W alter aveva un'alca considerazione ... »; «Walrer diceva: ... »; «Voleva sapere ... » sono
citazioni trarre dall'intervista rilasciata all'aurore da Vincent Canier.
«facevo l'operatore ... »: citazione trana da Joseph Gelmis, The Film Director as
Superstar.
«feci di cucco: ... »: citazione trana da Gene D. Phillips, Stanley K11brick: A Film
Odyssey.
I risulrari degli incontri di pugilato D'Amico/Canier e Mangia!Carcier provengono
dall'arcicolo intitolato P11gile professionista pubblicato sul numero del 18 gennaio 1949
di «Look».
La sinossi di Day o/ the Fight è stata scrirca dall'aurore dopo aver visco il cortometrag-
gio. Le informazioni riguardanti Gerald Fried e il desiderio di Stanley Kubrick di uti-
lizzare una colonna sonora originale per Day o/ the Fight; l'incontro con Stanley
Kubrick; la ricerca e la registrazione della musica per Day of the Fight provengono
dall'intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
«Giocavo a pallamuro ... », «Fu una decisione unanime ... ••: intervista rilasciata
all'autore da Gerald Fried.
Informazioni generali su W alter Canier: necrologi vari.
"Prima" e distribuzione di Day of the Fight: «New York Times» del 26 aprile 1951.

Capitolo 4. «Era come una spugna»

La sinossi di Flying Padre è stata scritta dall'autore dopo la visione del conometrag-
gw.
«fu a quel punto ... »: Joseph Gel mis, The Film Director as S11perstar.
Le informazioni riguardanti Richard Sylberr provengono da Vincent LoBrutro, By
Design: lnterz,ieu·s u-ith Film Prod11ction Designers.
«Arriva un ragazzo che vuole vedermi ... »: intervista rilasciata all'autore da Richard
Sylbert.
«Era come una spugna»: intervista rilasciata all'autore da Faith Hubley.
Le informazioni riguardanti la produzione di The Seafarers sono tratte da Gene D.
Phillips, Stanley K11brick: A Film Odyssey.
La sinossi di The SM/arers è stata scritta dall'aurore dopo aver preso visione del corto-
metraggio presso la Library of Congress.

Capitolo 5. «Ecco ciò che ci serviva: Stanley Kubrick, era lui che ci serviva>>

Epigrafi: «Non ci sono persone superflue ... » è tratta da un'intervista rilasciata


all'aurore da Fai rh Hubley; La definizione del termine esistenzialismo proviene da Oxfortl
A11rerican Dictionary.
Le informazioni relative a Stanley Kubrick e a Richard de Rochemont provengono da
un'intervista rilasciata all'autore da Jane de Rochemont e dai documenti di de
Rochemont conservati presso la University ofWyoming.
«Era un uomo meraviglioso ... »; «Mi portarono sulla costa occidentale ... »; «Il primo
episodio ... »; «Rebiere andò a Hodgenville ... »; «A Hodgenville Kubrick girò del mate-
riale muro ... »: intervista rilasciata all'autore da Norman Lloyd.
«Dick concedeva sempre dei colloqui ... »; <<Sai, siamo davvero i figli ... »: intervista
rilasciata all'autore daJane de Rochemont.
Le informazioni riguardanti le disponibilità finanziarie di Martin Perveler e la vita in
California provengono dalla Los Angeles County Superior Court Divorce Record E.
Le informazioni relative al tentativo di Martin Perveler di convincere Stanley
Kubrick a firmare un contratto in esclusiva sono tratte da un'intervista rilasciata
all'autore da Alexander Singer.
<<Okay, se è questo che vuoi lo avrai ... »; «Ero un ragazzo altezzoso ... »; <.In sala
c'erano ... »: intervista rilasciata all'autore da Alexander Singer.

548
Le informazioni relative all'accordo del 26 febbraio 1951 tra Stanley Kubrick e
Martin Perveler riguardo a The Trap (successivamente Fear and Desire); "Una troupe
composta ... » e le informazioni su Virginia Leith; le informazioni dettagliate sul costo
per la realizzazione di Fear ancl Desire presentati nel "Kubrick-Financial Resume"; il
coinvolgimento di Richard de Rochemont con il sindacato musicisti; la serie su Lincoln
di "Omnibus"; Marcel Rebière incaricato della fotografia di Linmln; il materiale della
seconda unità diretto da Sranley Kubrick; Stanley Kubrick a Hodgenville; la storia del
titolo The Trap; la dichiarazione su Shape of Fear (Fear and Desire); Perveler, Stanley
Kubrick e l'accordo con Richard de Rochemont; Joseph Burstyn e Stanley Kubrick; la
relazione di Richard de Rochemont su Stanley Kubrick provengono dai documenti di
de Rochemont conservati presso la University of Wyoming.
«L'intera squadra di Fwr and Desire ... »: Alexander Walker, Stanley K11hrirk Direrts.
La descrizione di Toba Metz ai tempi di Fettr and Desire si basa sulle fotografie che si
trovano in Michel Ciment, Kubrirk e Gene D. Phillips, Stanley Kubrirk: A Film Odissey.
La descrizione dei lavoratori messi cani che collaborano a Fwr and Desire si basa sulle
fotografie in Michel Ciment, K11brirk.
<<l~ prima volta ... »: Joseph Gel mis, The Film Director as Superstar.
Le informazioni relative a Gerald Fried, la registrazione e la sonorizzazione di Fettr
and Desire provengono da un'intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
«La musica doveva piangere ... »: intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
Le informazioni relative a Stanley Kubrick e alla serie su Lincoln di "Omnibus" sono
tratte da: David Weddle, 1/ They Move ... Ki/1 'E m.' The Li/e and Ti11tes rif Sam Perkinpah;
una conversazione telefonica con David Weddle; Norman Lloyd, Stages; intervista
dell'autore con Norman Lloyd; Library of Congress; corrispondenza dell'autore con
Michael Ritchie e una lettera inviata all'autore da Robert Saudek.
Le informazioni relative a Norman Lloyd e Marcel Rebière impegnati nella fotografia
di Linmln; il materiale della seconda unità diretto da Stanley Kubrick; il casring dei
bambini fatto da Sranley Kubrick a Hodgenville; la selezione degli attori per Lincoln;
l'invio di ritagli di giornale da parte di Marian Seldes provengono da Stages e da
un'intervista rilasciata all'autore da Norman Lloyd.
Le informazioni riguardanti Stanley Kubrick a Hodgenville, nel Kentucky, durante
le riprese di Linmln sono tratte da «Courier-Journal» di LaRue County nel Kentucky e
dalle conversazioni telefoniche con James D. LaRue e Kathy Crawford, LaRue County
Public Library.
Le informazioni relative al casting dei bambini a Hodgenville per la serie su Lincoln
sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Alice Brewer Brown.
«Un paio di persone ... »: intervista rilasciata all'autore da Alice Brewer Brown.
Le informazioni sui progetti di Stanley Kubrick dopo Fettr and Desire provengono dal
«NewYork Times».
Le informazioni relative a Stanley Kubrick e a Joseph Burstyn provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Fai rh Hubley; Leonard J. Leffe; Jerold L. Simmons,
Dame in the Kilmmo; Gerald Gardner, The Cemorship Papers.
«È un genio ... »: intervista rilasciata all'aurore da Faith Hubley.
«Un'artistica opera cinematografica americana ... »: dichiarazione tratta dai documenti
di de Rochemont conservati alla University ofWyoming.
Le informazioni relative alla concessione a Fear and Desire del consenso della Legion of
Decency, l'anteprima del film e la recensione di «Variety» provengono dagli archivi del
Mpaa conservati presso la Margaret Herrick Library.
Le informazioni riguardanti Fear and Desire al Guild Theater di New Y ork e le foto-
grafie pubblicitarie di Stanley Kubrick sono tratte da un'intervista rilasciata all'aurore
da Alexander Singer.
La recensione di Fear and Desire di Wallace Markfield è apparsa su «New Leader».
«Ci sono troppi elementi ..... : James Agee, Film Forrmt2.
La sinossi di Fear and Desire è stata scritta dall'autore dopo aver visto il film al Film
Forum e sulla base dei comunicati stampa del film.
La lettera di Stanley Kubrick diretta a Joseph Burstyn è tratta da Norman Kagan,
The Cinema rif Stanley K11brid:.

549
Le informazioni riguardanri Fear ami Desire scomparse per quarant'anni sono tratte da
Thelma Adams, A "Lost'' Kt~brick Umpooù, «New York Post», 14 gennaio 1994, Janet
Maslin, A Yotmg ami Prm11ùing K"brick, «New York Times» e John Powers, «New York
.. , 24 gennaio 1994.
«La sofferenza è una ... »: Joanne Stang, «New York Times Magazine», 12 ottobre
1958.
«Non avevo abbastanza ... »: Joseph Gelmis, The Film Directttr as S"perstar.
Le informazioni riguardanti il positivo di Fear and Desire al Eastman House e la
proiezione del film al Telluride Film Festival sono state tratte da Thelma Adams, A
"Lost" K"brick Umpooù, citato.
Le informazioni riguardanti la ridistribuzione di Fear and Desire al Film Forum sono
stare ricavare dalla programmazione del Film Forum.
«Il regista non lo considera... ••: Thelma Adams, A "Lost" K"brick Umpooù, citato.

Capitolo 6. Regista di guerriglia


Epigrafi: <di bianco e il nero sono colori ... »: John Alton, Painting U'ith Light,
Universiry of California Press, 1995. «Molta genre mi ha chiesto ... »: intervista rilascia-
ta all'aurore da Marie Windsor.
Le informazioni relative a Ruth Sobotka, a Valda Setterfield, ai ruoli di coreografo e
attore avuti da David Vaughan in Il hacio de!l'aJJaHino; Alec Rubi n; Stanley Kubrick che
riprende con la macchina da presa David Vaughan e Alec Rubin che corrono lungo
Times Square sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da David Vaughan.
«Ruth si impegnò moltissimo ... »; «Andavamo sempre ... »; «Dovevo sedere in
fondo ... »; «Era un assolo ... »; «Era una notte freddissima ... »; «Alec aveva più esperien-
za ... »; «Non dovevamo ... »: inrervisra rilasciata all'aurore da David Vaughan.
Le informazioni riguardanti Valda Setterfield provengono da un'intervista rilasciata
all'autore da Valda Setterfield.
«Indossava un incanrevole ... »: intervista rilasciata all'autore da Valda Setterfield.
La lettera di Sranley Kubrick a Richard de Rochemont datata 22 aprile 1954, e quel-
la di Richard de Rochemont a Sranley Kubrick del 28 aprile 1954 sono conservare tra i
documenti di de Rochemont presso la Universiry of Wyoming.
Norman Lloyd chiede di comparire in The Nymph and tbe Maniac; Lloyd al La Jolla
Playhouse sono episodi tratti da un'intervista rilasciata all'aurore da Norman Lloyd.
«C'era Sranley al telefono ... »: intervista rilasciata all'autore da Norman Lloyd.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Alexander Singer come fotografo di scena
di Il hacio dell'aJJaHino sono trarre da un'intervista rilasciata all'autore da Alexander
Singer.
Le informazioni relative al lavoro di Nar Boxer nella produzione del suono di Il bacio
dell'aJJaJJino ed «Eravamo in una soffitta ..... sono tratte da un'inrervista rilasciata da Nar
Boxer a «Filmmaker's Newsletter».
Le informazioni relative a Perer Hollendar; la Titra Films; il monraggio di Kubrick
di Il bacio dell'assaJJino presso la Titra; Stanley Kubrick che dice a Perer Hollendar che
Ruth Soborka era una rifugiata ebrea sono tratte da un'intervista rilasciata all'aurore da
Perer Hollendar.
Le informazioni relative alla Titra Films, al monraggio di Stanley Kubrick di Il bacio
dell'aJJassino sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Max Glenn.
«Lavorai per un po' alla Titra... »: inrervista rilasciata all'autore da Max Glenn.
«Ampliava e approfondiva ... »: inrervista rilasciata all'autore da Alexander Singer.
«La Ti tra era un posto molto carino ... »; «Un giorno Stanley arrivò ... »: inrervisra rila-
sciata all'autore da Peter Hollendar.
Le informazioni relative al matrimonio di Sranley Kubrick e Ruth Sobotka sono srare
reperite presso la Surrogare's Courr- N.Y. Counry- Probare-Lerters of Administrarion.
Le informazioni relative al matrimonio di Toba Metz Kubrick con Jack Adler sono
state ricavate dai registi automobilistici.
«A quanto mi risulta ... »: Alexander Walker, Stanley K"hrick DirertJ.
Le informazioni sul film noir sono tratte da Ephraim Karz, The Film Encydopetlia;

550
Alan Silver ed Elizaberh Ward, Film Noir e da Pau! Schrader, Notes on Film Noir, «Film
Comment s,, n. l (primavera 1972).
Le informazioni relative alla colonna sonora di Il baào dell'assassino provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
Le informazioni relative al Marshall Chess Club e alla scena scacchisrica newyorkese
provengono da un'intervisra rilasciata all'aurore da Gerald Jacobson e Shelby Lyman.
Sranley Kubrick membro del Marshall Chess Club, «Giocammo insieme alcune
volte ... ,; «C'erano cavoli ... ": intervista rilasciata all'aurore da Gerald Jacobson.

Parte terza 1956-1960: Hollywood

Capitolo 7. La Harris-Kubrick
Le informazioni relative all'incontro rra Alexander Singer e James B. Harris nel
Genio Radiorelegrafisri e Segnalarori, Singer e Harris che realizzano un film; Lucien
Ballarci che prende visione dei film di Kubrick; la decisione di mandare Lucien Ballarci
al Bay Meadows Racerrack e i risultati orrenuri; Alexander Singer al Bay Meadows,
risulrari, metodi; Alexander Singer che telefona a Sranley Kubrick dal Bay Meadows; la
proiezione del montaggio ripreso da Alexander Singer; l'utilizzo da parre di Sranley
Kubrick di un obierrivo 25mm per carrellate; le carrellate derivano da un'intervista
rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni relative all'incontro di Alexander Singer e James B. Harris nel
Genio Radiorelegrafisri e Segnalarori; la Flamingo Films; Singer e Harris che fanno un
film insieme; Stanley Kubrick e James B. Harris che si incontrano una seconda volra;
Sranley Kubrick e James B. Harris che si incontrano alla Flamingo Films; cosriruzione
della Harris-Kubrick Picrures; James B. Harris che si informa sui diritti di Rapina a
mano armata; la Jaffe Agency; l'acquisizione dei dirirri di Rapina a 111ano armata; James
B. Harris che incontra Bob Benjamin; Sranley Kubrick che parla a James B. Harris di
Jim Thompson; la Harris-Kubrick che ingaggia Jim Thompson; il formato della sce-
neggiarura adorraro da Jim Thompson per Rapina a mano armata; il credito di Jim
Thompson per Rapina a 111ano armata; l'adarramento di Clean Break; James B. Harris e
Sranley Kubrick che parrano Rapina a mano armata alla Unired Arrisrs; Sranley
Kubrick e James B. Harris che mandano la sceneggiarura alla Jaffe Agency insieme a
un elenco di arrori; James B. Harris che porra la sceneggiarura a Jack Palance; Bill
Shiffren che telefona a James B. Harris; Sranley Kubrick e James B. Harris che comuni-
cano alla Unired Arrisrs di essersi assicuraci la parrecipazione di Srerling Hayden; la
ricerca dei luoghi dove effettuare le riprese; la decisione di girare il film a Las Angeles;
i Chaplin Srudios; il budget e il finanziamento di Rapina a mano armata, anteprima di
Rapina a mano armata; il tentativo di rimontare il film; Rapina a mano armata che viene
mostrato a Max Youngsrein; Sranley Kubrick e James B. Harris che si procurano un
agente; ideazione della pubblicità del film; Sranley Kubrick che scarra le fotografie per
la pubblicità al film, crea la pubblicità, la mosrra a Max Youngsrein; pubblicazione
della pubblicità; la reazione di Youngsrein, l'uscita di Rapina a mano armata; la distri-
buzione della Unired Arrisrs derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da James B.
Harris.
«Mi sentivo un po' nervoso ... "; «Rimasi molto colpito ... >>; «Mi disse: "In realtà ... ">>;
«Dissi: "La prima cosa ... ",; «Andai immediatamente allo Scribner's Bookstore ... ";
«Chiamai Sranley ... »; «Al momento sono disponibili ... >>; «È impossibile, stiamo
per ... >>; «Eravamo così eccitati ... "; «Lo richiamai ... "; <do rappresento Srerling
Hayden ... "; <<Dicemmo: "Indovini un po' ... ",; <<Sapevo ancor prima... >>; <<Bill Shiffren,
l'agente di Sterling Hayden ... »; <<Il libro era serino ... »; <<Non riuscivamo a rassegnar-
ci ... >>; <<Glielo mostrammo con orgoglio ... >>; <<Siete impazziti ... »; <<"Urlava" ricorda ... >>:
intervista rilasciata all'autore daJames B. Harris.
Le informazioni su Sranley Kubrick che incontra Bob Gaffney derivano da un'intervi-
sta rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.
<<Mio fratello Jimmy si persuase ... »: intervista rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.

551
Informazioni riguardanti Louis de Rochemont: Ephraim Katz, The Fil111 Emydopedia e
un'intervista rilasciata all'autore da Bob Gaffney.
«Capii che Jimmy ... »; «Nel 1956 Stanley ... »; «Stanley e Jimmy guardarono ... »;
«Preparai l'esposizione ... »; «Ho le riprese ... »; «Stanley preparÒ ... »; «<l mirino della
Mitchell...»: intervista rilasciara all'aurore da Alexander Singer.
«Questa è probabilmente .. »: le parole scarabocchiate sulla copia di The Killer lnside
Me di Jim Thompson (Vintage Crime, 1991).
Le informazioni relative a Jim Thompson che riceve il credito di Additùmal Dialogue,
collaboratore di dialoghi aggiunti, per Rapina a 111ano amtata; la reazione della famiglia
Thompson; l'adattamento di Clean Break; l Stole $16.000.000 sono trani da Roberr
Poliro, Savage Art.
Le informazioni riguardanti la compagnia di balletto di Rurh Sobotka e la sua carrie-
ra di scenografa; i nomi degli uomini agli sportelli della sala scommesse presi dai nomi
di amici; la rottura del matrimonio di Stanley Kubrick con Ruth Soborka; l'amicizia di
Ruth Sobotka con David Vaughan dopo il matrimonio con Stanley Kubrick derivano da
un'intervista rilasciata all'aurore da David Vaughan.
Le informazioni riguardanti Lucien Ballard, «Faceva parte del mio stile ... » sono tratte
da Leonard Maltin, Behind The Camera.
Le informazioni relative ai fratelli Hughes e a Rapina a mano amtata sono tratte da
Vincent LoBrutto, Three MoodJ Prevail in Dead PreJidentJ, «American
Cinematographer>•, settembre 1995; intervista rilasciata all'autore da Albert Hughes;
intervista rilasciata all'autore da Lisa Rinzler.
Le informazioni relative alle riprese con la macchina a mano effettuate da Stanley
Kubrick; Kola Kwariani; Vince Edwards che ottiene la parte provengono da un'intervi-
sta rilasciata all'autore da Vince Edwards.
«Ho conosciuto J immy Harris ... ,: intervista rilasciata all'autore da Vince Edwards.
Le informazioni relative a Marie Windsor sono tratte da Ephraim Katz, The Film
Encydopedia, e da un'intervista rilasciata all'autore da Marie Windsor.
«Stanley vide ... »; «Mi risultava molto difficile ... »: intervista rilasciata all'aurore da
Marie Windsor.
Le informazioni relative agli story board di Rapina a mano armata provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Marie Windsor.
Le informazioni relative alla colonna sonora di Rapina a mano armata sono tratte da
un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
«L'abbiamo definito ... »: intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
«A ventisene anni ... »: The Neu• PictureJ, «Time».
«Siamo tutti abimati ... »: Joanne Stang, «New York Times Magazine», 12 ottobre
1958.
«Seppi da lei ... »; «Non sei costretto ... »: intervista rilasciata all'autore da David
Vaughan.

Capitolo 8: «Sono Stanley Kubrick»

Epigrafi: « L'inizio pareva... »: intervista rilasciata all'autore da Keir Dullea; «La defi-
nizione che darei di Stanley ... »: intervista rilasciata all'autore da Richard Anderson.
Le informazioni suDore Schary sono tratte da Ephraim Katz, The Film Encydopedia.
Le informazioni relative all'interesse mostraro da Schary nell'acquisto di Rapina a
111ano armata da parte della U nited Arrists; Schary che conclude un accordo con la
Harris-Kubrick a nome della Mgm; Sranley Kubrick e James B. Harris alla ricerca di un
progetro che parli di guerra; Stanley Kubrick che rilegge PathJ of Glory e lo invia a
James B. Harris; Stanley Kubrick e James B. Harris che acconsentono a inviare PathJ o/
Glmy a Schary; Dore Schary che non si mostra interessato al progetto; la Harris-Kubrick
che si interessa ad AdoleJCenza; l'accordo tra la Mgm e la Harris-Kubrick; Stanley
Kubrick che coinvolge Calder Willingham; la vendira a Schary dell'idea di utilizzare
Willingham;·Calder Willingham che lavora a Il ponte Jfll fiume Kll'ai; la mentalità
dell'orario impiegatizio dalle nove alle cinque della Mgm; Calder Willingham che lavo~
ra alla sceneggiamra di AdoleJCenza; J im Thompson che lavora alla sceneggiatura di

552
Orizzonti di gloria; il mancaro rispetto dei termini imposti dalla Mgm; il licenziamento
di Schary; lo scioglimento del conerarro era la Mgm e la Harris-Kubrick; la relefonara di
Harris a Schary a New York; la Harris-Kubrick che passa a occuparsi di Orizzonti di glo-
ria; la conclusione della sceneggiarura; Sranley Kubrick che fa delle fotografie per la
coperrina della sceneggiarura; James B. Harris che contatta la Unired Arrisrs per
Orizzonti di gloria; la Unired Arrisrs che respinge la sceneggiarura; la Harris-Kubrick che
cerca una star; la Harris-Kubrick che conrarra Kirk Douglas per Orizzonti di gloria; la
Harris-Kubrick che conrarra Gregory Peck; Gregory Peck che respinge Orizzonti di glo-
ria; la difficolrà della Harris-Kubrick a erovare una star per Orizzonti di gloria; il rirorno
di Kirk Douglas; le informazioni su Ray Srark; l'incomro era la Harris-Kubrick, Lubin,
Douglas e Srark; dettagli del contratto; la Harris-Kubrick si sposta negli uffici della
Bryna; budget, onorari e percentuali di Orizzonti di gloria; decisione di girare Orizzonti di
gloria in Germania; conrrarro con la Bryna che lega la Harris-Kubrick per più produzio-
ni cinemarografiche; firma della Harris-Kubrick; l'ammirazione di Sranley Kubrick per
Max Ophuls; Sranley Kubrick che incontra Adolphe Menjou dopo aver efferruaro diver-
se riprese; le difficoltà a girare la scena dell'ultimo pasco; accori morri all'inizio del film
che sono utilizzati in sequenze successive; la Harris-Kubrick che conrarra gli arrori per
nuovi progeni; sviluppo di una serie Tv con Ernie Kovacs; The German Lie11tenant; I Stole
$ [(),000.000 provengono da un'inrervisra rilasciata all'aurore da James B. Harris.
«Vorrei che quesro film ... »; «Disse che dopo ... »; «Mi ricordo che una volra ... »; «Non
pensiamo ... »; «Lo feci chiamare durame ... >>; «Ma quello che avevamo ... »; <<Non è esar-
ramenre ... >>, <<Ma la vera ... »; inrervisra rilasciata all'aurore da James B. Harris.
Le informazioni su Kirk Douglas e la Bryna Company; la Harris-Kubrick che conrar-'
ta Kirk Douglas per Orizzonti di glt1ria; Kirk Douglas che non è disponibile; Kirk
Douglas che porra Orizzonti di gloria alla Unired Arrisrs; budget, onorari e percentuali
di Orizzonti di gloria; la reazione di Kirk Douglas alla nuova sceneggiarura di Orizzonti
di gloria sono rrarre da Kirk Douglas, Destino nel/a polvere.
<<Stanley, non penso ... »; <<Sranley l'aveva ... »; <<Come avevo previsto ... >>: Kirk
Douglas, De.~tino nel/a polvere.
Le informazioni riguardanti la ricerca di Sranley Kubrick delle forografie della prima
guerra mondiale negli archivi della Los Angeles Library e Simon Gourgin provengono
da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Simon Bourgin.
Le informazioni su Richard Anderson provengono da un'intervista di Richard
Anderson conrenura in Ephraim Karz, The Film Encydopedia.
<<Venne nel mio apparramemo ... ••; <<Leggeva molro ... >>; «Sranley intervenne: "Asperra
un minuro ... "••; <<Max Ophuls è morro oggi ... >>; «Disse: "È qui ... "••; <<La rrincea era rac-
capricciante ... »; <<Stanley disse: "Dick ... " .. ; <<Stanley mi disse ... »; <<Mi interessa
molro ... >>: imervisra concessa all'aurore da Richard Anderson.
Le informazioni riguardanti la voracirà nella lerrura di Sranley Kubrick; Richard
Anderson che chiede di fare il dialoghisra in Orizzonti di gloria; la regisrrazione del
suono di Orizzonti di gloria; le riprese della scena d'aperrura; il ,rribmo a Max Ophuls; il
primo giorno di Richard Anderson nei panni di Sainr-Auban; la-preparazione delle rrin-
cee per Orizzonti di gloria; la reazione di Auban alle esplosioni; la ripresa della scena
dell'esecuzione; la collaborazione di Adolphe Menjou con Charlie Chaplin; Richard
Anderson che inconrra Adolphe Menjou dopo l'uscira di Orizzonti di gloria; la difficoltà
di riprendere i ere prigionieri che discurono del loro destino; Sranley Kubrick che perde
la pazienza provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Richard Anderson.
Le informazioni sull'ammirazione nmrira da Sranley Kubrick nei confronti di Max
Ophuls sono erarre da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni sui Bavaria Film Smdios; l'impiego dei poliziotti tedeschi nel ruolo
di atrori; Stanley Kubrick che lavora con una rroupe tedesca; la localizzazione di una
terra di nessuno~ Ludwig Reiver; il barone Orro Waldenfels; la erasformazione di un
campo coltivaro in un campo di barraglia; gli effetti speciali; Erwin Lange; le tecniche
per emulare le esplosioni sono srare ricavare dai comunicaci stampa di Orizzonti di gloria.
<d tedeschi erano ... »; <<Avevamo sei macchine da presa ... >>: Alexander Walker, Stanley
K11brit'k Dire<'ls.
Le informazioni relative al direrrore della forografia George Krause sono srate erarrc

553
da Elia Kazan, Elia !Gzan: A Li/e; Michael Ciment, Kazan on !Gzan. «Il cinema di
Kubrick è ... », James Monaco, Why Stili Photographers Make Great Directors, "Village
Voice», 22 dicembre 1975.
«Lavorammo per un mese ... », «fai in modo che il personaggio ... », «L'intuizione è la
base ... » sono tratte dall'intervista rilasciata da Scanley Kubrick a Simon 13ourgin, pub-
blicata senza firma su «Newsweeb•.
«Nello stesso modo risoluto con il quale si impugna un'arma» è un'affermazione fatta
da Pecer Cowie.
Le informazioni relative ad Adophe Menjou e a George Macready sono stare tratte da
Ephraim Kacz, The Fib1r Encydopedia.
Le informazioni su Chrisciane Kubrick sono tratte da Christiane Kuhrick Paintings
introduzione di Marina Vaizey (Warner Books, 1990), Ann Morrow, Christiane Kubrick:
Flou•ers and Violent lmages, «London Times», 5 febbraio 1973 e Valerie Jenkins, The
Flou•er-Filled World o/ the Other Kubrick, «Evening Srandard», lO settembre 1972.
«Ricordo che avevamo ... ••; <<Nel periodo passato a Salem ... »: Ann Morrow, Christiane
Kuhrit"k: Floll'ers and Violent lmages, citato.
<<Era la visione che un bambino ... »: Valerie Jenkins, The Flou•er-Filled World of the
Other Kuhrick, c icaro.
Le informazioni relative alla creazione della colonna sonora di Orizzonti di gloria sono
tratte da un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
<<Ci sono alcune parti ... »; <<O io ero talmente bravo ... »: intervista rilasciata all'aurore
da Gerald Fried.
<<Un film pressoché perfetto ... »: intervista rilasciata all'aurore da Simon Bourgin.
Le informazioni su Joseph Laicin; <<Scrissi e narrai ... »; Joseph Laicin che incontra e
intervista Scanley Kubrick; <<finalmente arrivò ... »; Joseph Laici n che non riesce a ven-
dere l'articolo su Scanley Kubrick; l'incervisca radiofonica a Sranley Kubrick; la descri-
zione del programma radiofonico provengono dalle lettere inviare all'aurore da Joseph
Laicin e dall'intervista rilasciata all'aurore daJoseph Laicin.
La descrizione della voce di Stanley Kubrick si basa sull'ascolto di una cassetta della
trasmissione radiofonica di Joseph Laici n per la Cbs.
<<Negli ultimi anni alcuni giovani ... »; <<Sono Scanley Kubrick ... »: brani tratti dalla
trasmissione radiofonica della Cbs.
La lettera inviata a Joseph Lairin da Scanley Kubrick proviene dalla corrispondenza
privata di Joseph Lairin.
Le informazioni relative al trasferimento di Gertrude e Jacques Kubrick a Englewood
Cliffs nel New Jersey, i guadagni di Jacques e la sua automobile sono stati ricavati dai
documenti depositari presso la Bronx Councy Courc.
La reazione dell'Europa a Orizzonti di gloria; la frase incroducciva al film; i commenti
di Truffauc; la decisione di non portare Orizzonti di gloria dinanzi alla censura francese;
Orizzonti di gloria a 13erlino; la reazione del generale Geze; la reazione dei soldati france-
si; la messa al bando in Europa; le critiche italiane; la reazione di Churchill; l'uscita di
Orizzonti di gloria in Francia sono trarre da diversi articoli apparsi su << Variety».
Lettere: da A. Joseph Handel a Scanley Kubrick datata 7 gennaio 1958; da Scanley
Kubrick ad A. Joseph Handel datata 8 gennaio 1958; da A. Joseph Handel a Scanley
Kubrick datata 15 gennaio 1958; da Scanley Kubrick a Richard de Rochemonr datata lO
agosto 1958; da Richard de Rochemont a Sranley Kubrick datata 18 agosto 1958 si crova-
no era i documenti di Richard de Rochemont conservaci presso la Universicy of Wyoming.
L'interesse mostrato da de Rochemont verso il romanzo Lolita; <<A Dick il romanzo piaceva
molto ... » sono elementi tratti da un'intervista rihL~ciaca all'aurore daJane de Rochemont.
<<Stanley mi scrisse ... »: intervista rilasciata all'aurore da David Vaughan.

Capirolo 9. «Stanlcy, non funziona>•


Il tirolo deriva da una battuta accribuica a David Selczer in Perer Manso, Brando.
Diversi cesti si sono rivelati fondamentali per la comprensione del lavoro di Kubrick
con Marlon 13rando su l d11e I'IJ!ti della t•endelftr e sul ruolo svolto da Peckinpah nel pro-
gerro; essi hanno inoltre fornico del prezioso materiale di ricerca per questo capitolo:

554
Perer Manso, Brando; Gary Carey, Brando; Marlon Brando e Roberr Lindsey, Brando:
Srmgs My Moth<r Ta1fght Me; Davi d Weddle, "l/ they Move... Kill 'Em": The Li/e and Times
ofSam PeckinJitlh; Marshall Fine, Bloody Sam: The Lifo ami Films rifSam Peckinpah.
Le informazioni riguardanti la relazione tra la Harris-Kubrick e Marlon Brando;
l'afferra farra a Sranley Kubrick da Marlon Brando di dirigere l dm volti della vendetta;
James B. Harris che cerca di rivedere l'accordo con la Bryna; James B. Harris che scopre
il romanzo Lolita; Vladimir Nabokov; i contarti con Purnam; Calder Willingham che
parla a Sranley Kubrick di Lolita; Stanley Kubrick e James B. Harris che leggono Lolita;
l'acquisizione dei diritti per l'adattamento cinematografico di Lolita; l'interesse di
lrving Lazar per l'idea della Harris-Kubrick di trarre un film da Lolita; le uattarive tra
Harris e Lazar; il finanziamento di Lolita provengono da un'intervista rilasciata all'auto-
re daJames B. Harris.
«Stanley è insolitamente percettivo ... >>: Joanne Stang, «New York Times Magazine»,
12 ottobre 1958.
"Una sera eravamo ... »: Davi d Weddle, "1/They Move... Kill 'Em.'": The Lifo and Times
rifSmll Peckinpah.
«Marlon l'aveva stravolta ... »; «Marlon mi ha insegnato ... »: Marshall Fine, Bloody
Sane: The Li/e ami Films rifSam Peckinpah.
«Ruppi il libro ... »: intervista rilasciata all'aurore daJames B. Harris.
Le informazioni sull'offerta di Lewis M. Allen di acquistare i diritti per l'adanamenro
cinematografico di Lolita provengono da Richard Corliss, BFI Film Classics: Lolita.
«Dovere aver fiducia ... »; «Non sa recitare ... »; «Dobbiamo sbarazzarci di Kubrick ... »;
«Con profondo rammarico ... »; «Se avesse ingaggiato ... »: Perer Manso, Brando.
Le informazioni su Lolita sono stare trarre da Brian Boyd, Vladimir Nabokov: The
American Years; Richard Corliss, BFI Film Classics: Lolita.
Le notizie riguardanti l'abitazione di Kubrick e famiglia sulla South Camden Drive
in California provengono dal Regisrrar-Recorder/Counry Clerk, Binh, Dearh an
Marriage Records, Las Angeles, California.
La Mercedes nera di Kubrick è citata in Hollis Alpen, Te/l Me, Who fs K1fhrick?,
«Esquire», luglio 1958.

Capitolo 10: «Non avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo Him»

Epigrafi: «Stanley è davvero austero ... »: intervista rilasciata all'amore da Saul Bass;
"Un giorno sarà un bravo regisra ... »: Kirk Douglas, The Ragman's Son.
The Ragman's Son, la superba aurobiografìa di Kirk Douglas, ha svolto un ruolo di
primaria importanza per il reperimento di informazioni, opinioni e dettagli della pro-
duzione sulla realizzazione di Spartams e sulla relazione del produttore/arrore con
Sranley Kubrick.
Tony Curris e Barry Paris, Tony C1frtis: The A1ftobiography è una magnifica fonte di
ricordi che ha rivesriro un ruolo fondamentale per il reperimento di informazioni sulla
realizzazione di Spartams e sul lavoro svolto nel film da Sranley Kubrick.
Anche le esaustive informazioni destinare alla stampa prodotte dalla Universal si sono
rivelare di grande aiuto.
Le informazioni sul lavoro della Harris-Kubrick in Lolita; la Harris-Kubrick che
decide che il lavoro di regia di Spartams può avere delle ripercussioni positive sulla
società; James B. Harris che rema di rivedere i rermini dell'accordo con Kirk Douglas;
James B. Harris e Sranley Kubrick che lavorano a Lolita nel bungalow affidato al regisra
durame la produzione di Spartams provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da
James B. Harris.
Le informazioni su Dalron Trumbo e Spartams sono srare trarre da Dalron Trumbo,
Additional Dialog1fe.
Le informazioni relative al periodo della lisra nera a Hollywood provengono da Vicror
Navasky, Nmuing Names; Nancy Lynn Schwarrz, compleraro da Shelia Schwarrz, The
Hol!yll'ood Writer's \Var; Larry Ceplair e Sreven Englund, The lnq11isition in Hollywood:
Politics in the Film Crmmmnity l')]0-1')()().
Le informazioni su Saul Bass; la relazione rra Sranley Kubrick, Kirk Douglas ed

555
Edward Lewis; la ricerca dei luoghi nei quali effenuare le riprese in esterni; la scena-
grafia della scuola dei gladiatori; i sec costruici prima di Scanley Kubrick; i licenzia-
menti; gli story board della banaglia finale; il budget; la rivisicazione delle scene
della banaglia; la consultazione di scene di barraglia di film classici; il credito di
Scanley Kubrick per il film; gli incontri con Edward Muhl e Scanley Kubrick; il
primo incontro con Scanley Kubrick; la preproduzione; Scanley Kubrick ed Elaine
Dass che creano la sequenza dei titoli provengono da un'intervista rilasciata all'autore
da Saul Bass.
Le informazioni sul modo in cui Sranley Kubrick apprese di essere stato ingaggiato
per dirigere SpartamJ e «Comincio domani ... » provengono da un'intervista rilasciata
all'aurore da Richard Anderson.
«Per quanto ricordo ... »; «Una volca assodato ... »; «Senti, Golitzen ... »; «Parlai con lui
dopo ... »; «Saul, cinque minuti?»: intervista rilasciata all'aurore da Saul Bass.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Anthony Mann nella scena d'apertura di
Spartarm, che non fu girata di nuovo, provengono da un'intervista rilasciata all'aurore
da Robert Lawrence.
Le informazioni relative alla squadra di stuntman e al lavoro svolto dagli stuntman in
SpartamJ provengono da un'intervista rilasciata all'autore da Loren Janes.
Le informazioni sulla nascita di Anya Kubrick sono state reperite presso il Registrar-
Recorder/County Clerk, Birth, Death an Marriage Records, Los Angeles, California.
Le informazioni relative al lavoro di Stanley Kubrick con Charles Laughton e
Laurence Olivier e le riviste scientifiche nel bungalow di Kubrick provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Norman Lloyd.
I ricordi di Alexander Golitzen delle riprese di SpartamJ realizzate in Spagna proven-
gono dalla Ora! History Collection conservata presso la Margaret Herrick Library.
Le informazioni relative al metodo adonato da Stanley Kubrick di assegnare dei
numeri ai figuranti sono state trane da un articolo su Spartaau pubblicato su «Life••.
Le osservazioni di Alexander Singer a proposito del set di SpartamJ sono trane da
un'intervista rilasciata all'autore da Alexander Singer.
«Stanley, non ti sentiresti ... »; «Nei trent'anni ... »; «Una persona di grande talen-
to ... »: Kirk Douglas, The Ragman'J Son.
Le informazioni sulla postproduzione di SpartaaiJ, Howard Fast nella sala di montag-
gio, la relazione di Sranley Kubrick con Russell Meny, la scelta della musica, Sranley
Kubrick nella sala di montaggio provengono da un'intervista rilasciata all'autore da
Robert Lawrence.
«Se ti capitasse ... »: intervista rilasciata all'aurore da Faith Hubley.
«C'era molta pellicola ... »; «Ero arrivato a dormire ... »; «Sai cosa sarebbe bello ... »:
intervista rilasciata all'aurore da Robert Lawrence.
"Uomo turbolento con la faccia rossa ... »: Tony Curcis e Barry Paris, Trmy CurtiJ: The
Autobiography.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Alex Norrh per la colonna sonora di SpartamJ
ed «Ebbi la grande fortuna ... »: lrwin Bazelon, Knml'ing theSmre: NoteJ on Film Mmic.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Frank Warner nella squadra del sonoro di
Spartacm e «Stanley Kubrick fu ... »: intervista rilasciata all'autore da Frank Warner per
Srmnd-On-Film.
Le informazioni sul lavoro svolto da John Bonner nel team del sonoro; il lavoro di
Murray Spivak come tecnico del missaggio; «Cominciavamo alle sei di sera ... »: intervi-
sta rilasciata all'autore da John Banner per Vincent LoBrurto, Sound-On-Film: lntervieu'J
uùh Creatori of Film Srmnd.
Le informazioni riguardanti lo stato del missaggio del sonoro nel 1960 sono stare
trane da Vincent LoBruno, Srmnd-On-Fil11r: /nterviell'J u•ith Creatori of Film Sormd.
Le informazioni sul lavoro svolto da Murray Spivak, il tecnico del missag.gio., e il
lavoro di Don Rogers nella squadra del sonoro sono tratte da un'intervista rilasciata
all'autore da Don Rogers per Vincent LoBrutto, Srmnd-On-Film: lntert•ieu•J ll'ith Creatori
of Film S011nd.
Le informazioni sulla nascita di Vivian Kubrick provengono dal Regisrwr-
Recorder/County Clerk, Birth, Death an Marriage Records, Los Angeles, California.

556
Le informazioni relative alle nomination agli Oscar e ai riconoscimenti per Spartams
sono state trarre da Mason Wiley e Damien Bona, lnside Oscar.
«Spartams è l'unico film ..... Gene D. Phillips, Stanley K11hrick: A Film Odyssey.

Parte quarta 1960-1964: Inghilterra

Capitolo Il. «Come hanno fatto a trarre un film da Lolita?»

Per una migliore comprensione degli avvenimenti relativi all'adattamento cinema-


tografico del romanzo di Nabokov, Lolita, realizzato dalla Harris-Kubrick mi sono
avvalso del prezioso aiuto di numerosi testi: Richard Corliss, BF/ Film Classics: Lolita;
Brian Boyd, Vladimir Nahokov: The American Years; Vladimir Nabokov, Lolita;
Vladimir Nabokov, Lolita: A Screenplay; Alexander Walker, The Cell11loid Sacrifice;
Alexander Walker, Peter Sellers: The A11thorized Biography; Peter Evans, Peter Sellers: The
Mask hehind the Mask; Shelley Winters, Shelley, vol. Il; James Mason, Before l Forget;
Leonard J. Leffe, Jerold L. Simmons, Dame in the Kiwmo; Gerald Gardner, The
Censorship Papers.
Le informazioni relative al Codice di Protezione della Motion Picture Association of
America provengono dagli archivi della Mpaa presso la Margaret Herrick Library.
Le informazioni relative all'interesse della Warner Bros. nella produzione di Ltilita
della Harris-Kubrick; la motivazione che spinse la Harris-Kubrick a riconoscere i credi-
ti della sceneggiatura al solo Nabokov; la proposta a James Mason di interpretare
Humbert Humbert e il suo rifiuto; Stanley Kubrick e James B. Harris che domandano
a Laurence Olivier di recitare la parte di Humbert durante la produzione di Spartams; la
proposta a David Niven e a Marlon Brando di interpretare Humbert e il loro rifiuto; il
progetto di prevendita all'estero; James B. Harris che incontra Kenny Hyman; Mason
che si libera dagli impegni; l'accordo con la United Artists; la decisione di realizzare il
film in Inghilterra avvalendosi dell'Eady Pian; Shelley Winters e la scena del cha cha
cha; il signor Haze interpretato da Raymond Anzarut (il supervisore alla produzione di
Lt1lita); Nelson Riddle che arrangia e registra la colonna sonora di Lolita; il tema musi-
cale di Lolita; Eliot Hyman e Ray Stark; i negoziati con la Legion of Decency e monsi-
gnor Little; il rilascio del Codice di Protezione; la reazione di Nabokov a Lolita fornita a
James B. Harris, il piano di produzione e i costi provengono da un'intervista rilasciata
all'amore da James B. Harris.
«Non si poteva tenerla ..... : Richard Corliss, BFI Film Classia: Lolita.
«Conoscevo Eliot da quando ..... ; «Così finirete per uccidere ..... : intervista rilasciata
all'amore da James B. Harris.
Le informazioni relative all'Eady Pian in Inghilterra provengono da Alexander
Walker, Hollywood England e Natùmal Heroes.
La notizia riguardante l'offerta fatta a Marie Windsor di recitare una parte in Lt,/ita
proviene da un'intervista rilasciata all'autore da Marie Windsor.
Le informazioni riguardanti la ricerca di un'attrice che interpretasse il ruolo di Lolita;
«La ricerca dell'attrice ... »; «fin dal primo momento ... •• provengono da Jack Hamilton,
<<Look,).
Le informazioni riguardanti Sue Lyon sono tratte da Ephraim Katz, The Film
Encydopedia e Jack Hamilton, «Loob.
«Quando chiamavano Peter ..... : Alexander Walker, Peter Sellers: The Authorized
Biography.
«Le scene più interessanti ... »; «Dirigeva con grande attenzione ..... ; «Shelley Winters
era una persona ..... ; «Ti diceva: "Adesso voglio che questa scena ... " .. provengono da
un'intervista rilasciata da Oswald Morris a Bob Baker e Markku Salmi per «Film
Dope».
«Ogni volta che mi lamentavo ..... ; «Non posso credere che tu non riesca ..... ; «Peter,
spiegaglielo ..... : Shelley Winters, Shelley, t•ol. /1.
Le informazioni relative a Gilbert Taylor e Oswald Morris sono state ricavate da
Ephraim Katz, The Film Encydopedia.

557
Le informazioni riguardami il lavoro svolto da Bob Gaffney nella seconda unirà per
Lo/ila e l'episodio nel quale Bob Gaffney raccoma a Sranley Kubrick del libro The Magie
Christian di Terry Sourhern provengono da un'imervisra rilasciata all'autore da Bob
Gaffney.
I dari relativi ad Amhony Harvey sono srari ricavati da John Andrew Gallagher,
Directors on Directing e da un'imervisra rilasciata all'aurore da Amhony Harvey.
-.Avevo apprezzato moltissimo ... »; -.A ogni modo ... »; -.Queste cose non vengono
fuori ... »: imervisra rilasciata all'autore da Amhony Harvey.
-.Mi sorropose ... »: John Andrew Gallagher, Directors on Directing.
Le informazioni riguardami il lavoro di Scanley Kubrick e Amhony Harvey nella sala
di momaggio, la disponibilità di Amhony Harvey e di un assisreme a fermarsi a New
York per lavorare a Lolita se il Codice di Protezione lo avesse reso necessario, la supervi-
sione di Amhony Harvey alla qualità della scampa della pellicola e i comrolli ai borre-
ghini derivano da un'imervisra rilasciata all'aurore da Amhony Harvey.
L'episodio della proposta farra a Bernard Herrmann di comporre la colonna sonora di
Lo/ila è sraro ricavato da Sreven C. Smirh, A Hearl al Fire's Center: The Li/e and Mmic of
Bernard Herr111ann.
Ca non John Collins che chiede al Brirish Board of Censors di non concedere l'appro-
vazione a Lo/ila è un'informazione reana da <<Variery».
Le informazioni riguardanti le nominarion agli Oscar assegnare a Lolita sono srare
ricavare da Mason Wiley e Damien Bona, lnside Oscar.
-.Nel film non porei ... »: Sranley Kubrick a Gene D. Phillips.
-.Ciò che ci sorprende ... »: di Pauline Kael.
-.Gli inizi di Sranley Kubrick ... »: Jean-Luc Godard, Godard on Godard rradorto da
Tom Milne (Viking 1972).
Le informazioni riguardanri le reazioni del pubblico alla proiezione di Lolita proven-
gono dal numero del -.New York Herald Tribune» di domenica 15 luglio 1962.
Le informazioni relative all'abitazione della famiglia Kubrick al 239 di Cemral Park
Wesr, i corsi frequemari da Chrisriane Kubrick presso la Art Srudems League proven-
gono dagli archivi della Arr Srudems League.
-.Era una delle donne ... »; -.Non mi piacevano gli acquerelli ... » e le informazioni rela-
tive alle lezioni renure da Srernberg e frequenrare da Chrisriane sono srare ricavare da
un'imervisra rilasciata all'autore da Harry Srernberg.
-.Se mi fossi reso como ... », -.Newsweeb•, 1972.
-.Se uno dei nuovi giovani registi ... »: daJames Mason, Be/ore l Forge/.
Le informazioni relative al remake di Lolita realizzato da Adrian Lyne provengono da
-.Hollywood Reporter», 6 luglio 1995 e dalla rubrica della giornalista Liz Smirh.

Capitolo 12. «Lo trovi divertente?>>

Alexander Walker, Peter Sellers: The A111horized Biography; Perer Evans, Peter Sellers:
Tbe Mask behind tbe Mask sono srari di grande urilirà ai fini delle ricerche riportare in
questo capitolo.
Le informazioni relative all'accordo rra la Harris-Kubrick, Ray Srark e la Seven Arts;
la posrproduzione efferruara da Sranley Kubrick in Inghilterra; il lavoro di Sranley
Kubrick e James B. Harris alla sceneggiacura di Ree/ Alert; lo scioglimenro della Harris-
Kubrick Piccures; James B. Harris sulla cosca pacifica degli Srari Uniri; Tbe Passion
Floll'er Hotel; la carriera regisrica di James B. Harris provengono da un'imervisca rila-
sciata all'autore da James B. Harris.
L'imeresse di Sranley Kubrick per la guerra rermonucleare proviene da alcune imer-
viste rilasciare all'aurore da David Vaughan e James B. Harris.
-.Cominciammo a scherzarci ... »; -.Secondo me l'unico modo ... ••: imervisra rilasciata
all'autore da James B. Harris.
La descrizione che Sranley Kubrick fa di Il dottor Strana111ore proviene dall'articolo
serino da A. H. Weiler su -.New York Times» del 31 dicembre 1962.
Le informazioni relative a Terry Sourhern provengono da: Ephraim Karz, Tbe Film
F.nqdopeditt; Jeff MacGregor, Tbe Hot Day Terry Sl}f(tbern. Cool antl Fatalistit'. Strode /n,

558
«New York Times», 12 novembre 1995, «Hollywood Reporter•• 31 ottobre 1995 e dal
necrologio di Terry Southern su «New York Times», 31 ottobre 1995.
«Stanley è talmente immerso ... »; «La mia mente lavora ... »; «Si versava un drink ... »;
la troupe inglese che rimane colpita da Stanley Kubrick; il regista che cambia numero
di telefono: Elaine Dundy, «Glamour», aprile 1964.
Le informazioni riguardanti Richard Sylbert; il progetto di Stanley Kubrick di re-aliz-
zare la scenografia di Il dottor Strana111ore a New York; «Ho una sceneggiatura grandio-
sa ... » provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Richard Sylbert.
Le informazioni relative alla carriera di Richard Sylbert provengono da Vincent
LoBrutto, By DeJign: lntervieu•J u•ith Fil111 Prod11ction DeJignm.
Le informazioni riguardanti la Mpaa e Il dottor Stranamore e le lettere tra Stanley
Kubrick e Geoffrey Shurlock provengono dagli archivi della Mpaa conservati presso la
Margaret Herrick Library.
Le informazioni relative a Ken Adam e alla scenografia di Il dottor Strana111ore; Peter
Sellers che indossa un naso fimo per interpretare Mandrake; l'ingaggio di Slim Pickens;
Adam che crea una nuova scenografia del set della War Room; la cosrruzione dei set
agli Shepperton Studios; l'aeroporto di Londra e gli uffici dell'Ibm; la cooperazione
negata dell'esercito Usa; la tecnologia realistica; i pannelli delle strumenrazioni; i
modellini del bombardiere B-52; le cartine e il pavimento della War Room; il disegno
dei missili; il presidente Reagan che domanda dove sia la War Room nella Casa Bianca;
«Stanley mi disse: ... »; «Santo cielo, Ken, è grandioso ... ••; «Stanley è un brillante came-
raman ... n; «Conosco un cowboy ... )); (<Ero disperato ... »; «Era veramente incredibile ... >>;
«Non avevo assolutamente idea ... »; «Stai scherzando!» provengono da Vincent
LoBrutto, By De.rign: lntervieu·J uoith Film Production DeJignerJ e da un'intervista rilasciata
all'autore da Ken Adam.
Le informazioni relative a James Earl Jones e Il dottor Stranamore; l'ingaggio di
George C. Scou; il luogotenente Zogg che mette in dubbio la natura patriottica della
missione; le battute tolte a Jones; James Earl Jones che non riceve risposta da Sranley
Kubrick; «Prendo anche quello di colore» provengono da James Earl Jones e Penelope
Niven, VoiceJ ami SilenceJ.
«Mi trovavo nella mia fattoria ... » e l'arrivo di Pickens all'aeroporto sono informazioni
tratte da «New York Times».
Le informazioni riguardanti Slim Pickens provengono da Ephraim Katz, The Film
En('ydopedict.
Le informazioni relative a Wally Veevers provengono daJohn Brosnan, Movie Magie .
.. 11 primo giorno ... »; «Stanley è molto meticoloso ... »; «Trovavo che i suoi film ... »
sono tratte da David Shipman, Mwie Talk.
Le informazioni su Georgc C. Scott sono state ricavate da Ephraim Katz, The Film
Ent)'dopedia.
«Le uniche cose che ... »: da un articolo scritto daJack Piler per «Variety».
«È il piit accanito lavoratore ... »: Peter Evans, The Mmk hehind The MaJk.
«Nel corso delle riprese ... »; «È troppo farsesca ... »; «L'idea di realizzarla ... » sono rrat-
te da un'intervista rilasciata a Gene D. Phillips da Stanley Kubrick.
Le informazioni relative a Il dottor Stranamore, Rerl Alert e A prova di errore provengono
dall'articolo di David E. Scherman Et•eryhorly Blou·J Up!
Le informazioni relative al montaggio di Il dottor Stranamore; la filosofia della
commedia; la scomparsa del montaggio della sequenza della bomba e il rimonrag-
gio; la cancellazione della prima del film a causa dell'assassinio di JFK; «Sedevamo
insieme sul pavimento ... »; .. Senza ombra di dubbio Stranamore ... »; «1 fratelli
Boulting ... ».
Le informazioni relative a Winston Ryder provengono da Vincent LoBrutto, Sotmd-
On-Film: lntert•ieu·J uùh Creatori of Film Sounrl.
Stanley Kubrick agli uffici pubblicitari della Columbia e «basso, scuro, tozzo ... » pro-
vengono da un'intervista rilasciata all'autore daJohn Lee.
L'opinione espressa da Stanley Kubrick che l'assassinio di Kennedy non avrebbe
avuto alcuna influenza su Il dottor Strancn11ore e «Non c'è assolutclmcnte ... » provengono
dalla colonna di Eugcnc Art·her.

559
Le informazioni relative alle riprese delle torte in faccia e «l primi giorni ... ., sono tratte da
Perer Bull, The Ending Yo11 Never Scru· in Strcmgelwe, «New York Times», 9 gennaio 1966.
Le informazioni relative all'idea di Sranley Kubrick di inserire come sorrofondo musi-
cale alla sequenza della bomba i versi della canzone We'l! Meet Aga in provengono da Lyn
Tornabene, The Bo/1/b and Stan!ey K11brick, «Cosmopoli ran.,, novembre 196 3.
Sranley Kubrick che invita degli amici alla prima; «Dissi a me stesso che non sapeva-
no ... » provengono da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.
Bosley Crowrher che stronca il film e la reazione di Lewis Mumford provengono da
«New York Times».
Le notizie riguardanti le reazioni a Il doltor Strana111ore di Elvis Presley, Sreven
Spielberg e Oliver Srone provengono da Eric Lefcowirz, Dr. Srrangelove T11rns 30. Can
/t Sti!! Be Tmsted?, «New York Times», 30 gennaio 1994.
Le notizie riguardanri l'Oscar di Il doltor Strana111ore provengono da Mason Wiley e
Dami en Bona, lnside Osmr.
Le informazioni relative alle reazioni di Sranley Kubrick alla pubblicità per Il mm
estinto provengono da Lee Mishkin, K11brick Threatens S11it on Strangelove \flriter, «New
York Morning Telegraph», 12 agosto 1964.
Le informazioni relative ai corsi frequenrati da Christiane Kubrick presso la Arr
Srudenrs League provengono dagli archivi della Art Srudenrs League.
Le informazioni riguardanri il progetto delle Nazioni Unire di fare un film con
Sranley Kubrick provengono da «New York Times» e dall'intervista rilasciata a Harrier
Morrison da Richard Sydenham.
«Avevo sempre desiderato ... »: da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Perer Hollander.
Le informazioni relative al positivo disrribuiro in occasione del trentesimo anniversario
dell'uscita di Il do1torStrana111ore provengono dalle note di programmazione di Film Forum.
La trasmissione Dr. Strangelove Ret•isited andò in onda all'inrerno del programma
"Nighrline" sulla Abc il 10 novembre 1995.
I commenri di Russell Baker su Il dottor Stranai/IOI'e sono comparsi sul «New York
Times» del 14 novembre 1995.

Parte quinta 1964-1987 Isolamento/Solitudine/Eremitaggio

Capitolo 13. Il viaggio definitivo

Il tirolo di questo capitolo è stato ispirato dalla campagna pubblicitaria di Mike Kaplan
per 2001. Epigrafi: <<Fra le giovani generazioni ... »: Orson Welles e Perer Bogdanovich,
lo, Orson W e!!es; «Si è rrapianraro ... »: inrervisra rilasciata all'aurore da Fai rh Hubley.
Parecchi libri mi sono serviti a capire la creazione e la produzione di 2001 e hanno
fornito materiale prezioso per questo capitolo: Jerome Age!, The Alaking of Stanley
K11brick's 2001, Piers Bizony, 2001: Fil111ing tbe F11t11re; il romanzo 2001: Odissea nello
spazio; il racconro La sentine!!a, The Lost Wor!ds o/2001 e Reporton Piane/ Three di Arrhur
C. Clarke; Carolyn Geduld, Fi/111 G11ide to «200/: A Spa.-e Odysser, e Nei l McAleer,
Odyssey: The A11thorized Biogr·aphy rf Arth11r C. Clarke. L'articolo Fil111ing 20lll: A Space
Oclyssey di Herb Lighrman, apparso su <<American Cinemarographer» 49 (giugno
1968), conreneva imporrami informazioni tecniche ed estetiche. Il meraviglioso profilo
di Sranley Kubrick e della lavorazione di 200 l: Jeremy Bernsrein, How Abolii a Li11/e
Ga111e, <<New Yorker», 12 novembre 1966, conriene preziosi dettagli e informazioni che
hanno dato forma alla scrittura di questo capitolo.
Le informazioni su Alexander Walker nell'appartamento di Kubrick nel 1957 e <<Sta
per fare ... •• sono state fornite da Alexander Walker.
<<Perché perdere tempo? ... »; <<Questo puntava a un bersaglio ... »; <<Aveva fin
dall'inizio ... »; <<Arthur e Sranley .. :»; <do dissi che sarebbe stato un disastro ... »; <<Presi
il loro rrarramenro .. ,»; <<Gli dissi: "Ehi, Arrhur ... ".,; <<Sranley mi chiese ... »; <<Sran e io
avevamo usato ... »; <d l più lungo flashforward ... »; <<C'era molta ... »; <<Okay, lo com-
pro ... »; <<Feci a pezzi uno ... » sono rratte da Nei! McAleer, Odyssey: The A11thorized
Biography rf Arth11r C. C!m-ke.

560
La descrizione fisica di Sranley Kubrick nel 1964 si basa su svariate fotografie del
regista scattate in quel periodo.
«Aveva l'aria vagamente distratta ... ••; «Uno scrinore inglese di fantascienza ... »;
«Con uno staff di quelle dimensioni ... »; «In questa fase ... »; «<l problema è trovare ... »;
«Forse la società ... »; «Mi avvantaggio ... »; «Stiamo cercando ... , sono tratte da Jeremy
Bernstein, HoU' Aho111 a Little Ga111e, «New Yorker», 12 novembre 1966.
«La maggioranza degli astronomi e di altri ... », «È sotto gli occhi di ... » sono dichia-
razioni di Stanley Kubrick a William Kloman, del <<New York Times».
<<Una srrunura luccicante che aveva press'a poco la forma di una piramide ... ••: dal
racconto La sentinella, di Archur C. Clarke.
Le informazioni sui film alla Fiera Mondiale del 1964 a New York si basano su quel-
lo che l'autore·ricorda dell'evento.
Le informazioni su Christiane Kubrick che parla di Stanley Kubrick a Harry
Sternberg, <<Non vedevo l'ora ... , e <<L'inventiva di quest'uomo ... , sono fruno di
un 'intervista rilasciata all'autore da Harry Sternberg.
Le informazioni su Ha! e lbm; Ernest Shacklecon; il lavoro di Bob Gaffney in 2001;
Stanley Kubrick che riprende l'osso e Moon- Watcher che frantuma ossa; le decisioni di
Sranley Kubrick sul formato; le domande di Sranley Kubrick a Bob Gaffney; gli effeni
speciali utilizzati sul materiale del terreno; le riprese del terreno; il motivo del rifiuto di
volare da parte di Stanley Kubrick; Bob Gaffney nel ruolo di direnore della pubblicità
di Stanley Kubrick; Stanley Kubrick che dà a Bob Gaffney la recensione di Q11arto potere
di Bosley Crowther per Orson Welles; «Ricordo che c'era un ... »; <<Era un ottimo opera-
tore ... »; «Gli dissi: "Devi ... ",; «C'è mancato poco che mi ammazzassi ... »; <<Stanley
scavò furiosamente ... , sono fruno di un'intervista dell'aurore con Bob Gaffney.
<<Fu una sorprendente ... »: Stanley Kubrick ad Alexander Walker.
<<Abitavamo a ... »: Ann Morrow, Christiane K11brick: Floll'ers ami Violent l111ages,
«London Times», 5 febbraio 1973.
Le informazioni sul trasferimento sulla W est Coast di Jacques e Gertrude Kubrick, la
licenza medica californiana del dottor Kubrick e il fatto che fosse membro
dell'American College of Gastroenterology vengono dalla Medica! Sociery dello Stato di
New York.
Le informazioni su Ken Adam conrarraro da Stanley Kubrick per le scenografie di
2001 e il suo declinare l'offerta si basano su un'intervista rilasciata all'aurore da Ken
Adam.
Le informazioni su Wally Veevers e Tom Howard sono tratte daJohn Brosnan, Mwie
Magir.
Le informazioni su Douglas Trumbull sono trarre da «American Cinematographer>•,
onobre 1969.
Le informazioni su Geoffrey Unsworrh sono tratte da Vincent LoBrutto, By Design,
interviste rilasciate all'autore da Tony W al con e Katz.
<<Il finale fu alteraco ... »; «Non mi piace ... » e <<Magari la prossima volta ... »: Jerome
Age!, The Making of Staniq K11hrick's 200 l.
Le informazioni sui personaggi di Poole e Bowman; Keir Dullea; i dati forniti a Keir
Dullea e Gary Lockwood; N igel Davenport in 2001; Derek Cracknell che legge la bat-
tuta di Ha!; il modo di dirigere di Sranley Kubrick; l'intensità di Stanley Kubrick sul
set; Keir Dullea che fa lo stunt attraverso il portello e lavora nella centrifuga; Keir
Dullea e Gary Lockwood che avviano la macchina da presa dall'interno della centrifuga;
i set rotanti; le riprese di Poole che mangia; i miglioramenti al copione; Bowman e
Poole attorno al nucleo; le scarpe munite di Velcro; il nuovo design delle scarpe; il lavo-
ro con gli attori; le cene di Stanley Kubrick; il gioco della Parker Brothers studiato per
2001; le riprese delle scene con Ha!; la reazione della troupe inglese a Sranley Kubrick;
le riprese degli sruntmen con i cavi; le riprese di Keir Dullea nella capsula; la musica di
Antarrtica S11ite; Keir Dullea che trema; le riprese dei primi piani dell'occhio di Keir
Dullea; il trucco; la stesura originale della scena nella stanza vittoriana; Sranley Kubrick
che non ha mai discusso il significato di 200/; Dullea alla prima di Washington; Keir
Dullca che guarda Nei! Armstrong camminare sulla luna con Arrhur C. Clarke proven-
gono da un'intervista rilasciata all'aurore da Keir Dullea.

561
«Quest'uomo mi guardò ... »; «Nel leggere la sceneggiatura ... »; «Avevamo la
nostra ... >>; «Questa era buona, proviamone un'alrra ... »; «Adoravo Stanley ... »;
«Basrava che sul set arrivasse gualcuno ... »; «Quando stavamo girando ... »; «È un uomo
molto tranquillo ... »; «Stanley è un amenrico ... »; «Era un po' come ... »; «La stanza del
cervello ... »; «Ma sai ... »; «Mi proierravano delle luci ... »; «Faceva un po' paura ... »;
«Mai! Non parlava mai ... " e «Fui annientato ... " sono tratte da un'intervista dell'autore
con Keir Dullea.
Le informazioni su Gary Lockwood e Nigel Davenport provengono da Katz .
.. Ci sono certe ... »: «New York Times».
«Eta come guardare ... »; «Per me era una novità ... » e «C'erano praticamente ... »
sono tratte da Herb A. Lightman, Fil111ing 2001: A Space Odyssey, «American
Cinematographer» 49 (giugno 1968) .
.. Star lontano ... »: Arthur C. Clarke .
.. La prossima volta ... »; «Ti trasporta ... »; «Stanley ùpira la geme ... »; «Stanley è
un genio ... »; «Stanley rimase su ... »; «Ero presente ... »; «Arthur ha un ego pazze-
sco ... » e •<2001. lo vedo rutte le settimane» sono tratte da Piers Bizony, 20(}]:
Filming the F11t11re.
Le informazioni sul video conrrol sono tratte da un libro di prossima pubblicazione
che raccoglie interviste dell'amore a direttori della fotografia.
Le informazioni sulla morte di Rurh Sobotka derivano da un'intervista rilasciata
all'amore da David Vaughan e dal necrologio di .. Variety», 21 giugno 1967.
Le informazioni sulla retroproiezione sono trarre da Vincent LoBrutto, By Design.
Le informazioni sulla tecnica Fairchild-Hansard sono trarre da King Vidor, King
Vidor on Filmmaking.
«Qualcuno ha detto che l'uomo ... »: Sranley Kubrick a Gene D. Phillips.
Le riprese della sequenza e «Avevo incontrato ... » provengono da «Sight & Sound»,
maggio 1995.
Le informazioni sulla colonna sonora originale e Alex North derivano dalle note
<di'incisione della prima mondiale di Alex North's 2001: T be Le.~entla•y O•·iginal Smre,
National Philharmonic Orchesrra, diretta da Jerry Goldsmith, Varese Sarabande,
1993.
Ray Lovejoy promosso al montaggio di 2001 e il passaggio di Anrhony Harvey alla
regia vengono da un'intervista rilasciata all"amore da Anrhony Harvey.
Informazioni su un altro musicista chiamato originariamenre a comporre la colonna
sonora per 2001 e «Poi Stanley mi chiamò a New York ... » sono rratte da lrwin
Bazelon, Knoll"ing the Score: Notes on Film M11sic .
.. Mi ricordo di aver visto ... »: Tony Thomas, Film Smre: The Art ant! C:rafi of Mm•ie
M mie·.
«Non considero ... »: Sranley Kubrick a Henry T. Simon per «Newsweeb• .
..... un film così noioso ... »: Stanley Kaufman, «New Republic».
«È moralmente pretenzioso ... »: Arthur Schlesinger Jr., "Vogue» .
.. 2(}(}} non è il pcggior ... »: Pctcr Davis Dibble, «Women's Wear Daily» .
.. 11 film è a tal punto assorto nei suoi problemi ... »: Renata Adlcr, «New York
Times•> .
.. È divertente pensare ... »: Pauline Kacl.
.. AI più profondo ... »: Sranley Kubrick a «Rolling Srone» .
..... capace di farmi ... »: Charlotte Chandler, l. Fellini.
"Vede ... ,; Charles Thomas Samuels, Enm11ntering Directors.
.. Col declino del western ... »: John Boorman, 11Je Ememld Forest Dimy.
La reazione della lbm a 2001 è trana da un'intervista rilasciata all'aurore da Faith
Hublcy.
Le informazioni sugli Oscar per 2001 sono tratte da Masnn Wi.ley e Damien Bona,
Insi<le Oscar.
Le informazioni su].()()} al Festival di Mosca del 1969 e «Terrò gli occhi aperti ... »
sono tratte daJoyce Habc-r, 1"/1 Be Watching . .. , «Los Angeles Times».
Jacgues Kubrick in platea per la conferenza di Jcrome Age l al college sperimentale di
Sherwood Oaks è tratto eia "Variety», 21 marzo 197 3.

562
.-Non appena lo ... »: James Camerona Syd Field . .-2001 è il morivo ... ••, Ray Lovejoy
a Syd Field .
.-Scoprii che esisteva ... »: Alexandra Brouwer e Thomas Lee W righe, Working in
Hollyu·,md.
Le informazioni sulla parodia a 2001 in Minnie e MoJkiJ/I'itz sono tratte da Raymond
Carney, Ameriron Dreaming: The Fiilm o(}olm CnHm,eteJ ami the Ameriran Experience.
Le informazioni sulla parodia di 2001 in L'11omo dallo rrm,otta di moio sono tratte da
Manny Farber, Negative Space.
L'influenza di 2001 su Space Oddity di David Bowie deriva da Perer e Leni Gilman,
Alim Dat'ùl Bou-ie: A Biography.
L'influenza di Jordan Belson e dei fratelli Whirney su 2001, •.·.. ricordava fortemen-
te ..... e <<Diventa un vertiginoso ..... sono rratte da Gene Youngblood, Expanded
Cinm1a.
<<Perché continuiamo a tornare ... »: Ray Bradbury.

Capitolo 14. «È davvero Napoleone, vero?>>

Il tirolo di questo capitolo deriva da un'intervista rilasciata all'amore da Gay


Hamilton.
Epigrafi: .-Sarebbe stata ... »: intervista dell'aurore con Bob Gaffney; <<L'ho trovato un
uomo piacevole ... ••: intervista dell'amore con Jonarhan Ceci!.
Per questo capitolo ho fatto ampio ricorso all'intervista con Kubrick di Joseph
Gelmis, apparsa nella sua superba raccolta The Film Dire.'lor aJ S11perJtar. L'intervista si
era svolta dopo l'uscita di 2001, quando Kubrick era profondamente impegnato nelle
ricerche e nella preparazione del suo progetto- mai realizzato- sulla vira di Napoleone.
L'intervista di Gelmis è l'unica testimonianza estesa in cui Kubrick parli delle sue idee
relative all'epico progetto. Sono debitore anche di Bob Gaffney, che con tanta cortesia è
rimasto a mia disposizione condividendo, accanto a tanti altri argomenti, i suoi ricordi
del lavoro con Kubrick sul progetto. L'approfondita biografia di Jack NichosonJork'J
Life, di Pacrick McGilligan, e}ack NirboiJon: Fare to Foce, di Christopher Fryer e Robert
David Crane, mi sono stati di utile riferimento per comprendere la partecipazione di
Nicholson al progetto. Le brillanti e colte memorie di Anthony Burgess, Y'oll't'e Had
Yo11r Time: The Second Port of the Con/imùms. sono state utili per capire il ruolo dello
scrittore nel film proposto.
Le informazioni sulla vita di Napoleone sono tratte da The World Book Enrydopedia.
Stanley Kubrick che conta i soldati su un dipinto per determinare l'entità delle trup-
pe deriva da un'intervista rilasciata all'amore da Keir Dullea.
«È un romanzo ..... : Sheila Weller sul << Village Voice».
Nopoleon Symphony: A Nm,el in Fo11r MwementJ è stato pubblicato da Knopf nel 197 4.
<<Le grandi storie sono già rare ... »: Stanley Kubrick a Gel mis su <<Newsday».
<<Conco di fare Napoleon, adesso ... »: Stanley Kubrick a Penelope Houston in
<<Sarurday Review».
Le voci sul set di Borry Lyndon sul fatto di girare scene di battaglia per Napoleon ven-
gono da un'intervista rilasciata all'autore daJonarhan Ceci!.
<<Stanley Kubrick- mi sento obbligato ..... : <<Variety».
<<Ho investito molto ... »: dal profilo di Nicholson pubblicato da Ron Rosenbaum nel
<<New York Times Magazine».
Shadou~ on a W al/ è un romanzo di Ray Connolly pubblicato dalla St. Marrin's Press
nel 1994.

Capitolo 15. Ultra-violenza

Epigrafi: <<Lui è tutto ... »: Malcolm McDowell a Kitty Bowe Hearry in


ccPremicrc»; (lArctnàa meaanica, al momento, è ... »: Luis Dufiucl; ~<Odio leggere ... )):
Pau! Cook in un articolo di Tony Parsons, «The Times Sarurday Review»,
Inghilterra, 30 gennaio 1993.
Numerosi libri e articoli sono stati essenziali nelle ricerche per questo capitolo e mi

563
sono servir i a capire i retroscena relativi allo straordinario romanzo Un'arancia a orologe-
ria di Anthony Burgess e alla riduzione fatta da Kubrick per il grande schermo:
Anthony Burgess, Un'arancia a orolo.~eria; Anthony Burgess, Yo11'r•e Hatl Yo11r Time: The
Semnd Pari of the Confossiom; il profilo di Malcolm McDowell in Tom Burke, B11rke's
Steerage; Stanley Stanley Kubrick, K11brick's A Clockuwk Grange Baset! on the Nwel by
Anthony B11rgess; Andrew Bailey, A Clockll'ork Utopia: Semi-Scmtable Stanley K11britk
Dismsses His Nell'Film, «Rolling Stone», n. 100, 20 gennaio 1972.
Per le informazioni su Christiane Kubrick, la sua vita in casa in Inghilterra e il
suo lavoro di pittrice, mi sono ampiamente valso di Christiane K11hrick Paintings,
introduzione di Marina Vaizey (Warner Books, 1990); Ann Morrow, Christiane
K11brirk: Floll'ers ami Violent lmage.<; «London Times», 5 febbraio 1973; Valerie
Jenkins, The Floll'er-Filled Wrw/d of tbe Otber K11brick, «Evening Standard», lO set-
tembre 197 2.
«Quel maledetto libro è stata la cosa più dolorosa ... »: Anthony Burgess a Sheila
Wellcr sul "Village Voice».
«Il libro ebbe ... »; «Qui si sra molto bene ... »; «Il laboratorio è capacissimo ... »:
Stanley Kubrick a Bernard Weintraub, «New York Timcs».
«LI storia ha due livelli ... »; «Volevo trovare un modo ..... ; «Il libro descrive stilisti-
camente ... »: Stanley Kubrick aJoseph Gelmis .
.. 11 mio problema, naturalmente ... »; «Attori di simile genio ... »; «Mentre parlia-
mo ... »: Sranley Kubrick a Penclope Houston.
«Anche se in proposito esiste una certa ... »; «Chiedermi di prendere una vacanza ... »;
,<J maestri di scacchi a volte ... ••; «Ha avuto un bel po' ... »; «Raccontare una storia in
modo realistico ... »; «LI violenza non è necessariamente ... »: Stanlcy Kubrick a Paul D.
Zimmerman, «Ne,vs\veek,,.
Le informazioni sullo stile della sceneggiarura di Kubrick per Arancia mea'tlnica deri-
vano dall'esame dell'autore della prima stesura originale presso la Margaret Herrick
Libmry.
«Amncia me<'t'anica utilizzava ..... : John Akott ad «Amcrican Cinematographer».
Le informazioni sulle innovazioni tecniche e sulLntrezzatura usata da Sranley
Kubrick in Arancia mect'cmica. e «Smnley si limita a telefonare .. ·" derivano da un'inter-
vista rilasciata all'autore da Ed Di Giulio.
Le informazioni su Liz Moore che disegna i tavoli del Korova Milkbar vengono da
Bizony.
«Mi ero graffiato la cornea ... , è tratto da Kirk Douglas, Destino nella poii•ere.
Le informazioni su Steven Berkoff e sul ser di Aranàa 1/Je<'<<tnica, «Stanlcy Kubrick era
incredibilmente gentile ... »; «Mi offrì l'opportunità ... " derivano da un'intervista rila-
sciata all'autore da Steven Berkoff.
Le informazioni su Philip Stone; «All'improvviso Sranley mi chiese ... » sono tratti da
una lettera di Philip Stone all'aurore.
«L'attrezzatura base che utilizzo ... »: Alexander Walker, Stanley K11brick Directs.
Le informazioni su W alter Carlos e Wendy Elkind e la colonna sonora diAranciamec-
canica, e «Stanley era affascinato ... » derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da
Wendy Carlos.
«Quando andai a casa ... '': <(Newsweek''·
Le impressioni di Vietar Davis su Stanley Kubrick all'epoca di Arancia 111emmica, e
.. Lt cultura sembra non avere ... » provengono dal «Daily Express».
Le informazioni sulle anteprime di Arancia 1/Jecccmica provengono da «Variety».
Le informazioni sul mascherino dipinto sul muro del Cinema One di New York pro-
vengono daJulia Phillips, Yo11'll Nwer Eat Ltmrb in This ToU'n Again.
«Brillante, un tour de force ... » è tratto dalla recensione di Arancia mecmnica di
Vincent Canby sul «New York Times».
«Non fidatevi di quello che dico ... » è tratto dalla recensione di Arancia mecctrni((J di
Andrew Sarris sul "Villagc Voice».
John Simon che indica Arancia meccanira come uno dei dieci peggiori film dell'anno
nel "Dick Cavett Show" è tratto da un articolo di Arthur Bell sul "Village Voice».
«Un'opera stupefacente ... »: Rex Reed per il «New York Daily News ...

564
Le informazioni sulla campagna pubbliciraria per Aranàa lllec(tlnica sono ricavate
dagli archivi Warner alla Usc.
«Sono volato a Londra ... ,. è tratto da Stephen Farber e Mare Green, Hollywood on the
Crwrh.
Le informazioni sul certificato dato ad Aranàa mercanim dal British Board of Film
Censors, e su Steven Murphy, sono tratte da Alexander Walker, Natirmal Hmlf!s.
Le informazioni su Aranàa meccanica e gli Oscar sono tratte da Mason Wiley e
Damien Bona, /nsùle Oscar, e Nat Segaloff, H11rrifane Billy.
Le informazioni sulla posizione del «Detroit News» sui film x-rated sono tratte dal
«Detroit News».
Le informazioni sui film mainstream classificati con la X sono tratte da Leonard J.
Leffe Jerold L. Siinmons, Dame in the Kimono, e da Gerald Gardner, The Censorship
Papm.
La lettera di Stanley Kubrick al direttore del «Detroit News» è stata pubblicata il 9
aprile 1972.
Le informazioni su Stanley Kubrick e la Warner Bros sono tratte da "Variety••.
«Appunto. Ho venduto i diritti ... » è muro da «Time», 17 gennaio 1977.
«Avevamo fatto le prove ... ,. è tratto dalla trasmissione radio "Sound an Film". aprile
1972, Erwin Frankel Productions.
Stanley Kubrick che ritira Amnàa meccanica per ottenere una nuova classificazione
deriva dal «New York Times": 25 agosto 1972.
«Comincio a essere ... » e «E possibile che questo non sia ... »: «Variety», 22 agosto
1973.
Emmanuel K. Schwartz, «A Psychiatric Analysis of Kubrick's 'Clockwork Orange» è
apparso su «Hollywood Reporter» il 31 gennaio 1972.
Le informazioni sul decreto di Roeder in Arizona sono tratte da un articolo di Nick
DiSpoldo sul «New York Times», 20 giugno 1974.
Le informazioni sulla violenza degli imitatori e Aranàa 1maanica sono tratte da
Vietar Davis, «Daily Express», gennaio 1972; Tony Parsons, «Times Saturday
Rcview», 30 gennaio 1993; e Edward Laxton, The Clockll'ork Killer, «Daily Mirror», 4
luglio 1973.
Artlmr Bremmer e Arancia meccanica, «Milwaukee, 24 aprile .. ·" è rratto da Joseph
Gelmis in «Ncwsday».
La reazione di Miriam Karlin ai delitti commessi in Inghilterra da imitatori di
Aranàa 111eccanùu è rratta da un articolo di Edward Laxron, «Daily Mirror». 4 luglio
1973.
Stanley Kubrick che ritira Arancia meccanica dalla circoht7.ione in Inghilterra è rratto
da William E. Schmidt, «New York Times», 6 febbraio 1993.
Le cifre degli incassi di Aranàa meccanica in Inghilterra sono tratte dal «London
Times», 18 gennaio 197 3.
Arancia meccanit'tl proiettato in Argenrina: « Variety», 14 agosto 1985.
Le informazioni sulla causa Warner contro Channel 4 in Inghilterra sono tratte da
"Variety». Stanley Kubrick e la Warner contro Jane Giles, da William E. Schmidt,
•New York Times», 6 febbraio 1993 e Kathy Marks, •<lndependent», 5 febbraio
1993.

Capitolo 16. La forza delle candele

Epigrafe: «Tecnologia al servizio della creatività»: intervisra dell'autore con Ed Di


Giulio.
Parecchi articoli mi hanno aiutato nelle ricerche sulla lavorazione di Barry Lynt!on e
sono serviti da base per questo capitolo: Thomas Wood, Barry Lyndon Por for the
K11brick Cotme; Richard Schickel, K11h•·ifk's Grandest Cambie, «Time», 15 dicembre
1975; Herb Lightman, Pbotogmphing Stanley K11brick's Barry Lyndon, include un'inrervi-
sta a John Alcott in «American Cinematographer», marzo 1976; Ed Di Giulio, Tu·o
.\'pecial Lemes for Barry Lyndon, "American Cinematographer», marzo 1976; John
Hofsess, Hou·l Leamerl to Stop Worrying tmd Lwe Barry Lyndon, «New York Times», Il

565
gennaio l 976. Ho anche animo all'approfondita intervista di Miche! Cime m a John
Alcorr, pubblicata in Kubrick.
Le informazioni su William Makepeace Thackeray sono trarre dall'introduzione di
Andrew Sanders all"edizione World"s Classics di Barry Lyndon, pubblicata dalla Oxford
U niversity Press (1984).
Le informazioni sul metodo tenuto da Stanley Kubrick nell'adarrare il romanzo Barry
Lyndon derivano da un'intervista rilasciata ali" aurore da Gay Hamilron e Jonathan Ceci!.
Le informazioni su Ed Di Giulio e il contributo della Cinema Products per Barry
Lyndrm; Stanley Kubrick e !"uso dello zoom; Ed Di Giulio che controlla la proiezione di
Barry Lyndon nella sala Cinerama Dome; «Stanley mi chiamò e disse ... » sono trarre da
un'intervista rilasciata ali" autore da Ed Di Giulio.
Le informazioni sul lavoro di Ken Adam in Barry Lyndon sono trarre da Vincent
LoBrurro, By Design, e da un'intervista rilasciata all'aurore da Ken Adam.
« ... come un artista medievale ... »: Alexander Walker.
Le informazioni su Stanley Kubrick e il direrrore di produzione e «Chiedi agli scena-
grafi ... » sono trani da John Boorman, The Emerald Forest Diary.
Ciò che la Warner sapeva di Barry Lyndon durante la produzione e il progerro di
Stanley Kubrick da Doppio sogno sono tratti da« Variety».
Le informazioni su Ryan O'Neal e Marisa Berenson provengono da Katz.
La sospensione della lavorazione di Barry Lyndon è tratta dal «Daily Express» e da
«Variety••. 28 novembre 1973.
Le informazioni sulla revisione di Barry Lymlon durante la sospensione, la scelta per il
film di attori inglesi e irlandesi, derivano da interviste rilasciate all'autore da Gay
Hamilron, Steven Berkoff e Jonathan Ceci!.
«Quando un regista muore ... » fu detto originariamente da John Grierson. Nella sua
autobiografia, Ftm in a Cbinese Laundry, ii regista Josef von Sternberg confuta questa
teoria ed enuncia una filosofia che si può ben applicare all"opcra di Stanley Kubrick:
«Con poche eccezioni la forza centrale del film, il regisra, non è un maestro della foto-
grafia, che è !"elemento principale nel trasferire la sua visione sullo schermo. Il regista è
alla mercè della macchina da presa. Essa scrive il proprio linguaggio, traslittcra tutto
ciò che vi viene inserito, e quando il regista non ha il controllo sul suo principale stru-
mento del mestiere ha rinunciato alla sua funzione principale».
«Pochissimi sanno usare ... » è tratto da Mi/limeter.
Le informazioni su Jonathan Ceci! che lavora in Barry Lyndon; che recita Potzdorf per
tre settimane prima di essere rimandato a casa; «Un giovane ufficiale ... »; «Fu un'espe-
rienza straordinaria ... »; «Ci fu una giornata disastrosa ... »; «Cercava di farci inventa-
re ... » derivano da un'intervista rilasciata all"aurore daJonathan Ceci!.
Le informazioni sul lavoro di Gay Hamilron in Barry Lyndrm; «Sranley Kubrick non
incontra nessuno ... » sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Gay Hamilton.
Stanley Kubrick che manovra la macchina da presa e lavora con Luke Quigley; Bob
Gaffney che controlla la messa a fuoco della proiezione di Barry l-yndon a New York
derivano da un'intervista rilasciata all"autore da Bob Gaffney.
Le informazioni su Steven Berkoff che lavora in Bm·ry Lyndon; «Sul set si parlava
parecchio ... » provengono da un'intervista rilasciara all"aurore da Steven Berkoff.
Philip Stone che in Barry Lyndon interpreta Graham; «Nel bellissimo Barry Lymlon,
Graham ... » sono trarre da una lettera di Philip Sto ne ali" autore.
Il lavoro di Leonard Rosenman sulle musiche di Barry Lyndon, «Stanley mi
chiamò ... » derivano dalla sua intervista in Film Makers on Film Making: The Amerimn
Filmlnstitute Seminm·s on Motion Pictures ami Television, vol. l, a cura di Joseph Mc Bride,
J.P. Tarcher ]ne., Los Angeles, 1983.
«Si rimane lì ... »: Jerry Oster, «New York Daily News», 21 dicembre 1975.
«[È] una serie ... »: Michael Billington, «London lllustrated».
« ... si trasforma scena dopo scena ... »: Vincent Canby, «New York Times».
Le candidature agli Oscar c le informazioni sui premi a Barry Lyndon sono tratte da
Mason Wiley e Damien Bona, lnside Osmr.
«Stanley Kubrick vince il David di Donatello»: Gregg Kieslay, «Los Angeles
Times», I 3 giugno 1977.

566
Stanley Kubrick e Miroslav Ondricek, «Mi rispose scrivendo ... »: da un'intervista
con Miroslav Ondricek tratta dall'imminente libro dell'aurore con interviste ai direttori
della fotografia.

Capitolo 17. «Di nuovo»

Epigrafi: «È una specie di cineasta dispeptico»: David Shipman, Movie Talk; «Stanley
è bravo sul sonoro ... »: Chamhers Film Q11otes, compilato da e a cura di Tony Crawley.
Il penetrante documentario di Vivian Kubrick The Making o(The Shining, andato in
onda sulla Bbc il 4 ottobre 1980, è una occasione rara e senza precedenti per vedere
Stanley Kubrick all'opera. Dura trentatré minuti e ventotto secondi ed è stato fonda-
mentale nel fornire il tessuto, lo sfondo e molti dettagli sulla produzione di Shining e
sul nucleo interno dei metodi di lavoro di Kubrick. L'articolo di Garrett Brown The
Steadicam ami The Shining, apparso su «American Cinematographer» nell'agosto 1980,
è staro estremamente prezioso per capire l'importanza del ruolo della steadicam in
Shining e il contributo di Brown al film. Ulteriore materiale su Garrett Brown e la stea-
dicam è tratto da una mia intervista con lui per un imminente libro di interviste con
operatori e direttori della fotografia. Photograpbing Stanley Kuhrick's The Shining,
un'intervista a John Alcott di Herb Lightman su «American Cinematographer»
dell'agosto 1980, è stato un elemento chiave nel fornire dettagli e notizie generali sul
contributo di Alcott al film.
«È molto difficile dire ... "• «Avevo deciso molto presto ... " sono trarre da John
Hofsess, «New York Times», l giugno 1980.
Le informazioni su Stanley Kubrick e il filmato dimostrativo della sreadicam deriva-
no da un'intervista rilasciata all'aurore da Garrett Brown ed Ed Di Giulio.
Le informazioni su Quinto potere e Stanley Kubrick sono tratte da Mad as He/1: The L((e
and Work of Paddy Cbayefsky.
John Calley che spedisce a Sranley Kubrick le bozze di Shining; Sranley Kubrick e
Jack Nicholson; Jack Nicholson che intercede per Scarman Crothers; Jack Nicholson e
Danny Lloyd; Jack Nicholson attratto dalla crisi familiare in Sbining; Jack Nicholson
sceneggiatore; «L'interpretazione di Jack ... »; «Il libro iniziava con quel presagio ... >> è
materiale tratto da Patrick McGilligan,Ja,.k's Li(e.
Le informazioni sulle riprese dali" elicottero in Shining; «Trovai che fosse una ... »;
«Con Shining ... »; "Penso che Jack ... »: Miche! Ciment, Kubrick.
Le informazioni su Stephen King e Shining; «Tourneur con grande sensibilità ... »
sono tratte da Danse Mambre.
Sranley Kubrick duro con Shelley Duvall; la reazione di Robert Alrman a Shelley
Duvall; la sala di montaggio di Shining; • Primo esempio di horror epico ... »; uCè qual-
cosa di intrinsecamente sbagliato ... ~~; <<Lui mi ispirava ... ,,; <<In una.scena ... ••; «lo sono
famoso per brontolare dietro le quinte ... » è materiale tratto da Jack Kroll,
uNewsweek>>, 26 maggio 1980.
Sranley Kubrick che legge Sbining; «Fui così lusingato ... »; «È un uomo con cui puoi
uscire .. ·" sono tratte da Harlan Kennedy in «American Film>>.
"Deve essere plausibile ... » è tratta da Diane Johnson sul «New York Times».
Sranley Kubrick che legge Tbe Shadou· Knou·s di Diane Johnson; Stanley Kubrick che
sente parlare di Diane Johnson; Stanley Kubrick e Diane Johnson che lavorano insieme;
«Lui è il tipo di persona ... »: Denis Barbie r.
La descrizione del primo trattamento di Kubrick per Sbining è basata sulla lettura del
trattamento negli archivi Warner presso la Usc.
Sranley Kubrick che prende in considerazione l'idea di tornare negli Usa per girare
Shining deriva da un "intervista rilasciata all'aurore da Bob Gaffney; il «Los Angeles
Herald Examincr», 5 giugno 1977 e da Army Archerd, «Just for Variety», 6 giugno
1977.
Le informazioni su Garrctt Brown ed Ed Di Giulio in visita da Stanlcy Kubrick per
mosrrargli le potenzialità della steadicam derivano da un'intervista rilasciata all'aurore
da Ed Di Giulio.
Le informazioni su Hoy Walker derivano da ricerche fimc dall'aurore per Hy Design.

567
Le informazioni sulle fotografie usare sui muri dell'Overlook provengono dall'arcicolo
di Alexander Walker sul «Los Angeles Herald Examiner».
Le informazioni su Shelley Duvall, prima e unica scelta per Wendy; Scacman
Crochers; reazione di Roberc Alcman a Shelley Duvall; •<lndiscucibilmence il più grande
arcore ... »; «Non avevo letto .. ·" è materiale erano dalla documentazione su Shining per
la scampa.
La rigida segretezza su Shining, «Come si conviene a ogni albergo ... » sono rracci da
.. variery», 14 giugno 1978.
Le informazioni su Scanley Kubrick che lavora con Anne Jackson, «Alla fine della
conversazione ... » provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da An ne J ackson.
Le informazioni sull'idea kubrickiana di Momenco Critico della Prova; la visita di
Alexander Walker sul sec di Shining; «Una versione standardizzata ... » provengono dal
«Los Angeles Herald Examiner••, 23 maggio 1980, e da Alexander Walker.
«A Kubrick piace fare molti ciak ... »: John Boorman, The Emerald Foresl Diary.
Tony Burcon in Shining; la ripresa dell'ultima inquadratura; la scena cagliata; «Il
primo film ... »; «Sranley mi mandava ... »; «Un giorno scavano girando ... »; «Non
dovette dare molte indicazioni ... » derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da
Tony Burron.
L'improvvisazione della baccura «Here's Johnny» da parre di Jack Nicholson viene da
Jamie Wolf, «American Film», gennaio-febbraio 1984.
L'incendio sul set di Shining è tratto da" Variety», 3 gennaio 1979.
Stanley Kubrick che cerca nuove tecnologie per il moncaggio è rratto da un'intervista
rilasciata all'aucore da Bob Gaffney.
Le informazioni su Philip Stone e Shining; «Quella lunga scena ... » derivano da una
lettera di Philip Scone all'aurore .
.. sranley è esigente ... »: Janet Huck.
Le origini dell'immagine delle sorelline Grady è tratta da Patricia Bosworth, Siane
Arbus, e dalla foto di Kubrick sulla rivista «Look», 25 maggio 1948.
Le informazioni su Jack Nicholson come sceneggiatore; «LI primo horror s11l blocco
dello scrittore»; «Quella è la singola scena ... » sono tracce da Ron Rosenbaum, The
Creative Mine/ o(}ack Nicholson, «New York Times», 13 luglio 1986.
Le informazioni su Jack Nicholson; Jack Nicholson scrittore: Christopher Fryer e
Robert Da v id Crane,Jack Nicholson: Felce to Fate.
Sistemi di montaggio video utilizzati in Shining tracci da Vincent LoBrurto, Selerted
Takes.
Colonna sonora di Shining; «Così la prima cosa ... » sono crani da un'incervista rila-
sciata all'aurore da Wendy Carlos.
La strategia di distribuzione per Shining è tratta da «Variety», dal «New York
Times», l giugno 1980 e dal «Los Angeles Times», l giugno 1980.
La Mpaa e Shining sono rracci da Todd McCarthy, 14 giugno 1980.
Il lavoro di Saul Bass sullogo di Shining; •Fu un'esperienza infernale ... » è materiale
rratto da un'intervista rilasciata all'aurore da Saul Bass.
Il rinvio delle anteprime è una notizia rracca dal «New York Times», 23 maggio
1980.
Taglio dell'epilogo, incasso dei primi giorni: Aljean Harmerz, .. New York Times».
«Non le suona curioso ... »: Alexander Walker, lt's Only a Mm,ie. lngrùl.
Le informazioni sulle recensioni a Shining sono tracce da «Film Review Annual».
•d n pratica dissi agli srudenci ... »:intervista dell'aurore a Ed Di Giulio.
La reazione di Srephen King a Shining è trana da «American Film», 1986.
Le informazioni su John Alcocc derivano da necrologi su .. Hollywood Reporcer» e
«New York Times».

Capitolo 18. <<Sono stati sette anni? Non ricordo mai gli anni>•

«Sono Stati secce anni ... » ed epigrafi, «Non so che cosa abbiate letto ... », .. Per quan-
to mistica ... »: intervista dell'autore con Tony Spiridakis.
Molti <trticoli e libri mi sono stati utili alla comprensione di questo capirolo su Full

568
Meta! }acket, versione cinematografica di Kubrick del romanzo Nato per uccidere di
Guscav Hasford: Full Meta! Jacket: Cynic's Choice, di Ron Magid, che include
un'approfondita intervista con Douglas Milsome, è apparso su «American
Cinematographer», settembre 1987; Winner of tbe Fib11ic Pa/111, «Observer», 28 febbraio
1988; Tim Cahill, The Rolling St1me lnterz,iefl' uùh Stan!ey K11hrick, «Rolling Stone,, 27
agosto 1987; Francis X. Clines, Stan!ey K11hrick's Vietnam, «New York Times», 1987;
Lloyd Grove, K11hrick Does Vietnam his Way, .. Washington Post», nella versione apparsa
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Le informazioni su Michael Herr provengono dal cartellone di Apoca!ypse Noli', 1979.
Le informazioni su Bob Gaffney che gira per Sranley Kubrick materiale di ricerca per
gli sfondi di F11!1 Meta! jat"ket sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Bob
Gaffney.
«All'inizio fui colpito dalla sua ... »; «Un perfezionista fuori di resta ... »; <<Un sacco
di attori ... »; morivi per cui Sranley Kubrick viveva in Inghilterra; «Mi piace anche
stare ... » è materiale proveniente daJack Kroll.
Le informazioni su Adam Baldwin; ,.JJ farro che ti portava via ... »; «La cosa che vera-
mente ... »: <<New York Times», 4 settembre 1987.
Le informazioni su Dorian Harewood, Arliss Howard, Ed O'Ross e Kevyn Major
Howard sono tratte dalle note per la stampa su F11!1 Metaljacket.
Le informazioni su Anton Furst derivano da ricerche fatte dall'autore per By Desigw.
Le informazioni su Tony Spiridakis; il suo lavoro in F11ll Meta!Jacket; «Lo beccai ... »
sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Tony Spiridakis.
Le informazioni sulla morte e il testamento di Jacques Kubrick sono tratte dalla Los
Angeles County Superior Court-Probate Records.
Le informazioni sulla nascita di Alexander Hobbs provengono dal Generai Register
Office, Inghilterra.
Le informazioni suii'Oscar, PlatrHm e Full Meta! Jacket sono tratte da Mason Wiley e
Damien Bona, /nside Oscar.
Il rinvio delle proiezioni di F11!1 Meta! Jacket è riportato su "Variety», 10 giugno
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La modifica alla strategia di distribuzione per F111l Meta! }acket è riportata da
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Le informazioni sul piano di distribuzione e sugli incassi di Full Meta!Jadet, le auto-
rità che cercano Hasford provengono da Martin Kasindorf, «Newsday», 8 luglio 1987.
Le informazioni sulle recensioni a Full Meta! }acket provengono da «Film Review
Annua!».

569
Le informazioni sul tour promozionale di Lee Ermey per F111/ Meta/ ja.-ket e « ... che ci
sono certe aree.··" sono tratte dall'Archivio Warner presso la Usc.
Stanley Kubrick che riceve il premio Luchino Visconti è tratro dall'" Hollywood
Reporter», 6 giugno 1988.

Parte sesta Infinito


Capitolo 19. Progetti e un film, l'ultimo
Il tirolo è rrarro da una lettera di Jim Coleman a Walrer Scorr. Walter Scoli'!
Pemmality Parade, «Parade••, «Newsday», 25 febbraio 1996, pag. 2.
Epigrafe: «Ogni mese che passa senza che Stanley Kubrick .. ·" è tratta da David
Grirren, A Gmi11s W ho Lives by Night, «Daily Telegram», 23 marzo 1993.
Sranley Kubrick che ordina un software da Chess and Bridge, Ltd. di Londra è
un'informazione tratta da una conversazione telefonica di Harriet Morrison con
Malcolm Pein.
Le informazioni sulla preparazione di Sranley Kubrick a \Vart ime LieJ sono tratte da
Leonard Klady, K11brù·k, Like Clockll'ork, Has a Secret, "Variety», 20 marzo 1993; Keith
Keller, K11brick Telling LieJ in Aarhm, «Variety», 5 ottobre 1993; Leonard Klady,
K11brick's Got Hù Nell'Pie, «Variety» 5 aprile 1993;}tdia Rober/J. Again, <<PeopJe,, 11
maggio 1992; << Variery», 11 maggio 1993; K11brick'J R11bù· of Silmce Kept Up, <<London
Times», 13 aprile 1993; e Gleaming the K11be, <<Hollywood Reporter», 24 aprile 1992.
Joseph Mazzello che parla di lavorare con Stanley Kubrick è tratto da Lit•e ll'ith Regù
aJ1(/ Kathie Lee.
Le informazioni su Al, <<Si informò educatamente ... " sono tratte da Rebecca Ascher-
Walsh, Kubrick's Next, <<Enterrainmenr Weekly», numero doppio estivo, 1993.
Le informazioni sull'analisi della scrittura di Sranley Kubrick da parre di Cheryl Lee
Terry sono tratte da Sign ofthe Timn, <<Premiere»,luglio 1994.
Le informazioni su Louis Begley e su Sranley Kubrick impegnare nella produzione di
Warti111e Lies sono re-arre da un'intervista rilasciata all'aurore da Louis Begley.
<<Il prossimo film di Kubrick sarà ... »: dichiarazione scampa dell'ufficio pubblicità
della Warner Bros., 15 dicembre 1995.
<<Un giorno mi è arrivaco un fax ... »: <<Newsweek>•, riportato in <<People», 10 giugno
1996.
Le informazioni su Frederic Raphael sono trarre da Ephraim Karz, The Film
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Le informazioni su AI, <<Per i fan che aspettano ... » sono tratti da «Premiere», gen-
naio 1996.
Alexander Walker che riporta l'intenzione di Scanley Kubrick di fare un film di fan-
tascienza basato su Isaac Asimov è tratto da Davide Grirten, A GenÙIJ Who Li1•n by
Night, <<Daily Telegram», 23 marzo 1993.

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film che dovet'a magnificare la vittoria nazista, 1994.

Serge Daney, Lo sguardo ostinato. Riflessiolli di 1111 ci11efilo, 1998 2° ed.

Serge Daney, Il cinema, e oltre. Diari 1988-1991, 1997.

Régis Debray, Vita e morte dell'immagi11e. Una storia dello sg11ardo 111
Occidente, 1999.

Marcella De Marchis Rossellini, Un 11Jatrimo11io rimcito, 1996.

Alberto Farina, Sparate su/regista.' Perso11aggi e storie del cimma di exploi-


tation, 1997.

Aldo Firrante, Questa è la storia ... Celmtano mila 1111/sica, 11el cimma e in
televisione, 1997.

Peter Greenaway, Voli fatali. 92 piccole storie violente, 1996 2° ed.

Peter Greenaway, Paura dei 1111meri. l 00 pemieri sul ciuema, 1996.

Kieslozl'ski racco11ta Kieslou•ski, a cura di Danusia Srok, 1998.

Louis e Auguste Lumière, Noi, i11vmtori dd ciuema. l11terviste e scritti scelti


1894-1954, 1995.

Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, 1999.

Antonello Sarno, l/mio 110111e è Bond. Viaggio nel 111011do di 007, 1996.

Enzo Ungari, Proiezioni private. Conjessio11i di 1111 amatore di film, 1996.


Finito di stampare
presso Arei Grafiche Bianca & Volta
Truccazzano, Milano
nel mese di aprile 1999

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