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ISBN 88-8033-141-8
Vincent LoBrutto
STANLEY KUBRICK
L'UOMO DIETRO LA LEGGENDA
Biografia
Prologo 9
Capitolo l
«Stanley si interessava solo a ciò che lo interessava» 13
Capitolo 4
<<Era come una spugna» 82
Capitolo 5
<<Ecco ciò che serviva: Stanley Kubrick, era lui che serviva» 87
Capitolo 6
Regista di guerriglia 103
Capitolo 7
La Harris-Kubrick 121
Capitolo 8
<<Sono Stanley Kubricb> 142
CajJitolo 9
<<Stanley, non funziona» 173
Capitolo l O
<<Non avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo film» 181
Parte quarta 1960-1964. Inghilterra 211
Capitolo I I
Come sono riusciti a trarre un film da Lolita? 213
Capitolo I2
«Lo trovi divertente?>> 246
Vincent LoBr11tto
M011nt Vernon, New York, aprile 1999
Parte prima
1928-1948
Il Bronx
Capitolo l
«Stanley si interessava solo a ciò
che lo interessava>>
2. Gioco caratteristico della cirtà di New York fin dal XVIII sec. Il campo da gioco è la
scrada o un"area delimitata e i giocatori sono muniti di mazza e palla di gomma dura.
(N.d.T.)
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cavano a baseball contro il muro, utilizzando come campo il giardino
tra le due palazzine; giocavano a touLh Jootbal/.l e a hockey su pattini
sulla Concourse.
<<Se stavamo giocando a palla e arrivava una macchina che voleva
parcheggiare, chiedevamo all'autista: "Potrebbe parcheggiare un po'
più in là, così non occupa il campo da gioco?". La gente spostava la
macchina perché allora c'era molto spazio>> ricorda Silverman.
I fumetti costavano dieci centesimi e nei panifici trovavi bignè al
cioccolato e dolcetti arrotolati appena sfornati. Le strade erano piene
di negozi: Krum era all'angolo tra la Concourse e Fordham Road;
Jahn, una gelateria leggendaria, era sulla Kingsbridge Road e aveva
dei tavolini di legno sui quali poggiavano delle finte lampade
Tiffany: una torta gelato di dimensioni gigantesche e il celebre
Kitchen Sink - un gelato epico che poteva bastare per un'intera
squadra di mangiatori - costituivano la principale attrazione del
locale. Lì vicino c'era il Valentine Movie Theater, il Castro
Convertible showroom e il Bond's Clothing Shop; tutti gli allibrato-
ri della zona, che avevano nomi da strada come ")oe Jalop", bazzica-
vano il Blickford's Coffee Shop. Nella vicina Villa Avenue c'era
un'enclave di italiani: la banda della Villa Avenue era composta da
un gruppo di teppisti italoamericani che tiranneggiavano i ragazzi
della zona e che quindi andavano evitati. C'era un terreno libero tra
la Duecentotreesima e la Duecentoquattresima strada, dove qualcu-
no aveva visto la Vergine Maria: molti deponevano oggetti religiosi
in quel luogo considerato sacro. Il prete della zona viveva all'altro
lato della strada e guidava una Lincoln Continental. Sulla
Kingsbridge Road c'erano un negozio di sartoria, un pescivendolo
con pesci vivi che nuotavano dentro a delle vasche, un panificio
ebraico e un ristorante cinese.
Il celebre Loew's Paradise si trovava all'incrocio con la Centottan-
tottesima Est, oltre la Fordham Road, sulla Grand Concourse. I
magici interni di quella struttura da quattromila posti avevano un
soffitto con luci a forma di nuvole che si muovevano in un cielo
immaginario, e già questo sembrava un film. Disegnato seguendo i
dettami del barocco italiano da John Eberson e inaugurato il 7 set-
tembre 1929, il principesco cinema era interamente coperto di tap-
peti e aveva una quantità di corridoi e di statue degni di un castello.
I bambini adoravano attraversare di corsa l'atrio spazioso: sudavano,
si divertivano e inscenavano finte battaglie; sedevano sulle alte sedie
-~- È una variame americana del foorball nella guale i l!iocarori possono fermare l"avver-
sario che si è impossessare del pallone roccandolo con una o emrambc le mani. (N.d.T.)
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intagliate in stile inglese rinascimentale, domandandosi se i piedi
avrebbero mai toccato terra. n Rko Fordham si trovava a est rispetto
alla Concourse, sulla Valentine Avenue. I prodotti hollywoodiani -
come Furore di John Ford tratto dal romanzo di Steinbeck- onorava-
no gli schermi, insieme a film di stampo più commerciale come
Casablanca. Gli abitanti della zona che appartenevano alla classe
media lavoravano sodo e facevano i loro acquisti all' Alexander's
Department Store che si trovava all'angolo tra la Fordham Road e la
Grand Concourse.
Un giorno Stanley, Marvin e Cliff camminavano per la Concourse;
Marvin chiese del denaro ai due amici ed entrò in un negozio di ali-
mentari per comprare uno spuntino per tutti; quando uscì, mostrò ai
compagni dei grossi e deliziosi cetrioli in salamoia kasher. Stanley
però doveva aver pensato a qualcosa di dolce, così afferrò il cetriolo e
lo gettò in aria, dove roteò su se stesso come l'osso lanciato dalla
scimmia Moon- Watcher in 2001: Odissea nello spazio. La scena
dell'osso divenne uno dei più celebri passaggi della storia del cinema,
lo spuntino in salamoia invece cadde per terra con un tonfo. Stanley,
in un momentaneo scoppio d'ira, disse: <<Cetrioli! Perché hai compra-
to cetrioli?», mentre il più giovane Cliff si godeva il suo manicaretto,
non comprendendo che quell'irrazionale scoppio di energia faceva
parte della fiera determinazione che andava crescendo in Stanley.
Frank Sinatra veniva da Hoboken nel New Jersey ed era un auten-
tico idolo della canzone capace di suscitare reazioni isteriche nelle
ragazzine quando si esibiva nel celebre Paramount Theater di New
York. Marvin e Stanley riuscirono a procurarsi dei permessi per stare
dietro le quinte durante i concerti di Sinatra e scattare così delle
fotografie di quel ragazzo tutto pelle e ossa e dalla voce magnifica,
delle ragazzine urlanti e dei ragazzi adoranti che sognavano di essere
Frankie. Prima di Elvis, dei Beatles e di Michael Jackson, Frank
Sinatra portò al delirio la cultura giovanile americana, e Stanley e
Marvin erano là, non per scattare foto ricordo ma per documentare
un fenomeno culturale che si manifestava davanti agli obiettivi dei
loro apparecchi fotografici.
Quando arrivò il momento di andare alla high s,·hool, Stanley
Kubrick si iscrisse al William Howard Taft. I compagni più ambi-
ziosi sostennero e superarono il test di ammissione alla Bronx High
School of Science; Stanley, invece, considerato il suo livello d'istru-
zione piuttosto mediocre, si limitò a iscriversi alla scuola di zona. n
Taft era un istituto nuovo, costruito nel 1941, di cui si diceva che
corresse il serio pericolo di crollare perché era stato costruito su un
terreno instabile. Quando Kubrick vi entrò, il preside della scuola
era Robert B. Brodie e la seconda guerra mondiale era già scoppiata;
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Stanley dovette firmare un tesserino rosa sul quale era riportato un
giuramento di fedeltà: «Con il presente dichiaro la mia lealtà nei
confronti del governo degli Stati Uniti d'America e dello Stato di
New York e prometto di appoggiarne le leggi al massimo delle mie
possibilità».
Stanley non vantava una frequenza assidua al Taft High School,
mentre non si poteva dire lo stesso per i cinema locali. Con grande
diligenza si recava al Loew's Paradise e al Rko Fordham due volte
alla settimana per vedere i doppi spettacoli. <<Uno dei motivi princi-
pali che mi spingeva a vedere otto volte alla settimana i soliti film
hollywoodiani era che molti di loro erano davvero brutti))' rivelò
Kubrick a Bernard Weinraub del «New York Times)). «Senza nep-
pure iniziare a comprendere quali fossero i problemi legati alla rea-
lizzazione di un film, cominciai a pensare che non avrei potuto fare
un film peggiore di quelli che vedevo. Anzi, sentii che avrei potuto
farli molto meglio)). Il fatto che Kubrick si recasse con tale fanatica
frequenza al cinema non costituiva un tentativo consapevole di farsi
uoa cultura cinematografica; tuttavia un simile atteggiamento non
rientrava nelle normali abitudini della maggior parte degli adole-
scenti del Bronx, che tutt'al più andavano al cinema ogni sabato. In
breve tempo Stanley sviluppò una capacità critica: anziché starsene
seduto al buio e sprofondare nel regno della fantasia, consentendo al
film di fargli abbandonare il Bronx per trasportarlo in un luogo
magico, il giovane Kubrick aveva l'impudenza di pensare che avreb-
be potuto realizzare altrettanto bene, se non addirittura meglio,
tutto quello che usciva dalla fabbrica degli studios hollywoodiani.
Stanley si vedeva nel ruolo di regista: il suo inconscio gli diceva di
osservare tutto quello che era su pellicola; la sua mente logica e la
sua crescente curiosità gli insegnavano a non scegliere un film in
base alla star, al genere o sull'onda dell'emozione. Iniziò a vedere di
tutto perché trovava da imparare in ogni cosa.
Il programma accademico convenzionale del Taft non catalizzava
l'attenzione di Stanley quanto il cinema. R.I. Meeks, il professore di
matematica, che lamentava dei problemi riguardo al comportamento
tenuto da Kubrick durante le lezioni di geometria, gli diede una
nota per la sua abitudine a parlare in classe e, secondo l'opinione
dell'insegnante, disturbare gli altri studenti.
Nel febbraio 1943, il sabato mattina, Stanley si recava alle lezioni
di arte tenute presso la Art Students League di New York sulla
Cinquantasettesima strada a Manhattan, di fronte alla Carnegie
Hall. Vi ritornò in aprile per frequentare le lezioni di acquerello
tenute da Ann Goldthwaite: i semi dell'arte iniziavano a germoglia-
re nello spirito di Kubrick.
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Robert M. Sandelman, che in seguito divenne direttore creativo di
un'agenzia pubblicitaria di sua proprietà, da ragazzino abitava nel
Bronx, nella Sheridan Avenue, proprio di fronte alla Taft High
School. Nel 194 3 Bob by Sandelman suonava il clarinetto nell' orche-
stra del William Howard Taft; l'orchestra era composta da sessanta-
settanta studenti della scuola ed era diretta da Harry A. Feldman,
che era stato primo violino del maestro Leopold Stokowski. Il per-
cussionista dell'orchestra era Stanley Kubrick.
«Stanley era un ragazzo molto tranquillo>> ricorda Sandelman.
«Veniva alle prove con una macchina fotografica 35mm appesa al
collo, il che era piuttosto insolito perché in quegli anni non era da
tutti avere una macchina fotografica. Suonava le percussioni con
sguardo assente e trasognato come se non fosse lì con noi. Molto
spesso il signor Feldman, il direttore d'orchestra, lo esortava a tenere
il tempo. Perdeva il tempo e non era esattamente con noi, era da
un'altra parte. Pensavamo che la sua unica divorante passione fosse la
fotografia e non tenere il tempo nell'orchestra. Non era molto bravo
eccetto quando si concentrava, allora andava bene>>.
L'orchestra aveva un repertorio classico e suonava composizioni
come le Rapsodie Slave. Le prove erano dirette da Feldman e si tene-
vano due o tre mattine alla settimana nel primo o nel secondo trime-
stre di scuola. Stanley fu membro della banda nel 1943 e nel 1944.
Oltre a prendere parte alle prove, partecipò ai concerti che si tennero
nel giugno 1943 e nel marzo e maggio 1944. Inoltre il fatto di avere
preso parte al programma nel marzo e nel maggio '43 gli fruttò dei
crediti parascolastici.
Stanley e Bobby si conoscevano perché erano entrambi membri
dell'orchestra nei rispettivi gruppi strumentali delle percussioni e
dei legni, ma divennero amici solo successivamente, quando entram-
bi entrarono a far parte della Swing Band del Taft.
La Swing Band era stata formata da Shelly Gold, il sassofonista. Il
gruppo era composto da sette-nove elementi: Bobby suonava il clari-
netto e il sassofono tenore nella sezione degli strumenti a fiato in
legno composta da tre elementi; c'erano poi tre trombettisti e un
percussionista, Stanley. <<Conoscevo una studentessa che mi aveva
detto di saper cantare come Betty Hutton; si chiamava Edith
Gorme, era una mia compagna di classe e viveva nel palazzo di fron-
te al mio, quindi la conoscevo piuttosto bene>> ricorda Sandelman.
Eydie Gormé, che era destinata a raggiungere una meritata fama
internazionale, era la cantante della Swing Band del Taft; cantava
canzoni pop di successo degli anni Quaranta come Where or When in
un modo del tutto simile, secondo Sandelman, <<allo stile pieno di
salti e di vitalità tipico di Betty Hutton>>. Eydie viveva sulla
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Centosessantottesima strada Est ed era co-capitano delle cheerleaders.
La Swing Band provava il suo repertorio di pop contemporaneo e
suonava ai balli che si tenevano nella palestra della scuola, frequenta-
ti dalle ragazzine infiammate dai suoni di Glenn Miller e Benny
Goodman e dalla voce suadente di Frank Sinatra.
Le esigenze di una banda swing nei confronti del batterista, unite
all'opportunità di esprimere la musica del suo tempo, dovettero ispi-
rare il giovane Stanley Kubrick, poiché Sandelman ricorda il pivello
Gene Krupa-Buddy Rich come una parte integrante dello swing del
gruppo. «Era molto coinvolto, veniva alle prove e suonava. Si concen-
trava di più quando suonavamo lo swing, il jazz o la musica contem-
poranea. Non portava la macchina fotografica quando veniva a suona-
re: avevamo conquistato la sua attenzione e avevamo l'intero Stanley
Kubrick, non solo una parte. Era un buon batterista: non si limitava
a segnare il tempo, faceva anche degli assolo>> ricorda Sandelman. La
partecipazione di Kubrick al programma di musica del Taft fece
aumentare il suo basso rendimento scolastico, e gli fruttò dodici cre-
diti scolastici nel trimestre che terminò nel giugno 1943.
L'interesse di Stanley per la fotografia continuava a crescere.
Divenne un componente del club della fotografia del Taft High
School, supervisionato dal signor Sullivan, il responsabile addetto a
fotografare gli studenti e le attività della scuola. Sullivan era un
uomo disciplinato, con un paio di lenti incorniciate in una montatu-
ra di metallo sottile, i capelli impomatati e pettinati all'indietro e
un'espressività del volto ben controllata; dirigeva con mano ferma la
sua ben equipaggiata camera oscura. Agli studenti veniva assegnato
l'incarico di documentare le attività scolastiche, come le partite di
basket e le rappresentazioni; le fotografie venivano poi pubblicate
nel giornale e nella rivista del Taft.
Bernard Cooperman, uno dei membri del club fotografico, ricorda
di aver aiutato Sullivan a fotografare gli studenti insieme a un com-
pagno pieno di entusiasmo di nome Stanley Kubrick. I ragazzi erano
uniti dalla comune passione per la fotografia e trascorrevano ore
insieme nella camera oscura, dove l'aria era satura dell'odore dei
liquidi utilizzati per lo sviluppo. Solitamente sulle pubblicazioni
scolastiche era segnalato il nome dell'autore delle fotografie pubbli-
cate; in un numero della rivista, i nomi degli autori delle due foto-
grafie scattate rispettivamente da Bernard e da Stanley furono inci-
dentalmente invertiti, fatto questo che costituì una specie di legame
simbolico tra i membri della comunità dei fotografi.
A mano a mano che la loro amicizia cresceva, Stanley iniziò a coin-
volgere Bernard nei progetti fotografici che dominavano la sua
immaginazione. <<Quando andammo a fotografare una partita di base-
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bali capii che aveva una marcia in piÙ>> ricorda il signor Cooperman,
cinquant'anni dopo, nella sua casa a Syosset, Long Island. <do non
sapevo esattamente cosa bisognava fare, cioè, stavo andando a fotogra-
fare una partita di baseball. Stanley si sedette davanti a un gruppo di
ere o quattro ragazzi e li guardò attraverso l'obiettivo della macchina;
quelli gli facevano le boccacce ma lui rimase seduto fino a quando
non si dimenticarono di lui: scattò delle foto grandiose. Adesso capi-
sco che già a quell'età sapeva cosa bisognava fare>>.
Nonostante il talento fotografico dimostrato da Stanley Kubrick,
nel complesso i suoi risultati scolastici rimasero miseri. Nella prima-
vera del 1945 l'eccessivo numero di assenze fece sì che il suo nome
fosse segnalato all'apposito ufficio. Tra il 1944 e il 1946 Stanley ne
accumulò un numero così elevato che vennero inviate delle note alla
famiglia per informarla del problema. La scuola criticò il comporta-
mento e le capacità di relazione di Stanley, che ricevette giudizi
negativi sulla condotta, il senso di responsabilità e di cooperazione,
doti che con il tempo Kubrick avrebbe padroneggiato e che gli
sarebbero tornate utili nella sua professione. Stanley fu giudicato uno
studente con un rendimento inferiore a quanto richiesto dalla Taft
High School e dotato di una capacità di socializzare con i compagni
e con gli insegnanti inferiore allivello accettabile. In seguito, eserci-
tando il lavoro di regista, Kubrick dimostrerà la sua forza di caratte-
re suscitando il rispetto di quanti lavoreranno con lui e gli verrà
riconosciuto un ruolo guida. Il sistema scolastico si rivelò incapace
di riconoscere e coltivare lo straordinario talento di Stanley, così
come accadde con tutti coloro che erano dotati di un temperamento
artistico.
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sia ebraica rifiutando di prendere parte al bar mitzvah. Aaron Traister
fu l'unico di sette figli che visse abbastanza a lungo da andare al col-
lege, ma fu obbligato a lasciare la scuola a tredici anni, quando il
padre gli disse che se non accettava il suo giudaismo non aveva biso-
gno di farsi una cultura. Per diversi anni Aaron fece dei lavori che
gli lasciavano il tempo per potersi preparare di nascosto agli esami di
ammissione al college. Entrò al City College, dove si laureò intorno
alla metà degli anni Venti e continuò a studiare fino al consegui-
mento del master per l'insegnamento.
La carriera di insegnante di Aaron Traister iniziò quando gli fu
assegnata una classe di inglese alla scuola yiddish nel New Jersey;
alla fine degli anni Venti ottenne una cattedra in una scuola elemen-
tare a New York. La sua carriera di insegnante nelle high .rchools iniziò
alla metà degli anni Trenta alla James Monroe. Nel 1941, quando
aprì la William Howard Taft High School, Traister fu uno dei primi
insegnanti a lavorare nel nuovo istituto.
Aaron Traister non si limitava a insegnare l'inglese al Taft, lo vive-
va. La letteratura era una passione profonda che andava oltre le paro-
le scritte sulla pagina. Istintivamente Traister sapeva che insegnare
significava rappresentare; la filosofia con la quale insegnava le opere
letterarie si basava sulla loro drammatizzazione attraverso la lettura
ad alta voce, la modulazione, la riproduzione di modi, di gesti e di
movimenti che facessero rivivere i personaggi di fronte al pubblico.
La classe era il suo palcoscenico. Studiava Shakespeare, preparava e
dirigeva il teatro degli studenti e recitava negli spettacoli della scuo-
la in sketch umoristici. Il professar Traister era molto stimato dai
colleghi e adorato dagli studenti; l'annuario del giugno 1947 lo defi-
niva una <<faccia d'angelo>>.
Traister rimaneva sempre l'insegnante attore. <<A casa usava voci
diverse per raccontarci delle storie, per mimare i personaggi. Aveva
una lunga storia e la raccontava a me e a mia sorella» ricorda il
figlio, Daniel Traister, che oggi insegna all'università della
Pennsylvania. <<Mi ricordo che leggeva poesia e qualche volta prosa.
Me lo ricordo quando leggeva Sinners in 'the Hands of an Angry God,
un sermone di Jonathan Edwards del diciottesimo secolo: era una
lettura molto intensa, e lui la leggeva molto bene>>.
Stanley Kubrick era nella classe di inglese di Traister; il ragazzo
che era considerato da molti insegnanti uno studente spento e privo
di vita rimaneva seduto in classe mentre Traister con fervore riporta-
va in vita il dramma e la poesia del tempo di Shakespeare.
Già collaboratore della rivista <<Look>>, il giovane Stanley Kubrick
era alla continua ricerca di soggetti da fotografare e l'insegnante di
inglese del Bronx che recitava Awleto per i suoi studenti costituiva
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un soggetto perfetto. Quando Stanley propose a Traister di fotogra-
farlo per «Loob>, l'insegnante considerò questa occasione perfetta
oer motivare lo studente, fondendo l'eredità letteraria del bardo con
l'amore per la fotografia.
Una serie di fotografie fu scattata durante la lezione d'inglese, men-
tre il professore stava in piedi di fronte e in mezzo ai suoi studenti
con una copia di Amleto in mano e il corpo come strumento di espres-
sione drammatica. La macchina fotografica di Kubrick creava un
equilibrio tra il dramma espresso dall'attore, il suo pubblico e lo spa-
zio entro il quale egli si muoveva. Le foto riprendono un momento
della recitazione; l'insegnante è un attore che recita leggendo il testo
senza starsene seduto al tavolo delle prove. Rimanendo in piedi,
Traister utilizza il libro per consultare il testo di Shakespeare, e le foto
rivelano il modo in cui le pagine diventano un ausilio drammatico
che serve ad avvincere e a colpire con forza il pubblico proprio mentre
l'insegnante si trasforma in uno dei tanti personaggi shakespeariani.
Prese singolarmente, le fotografie testimoniano un'innovazione
didattica congelata nel tempo. Considerate nel loro insieme costitui-
scono una sequenza, un frammento di espressione artistica del fotore-
porter; raccontano una storia e comunicano lo svolgersi degli eventi:
la sequenza fotografica è alle porte del cinema. L'abilità di Stanley
nel restituire con il mezzo fotografico ciò a cui stava assistendo,
l'amore innato per i film, le ore trascorse seduto al buio e la passione
per la letteratura nata nella libreria del padre e proseguita grazie a
un insegnante appassionato lo avvicinavano sempre più all'esperienza
cinematografica.
Le fotografie di Aaron Traister che recitava Amleto per i suoi allie-
vi della scuola del Bronx apparvero sul numero del 2 aprile 1946 di
«Loob> con il titolo «Il professore istrione deii'Amleto>>5. Le quattro
fotografie ritraggono Traister mentre descrive Amleto che manda via
bruscamente Ofelia, Amleto che esterna i suoi aspri commenti sulle
donne, e una desolata Ecuba e lo sgomento di Ecuba. Una didascalia
sotto ciascuna foto descrive l'azione rappresentata e contiene la rela-
tiva citazione dal testo; un breve paragrafo identifica l'insegnante e
la scuola riportando un'affermazione di Traister a proposito di quella
che ritiene sia la sua missione: <<Cerco di rendere chiaro il contesto
emotivo dell'opera>>. I nomi dell'autore e del fotografo non sono
rivelati nell'articolo, che termina così: <<Dopo che gli furono mostra-
.11
te queste istantanee scattate da uno studente esclamò: "Poveri ragaz-
zi, come fanno a star lì seduti e a scattare la foto?">>. I crediti foto-
grafici di quel numero di «Look>> rivelano che le foto alle pagine 60
e 61 sono opera di Stanley Kubrick. E anche il testo non poteva che
provenire dall'allievo che aveva trovato in Aaron Traister ispirazione
fotografica e artistica.
Lou Garbus, postino del Bronx in pensione che insegna ed esercita
l'arte della fotografia, ricorda che il suo vicino di casa e amico Aaron
Traister gli raccontava del suo ex studente: «Tra i suoi studenti c'era
questo ragazzo, Stanley Kubrick, e lui non riusciva a coinvolgerlo in
alcun modo. Era assolutamente distratto. "Cosa posso fare con lui?".
Quindi, quando Stanley gli propose di fotografarlo mentre recitava
Shakespeare, Aaron fu entusiasta dell'idea. Avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di far uscire il ragazzo dall'indifferenza e dalla noia che pro-
vava in classe. Il resto è storia>>.
Negli anni che seguirono, Aaron Traister andò a vedere tutti i film
di Stanley Kubrick. Gli piacque soprattutto Orizzonti di gloria. «Mi
ricordo ancora di quando uscì dal cinema dopo aver visto Barry
Lyndon. Andammo a vederlo insieme poco prima della sua morte>>
ricorda il figlio Daniel. «Dopo aver visto il film disse che da ragazzi-
no Kubrick aveva sempre avuto notevoli ambizioni letterarie, ed
ecco che ora le ritrovava nel film. Disse che Kubrick non era stato
uno studente eccellente, semplicemente non era coinvolto; ciò che
invece evidentemente lo interessava era l'idea della letteratura in una
chiave non accademica ma più umana. Era appassionato di letteratu-
ra anche da ragazzo, da studente, e questo era un fatto che si era fis-
sato con grande chiarezza nella memoria di mio padre>>.
Nel corso degli anni Traister parlò spesso del suo studente divenu-
to un regista di fama internazionale. Raccontava di Stanley Kubrick
a Daniel e a sua sorella Jan e con orgoglio mostrava loro le foto sulla
rivista «Look». E poi ne parlava con gli amici e i vicini della comu-
nità nella quale viveva, formata da socialisti, intellettuali e appassio-
nati di letteratura e di cinema.
Le foto che Stanley scattò ad Aaron Traister costituirono un'altra
esperienza che contribuì allo sviluppo dell'artista. Ben presto
Kubrick sarebbe diventato un regista nato dallo spirito fotografico.
La natura stessa della fotografia- luce, profondità, spazio, composi-
zione e restituzione della realtà percepita attraverso l'occhio del foto-
grafo - fa pulsare il cuore di tutti i suoi film. Per Aaron Traister e
per tutti coloro che ammiravano lo zelo che l'insegnante dimostrava
di avere nei confronti della letteratura e dell'arte, la pubblicazione
delle fotografie rappresentò una forma di riconoscenza e di riconosci-
mento. I sentimenti provati da chi ricorda l'impatto avuto da Aaron
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Traister sui suoi studenti sono espressi nel modo migliore dalle paro-
le di Lou Garbus, un filosofo del Bronx, a proposito dell'articolo di
«Look>>: <<La maggior parte di noi ne fu felice, per molti aspetti era
il nostro premio Oscar. Chi mai lo avrebbe notato in una piccola
classe, chi diavolo avrebbe saputo che era un grande insegnante di
Shakespeare? Nessuno. Così invece è stato impresso sulla carta e
negli archivi>>.
Rose Florio era la portavoce non ufficiale del suo quartiere nella
comunità del Bronx; casa Florio costituiva spesso un luogo d'incon-
tro per amici e vicini. Gert Kubrick era una cara amica della signora
Florio e la loro amicizia durò per tutta la vita. Danny, il figlio di
Rose, era amico di Stanley. La cugina della signora Florio, Rose
Spano, era un'assidua frequentatrice dei Florio e si ricorda del giorno
in cui trovò Stanley che raccontava di aver venduto una delle sue
fotografie a <<Loob>: <<Era molto giovane. Ero così orgogliosa di lui.
Aveva sempre con sé una macchina fotografica, sempre>>.
Rose Florio confidò alla cugina che il dottor Kubrick era insoddi-
sfatto del figlio. <<Suo padre pensava che non sarebbe riuscito a con-
cludere niente>>, ricorda Rose Spano. <<Tutto quello che Stanley vole-
va era andarsene in giro con la sua macchina fotografica. Il dottor
Kubrick pretendeva che studiasse di più, ma Stanley aveva altri
sogni, che dimostrava con la sua passione per il cinema. Stanley era
così immerso in se stesso: i pensatori vivono in un mondo tutto loro.
Dev'essere questo il motivo per il quale non riusciva ad assecondare
suo padre>>.
La signora Spano ricorda il dottor Kubrick come un medico rispet-
tato nel vicinato, che aveva uno studio al pianterreno di un nuovo
edificio situato all'angolo con la Courtlandt Avenue il cui ingresso
dava sulla Centocinquantottesima strada. Ricorda anche la madre di
Stanley: <<La signora Kubrick era così carina. Ricordo di averla
incontrata un paio di volte sulla metropolitana della Ottava Avenue
mentre andava a fare spese. A quel tempo non ero sposata e lavoravo
in una fabbrica di abbigliamento. Lei era stata sottoposta a una
mastectomia ma aveva un ottimo aspetto. La signora Kubrick sem-
brava sempre così cordiale. Aveva subito quell'operazione chirurgica
ma era sempre così gentile. Stanley e sua madre erano delle persone
veramente in gamba. Non si davano arie. Erano davvero cortesi con
me. In quel periodo c'erano un sacco di dottori o professionisti che si
davano delle arie, ma loro no, non Stanley e sua madre. -sua madre
era una persona con i piedi per terra>>.
Quando, nel 1985, Gertrude Kubrick morì in California all'età di
ottantun anni, la sorella di Stanley, Barbara Kubrick Kroner, in
segno di ringraziamento per la loro amicizia, mandò a Rose Florio
33
due copriletto lavorati all'uncinetto da sua madre, perché l'anziana
signora potesse avere per ricordo un oggetto dell'amica di un tempo.
La signora Spano ha ottantun anni e vive ancora nel Bronx. Come
molti di quelli che conoscevano Stanley Kubrick da ragazzino, anche
lei è orgogliosa dei suoi successi: «Sono una persona che non perde-
rebbe mai una serata degli Oscar. Ero sempre ansiosa di vedere
com'era diventato da grande. È sempre stato il mio desiderio. Non
l'ho mai visto perché non è mai andato alla consegna degli Oscar,
anche se ha ottenuto moltissime nomination. Aveva un'abilità natu-
rale di fare delle foto così belle ... Ne ero davvero molto orgogliosa».
35
all'interno dell'istituto; il nome stampato sul retro della foto di
Claire era destinato ad assumere una certa importanza.
Kubrick non aveva molti amici al Taft. Il suo comportamento soli-
tario faceva sì che fosse tenuto a distanza dalla maggior parte degli
studenti; tuttavia Stanley era molto aperto nei confronti di coloro
che avevano una qualche relazione con il suo mondo particolare:
molte delle persone che Kubrick incontrò da ragazzo divennero parte
della sua solitaria fatica per diventare regista; tra loro c'era l'amico
del Taft, Alexander Singer.
Attualmente Alexander Singer è l'acclamato regista di centinaia di
episodi di serie televisive classiche quali "Il fuggiasco", "Hill Street
giorno e notte", "New York New York", di lungometraggi come
Vento freddo d'agosto, Psyche '59 e Strani amori e, proseguendo negli
anni Novanta, di serie televisive come "Star Trek: The Next
Generation", e "Deep Space Nine". Singer fu un punto di riferimento
cruciale che contribuì a mettere a fuoco il destino di Kubrick regista.
Alexander Singer e Stanley Kubrick si conobbero al Taft; erano
entrambi degli studenti più interessati a realizzare i propri sogni che
a seguire un curriculum scolastico prestabilito. Anche Alex si inte-
ressava di fotografia ma non faceva parte del club fotografico del
signor Sullivan, come Stanley e Bernard Cooperman. Si dedicava con
grande passione alla pittura e al disegno ed era membro dell'ampio
programma artistico del Taft, diretto da Herman Getter.
Mentre progetta di dirigere un nuovo episodio di "Star Trek: The
Next Generation", oltre cinquant'anni dopo il suo primo incontro
con Stanley Kubrick in un corridoio del Taft, Alexander Singer ritor-
na con la memoria a un incontro che forgiò e ispirò la vita di
entrambi: «Avevamo sedici anni. Stanley era un fotografo del giorna-
le della scuola e aveva scattato la foto di una gara vinta da uno stu-
dente. Qualcuno mi indicò che quello era il tizio che aveva fatto la
fotografia e io semplicemente mi presentai. Iniziammo a parlare. Mi
interessava il suo lavoro fotografico. In quel periodo avevo appena
iniziato a interessarmi seriamente di fotografia e quindi conoscere
qualcuno che fosse piuttosto esperto del settore mi sembrava una
cosa utile. Aveva una conoscenza sofisticata di tutte le fasi del pro-
cesso fotografico; a casa aveva una camera oscura ed era capace di svi-
luppare e stampare le sue fotografie in tempi piuttosto rapidi. Era
completamente padrone della situazione. I compagni di scuola che
mi interessavano erano pochi; inoltre si potrebbe dire che eravamo
due tipi solitari che cercavano di crescere e di scoprire se stessi. Da
qui scaturì il reciproco interesse>>.
Stanley sapeva che Alex aveva dei voti molto alti nelle materie
artistiche, che scriveva racconti e che li illustrava per la rivista <<Taft
36
Literary Art>>. I due ragazzi erano attratti dai loro reciproci interessi
e dentro di loro sentivano che avrebbero potuto aiutarsi a trovare il
modo migliore per esprimere la creatività che li animava.
Stanley e Alex iniziarono a trascorrere molto tempo insieme,
discutendo di progetti e di piani futuri. Singer andava spesso a casa
dei Kubrick e rimase colpito nel constatare che la famiglia del suo
amico Stanley godeva di uno stile di vita ben al di sopra di quello al
quale era abituato lui: <<Stanley era il ragazzo più ricco che avessi
mai conosciuto>>, ricorda Singer. <<La gente che conoscevo e che vive-
va nelle mie immediate vicinanze, che faceva parte del mio mondo,
era sempre a un passo dall'essere buttata in mezzo a una strada.
Quindi un dottore che viveva in una casa di sua proprietà era un
uomo ricco in misura quasi straordinaria. Fino a quel momento non
mi era mai capitato di entrare in una villetta; noi vivevamo in appar-
tamenti e le famiglie tendevano a trasferirsi con una certa regolarità
perché gli affitti aumentavano: era un sistema per evitare di pagare
l'affitto trasferendosi prima di farsi beccare. C'erano un sacco di tra-
slochi. Non conoscevo nessuno che vivesse in una casa propria;
Stanley fu il primo. Suo padre era un fotografo dilettante e lo soste-
neva nelle sue avventure fotografiche; gli aveva persino fatto costrui-
re una camera oscura>>.
Howard Silver viveva in un edificio situato di fronte alla casa dei
Kubrick sulla Harrison Avenue. <<Avevano un grosso cane scuro piut-
tosto feroce. Il cortile sul retro della loro casa era delimitato da un
argine molto alto perché dietro a tutte le villette passava l'acquedot-
tO>>, ricorda Silver riferendosi all'acquedotto Croton che era stato
costruito nel 1842: fu uno dei primi grandi acquedotti moderni,
costruito in muratura e rivestito di mattoni; delle tubature di ferro
correvano lungo un viadotto, portando l'acqua oltre il fiume Harlem.
<<Non si poteva raggiungere la parte alta del quartiere se non facendo
un giro che passava per alcuni isolati, oppure se ti trovavi in quella
zona - a volte ci andavamo per giocare a pallone - e dovevi tornare a
casa, conveniva saltare la staccionata che circondava le villette e pas-
sare attraverso il cortile posteriore dell'abitazione di qualcuno. Una
volta provai a passare attraverso il cortile sul retro della casa di
Stanley ma suo padre uscì e mi lanciò dietro il cane. Fui costretto a
correre e a saltare la staccionata per non essere azzannato; poi il dot-
tor Kubrick mi fece una ramanzina e mi intimò di non avventurarmi
più nel suo cortile. Stanley giocava spesso a stickball con noi per la
strada; era il più vecchio del gruppo. Quando mi trasferii passarono
anni prima che io collegassi il suo nome a quello del regista. Solo
dopo diverso tempo, quando divenne famoso con 2001: Odissea nello
spazio, io collegai al ragazzo che viveva nel nostro quartiere>>.
37
Anche Howard Sackler era uno studente del Taft; nato a Brooklyn
nel 1929, aveva iniziato la high .rchool allo Stuyvesant per poi trasfe-
rirsi al Taft. Howard, che in seguito avrebbe vinto il premio Pulitzer
con la sua commedia The Great White Hope, era un bravo studente,
tra i primi della classe, ed eccelleva in inglese; scriveva per <<Taft
Review>> ed era un membro del club letterario della scuola. Più tardi
Stanley avrebbe fatto ricorso all'abilità letteraria di Howard per rea-
lizzare il suo primo film.
Herman Getter aveva il compito di seguire il programma artistico
del Taft ed esercitò una notevole influenza sul temperamento artisti-
co di Stanley Kubrick. Il professar Getter si dedicò all'insegnamen-
to per oltre quarantasei anni, dopo aver iniziato la sua carriera alla
De Witt Cii n ton High School. Arrivò al Taft nel 1941, quando fu
aperta la scuola, e continuò a insegnarvi fino all'età della pensione,
nel 1972. Getter era un esperto di pittura murale e realizzò diversi
filmati sulla tecnica artistica. Brevettò inoltre una sua invenzione, la
Project-0-Slide, che consentiva a medici e dentisti di utilizzare un
supporto fotografico per esaminare rapidamente le tecniche medi-
che: il congegno si basava sulla realizzazione di una serie di diaposi-
tive, ricavate da fotogrammi di pellicola 16mm, sulle quali era
impressa una procedura medica che poteva quindi essere esaminata
velocemente e non necessariamente secondo un ordine lineare, con-
sentendo al medico di verificare le singole fasi dell'intervento.
Herman Getter era solito definirsi <<appassionato e studente di cine-
matografia>> oltre che insegnante il cui scopo principale era motivare
e ispirare i propri allievi.
Nel 1992, a ottantanove anni, dopo aver pranzato al vicino
YMHA, dove ogni giorno consumava i suoi pasti e teneva banco
vestito in giacca e cravatta, il professar Getter ricordava il suo
incontro con Stanley Kubrick: <<Stanley aveva una mente brillante.
Si interessava solo a ciò che lo interessava. In altre parole aveva dei
voti terribili in matematica, scienze e fisica non perché non sarebbe
riuscito se solo avesse voluto, ma perché erano materie che non lo
interessavano. Un giorno lo vidi arrivare di corsa; mi disse:
"Professar Getter, la commissione dei programmi mi ha detto che
devo scegliere una materia di specializzazione se voglio riuscire a
diplomarmi". Ne aveva bisogno non tanto per andare al college
quanto per terminare le scuole superiori. Gli risposi: "Certo, va
bene. Cosa fai per il programma di arte? Portami alcuni dei tuoi
lavori: disegni, dipinti, acquerelli, tutto quello che vuoi, così posso
proporre di farti prendere una specializzazione in arte". Mi disse:
"Oh, ma io non faccio nulla di tutto questo, io sono un fotografo".
Gli risposi: "Bene, anche questa è arte". Sentendo queste mie parole
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gli si illuminarono gli occhi: improvvisamente aveva trovato qual-
cuno con cui poter parlare>>.
Getter era un insegnante pieno di esperienza che concentrava la
sua attenzione sullo sviluppo del talento naturale dei suoi allievi, più
che sull'imposizione di un programma prestabilito; creava un
ambiente stimolante per la mente di un giovane artista. Anche
Alexander Singer era uno studente del professor Getter e faceva dei
disegni che il suo insegnante definiva «meravigliose creazioni arti-
stiche». <<Certamente il fatto di aver frequentato le lezioni di Getter
mi ha permesso di prendere il diploma», ricorda Singer. <<Ero uno
studente molto mediocre e non mi importava, anzi questo fatto mi
era di ulteriore stimolo a ricordarmi che avrei dovuto seguire la mia
musa personale in modo del tutto autonomo. Ero molto perseverante
nell'imparare e mi sentivo assetato di sapere, ma non approvavo
quello che mi insegnavano e le cose che ritenevano importanti.
Eravamo il tipico caso di ragazzi precoci che avevano bisogno di
attenzioni speciali e dai quali non si riesce a cavare granché in una
scuola normale; quella era una scuola per la classe operaia e mi anda-
va bene; mi disturbavano il meno possibile. Mi occupavo delle mie
cose ed era relativamente facile sopravvivere e riuscire ad andare
avanti in qualche modo>>.
Il professar Getter faceva lunghe chiacchierate sulla cinematografia
con Alex e Stanley. Mostrò loro i filmati 16mm che aveva realizzato
per documentare la tecnica artistica: <<Cercavo di far vedere a Stanley
le diverse tecniche cinematografiche. Notavo in lui un certo entusia-
smo, una sorta di sintonia con l'uso della cinepresa come strumento
artistico simile alla tavolozza, alla tela e al pennello di un artista. La
cinepresa era lo strumento con il quale dipingere».
Era il 1945 e i film erano realizzati principalmente a Hollywood.
Gli studenti non avevano accesso alle macchine da presa amatoriali
16mm o 8mm come invece accadrà per la generazione di registi che
nacquero in quegli anni e diventarono maggiorenni negli anni
Sessanta; inoltre la regia non faceva parte del sistema scolastico della
città di New York. Al professar Getter piaceva parlare di esplorazio-
ne cinematografica con Alex e Stanley; entrambi i ragazzi erano inte-
ressati alla fotografia e Getter li incoraggiava a guardare al mezzo
cinematografico che aveva solo mezzo secolo di vita. Stanley aveva
trascorso ore e ore con la sua Graflex, sperimentando la composizio-
ne, l'illuminazione e gli obiettivi, e nella camera oscura, osservando
le immagini riprese dalla sua "scatola magica" prendere forma. Era
un ragazzo dotato di grandi idee e di aspirazioni artistiche che discu-
teva con Herman Getter di una filosofia della regia che cominciava a
formarsi nella sua mente. <<Aveva un punto di vista molto interessan-
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te. La tecnica che intendeva utilizzare doveva essere quasi un esperi-
mento che avrebbe consentito la scoperta di nuove prospettive, di
nuove idee mai viste priii}a. Ricordo che improvvisamente mi trovai
a pensare: "Santo Cielo, questo ragazzo è il Picasso della cinemato-
grafia"». Stanley portava le sue fotografie e il professar Getter raffor-
zava nella mente del ragazzo l'idea che la fotografia fosse una forma
d'arte. Il corso prevedeva che agli studenti venissero mostrate le dia-
positive di grandi dipinti di Cézanne, Renoir, Seurat, Picasso e altri.
Stanley utilizzò l'opportunità afferragli per esprimere delle idee visi-
ve. «Riusciva a disegnare e a dipingere utilizzando uno stile molto
libero, che riassumeva la visione complessiva di come avrebbe dovuto
essere una cosa. Non entrava nei dettagli ma perbacco era chiaro,
aveva un approccio che ti colpiva; cinetica visiva, ecco l'espressione
migliore con la quale potrei descriverlo>>, ricorda Herman Getter.
Il 7 maggio 1959 il professar Getter scrisse a Stanley Kubrick alla
Universal-lnternational Pictures, dove stava dirigendo Spartams.
L'insegnante ricevette una risposta il 17 giugno, nella quale Kubrick
si scusava per il ritardo con il quale rispondeva e spiegava che da feb-
braio lavorava a Spartacus sette giorni su sette e che gli mancavano
ancora due mesi di riprese prima di ultimare il film. Scrisse al suo ex
professore che Alexander Singer viveva a Las Angeles e lavorava ai
film di Leslie Stevens, che aveva appena costituito la propria compa-
gnia di produzione. Kubrick scrisse a Getter che spesso lui e Alex
ricordavano le stimolanti discussioni sulla cinematografia durante le
sue ore di lezione. Terminava la lettera invitando Getter a contattar-
lo se mai fosse passato da Hollywood. Più tardi, nel gennaio del
1976, dopo l'uscita di Barry Lyndon, Kubrick rispose a una lettera
del suo ex professore di arte dicendogli che il ricordo di lui e delle
sue lezioni era tra i migliori del periodo passato al Taft. Scrisse inol-
tre che Getter gli era stato di ispirazione in un momento per lui tra i
più critici. Questa volta Getter stuzzicò la leggendaria curiosità di
Kubrick scrivendogli di aver visto un film muto del 1929, Cain and
Artem, diretto da Pavel Petrov-Beytov, che non aveva più potuto
dimenticare. Nel 1932 al film, un adattamento dell'opera di
Maksim Gor'kij, era stata aggiunta una colonna sonora di Abel
Gance. Kubrick, curioso e assiduo fruitore di film, rispose che avreb-
be cercato negli archivi del Nationai Film Theater di Londra e che
gli avrebbe scritto dopo averlo visto.
Mentre le qualità artistiche facevano presa sul suo animo, i senti-
menti di Stanley si muovevano anche in un'altra direzione. Nel
periodo in cui la famiglia Kubrick viveva al 1414 di Shakespeare
Avenue, Stanley conobbe Toba Metz. Toba Etra Metz era nata il 24
genna1o 1930 alle sette e un quarto del mattino all'Holy Name
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J-lospital di Teaneck nel New Jersey. La famiglia Metz veniva da
Cliffside nel New Jersey. Il fratello di Toba, Henry, era nato
nell'aprile del 1923 e aveva sei anni; il padre, Herman Metz, era un
gioielliere originario di Hasenpoth in Lettonia ed era ormai cinquan-
tenne quando venne al mondo sua figlia; la madre di Toba, Bessie
Silverman Metz, era nata negli Stati Uniti. Nel 1912 Herman Metz
aveva lasciato Brema, in Germania e, dopo aver vissuto a Antwerp,
in Belgio, era salito a bordo della Kronprinzesin Cecilie diretto in
America. Stanley e Toba vivevano nello stesso edificio sulla
Shakespeare Avenue. Gerald Fried, futuro collaboratore di Kubrick,
definì Toba (da ragazza più carina del Taft».
Toba aveva frequentato la Public School l 04, ed era una brava stu-
dentessa con dei buoni voti in condotta. Alle scuole medie Toba
faceva parte dei club di disegno animato, ritratto e recitazione e
mostrava di avere l'interesse, oltre che il talento, per seguire una car-
riera artistica. Amava la letteratura e frequentava per puro piacere
personale dei corsi parascolastici di dattilografia, pur considerando il
disegno e la lettura i suoi interessi principali.
Toba Metz entrò al Taft nel febbraio del 1945, quando a Stanley
mancava solo un anno al diploma, e terminò nel gennaio del 1948;
mantenne una buona frequenza alle lezioni e continuò a sviluppare il
suo talento per il disegno. Si iscrisse al corso di arte di Herman
Getter e frequentò gran parte delle lezioni nel 1947 e nel 1948.
I libri e gli articoli che contengono informazioni biografiche su
Kubrick affermano che la media scolastica del regista fosse 68, ma
sul certificato di diploma conseguito nel gennaio del 1946 al
William Howard Taft la sua effettiva media scolastica risulta essere
70.1. Il suo nome si trova al 414 ° posto della lista su cui figurano
complessivamente 509 diplomandi, quindi tra gli ultimi cento.
I voti con i quali si diplomò furono: 85 in biologia, 75 in algebra,
81 in spagnolo, 85 in storia americana. Quando Stanley terminò il
corso di studi al Taft, la sua famiglia viveva ancora sulla Harrison
Avenue. Con l'intenzione di iscriversi al college, Stanley fece perve-
nire il suo curriculum scolastico alla New York University nel
novembre 1945 e al City College of New York nel dicembre dello
stesso anno.
Dalla valutazione ufficiale del Taft non risultava alcun accenno o
riferimento alle iniziative di Stanley Kubrick in campo fotografico:
il fatto che lo studente diciassettenne di una scuola pubblica avesse
venduto una fotografia a un'importante rivista nazionale costituiva
un risultato di enorme importanza, eppure il sistema vigente non
riconosceva una tale conquista e giudicava il successo solo sulla base
delle graduatorie e dei test. La pratica invalsa di valutare il compor-
41
tamento e la capacità di relazione degli studenti non favoriva certo
quegli individui che mostravano di avere un temperamento artistico
che rasenta l'ossessione.
Nel corso della sua carriera scolastica al Taft, i voti ottenuti da
Kubrick non riflettono le sue capacità intellettuali e la crescente
ambizione. Mentre il suo interesse per la fotografia aumentava e la
sua vena artistica si rafforzava, il sistema didattico convenzionale non
aveva modo di riconoscere l'effettivo potenziale di Kubrick in quello
che sarebbe diventato il lavoro della sua vita. I suoi interessi e
l'applicazione pratica delle sue idee si concretizzavano nei suoi pro-
getti fotografici e cinematografici, mentre in classe riscuoteva risul-
tati scarsi perché continuavano a mancargli ispirazione e motivazio-
ne. L'amore per la letteratura e la conoscenza che Kubrick aveva di
essa non trasparirono dai suoi voti in inglese. Non ottenne mai una
media superiore al 75: i suoi voti si aggiravano intorno al 55 e persi-
no nel corso del professar Traister riuscì a ottenere solo un 65. Era
uno studente di storia autodidatta e i suoi voti negli studi sociali si
aggiravano intorno al 70-75; nelle materie scientifiche i risultati
oscillavano dal 68 al 95; le lingue straniere e la matematica non
erano il suo punto forte: Stanley mantenne la media del 65 in spa-
gnolo e oscillò tra il 50 e il 65 in algebra.
L'annuario del 1946 del Taft annovera Kubrick tra i membri della
«Taft Review>> per il trimestre terminato nel giugno del 1944 e tra i
componenti della banda della scuola. Sotto la fotografia che mostra
un adolescente che stava per affrontare una svolta importante c'è una
didascalia che recita: «Quando lavorava per "Taft Review" stava sem-
pre sulle spine>>. La foto di diploma di Stanley riflette l'immagine di
un ragazzo con i capelli accuratamente tagliati e pettinati; sembra
che le palpebre di Stanley non sbattessero mai mentre le sopracciglia
sono fortemente arcuate dalla tensione.
Kubrick non fu accettato al New York College. Era il 1946 e
migliaia di soldati erano ritornati a casa dalla seconda guerra mon-
diale e avevano potuto godere di un accesso facilitato al college come
stabilito dal regolamento delle Forze Armate; i suoi voti bassi e lo
scarso rendimento lo fecero scivolare in fondo alla lista, impedendo-
gli l'accesso ai college a cui aveva fatto domanda.
Poiché frequentando la scuola serale avrebbe potuto successivamente
accedere ai corsi diurni, si iscrisse alle lezioni serali del City College.
Impaziente di avere successo nella vita, Kubrick si concentrò sulla
rivista <<Look>>: dopotutto era già un fotografo professionista che
aveva venduto le sue foto a un'importante rivista nazionale. Le porte
dell'educazione superiore non gli erano state aperte ma i portoni
della formazione autodidatta erano spalancati.
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La carriera registica di Stanley Kubrick prese avvio da due forze
convergenti: la passione per il cinema e il lavoro di fotografo profes-
sionista. Come è accaduto per registi tanto diversi tra loro come
Jean-Luc Godard, François Truffaut, Martin Scorsese e Quentin
Tarantino, anche Stanley Kubrick è un cineasta, uno storico del film
che si è autoinvestito del ruolo, un uomo sagace e appassionato della
storia passata, presente e futura del cinema. La conoscenza tecnica ed
estetica che Kubrick ha dell'arte della fotografia e dello strumento
fotografico permea ogni sequenza della sua filmografia.
I registi provengono da ambiti diversi: il teatro (Orson Welles ed
Elia Kazan), la critica cinematografica (Godard, Truffaut ed Eric
Rohmer), il montaggio (Robert Wise e Robert Parrish), la recitazione
(Pau! Newman, Robert Redford e Clint Eastwood), gli spot pubblici-
tari (Ridley Scott e Alan Parker), la direzione della fotografia (Victor
Fleming, Haskell Wexler e Nicolas Roeg), la scrittura (Woody Allen
e James L. Brooks). Altri provengono dalla danza, dalla poesia, dalla
pittura, dalle arti grafiche, da campi prossimi all'arte o da percorsi
indipendenti e che non hanno alcun rapporto con l'arte.
Mentre la direzione della fotografia ha prodotto molti registi, dalla
fotografia ne provengono pochi e Stanley Kubrick è il più importante
tra loro. Tra gli altri ricordiamo Gordon Parks, che ha lavorato come
fotografo della rivista «Life>> per venticinque anni; Ken Russell, free-
lance per «Picture Post>> e per «<IIustrated>>; Jerry Schatzberg, Dick
Richards e Howard Zieff, fotografi di moda newyorkesi.
Il lavoro di fotografo che Stanley Kubrick svolse per «Look>> per
poco meno di quattro anni lo aiutò a trasformarsi in regista. Nel caso
di Kubrick il raggiungimento della maturità è segnato dal passaggio
attraverso un numero infinito di rullini Kodak in bianco e nero, che
gli permisero di scoprire la sua identità fotografica, la quale a sua
volta gli fornì l'accesso agli esperimenti cinematografici che seguiro-
no. Gli incarichi professionali e le scadenze improrogabili sviluppa-
rono e raffinarono l'abilità di Stanley a rispettare i tempi convenuti e
a soddisfare la continua richiesta di pensare in termini fotografici in
situazioni sia banali che significative. Kubrick ha imparato a dirige-
re i soggetti, a controllare l'illuminazione e le ombre, a scegliere gli
obiettivi, la composizione, l'esposizione e a bilanciare gli elementi
all'interno del fotogramma; non è mai tanto vivo come quando guar-
da attraverso l'obiettivo. È diventato autosufficiente in giovane età
ed è passato dalla condizione di mediocre studente del Bronx a quel-
la di professionista newyorkese giustamente sicuro di sé.
Stanley Kubrick aveva venduto diverse foto a <<Look>> come free-
lance quando era ancora studente al William Howard Taft. Quando
scoprì di non essere stato ammesso al college e dovette quindi ripie-
43
gare sui corsi serali al City College of New York, gli venne offerto
un posto di fotografo da Helen O'Brian, responsabile del settore
fotografie di «Look».
«Ho lavorato per "Look" dai diciassette ai ventun anni>> disse
Kubrick a Miche) Ciment. <<Per me ottenere quel lavoro fu una
pausa miracolosa dopo il diploma. Devo molto all'allora responsabile
del settore fotografie Helen O'Brian, e anche all'amministratore
delegato Jack Guenther. Quella fu un'esperienza preziosa per me,
non solo perché imparai un mucchio di cose sulla fotografia ma
anche perché mi insegnò a capire come gira il mondo».
Gardner Cowles lavorava come capocronista a <<Des Moines
Register and Tribune», un quotidiano di proprietà di suo padre.
Gardner- Mike per gli amici -aveva studiato a Exeter e a Harvard,
dove dirigeva <<The Crimson». Cowles era rimasto colpito dalla rea-
zione dei lettori rispetto alle foto delle notizie pubblicate e alla com-
binazione di immagini e testo; commissionò quindi al dottor George
Gallup uno studio sul tema, che diede vita alla primissima Gallup
poll6. I risultati ottenuti confermarono l'intuizione di Cowles che
quindi decise di creare una rivista illustrata. <<Life» non esisteva
ancora. La rivista <<Look» nacque nel gennaio del 1937 neii'Iowa e la
sede si trasferì a New York nel 1940. Cowles era sempre stato un
repubblicano con idee liberali, era amico di Nelson Rockefeller, Jock
Whitney, gli Aldrich, i Vanderbilt, Thomas E. Dewey, Earl Warren
e Bernard Baruch.
Gli uffici della rivista <<Look» occupavano diversi piani al 511
della Quinta strada, dove si trovavano gli uffici della direzione, la
redazione e il settore fotografie; quest'ultimo si occupava anche dello
sviluppo e della stampa. Inoltre c'erano degli studi che consentivano
ai fotografi di lavorare in condizioni di illuminazione controllate.
Kubrick ricevette l'incarico di andare in giro a fare le foto che gli
venivano richieste dai redattori, i quali dovevano esaminare ottomila
fotografie per ogni edizione del bisettimanale.
Kubrick contribuì al numero dell'8 gennaio 1946 con la fotografia
di un uomo che leggeva un libro di oroscopi, che servì a illustrare la
rubrica "Personality Clinic". Il tema affrontato in quel numero era
<<Sei un fatalista?»; il questionario proponeva domande a scelta mul-
tipla che avevano lo scopo di assegnare il punteggio per un test in
1948-1956
New York
Capitolo 2
«Fotografie di Stanley Kubrick»
81
Capitolo 4
«Era come una spugna))
86
Capitolo 5
«Ecco ciò che serviva: Stanley Kubrick,
era lui che serviva»
«Non ci sono persone superflue nella mia vita. Non c'è tempo per il
superfluo se sei un uomo ossessionato>>.
Faith Hubley
l Esisrenzialismo. s.m. Teoria filosofica che pone l'enfasi sul farro che l'uomo è
responsabile delle sue azioni ed è libero di scegliere il suo sviluppo e il suo desrino.
(N.d.T.)
87
ficenze dal Paese d'origine della sua famiglia, ugonotta francese.
Proseguì la sua carriera scrivendo due libri insieme a Waverly Root:
Eating in America sulla storia dei cibi negli Stati Uniti e Contemporary
French Cooking. <<Era un uomo meraviglioso, dotato di grande stile ed
eleganza)), ricorda Norman Lloyd che aveva lavorato in televisione
con de Rochemont. <<Si comportava come un grande lord o un ari-
stocratico eppure era così gentile, sensibile e comprensivo con la
gente, era proprio un uomo meraviglioso>>.
Kubrick consegnò a de Rochemont una sceneggiatura scritta in
collaborazione con il suo amico Howard O. Sackler definendolo un
poeta contemporaneo. De Rochemont pensò che il significato di tale
affermazione fosse che il ventenne Sackler <<era un poeta e un con-
temporaneo di Stanley». Quando Kubrick lasciò l'ufficio certo
dell'esito positivo della sua visita, de Rochemont e il suo staff rima-
sero con l'impressione di aver appena incontrato un <<giovane pro-
duttore di meraviglie>>, e il comportamento baldanzoso del giovane
spinse uno dei soci di Richard a dire: <<Quello Stanley ha un bel
coraggio>>. De Rochemont lesse la sceneggiatura- il cui titolo subirà
diversi cambiamenti - e la descrisse come un lavoro di una certa
consistenza. Rimase colpito da questo ragazzo uscito dal nulla di
nome Stanley Kubrick.
<<Dick concedeva sempre dei colloqui alle persone che riteneva
avessero del talento>>, ricorda Jane de Rochemont, la vedova di Dick,
che aveva lavorato per la rivista <<Life>> e come stilista per Irving
Penn, Bert Stern e altri. <<In Stanley aveva riconosciuto il talento.
Sembrava molto giovane ed era tutto pelle e ossa. Piuttosto sicuro di
sé, non era esattamente quello che si definirebbe un tipo modesto>>.
Negli anni Cinquanta New York era praticamente priva di una
scena cinematografica indipendente così come la conosciamo oggi,
ma Stanley Kubrick voleva essere un regista indipendente. All'ini-
zio del 1951, a venti due anni e con diversi cortometraggi alle spal-
le, sapeva che era arrivato il momento di dirigere un lungometrag-
gio. Scartò l'idea convenzionale di andare a Hollywood e decise
invece di produrre e dirigere il suo film senza il tradizionale suppor-
to finanziario o un accordo di distribuzione. Kubrick riuscì a racco-
gliere quasi 10.000 dollari chiedendoli agli amici, alla famiglia e
allo zio Martin Perveler, che fu nominato produttore associato.
Perveler possedeva una catena di farmacie nella zona di Los
Angeles, e alla metà degli anni Sessanta disponeva di un patrimonio
significativo. Oltre alle farmacie Perveler possedeva il bowling
Romana, un bowling in Italia, a Roma, un sostanzioso portafoglio
azionistico, una considerevole quantità di beni immobiliari nella
zona di San Gabriei-Santa Barbara, uno yacht da dieci metri e una
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serie di macchine sportive tra le quali c'erano una Mercedes 190 SL,
una Jaguar acquistata in Inghilterra e importata negli Stati Uniti,
una Porsche comprata in Europa e una Lamborghini.
Perveler aveva visto Day of the Fight e Flying Padre ed era interessa-
to a investire nel primo lungometraggio del nipote. Con spirito
imprenditoriale stipulò un contratto con Stanley in base al quale gli
veniva garantita una percentuale considerevole su tutta la produzio-
ne artistica. Kubrick rifiutò la proposta sebbene questo significasse
mettere in pericolo il suo debutto cinematografico. Successivamente
confidò ad Alexander Singer che suo zio gli aveva detto: «Okay, se è
questo che vuoi lo avrai. Non ho intenzione di fornire del denaro per
un solo film. Penso che nel corso degli anni avrai un grande successo
e io voglio avere la mia parte. Sono un uomo d'affari>>.
Kubrick rispose: «No>> e partì dal Southern California Airport per
tornarsene a New York. Perveler lo seguì e lo raggiunse sulla scaletta
dell'aereo che doveva riportarlo a casa. Stanley Kubrick, poco più
che ventenne, era già un inflessibile uomo d'affari in un mondo
pieno di squali. Perveler chiuse un occhio, abbassò la percentuale e
promise di dare al nipote il denaro sufficiente a realizzare il suo
primo lungometraggio.
Il soggetto che Kubrick scelse per il suo primo film fu la guerra,
un tema che sarebbe ritornato nel corso della sua carriera. La sceneg-
giatura era incentrata sulla storia di quattro soldati rimasti intrappo-
lati dietro le linee nemiche in una guerra senza nome.
Da quando aveva lasciato «Loob>, Kubrick si era impegnato per
diventare un regista di successo. In quel periodo guadagnava dai 20
ai 30 dollari alla settimana giocando a scacchi contro chi si presenta-
va ai giardini di Washington Square. Durante il giorno Kubrick
posizionava la scacchiera sotto un lampione in modo tale che al cala-
re delle tenebre l'avversario avrebbe avuto una visione confusa del
gioco mentre la luce avrebbe illuminato gli scacchi di Kubrick.
Il 26 febbraio 1951 firmò l'accordo con suo zio Martin Perveler
per la realizzazione del primo film e fondò la Stanley Kubrick
Productions creando una troupe di una sola persona che doveva rea-
lizzare un progetto successivamente noto con il titolo The Trap.
Il gelido inverno newyorkese fece sì che Kubrick non utilizzasse la
costa orientale per le riprese in esterni, così il film fu girato sui
monti San Gabriel appena fuori Los Angeles e sulle sponde di un
fiume sulla costa. Le sequenze della foresta furono girate ad Azusa,
nei sobborghi di Los Angeles. Le riprese in esterni sulla costa occi-
dentale erano viste positivamente anche dal principale finanziatore,
lo zio Martin, che poteva così esercitare il suo occhio vigile sulla pro-
duzione che si trovava nelle immediate vicinanze.
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Per il cast Kubrick scelse Frank Silvera, che aveva lavorato insieme
a Marlon Brando nella produzione di Viva Zapata! di Elia Kazan.
Faceva parte del cast anche l'attore ventenne Paul Mazursky che col
tempo diventerà regista lavorando sia sulla costa occidentale che su
quella orientale e che dirigerà Una donna tutta sola, Su e giù per
Beverly Hills e Mosca a New York. Kenneth Harp e Steven Coit
impersonarono il ruolo degli altri due militari. Per la parte della
ragazza indigena catturata dai soldati, Kubrick scelse Virginia Leith,
di Cleveland, che' era arrivata a Hollywood per lavorare come model-
la in un'agenzia di moda. Leith non si aspettava di entrare nel cine-
ma quando il giovane produttore-regista si presentò per comunicarle
che avrebbe recitato nel suo primo film.
Lo staff, ridotto all'essenziale, era composto da poche altre persone,
oltre naturalmente a Stanley Kubrick che svolgeva svariate funzioni.
Parlando di lui Dick de Rochemont lo definì <<una troupe composta
da un solo uomm:. <<L'intera squadra di Fear and Desire era composta
da me stesso nei ruoli di regista, tecnico delle luci, operatore, ammi-
nistratore, truccatore, costumista, parrucchiere, autista, attrezzista,
ecc.>>, disse una volta Kubrick ad Alexander Walker, amico e autore
del libro Stanley Kubrick Directs. Steve Hahn, l'amico di Kubrick
dall'aspetto di bravo ragazzo, in quanto dirigente della Union
Carbide si intendeva di elettricità e fu quindi nominato assistente
alla regia; Bob Dierks, un assistente di studio di <<Loob>, lavorava
come macchinista aiutando a montare e smontare l'attrezzatura.
Toba, la moglie di Kubrick, utilizzò la sua esperienza di segretaria
per smaltire il lavoro a tavolino e la parte meno rilevante dell'ammi-
nistrazione. Toba Metz indossava abiti scuri, portava i capelli bruni
con una corta frangetta e aveva le sopracciglia disegnate in modo
netto. Il suo sguardo intenso e pensieroso era tipico delle donne che
popolavano i club e i caffè del Greenwich Village, dove lei e Kubrick
si erano trasferiti 'dopo il matrimonio. Toba poteva essere facilmente
definita una ragazza della beat generation. Aveva una dolcezza che
rimandava alla sua infanzia protetta, trascorsa in un quartiere del
Bronx abitato da ebrei della media borghesia.
Per il trasporto delle attrezzature furono impiegati degli operai
messicani: i loro volti segnati ricordavano i personaggi dei primi
film di Bufiuel. L'uomo che arriverà a dirigere uno staff numeroso
come quello di Spartacus e di 2001: Odissea nello spazio iniziò lavoran-
do con ii numero 'fortunato di tredici persone.
Kubrick stesso realizzò le riprese per 9.000 dollari, senza sonoro in
presa diretta e con una Mitchell 35mm in bianco e nero affittata per
25 dollari al gion~o. <<La prima volta che usai una Mitchell fu duran-
te la realizzazione di Fear and Desire>>, disse Kubrick a Joseph
90
Gelmis. «Mi recai alla Camera Equipment Company, al 1600 di
Broadway e Bere Zucker, il proprietario, passò un sabato mattina a
insegnarmi a caricarla e a urilizzarla. Quella fu tutta la pratica che
feci prima di usare la macchina per le riprese vere e proprie. Bere
Zucker, che successivamente morì in un incidente aereo, era un
ragazzo di trent'anni molto comprensivo. A ogni modo fu molto
sensato da parte sua, dopotutto io pagavo per l'attrezzatura>>.
Kubrick, ancora sotto l'influenza dei colleghi di «Loob>, sfoggiava
una capigliatura ordinata e pettinata con una riga di lato portata con
disinvoltura: il tipo di acconciatura ispirata dagli stilisti europei e
adottata dai professionisti di New York. Indossava un cappotto scuro
di taglio sportivo, jeans, una T-shirt bianca sotto una camicia bianca
portata senza cravatta e un esposimetro al collo. Il suo intenso sguar-
do da fotografo rivelava un uomo immerso in profonde meditazioni.
Nel corso della produzione per poco non si verificò una catastrofe.
Per produrre la nebbia necessaria in una scena Kubrick utilizzò un
insetticida: il risultato fu soddisfacente per quanto riguardava la
simulazione della nebbia davanti alla macchina da presa ma rischiò
di asfissiare il cast e la troupe.
Terminare il film di otto bobine di pellicola divenne un'impresa
più costosa di quanto previsto dall'accurato budget studiato dal regi-
sta. Kubrick si occupò del montaggio e scoprì di aver sbagliato a
decidere di aggiungere l'intero sonoro- dialoghi, effetti e musica- a
riprese ultimate. Il doppiaggio postsincronizzato dei dialoghi risultò
essere un'operazione dispendiosa in termini di tempo e di denaro, e
richiese di aggiungere 20-30.000 dollari ai 10.000 previsti.
Per la colonna sonora, le nobili intenzioni della storia creata da
Kubrick e Sackler poggiavano sulle spalle del ventiquattrenne com-
positore Gerald Fried, che aveva scritto la musica per Day of the
Fight. Creare la musica per Fear and Desire costituì una grande sfida:
<<La musica doveva piangere l'innocenza del mondo>>, spiegò Fried.
<<La paura e il desiderio sono le due forze dominanti della nostra spe-
cie. Questo film doveva dire tutto. Non ci sarebbero stati altri film
dopo questo. Quindi dovevo essere sofisticato, profondo e allo stesso
tempo enfatizzare il fato di noi poveri esseri umani. C'erano tutte
quelle magnifiche parabole: come quella dell'uccisione di un genera-
le e il fatto che il dannato che l'aveva ucciso si chiamava Proteo.
Quindi doveva essere importante, profondo, significativo, commo-
vente, disperato eppure trionfante. Allora pensavo fosse un film
piuttosto buono>>.
Come accadde con Day of the Fight, la musica fu registrata agli studi
della Rea. C'erano ventitré musicisti. Del missaggio finale si occupò
Al Grimaldi, uno dei migliori tecnici della città di New York.
91
In quegli anni era poca la musica che veniva composta e registrata
sulla costa orientale; Fried e Kubrick si lasciarono guidare dal sonoro
che avevano ascoltato guardando i film: il loro fu un esercizio diretta-
mente sul campo. Quando finalmente fu distribuito Fear arid Desire,
Walter Winchell menzionò le musiche nella sua influente rubrica.
Il 12 agosto 1951, nel suo appartamento al 37 Ovest della
Sedicesima strada, Kubrick scrisse un documento: "Kubrick -
Financial Resume of Motion Picture", nel quale venivano dettagliata-
mente elencati i costi affrontati fino a quel momento per realizzare
Fear and Desire: mancava un mese alla fase di missaggio del film. Il
documento fu inviato alla Vavin Inc. di Richard de Rochemont. Fino a
quel momento erano stati spesi 29.000 dollari. Non c'erano conti in
sospeso con i laboratori e i fornitori, ma c'erano 9.500 dollari di salari
insoluti per il cast e la troupe e mancavano 5.000 dollari per comple-
tare la produzione. Questo portava il costo complessivo di Fear and
Desire a 43.500 dollari. Il 21 per cento del film apparteneva ai finan-
ziatori e Kubrick possedeva il 39,5 per cento del restante 79 per cento.
Secondo le stime di Kubrick i salari ammontavano a 5.000 dollari.
I due operatori alla macchina da presa erano pagati 1.000 dollari alla
settimana per un totale di 2.500 dollari. I quattro macchinisti costa-
vano 500 dollari alla settimana per 1.500 dollari complessivi e il
resto dello staff veniva retribuito con 25 dollari alla settimana per un
costo totale di 1.000 dollari. A queste cifre si dovevano aggiungere i
costi sindacali per un totale di circa 10.000 dollari.
I 5.000 dollari che mancavano per ultimare il film erano così desti-
nati: 1.200 dollari di salario per il montatore, 67 dollari alla settima-
na per un totale di 400 dollari per l'affitto della sala di montaggio,
75 dollari all'ora ovvero 900 dollari in totale per l'affitto degli studi
della Rea. Le spese per il missaggio alla Rea ammontavano a 300
dollari, gli effetti sonori costavano 500 dollari, quelli ottici 250 dol-
lari, la proiezione per la sincronizzazione 150 dollari, 700 dollari il
costo del laboratorio e costi vari per un totale di 600 dollari.
Il 31 agosto de Rochemont iniziò a trattare con la sede 802 della
American Federation of Musicians che richiedeva il saldo dei paga-
menti arretrati dovuti al sindacato per la registrazione della colonna
sonora.
De Rochemont inviò un assegno di 500 dollari al rappresentante
sindacale e membro del comitato esecutivo Al Knopf a nome della
Vavin Inc. per la Martin Perveler-Stanley Kubrick Producrion. De
Rochemont richiese una ricevuta che attestasse che l'assegno doveva
far rientrare l'insoluto e che confermasse la promessa verbale di dila-
zionare il saldo finale al 18 settembre e di non intraprendere alcuna
azione legale contro la produzione.
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Quello stesso giorno de Rochemont inviò un telegramma a
Kubrick, che si trovava alla Palmer House di Chicago, avvertendolo
che aveva calmato il sindacato dei musicisti. n 4 settembre giunse a
de Rochemont la ricevuta da parte del sindacato dei musicisti e il
giorno successivo arrivò una lettera di Al Knopf che confermava
l'avvenuto pagamento a favore della Gerald Fried Orchestra da parte
della Martin Perveler-Stanley Kubrick Production. La lettera attesta-
va che il debito ammontava a 1.039,36 dollari; tale somma doveva
essere pagata entro e non oltre il 18 settembre, in caso contrario i
produttori sarebbero rientrati negli elenchi nazionali degli insolven-
ti. Il 19 settembre Knopf scrisse a de Rochemont garantendo
un'ulteriore dilazione di pagamento al 2 ottobre.
Durante questo periodo Richard de Rochemont stava lavorando
alla produzione di uno sceneggiata televisivo in cinque episodi sulla
vita di Abramo Lincoln. Lo sceneggiata faceva parte della serie
"Omnibus", ed era stato creato dalla Tv Radio Workshop della Ford
Foundation, scritto da James Agee e diretto da Norman Lloyd; il
produttore esecutivo era Robert Saudek.
Lloyd aveva iniziato la sua prestigiosa carriera nel 1932, lavorando
in teatro, in televisione e nel cinema; aveva calcato le scene e aveva
alle spalle un intenso passato di attore in produzioni dirette da Eva
Le Gallienne, Joseph Losey, Elia Kazan e Orson Welles. In quanto
membro del Mercury Theater, era apparso injuli11.r Cae.rar, la leggen-
daria produzione di Welles, e aveva recitato in Sabotatori e lo ti sal-
verò di Alfred Hitchcock, L'uomo del Sud diretto da Jean Renoir,
Salerno ora X di Lewis Milestone e Una lettera per Eva diretto da Jules
Dassin. Nel 1952 Lloyd iniziò il suo lavoro come regista alla LaJolla
Playhouse e in televisione.
<<Mi portarono sulla costa occidentale per dirigere cinque episodi
su Abramo Lincoln scritti da James Agee e quando arrivai a New
York iniziammo a esaminare quello che doveva essere fatto all'inizio
delle riprese>>, ricorda Norman Lloyd, che continuò la sua carriera
dirigendo e producendo Alfred Hihhwck Presenta, recitando nel film
Tv St. Elsewhere, in L'età dell'innocenza di Martin Scorsese e in L'atti-
mo fuggente di Peter Weir. <<Il primo episodio doveva essere girato a
New York, negli studi della Fox tra la Decima Avenue e la
Cinquantasettesima strada, mentre una seconda troupe doveva gira-
re a Hodgenville nel Kentucky dove era nato Lincoln. Così, dopo
aver effettuato a New York le riprese per il primo episodio, dovetti
andare a New Salem nell'Illinois, dove Lincoln era vissuto da ragaz-
zo e dove era cresciuto. Dovevamo girare a New Salem Village, che
era stato ricostruito, e sulle rive del fiume Sangamon. Era evidente
che io non potessi trovarmi contemporaneamente a New Salem
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nell'Illinois e a Hodgenville nel Kentucky, così Dick de Rochemont
mi disse che la miglior cosa da fare era avere una seconda troupe e
io concordai con lui. Mi suggerì di guardare le fotografie di un gio-
vane fotografo che aveva conosciuto e che aveva lavorato per la rivi-
sta "Look". Aveva la sensazione che quel ragazzo avrebbe potuto far-
cela ma non intendeva assumerlo se io, il direttore della serie, non
lo avessi prima approvato. Allora dissi: "Va bene". Mi suggerì di
vedere il suo film, Fear and Desire. Lo guardai mentre seduto
nell'oscurità in fondo alla sala di proiezione c'era il ventitreenne
Stanley Kubrick. Mi sembrò ben girato: aveva delle scene interes-
santi, un aspetto generale molto buono e un curioso copione in versi
sciolti. Indubbiamente il film aveva delle qualità e mi sembrò che
Kubrick rappresentasse un'ottima scelta. De Rochemont non pre-
senziò alla proiezione. Io non parlai a Stanley perché volevo prima
parlare a de Rochemont per dirgli: "Sì, va bene, prendilo". Non
volevo avere dei problemi per aver anticipato la decisione. Pensai:
"Bene, sarà meglio che tu tenga la bocca chiusa finché non sarà
tutto combinato". Essendo cresciuto a Hollywood, istintivamente
sentivo che dovevo tenere un comportamento simile. Ricordo che
camminai lungo il corridoio e vidi Stanley che se ne stava lì un po'
curvo e con lo sguardo torvo. Più tardi dissi a de Rochemont:
"Prendi il ragazzo">>.
Della fotografia per la serie su Lincoln si occupò Marcel Rebière,
un operatore francese specializzato in documentari che aveva lavorato
per "The March of Time". «Rebière andò a Hodgenville insieme a
Kubrick, a Marian Seldes che recitava nel ruolo di Nancy Hanks, la
madre di Lincoln, e a Crahan Denton che impersonava Tom, il padre
di Lincoln, per effettuare le riprese della casa ricostruita dei Lincoln.
A quanto sembra Kubrick e Rebière ebbero dei problemi tra di
loro>>, ricorda Norman Lloyd. «Non riuscii mai a determinare con
precisione che cosa accadde, ma Rebière disse una cosa su Kubrick
quando tornò indietro: "Dirige le riprese come se vedesse tutto attra-
verso una Rolleiflex">>.
«A Hodgenville Kubrick girò del materiale muto, immagini del
lavoro alla casa, schiavi sui carri, la famiglia seduta sul patio
all'imbrunire: tutte ottime riprese. Diede alle scene un'atmosfera
incantevole; si capiva da dove proveniva quel ragazzo. Doveva
riprendere anche il piccolo Lincoln e la sorella maggiore Sarah.
Inquadrò la casa da un'angolazione molto interessante, dall'alto del
solaio, per così dire, cosicché si vedeva l'attività all'interno dell'abi-
tazione da una prospettiva quasi a piombo. Girò una scena in esterni
riprendendo la casa e il pozzo; un'altra di alcuni schiavi su un carro
trainato da cavalli che si allontanava, e la scena pastorale della fami-
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glia seduta nel crepuscolo davanti alla casa. Erano delle belle riprese,
infatti le usammo tutte».
Kubrick alloggiava al Kirk Cottages di Hodgenville. De
Rochemont gli scrisse una Iiberatoria che doveva essere utilizzata per
ingaggiare i bambini che dovevano comparire nella produzione.
Mandò anche un elenco delle attrezzature elettriche e delle luci che
dovevano essere portate sul luogo delle riprese. L'esperienza cinema-
tografica accumulata da Kubrick durante la realizzazione dei tre cor-
tometraggi gli permise di comprendere il dettagliato elenco che
comprendeva McAiister, diffusori, piccoli riflettori da l 00 watt,
lampade survoltate, gobbi e riflettori.
Il 30 settembre, de Rochemont inviò una nuova lettera a Kubrick
nel Kentucky, insieme alle riprese di una scena girata nella capanna
di tronchi d'albero a Knob Creek, della quale era stata realizzata
una ricostruzione presso gli studi Movietone. Kubrick avrebbe uti-
lizzato il filmato per determinare l'angolazione con la quale effet-
tuare le riprese con il dolly attraverso la finestra. Kubrick ricevette
inoltre una posa dell'interno della stanza dove era stata girata la
scena della morte di Nancy Hanks, insieme alle coperte e ad altro
materiale scenico che doveva servire per effettuare le riprese. La
fotografia di scena forniva le indicazioni necessarie per sistemare il
letto e arredare la stanza in modo che le immagini girate da
Kubrick combaciassero con quelle girate in studio; sempre a tale
scopo furono affittate e spedite nel Kentucky delle coperte di pelle
d'orso che dovevano servire a completare l'arredamento del sec.
Poiché il primo episodio della serie era risultato costoso, de
Rochemont chiese a Kubrick di tenere bassi i costi e di fornirgli un
rapporto dettagliato delle spese.
Per trovare i piccoli interpreti che dovevano recitare la parte di
Lincoln e di sua sorella Sarah, Kubrick setacciò la scuola di
Hodgenville. «Un paio di persone vennero in classe e dissero che sta-
vano selezionando dei bambini per un gioco, non mi venne neppure
in mente che potesse trattarsi di un film», ricorda Alice Brewer
Brown, che conobbe Stanley Kubrick quando questi entrò nella sua
classe. <<Quel giorno indossavo un vestito che mi aveva fatto mia
madre e avevo i capelli sciolti. Successivamente scoprii che la ragione
principale per la quale mi avevano scelto erano i miei capelli molto
lunghi. Ho conservato il vestito di quel giorno fino a oggi, Io riten-
go un vestito fortunato. Ero molto povera. -Là in campagna non ave-
vamo tutto quello che aveva la gente di città, quindi io mi trovai al
posto.giusto nel momento giusto».
«Stanley e Marian Seldes erano molto gentili. Il più delle volte
non andavano neppure a mangiare negli hotel in città, venivano in
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campagna a mangiare con noi. Si sedevano a tavola in sala da pranzo
e stavano lì con noi. Erano delle persone estremamente cortesi.
Anche se avevano più classe e più soldi di noi non trattavano in
modo diverso la gente di campagna. In realtà anche loro sembravano
più delle persone di campagna che di città>>.
Mentre Kubrick girava con la sua troupe, Lloyd scritturavaJoanne
Woodward, Jack Warden e altri attori che dovevano recitare nella
serie. Più tardi Marian Seldes inviò a Norman Lloyd degli articoli di
giornali locali che riportavano le interviste rilasciate da Kubrick.
«Leggendo quelle interviste avevi l'impressione che si occupasse
della regia dell'intera serie su Lincoln, di tutte e cinque le puntate>>,
ricorda Lloyd. «Li lessi e devo ammettere che la cosa mi divertì a tal
punto che mi venne da dire: "Non ho dubbi che Stanley Kubrick
diventerà un grande del cinema perché nulla potrà fermare un uomo
con un ego simile" e avevo ragione>>.
«Quindi girò tutto il materiale richiestogli, che risultò essere molto
buono, al punto che decidemmo di utilizzarlo tutto. Poi Stanley com-
parve a New Salem e si offrì di rimanere ad aiutarmi. Io gli dissi:
"Beh, Stanley, non penso che sia necessario". Poi mi guardò mentre
giravo una scena e mi disse: "C'è un sacco di pellicola sprecata in
quella ripresa. Non c'è bisogno di girare una panoramica così lunga".
Al che io risposi: "Bene, okay, però io ho intenzione di !asciarla così".
Questo episodio era solo uno dei tanti che mi dimostravano che
Kubrick non avrebbe potuto aiutarmi; sapevo che avremmo conti-
nuamente discusso su come realizzare le riprese. D'altra parte stava
iniziando a fare il regista ed era smanioso, e questa era certamente
una cosa meravigliosa. Comunque gli dissi: "No Stanley, non c'è
ragione che tu ti fermi". Naturalmente avevo già letto gli articoli.
Lui allora se ne tornò a New York e il resto è storia>>.
«Stanley era un tipo molto misterioso e un po' torvo che rimane-
va sempre molto serio. Potrei dire che non riuscii mai a cogliere in
lui neppure un barlume di umorismo; non che io sia stato molto
tempo con lui, ma comunque per un certo periodo abbiamo lavora-
to insieme>>.
Dopo aver completato la postproduzione di Fear and Desire,
Kubrick si diede alla ricerca di un modo per distribuire il film; il
limitato numero di spettatori dei cinema d'essai rendeva difficile
venderlo. La tematica esistenzialista e la mancanza di elementi carat-
teristici dei B-movie lo rendevano poco appetibile agli occhi dei
distributori. Kubrick si rivolse a tutti i principali studi che però lo
rifiutarono.
Nel giugno 1952, Kubrick stava ancora negoziando per distribuire
il suo primo lungometraggio. Disse al «New York Times>> che aveva
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in mente alcune storie che avrebbe voluto trasformare in film, ma
«non ha senso parlare del mio prossimo film finché non vediamo che
riscontri ottiene Shape of Fear sia da parte della critica che da un
punto di vista economico>>. Il nuovo titolo era provocatorio ma
destinato a non durare.
In giugno Kubrick ottenne un importante sostegno da parte di
Mark Van Doren, il noto professore della Columbia alle cui lezioni
aveva partecipato diversi anni prima. Scrivendo da Falls Village nel
Connecticut, Van Doren lodò il regista e il suo film indipendente.
«Shape of Fear è un film brillante e indimenticabile che utilizza i
materiali più semplici in cambio di risultati profondi e sorprendenti;
una favola che racchiude il senso della verità, una fiaba che dopotutto
appartiene a questo mondo. L'invenzione è squisitamente libera e
molti degli espedienti impiegati hanno la freschezza che troppo spesso
manca al cinema dei nostri giorni. Tutto contribuisce a creare un effet-
to complessivo serio e originale e una suspense mai interrotta. Quando
verrà proiettato il film, l'episodio della ragazza legata a un albero con-
tribuirà a scrivere la storia del cinema: è nel contempo bello, terrifi-
cante e misterioso; prima d'ora non era mai stato fatto niente di simile
in un film e solo questo è garanzia del fatto che il futuro di Stanley
Kubrick merita di essere tenuto d'occhio da quelli che vogliono sco-
prire un grande talento nel momento in cui si manifesta>>.
Il 28 gennaio 195 3 Martin Perveler e Stanley Kubrick firmarono
un accordo con Richard de Rochemont per completare la produzione
di Fear and Desire. Dall'accordo risulta che Perveler è il proprietario
della produzione insieme ai coautori Howard O. Sackler e Stanley
Kubrick. Nel contratto Perveler si impegna a restituire a de
Rochemont la somma di 500 dollari e a rinunciare insieme agli altri
finanziatori ai primi incassi che sarebbero derivati dalla vendita o
dalla distribuzione del film. De Rochemont ottenne inoltre il 2 per
cento della quota sul film detenuta da Kubrick.
Alla fine Kubrick fu scoperto dal distributore e imprenditore
Joseph Burstyn, il quale si entusiasmò per lui e, parlando dinanzi a
molti personaggi dell'establishment cinematografico newyorkese con
il suo accento da ebreo polacco esclamò: «È un genio, è un genio>>.
Dopo una sola proiezione di Fear and Desire, Burstyn decise di soste-
nere il film che definì ((un'artistica opera cinematografica americana
senza alcuna pretesa artistica>>.
Burstyn era un ebreo polacco nato nd 1901; nel 1921 emigrò
negli Stati Uniti, lavorò come lucidatore di diamanti e successiva-
mente divenne agente pubblicitario e direttore artistico per il teatro
yiddish di New York. Alto meno di un metro e cinquantadue e con
una gobba sulla schiena, Burstyn era un brillante uomo d'affari dota-
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to di una grande forza di persuasione. Il suo lavoro come distributore
cinematografico iniziò a Chicago. Nel 1936 aprì una società insieme
ad Arthur Mayer, l'ex direttore pubblicitario della Paramount, che
vendette la sua quota a Burstyn nel 1949.
Quando iniziò a ricavare degli utili comprando e vendendo film,
Burstyn si trasferì a New York in un ufficio al 113 Ovest della
Quarantaduesima strada; condusse i suoi affari con il sorriso e con il
pugno di ferro. In quanto distributore ed esercente, Burstyn aveva
ideato un circuito di cinema d'essai; fu così che arrivò a occuparsi
della distribuzione di importanti film stranieri come Roma città aper-
ta, Il miracolo e Paisà di Rossellini, Ladri di biciclette di De Sica e La
scampagnata di Renoir. Burstyn proiettò i film nei cinema d'essai e si
batté duramente contro la minaccia della censura quando la chiesa
cattolica minacciò di mettere al bando diversi film. La leggendaria
lotta di Burstyn per ottenere il permesso di proiettare Il miracolo -
secondo episodio di L'amore - che era stato giudicato blasfemo dalla
Catholic Legion of Decency e dalla Commissione statale di censura
di New York, arrivò fino alla Corte Suprema, che gli diede ragione.
Quando incontrò il giovane Kubrick, Burstyn aveva cinquant'anni,
un aspetto fragile, una massa arruffata e folta di capelli bianchi ma
continuava a sfoggiare un sorriso più determinato che mai e una
volontà dittatoriale. Joseph Burstyn prese sotto la sua ala protettiva
il giovane genio e si impegnò a diventare il distributore della sua
opera prima; fece uscire il film con il titolo provocatorio e sensuale
Fear and Desire.
Il 25 febbraio 1953 Richard de Rochemont spedì a Stanley
Kubrick un saggio di quattro pagine battute con spaziatura doppia a
lui dedicate. Il pezzo era destinato a un uso pubblicitario ed era
pieno di ammirazione per il giovane regista indipendente. De
Rochemont si limitò ad avanzare la richiesta che né Burstyn né
Kubrick cambiassero una sola parola del testo senza aver prima chie-
sto la sua autorizzazione. Considerando che proveniva dall'illustre
produttore di "The March of Ti me", nonché attuale presidente della
Vavin lnc., tale sostegno fu generoso ed essenziale come lo era stato
quello di Mark Van Doren, poiché esprimeva un giudizio sul giova-
ne regista che stava per spiccare il volo senza la rete di sicurezza for-
nita da uno studio.
Il 23 aprile 1953 Fear and Desire ricevette l'approvazione dalla
Commissione Statale di censura che lo inserì nella classe B a causa
della suggestiva scena nella quale un soldato manifesta concretamen-
te i suoi appetiti sessuali nei confronti di una donna prigioniera
legata a un albero. L'anteprima del film si tenne il 26 marzo 1953 a
New York. <<Variety>> lo definì: «Un dramma di guerra colto e origi-
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naie, che spicca per il fresco trattamento cinematografico e per la
poeticità dei dialoghi>>.
Il film fu proiettato al Guild Theater di New York, una sala sulla
Quinta strada nel Rockefeller Center specializzata nella proiezione
di film stranieri e d'essai. Alex Singer andò a vedere il primo film
del suo amico. «Ero un ragazzo altezzoso, nel senso di arrogante.
Quindi trattai il film di Kubrick in modo sprezzante finché non mi
resi conto di quanto fosse straordinario. Era un lavoro raffinato
quanto quello di un regista professionista>>. Le foto di scena appese
fuori dal Guild Theater suggerirono ad Alexander Singer le possibi-
lità e le prospettive future di Stanley Kubrick. «In sala c'erano delle
fotografie di Stanley Kubricb>, ricorda Singer. <<Senza ombra di
dubbio si trattava delle migliori foto di scena mai appese fuori da un
cinematografo. Lo interpretai come un segno di ciò che quel tipo
sarebbe riuscito a fare, del fatto che tutto quello chè toccava sarebbe
diventato speciale. C'era qualcosa nel suo modo di affrontare le cose
che avrebbe reso straordinario tutto ciò che faceva. Non mi interes-
sava se gli altri riconoscevano questo suo talento o se sarebbero riu-
sciti a quantificarlo. Io sapevo cos'era e sapevo quanto fosse eccezio-
nale. Sapevo cosa serviva per realizzarlo, ed ecco ciò che serviva:
Stanley Kubrick, era lui che serviva>>.
La giovane età di Kubrick e la sua enorme ambizione attirarono
l'attenzione della critica. In un articolo su «The New Leader>>,
Wallace Markfield definì Kubrick «un regista esordiente estrema-
mente dotato>> che «SÌ diletta a realizzare dettagliatissimi primi
piani e incursioni fotografiche in una foresta scarsamente illuminata
che rivelano degli intrecciati arabeschi di vegetazione, foglie e spraz-
zi di sole>>. Markfield continuava criticando aspramente il giovane
Kubrick per i suoi eccessi simbolici e per le tematiche puerili, racco-
mandando tuttavia il film ai suoi lettori intellettuali e cinefili.
Il critico e sceneggiatore James Agee, che si era occupato della sce-
neggiatura della serie Mr. Lim·oln, vide il film e andò a bere un drink
con il giovane regista in un bar sulla Sesta Avenue al Greenwich
Village. «Ci sono troppi elementi davvero riusciti in questo film per
poterlo definire pseudoartistico>>, disse all'impaziente novizio il
decano della critica cinematografica americana e sceneggiatore di La
morte corre sul fiume e La regina d'Africa.
Fear and Desire racconta la storia di quattro soldati: Mac (Frank
Silvera), -Corby (Kenneth Harp), Fletcher (Steve Coi t) e Sidney {Paul
Mazursky).
«Il bianco e il nero sono colori. lo nel buio riuscivo a vedere più di
quanto vedessi nel colore. Nel buio riuscivo davvero a vedere».
John Alton
Kubrick aveva dedicato tutte le sue energie alla regia e quasi tutti
coloro che erano in contatto con lui avevano a che fare con questo
obiettivo; nonostante tutto la sua passione per gli scacchi continua-
va. A New York il mondo degli scacchi era un universo a sé. Le sue
incursioni ai giardini di Washington Square e nei principali club di
scacchi della città lo avvicinarono a un ambiente che affinò la sua
capacità decisionale, una delle doti principali di un regista cinema-
tografico.
Il Marshall Chess Club si trovava sulla Decima strada ovest tra la
Quinta Avenue e la Sesta Avenue, proprio dalla parte opposta della
città rispetto alla sua abitazione al 222 Est della Decima strada.
Kubrick vi si recava piuttosto spesso, generalmente la sera.
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Il club aveva la sua sede nella casa privata di Frank Marshall, uno
dei più grandi scacchisti d'America. Marshall aveva messo a disposi-
zione del club la sua bella casa con la facciata in arenaria e un giardi-
no sul retro; alla sua morte, la moglie Carrie mantenne aperto il
club. Le iscrizioni al Marshall Chess Club erano libere, ma anche
campioni come Larry Evans lo frequentavano.
Al principio degli anni Cinquanta Kubrick conobbe Gerald
Jacobson. Entrambi erano iscritti alla United States Chess
Federation. «Giocammo insieme alcune volte. Eravamo circa allo
stesso livello, forse lui era un po' più forte>>, ricorda Jacobson, ora
residente in Florida. «AI Marshall Chess Club facevano dei tornei.
Fu lì che incontrai Stanley per la prima volta. Giocavamo nello stes-
so torneo. Facemmo una partita insieme. Era un tipo tranquillo e
solitario. Indossava sempre una giacca di velluto a coste ed era una
persona affabile. Facevamo una o due partite e poi andavamo in un
ristorante o in un bar a berci una birra e a fare due chiacchiere; ce ne
stavamo seduti a parlare per ore. Era piuttosto giovane ma aveva dei
problemi coniugali. Si sentiva frustrato perché non riusciva ad
abbracciare la carriera cinematografica. Alton Cooke, il critico cine-
matografico del "New York World Telegram and Sun" era membro
del Club. Qualcuno allora disse a Stanley: "Perché non parli con
Alton Cooke?". Egli rispose soltanto: "Ho del talento, so di essere
bravo. Non posso !imitarmi a fare il finanziatore o il produttore"».
Successivamente Kubrick incontrò Cooke al Marshall, e il critico fu
colpito dall'audacia di Kubrick e dalla sua sicurezza alla scacchiera.
I giardini di Washington Square erano una mecca per i giocatori di
scacchi. «C'erano tavoli per le scacchiere e un gruppo di giocatori
incalliti che giocavano molto rapidamente e a volte per denaro.
Tiravano fuori l'orologio e calcolavano cinque minuti di gioco»,
spiega Gerald Jacobson. <<Conoscevano bene certe mosse e ogni tipo
di insidia, ma se avessero giocato contro un giocatore davvero bravo
non sarebbero riusciti a batterlo, erano solo furbi».
Gerald Jacobson per un po' di tempo non vide Stanley Kubrick.
Poi un giorno portò suo figlio a Washington Square a guardare le
appassionanti mosse alla scacchiera e trovò Stanley Kubrick che
seguiva una partita. <<Disse: "Sto per andare in California"», ram-
menta Jacobson. «La cosa successiva che ricordo era che stava giran-
do Spartacus. Decollò proprio come un razzo!».
118
Parte terza
1956-1960
Hollywood
Capitolo 7
La Harris-Kubrick
141
Capitolo 8
«Sono Stanley Kubrick»
172
Capitolo 9
«Stanley, non funziona»
<<Un giorno sarà un bravo regista se solo gli capiterà una volta di
dare una testata contro il muro. Potrebbe insegnargli ad accettare il
compromesso>>.
Kirk Douglas
Furono ingaggiati sei sruntman che lavorarono per quasi tre mesi
prima dell'inizio delle riprese vere e proprie; essi facevano da contro-
figura ai"protagonisti di Spartacus e interpretavano dei ruoli nel film.
Richard Farnsworth era uno di loro: aveva iniziato a lavorare come
stuntman nel 1936, all'età di sedici anni. Successivamente divenne
un acclamato attore recitando in film come Arriva un cavaliere libero e
selvaggio,Vea·hia volpe, Il migliore e altri. Anche Loreo Janes era un
membro della squadra degli st.untman; era un veterano che aveva.
lavorato. in cinquecento film e in oltre mille programmi televisivi.
Janes fu la controfigura di Steve McQueen per ben venticinque anni,
lavorò con Michael Landon e con Jack Nicholson e ancora oggi è un
191
alto e robusto membro della comunità cinematografica di
Hollywood. Nella squadra c'era anche Sol Goras, che era stato la
controfigura di Errol Flynn. Il coordinatore degli stuntman era
Johnny Dayheim e lavorava direttamente con Stanley Kubrick, Kirk
Douglas e Marshall Green, il primo aiuto regista.
I sei stuntman erano stati scelti da Anthony Mann; la selezione era
stata fatta da Kirk Douglas e Johnny Dayheim tra un gruppo di
quaranta stunt ben allineati in fila. Douglas cercava degli uomini
che corrispondessero per statura e costituzione ai protagonisti del
film. Dopo aver esaminato il gruppo, Douglas puntò e toccò i pre-
scelti dicendo: «Tu, tu». Quando ebbe finito rimase una squadra di
sei uomm1.
Gli stuntman si esercitarono per tre mesi nell'uso delle armi che
sarebbero state adoperate nel film, nel faticoso allenamento dei gla-
diatori e nelle scene della battaglia. Essi studiarono una coreografia
per la battaglia e insegnarono a Kirk Douglas a lottare come un
gladiatore e un guerriero ribelle. Anche gli attori si sottoposero a
un allenamento fisico che doveva servire a dare loro un aspetto
appropriato e a essere all'altezza delle estenuanti esigenze del film.
Erano state svolte delle ricerche sul periodo storico in cui si svolge-
vano le vicende di Spartacus e gli stUntman davano consigli al setto-
re artistico di Golitzen su come realizzare il set della scuola dei gla-
diatori.
I sei stuntman recitavano il ruolo degli schiavi nella scena d'aper-
tura girata nella Death Valley; successivamente interpretarono il
ruolo dei gladiatori, poi quello dei generali dell'esercito di Spartaco
e al termine del film furono crocifissi dai Romani lungo la strada.
Un nutrito gruppo di comparse fu impiegato per. le scene di
Spartaco e dei suoi, e furono ingaggiati altri quindici-venti srunt-
man che dovevano combattere intorno ai personaggi chiave.
L'attore Woody Strode non aveva una controfigura; c'erano degli
sruntman di colore ma nessuno che avesse un fisico simile al suo.
Quindi gli sruntman lavorarono insieme a Strode che aveva le doti
naturali di un bravo atleta. Per la battaglia all'ultimo sangue tra
Strode e Douglas, gli stuntman insegnarono agli attori come batter-
si. Spartaco usava la spada e Draba, il personaggio interpretato da
Strode, un tridente. A un certo punto Draba infligge un colpo a
Spartaco lacerando il petto di Douglas con le lame del tridente. Il
tridente era fatto di gomma dura ed era riempito di sangue artificia-
le: quando colpiva il petto di Douglas veniva premuto un bottone
che faceva sgorgare il sangue artificiale sul corpo dell'attore.
Al termine degli allenamenti, la squadra mostrava i risultati a
Kubrick che per lo più li accettava senza apporre sostanziali cambia-
192
menti. Egli aveva ricevuto in eredità una squadra di professionisti ed
era la prima volta che dirigeva un film con ·un lavoro di stuntman di
tale complessità. Gli stuntman suggerivano anche le angolazioni
migliori della macchina per riprendere una certa acrobazia o una fase
· della lotta. Spesso Kubrick accettava i loro suggerimenti e riprende-
va l'azione da diverse angolazioni. Le riprese erano effettuate in
Super Technirama da 70mm con due o tre macchine da presa, e qual-
che volta anche con sei.
Le controfigure, che avevano già lavorato con tutti i più esperti
registi di Hollywood, rimasero sorprese dalla quantità di inquadra-
ture che Kubrick richiedeva di girare per singola scena. Quando
sembrava che una scena fosse stata ripresa da ogni possibile angola-
zione gli stuntman si divertivano a scommettere tra di loro su quale
nuova prospettiva avrebbe trovato Kubrick. Questi inoltre girava
più riprese dalla stessa angolazione e le faceva stampare tutte.
Seguiva i suggerimenti che gli venivano dati sulla posizione miglio-
re della macchina da presa per riprendere una certa azione, ma nel
contempo usava anche quei movimenti di macchina che lui stesso
aveva programmato, anche quando gli veniva detto che da quella
angolazione non avrebbe colto l'azione nella sua totalità.
Il 6 aprile 1959, nel bel mezzo della pressante e massiccia produ-
zione di Spartacus, Stanley Kubrick divenne padre di Anya Renata
Kubrick, che venne alla luce al Cedars ofLebanon Hospital.
Il metodo adottato da Kubrick - girare una grande quantità di
pellicola rispetto a quella che veniva poi effettivamente usata nel
montaggio - divenne più comune tra la fine degli anni Sessanta e gli
inizi degli anni Settanta ma era detestato dallo studio system che
sosteneva il progetto di Spartacus. E la troupe si stupiva di fronte ai
metodi adottati dal regista.
Una parte dell'azione che si svolgeva nella scuola dei gladiatori
prevedeva l'uso di uno strumento costituito da una lama di spada
che ruotava su se stessa e doveva servire agli schiavi per esercitarsi a
schivare, saltandole, le armi degli avversari durante l'attacco.
Kubrick filmò l'azione da ogni angolazione possibile. A un certo
punto lo stuntman Loren Janes si trovò in piedi accanto al direttore
della fotografia Russell Metty; i due perplessi professionisti di
Hollywood cercarono di immaginare da quali altre angolazioni
avrebbe potuto riprendere· ancora la scena. <<Russ disse: "Loren, da
quale altra angolazione potremmo riprendere questa scena?"», ricor-
da Janes. «lo risposi: "Beh, l'unica cosa ancora possibile sarebbe met-
tere la macchina da presa per terra e fare un'inquadratura dal basso
·in alto .. Magari adesso si mette a scavare un buco per metterei dentro
la macchina da presa". Avevo appena finito di dirlo che arrivarono
193
cinque tizi con delle pale e iniziarono a scavare un buco. Kubrick
amava le posizioni di macchina insolite».
Sul set era percepibile un notevole malcontento. Il film aveva
superato il budget previsto ed era in ritardo rispetto al piano di lavo-
razione. Inoltre Douglas, Lewis e Kubrick si chiudevano spesso in
ufficio per comporre le loro controversie.
Ben presto si formò una sorta di cameratismo tra attori come John
Ireland, Woody Strode, Nick Dennis, Kirk Douglas e il gruppo delle
controfigure e la troupe. Kubrick se ne stette sulle sue senza parteci-
pare ma senza nemmeno cercare di affermarsi come leader rispettato
o temuto. Durante l'intera lavorazione del film egli rimase un enig-
ma, sia per l'indifferenza chiaramente percepibile che per i suoi labo-
riosi metodi di lavoro. Kubrick non era né amato, né temuto e nep-
pure rispettato. La famiglia di Spartacus che comprendeva il cast e la
troupe degli effetti speciali, degli accessori di scena e tutta la miria-
de di maestranze che lavoravano nel film lo considerava un solitario.
Kubrick aveva trent'anni ma a quelli che lavoravano sul set pareva
un ragazzo con il viso da bambino, circondato da uomini atletici,
abbronzati ed estroversi nella California assolata. A quelli abituati a
personaggi come John Ford e Henry Hathaway, Kubrick sembrava
un tipo fuori posto e ricercato; dava l'impressione di essere uno spu-
tasentenze e un piccolo genio. L'approccio distaccato e intellettuale
adottato da Kubrick nel lavoro diede a Spartacus un tocco di brillante
intelligenza ma non contribuì a creare un clima sereno sul set.
Avere a che fare con degli ego come quelli di Charles Laughton e
Laurence Olivier doveva essere una sfida piuttosto ardua per il giova-
ne regista; i due attori erano estremamente competitivi e spesso in
disaccordo tra loro. Peter Ustinov fu testimone delle costanti lotte
interne e diede a Norman Lloyd un saggio della tenzone verbale che
infuriava sul set mentre Kubrick cercava di mantenere il controllo
sul film. << Ustinov mi raccontò di quella volta che Laughton, Olivier
e il cast stavano leggendo la sceneggiatura», ricord.ava Lloyd. <<Ogni
volta che qualcuno leggeva, Olivier interveniva e diceva all'attore
cosa fare, sebbene Kubrick fosse lì presente. Fece lo stesso anche
durante un lungo discorso letto da Laughton, al termine del quale
Olivier si volse verso l'attore e gli disse: "No, no, no, Charles, quel
discorso dovrebbe essere così e così". Charles allora rispose: "Bene,
ma non credo di capire cosa tu intenda dire". Olivier disse: "Vuoi
che te lo legga io?". E Charles: "Sì, grazie". Olivier io lesse e
Laughton commentò: "Se prima lo capivo poco adesso non lo capisco
più del tutto". Questa era la situazione con la quale Kubrick doveva
fare i conti: aveva a che fare con persone che erano più grandi di qua-
lunque regista>>.
194
Durante la lavorazione di Spartacus, Lloyd alloggiava in un bunga-
low situato all'interno dello stabilimento dei teatri di posa della
Universal poiché stava lavorando con Alfred Hitchcock alla serie Tv
"Alfred Hitchcock presenta". Quando andò a trovare quello che un
tempo era stato il suo regista della seconda unità notò che nell'anti-
camera dell'ufficio di Kubrick c'erano pile di riviste scientifiche;
l'interesse per la scienza e la tecnologia avanzata troverà espressione
nei film successivi di Kubrick.
Stanley Kubrick non vestiva certo i panni del regista: indossò la
stessa maglietta, gli stessi pantaloni e lo stesso cappotto per quelle
che alla troupe sembrarono settimane. Kirk Douglas si rendeva
conto che non c'era feeling tra Kubrick e la troupe, così radunò alcu-
ni membri dello staff per cercare di creare un'atmosfera diversa
intorno al giovane regista. Quando l'attore-produttore chiese perché
non avevano rapporti con Kubrick, qualcuno garbatamente gli girò
la domanda, chiedendo se avesse notato che il regista indossava gli
stessi abiti per lunghi periodi di tempo. Douglas si scusò e andò da
Kubrick per indagare sulle sue abitudini sartoriali, così il giorno
segUente il regista arrivò con un nuovo completo che continuò a
indossare per il resto della lavorazione del film.
L'apertura della sequenza della battaglia venne girata in esterni in
Spagna, Paese in cui Alexander Golitzen ricorda di aver trascorso
quasi quattro mesi. La squadra degli stuntman riferiva che la scena
fu girata in una settimana. Alle riprese presero parte diversi soldati
dell'esercito spagnolo che interpretarono il ruolo degli schiavi
dell'esercito guidato da Spartaco e quello dei legionari romani.
Russell Metty invece non andò in Spagna; il girato venne fotografa-
to da Clifford Stine, al quale venne infatti riconosciuto il credito
della fotografia delle sequenze aggiunte. La troupe in trasferta in
Spagna includeva anche il truccatore Bud Westmore, il capoattrezzi-
sta e pochi altri. I comandanti dell'esercito spagnolo si rifecero alle
informazioni fornite dallo story board di Saul Bass e alle note di
regia di Kubrick per costituire una falange di potenti legionari
romani che si muoveva in plotoni contro gli schiavi guidati da
Spartaco.
La 'battaglia tra l'esercito degli schiavi e i Romani fu girata
all'esterno degli stabilimenti della Universal. Gli stuntman doveva-
no interpretare il ruolo dei soldati di entrambi gli eserciti. La
sequenza prevedeva delle acrobazie estremamente pericolose, come
quelle degli schiavi che fanno rotolare dei tronchi infuocati contro i
legionari. Vennero ingaggiati uomini cui mancava qualche arto, ai
quali vennero poi applicate delle protesi riempite di sangue artificia-
le che potevano essere rotte con un colpo di spada.
195
Loren Janes fu la controfigura di Kirk Douglas in tutte le scene e
interpretò anche la parte di uno dei suoi soldati. Gli stuntman inter-
pretavano la parte di uno schiavo o quella di un romano, a seconda
delle esigenze: durante la battaglia Janes fu la controfigura di
Spartaco nelle azioni pericolose e in quelle di combattimento, men-
tre in altre scene interpretò il ruolo di un legionario che lottava con-
tro Spartaco; in questo modo poteva proteggere l'attore e allo stesso
tempo farlo apparire come un intrepido guerriero.
L'esito dello scontro fu raccontato in una sequenza che mostrava cen-
tinaia di schiavi massacrati, i corpi sparsi sul campo di battaglia. In
origine la sequenza doveva essere girata all'esterno degli stabilimenti
cinematografici ma Kubrick richiese che venisse realizzata nel teatro
di posa. Per ricreare l'ambiente esterno all'interno di uno spazio chiu-
so fu necessario utilizzare tre scene. Il reparto artistico di Alexander
Golitzen creò colline e terreni e gli assistenti alla regia ingaggiarono e
sistemarono diverse centinaia di comparse. Kubrick ordinò che a cia-
scuno di essi venisse assegnato un grosso cartoncino con un numero,
in modo che sapesse dove tornare dopo che Kubrick aveva attenta-
mente studiato il posto dove doveva morire. Nello spazio intorno alle
comparse vennero sistemati dei manichini che contribuivano a creare
il massiccio cumulo di corpi.
Il giorno previsto per le riprese Kubrick arrivò, guardò le centinaia
di comparse nel ruolo dei cadaveri degli schiavi guidati da Spartaco e
caduti sulle colline artificiali create dagli artigiani di Golitzen e,
prima che la macchina iniziasse a riprendere, annunciò: «Non mi
piace, voglio girare fuori».
Gli habitué di Hollywood presenti sul set rimasero allibiti. La pro-
duzione ci rimise la costruzione, il lavoro e del tempo prezioso.
Adesso la scena doveva essere realizzata all'esterno, sul terreno circo-
stante gli stabilimenti, come era nei programmi originali.
Kubrick continuò a servirsi del sistema di assegnare i numeri alle
comparse. Dopo la pausa per il pranzo, ciascuna delle centinaia di
comparse sapeva esattamente dove giacere morta sulla scena.
La scena d'apertura fu girata nella Death Valley, i totali delle trup-
pe che andavano radunandosi furono girati in Spagna, la colonna a
cavallo sulla spiaggia fu girata in esterni ma tutte le altre scene furo-
no preparate e fotografate sul terreno circostante gli stabilimenti
cinematografici della Un i versai. La scena della battaglia, la via
Appia, le colline cosparse dei cadaveri dei -soldati di Sparraco furono
tutte girate lungo quello che oggi è l'Universal Tour negli studi
Universal di Los Angeles.
La rivolta degli schiavi fu un'intricata sequenza d'azione. Lo story
board era disegnato da Saul Bass. Alexander Golitzen dal canto suo
196
aveva impegnato al progetto due disegnatori, Claude Gillingwater e
Johnnie Peacock. Kubrick vide le tavole relative alle azioni chiave
ma la sua ampia gamma di angolazioni di ripresa oltrepassava i limi-
ti imposti dai disegni; basti pensare che in certi punti vennero uti-
lizzate fino a trenta macchine da presa diverse.
L'assalto ai cancelli della scuola romana dei gladiatori fu particolar-
mente impressionante e pericoloso soprattutto quando gli schiavi
scalavano i pali delle alte recinzioni, che crollavano schiacciando
sotto il loro peso i legionari e che poi erano brandite come armi.
«Sulle palizzate c'erano i nostri sei stuntman», ricorda Loren Janes.
«lo facevo la controfigura di Kirk. Avevamo sistemato la palizzata in
modo che cadesse fermandosi circa a un metro e mezzo da terra men-
tre alcuni attori impersonavano i legionari. Poi li facemmo uscire dal
set e li sostituimmo con dei manichini vestiti da legionari armati di
lancia, che furono definitivamente schiacciati. I manichini evitavano
anche che la palizzata crollasse a terra fracassandoci le ossa, facevano
un po' da ammortizzatore>>.
Per le scene della crocifissione degli schiavi, gli stuntman vennero
issati sulle grosse croci di legno create dal settore artistico; sotto i
piedi c'era una sporgenza alla quale potersi appoggiare, mentre le
mani erano legate ai bracci della croce. Le lunghe riprese, la quantità
di pellicola utilizzata in relazione a quella poi effettivamente scelta
nel montaggio finale e le angolazioni multiple della macchina da
presa misero a dura prova gli esperti stuntman. Quando erano trop-
po stançhi, indolenziti, accaldati e assetati nella loro scomoda posi-
zione, Kubrick diceva: <<Okay, tirateli giù per dieci minuti e poi
issateli di nUOVO>>.
La scena notturna che segue alla cattura di Spartaco e Antonino e
durante la quale i due parlano della loro imminente crocifissione fu
ripresa ai piedi della grossa collina tra il Barham Boulevard e la
superstrada 101. Kubrick fece lavorare cast e troupe dalle nove della
sera alle sei della mattina successiva. Kirk Douglas e Tony Curtis
sedevano davanti alla macchina da presa e recitavano. Dietro di loro
c'era una fila di cadaveri di schiavi massacrati che continuava su per
la collina per cinquecento metri. Sullo sfondo c'erano schiavi issati
sulle croci. La posizione della macchina da presa di Kubrick copriva
l'intera scena. II regista insisteva che tutti i cadaveri fossero interpre-
tati da figuranti e da stuntman perché voleva che durante il dialogo
ci fossero continui gemiti e spasmi.
Nel libro Tony Curtis: The Autobiography, Curris ricorda una notte
di riprese particolarmente difficile. Dopo aver sistemato ogni cosa
Kubrick iniziò a riprendere la scena. <<"Ti fa paura morire,
Spartaco?", domanda Antonino. I figuranti gemono e si lamentano.
197
"Non più che allora il nascere. A te invece fa paura?", replica
Spartaco. Kubrick fermò la scena e disse: "Quando si arriva a
"paura" l'uomo sulla terza croce a sinistra deve muoversi, tu invece
non ti sei mosso",,, ricorda Tony Curtis. L'uomo si scusò. Andò
avanti in questo modo, un ciak dopo l'altro. Kubrick non perdeva
mai la pazienza ma continuava a trovare degli errori nelle reazioni
dei figuranti mentre Douglas e Curtis ripetevano le battute davanti
alla macchina da presa.
Gli Universal Studios avevano assegnato a Marshall Green l'incari-
co di aiuto regista; il suo compito era controllare Kubrick e fargli
rispettare il piano di lavorazione. Le riprese sulla collina, che duraro-
no tutta la notte, stavano logorando l'aiuto regista. A un certo punto
della notte, Kubrick interruppe ancora la ripresa a causa dell'azione
sullo sfondo. Chiamò Marshall Green e gli disse: «Marshall, il tizio
sulla ventesima croce a sinistra dovrebbe agitarsi ma non si è mosso
per niente. Voglio che tu vada lassù e che gli dica che alla "paura" e
quando tu gli farai il segnale con il fazzoletto lui deve muoversi.
Non posso usare il megafono perché disturberebbe il dialogo».
«Green guardò Kubrick con uno sguardo torvo, si girò e si incam-
minò verso il punto più alto della collina», scrive Curtis. «Gli ci
vollero tre minuti per arrivare fino alla croce che si trovava quasi in
cima. C'erano circa trentacinque croci su entrambi i lati e quella era
una delle più lontane>>. Curtis osservò Green mentre guardava in su
verso la croce. Sembrava che stesse parlando con il figurante.
<<Marshall si girò e lentamente scese lungo la collina guardandosi i
piedi e gli ci vollero altri tre minuti. Andò dritto verso Kubrick e
gli disse: "È un dannatissimo manichino". Kubrick non mostrò alcu-
na sorpresa o rammarico e gli diede una risposta tranquilla del tipo:
"Oh, allora mettigli dei fili e fallo muovere"».
Originariamente il team degli stuntman avrebbe dovuto lavorare
per cinque, sei mesi; quando Spartacus fu concluso, le sei controfigu-
re lavoravano da un anno.
Il vecchio amico di Kubrick, Alexander Singer, era giunto sul set
per fornire un sostegno al regista che per la prima volta si trovava a
dover gestire un'opposizione che metteva a dura prova il suo accanito
senso del controllo artistico. Kubrick, lamentando la mancanza di
supporto, domandò a Singer che stava lavorando come produttore
associato di Leslie Stevens di dargli un passaggio fino allo stabili-
mento dei teatri di posa. Durante la strada, Singer apprese che ogni
mattina Kubrick sapeva appena ciò che avrebbe dovuto girare duran-
te il giorno; Dalton Trumbo stava furiosamente riscrivendo la sce-
neggiatura e Kubrick non poteva contare su quel dominio assoluto
che la sua psiche richiedeva.
198
Singer osservò Kubrick dirigere il set di Spartams e fu testimone
degli esperimenti compiuti utilizzando la musica sul set. Singer lo
guardò mentre girava la scena in cui Kirk Douglas e Woody Strode
aspettano di combattere l'uno contro l'altro fino alla morte per sod-
disfare il piacere di Laurence Olivier e dei suoi amici. «Woody
Strode era un uomo dotato di una dignità innata>>, nota Singer.
«Quando portavi la macchina da presa su di lui c'era qualcosa di spe-
ciale. Stanley aveva bisogno di una sua prestazione molto curiosa.
Doveva interpretare un uomo che riflettendo poneva a se stesso delle
domande profonde. "È questo che faccio nella vita, uccidere il mio
amico per i piaceri dei miei padroni?". Questo era il pensiero che si
agitava nella sua mente. Beh, non aveva molto senso dire a Woody
Strode di recitarlo e io non penso che Stanley avesse alcuna intenzio-
ne di dirgli qualcosa. C'era un limite a quello che Woody Strode era
in grado di rendere, ma Stanley fece suonare della musica. Non
dimenticherò mai il potere sprigionato da quella musica e ciò che
accadde al viso di Strode quando la musica attaccò. Ero vicino alla
macchina da presa e riuscii a vedere il suo volto mentre si trasforma-
va. Si trattava di un concerto di Prokof'ev, un passaggio indimenti-
cabile, non un frastuono. Traboccava di un desiderio infinito e inten-
so, una specie di storia d'amore, e l'effetto che suscitò su Strode fu
straordinario>>.
Infine Kirk Douglas dovette decidere come gestire i crediti per la
sceneggiatura del film. Sia Lewis che Douglas da lungo tempo dete-
stavano la lista nera. La sceneggiatura definitiva venne attribuita a
«Eddie Lewis e Sam Jacksom>.
Douglas indisse una riunione con Lewis e Kubrick per discutere
della faccenda. Lewis si dichiarò contrario a vedersi attribuire un
merito che non gli spettava, il che lasciava come unica alternativa
quella di utilizzare il nome fittizio di Sam Jackson come unico sce-
neggiatore. Douglas aveva la sensazione che utilizzare uno pseudo-
nimo non avrebbe ingannato nessuno e sarebbe stato moralmente
scorretto.
Allora Kubrick suggerì di mettere nei crediti: <<Sceneggiatura di
Stanley Kubricb. Douglas e Lewis rimasero sbalorditi. Douglas si
girò verso il regista e disse: «Stanley, non ti sentiresti imbarazzato
a porre la tua firma su una sceneggiatura scritta da qualcun
altro?>>. Kubrick replicò: «No>>; così racconta Douglas nella sua
autobiografia.
L'incontro giunse a una brusca conclusione e Douglas e Lewis pre-
sero una coraggiosa decisione. Il mattino successivo, Kirk Douglas
telefonò agli uomini della sicurezza degli Universal Studios e disse
semplicemente: «Vorrei lasciare un pass per Dalton Trumbo>>. La
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lista nera stava per ricevere un colpo mortale. Otto Preminger, che
aveva ingaggiato Trumbo per scrivere la sceneggiatura del suo film
epico Exodus, ben presto annunciò pubblicamente che Dalton
Trumbo sarebbe apparso nei crediti per la sceneggiatura. Nella sua
autobiografia, Douglas insiste nell'affermare che infrangere la lista
nera non fu un atto d'eroismo ma una reazione d'impulso alla dichia-
razione di Kubrick, che sarebbe stato disposto a prendersi dei meriti
per una sceneggiatura che non aveva scritto.
Il film si avviava verso la fase di postproduzione. Quando Kubrick
e il montatore Robert Lawrence furono pronti per il montaggio di
Spartacus, la proiezione del materiale girato non riscosse grandi con-
sensi. Trumbo si sedette e scrisse personalmente a macchina una cri-
tica al film della lunghezza di oltre ottanta pagine, divisa in due
sezioni: «I due punti di vista conflittuali su Spartacus» e «Scena per
scena attraverso il film>>. Douglas la definì «l'analisi più brillante
che io abbia mai letto» e ordinò che il film fosse girato e strutturato
di nuovo.
Douglas richiese e ottenne altro denaro per girare le scene di guer-
ra che erano indicate nella stesura preliminare della sceneggiatura e
poi non sviluppate. Fu a questo punto che Kubrick andò in Spagna
per riprendere i totali dello schieramento degli eserciti. L'intenzione
originaria era quella di effettuare successivamente una dissolvenza
che introducesse il sanguinoso esito finale. La critica di Trumbo con-
vinse Douglas della necessità di girare le riprese ex nova e di avere a
disposizione una maggior quantità di materiale relativo alla batta-
glia. Kubrick in Spagna riuscì a ottenere dal governo di impiegare
l'esercito spagnolo nel ruolo dei legionari romani.
Dopo il rifacimento delle riprese, il film tornò in sala di montag-
gio. Anche il reparto montaggio risentì dello sconvolgimento del
progetto originario. Quando Anthony Mann fu sollevato dall'incari-
co, Robert Swink, il montatore del film, lo seguì insieme al suo assi-
stente Hal Ashby, che sarebbe diventato il regista di Harold e Maude,
Questa terra è la mia terra, Tornando a casa e Oltre il giardino. Irving
Lerner si assunse quindi la responsabilità del montaggio. Kubrick
aveva avuto dei contatti precedenti con Lerner nel periodo in cui
aveva lavorato con Brando a l due volti della vendetta. Faith Hubley, la
montatrice e creatrice di film d'animazione che Stanley aveva cono-
sciuto al 1600 di Broadway a New York, conosceva bene l'ambiente
di Hollywood e aveva dato a Kubrick il numero telefonico di Lerner
dicendogli: «Se ti capitasse di avere dei problemi chiama Irving».
Kubrick fece entrare Lerner nel progetto di Spartacus come montato-
re e regista della seconda unità, ma poiché erano spesso in disaccor-
do, la parte principale del montaggio venne affidata a Robert
200
Lawrence, che aveva lavorato come assistente al montaggio in Il
cavaliere della valle Jolitaria e V n poJto al Jole. Lawrence aveva già
lavorato con Lerner ed era stato montatore nel film diretto da
Lerner, AJJaJJinio per contratto. Durante la lavorazione di SpartacuJ,
Lerner aveva già in serbo altri progetti, così decise di portare con sé
Lawrence che si sarebbe occupato del montaggio sotto la sua super-
visione. Lerner però iniziò a trascorrere sempre meno tempo nella
sala di montaggio di SpartacuJ e sempre di più in discussioni con il
regista. Alla fine Lawrence si trovò a montare SpartacuJ a stretto
contatto con Stanley Kubrick. «C'era molta pellicola e molta era
stata montata», ricorda Lawrence, montatore di El Cid, 55 giorni a
Pechino e RapJodia per un killer. «La guardai e dissi: "Perché mai
qualcuno dovrebbe volerla cambiare, sembra buona". Non funzionò.
Mentre Stanley lavorava al film stava già pensando a Lolita: non
avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo film. Lui l'avrebbe
realizzato in modo diverso e c'erano troppe manovre politiche di
mezzo. Andavamo d'accordo. Conoscerlo fu una delle più importanti
esperienze della mia vita ma il suo bighellonare in giro creava un
sacco di problemi a tutti. La sua più grande ambizione da ragazzino
era stata diventare un giocatore di baseball. Lavorava tutti i sabati, il
che significava che faceva fare a tutti gli straordinari. Portava con sé
un'intera troupe e poi voleva uscire a giocare a Jtù·kball sulla New
York Street, fuori dal complesso degli stabilimenti della Universal.
Aveva mazza e palla. Io uscivo sulla strada a dirgli: "Stanley, ho fatto
questi cambiamenti" e lui mi rispondeva: "Aspetta un minuto,
aspetta un minuto, ho ancora due fuorigioco, devo mandare fuori
quel tizio". Questi erano gli orari straordinari. I tesorieri della
Universal dicevano: "Stanley sei qui durante un orario che è conside-
rato straordinario, tutti quanti stanno facendo del lavoro straordina-
rio e tu giochi a baseball. Cosa credi di fare giocando a baseball?".
Ed egli rispondeva: "Ascolta, il sabato non è poi tanto costoso.
Pensaci. Pensa agli interessi che paghi su questo denaro, se riuscia-
mo a produrre sai quanto ti faccio risparmiare?". Naturalmente,
ogni sabato, alla fine della giornata faceva risparmiare dei soldi alla
Universai».
<<Passavo sempre a prendere Stanley e gli davo un passaggio fìno
allo studio, ma prima dovevamo fare una sosta al Merrill Lynch;
doveva controllare il mercato azionario. Quelle mattine erano un
grande spasso, ridevamo per tutto il tragitto fìno allo studio>>.
«Nella sala di montaggio, Stanley rimaneva dietro di me lanciando
una palla contro il muro al di sopra della mia testa e non dimostrava
certo una grande e profonda concentrazione, ma poi a un tratto dice-
va: "Perché non provi a mettere questo qui sopra?", e aveva ragione.
201
Allora io mi dicevo: "Perché non ci ho pensato?". A volte riusciva a
essere davvero molto generoso e gentile. Una volta ero talmente
disperato che provai a fare una cosa che temevo di mostrargli.
Quando Spartaco viene passato in rassegna da Olivier il quale gli
domanda: "Spartaco, sei tu, vero?", Kirk sputa in faccia a Olivier il
quale gli dà uno schiaffo. Bene, lo schiaffo era così rapido che quasi
non lo si vedeva. Allora io usai un doppio schiaffo; la seconda volta
utilizzai un ampio, disteso campo lungo. Non ne parlai a nessuno;
glielo mostrai e lui non commentò ma poi successivamente mi disse:
"Ehi, era carino". Gli era piaciuto molto e fu davvero meraviglioso>>.
Durante la produzione e la postproduzione di Spartacus, James B.
Harris continuava a lavorare a Lolita fuori dal bungalow di Kubrick.
Oltre a lavorare per la successiva produzione della Harris-Kubrick,
James era lì anche per sostenere il regista e amico in quella singolare
esperienza nella quale non disponeva di alcuna libertà registica.
Lawrence osservò che Kubrick non era minimamente toccato
dall'antagonismo della troupe. «Stanley e il direttore della fotografia
Russ Metty non si vedevano di buon occhio. Russ diceva spesso a
metà tra la battuta e il tono serioso: "Facciamo smontare dalla gru
quel piccolo ragazzo ebreo del Bronx". Ma questo non disturbò
Stanley nemmeno un po', mai>>.
Nella sua autobiografia, Tony Curtis ricorda Russell Metty come
un <<uomo turbolento con la faccia rossa che bazzicò nel settore per
anni. Aveva sempre una tazza piena di Jack Daniel's>>. Curtis descri-
ve Metty come un tipo «Socievole e simpatico>>, un uomo con
vent'anni più di lui che guidava il giovane attore come un fratello
maggiore ma che detestava Stanley Kubrick. <<Per Metty, Kubrick
era solo un ragazzino, uno sbarbato. "Questo tizio dirigerà il film?
Sarà lui a dirmi dove mettere la macchina da presa? Dev'essere uno
scherzo". Era questo il suo atteggiamentO>>, spiegava Curtis.
<<Eravamo nel teatro di posa 12 della Universale stavamo girando la
scena in cui Kirk si accorda con Herbert Lom, il mercante, per otte-
nere le navi che consentiranno la fuga ai suoi uomini. La provammo
tre o quattro llolte, poi entrarono le controfigure per consentire a
Metty di regolare l'illuminazione. Quando ebbe finito, Marshall
Green disse: "Siamo pronti" e allora entrammo io, Kirk e Herbert.
Kubrick sedeva di lato e Metty guardava, seduto su una sedia alta e
grossa con la sua tazza di caffè. Kubrick non disse mai nulla e io non
ero sicuro di cosa pensasse: la sua mente era sempre altrove. Alla fine
si alzò, esaminò l'inquadratura, si avvicinò a Russ Metty e gli disse:
"Non riesco a vedere i volti degli attori">>.
Il viso di Russ Metty, che era già rosso per natura, divenne paonaz-
zo. Non disse una parola e se ne stava lì fumante di rabbia sulla sua
202
sedia alta con il nome scritto sullo schienale. Per caso, vicino alla
sedia, c'era una piccola luce diciamo non più grande della circonfe-
renza di una bottiglia di birra: era un piccolo e sottile fascio di luce
concentrata coperto da un otturatore, posto sopra un tripode
all'altezza di un metro e mezzo circa. Russ Metty si limitò a solleva-
re il piede e a darle un grosso calcio facendola scivolare sul set e sulla
scena. La luce rotolò fino ad arrestarsi. Quando si fu fermata, Metty
guardò Kubrick e gli disse: "Adesso l'illuminazione è sufficiente?".
Kubrick si limitò a guardare la luce, poi si girò verso Russ e gli
rispose: "Adesso c'è troppa luce">>.
«Quasi tutti trattavano Kubrick in quel modo. Non avevano nes-
suna idea della persona con la quale avevano a che fare.
Successivamente divenne una celebrità e fu santificato dalla
Universale da chiunque altro, ma non in quei giorni>>.
Sebbene Kubrick fosse sottoposto all'enorme pressione di una pro-
duzione epica e dovesse scendere a patti con delle onnipresenti lotte
di potere, il suo scarso coinvolgimento in un film che non era davve-
ro suo e il suo innato senso dell'umorismo nero lo aiutarono a muo-
versi attraverso il progetto.
Saul Bass iniziò a occuparsi della sequenza dei titoli di Spartams,
che si colloca tra i migliori lavori della sua superba carriera. Per que-
sto film Bass lavorò a stretto contatto con la moglie Elaine, con la
quale gli era capitato spesso di collaborare. Scoprirono un negozio
sulla Formosa Avenue sul lato opposto del Goldwyn Studio, nel
quale acquistarono delle copie di statue romane, le dipinsero e utiliz-
zarono teste, parti del corpo e spade per creare dei formidabili titoli
di testa. La sequenza utilizza simboli che vengono messi in relazione
ai personaggi principali a mano a mano che questi sono presentati
con i loro nomi. Essa mostra profili di teste romane e finisce con la
ripresa frontale di una testa che si infrange in mille pezzi a simbolo
della caduta di Roma.
Le immagini in dissolvenza si susseguono sovrapponendo
un'immagine all'altra. Originariamente Bass aveva predisposto delle
dissolvenze di oltre tre metri di pellicola per creare lunghi momenti
di sovraimpressione prima che l'immagine si dissolvesse e quella
successiva raggiungesse la sua forma piena: la prima versione dei
titoli durava quasi cinque minuti. Bass finì con il produrre un corto-
metraggio completo come inizio di Spartacus. Mostrò a Kubrick la
stquenza e quando le luci si riaccesero il regista lo guardò e gli disse:
<<Saul, cinque minuti?>>. Bass apprezzò il tono dolce di Kubrick e
capì di aver ecceduto. Procedette quindi a tagliare in sede di mon-
taggio le dissolvenze finché non raggiunse l'attuale lunghezza di tre
minuti e trenta secondi. Non vi fu alcun cambiamento nelle imma-
203
gini. Sedendo nella sala insieme a Kubrick, Bass istintivamente capì
che la sequenza era giusta ma che doveva essere compressa.
La colonna musicale scritta da Alex North venne registrata negli
studi della Goldwyn. North aveva impiegato quasi un anno per
comporla. «Fu un'esperienza grandiosa», disse North a Irwin
Bazelon in un'intervista per il libro Knowing the Score: Notes on Film
Music. ((Ebbi la grande fortuna di scrivere una colonna musicale
provvisoria per due pianoforti e due percussioni, che doveva accom-
pagnare, ad esempio, la scena della battaglia in modo da consentire
al montatore Irving Lerner di adattare la scena alla musica, il che era
un procedimento piuttosto insolito. Ma non era la colonna sonora
finale!>>.
Il flusso costante di girato in gran quantità proveniente dal set
teneva Robert Lawrence nella sala di montaggio praticamente venti-
quattr'ore su ventiquattro. ((Ero arrivato a dormire sotto il tavolo di
montaggio>>, ricorda. Entro i confini della sala di montaggio
Kubrick reagiva alle pressioni che gli venivano dalla produzione e al
suo status di semplice esecutore con un comportamento malizioso e
turbolento. ((Stanley mi portava ogni genere di foto porno», ricorda
Lawrence. ((Avevamo una stanza senza finestre, la cui unica luce pro-
veniva da un globo posto in alto. Stanley saliva su una sedia e acco-
stava al globo le foto porno senza che se ne accorgesse nessuno».
Kubrick era un grande fanatico di baseball e dava al suo montatore
il consiglio che Leo Durocher ripeteva più spesso. ((Era molto cinico,
continuava a ripetermi: "Non dimenticare, Lawrence, i bravi ragazzi
arrivano ultimi"».
La passione di Kubrick per il baseball continuava dentro e fuori la
sala di montaggio. (dmitava i lanciatori», ricorda Lawrence. ((Aveva
un pallina da tennis e un guantone. Si tendeva al massimo, tirava, e
la palla ritornava dopo aver rimbalzato forte contro la parete».
I tiri mancini e la pratica del baseball non influenzavano l'intensa
concentrazione di Kubrick e la sua abilità in sala di montaggio. ((Era
un montatore stupendo», ricorda Lawrence. ((Sapeva dove fermare.
In un primo momento me la presi perché diceva: "Taglia qui, taglia
qui e taglia qui". Io allora imbrogliavo e tagliavo due fotogrammi
prima o due fotogrammi dopo, ma la maggior parte delle volte mi
scopriva e mi diceva: "È qui che volevo?"».
Anche nell'unica esperienza da semplice esecutore avuta da
Kubrick, il suo ossessivo modus operandi pervase ii suo modo di fare
regia. ((Quando il film fu terminato e i tecnici si stavano preparando
a missarlo, diedi al montatore del suono il mio libro dei codici»,
ricorda Robert Lawrence a proposito del bollettino di edizione che
contiene una lista di tutto il metraggio delle inquadrature del film e
204
i corrispondenti codici e i numeretti fotografici stampati sul bordo
della pellicola. Stanley domandò: "Quanti ne hai di questi?".
Risposi: "Uno". E lui disse: "Fammene una copia". Io gliela feci e mi
ci volle un bel po' di lavoro. Allora mi disse: "Quindi io ne ho una e
tu ne hai una e questi ragazzi hanno le loro copie. Supponi di perde-
re la tua. Fanne due copie". Ben presto avemmo diverse copie di
ogn1 cosa>>.
Il montaggio del sonoro di Spartacus fu un lavoro spaventoso.
Kubrick mise a frutto la sua attenzione meticolosa e applicò la sua
crescente conoscenza di ogni aspetto del processo cinematografico.
Uno dei montatori del suono era Frank Warner che aveva cominciato
a lavorare negli effetti sonori per la radio e per la televisione. Nel
corso della sua carriera, Warner aveva supervisionato il sonoro in
Incontri ravviànati del terzo tipo e Taxi Driver. Il suo contributo a Toro
scatenato è considerato dagli addetti ai .lavori uno dei risultati più raf-
finati nella storia del sonoro cinematografico. Negli anni Sessanta e
Settanta, Warner gettò le basi per quello che sarebbe diventato
l'avvento del creatore degli effetti sonori; Spartams fu la sua prima
esperienza nella realizzazione di lungometraggi. «Stanley Kubòck fu
la prima persona che mi fece capire che la cinematografia era una
forma d'arte>>, disse Warner, che attualmente si è ritirato a Sedona in
Arizona. «Andavamo fuori a cena e rimanevamo seduti al tavolo a
parlare. In Spartacus c'erano immagini di migliaia di soldati e la sua
filosofia era quella di concentrarsi sulle azioni che si svolgevano in
primo piano. Mi insegnò a riuscire a controllare questo aspetto. Mi
fece capire che era necessario concentrarsi sulla storia principale che
stavamo raccontando e che il sonoro dell'immagine fa parte della
storia. Quando sta infuriando una battaglia e due personaggi stanno
facendo qualcosa insieme non puoi avere uno schermo Cinemascope
pieno del rumore di diecimila persone>>.
Kubrick incoraggiò il montatore del suono a creare degli effetti
sonori che aiutassero lo spettatore a entrare nella mente dei perso-
naggi di Spartacus. Successivamente Frank Warner utilizzerà la teoria
dell'uso psicologico del suono per penetrare nell'anima tormentata
di Jake LaMotta in Toro scatenato. «Nella grandiosa scena in cui
Spartaco siede in attesa di andare a combattere, il protagonista è
solo, in una cella isolata e si sentono i rumori di sottofondo dei suoi
amici nell'arena. Kubrick voleva entrare nei pensieri di Spartaco,
nellt: sut: paure. Da quel momento in poi se mi è capitato di rt:alizza-
re qualcosa nel mio lavoro è perché ho imparato da lui>>.
Della squadra dei fonici che lavorarono a Spartacus faceva parte
anche Jack Foley, il leggendario fonico della Universal che inventò
il procedimento per fabbricare e registrare in studio gli effetti
205
sonori come i passi e altri suoni (ora chiamati Foley in suo onore).
Foley fu coinvolto direttamente nella creazione di suoni per le
intricate scene di guerra. La colonna sonora registrata durante le
riprese non era nulla più di una guida per la squadra che si occupa-
va del sonoro e fu del tutto eliminata. Uno dei lavori chiave svolti
da Jack Foley fu quello di rendere viva la battaglia dal punto di
vista uditivo. «Lo incontrai per la prima volta durante la lavorazio-
ne di Spartacus», ricorda Frank Warner. «Ricordo che mi trovavo
sulla scena e vidi sei tizi che camminavano in giro facendo tintin-
nare degli anelli sui quali si attat:cano i tendaggi. Sullo schermo
camminavano diecimila uomini e quei sei tizi si muovevano facen-
do ching, fhing, ching».
John Bonner, un responsabile tecnico dei Warner Hollywood
Studios e vincitore del Cinema Audio Society Lifetime Achievement
Award, era uno studente a tempo pieno della Ucla quando lavorava
come ingegnere del suono nella squadra scelta per effettuare il nuovo
missaggio di Spartafus. «Cominciavamo alle sei di sera e lavoravamo
fino alle due di mattina. Stanley diceva: "No, era perfetto, ma pro-
viamo così". E questo accadeva nella fase finale, dopo mesi di caratu-
re e suoni combinati quindi era difficile provare qualcosa di nuovo,
ma lo facevamo. Era molto creativo e sinceramente interessato al
risultato», ricordava Bonner.
Kubrick continuava a ricercare modi nuovi di missare il sonoro,
anche se magari finiva per ritornare a una versione precedente che
avevano già provato. Nel 1960 non era possibile andare avanti e
indietro per riversare una piccola sezione se c'era stato un errore o se
il regista decideva di cambiare qualcosa. Non c'erano degli inserti di
registrazione, quindi bobine della lunghezza di migliaia di metri
dovevano essere registrate in un'unica presa sonora senza tornare
indietro. Ogni volta che Kubrick modificava qualcosa era necessario
rifare l'intera bobina.
Nel corso degli estenuanti mesi di missaggio di Spartafus, la squa-
dra del sonoro fortemente motivata si adoperò per dare al regista
quello che voleva. Il veterano Murray Spivak, che aveva lavorato nel
King Kong originale, era il responsabile del missaggio e contempora-
neamente lavorava al film epico di John Wayne La battaglia di
A/amo.
Don Rogers era stato scelto da Gordon Sawyer, il fonico di Samuel
Goldwyn, per sostituirlo ai Goldwyn Studios; era un recordista di
Spartacus. Rogers lavorava agli apparecchi dei nastri magnetici che
venivano provati fino al limite durante il difficile processo di mis-
saggio. «Lavorammo al film per nove mesi>>, ricorda Rogers, oggi
dirigente della Warner Bros. e vincitore nel 1995 deii'Academy of
206
Motion Picture Arts and Sciences' Gordon Sawyer Award. <<Stanley
veniva a lavorare alle undici di sera. Lavoravamo di notte. Ci occupa-
vamo di La battaglia di A/amo durante il giorno e la sera lavoravamo
a Spartarus con troupe separate. Murray Spivak missava entrambi i
film. Disponevamo solamente di un reparto missaggio, così si effet-
tuavano degli effetti predoppiati su un film e poi si faceva la bobina
finale dell'altro film.
<<Arrivavamo alle sei di sera, la troupe che lavorava durante il gior-
no se ne andava alle sei e mezza. Stanley veniva sempre a lavorare
alle undici. A mezzanotte avevamo una fame da lupi, eravamo pronti
per mangiare e Stanley voleva iniziare a fare un'altra ripresa. Non
andavamo mai a mangiare prima delle due del mattino. A quell'ora
c'erano pochi posti dove andare a mangiare, così ognuno si portava la
cena da casa. Ci occupammo del missaggio per nove mesi; quindi
arrivai a conoscere Stanley molto bene>>.
<<In quei giorni veniva usato il sistema del panning. Avevano un
potenziometro di panning e ogni persona sullo schermo doveva essere
sistemata esattamente dov'era: la stessa cosa valeva per ogni effetto,
ogni passo, ogni colpo, ogni schianto, tutto! Veniva fatto un posizio-
namento preciso di ogni cosa e ci volevano ore per fare la panoramica
di queste cose, era incredibile», rammentava Roger. Il termine
inglese pan pot è l'abbreviazione di panoramir potentiometers, potenzio-
metri di panning, ovvero un sistema di controllo composto da due
controlli del volume connessi con una comune manopola utilizzata
per muovere un suono da parlante a parlante, per fare una panorami-
ca o per posizionare un suono. <<Se andavi sotto i venti metri e sba-
gliavi ti giocavi tutto il lavoro e dovevi ricominciare da capo», spie-
gava Roger. «Richiedeva molto tempo. Stanley è un vero perfezioni-
sta, un perfezionista esigente. Vuole che ogni cosa sia assolutamente
perfetta. Nove mesi! È stato il progetto più lungo al quale io abbia
lavorato in tutta la mia vita».
<<Facemmo un mucchio di cambiamenti in Spartarus. Un giorno
mentre stavamo missando Stanley voleva operare un cambiamento
dopo la battaglia che termina con l'ecatombe», ricordava Robert
Lawrence. <<Così togliemmo la copia di lavorazione dal proiettore e
la portammo in una piccola stanza e io domandai: "Perché lo vuoi
fare?". Stanley rispose: "Beh, sarebbe meglio se ... ". Forse aveva ragio-
ne ma rinunciammo. Avrebbe significato cambiare tutto il sonoro
perché non avevamo predoppiato nulla. Nel passare la pellicola avan-
ti e indietro sulla moviola mi finì il dito nel tamburo dentato per il
trascinamento della pellicola. Stanley aveva messo il piede sul peda-
le, ma il mio dito rimaneva incastrato e non riuscivamo a farlo usci-
re. Dovemmo andare indietro per sfilarlo e io sentii un male terribi-
207
le. Alla fine uscì. C'era del sangue alla base della pellicola nella
moviola e Stanley disse: "Bob, l'hai sporcato così tanto, non riuscire-
mo mai a togliere tutto questo sangue, non riusciremo più a farci
passare nessuna pellicola". Del mio dito non gliene fregava niente.
Mi portarono in ospedale e mi cucirono. Quando ritornai non disse
una parola. Passarono giorni interi senza che menzionasse l'accaduto.
lo ero talmente felice di avere ancora il dito che dimenticai di essere
arrabbiato con lui. Poi un giorno gli dissi: "Brutto figlio di puttana,
uno di questi giorni ti si impiglieranno le palle nella moviola e io
manderò avanti in fretta la pellicola!". Allora lui rispose: "Ascolta,
non ha senso che io ti manifesti la mia solidarietà quando ormai la
cosa è risolta"».
Sebbene la colonna sonora di Spartacus sia stata composta da Alex
North, Kubrick cercò di introdurre anche altre musiche, un'idea la
cui applicazione rivoluzionerà la natura della musica di 2001. Per la
sequenza nella quale Marco Crasso (Laurence Olivier) assume il
comando di Roma, Kubrick chiese di inserire The Battle of New
Orlean.r. A un certo punto venne considerato anche il valzer Danubio
Blu che poi finirà in 200 l: Odissea nello spazio.
Per le voci di sottofondo la produzione andò a una partita di foot-
ball tra il Michigan State e il N otre Dame giocata a East Lansing nel
Michigan nell'ottobre del 1959, e registrò i 76.000 fan urlanti su
suono stereo a tre canali per riprodurre le voci che si sentono nelle
scene dove gli uomini dicono: «Sono io Spartaco>> e «Ave Crasso!>>.
Successivamente questo elemento divenne parte del leggendario mis-
saggio del sonoro che andò avanti per mesi.
Per la scena conclusiva del film epico della durata di tre ore e
diciotto minuti, Kubrick si lasciò andare a degli scherzi. Prima chie-
se al montatore Robert Lawrence di inserire il tema di Luci della
ribalta di Chaplin come sottofondo musicale dell'ultima sequenza,
nella quale Spartaco sta morendo sulla croce e Varinia gli mostra il
loro bambino. Poi, quando si stava preparando il primo montaggio
del film, disse: «Sai cosa sarebbe bello fare?>>. «E io risposi. "No,
cosa?">>, ricordava Lawrence. «Disse: "Non facciamo mai vedere
Kirk. Lei tiene in alto il bambino e dice quello che deve dire ma noi
non lo vediamo lassù". Gli dissi: "Sei pazzo. Ci uccideranno!". Ed
egli rispose: "No, vale la pena di provare, forza". Proiettammo il
film in una grande sala della Universal; Kirk ed Eddie Lewis erano
seduti davanti. Io e Stanley eravamo in fondo dove c'era il comando
centrale: gli piaceva gingillarsi con il controllo manuale del sonoro
durante le riprese. Proiettammo l'intero film senza fermarci e sem-
brava che tutto andasse molto bene. Arrivammo alla fine senza che
comparisse mai una sola immagine di Kirk sulla croce. Ci fu la gran-
208
de dissolvenza con il carro che si allontana lungo la strada e poi si
accesero le luci.
La sera precedente c'era stata una proiezione e quindi erano state
aggiunte delle sedie pieghevoli. Kirk afferrò una delle sedie e la lan-
ciò. Era fuori di sé dalla rabbia. "Sei licenziato - e anche tu sei licen-
ziato, voglio parlarti!" - Uscirono a passo risoluto mentre Eddie
Lewis fumava la pipa e diceva: "Aspetta un momento Kirk, aspetta
un momento". Pensavo che la mia carriera fosse finita ma Stanley mi
disse: "Sai una cosa, d'ora in avanti niente scherzi, non si scherza più
con lui. Sì signore, no signore, è questo che vuole? Sì, e quindi io lo
farò. Niente domande, niente scherzi". Accadde di venerdì. Il sabato
né io né Stanley andammo lavorare e io non lavorai neppure la
domenica, fatto strano se si considera che avevamo sempre fatto gli
straordinari. Il lunedì andai nella sala montaggio. Vidi Stanley e
Kirk che se ne andavano in giro come due amiconi. Sistemarono
tutto durante il week-end dando a me tutte le colpe. Stanley disse:
"Ascolta, cominciamo dall'ultima bobina. Che ne è stato di quei
primi piani di Kirk sulla croce?">>.
Quando Kirk Douglas ebbe la prima idea di Spartafus, il suo agen-
te alla Mca era Lew Wasserman. Durante la produzione del film la
Mca acquistò la Universal, pagando 11.250.000 dollari, ovvero
750.000 dollari in meno del budget di Spartams che venne stimato
intorno ai 12.000.000 dollari.
Il 5 agosto 1960 mentre Spartafus stava per terminare, Christiane
diede alla luce un'altra bambina, Vivian Vanessa Kubrick, al Beverly
Hills Doctors Hospital. Ora Stanley Kubrick era l'orgoglioso padre
di tre bambine.
Mercoledì 19 ottobre 1960, al Pantages Theater ci fu la prima hol-
lywoodiana di Spartaats. Tra il concepimento e il completamento del
film erano trascorsi tre anni. Quando Spartafus venne distribuito, la
American Legion of Decency inviò diciassettemila lettere imploran-
do i destinatari di non andare a vedere Spartafus e criticando Douglas
per aver ingaggiato uno scrittore comunista. L'onnipotente Hedda
Hopper condannò il film per la sua efferatezza dicendo ai lettori: «La
storia della Universal è stata tratta da un libro scritto da un comuni-
sta e la sceneggiatura è stata scritta da un comunista, quindi non
andate a vederlo>>. Gli attacchi da parte d.i gruppi patriottici conti-
nuarono su diversi fronti ed erano principalmente diretti contro
Dalton Trumbo e Howard Fast. Desiderando mostran:: il suo appog-
gio al film, il presidente John F. Kennedy ignorò la tradizione della
Casa Bianca, si recò senza avvisare a una proiezione di Spartacus in un
cinema pubblico di Washington e ne fece una buona recensione per
la stampa, un atto che fu molto apprezzato da Dalton Trumbo.
209
Con grande sorpresa, Spartacus non ottenne la nomination all'Oscar
per il miglior film ma vinse il premio in quattro categorie: Peter
Ustinov vinse l'Oscar come miglior attore non protagonista; nono-
stante l'antagonismo con il giovane regista, Russell Metty portò a
casa il premio per la miglior fotografia a colori; Alexander Golitzen,
Eri c Orbom, Russell A. Gausman e Julia Heron vinsero il premio
per la miglior scenografia e Valles e Bill Thomas ottennero l'Oscar
per i migliori costumi. Alex North ottenne una nomination per la
sua magnifica colonna sonora e Robert Lawrence per il suo eroico
montaggio del complesso film epico.
La lezione suprema che Kubrick imparò dall'esperienza di
Spartacus fu che doveva avere pretendere autonomia nei film che
dirigeva. «Spartacus è l'unico film del quale io non abbia avuto un
controllo assoluto>>, disse Kubrick allo scrittore Gene D. Phillips.
((Il film arrivò a distanza di due anni dall'ultimo lungometraggio
che avevo diretto. Quando Kirk mi offrì la regia di Spartacus pensai
che avrei potuto farne qualcosa di buono se fosse stato possibile
cambiare la sceneggiatura. Ma l'esperienza mi insegnò che se non
viene esplicitamente stipulato nel contratto che le tue decisioni
saranno rispettate, c'è una grande probabilità che ciò non accada. La
sceneggiatura avrebbe potuto essere migliorata nel corso delle ripre-
se ma non fu così. Kirk, il produttore, Dalton, lo sceneggiatore, ed
Edward Lewis, il produttore esecutivo, fecero andare le cose come
volevano loro>>.
Spartacus segnò la fine della collaborazione tra Stanley Kubrick e
Kirk Douglas. Nell'autunno del 1961 Kubrick e il suo avvocato
Louis Blau incontrarono Douglas nella sua casa di Canon Drive e
chiesero lo scioglimento del contratto con la Bryna Company. Dopo
alcune trattative, il 15 dicembre 1961 Kubrick venne sollevato dal
suo impegno contrattuale. Nella sua autobiografia Douglas osserva:
((Nei trent'anni trascorsi dalla realizzazione di Spartacus, Stanley ha
fatto solamente sette film. Se lo avessi tenuto legato al contratto, la
metà dei suoi film sarebbero stati realizzati con la mia società>>.
Douglas riassume i sentimenti provati lavorando a Spartacus con
Stanley Kubrick con delle parole dure: ((Una persona di grande
talento non deve essere necessariamente anche simpatica. Puoi essere
uno stronzo e avere talento e al contrario puoi essere la persona più
simpatica del mondo e non avere talento. Stanley Kubrick è uno
stronzo con del talentO>>.
210
Parte quarta
1960-1964
Inghilterra
Capitolo 11
Come sono riusciti a trarre un film
da Lolita?
l. Les Nymphettes di Henri Zaphiraros, 1961, distribuito in lralia con il tirolo L:t ninfet-
ta. (N.d.T.)
214
Nabokov sedeva su una panchina del giardino pubblico non distante
dal cottage al Beverly Hills Hotel che Swifty Lazar aveva prenotato
per lui: la sceneggiatura stava già delineandosi nella sua mente.
Il 9 marzo Kubrick presentò a Nabokov l'attrice Tuesday Weld,
che aveva recitato in Il re del rock and roll e Missili in giardino, ma
l'autore non la trovò adatta a interpretare il ruolo di Lolita. L'l l
marzo Kubrick inviò allo scrittore lo schema delle scene che avevano
discusso insieme e che riguardavano la prima parte del romanzo.
Nabokov iniziò a rendersi conto che Kubrick dava più ascolto a lui
di quanto ne desse ai censori e continuò a scrivere le due parti
restanti. I due uomini avevano trent'anni di differenza ma erano
entrambi giocatori di scacchi, comprendevano il lato oscuro della
natura umana e usavano la loro intelligenza per farsi strada in due
professioni molto impegnative. Nabokov aveva senza dubbio dato
prova, nel suo magistrale romanzo Lolita, di conoscere gli oscuri
recessi dell'Es, nei suoi film Kubrick sperimentava il lato oscuro
dell'animo umano. Sin dal suo primo lungometraggio, infatti, il
regista aveva esplorato la cruda brutalità emotiva e fisica della guerra
e la bramosia e la disperazione della malavita metropolitana: dietro
all'apparenza quieta e garbata di Kubrick si celava una visione del
mondo cinica e pessimistica.
Nel corso dei mesi che seguirono, gli incontri tra Nabokov e
Kubrick si diradarono progressivamente. Gli schemi della sceneg-
giarura smisero di arrivare, le critiche e i consigli diminuirono e
Nabokov fu lasciato solo a domandarsi se Kubrick stesse accettando
serenamente o piuttosto rifiutando silenziosamente il suo lavoro.
Ogni giorno, dalle otto del mattino fino a mezzogiorno, Nabokov
si dedicava alla caccia alle farfalle, mentre mentalmente componeva
la sceneggiarura. Dopo il pranzo cucinato da un cuoco tedesco, lo
scrittore sedeva su una sedia da giardino dove trascorreva quattro ore
a scrivere su delle schede le idee che aveva concepito durante la mat-
tinata. Alcune delle scene introdotte nella sceneggiarura traevano
spunto dal materiale rimasto inutilizzato e che era stato salvato da
Nabokov dopo che aveva distrutto il manoscritto originale del
romanzo.
Swifty Lazar riservò al suo cliente un vero trattamento da star e lo
presentò a John Huston, Ira Gershwin, David O. Selznick, John
Wayne, Gina Lollobrigida e Marilyn Monroe.
Alla fine di aprile Nabokov inviò a Kubrick :la seconda parte àd:la
sceneggiatura di Lolita. Nel corso dell'anno, Nabokov e Lazar aveva-
no tentato ripetutamente di far ottenere allo scrittore i diritti di
pubblicazione della sceneggiatura completa. L'avvocato di Kubrick
però continuava a tirare le trattative per le lunghe perché il regista
215
voleva evitare ogni possibile confronto tra la sceneggiatura di
Nabokov e la versfone definitiva del film. Kubrick sapeva che si
sarebbe preso delle libertà nei confronti del lavoro di Nabokov; il
regista infatti riscrisse la sceneggiatura anche se nei titoli comparve
solo il nome di Nabokov.
Alla fine di giugno Nabokov aveva più di un migliaio di schede e
una sceneggiatura di quattrocento pagine dattiloscritte che fu invia-
ta a Kubrick. I Nabokov andarono a Inyo County per trascorrere un
periodo di meritato riposo dedicandosi alla caccia alle farfalle.
Quando fecero ritorno a Mandeville Canyon, ricevettero una visita di
Stanley Kubrick, il quale disse a Vladimir che il suo copione era
troppo lungo, che aveva troppe scene e che ne avrebbero ricavato un
film della durata di sette ore. «Non si poteva tenerla così. Non la
potevi usare così com'era», disse James B. Harris a Richard Corliss
nel 1993. Kubrick consegnò a Nabokov una lista di parti che anda-
vano eliminate o cambiate; l'autore tenne conto di alcune di esse
mentre creava nuove sequenze.
Nel settembre 1960 Vladimir Nabokov portò a termine una ver-
sione più corta della sceneggiatura, che fu accettata da Kubrick: la
stesura della sceneggiatura aveva richiesto sei mesi di lavoro. Il 25
settembre, Nabokov incontrò Kubrick nella sua. abitazione di
Beverly Hills; in quell'occasione Kubrick mostrò allo scrittore delle
fotografie di Sue Lyon, alla quale era stato assegnato il ruolo di pro-
tagonista nel film.
Il trio composto da Nabokov, Stanley Kubrick e James B. Harris
era un modello di diplomazia e di acume verbale: Nabokov fornì un
brillante adattamento, Kubrick riuscì a modellarlo secondo la sua
personale visione cinematografica e James B. Harris continuò a por-
tare avanti il progetto attraverso il campo minato dell'opposizione
censoria. I tre uomini possedevano tenacia, determinazione e la capa-
cità di confrontarsi senza ricorrere al braccio di ferro tanto comune a
Hollywood, che portava alle minacce e alla voce grossa: il processo
creativo fu contorto ma civile.
Harris e Kubrick sapevano sin dal principio che l'adattamento
cinematografico di Lo!ita avrebbe costituito una sfida immane: il
libro era considerato un capolavoro letterario ma anche un testo pro-
vocatorio e, in alcuni circoli, pornografico. I due soci decisero di
accreditare al solo Nabokov la sceneggiatura; con l'eccezione di
Spartacus, questo fu l'unico film di Kubrick nel quaie la sceneggia-
tura venne riconosciuta a una persona sola, senza fare cenno al sup-
porto fornito dal regista. Nabokov voleva che la sua creazione rima-
nesse intatta, nel frattempo Harris e Kubrick lavoravano alla sce-
neggiatura in modo da contenerla in una determinata lunghezza,
216
controllarla sulla base delle suscettibili istanze censorie e renderla
cinematograficamente funzionale. Il credito per la sceneggiatura
riconosciuto esclusivamente a Nabokov poteva sembrare un'ammis-
sione della maestria dello scrittore e una mancata impronta della
Harris-Kubrick; in realtà i due soci erano ben consapevoli del fatto
che sarebbero stati aspramente criticati se si fossero cimentati con
un capolavoro, decisero quindi saggiamente di non esporsi in prima
persona. Alla fine però vennero introdotte numerose modifiche
rispetto al romanzo originale di Nabokov, che indagava l'oscura
inclinazione di Humbert Humbert per le ragazzine molto giovani, e
fu così inserita una rivendicazione risolutiva della comproprietà nei
titoli di testa: «La Seven Arts Productions, in associazione con la
Metro-Goldwyn-Meyer. Un film di James B. Harris e Stanley
Kubrick Lolita».
Geoffrey Shurlock si considerava un trait d'union tra l'industria
cinematografica e i gruppi politici e religiosi che fungevano da cani
da guardia per il pubblico. Al momento di ottenere il marchio di
approvazione James B. Harris e Stanley Kubrick assunsero una posi-
zione politica; la loro argomentazione fu: "Come può essere immora-
le una cosa considerata legale?", portando a riprova il fatto che in
alcuni Stati Lolita e Humbert avrebbero ottenuto il permesso di spo-
sarsi. Con il preciso intento di spostare l'attenzione, focalizzata sulla
figura di un uomo adulto ossessionato da un'adolescente, essi cerca-
rono di trasformare la narrazione in una curiosa storia d'amore.
Quando iniziarono a sentirsi sicuri del fatto che la storia avrebbe
potuto essere raccontata in modo tale da riuscire a ottenere il mar-
chio di approvazione, la Harris-Kubrick proseguì nell'accordo con la
Warner Bros. e Io studio procedette alla stesura dei contratti.
La documentazione completa fu inviata a Louis Blau, l'avvocato
della Harris-Kubrick. Dopo essere sopravvissuto a Spartacus,
Kubrick si era ripromesso di non rinunciare mai più a esercitare il
controllo su un film diretto da lui, quindi Stanley e James si allar-
marono nell'apprendere che il contratto prevedeva la consultazione
con la Warner Bros. (oltre. alla sua approvazione finale) per la mag-
gior parte degli ambiti produttivi, compresa la scelta del composito-
re, dell'operatore e del montatore. Secondo il contratto, inoltre, se
durante la lavorazione del film la Harris-Kubrick e lo studio non
fossero giunti a un accordo su un qualsiasi punto, il controllo della
produzione sarebbe passato nelle mani dello studio. L'accordo preve-
deva il pagamento di un milione di dollari più il 50 per cento dei
profitti a garanzia della copertura dell'investimento iniziale.
Harris e Kubrick dissero al loro legale di comunicare a Steve
Trilling che l'accordo era nullo: questa volta non ci sarebbe stato
217
alcun compromesso riguardo a chi avrebbe gestito il controllo sulla
produzione.
Ora che il contratto con la Warner era stato respinto, Harris e
Kubrick si misero alla ricerca di un attore che impersonasse
Humbert Humbert nell'intento di utilizzarlo come carta da giocare
per ottenere i finanziamenti necessari alla realizzazione del film.
Dapprima la scelta cadde su James Mason: Kubrick telefonò all'atto-
re e gli offrì la parte. Mason si mostrò entusiasta dell'idea ma aveva
firmato un contratto per apparire in un nuovo musical basato
sull'Anatol di Arthur Schnitzler.
Durante la produzione di Spartacus, Kubrick aveva suggerito a
Harris di parlare del ruolo a Laurence Olivier. Fu così che, nel corso
di un pranzo consumato nel loro bungalow alla Universal, Harris e
Kubrick parlarono a Olivier di Lolita; il brillante attore rispose che
ne avrebbe discusso con il suo agente della Mca. Poiché Ronnie
Lubin, il loro agente, lavorava alla Mca, i due soci credevano di
potercela fare; alla fine però l'agenzia consigliò al noto attore di non
partecipare a un progetto tanto controverso.
Harris e Kubrick proseguirono la loro ricerca di una star adatta al
ruolo; se infatti l'attore che avrebbe interpretato Humbert fosse stato
in qualche modo volgare o nevrotico, avrebbe creato un'atmosfera di
depravazione sessuale. Infine parlarono con il colto David Niveo, che
acconsentì a prendere parte al film. In seguito Harris e Kubrick ven-
nero convocati nell'ufficio di Abe Lasfogel, il responsabile della
potente William Morris Agency; l'incontro però non era stato orga-
nizzato per firmare i documenti ma per permettere all'agenzia di
porgere le scuse a nome di David Niveo, che era stato costretto a
ritirarsi dal progetto: egli infatti doveva prendere parte a Four Star
Playhouse e si temeva che gli sponsor avrebbero disapprovato un suo
coinvolgimento in qualunque progetto in odore di controversia. A
un certo punto anche Marlon Brando si mostrò interessato al ruolo
di Humbert ma alla fine nessuno riuscì a confermare con certezza la
propria partecipazione.
La strategia successiva adottata dalla Harris-Kubrick per ottenere
dei capitali da investire nella produzione del film si concentrò sulla
prevendita all'estero. Harris volò a New York e andò a pranzo con
Kenneth Hyman, un vecchio e caro amico dei tempi della scuola, il
cui padre, Eliot, dirigeva la Associated Artists. Harris parlò
all'amico di Lolita e i due fecero visita al vecchio signor Hyman.
«Conoscevo Eliot da quando ero bambino e lui diceva: "Che succede
bambini, cosa state facendo?">>, ricorda Harris. <<Così gli raccontai
tutto e lui mi domandò: "Di quanto hai bisogno?". E io risposi: "Un
milione di dollari". Prima della mia partenza, io e Stanley avevamo
218
valutato che quella sarebbe stata la somma che avrei dovuto tentare
di ottenere, perché avremmo potuto lavorare in qualche Paese dove i
costi erano più bassi e realizzare un film costoso solo in apparenza.
Noi due non avremmo guadagnato nulla e avremmo investito l'inte-
ra somma nel film. Allora Eliot Hyman disse: "È tutto qui quello
che vuoi, un milione? Va bene, lo avrai". Il nostro incontro fu davve-
ro breve>>.
L'accordo fu stipulato sulla base di una società al 50 per cento. Ora
che avevano il denaro, Harris e Kubrick decisero di non optare più
per una prevendita ma piuttosto di puntare alla vendita delle copie
all'estero; la Associated Artists aveva rapporti con un distributore
italiano, mentre tutti gli altri territori restavano aperti.
Harris convocò a New York Louis Blau, l'avvocato della società,
per definire con lui gli ultimi dettagli del contratto prima che il
produttore partisse per l'Europa. Ora il viaggio in Europa era finaliz-
zato a un altro obiettivo: non più alla prevendita bensì alla localizza-
zione di strutture di produzione dove fosse possibile realizzare Lolita
a un costo inferiore rispetto a quello che sarebbe stato necessario
lavorando in uno studio cinematografico di Hollywood.
Poi, per la seconda volta, fu un colpo di fortuna a influire sulle
sorti del film: come era già accaduto per Kirk Douglas in Orizzonti di
gloria, James Mason si liberò dai suoi impegni. Quando sua moglie
Pamela e i suoi amici seppero che egli aveva rifiutato il ruolo di
Humbert Humbert in Lolita, lo persuasero a ritornare sui suoi passi;
Mason era un grande ammiratore del romanzo di Nabokov e deside-
rava interpretare la parte, così telefonò a Kubrick e accettò il ruolo.
A quel punto la Harris-Kubrick disponeva del denaro e di una
star. I due soci decisero di girare il film in Inghilterra dove vigeva
l'Eady Pian, una legge in base alla quale ai produttori stranieri era
consentito dedurre le spese se 1'80 per cento dei collaboratori al pro-
getto fossero stati cittadini inglesi. A questo si aggiunse il fatto che
Mason era inglese; così furono presi gli accordi necessari per girare il
film in Inghilterra. Nabokov non venne convocato agli Elstree
Studios, presso i quali sarebbe stato realizzato Lolita. Il progetto
assunse tutti i requisiti richiesti dall'Eady Pian. Kubrick parlò con
Marie Windsor, che aveva impersonato Sherry Peatty in Rapina a
mano armata, per proporle una parte in Lolita ma l'Eady Pian limita-
va il numero di attori americani che potevano prendere parte alla
produzione. Quella che iniziò come una scelta di carattere pratico
avrebbe finito con l'influenzare in misura decisiva la carriera di
Stanley Kubrick.
A quel punto la ricerca si mosse nella direzione di un'attrice che
avrebbe potuto impersonare Lolita. Kubrick e Harris furono subissa-
219
ti da una serie di potenziali Lolite: le attrici speranzose che si propo-
nevano per il provino andavano dalle donne di mezza età struccate e
vestite con bluse alla marinara alle bambine di nove anni imbelletta-
te e con i tacchi alti.
«La ricerca dell'attrice giusta fu disperata», ricordava Kubrick nel
1962 parlando con Jack Hamilton, autorevole redattore di «Loob>,
<<ma non perché le madri ci tenevano lontane le figlie. Ricevemmo
migliaia di domande. Ci furono persino alcune madri che ci scrissero
che le loro figlie erano delle Lolita nate. Penso che questo significhi
che il pubblico è più cinico e meno soggetto a essere scioccato di
quanto non ritengano i guardiani della moralità. Dopo tutto si tratta
solamente di interpretare un ruolo, è solo un film. Ovviamente
avrebbe potuto costituire un trampolino di lancio per un'attrice
dotata di talento>>.
Dopo quasi un anno di ricerche mirate a individuare quella che
Vladimir Nabokov definiva <<la ninfetta perfetta>>, Kubrick fu
improvvisamente colpito dalla quattordicenne Sue Lyon. <<Fin dal
primo momento trovai interessante starla a guardare, anche per il
modo in cui entrò per fare l'audizione, la disinvoltura con la quale si
sedette e il modo in cui uscì dalla stanza>>, disse Kubrick alla rivista
<<Loob>. <<Era sfacciata senza indulgere in risatine sciocche. Era enig-
matica senza essere ottusa. Riusciva a fare in modo che la gente si
domandasse quanto ne sapeva Lolita della vita. Quando se ne andò ci
dicemmo a gran voce: "Se solo sapesse recitare!">>.
Sue Lyon viveva a Los Angeles e aveva esordito nell'industria dello
spettacolo recitando ruoli secondari in spettacoli televisivi come
"Dennis the Menace" e "The Loretta Young Show". Aveva fatto pub-
blicità di prodotti per capelli mettendo in risalto i suoi riccioli bion-
di tinti e nel 1960 era stata eletta Miss Sorriso dai dentisti della con-
tea di Los Angeles. Godeva di amicizie altolocate nell'ambiente di
Hollywood. Il suo attore preferito era Paul Newman. Sua madre Sue
Karr Lyon era una vedova di cinquantasei anni che aveva cresciuto i
cinque figli lavorando come puericultrice in ospedale.
Stanley Kubrick vide Sue Lyon in un episodio di "The Loretta
Young Show" e la sottopose a un provino. Provò la scena nella quale
Humbert sottopone Lolita a un severo interrogatorio su dove abbia
trascorso il suo tempo mentre si prende cura dei suoi piedi. Sue
ottenne così la famigerata parte della volubile ragazzina. La signora
Lyon andò dal suo pastore perché la consigliasse sulla decisione da
prendere riguardo a sua figlia. nella parte di Lolita; il prete le disse
che Jean Harlow era stata una sua parrocchiana e non si era mai fatta
influenzare dai ruoli nei quali recitava, quindi incoraggiò Sue ad
accettare la parte.
220
Quando iniziò la lavorazione, Sue Lyon aveva quattordici anni e
quattro mesi; quando le riprese furono terminate aveva quattordici
anni e nove mesi. Lolita aveva dodici anni e otto mesi quando incon-
trò il trentanovenne Humbert e alla conclusione del romanzo ne
· aveva diciassette.
Kubrick si rivolse a Peter Sellers per il ruolo di Clare Quilty, il
misterioso commediografo che nella sua lussuriosa ricerca di Lolita si
prende gioco di Humbert camuffandosi con una serie di travesti-
menti. Kubrick era rimasto colpito dalle interpretazioni di Sellers in
La signora omicidi del 195 5, La verità quasi nuda del 195 7 e La batta-
glia dei sessi del 1959; aveva inoltre ascoltato con attenzione l'album
The Best of Sellers ed era rimasto affascinato dall'eclettismo dell'atto-
re. Peter Sellers aveva lavorato al programma radiofonico della Bbc
intitolato "The Goon Show" durante il quale aveva dato vita a diver-
se voci e imitato Winston Churchill, la regina d'Inghilterra e Lew
Grade. Quando Kubrick contattò Sellers per la parte di Clare Quilty,
la carriera del poliedrico attore era in una fase di stallo. Kubrick offrì
a Sellers una piccola parte in Lolita e gli disse che la sua apparizione
sul grande schermo non sarebbe durata più di cinque minuti.
Come prima reazione, Sellers pensò che Clare Quilty, il vistoso
commediografo televisivo che tormentava Humbert Humbert, esula-
va dalla sua esperienza e si agitò all'idea di interpretare un simile
ruolo. Dopo diverse cene a casa di Sellers, Kubrick iniziò a rendersi
conto che la maniacalità che l'attore raggiungeva sullo schermo si
mutava in un profondo stato depressivo nella vita vera.
Per poter interpretare Quilty con un accento americano, Sellers
disse a Kubrick che aveva bisogno di un modello. Si decisero per la
voce dell'impresario di jazz Norman Granz che era nato a Los
Angeles ed era legato alla Verve Records. Kubrick chiese a Granz di
leggere e registrare alcune parti del copione di Lolita in modo che
Sellers potesse studiarle e lavorare sulla voce del personaggio che
avrebbe interpretato. Quando Sellers si sentì sicuro di avere la voce
di Quilty, il personaggio iniziò a prendere forma.
Solitamente Sellers spendeva la maggior parte della sua creatività
durante la preproduzione del film; nel caso di Lolita, invece,
Kubrick lo incoraggiò a improvvisare esaurendo tutte le possibilità
offerte di volta in volta dalla scena. Sellers e Kubrick iniziarono a
elaborare i molteplici travestimenti di Quilty da poliziotto a psicolo-
go tedesco.
Kubrick parlò con Alexander Walker, l'autore di Stanley Kubrick
Direds e della biografia autorizzata di Peter Sellers, del metodo di
lavoro utilizzato dall'attore sul set di Lolita. <<Quando chiamavano
Peter, egli generalmente arrivava camminando molto lentamente e
221
con uno sguardo tetro. Io facevo uscire la troupe e iniziavamo a pro-
vare. Con il procedere del lavoro iniziava a rispondere a qualche sol-
lecitazione che proveniva dalla scena, il suo umore migliorava visi-
bilmente e allora iniziavamo a divertirci. Cominciavano a sorgere
delle idee improvvise e la prova iniziava ad andare bene. Penso che
in diverse di queste occasioni Peter abbia raggiunto quello che si
potrebbe definire uno stato di estasi comica».
«Le scene più interessanti erano quelle con Peter Sellers, completa-
mente dominate dall'improvvisazione», rivelò alla rivista «Film
Dope» il direttore della fotografia di Lolita Oswald Morris.
<<Stabilivano più o meno le posizioni degli attori, andavano di sopra
e mi lasciavano a illuminare la scena, poi se ne tornavano giù con, ad
esempio, la scena del ping-pong. Non c'era nulla di simile nel copio-
ne, era tutto frutto dell'improvvisazione».
Sellers contava sempre sull'ispirazione, più che su una strategia
programmata in precedenza, per l'interpretazione di Quilty. Iniziava
pronunciando le battute così come erano scritte nella sceneggiarura e
poi durante la recitazione ampliava e sviluppava il materiale. Aveva
l'abilità di ripetere le battute e i gesti che a Kubrick piacevano.
Spesso il regista impiegava due o tre macchine da presa per coglie-
re il primo ciak, quando Sellers raggiungeva il culmine dell'improv-
visazione; al secondo ciak la metà dell'energia di Sellers era scompar-
sa e al terzo era tempo di cambiare scena.
Per Sellers la collaborazione con Kubrick era la più gratificante dal
tempo in cui aveva lavorato nel film Nudi alla meta con il regista
John Boulting. Sellers si fidava di Kubrick e sentiva che il regista lo
aveva spinto a esplorare i limiti del personaggio di Quilty. I due
uomini erano legati da un crescente cinismo verso la vita e Kubrick
incitò Sellers a sondare il lato più oscuro dell'umorismo di Lolita.
Sellers temeva che la sua interpretazione di Quilty fosse andata trop-
po oltre, ma Kubrick gli assicurò che l'esagerazione della vita rispec-
chiava l'essenza della realtà.
Peter Sellers era dotato di un brillante talento per l'improvvisazio-
ne e Kubrick usava la sua ispirazione per affinare una scena inseren-
do una battuta chiave oppure riscrivendo la sequenza sulla base della
battuta. Il metodo adottato da Kubrick incoraggiava e indirizzava
l'ilarità vulcanica dell'attore in modo che andasse sempre a segno.
Nell'ottobre 1960 Kubrick scrisse una lettera a Shelley Winters
chiedendole di leggere il romanzo Lolita e poi di incontrarsi a New
York con Vladimir Nabokov per discutere insieme allo scrittore
delle sue impressioni sul libro. La Winters era attivamente impegna-
ta nella campagna a sostegno del senatore John Kennedy, che concor-
reva alla c:arica di presidente, ma trovò comunque il tempo per leg-
222
gere il libro rimanendone molto colpita. Kennedy la vide mentre lo
leggeva e scherzando disse al suo addetto stampa, Pierre Salinger, di
riferirle di rivestire il testo con della carta scura se intendeva legger-
lo in pubblico.
La Winters si incontrò con Nabokov e discusse a lungo del perso-
naggio di Charlotte Haze. Nabokov combinò un incontro con la
Winters insieme alla moglie Vera allo Sherry Netherland Hotel per
una cena. Quando al termine della campagna elettorale la Winters
ritornò a New York, trovò ad attenderla la sceneggiatura di Lolita.
L'attrice voleva la parte ma dovette scontrarsi con il suo agente per
apporre la propria firma sul contratto. Sebbene non si fosse ancora
arrivati al giorno delle elezioni, la Winters insistette perché le ripre-
se fossero rimandate a dopo la nomina a presidente di Kennedy, in
modo da consentirle di partecipare alla festa per il successo elettora-
le. Dopo lunghe discussioni, l'attrice acconsentì a partire per
l'Inghilterra dopo le elezioni ma prima dei festeggiamenti ufficiali,
dietro promessa di Kubrick che sarebbe potuta tornare a
Washington per partecipare al ballo d'insediamento.
Quando Kennedy vinse le elezioni, battendo Richard Nixon con
un piccolo margine di vantaggio, la Winters panì per l'Inghilterra.
Il suo contratto prevedeva tra l'altro cinque biglietti di andata e
ritorno che le avrebbero consentito di viaggiare insieme alla madre,
alla figlia e ad altre due persone del suo entourage. Essi risiedevano
all'ultimo piano del Dorchester Hotel, dove si trovava la Oliver
Messe! Suite nella quale alloggiavano Elizabeth Taylor e il suo segui-
to durante le riprese del famigerato Cleopatra. Tra gli altri ospiti
dell'hotel vi erano Jack Palance con famiglia e Kirk Douglas.
Kubrick concesse agli attori parecchio tempo per studiare la parte.
L'inizio delle riprese fu preceduto da un lungo periodo di prove e
anche in seguito, durante la lavorazione, veniva concesso altro tempo
per un'ultima prova della scena prima del ciak.
All'inizio delle prove Kubrick si accorse che Sue Lyon aveva
memorizzato le sue battute talmente bene che tendeva a correre
mentre le recitava. Egli allora suggerì agli attori di fingere di aver
dimenticato le battute memorizzate e di raffigurare il personaggio
utilizzando parole proprie, pur rimanendo ben consapevoli dello
scopo e del contenuto della propria parte. Questa tecnica ebbe un
impatto positivo sulla recitazione della Lyon, che corresse il ritmo e
permise al personaggio di Lolita di venire alla luce.
Durante le prove gli attori venivano incoraggiati a improvvisare,
nel corso delle riprese però Kubrick voleva che il cast incorporasse
quello che era accaduto durante le prove all'interno di un copione
definito, che doveva essere recitato di fronte alla macchina da presa
223
senza alcuna modifica. L'unica eccezione era costituita da Peter
Sellers: Kubrick autorizzò l'attore a sperimentare in qualsiasi
momento, estendendo i confini del poliedrico personaggio di Clare
Quilty.
Kubrick chiese agli attori di non rivelare che alcuni dei brani scrit-
ti da Nabokov erano stati modificati; il cast infatti sapeva che
Kubrick stava riscrivendo il copione. Il regista era preoccupato del
fatto che durante la produzione Nabokov avrebbe potuto scoprire
che i suoi testi erano stati cambiati; in special modo egli temeva che
Shelley Winters avrebbe fatto trapelare la notizia, visto che l'attrice
continuava a corteggiare la stampa locale.
Nel corso della prima prova di Lolita, la Winters ricordò a
Kubrick, a Sellers e all'adolescente Sue Lyon che le era stato promes-
so di fare ritorno a Washington per la festa organizzata in onore della
nomina alla presidenza di Kennedy; Kubrick confermò la sua pro-
messa e Shelley ordinò un abito dallo stilista della regina.
La Winters arrivava spesso in ritardo sul set di Lolita perché usciva
con Elizabeth Taylor e la aiutava a spendere il suo cachet di 2.000
dollari al giorno per Cleopatra. Kubrick e James Mason divennero
insofferenti ai suoi continui ritardi, così il regista si procurò una
macchina con autista per portare la Winters sul set in orario e fece
una telefonata al produttore di Elizabeth Taylor per dirgli che la ~ua
attrice doveva impiegare la mattinata studiando le battute del perso-
naggio di Charlotte Haze.
Il direttore della fotografia Oswald Morris disse a Bob Baker e a
Markku Salmi della rivista «Film Dope» che Kubrick era selettivo
e concedeva la quantità di attenzione che egli riteneva fosse neces-
saria in base all'attore con il quale aveva a che fare: «Dirigeva con
grande attenzione il lavoro di Sue Lyon, mentre con James andava
tutto liscio».
Nel secondo volume della sua autobiografia, Shelley Winters
parla con il massimo rispetto dell'esperienza di lavoro con
Kubrick: <<Ero incantata dal personaggio di Charlotte e mi sentivo
molto orgogliosa di lei. Kubrick aveva la capacità di individuare i
miei lati pseudointellettuali e pretenziosi, lati che appartengono a
tutti noi>>.
La Winters trovò molto faticoso lavorare con Peter Sellers e James
Mason e disse a Kubrick che le riusciva difficile creare un'intesa con
i due attori. <<Ogni volta che mi lamentavo con Kubrick perché non
riuscivo a trovare un contatto con i due protagonisti maschili, lui mi
dava ragione>>, dice la Winters nella sua autobiografia. <<Però non
cambiava il loro modo di recitare e la frustrazione che provavo nella
vita reale emergeva nell'aspetto triste e buffo di Charlotte. Non
224
avevo mai la sensazione che qualcuno mi stesse ad ascoltare, eccezion
fatta per il tecnico del suono. E continuai a non capire la qualità
malinconica che questo conferiva alla mia interpretazione finché non
vidi il film».
· Shelley Winters incontrò delle difficoltà soprattutto nella scena
della prima notte di nozze con Humbert. La scena richiedeva che
l'attrice indossasse una lunga camicia da notte di seta e Kubrick le
disse di sedersi sul letto volgendo le spalle alla macchina da presa. Il
regista aveva fatto in modo che le si vedesse solamente la schieQa
nuda, e per un secondo appena, ma la Winters (che nei suoi libri par-
lerà liberamente della sua variegata vita sessuale) non riusciva a sen-
tirsi a proprio agio; a causa del nervosismo sbagliava le battute e
arrivò a rompere gli occhiali di Mason mentre continuava a tenersi
stretta intorno al corpo la veste.
Quando trapelarono le notizie sulla scena e sulle difficoltà incon-
trate per realizzarla, i membri della troupe di Cleopatra arrivarono
sul set per assistere alle riprese. A pranzo la Winters aveva bevuto
del gin per sciogliersi un po' mentre Kubrick aveva provveduto a
sgombrare il set. Durante le riprese pomeridiane rimasero solamente
gli elementi della troupe strettamente necessari a girare la scena, ma
la Winters non riuscì a recitare la parte. Mason le disse: «Non posso
credere che tu non riesca a fare una cosa tanto semplice! Fai scivolare
la camicia da notte lungo la schiena, copriti il seno, vai sotto le
coperte e stringiti a me>>, ricorda la Winters nella sua autobiografia.
La Winters si sentiva in imbarazzo ad accostarsi a Mason indossando
solo gli slip. Nella sua autobiografia l'attrice ricorda che Mason si
girò verso di lei e le disse: «Ti sentiresti più a tuo agio se ti dicessi
che molto tempo fa mi chiamavo Moskowitz e non Mason?>>. «NO>>,
rispose la Winters. ((L'unica cosa che mi farebbe sentire più a mio
agio sarebbe se te ne stessi assolutamente immobile mentre appog-
gio il mio seno contro la tua schiena>>. ((Sarebbe molto poco galan-
te>>, replicò l'arguto Mason.
La scena contribuì a migliorare il rapporto di lavoro tra Mason e la
Winters ma Kubrick non riuscì mai a ottenerla come desiderava.
Alla fine la Winters si infilò nel letto con indosso la camicia di seta.
Per la scena d'apertura, nella quale Humbert si reca a casa di
Quilty per ucciderlo, Kubrick insieme allo scenografo William
Andrews ideò un'ambientazione che ricordava l'interno di una dimo-
ra vittoriana, con tanto di scalinata maestosa t: -iampadari a corona.
Kubrick domandò a James Mason se poteva pensare a qualche ele-
mento da introdurre sul set per suggerire il bizzarro stile di vita di
Quilty. Mason suggerì di mettere un tavolo da ping-pong sotto a un
lampadario. Kubrick accettò l'idea. Con l'evolversi della scena,
225
Humbert e Quilty iniziano una partita mentre Humbert pensa di
ucciderlo. Sellers improvvisò e mentre continuava a giocare bombar-
dava Mason con una serie di estemporanee battute isteriche.
Per la scena in cui Humbert e Charlotte Haze trascorrono la loro
luna di miele in una località lacustre, Kubrick fece ricreare l'ambien-
tazione in studio. Il regista era talmente preoccupato di girare una
scena d'esterni tanto importante all'interno di uno studio, che iniziò
a rivedere il copione in modo da poter rappresentare in casa l'intera
scena, nella quale i sentimenti omicidi di Humbert verso Charlotte
prendono corpo.
La pazienza di Kubrick verso gli attori continuava ad assisterlo.
Durante le riprese della scena nella quale Charlotte Haze balla il cha
cha cha, Shelley Winters incontrò delle difficoltà a trovare il ritmo
della musica. Una scena di danza senza dialogo può essere recitata
consentendo agli attori di sentire la musica, ma in questo caso un
dialogo c'era. Kubrick non voleva postsincronizzare la scena, così
chiese agli attori di ballare senza musica. La Winters però non riu-
sciva a lavorare in quel modo, così, dopo una consultazione tra il
regista e l'attrice, fu deciso che sarebbe stato impiegato un percus-
sionista per segnare il tempo. Harris e Kubrick ritenevano che il
suono del tamburo non avrebbe .interferito con la registrazione del
dialogo perché nella scena definitiva avrebbero fatto suonare un
disco di cha cha cha e quindi il suono del tamburo si sarebbe amal-
gamato con la musica. Venne fatto arrivare da Londra un esperto
percussionista ma i problemi non erano ancora finiti. La Winters
insisteva affinché il musicista fosse sistemato al di fuori del suo
campo visivo e iniziò a lamentarsi che il ritmo non era quello corret-
to. Con un viso impenetrabile che non lasciava mai trasparire uno
scatto emotivo, illogico e risoluto Kubrick rifiutò di reagire e conti-
nuò a insistere finché non ottenne ciò che voleva.
La Winters mise a dura prova la pazienza di Kubrick. «Shelley
Winters era una persona molto difficile>>, disse Oswald Morris alla
rivista <<Film Dope>>, «perché voleva fare ogni cosa a modo suo. Per
poco non fu mandata via. A un certo punto Kubrick mi disse:
"Penso che la signora debba andarsene", e la cosa sarebbe stata molto
grave, considerando che eravamo a metà della lavorazione. Lui però
se ne sarebbe sbarazzato, non gli importava assolutamente nulla
delle conseguenze>>.
Il set su cui si svolgeva la scena del ballo nella palestra fu costruito
dal direttore artistico William Andrews e dalla sua squadra; la scena
richiese parecchi giorni di riprese. La festa per la vittoria di Kennedy
alle presidenziali doveva avere luogo entro pochi giorni, ma una
bufera di neve incombeva su Londra. Il giorno prima della festa,
226
Shelley Winters arrivò in studio con le valigie, pronta per partire per
Washington D.C. Al termine della giornata di riprese, Kubrick,
Peter Sellers e James B. Harris la chiamarono dietro al set della pale-
stra del liceo americano per discutere di una questione. «Peter, spie-
gaglielo tu>>, disse Kubrick a Sellers. «Stanley, sei tu il regista>>,
rispose Sellers. La Winters iniziò a temere che volessero licenziarla.
Alla fine, in modo piuttosto nervoso, Kubrick disse: «Lo so che ti
avevamo promesso che avresti potuto andare alla festa di Kennedy
ma c'è una bufera di neve sull'oceano e questo fatto rende nulla la
nostra assicurazione, non puoi volare, cerca di capire!>>. La Winters
scoppiò in lacrime. Sellers cercò di consolarla dicendole: «Ci hanno
promesso che faranno dire al presidente Kennedy qualcosa di molto
personale per te alla televisione britannica>>, ricorda l'attrice nella
sua autobiografia. La Winters ritornò piangendo al Dorchester. Lì
ricevette un cablogramma che le comunicava che era stata nominata
cerimoniera a un ballo per la stampa che si sarebbe tenuto alla Casa
Bianca e che lei sarebbe stata l'unica donna con il prestigioso incari-
co. La notizia servì da consolazione alla Winters, che continuò e
portò a termine il suo lavoro in Lo!ita.
Kubrick riscosse giudizi molto lusinghieri da tutti gli attori che
avevano lavorato nel film. Sue Lyon disse: «Il signor Kubrick non ha
mai umiliato o preso in giro alcun attore. Lo!ita avrebbe potuto esse-
re un film imbarazzante per quelli che ci lavoravano ma Kubrick
fece in modo che ciò non accadesse>>.
L'idea dell'immagine d'apertura di Lo!ita nacque a riprese ultima-
te. I titoli avrebbero dovuto correre sul piede di Lolita ripreso a tutto
schermo mentre Humbert le passava lo smalto sulle unghie. Il diret-
tore della fotografia Oswald Morris aveva terminato il lavoro sul film
e si stava occupando di un altro progetto. La ripresa era semplice ma
Kubrick ci si accostò con la meticolosità che riservava a ogni detta-
glio. Gli tornò in mente un film del 1955, l guastatori de!!e dighe, che
era stato fotografato da Gilbert Taylor, un cineoperatore inglese che
aveva iniziato nel 1929 come assistente operatore e che fin dal prin-
cipio degli anni Quaranta lavorava come direttore della fotografia.
Taylor era disponibile e illuminò delicatamente l'elegante ripresa. Il
piano sequenza si soffermò in modo ossessivo sul piede di Lolita, con
lo zelo di un feticista e l'allegria di un umorista.
Per Oswald Morris lavorare con Stanley Kubrick non fu un'espe-
rienza piacevole, al punto che egli arrivò a dire che non avrebbe mai
più lavorato con il regista. Morris aveva quarantacinque anni quando
effettuò le riprese di Lolita. Era entrato nell'industria cinematografi-
ca britannica a sedici anni e la sua carriera in ascesa era stata segnata
dal lavoro di apprendista, ciacchista, assistente operatore e infine
227
direttore delia fotografia. Prima di lavorare con Kubrick, Morris
aveva curato la fotografia di molti film incluso Moulin Rouge,
lndiscretion of an Amerù-an Wife, Il tesoro dell'Afrù-a, Moby Dick, la bale-
na biam-a, L'anima e la carne, Addio alle armi, Il nostro agente all'Avana,
Gli sfasati, I cannoni di Navarone. Nonostante l'enorme esperienza e il
suo talento, Kubrick continuava a controliare il modo in cui doveva-
no essere illuminati e ripresi i suoi film. «Ti diceva: "Adesso voglio
che questa scena sia illuminata come se ci fosse una sola lampadina
in mezzo al set..."», disse Morris a «Film Dope>>. «Quindici minuti
dopo tornava e diceva: "Che cosa sono tutte queste luci? Ti avevo
detto che volevo solamente una lampadina". E io gli rispondevo: "Il
set è sostanzialmente e fedelmente illuminato come se ci fosse sola-
mente una lampadina". Lo sfidavo, vedi[ ... ] Così litigavamo sempre
[ ... ] tutte queste intromissioni sull'illuminazione stavano diventan-
do noiose>>.
La relazione tra Oswald Morris e Kubrick sul set di Lolita era tra-
vagliata ma il delicato chiaroscuro di Morris e la maestria mostrata
da Kubrick nei piani sequenza conferirono al film un aspetto appro-
priato alla deliziosa prosa di Nabokov.
Kubrick contattò Bob Gaffney, l'operatore che aveva conosciuto a
New York sul set del cortometraggio di Alexander Singer e James B.
Harris, e gli propose di lavorare nella seconda unità di Lolita. Venne
ingaggiato Dennis Stock, un fotografo che aveva scattato molte delle
fotografie più note di James Dean, e gli venne riconosciuto il credito
del lavoro alla seconda unità insieme a Gaffney, cui non venne accre-
ditata. «lo, Dennis e un altro tizio percorrevamo la strada a bordo di
due station wagon», ricorda Bob Gaffney. La seconda unità era inca-
ricata di fotografare tutti i positivi per trasparente che dovevano
essere utilizzati nelle scene durante le quali Humbert e Lolita viag-
giavano attraverso gli Stati Uniti. Le scene con Sue Lyon e James
Mason erano filmate in Inghilterra all'interno di una macchina finta,
mentre veniva proiettata dietro di loro la pellicola del viaggio realiz-
zato dalla seconda unità. Vennero realizzate anche delle riprese ester-
ne della station wagon che percorreva la strada. <<Avevamo un mani-
chino che assomigliava a Lolita mentre l'altro tizio recitava la parte
di Humbert. La station wagon aveva un'apertura sul tetto e un sup-
porto per la macchina da presa sulla parte anteriore. Io saltavo su, mi
mettevo in piedi sul sedile ed effettuavo le riprese: riprendevamo
fondali, paesaggi e le macchine che passavano, spostandoci da un
luogo all'altro.
<<Ci dirigemmo verso sud e approdammo nella nebbia di
Gettysburg, attraversammo il campo di battaglia seminato di tutte
le statue e i monumenti che entreranno nella scena d'inizio di Lolita.
228
Poi all'improvviso ricevemmo un telegramma da parte di Stanley:
"Stop", così ci fermammo. Passarono i mesi, poi Stanley mi chiamò e
mi disse: "Sono a New York, hai voglia di andartene in giro a fare
altre riprese per la seconda unità?". Non voleva che qualcuno diri-
gesse la seconda unità, così io, lui e Christiane prendemmo le due
station wagon e cominciammo a guidare lungo le strade con un altro
tizio che doveva occuparsi di precederei, di accordarsi per i permessi
necessari e di effettuare le riprese nei motel eccetera».
<<Trascorremmo due o tre settimane per strada. Guidammo attra-
verso Rhode Island e Albany e poi di nuovo attraverso Rhode Island
fino ad arrivare a Newport; guidammo in lungo e in largo. Ricordo
quando percorremmo la Roure 128: io ero sul tetto della station
wagon e Stanley era al volante; avevamo con noi la sua amata Eyemo,
che era una Royal Navy Eyemo, e una Arriflex. Ci stavamo dirigen-
do in direzione di un terribile temporale; lo vedevo mentre avanzava
verso di noi, attraverso quel grande cielo cupo. Era fantastico, noi
andammo dritti dentro al temporale e io non riuscii a tirare giù la
macchina da presa abbastanza velocemente. Si trattava di uno di quei
torrenziali rovesci estivi. Riuscii a tirar dentro la macchina da presa
ma non a mettere la capote, così presi un grosso sacco della spazzatu-
ra e iniziai a fissarlo mentre continuavamo ad andare. Il sacchetto
della spazzatura si riempì d'acqua diventando una grossa bolla che
poi scoppiò inondandoci entrambi. Ridemmo come matti, quindi
uscimmo dall'autostrada e Stanley attraversò le strade secondarie di
quella piccola città finché non andò a infilarsi dritto nel garage di
qualcuno, ma uscì una donna che urlò: "Aiuto, vado a chiamare la
polizia!". Così noi ci muovemmo il più in fretta possibile, ritornam-
mo sulla strada principale e ripartimmo».
Poiché le riprese erano state completate in Inghilterra, Kubrick era
interessato a procurarsi del materiale girato in esterni che conferisse
realismo al lavoro girato in studio. C'era una scena nella quale
Humbert prendeva un taxi alla stazione dei treni: il taxi era stato
dipinto secondo le indicazioni fornite da Kubrick e la scena era stata
girata in studio. Quando Kubrick e Gaffney furono a Rhode Island,
trovarono una stazione che piacque molto al regista, così si informa-
rono sugli orari ferroviari in modo da sapere quando sarebbero arri-
vati i treni. Trovarono un taxi e riuscirono a girare la ripresa di un
treno a motore diesel che faceva il suo ingresso in stazione.
Sfortunatamente il taxi non era dello stesso colore di quello delle
riprese in studio e Kubrick non voleva pagare per farlo dipingere>>.
«Così tirammo fuori l'Amerù-.m Cinematographer Handbook», ricor-
dava Gaffney, «nel quale erano riportate delle foto gialle, rosse, blu e
verdi di alcuni piatti e veniva mostrato cosa accadeva se si scattavano
229
delle foto in bianco e nero utilizzando un filtro rosso e un filtro gial-
lo. Allora noi riuscimmo a far coincidere i colori dei due taxi ripren-
dendo la macchina con il filtro che secondo le indicazioni riportate
sul libro avrebbe trasformato il rosso nel grigio appropriato.
Chiamammo il taxi e dicemmo al conducente: "Guida fin qui". Così
Stanley realizzò le riprese come le desiderava; giravamo al mattino
presto e nel tardo pomeriggio in modo da avere una bella luce soffu-
sa. Vedi, disponevamo della troupe più economica del mondo>>.
Gaffney e Kubrick condividevano la passione per la letteratura.
Gaffney era alla costante ricerca delle opere di scrittori nuovi e inno-
vativi; lesse The Magie Christian di Terry Southern e lo consigliò a
Kubrick. Quest'ultimo era alla continua ricerca di materiale, quindi
lesse il libro e iniziò a conoscere lo scrittore oltraggioso e irriverente
con il quale avrebbe lavorato in futuro.
Nel 1961 Anthony Harvey, un diplomato della Royal Academy of
Dramatic Art che era apparso in Cesare e Cleopatra, lavorava come
montatore per i fratelli Boulting in film del tipo Operazione Fifa e
Nudi alla meta e La spia che venne dal freddo di Martin Ritt.
Harvey, che successivamente diventerà il regista di Il leone
d'inverno, They Might Be Giants e Intolleranza: Il treno fantasma, stava
ultimando il montaggio di La stanza a forma di L di Bryan Forbes
quando decise di scrivere una lettera a Stanley Kubrick, che in quel
periodo lavorava a Londra, la città nativa di Harvey, con la speranza
di,essere ingaggiato per effettuare il montaggio di Lolita.
<<Avevo apprezzato moltissimo Orizzonti di gloria>>, ricorda Harvey.
«Lo trovavo straordinario. Ricordo che rimasi seduto a guardarlo con
le mani che mi sudavano, quel film mi mise al tappeto. Gli scrissi e
feci cinque o sei colloqui con lui perché ciò che desiderava soprattut-
to scoprire era la mia disponibilità>>.
«Mi sottopose a un vero e proprio interrogatorio>>, disse Harvey al
regista e storico John Andrew Gallagher. «"Che orario di lavoro fai?
A che ora vai a dormire? Sei sposato? Vai in vacanza?". Voleva una
persona che fosse lì sette giorni alla settimana, ventiquattr'ore su
ventiquattro>>.
«A ogni modo, dopo circa sei colloqui mi disse: "Vorrei che ti
occupassi tu del montaggio", quello sì che fu un momento emozio-
nante>>. Harvey allestì una sala di montaggio agli Elstree Studiose si
preparò a montare Lolita.
Lo stile regisrico adottato da Kubrick in Lulita consisteva nel
riprendere gli attori e la storia in piani sequenza. «Concepì la narra-
zione sulla base di lunghi piani sequenza>>, ricorda Anthony Harvey.
«Faceva dei piani sequenza che per gli attori costituivano uno stru-
mento straordinario per costruire un'emozione. Se continui a dire:
230
"Taglia", non c e speranza. Talvolta faceva delle riprese di dieci
minuti». La lezione critica su quando non bisognava tagliare fu di
grande aiuto a Harvey quando lavorò come regista. «Ho sempre
fatto i piani sequenza da solo. Sono stato influenzato da Stanley>>,
disse Harvey.
Anthony Harvey e Stanley Kubrick lavorarono fianco a fianco
durante la fase di montaggio di Lolita. Iniziarono a sviluppare uno
stile di raccordo delle scene che si basava su una dissolvenza in nero
con una lunga pausa prima di passare con una nuova dissolvenza alla
scena successiva. Questo stile creò una struttura suddivisa in capito-
li. La dissolvenza che conclude una scena per passare alla successiva
non costituiva una novità, ma Kubrick e Harvey iniziarono a portar-
la alle estreme conseguenze conferendo al film uno stile personale.
«Queste cose non vengono fuori dalla sceneggiatura, queste cose
vengono sempre fuori quando ci si trova alla moviola».
Kubrick non realizzò una grossa copertura di angolazioni per le
inquadrature convenzionali, ma un'alta percentuale di piani sequen-
za finché non ottenne il risultato che cercava, riprendendo solo rara-
mente dei controcampi. «La cosa grandiosa che fece fu di non taglìa-
re per passare a mostrare la reazione di un personaggio se l'attore in
questione stava offrendo una interpretazione brillante; lo spettatore
immaginava da solo la reazione>>, spiega Anthony Harvey.
«È l'uomo più straordinario con il quale abbia lavorato. Non ho
mai incontrato un simile spirito indagatore nei confronti della
realtà, di ogni singolo libro, parola, dettaglio. La sua era una concen-
trazione enorme, completa, assoluta. Adoravo lavorare con lui. Aveva
un senso dell'umorismo molto nero e buffo, e noi andavamo molto
d'accordo. Di solito gli davo un passaggio a casa di ritorno dallo stu-
dio: passavamo tutto il tempo a discutere, poi mi diceva di fermarmi
per la cena. Trascorsi una vacanza a Parigi insieme a Stanley e a
Christiane. Gli ero molto affezionato>>.
Il montaggio definitivo di Lolita si attenne scrupolosamente alla
sceneggiatura finale, che si basava sull'adattamento cinematografico
di Nabokov tratto dal suo romanzo. La Lolita di Kubrick seguiva lo
spirito di Nabokov ma era modellata all'interno di una nuova storia
cinematografica.
245
Capitolo 12
«Lo trovi divertente?»
L'accordo stipulato per Lolita con Ray Stark e la Seven Arts preve-
deva che la Harris-Kubrick avrebbe dovuto realizzare un altro film.
Kubrick era rimasto in Inghilterra per occuparsi della postprodu-
zione e per preparare le versioni di Lolita che sarebbero state distri-
buite all'estero, mentre Harris era alle prese con le difficoltà poste
dalla censura.
Sin dal 1958 Kubrick aveva mostrato di interessarsi al tema della
guerra nucleare e con il passare del tempo aveva raggiunto quello
stato ossessivo che lo avrebbe lentamente sommerso e che sarebbe
culminato nel progetto di un film. L'idea di un incombente olocau-
sto nucleare si insinuò sempre più spesso nella sua già nera e pessi-
mistica visione del mondo; Kubrick aveva letto molto sull'argomen-
to. Diventato maggiorenne nel dopoguerra e durante l'avvento della
guerra fredda, Stanley Kubrick era stato costantemente in contatto
con la minaccia nucleare. Vivendo nella città di New York si sentiva
in costante pericolo, certo di trovarsi nel cuore del principale bersa-
glio. Quando ancora viveva sulla Decima strada Est aveva detto a
David Vaughan che stava considerando l'idea di trasferirsi in
Australia, un Paese che non sarebbe stato tra i primi obiettivi.
Mentre si trovava a Londra, Kubrick domandò ad Alastair
Buchan, il direttore dell'Institute for Strategie Studies, un ente di
ricerca non governativo, un consiglio su dei testi seri che gli consen-
tissero di studiare le armi nucleari. Buchan disse a Kubrick che rea-
lizzare un film sulla situazione nucleare mondiale sarebbe risultato
«poco saggio perché non sarebbe riuscito a descrivere con precisione
il tipo di precauzioni che gli Stati Uniti o le altre potenze nucleari
adottano per salvaguardarsi dal pericolo di un incidente o di un
comando dato per errore». Buchan si preoccupava che una simile
operazione avrebbe «fuorviato le persone ansiose». Nella lista di
libri che suggerì a Kubrick di leggere era compreso anche il roman-
zo Red Alert di Peter George, che era stato un ufficiale di rotta della
Royal Air Force e un agente delta British lntelligence.
Kubrick lesse il libro e vi scorse il potenziale per realizzare un
film su un conflitto atomico mondiale. Quando si informò sui dirit-
ti di adattamento cinematografico di Red Alert, Scott Meredith,
l'agente letterario che si occupava del testo, disse a Kubrick che i
246
diritti erano stati venduti nel giugno del 1959 per la somma di
1.000 dollari. Successivamente il libro passò da un proprietario
all'altro, attraverso una serie di vendite, ma nessuno riuscì a ottenere
i finanziamenti necessari a realizzare il film. Agli inizi degli anni
Sessanta il proprietario chiese a Meredith di rappresentarlo e questi
vendette i diritti di Red Alert per 3.500 dollari alla Polaris
Productions di Stanley Kubrick. Il regista iniziò a lavorare alla sce-
neggiatura di un film drammatico insieme a Peter George.
Una sera Harris e Kubrick stavano lavorando alla sceneggiatura del
film quando iniziarono ad allontanarsi dalle premesse serie di Red
Alert. <dniziammo a fare gli stupidi», ricorda Harris. «Cominciam-
mo a scherzarci sopra. "Che cosa succederebbe nella stanza dei botto-
ni se fossero tutti affamati e volessero fare entrare il fattorino del
negozio di gastronomia mentre un cameriere con tanto di grembiule
prende le ordinazioni dei sandwich?". Iniziammo a riderei sopra e
dicemmo: "Pensi che potrebbe diventare una commedia o una satira?
Lo trovi divertente?">>. Passato il momento di ilarità, concordarono
entrambi sul fatto che la sceneggiatura era una buona storia dram-
matica e che si sarebbero attenuti all'idea originale. Poi Harris portò
la sceneggiatura a Eliot Hyman alla Seven Arts e lo convinse ad
accettarla per il secondo film che dovevano realizzare insieme.
Tuttavia l'idea di trasformare Red Alert in una satira non abban-
donò Kubrick. A un mese dalla prima di Lolita a New York, che
ebbe luogo il 31 dicembre 1962, Kubrick disse ad A.H. Weiler del
«New York Times>> che lui e James B. Harris stavano lavorando a un
film dal titolo Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccupar-
mi e ad amare la bomba con la Seven Arts che aveva prodotto anche
Lolita. Kubrick annunciò che Peter Sellers avrebbe lavorato nel suo
nuovo film che egli descrisse come la storia di «un professore di col-
lege americano che sale al potere grazie al sesso e alla politica e
diviene un esperto nucleare>>. Egli disse a Weiler che avrebbe adotta-
to un approccio satirico, che stava collaborando con lo scrittore
inglese Peter George e che avrebbe girato il film in esterni «qui
all'Est e in settembre in qualche altro postO>>. In quel momento non
c'era ancora alcun distributore.
James B. Harris, consapevole del proprio desiderio di iniziare una
carriera registica per conto proprio, decise di non produrre il film.
L'adempimento del contratto con la Seven Arts segnò la fine della
Harris-Kubrick. Avevano realizzaLO insieme RafJÙta a mano armata,
Orizzonti di gloria e Lolita; Stanley Kubrick e James B. Harris aveva-
no stabilito un'alleanza nella quale entrambi i soci avevano uguale
potere e l'avevano mantenuta per quasi dieci anni. Ora però si rende-
vano conto tutti e due che era tempo di andare avanti: per James B.
247
Harris era giunto il momento di dirigere un film e per Stanley
Kubrick si trattava di soddisfare l'esigenza di un controllo sempre
maggiore, di diventare il produttore di se stesso e di realizzare una
serie di ossessioni, di temi e di soggetti personali il primo dei quali
fu la guerra atomica.
Mentre Kubrick continuava a sviluppare la sceneggiatura di Red
Alert insieme a Peter George, Harris tornò sulla costa pacifica per
aprire un ufficio dal quale coltivare i progetti registici. Trascorsero
diverse settimane, poi Harris ricevette una telefonata di Kubrick il
quale gli comunicava che stava considerando l'idea di trasformare
Red Alert in una commedia, una satira sulla completa distruzione
nucleare. Harris cercò di mettere in guardia l'amico dai problemi
che avrebbe incontrato realizzando una commedia sulla guerra ato-
mica. Harris ricorda che Kubrick gli disse: «Secondo me l'unico
modo per far funzionare la cosa è di metterla in satira. L'argomenta-
zione è la stessa ma è un modo migliore per presentarla». Kubrick
proseguì raccontando a Harris di Terry Southern, uno scrittore con il
quale aveva iniziato a lavorare. «Gli dissi: "Okay, se c'è qualcosa che
posso fare per te, fammelo sapere", poi appesi», ricorda H arri s.
«Dissi a me stesso: "Lo lascio solo per dieci minuti ed ecco che fa sal-
tare in aria la sua carriera". Ero proprio convinto che avrebbe perso il
controllo sul film se lo avesse trasformato in una commedia, e infatti
fu proprio così, ma ne nacque il film di Kubrick che preferisco».
Nel corso degli anni Harris e Kubrick parlarono spesso di tornare a
lavorare insieme. Un progetto che attirò l'attenzione di entrambi fu
The Passion Flower Hotel che trattava di un gruppo di giovani donne
di una scuola femminile che decideva di vendere i propri servigi a
una scuola maschile che si trovava in fondo alla strada. Il film non fu
mai realizzato e finì con il diventare un musical. Harris e Kubrick
rimasero amici e si tennero costantemente in contatto nel corso degli
anni, ma non fecero più film insieme. Harris ha diretto Stato d'allar-
me, Quakuno lo chiama amore, Fast Walking, Indagine ad alto rischio e
Limite estremo e ha goduto del supporto morale e critico di Kubrick
in tutta la sua carriera di regista.
La decisione di Kubrick di trasformare Red Alert in una commedia
rappresentava un passo ardito e pericoloso. Gli spettatori americani
ormai accettavano che un uomo arguto quale era stato lo scrittore e
regista Preston Sturges negli anni Quaranta facesse della satira sociale;
tuttavia continuavano a esserci degli argomenti che venivano conside-
rati tabù. Gli anni Quaranta e Cinquanta erano stati pervasi da una
grande paura della bomba atomica; all'inizio degli anni Sessanta la
guerra fredda e le ostilità tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti ave-
vano posto il tema della distruzione nucleare nei recessi della mente
248
di ognuno. Sebbene gli anni Sessanta portassero cambiamenti nel lin-
guaggio del cinema americano, nel 1963 gli studios non erano pronti
a rompere con le convenzioni. La stragrande maggioranza dei film
. aveva il ruolo di spettacolo di intrattenimento, quindi una commedia
sulla guerra nucleare non era destinata a incontrare ampio consenso.
((L'idea di realizzarla come se si trattasse di una commedia da incu-
bo mi venne durante le prime settimane di lavoro sulla sceneggiatu-
ra», disse Kubrick a Gene D. Phillips. ((Scoprii che mettendo un po'
di carne intorno allo scheletro e immaginando le scene nel loro insie-
me era necessario tenere fuori gli elementi assurdi o paradossali se si
voleva evitare che diventasse buffo; questi elementi però sembravano
avere molta attinenza con il fulcro intorno al quale ruotavano le
scene in questione».
(<Iniziai a lavorare alla sceneggiatura con tutta l'intenzione di fare
un trattamento serio del problema di una incidentale guerra atomi-
ca>>, disse Kubrick aJoseph Gelmis. ((Mentre cercavo di immaginare
il modo in cui le cose sarebbero avvenute nella realtà, continuavano a
venirmi in mente delle idee che scartavo perché ridicole. Ripetevo a
me stesso: "Non posso farlo. La gente riderà". Ma dopo circa un mese
iniziai a rendermi conto che le cose che stavo eliminando erano quel-
le più veritiere. Dopotutto che cosa c'è di più assurdo dell'idea di
due megapotenze disposte a spazzare via ogni forma di vita umana a
causa di un incidente, reso più piccante da differenze politiche che
alle persone che vivranno tra cento anni sembreranno tanto insensate
quanto appaiono a noi oggi i conflitti teologici del Medioevo?».
<(Così cominciai a pensare che mi stavo accostando al problema nel
modo sbagliato: l'unico modo per raccontare la storia era una com-
media nera o, meglio ancora, una commedia da incubo, dove le cose
delle quali si ride di più sono proprio gli atteggiamenti paradossali
che rendono possibile una guerra nucleare. La maggior parte
dell'umorismo di Stranamore scaturisce dalla descrizione del compor-
tamento umano quotidiano, calato in una situazione da incubo,
come quando il presidente russo sulla linea rossa dimentica il nume-
ro di telefono del quartier generale della difesa aerea del popolo e
suggerisce al presidente americano di provare a rivolgersi all'ufficio
informazioni di Omsk; oppure come l'ufficiale statunitense che, in
virtù dell'assoluto rispetto della proprietà privata, indugia prima di
consentire a un ufficiale britannico di sparare a un distributore auto-
matico di coca-cola per poter avere Ie mm1ete necessarie per teiefona-
re al presidente degli Stati Uniti e comunicargli il prefisso d'emer-
genza che consente l'accesso alle trasmissioni con gli aerei del Sao>.
Per poter sovvertire il materiale presentato in Red Alert, Kubrick
aveva bisogno di una mente subdolamente sovversiva, di un anarchi-
249
co che riuscisse a trovare la satira e l'umorismo nel più micidiale dei
temi, in altre parole aveva bisogno del talento comico di Terry
Southern, l'autore di Candy e Flash and Filagree. Southern era uno
scrittore intriso di umorismo nero. Era un forte bevitore e un fanati-
co di jazz che sperimentava ogni genere di droga. Era una persona
timida e riluttante a parlare di sé e funzionava bene come collabora-
tore, portando la sua caratteristica voce in molti scritti, film e pro-
getti televisivi inclusi Easy Rider, Il caro estinto e il "Saturday Night
Live". Kubrick aveva sentito parlare di Terry Southern da due fonti:
Peter Sellers gli aveva mandato in regalo una copia di The Magie
Christian; e anche Bob Gaffney aveva parlato a Kubrick di quello
scrittore dalla sfrenata immaginazione.
Il fatto che Kubrick stesse trattando in chiave satirica il tema della
distruzione del mondo per opera della bomba atomica, non aveva
reso le ricerche sul soggetto in questione meno esaurienti. Dopo che
il film fu distribuito, Ken Adam, che si era occupato della scenogra-
fia, disse alla giornalista della rivista «Glamour» Elaine Dundy:
«Stanley era talmente immerso in questo materiale che la prima
volta che ci incontrammo per discuterne la sua conversazione era
infarcita di punti a sicurezza intrinseca, morte di milioni di persone,
girorotte, marcature stroboscopiche e CRM-114. Non sapevo assolu-
tamente di che cosa stesse parlando>>.
Kubrick lesse e studiò quarantasei libri scritti da ricercatori, tra i
quali c'erano The Efjefts of Nudear Weapons, Soviet Military Strategy,
Mans Means to His End, The Causes of World Wa1·lll eNuclear Taaics.
Divorò il lavoro dei principali strateghi nucleari, quali Herman
Kahn, Thomas Shelling ed Edward Teller, l'uomo noto come "padre
della bomba". Procedendo nella lertura, Kubrick esaminò tutto
quanto era stato scritto sull'argomento da Bertrand Russell, Erich
Fromm, Bruno Bettelheim, Albert Einstein e Leopold Infeld. Tra le
altre fonti alle quali attinse il regista ci furono anche le relazioni
governative dell'aeronautica, dell'esercito e della marina, così come i
resoconti Missiles and Rockets, Bulletin of the Atomic Sàentists e
War/Peace Report. Oltre alle pigne di libri sulla guerra atomica che
Kubrick aveva nel suo ufficio, il regista teneva sempre a portata di
mano anche una mazza, una palla e un guanto da baseball, segno che
era pronto a giocare un'altra di quelle partite alle quali aveva parte-
cipato durante la faticosa produzione di Spartacus.
Lo scenografo Richard Sylbert sedeva nel suo ufficio insieme al
regista John Frankenheimer e stava preparando Va' e uccidi, quando
il telefono squillò: era Stanley Kubrick. L'ultima volta che avevano
parlato era stata nel 1952, quando si erano incontrati sul set televi-
sivo di "Patterns" e Kubrick aveva dichiarato di volere Sylbert
250
come scenografo dei suoi film. Sylbert stava diventando uno dei più
abili e rispettati scenografi di produzione dell'industria cinemato-
grafica, e aveva appena terminato di occuparsi della scenografia di
Splendore nell'erba di Elia Kazan. Kubrick gli disse: «Ho una sce-
neggiatura grandiosa, l'ha scritta Terry Southern. Te la mando.
Quando hai finito Va' e màdi e torni a New York facciamo questo
film insieme>>, ricorda Sylbert. «Lessi Il dottor Stranamore e lo tro-
vai grandioso. Così per trenta giorni ci incontrammo in diverse caf-
fetterie per cercare di immaginare come realizzare quel dannato
film a New York. Non potevamo neppure contare su uno studio
sufficientemente grande; nessuno era abbastanza grande per la
retroproiezione del trasparente; avevamo solo un tizio che aveva
una sala di proiezione. Kubrick voleva uno schermo pedinato da 45
metri. Non ottenemmo alcun tipo di cooperazione da parte della
Nasa e al termine dei nostri incontri nelle caffetterie gli dissi:
"Non possiamo fare questo film a New York, e non possiamo farlo
neppure in America" ed egli rispose: "Sì, hai ragione", e partì per
l'Inghilterra per non tornare mai più. Creò la migliore squadra di
effetti visivi a livello mondiale e in Inghilterra non incontrò alcun
problema con i bombardieri perché non erano della Nasa. Riuscì a
costruire ogni cosa>>.
Le esaurienti conversazioni con Sylbert e gli stessi fattori economi-
ci che avevano ispirato la decisione di Kubrick di fare Lolita in
Inghilterra lo convinsero a ritornare in Gran Bretagna per produrre
lì anche Il dottor Stranamore.
Prima che iniziassero le riprese, Kubrick si preoccupò dei poten-
ziali problemi che la Motion Picture Association of America avrebbe
potuto procurargli. Far ottenere a Lolita il marchio di approvazione
necessario per permettere la distribuzione del film era stata
un'impresa estenuante. L'Il gennaio 1963 Kubrick inviò una copia
della sceneggiatura di Il dottor Stranamore a Geoffrey Shurlock, il pre-
sidente della Mpaa, comunicandogli la sua intenzione di iniziare le
riprese il 28 gennaio. Kubrick espresse sarcasticamente la speranza
che la sceneggiatura di Il dottor Stranamore potesse creare meno pro-
blemi rispetto a quelli incontrati per Lolita e aggiunse che rimaneva
in trepida attesa di ricevere notizie da parte di Shurlock.
Questi lesse la sceneggiatura e il 21 gennaio inviò una lettera di
risposta a Kubrick nella quale esprimeva la sua preoccupazione per la
satira che coinvolgeva il presidente degli Stati Uniti e le forze armate
e si dichiarava incerto sull'accoglienza del film da parte del pubblico.
Shurlock disse a Kubrick che intendeva interpellare il consiglio
d'amministrazione in merito all'eccesso di volgarità contenute nella
sceneggiatura scritta da Kubrick, Peter George e Terry Southern. In
251
particolare non gradiva l'uso dei termini ricorrenti «maledetto>> e
«dannatO>> e disse al regista che l'espressione «maledetti figli di put-
tana>> che compariva nel testo era inaccettabile e non avrebbe potuto
essere approvata. Shurlock inoltre incluse una lista di elementi che
potevano risultare molesti, consigliando a Kubrick di non fare indos-
sare un «tipo estremo>> di bikini alla signorina Scott, la segretaria di
"Buck" Turgidson e di eliminare le allusioni ai profilattici, che trova-
va «disgustose>>, nella scena che si svolge durante una missione di
volo. Si espresse con enfasi ancora maggiore riguardo alla conclusione
del film, con un lancio di torte che coinvolgeva il presidente;
dall'alto del suo ruolo di portavoce della moralità dell'industria cine-
matografica, consigliò a Kubrick di considerare l'ipotesi di eliminare
del tutto il presidente dall'episodio.
L'l l febbraio, Kubrick rispose con una lettera volta a placare le
preoccupazioni di Shurlock. Il regista replicò che, poiché l'azione si
svolgeva in un imprecisato futuro, il film non poteva comportare
problemi etici legati all'amministrazione corrente; spiegò inoltre che
nel film non c'era alcun elemento che non fosse presente nelle
dichiarazioni dei funzionari governativi. A titolo di esempio,
Kubrick incluse una dichiarazione fatta dal presidente J oh n F.
Kennedy di fronte alla Nazioni Unite: <<Ogni uomo, donna e bambi-
no vive sotto la spada di Damocle del nucleare che è attaccata al più
sottile dei fili, che può essere reciso in ogni momento da un inciden-
te, un errore di calcolo o un eccesso di follia>>. Kubrick disse a
Shurlock che stava cercando di eliminare quanti più «maledetti>> e
«dannati>> poteva ma spiegò che in alcune situazioni non potevano
essere sostituiti da nessun'altra espressione. Assicurò al presidente
della Mpaa che il bikini impiegato in Il dottor Stranamore non sarebbe
stato tra i più ridotti e che il riferimento ai profìlattici rappresentava
un momento intenso di realtà, nel quale gli spettatori si sarebbero
profondamente identificati.
Riferendosi alla scena numero 74, Kubrick affermava di non capire
per quale motivo la sequenza del lancio delle torte poteva essere
motivo di preoccupazione dal punto di vista della politica industria-
le. Terminò assicurando Shurlock che nella versione definitiva del
film avrebbe trovato accettabili tutti i punti.
Il 20 febbraio, Shurlock scrisse una lettera a Kubrick nella quale si
leggeva: «Lei ha già più che provato la sua abilità nel maneggiare i
soggetti più difficoltosi, quindi se è convinto che ciò che metterà
sullo schermo non recherà alcuna offesa, allora questo ci basta>>.
Kubrick e Terry Southern lavorarono fianco a fianco per trasforma-
re Red Alert in una feroce commedia nera. Kubrick proponeva dubbi
e situazioni allo scrittore folle e ingegnoso, il quale sviluppava dialo-
252
ghi oltraggiosi e presentava le situazioni più bizzarre via via che la
sceneggiatura prendeva forma.
Per creare il dialogo di "Buck" Turgidson durante il quale egli dice
al presidente che avrebbero potuto perdere solamente dai dieci ai
venti milioni di americani ma che sarebbero riusciti a vincere la guer-
ra, Kubrick si accostò alla filosofia sulla quale si reggevano i rapporti
militari che aveva letto. Il regista riteneva che il ridicolo cianciare di
Turgidson sulla vittoria della guerra nucleare costituisse un autentico
riassunto delle convinzioni militari riguardo allo scontro nucleare.
Durante la lavorazione di Il dottor Stranamore, Kubrick visse nel
quartiere londinese di Knightsbridge. Terry Southern andava da lui
alle cinque di mattina e lavorava sul sedile posteriore di una vecchia
Bentley mentre l'autista di Kubrick li conduceva agli Shepperton
Studios. In macchina, Southern e Kubrick appoggiavano gli appunti
su due ripiani posti di fronte a loro, e tenevano chiuso il vetro tra
loro e l'autista in modo da avere un ufficio privato mobile. Come
accade nelle grandi collaborazioni, solo i partecipanti sanno la misu-
ra in cui hanno realmente contribuito all'opera, ma l'innato senso
dell'umorismo diabolicamente nero di Kubrick - endemico sulle
strade newyorkesi del Bronx - e il suo profondo cinismo si fusero
con quelli di Southern, mentre lo scrittore, con la sua maniaca mente
da commediografo, premeva contro i limiti dell'involucro in cui era
racchiusa la civiltà, creando una rauca satira sul complesso politico e
militare-industriale.
Per la scenografia Kubrick ingaggiò Ken Adam, originario di
Berlino ma che aveva studiato in Inghilterra dove lavorava come
architetto. Durante la seconda guerra mondiale Adam era stato un
pilota della Raf e dopo la guerra aveva iniziato una fortunata carriera
di scenografo. Nel 1956 aveva ricevuto una nomination agli Oscar
per Il giro de/mondo in ottanta giorni, insieme al padre dell'arte scena-
grafica William Cameron Menzies. Aveva lavorato con registi come
John Ford, Jacques Tourneur e Robert Aldrich e si era occupato della
scenografia di Agente 007, licenza di uccidere, il primo film di James
Bond. Kubrick era rimasto estremamente colpito dall'aspetto del
film e aveva combinato un incontro con Adam per parlare della sua
satira sulla fine del mondo.
Agli inizi della storia del cinema e durante la maggior parte del
periodo in cui dominò lo studio system fino agli anni Cinquanta, gli
scenografi e i direttori artistici erano soliti realizzare gli interni senza
soffitto in modo che il direttore della fotografia potesse illuminare
dall'alto l'intero set. Prima della produzione di Il dottor Stranamore
erano stati messi dei soffitti su alcuni set ma solo raramente veniva-
no utilizzati come strumento drammatico, come fece Orson Welles
253
in alcuni suoi film, e in particolare in Quarto potere. Mettere il soffitto
sul set significava consentire l'utilizzo di inquadrature dal basso e
usare un'illuminazione che sembri provenire direttamente da una
fonte luminosa visibile sullo schermo. Sin dal principio, Kubrick
disse ad Adam di volere che tutti i set di Il dottor Stranamore avessero
i soffitti. «Stanley mi disse: "Inchioda quei maledetti soffitti"»,
ricorda Adam. «Non voglio che l'operatore illumini dall'alto, voglio
un'illuminazione che sembri provenire dallo schermo>>. Questo con-
cetto stimolò l'immaginazione di Adam che creò le strutture archi-
tettoniche sulla base di questi presupposti.
Per creare il set della stanza più importante, ovvero la War Room
del Pentagono, Adam iniziò a fare degli schizzi. La sua idea origina-
ria era un anfiteatro con un secondo livello, sul quale si trovava la
sala di controllo racchiusa da vetrate. Kubrick si mostrò entusiasta
quando vide i disegni e disse ad Adam: «Santo cielo, Ken, è grandio-
so, grandioso!». Ritenendo l'osservazione una forma di approvazione,
Adam procedette e incaricò la sua squadra di creare i disegni e i
modelli necessari per costruire il set. Dopo tre o quattro settimane di
incessanti riflessioni sul progetto, Kubrick entrò nel dipartimento
scenografia, che ormai era molto avanti nello sviluppo dell'anfiteatro,
e disse: «Sai Ken, quel secondo livello lassù, ci vorrebbero almeno sei
o sette comparse che devono rimanere lì sedute per tutto il tempo.
Che cosa possono fare? Sarebbe costoso. Escogita qualcos'altro».
<<Rimasi completamente disorientato», ricorda Ken Adam. <<Poi
quando mi calmai la mia mente iniziò nuovamente a produrre, gra-
zie a Dio. Generalmente Stanley arrivava e rimaneva in piedi dietro
di me mentre disegnavo. Sviluppai il concetto della struttura trian-
golare e gli piacque; quando mi domandò: "Sì, il triangolo va benis-
simo, in che materiale pensi che lo dovremo realizzare?", io avevo già
la risposta pronta: "Cemento, come un rifugio antiatomico"».
Tra i due uomini si instaurò un rapporto di collaborazione unico
nel suo genere: Adam era uno scenografo istintivo e dotato di grande
immaginazione con una robusta esperienza nel campo architettonico
e un debole per l'iperrealismo; Kubrick era un regista che faceva
domande su ogni cosa e richiedeva che ogni dettaglio del suo film
fosse assolutamente razionale. lntuitivamente Adam sentì che il
tavolo intorno al quale sedevano il presidente e i suoi uomini doveva
essere ampio e rotondo; quando Kubrick vide il disegno del tavolo
domandò ad Adam se poteva ricoprirlo con uno spesso panno verde,
anche se il film era girato in bianco e nero. <<Certo», replicò Adam e
Kubrick proseguì: <<Dovrebbe avere l'aspetto di un tavolo da poker:
il presidente, l'ambasciatore russo e i generali che giocano una mano
di poker nella quale si determinerà il destino del mondo».
254
Kubrick e Adam cercavano di immaginare cosa avrebbero potuto
mettere sul lato inferiore del set triangolare, quando Kubrick propo-
se: <<Cosa ne dici se mettessimo un grosso buffet dove ciascuno può
servirsi di sandwich, caffè o bevande?>>, un'idea che potrebbe essere
stata ispirata dalle facezie serali scambiate con James B. Harris,
quando Red Alert era ancora un serio dramma sul nucleare.
Quando il dipartimento scenografia terminò di costruire la War
Room negli Shepperton Studios, il set misurava quaranta metri di
lunghezza, trenta di larghezza e undici di altezza. Il tavolo rotondo
sul quale il presidente e i suoi uomini decisero del destino del
mondo occupava una superficie di trentacinque metri quadrati.
Per le riprese di Il dottor Stranamore, Kubrick ingaggiò Gilbert
Taylor, l'operatore che aveva ripreso i titoli di testa in cui Humbert
passa lo smalto sulle unghie dei piedi di Lolita. Kubrick conosceva
perfettamente il concetto di illuminazione e riprese personalmente
con la macchina a mano l'attacco alla base aerea di Burpelson e le
scene dell'interno del fatidico bombardiere.
<<Stanley è un operatore brillante; voleva un'illuminazione che
sembrasse provenire da una fonte luminosa visibile sullo schermo>>,
spiega Adam, riferendosi alla luce che trova la sua giustificazione in
una fonte ben identificabile, come una finestra o un apparecchio
interno. <<Avevo disegnato un cerchio di lampadine appese al soffitto
e Kubrick si sedeva nel mio ufficio sperimentando con me i diversi
tipi di lampade survoltate>>, ricorda Adam citando l'uso di uno stru-
mento d'illuminazione ad alta intensità di incandescenza. <<lo sedevo
su una sedia, poi sistemavamo una lampada survoltata a una certa
distanza per vedere quanta luce sarebbe arrivata a illuminare il mio
viso. Era una scelta ben ponderata>>.
Per la scelta del cast, Kubrick si rivolse ancora una volta a Peter
Sellers per la sua abilità a interpretare molteplici personaggi. In
Lolita Sellers aveva recitato uno stesso personaggio che indossava
diversi travestimenti. Nel caso di Il dottor Stranamore, invece,
Kubrick voleva che Sellers recitasse ciò che egli definiva <<il protago-
nista e il protagonista e il protagonista>>. In un primo momento
Sellers si mostrò riluttante ad accettare di recitare in molteplici
ruoli; sentiva che si trattava di un trucco e che gli spettatori l'avreb-
bero paragonato ad Alec Guinness, che aveva interpretato diversi
personaggi in Sangue blu. Kubrick convinse Sellers che non sarebbe
riuscito a trovare un attore più adatto di lui a recitare i ruoli del pre-
sidente Merkin Muffley, del comandante di squadriglia Lionel
Mandrake della Raf (per il quale si mise un naso finto) e del dottor
Stranamore; ecco perché desiderava che fosse Sellers a interpretare
tutti e tre i personaggi.
255
Sellers venne pagato un milione di dollari per recitare le tre parti,
il che fece coniare a Kubrick la battuta: «Ne abbiamo avuti tre al
prezzo di sei>>. Sellers stava divorziando dalla moglie e gli era quindi
impossibile lasciare l'Inghilterra; Kubrick disse alla stampa che que-
sta era la ragione che l'aveva spinto a produrre il film in Inghilterra,
mentre invece era solo uno dei tanti motivi. Il fattore economico
svolgeva un ruolo assai rilevante: Kubrick era riuscito a realizzare
Lolita con un budget ridotto e aveva apprezzato i tecnici e gli attori
inglesi. Stanley e Christiane percepivano una crescente tensione nella
città di New York ed erano alla ricerca di un luogo più tranquillo
nel quale crescere la loro famiglia.
Nel 1963, James Earl Jones lavorava come attore di teatro interpre-
tando sempre ruoli differenti. Kubrick andò al Centrai Park di New
York per vedere George C. Scott che interpretava Shylock in Il mer-
cante di Venezia di Shakespeare. Nella stessa produzione recitava anche
Jones, nel ruolo del principe del Marocco; la sua interpretazione fece
dire a Kubrick: <<Prendo anche quello di colore», ricorda Jones nella
sua autobiografia. Fu così che l'attore ottenne il suo primo incarico
nel cinema vestendo i panni del luogotenente Lothar Zogg. A Scott
invece fu affidato il ruolo del generale "Buck" Turgidson.
A un certo punto Kubrick propose a Sellers di interpretare anche il
ruolo del maggiore T.J. "King" Kong, l'ufficiale incaricato dei bom-
bardieri B-52 con il compito di lanciare la bomba. Sellers si dibatté
nella parte per una settimana senza riuscire a imitare l'accento del
Texas. La parte richiedeva una notevole prestanza fisica perché Kong
doveva aggirarsi tra botole e scalette, per i diversi livelli dell'aereo
fino al vano bombe. Alla fine Sellers si ruppe una caviglia e non riu-
scì a portare a termine il suo quarto ruolo in Il dottor Stranamore.
Kubrick ebbe la sensazione che a livello inconscio Sellers si fosse cau-
sato di proposito l'infortunio. Essendo soddisfatto dell'energia e della
creatività espresse da Sellers nelle tre parti che gli erano state assegna-
te decise di scritturare un altro attore per il ruolo del maggiore Kong.
Una sera, mentre lo scenografo di produzione Ken Adam stava
riportando Kubrick a casa dagli Shepperton Studios, il regista ebbe
improvvisamente un'idea riguardo alla persona perfetta per il ruolo
di Kong. Kubrick si girò verso Adam, abile pilota e appassionato di
auto sportive, e gli disse: <<Conosco un cowboy americano, gli farò
una telefonata stasera», ricorda Adam. <<Avevo già costruito il vano
bombe che occupava un set gigantesco ma non avevamo bisogno di
un portellone dal quale espellere la bomba perché ciò avveniva in
una sequenza completamente differente. Poi Stanley se ne uscì fuori
con quell'idea del cowboy a cavallo di una bomba atomica come
fosse un cavallo imbizzarrito».
256
Il padre di Sranlc:y Kubrick, dorrnr Il giovane Sr:1n lcy Kubri<:k primn di
J;u;g ues Leona rd Kubri c k, in una c·nrrare alla William 1-lowa rd Taft
foro dell'annua rio 1927, Tbe fiMr-0- High School.
St'tifle, subiro dopo la laurea al New
York Homcoparhic: Medicai College
und f lowc:r Hospiw l (per concessione
della Medie~ ! Scicnc:cs library del
Ncw Ynrk lvfedical College).
Le theerleat!m della T afe H igh Schoo l nel giugno 1945, in una forogralìa scamt-
ca da SranJey Ku brick. N ella fila in piedi la rt:mt da si nistra è Eyd ie Gormt:,
canrame nella Swing Band, menrrc la prima da desmt è Claire Abriss. Kubrick
disrribu1 fmogr.tfì c a l g ruppo con un rim bro con il suo no me sramparo su l
cerro (per concess ione di Claire Abriss).
Forogmfìc· sc;nwrc da Kubrick du rame una lezione del professore di inglese• del
T ;1fr, Anron Trui~tt'r, c he rec ir.1 Shakespe.1rc; fu rono p ubblicare su l numero del
2 aprile 1!)16 d1 .. Look » (pN concessione Ù1 Daniel Traisrer c: Janc· Tr:um:r
Noblt).
Forografia di diploma di Scanlcy l~owgrarìa di diploma Ji Toba Mccz.
Kubrick, gennaio 1916 (Jx·r concC's- gennaio 191R (pt:r concess ione dtl h•
sione del !:t T afe .1:-J igh School). Tafc High School).
Vedura esrern<l del cinema Park Plaza (in una foto scacwca imorno al 1951 ).
dove Kubrick fotog rafò Bernard Coopt- rman pé r l'articolo «A Shorr Short in 11
Movie B<tlcony», che fu p ubblicato su <•Look» del 16 aprile 1916 (per conces-
sione· del h• Brvnx Count)' H iswrica l Socit"cy Collecrion, Bro nx, Ncw York).
Forogn~fìe scarrarc da Kubri ck per «Pri:zetìghcer», cht' fu pubblicato su «look»
dd l l'l gc·nnaio 1949.
Stiflrtl: i gcmtclli Vincent (sinistl"tl) te Walcc·r Carricr, mtnrrc \XIa lccr s i p rrpllru
[X'f un incontro dei p<"si medi (per concessione di Vinct"nt C:arr ier).
St~llr;: il pui-:ik· W alccr Carcic·r e il managt"r 13obby Gkasun prima dd marc:h.
Sof!m: Rurh Soborka in u na foro scarmra dn Ruy Srharr ndl'agosro d el 196.'ì
(per concessione di Da v id Vaugh;m).
S/JtttJ: lstanranca di Rmh Sobork;J e Snm ley Kub rit·k atracroporro eli H ollywood
du ranrr la rralizzaziont- di l?nf iÌIItt n lfJt/1/ o tlriiMia (pt r concessione di D<~vid
Vaugh;m).
Pausa caffè suJ ser d i Orizzonti di J!,luritt: Kubrick (co n il pass<lmon rngna),
Susanne Chrisrian c Kirk Douglas (per concessione del Brirish Film lnsrirute
Sri lls, Posrcrs and Desig ns).
S'•Pm: Tony Curris t LaurencC' Olivi er ne lla di scuss•t S<:l' na del bag no in
Spr,,·rrtmJ.
S"'"':Kuhrick <: Kirk Douglas colti in una pausa òri iC' riprese ddlc scene alla
scuola det g ladtarori di S{'rll'frtm.r (per concessione d<.'ll1fì Srills, Posre rs <md
Dts igns).
Con il cop ione di Lti/ild in m;~ no, Kubri ck posa accanro alla sua scoptrta ptr i l
ruolo di Dolorts 1-h,~e. l"arrricc· Su<" L)•on (ptr conccssion<" dd Btì Srills. Posrcrs
nnd Desi14ns).
Kubrock Jiro!:C d;1 ll'alro l'inquadratu ra di Tr:t<)' Reed per una scena di Il dotfm·
(per <onccssiont- del Blì Srills. Posrers :md Designs).
Slrlmtll/1111'1'
Kub rick dà ist ruzioni a Pc:rcr Sdkn. ne l ruolo d el Prcsidcmc Merki n Mu fll c:y,
uno dc i rre r uoli che J'arrorc inrc·rprc ra in 11 douor St•Ymamore (p(·r concessione
de l 13fì Stills , Postcrs and Designs).
Un <:s<:rciz•o di t·onc<:ncrozione: Kubrirk t la sua di lerw scacchi<:ra (per ronrts-
siont' dd Btì Srills, Posttrs ;~nd Dcsigns).
Kubnck discu té co n lo scrittore Art hm C. Cbrk(· sul scr di 200 l: OdiJup JJello
sptlZirJ (per concessione del Blì Srills, Posrers and Designs).
Kubrick prtpara un carrello per Amurùt 111erfallim lcgaco a Ltna sed ia a roct ll<·
csarr:t m f'nrc: com e l'accorc Pacrick Magce. a sin1sr ra (per COI1CCSS IOil<' del Blì
Sci lls, Poscers and Dtsigns).
Sopra: Sul ser di l3cmJ Lp~tlllll Kubrick prepant ht scena del comharrimenro 11
pugn i nudi era Rya.n O'Neal e Par Rouc h (per concessione del Bfì Scills. Ptlsrers
anù De.~ igns).
Slllto: Kub rick osserva con acrenzione mencre l'opera core al la sccadicam Garrecr
Brown conrroll n h1 SLI ~ arr rczzaru ra per u n<t ripresa dc nrro il lab irinco di
Sbi11iug. Dierro al rcgisra, il suo assisremc- Leon Virali (per concessione del J3fì
Scills, Posn:rs a nd Dcsig ns).
•<SraJllc-y ha uno st;unrdo... c he {• molro penerntnce t qualc hr volca Cl fit unn
pau ra ddl"infe rno. Suppongo dH· sia in grado di crnsmcccedo a nc he ai SUOI
acco ri•• . Douglas Milsome (per concess ione del Bfì Sci ll s. Poscers nnd Designs).
«Mi trovavo nella mia fattoria vicino a Fresno e un venerdì ricevet-
ti una telefonata da Londra, il luogo delle riprese di Il dottor
Stranamore, nella quale mi chiesero se avevo degli impegni lavorativi:
non ne avevo. In quel periodo ero piuttosto libero>>, disse Slim
Pickens al «New York TimeS>>. «Andai al palazzo di giustizia e mi
feci fare il passaporto: non ne avevo mai avuto uno prima di allora.
Quello stesso lunedì mi misi in viaggio per l'Inghilterra. Kubrick
non volle mostrarmi nulla di quello che aveva ripreso. Si limitò a
dirmi: "Recita meglio che puoi, andrà bene". E penso che in effetti
fu cosÌ>>.
Slim Pickens era nato a Kingsberg in California e il suo vero nome
era Louis Bere Lindley Jr. Adottò il nome di Slim Pickens negli anni
Trenta, quando iniziò la carriera di down al vicino Pineos Rodeo.
Raggiunse il successo nella doma di cavalli e di tori, abilità questa
che tornò utile nel punto culminante di Il dottor Stranamore, quando
Kong cavalca la bomba atomica verso il suo fatidico bersaglio.
Pickens era apparso in svariati film western hollywoodiani e aveva
lavorato con Marlon Brando in l due volti della vendetta, dopo che
Kubrick aveva abbandonato il progetto.
Quando Pickens arrivò in Inghilterra la corporazione locale degli
attori decise di non concedergli il permesso di lavoro. L'americano
non fu fatto scendere dall'aereo finché i negoziati non determinarono
la sua liberazione. Pickens arrivò sulla scena agli Shepperton indos-
sando un cappello da cowboy, una giacca da pastore, pantaloni da
pioniere del west e stivaletti in pelle di coccodrillo e coi tacchi alti.
Quando Kubrick decise che il suo cowboy Kong avrebbe cavalcato
la bomba fino all'obiettivo Ken Adam fu costretto a ridisegnare il
set per consentire al porcellone del vano bombe di aprirsi e a trovare
un modo per poter realizzare l'effetto visivo. «Ero disperato perché
dovevamo iniziare a girare la scena due giorni dopo>>, ricorda Adam.
«Non c'era alcun modo pratico con il quale avrei potuto far aprire
quei porcelloni>>. Wally Veevers, un maestro degli effetti speciali di
origine inglese che aveva imparato il mestiere collaborando con i fra-
telli Korda in La vita futura - Nel duemila guerra o pafe e che aveva
lavorato per diversi anni agli Shepperton Studios, si occupava degli
effetti speciali di Il dottor Stranamore; era stato Adam a presentare
Veevers a Kubrick.
«Incontrai Wally il quale mi disse: "Lasciami una notte per pen-
sarci e domani mattina ti dirò come fare">>, ricorda Adam. «Infatti se
ne arrivò con un'idea molto semplice, ovvero di scattare una fotogra-
fia formato 25x30 dell'interno del vano bombe e di ritagliare il par-
ticolare del porcellone che si apre: e fu così che venne realizzata la
ripresa. Sopra al grande set allestito agli Shepperton appendemmo il
257
missile a grandezza naturale cavalcato da Slim Pickens e poi tiram-
mo indietro la gru>>.
Nella sceneggiatura originale, il luogotenente Zogg era l'unico
della squadra che metteva in dubbio la natura patriottica della mis-
sione, ma molte delle battute che delineavano questo aspetto del suo
personaggio furono tagliate. Jones era molto contrariato all'idea di
perdere gli elementi che caratterizzavano il suo ruolo, ma non otten-
ne alcuna risposta soddisfacente da Kubrick sui motivi che l'avevano
indotto a tagliare le battute.
Era la seconda volta che Sterling Hayden interpretava una parte in
un film di Kubrick; la sua apparizione in Rapina a mano armata
aveva contribuito a far decollare la produzione. Ora la parte del
generale Jack D. Ripper costituiva un'enorme sfida per l'emotività
dell'attore. «Il primo giorno fu una tortura>>, disse Hayden. «Ero
nervoso, spaventato, feci quarantotto ciak. Mi aspettavo che Kubrick
esplodesse da un momento all'altro e invece fu gentile, mi tranquil-
lizzò e mi convinse del fatto che la paura che traspariva dai miei
occhi avrebbe contribuito a caratterizzare il mio personaggio>>.
George C. Scott aveva collaborato a L'albero degli impia-ati, Anato-
mia di un omicidio, Lo spaa·one e I cinque volti dell'assa.rsino, ma lavorare
con registi quali Delmer Daves, Otto Preminger, Robert Rossen e
John Huston non lo aveva preparato all'implacabile perfezionismo di
Stanley Kubrick. «Stanley è molto meticoloso e odia tutto ciò che
scrive o tutto ciò con cui ha a che fare>>, dice Scott. «È di una serietà
incredibile, a tratti risulta deprimente e possiede un feroce senso
dell'umorismo; però è un paranoico. Ogni mattina ci dovevamo
incontrare e praticamente riscrivevamo tutto il programma di lavoro
della giornata. È un perfezionista e non è mai soddisfatto di quello
che avviene sul set>>.
«È un uomo che mantiene sempre il comando>>, dice Scotta pro-
posito del regista, <<ma è una persona talmente modesta e disposta a
scusarsi che è impossibile risentirsi con lui>>.
Non essendo disposto a lasciarsi sfuggire l'occasione di rafforzare il
proprio dominio sul lavoro, spesso accadeva che Kubrick portasse
sul set una scacchiera e durante le pause giocasse pieno di buona
volontà con i membri del cast e della troupe. Nel corso della produ-
zione di Il dottor Stranamore, fece diverse partite con George C. Scott,
un buon giocatore che però vinceva di rado. Kubrick considerava le
proprie vittorie come un elemento a suo favore, che gli avrebbe faci-
litato il lavoro con l'attore. <<Mi dava un certo vantaggio su di lui.
Quando ti consideri un buon giocatore di scacchi, provi un rispetto
smodato per le persone che riescono a batterti>>, rivelò Kubrick a
Michel Ciment.
258
Nonostante a Kubrick piacesse lavorare in Inghilterra, nel corso
delle riprese di Il dottor Stranamore espresse a Jack Piler di «Variety»
il suo disappunto riguardo a un aspetto del sistema britannico. «Le
uniche cose che mi irritano in Gran Bretagna sono la difficoltà di riu-
scire a fare dello straordinario e le pause per il tè. A un produttore il
tè costa mezz'ora della giornata di riprese: quindici minuti alla mat-
tina e altrettanti al pomeriggio. E per riuscire a convincere la troupe
a fare dello straordinario assolutamente indispensabile se si vuole
rispettare il programma di produzione incontri tante e tali difficoltà
che alla fine i risultati non valgono gli sforzi fatti per attenerli>>.
Kubrick continuò a tenere in massima considerazione Peter Sellers.
«È il più accanito lavoratore che conosca», commentava. <<Arrivo
allo studio alle sette del mattino e Peter Sellers è già lì che aspetta di
iniziare, con la testa piena di idee».
<<Quando sei così ispirato e dotato di talento come lo è Peter,
l'unico fattore che può impedirti di realizzare il tuo lavoro dipende
dalla tua volontà di rischiare», spiegava Kubrick. <<Io credo che
Peter sia disposto a cogliere le occasioni più impensate pur di realiz-
zare un personaggio; egli è estremamente ricettivo nei confronti di
quelle trovate comiche che la maggior parte dei suoi colleghi riter-
rebbero poco divertenti e prive di senso. lo ritengo che sia proprio
questo ad aver reso i suoi lavori migliori assolutamente unici e
importanti».
In un primo momento, Sellers interpretò il presidehte Merkin
Muffley in modo effemminato, delineandolo come un uomo passivo
costantemente alle prese con un inalatore nasale. Dopo aver girato
diverse scene nelle quali il personaggio veniva rappresentato in que-
sto modo, Kubrick disse a Sellers di volere che il presidente mostras-
se una ragionevole sanità mentale in mezzo al caos che dominava.
Kubrick girò di nuovo le scene con Sellers che ora recitava la parte
del presidente come un filantropo e un liberale.
Attraverso l'improvvisazione Sellers ampliò alcune delle scene.
Nella sequenza in cui il presidente parla al telefono con il premier
russo, Sellers aggiunse la battuta: <<Tu te l'immagini quello che sto
passando io, Dimitri?». La parte di Mandrake venne interpretata da
Sellers senza significative variazioni, con l'unica eccezione della bat-
tuta: <<Generale, io vorrei tanto venire, mi creda, ma il guaio è che
sto già tenendo la cinghia, quella della gamba» (riferendosi alla pro-
pria gamba di legno) diretta al generale Jack D. Ripper, interpretato
in modo squisitamente folle da Sterling Hayden.
<<Nel corso delle riprese, alla sceneggiatura furono apportate diver-
se modifiche sostanziali che a volte dipesero dalla genialità delle
improvvisazioni degli attori», disse Kubrick a Gene Phillips.
259
Molti pensarono che il motivo per il quale Sellers interpretò la
parte del dottor Stranamore su una sedia a rotelle fosse dovuto al
fatto che si era rotto la caviglia. In realtà poiché sia Kubrick che
Sellers ritenevano che le figure politicamente forti fossero in qualche
modo anche imponenti, ritennero che la sedia a rotelle avrebbe potu-
to costituire un efficace accessorio per un dottore pazzo. Nel corso
degli anni, molti sostennero una presunta rassomiglianza tra il dottor
Stranamore e Henry Kissinger. Kissinger era stato professore ad
Harvard e aveva scritto un libro sulla guerra nucleare, ma né Kubrick
né Peter Sellers avevano mai incontrato l'uomo che successivamente
sarebbe diventato il segretario di Stato del presidente Nixon. «Con
ogni probabilità l'accento di Stranamore traeva ispirazione dal fisico
Edward Teller, noto come "il padre della bomba H", disse Kubrick
ad Alexander Walker, «sebbene Teller sia di origine ungherese e il
suo accento non somigli poi tanto a quello utilizzato da Peter>>.
I set del film furono allestiti e fotografati agli Shepperton Studios.
Per un totale della base militare, Ken Adam organizzò una ricogni-
zione sull'aeroporto di Londra, mentre le riprese della sala dei com-
puter furono effettuate in alcuni uffici della Ibm. Gli esterni della
base per le sequenze degli scontri tra le truppe americane furono rea-
lizzati sul terreno retrostante gli Shepperton Studios. I veicoli milita-
ri vennero presi in affitto da società specializzate in residuati bellici.
Kubrick continuava a tenere sotto pressione la troupe cinemato-
grafica britannica con la quale lavorava. Victor Lyndon, il produttore
associato, trovava che lavorare insieme a Kubrick fosse una sorta di
impresa militare. «La mia mente lavora due volte più velocemente di
quanto non accada di solito>>, disse Lyndon a Elaine Dundy che si
trovava sul set degli Shepperton Studios per fare un articolo per la
rivista «Glamour>>. «A Kubrick non basta che gli si dica se una certa
cosa funzionerà o no. Vuole che tu gli provi la tua opinione finché
egli non si ritiene soddisfatto della tua spiegazione, la qual cosa
implica che tu debba ordinare tutte le tue argomentazioni secondo
logica e precisione. Alcune volte ti lascia libero di agire, e comunque
anche in quel caso controlla e ricontrolla. Il lato creativo è completa-
mente in mano sua. Arriva persino a creare le locandine dei suoi
film. È un uomo stimolante con il quale lavorare; la sua mente è
quella di un formidabile giocatore di scacchi, e in effetti lo h.
Ken Adam parlò a Elaine Dundy dell'intensa concentrazione di
Kubrick sul set. «La sua è una buffa combinazione di freddezza e
ipersensibilità. L'altro giorno ha incontrato mia moglie sul set e si è
comportato come se fosse completamente inconsapevole della sua
esistenza, poi, la sera stessa, le ha telefonato per scusarsi. Quando
lavora non riesce a pensare a niente altro>>.
260
Kubrick cambiò numero di telefono quando Terry Southern iniziò
a chiamarlo troppo spesso. Southern era entusiasta del modo in cui il
regista riusciva a concentrarsi fino a ignorare qualunque altra cosa.
«Si versava un drink, poi iniziava a parlare di una cosa e si dimenti-
cava di berlo», disse Southern a Elaine Dundy. <<L'altra sera stavo per
versarmi un drink, visto che gli capita anche di dimenticarsi di
offrirei da bere, ma non c'erano bicchieri. Così gliene ho chiesto uno
e lui mi ha risposto: "Beh, se non c'è bevi dalla bottiglia". Ma va
bene così. Gli elementi secondari non lo toccano. No, è una persona
diversa, probabilmente è un genio».
Kubrick voleva che la tecnologia militare del film avesse un aspet-
to completamente realistico. Poiché si trattava di una commedia
nera, una cooperazione con l'esercito degli Stati Uniti era fuori
discussione. Tuttavia Kubrick e Adam trovarono altri modi per repe-
rire quelle che l'esercito statunitense considerava informazioni riser-
vate sui velivoli utilizzati per lo scontro nucleare. <<Era veramente
incredibile che riuscissimo a ottenere tutte le informazioni che desi-
deravamo attraverso una rivista tecnica sul volo come "Janes"» spie-
ga Adam. <<Arrivammo a conoscere ogni cosa alla perfezione, quindi
copiammo il bombardiere B-52. L'unica cosa della quale non erava-
mo certi erano la forma e le dimensioni di quella piccola scatola, il
CRM, il dispositivo a sicurezza intrinseca. Ma mi venne un'idea:
durante le riprese invitammo alcuni membri della forza aerea a visi-
tare il set, i quali impallidirono quando videro il CRM, così capim-
mo che doveva essere piuttosto simile. Trovai un appunto di
Kubrick nel quale mi diceva: "Farai meglio a scoprire da dove hai
ricavato i tuoi dati perché potremmo essere interrogati"; si trattava
per lo più di dati tecnici ricavati dalle riviste di settore».
Kubrick era affascinato dagli interruttori che si trovavano nell'abi-
tacolo del bombardiere B-52 e dal gergo utilizzato dalla forza aerea
per comunicare con i membri dell'equipaggio. Peter Murton, il
direttore artistico, riuscì a reperire dei pannelli di strumentazione in
metallo zigrinato, sui quali applicò degli interruttori a levetta.
Furono creati dei modellini del bombardiere B-52 in molte scale
diverse, che dovevano essere utilizzati per le riprese in esterni nelle
quali si vede l'aereo in volo. Il metraggio per lo sfondo della scena di
volo fu realizzato a bordo di un Mitchell in volo sulla Norvegia da
]ohn Crewdson, al quale venne riconosciuto il credito di esperto di
aviazione.
Per creare le mappe appese alle pareti della War Room del
Pentagono, attraverso le quali era possibile seguire le tracce dell'aereo
che porta la bomba, Adam e il settore artistico disegnarono delle car-
tine della dimensione di una tavoletta da disegno che poi vennero
261
fotografate e ingrandite su carta fotografica. Kubrick e Adam decise-
ro di animare i simboli che seguivano meccanicamente l'aereo in
volo, ma dopo un attento esame risultò evidente che sarebbero stati
necessari troppi proiettori da 16mm, oltre che troppo tempo, per
organizzare le riprese con trasparenti e proiezioni frontali. Così, die-
tro a ogni simbolo vennero sistemate delle lampadine, ciascuna delle
quali era coperta da un rivestimento in plexiglas, mentre il materiale
fotografico della cartina era steso sopra il plexiglas. Successivamente
ci si rese conto che il calore delle lampadine finiva con il formare
delle bolle sull'emulsione fotografica, sollevandola dalle cornici. Il
problema venne risolto installando un sistema di condizionamento
dietro ai grossi schermi in modo da mantenerli freddi.
Anche il pavimento nero e lucido che Adam voleva per la War
Room del Pentagono fu causa di non pochi grattacapi. Il pavimento
dell'enorme set della stanza della guerra venne ricoperto da fogli a
superficie nera lucida, delle dimensioni di due metri e mezzo per un
metro. Ma poiché il pavimento del set insonorizzato degli
Shepperton era vecchio e tutt'altro che in piano, ne risultò una
superficie troppo irregolare e quindi si rese necessario posare di
nuovo il pavimento.
Una volta completato, il pavimento doveva essere tenuto assoluta-
mente pulito. Per non rigare la superficie lucida, gli attori potevano
tenere le scarpe solo il tempo strettamente necessario alla ripresa;
furono così muniti di babbucce di panno che dovevano essere indos-
sate per spostarsi tra una ripresa e l'altra.
Per la forma dei missili che portavano la bomba, Adam fu costret-
to a contare sulla sua immaginazione. «Non avevo assolutamente
idea di che aspetto dovesse avere un missile. Nel 1962 nessuno aveva
mai visto una bomba atomica, quindi il dilemma era se farla molto
piccola oppure molto grande. Fu così che arrivai a questa forma
curiosa, mentre a Stanley venne l'idea dei graffiti». Kubrick fece
ridipingere le bombe per tre volte cercando di scoprire che aspetto
potessero avere.
Ancora una volta Peter Sellers fece ricorso al suo geniale talento di
improvvisatore per interpretare i suoi tre ruoli, in special modo per
caratterizzare il personaggio del folle dottor Stranamore. Come era
accaduto per Lolita, anche in Stranamore Kubrick lasciò a Sellers asso-
luta libertà di esplorare i personaggi che avrebbe interpretato, e
riscrivendo la scena con le nuove battute scaturite dall'ispirazione e
rendendo così ancora più efficace l'effetto dell'ispirazione. Nel corso
di un'isterica filippica che doveva essere inserita nella conclusione
del film, Sellers, che vestiva i panni del dottore pazzo sulla sedia a
rotelle, esplose in un saluto nazista urlando «Heil Hitler>>. Kubrick
262
incoraggiò Sellers ad approfondire la trovata mentre la scena veniva
perfezionata nel corso di una serie di riprese.
Durante la produzione di Il dottor Stranamore, Stanley Kubrick
venne a sapere che era in corso la lavorazione di un film tratto da
Faii-Safe, un best-seller di Eugene Burdick e Harvey Wheeler. Il
professor Harvey Wheeler aveva scritto il racconto Abraham '59,
pubblicato nel 1959 sulla rivista «Dissent», che gli era servito come
traccia per il romanzo che seguì. Eugene Burdick, l'autore di The
Ugly American, aveva collaborato con Wheeler alla stesura di Faii-
Saje. Come Red Alert, anche Faii-Safe trattava dell'invio accidentale
di un'arma nucleare. Max Youngstein, che ai tempi di Rapina a
mano armata aveva tiranneggiato la Harris-Kubrick, adesso era a
capo della Entertainment Corporation of America, una nuova
società che aveva acquistato i diritti di adattamento cinematografico
di Faii-Safe e che premeva perché il film venisse realizzato e distri-
buito sui grandi schermi d'America nel giro di sei settimane, in
modo da battere sul tempo Il dottor Stranamore. Si vociferava che
l'acquisizione dei diritti di Faii-Safe fosse costata a Youngstein
500.000 dollari.
Quando Kubrick apprese del progetto di Youngstein, annunciò
che gli avrebbe fatto causa. Fu quindi intentata una causa per plagio
contro la Eca di Youngstein, contro Burdick, Wheeler e la McGraw-
Hill, il loro editore, e contro la Curtis Publishing che aveva pubbli-
cato a puntate Faii-Safe. Scopo dell'azione legale era fermare la pro-
duzione dell'adattamento cinematografico del romanzo, che Kubrick
presumeva fosse stato «copiato in larga misura dal libro di Peter
George>>.
Era il febbraio del 1963 e oltre a mandare avanti la causa, Kubrick
premeva perché Il dottor Stranamore uscisse entro luglio battendo così
il suo antagonista. Kubrick annunciò che stava programmando una
intensa campagna pubblicitaria televisiva con spot della durata di un
minuto e più.
Kubrick disse a «Variety>> che Red Alert, originariamente pubbli-
cato con il titolo Two Hours to Doom, era stato scritto molto prima di
Faii-Safe e che per l'accuratezza dimostrata nel trattare l'argomento
Peter George aveva ricevuto i complimenti da parte di esperti del
settore nucleare come Thomas C. Shelling dell'Harvard Center of
International Affairs e di Hermann Kahn, il più eminente stratega
degli Stati Uniti d'America. A prova di errore, questo il titolo Jei
film tratto dal romanzo, sarebbe stata la prima produzione della Eca.
L'azione legale intentata da Kubrick fu discussa presso la Corte
Federale di New York. Dopo essersi consultato con il suo avvocato,
Wheeler si difese sostenendo che la trama del romanzo gli era venuta
263
in mente anni prima e che in origine Abraham '59, sul quale era
ampiamente basato l'intreccio di Faii-Safe, si chiamava Abrahant '57
ma la storia era stata venduta solo due anni dopo.
Nel frattempo Youngstein intendeva procedere con la produzione,
mentre la McGraw-Hill, l'editore che aveva pubblicato Faii-Safe,
assicurava che non c'era motivo di preoccuparsi. Youngstein annun-
ciò: «Inizieremo il 15 aprile».
In effetti tra i due romanzi c'erano delle somiglianze: in entrambi
si parlava degli Stati Uniti che offrivano segreti militari ai sovietici
per aiutarli a distruggere i bombardieri americani, in entrambi il
perdente aveva un congegno capace di fare esplodere ciò che rimane-
va del vincitore. In entrambe le storie c'erano la War Room, i dispo-
sitivi militari, ufficiali e diplomatici che stringevano i denti. Il mes-
saggio di Red Alert era che la pace nel mondo è possibile solo se esi-
ste un equilibrio basato sul terrore. Faii-Safe invece aveva un approc-
cio di carattere più morale e affermava che era possibile lo scoppio di
una guerra a causa di un incidente. Alla fine prevalse Kubrick. La
Columbia Pictures che si era impegnata con Il dottor Stranamore, si
impegnò anche a distribuire A prova di errore, che era diretto da
Sidney Lumet, ma solo dopo che Il dottor Stranamore fosse uscito e
fosse stato distribuito regolarmente: Il dottor Stranamore uscì nel
dicembre del 1963, A prova di errore nell'ottobre del 1964.
Per il montaggio di Stranamore fu chiamato ancora una volta
Anthony Harvey, il quale aveva già dato prova della sua abilità,
pazienza e lealtà in Lolita. Harvey si occupò del premontaggio, la
versione del film del montatore, realizzato mentre il regista sta anco-
ra girando e terminò poco dopo che le riprese furono terminate.
Harvey montò il film in una sala di montaggio degli Shepperton
Studios; il premontaggio comprendeva tutte le scene che il regista
aveva girato e sviluppato. Poi Kubrick e Harvey collaborarono alla
creazione del montaggio definitivo. <<Sedevamo insieme sul pavi-
mento dello studio per un po' e parlavamo, ma non molto, perché la
sua concentrazione era tesa a selezionare le riprese del film. Poi misi
insieme un premontaggio, Stanley ne prese visione e insieme ini-
ziammo a esaminare ogni più piccolo dettaglio, dalla prima bobina
all'ultima», spiega Harvey.
La squadra dei montatori era composta da tre elementi: Harvey e
un primo e un secondo assistente. Il sonoro della postproduzione fu
affidato a Winston Ryder, il brillante montatore del suono che aveva
lavorato con David Lean in Lawrence d'Arabia.
<<Senza ombra di dubbio Stranamore aveva una ben scarsa rassomi-
glianza con la sceneggiatura originale>>, spiega Harvey. «Eravamo
davvero molto depressi. Ricordo che smontammo l'intero film. Io e
264
Stanley mettemmo i titoli su un grosso foglio di sughero e li risiste-
mammo in molti modi diversi finché non trovammo un ordine che
ci sembrava un po' più interessante. A quel punto rimontammo
tutto il film, sistemando in modo completamente diverso le scene.
Quando ti trovi a lavorare alla moviola accade spesso che modifichi
le cose, nel caso di Stranamore ciò accadde ancor più del solito>>.
Il tipo di approccio nero con il quale Il dottor Strananmore si acco-
stava alla satira fece di questa commedia una vera pioniera. La com-
passata serietà dell'approccio cinematografico rese il film ancora più
divertente, permettendo agli spettatori di ridere di un inconcepibile
atto di distruzione nucleare. «I fratelli Boulring, i primi con i quali
lavorai, dicevano sempre: "Se inizi a ridere sul set oppure se la trou-
pe lo trova divertente ai giornalieri, che Dio ti aiuti">>, spiega
Harvey. «La commedia è molto seria. Quando un attore pensa di
essere divertente e recita davanti alla troupe, allora è la morte. Una
volta ripreso su pellicola non funzionerà mai. Stanley si attenne a
questa teoria per tutta la durata del film>>.
Durante il montaggio di Il dottor Stranamore il genere di disastro
più temuto da un regista meticoloso come Stanley Kubrick alla fine
si avverò. Quando Anthony Harvey ebbe completato l'intricato
montaggio della sequenza del lancio della bomba, la ·scena venne
mandata al laboratorio per una stampa in modo da poterla consegna-
re a Winston Ryder, che avrebbe iniziato a creare, registrare e mon-
tare gli effetti sonori. Invece questa fu l'ultima volta che la scena
montata fu vista. Ryder disse di non aver mai ricevuto la stampa
della scena: la sequenza montata era sparita nel nulla. Così Harvey fu
costretto a rifare il montaggio facendo affidamento solo sulla propria
memoria. Era necessario ristampare i giornalieri della sequenza e
Harvey scrupolosamente la ricostruì una ripresa alla volta, basandosi
sul ricordo che aveva del materiale selezionato e di come esso era
stato montato.
Kubrick aveva studiato attentamente le campagne pubblicitarie e
sapeva come analizzare le cifre. Iniziò a frequentare gli uffici pubbli-
citari della Columbia al 711 della Quinta Avenue di New York. Era
consapevole del fatto che Il dottor Stranamore rappresentasse una gros-
sa scommessa, così passò sei settimane con i dirigenti del settore
pubblicitario, insistendo perché al film fossero garantiti lo stesso
trattamento e il medesimo budget che erano stati destinati a I canno-
ni di Navarone, il celebre film distribuito dalla Columbia nel t96l.
John Lee, un ventiduenne che aveva studiato a Cambridge, stava
facendo un tirocinio nel settore pubblicitario della Columbia mentre
Kubrick si stava occupando della creazione di una campagna pubbli-
citaria per il suo film. Kubrick prese il giovane in simpatia e passò
265
ore intere seduto sulla scrivania di Lee a parlare di Il dottor Stranamore
e di vecchi film. Lee definì Kubrick «basso, scuro, tozzo e intenso»,
un uomo ambizioso che lavorava sodo e che sapeva che Il dottor
Stranamore costituiva la sua opportunità di entrare a pieno titolo nel
cinema internazionale d'alto livello.
Il costo del film si aggirò tra l. 700.000 e i due milioni di dollari.
La proiezione per la stampa di Il dottor Stranamore fu fissata per il 22
novembre 1963. Il montatore Anthony Harvey era presente per sor-
vegliare il debutto del film di fronte alla critica, quando da Dallas
giunse la notizia che il presidente John F. Kennedy era stato colpito
a morte da una pallottola. Il film, che sarebbe stato sicuramente
accolto con una risatina sommessa dal trentacinquesimo presidente
degli Stati Uniti, quel giorno non venne proiettato. Tutti i presenti
tornarono a casa a dolersi della triste notizia.
In segno di rispetto nei confronti del presidente, Kubrick modificò
una battuta di Kong nella scena in cui il personaggio spiega ai suoi
uomini il kit di sopravvivenza della missione. In origine Kong dice-
va: «Un tizio potrebbe passare un bel fine settimana a Dallas>>, ma la
battuta fu cambiata in «Un tizio potrebbe passare un bel fine setti-
mana a Vegas>> I. Per ironia della sorte, nella sequenza delle torte in
faccia "Buck" Turgidson diceva: «Gentili signori, il nostro amato
presidente è stato colpito in pieno>>.
Poco prima che Il dottor Stranamore uscisse a New York, Kubrick
disse a Eugene Archer di non essere d'accordo con i dirigenti della
Columbia, i quali pensavano che l'assassinio di Kennedy avrebbe
potuto avere delle ripercussioni sul film. «Non c'è assolutamente
alcun legame tra il nostro presidente, quello interpretato da Peter
Sellers e un qualsiasi altro personaggio reale. È chiaro che nessuno
può vedere Stranamore e considerarlo solo una burla>>, disse Kubrick
ad Archer. «È interessante riflettere sui modi possibili di influenzare
le persone attraverso uno strumento come il mio. Di regola la gente
reagisce quando arriva a confrontarsi direttamente con gli eventi. In
questo caso qualunque contatto diretto con la bomba lascerebbe ben
poche persone capaci di avere una qualche reazione. Il riso non può
fare altro che rendere la gente un po' più riflessiva».
Originariamente Il dottor Stranamore sarebbe dovuto uscire a
Londra il 12 dicembre 1963, ma il 28 novembre, dopo un periodo di
lutto per la morte del presidente, la Reuters comunicò che la
Columbia Pictures avrebbe cancellato la prima londinese di Il dotto-r
l. Nella versione i.mliana «Ci si potrebbe passare una bella domenica con tucta questa
roba».
266
Stranamore in segno di rispetto verso il presidente Kennedy. Il comu-
nicato continuava affermando che: «La Columbia ha riferito a
Stanley Kubrick, il produttore e regista del film, e al sindacato dei
registi di aver deciso che al momento attuale sarebbe inopportuno
fare uscire una commedia di stampo politico». La prima londinese fu
programmata per il 1964.
Quando Il dottor Stranamore venne proiettato per i dirigenti della
Columbia Pictures, le reazioni furono tutt'altro che entusiastiche. Il
vicepresidente in carica della produzione, Mike Frankovich, il figlio
adottivo del comico Joe E. Brown, e sua moglie, l'attrice Binnie
Barnes, apparvero angosciati quando si accesero le luci nella sala di
proiezione al termine della commedia sulla totale distruzione del
pianeta. Frankovich trovò che il film non poteva essere proiettato e
lo definì una disgrazia per la Columbia Picrures.
Il fatto che il film contenesse una sequenza ispirata ai grandi comi-
ci certamente non aiutò. Per tutta la durata del film la War Room
ostenta un buffet coperto di cibi raffinati. Sul tavolo del buffet ci
sono anche una serie di soffici torte alla crema. L'ambasciatore russo
afferra una torta e la lancia. La torta manca il bersaglio designato e
colpisce il presidente in pieno volto. Seguendo la grande tradizione
della sequenza delle torte in faccia, scoppia un pandemonio mentre
le torte volano attraverso la sala della guerra lasciando tutti i presen-
ti sporchi di crema. La conclusione della sequenza vede il presidente
degli Stati Uniti e l'ambasciatore dell'Urss seduti sul pavimento,
coperti di crema, che battono le mani e cantano <<Perché è un bravo
ragazzo ... >> in lode del dottor Stranamore.
La sequenza richiese quasi due settimane di riprese; ogni giorno
venivano ordinate duecento torte fatte di schiuma da barba. Al ter-
mine del primo giorno i danni causati dai lanci delle torte convinse-
ro Kubrick della necessità di girare un altro ciak della War Room
prima della sequenza delle torte in faccia. Bridget Sellers era incari-
cata dei costumi e portò gli abiti imbrattati di crema in una tintoria
di Kingston-on-Thames mentre la troupe ripuliva il set. La proprie-
taria della lavanderia era convinta di essere vittima di una candid
camera, ma Bridget finì col persuaderla del contrario, così la donna
preparò i costumi che dovevano servire per la ripresa che precedeva
quella delle torte in faccia.
Peter Bull, che recitava nel ruolo dell'ambasciatore russo, si trova-
va al centro dei fitti lanci incrociati delle bombe: di crema e in un
articolo pubblicato nel 1966 sul <<New York Times» ricordò con
affetto il lavoro svolto nella leggendaria e inedita sequenza. <<I primi
giorni di riprese della scena furono davvero divertenti», scrisse,
«facemmo un bel po' di prove tirando e ricevendo in faccia le torte
267
per vedere come far sbriciolare la torta. Gli incaricati degli accessori
di scena si divertivano un mondo perché si tenevano sempre al sicuro
ai lati della macchina da presa che riprendeva l'azione, mentre si
preoccupavano di rifornirei di proiettili; alla fine però divennero fin
troppo zelanti e dopo un po' il disagio sopportato dagli attori
diventò considerevole. Sebbene non si sia verificato nessun danno
serio, c'erano sempre il tormento degli occhi che bruciavano e lo
choc provocato dall'ottima crosta della torta che colpiva un po' qui e
un po' là>>.
«Dopo alcuni giorni, quello che era stato un lustro pavimento
sembrava vittima del bombardamento aereo di Londra e non c'era
alcuna possibilità di indossare le scarpe di pezza che utilizzavamo in
tempi passati e più puliti, a meno di fare un gran scivolone attraver-
so tutto il set. In alcuni giorni, gli attori non poterono recarsi al
ristorante dello studio perché camminando lasciavano dietro di loro
una terribile scia. Tutti i corridoi, i bagni e i camerini avevano un
aspetto alquanto fuori dall'ordinario e sembrava fossero stati visitati
da creature extraterrestri, misteriosamente formatesi da alcune forme
vegetali. Si provava un curioso senso di degrado ad andarsene in giro
coperti di pezzi di torta, cosa che io personalmente trovavo piuttosto
deprimente>>.
<<Finalmente l'ultima torta fu lanciata e io partii quasi immediata-
mente per le isole della Grecia dove la gente si limitava a lanciare
vasellame dalle finestre in occasione della Pasqua>>. Le sequenze gira-
te nella War Room avevano richiesto nel complesso cinque settimane
di riprese. Alla fine Kubrick decise di eliminare la scena delle torte
in faccia perché, come ebbe a dire a Gene Phillips: <<È troppo farsesca
e non si accorda con il tono satirico che permea il resto del film>>.
Per la parte culminante del film, alla quale segue la fine del
mondo, Kubrick decise di utilizzare una canzone originale della
seconda guerra mondiale intitolata We'/1 Meet Again e cantata da Vera
Lynn. Il film fece buona pubblicità alla Lynn e ne rinnovò la popola-
rità. L'intento della canzone era quello di far vibrare le corde della
morale. Durante la produzione del film, Kubrick disse a Lyn
Tornabene, in visita agli Shepperton Srudios per intervistare il regista
per un articolo che doveva comparire su <<Cosmopolitan>>, che stava
considerando l'idea di inserire i versi della canzone sopra la scena
finale del fungo atomico prodotto dallo scoppio della bomba. Spiegò
che aveva intenzione di rivolgere un invito agli spettatori perché si
unissero alla canzone. Questa idea però finì con l'essere scartata.
Kubrick cercò di pilotare le reazioni che sarebbero seguite alla pre-
sentazione in anteprima di Il dottor Strananwre alla Columbia. In
occasione di una di queste proiezioni il regista sistemò tra il pubbli-
268
co molti dei suoi amici con la speranza di manipolare in proprio
favore i giudizi sul film. Tra gli spettatori c'era anche Bob Gaffney
che aveva lavorato nella seconda unità di Lolita insieme a Kubrick, il
quale comprese immediatamente che non sarebbe stato semplice
assecondare le intenzioni del regista. Guardandosi un po' in giro,
Gaffney vide un gran numero di donne con acconciature a forma di
alveare che sembravano impreparate allo sconvolgimento che sarebbe
derivato da Il dottor Stranamore. «Dissi a me stesso che non sapevano
di cosa trattasse il film ed ero più che certo che la loro reazione
sarebbe stata del tipo: "Ma che cos'è?">>.
Il dottor Stranamore ottenne il marchio di approvazione da parte
della Mpaa il 2 gennaio 1964, senza incontrare grossi problemi.
La War Room concepita da Kubrick, Southern e Adam non solo
fece ridere le platee ma colpì l'immaginazione di un vero presidente
degli Stati Uniti. Quando nel 1981 Ronald Wilson Reagan, dopo
essere eletto alla presidenza, visitò la Casa Bianca, uno dei primi
ambienti che chiese di vedere fu la War Room. Quando a Ken Adam
venne riferito l'episodio egli rispose: <<Stai scherzando!>>.
Bosley Crowther, il potente critico cinematografico del <<New
York Times>>, rimase atterrito dinanzi alla commedia sulla fine del
mondo diretta da Kubrick. Il filosofo Lewis Mumford scrisse al
<<TimeS>> dicendo: <<Questo film segna una prima breccia nella cata-
tonica trance della guerra fredda che ha tenuto il nostro Paese stretto
in una morsa per così lungo tempo>>. Elvis Presley era un ammirato-
re di Il dottor Stranamore e proiettò una copia del film a Graceland. Il
primo week-end di programmazione del film Steven Spielberg si
mise in coda davanti al cinema, a San José in California. Mentre
stava aspettando di entrare arrivarono di corsa sua sorella e suo padre
con una lettera dell'esercito che lo dichiarava abile alla leva e recluta-
bile. «Ero talmente preoccupato all'idea che avrei potuto andare in
Vietnam che dovetti vedere il film una seconda volta per apprezzarlo
veramente e solo allora compresi la sua essenza di cinema classico e
insieme bizzarro>>, ricorda Spielberg. Oliver Stone vide Il dottor
Stranamore insieme al padre Louis Stone. «Avevo diciotto anni e mi
sembrò così sciocco e ridicolo, anche se percepivo che conteneva
qualcosa di innegabilmente potente. Probabilmente fu la prima
volta, considerando che ero cresciuto a forza di film di Danny Kaye,
che vidi un soggetto trattato in quel modo>>, ricorda Stone. «Fu uno
dei primi film che vidi da ragazzo che puntava il dito cuntru un
governo indifferente ai bisogni della gente, un governo nemico>>.
La critica cinematografica Judith Crist mise Il dottor Stranamore in
cima alla classifica dei dieci film migliori dell'anno; al film fu confe-
rito il premio per il miglior film dalla Society of Film and Televi-
269
sion Arts. Kubrick fu nominato miglior regista dalla Directors
Guild of America e la New York Film Critics gli consegnò il premio
come migliore regista dell'anno. Il dottor Stranamore vinse anche il
premio Hugo come migliore film di fantascienza dell'anno.
Kubrick, George e Southern ottennero una nomination agli Oscar
per la migliore sceneggiatura. Il dottor Stranamore ottenne inoltre una
nomination come miglior film, Peter Sellers come migliore attore e
Kubrick come miglior regista. Il film vinse il Writers Guild Award
per la migliore sceneggiatura del 1964.
Il film ebbe una risonanza internazionale. «Trovavo che i suoi film
fossero piuttosto lunghi e noiosi ma Il dottor Stranamore mi piacque»,
disse il regista Ken Russell. In Europa il film incontrò ampi consen-
si, si guadagnò ottime recensioni e riscosse buoni incassi ai botteghi-
ni di Scandinavia, Italia e Francia. I quotidiani comunisti di Roma e
di Parigi apprezzarono molto il film e applaudirono la satira sulla
follia nucleare in America.
Nell'agosto del 1964 Kubrick si infuriò quando la Mgm e la
Filmways fecero uscire una pubblicità per Il caro estinto, un nuovo
film scritto da Terry Southern, nella quale si leggeva: <<Che cosa
accade quando il regista di Tom}ones [riferendosi a Tony Richardson]
incontra lo sceneggiatore di Il dottor Stranamore?>>. Kubrick incaricò
il suo legale di contattare la Mgm e la Filmways minacciando
un'azione legale se non avessero ritirato la pubblicità. In una dichia-
razione ufficiale, Kubrick spiegò il motivo che stava alla base della
sua azione dicendo: <<Sono stato fortemente sollecitato dai miei legali
a mettere pubblicamente il contributo fornito dal signor Southern
nella giusta ottica e a intraprendere un'azione legale per impedire
che la Mgm e la Filmways ripetano la campagna pubblicitaria>>.
Kubrick continuava spiegando che la sceneggiatura di Il dottor
Stranamore era stata scritta principalmente da lui e da Peter George.
Affermò che Southern aveva collaborato al progetto solo per un breve
periodo e dopo che il lavoro principale sulla sceneggiatura era già
stato portato a termine. Kubrick disse che Southern era stato inter-
pellato <<per vedere se era possibile aggiungere qualche ciliegina
sulla torta». Kubrick affermò che quando Southern era intervenuto
nel progetto, lui e George stavano lavorando alla sceneggiatura già
da otto mesi, e che lo scrittore aveva collaborato dal 16 novembre al
28 dicembre 1962. Egli sostenne inoltre che durante le riprese la
sceneggiatura fu soggetta a sostanziali cambiamenti per opera sua e
di George, anche sulla base dell'improvvisazione dei membri del
cast. Kubrick disse che Southern aveva visitato il set ma mai in veste
professionale e che non aveva preso parte ai cambiamenti apportati
alla sceneggiatura nel corso delle riprese».
270
Il credito per la sceneggiatura era da sempre un argomento dolente
per Kubrick e, come era già stato lamentato dalla famiglia di Jim
Thompson, si ha la sensazione che solo di rado Kubrick riconosceva
agli scrittori il giusto merito. Il regista si batteva duramente per
proteggere le proprie idee e per preservare il suo status di autore.
L'attacco a Terry Southern dovette risultare penoso allo scrittore,
che però rimase fedele al film nel corso degli anni. Il dottor Stranamore
non sarebbe stato lo stesso senza l'attacco perpetrato ai danni della
morale da Southern. Spesso egli parlò con calore ai suoi studenti di
sceneggiatura del lavoro che aveva svolto per il leggendario film. Il
31 ottobre 1995, mentre si stava recando alla Columbia University
per tenere una lezione sulla sceneggiatura, Southern ebbe un collasso
e morì per insufficienza respiratoria; aveva settantuno anni.
Kubrick si trovava all'apice della sua ricerca nel campo della tec-
nologia cinematografica, che continuò a integrare con la padronanza
del mezzo. Continuando a lavorare in modo differente dal sistema
convenzionale, egli incorporò le tecniche che riteneva lo avrebbero
portato ad approfondire sempre più la sua padronanza. La fotografia
rimase alla base del tipo di approccio adottato da Kubrick. Gli
esperti operatori di Hollywood erano in grado di capire come la luce
sarebbe stata letta sull'emulsione della pellicola; se necessario era
anche possibile effettuare dei test per determinare l'illuminazione
finale di una scena complicata. La macchina fotografica Polaroid per-
metteva al fotografo di vedere la stampa immediatamente e Kubrick
iniziò a utilizzarla sui set dei suoi film. Con la Polaroid egli scattava
una foto in bianco e nero con l'illuminazione adeguata alla posizione
della macchina da presa che intendeva utilizzare e usava l'istantanea
per giudicare ed eventualmente ritoccare la luce. La pellicola
Polaroid percepiva la luce in modo differente rispetto a una pellicola
35mm, ma il regista imparò in fretta a valutare le differenze. L'uso
della Polaroid sui set cinematografici finì con il diventare una con-
suetudine dell'industria ma Kubrick fu l'avanguardia, guidato dalla
sua preveggenza artistica e tecnica.
Christiane Kubrick continuò a dipingere e a sondare il suo talento
di artista. Nel settembre 1964 ritornò alla Art Students League per
frequentare un corso di scultura con ]osé de Creeft e in ottobre si
iscrisse a un corso di disegno dal vero con Vaclav Vytlacil.
Nel 19641e Nazioni Unite annunciarono una serie televisiva di sei
episodi finanziata dalla Xerox. I cineasti che avrebbero preso parte al
progetto erano Peter Glenville, J oseph Mankiewicz, Otto
Preminger, Robert Rossen, Fred Zinnemann e Stanley Kubrick. A
quel tempo Peter Hollander, il vecchio compagno di moviola di
Kubrick alla Titra Films nei giorni di Il bacio dell'assassino, rivestiva
271
un ruolo influente nel settore cinematografico delle Nazioni Unite.
«Avevo sempre desiderato convincere Stanley a fare qualcosa per le
Nazioni Unite>>, disse Hollander. Il film però non fu mai realizzato
Al principio degli anni Novanta, dopo una lunga ricerca per trova-
re il negativo originale di Il dottor Stranamore, Kubrick decise di
restaurare personalmente il film fotografando ogni singolo fotogram-
ma di una copia conservata in magazzino con la sua macchina da
presa Nikon. «Scoprimmo che lo studio aveva perduto il negativo di
Il dottor Stranamore>>, disse Kubrick a Tim Cahill della rivista
«Rolling Stone>>. «E che avevano perso anche la colonna sonora
magnetica originale. Tutti i negativi stampati erano controtipi mal
conservati. La ricerca continuò per un anno e mezzo; alla fine fui
costretto a ricostruire il film partendo da alcuni positivi che non ave-
vano una grana molto fine e che per di più erano già danneggiati. Se
quelle pellicole si fossero rotte non avrei più potuto ricavarne alcun
negativo>>. La copia fu nuovamente distribuita nel 1994, in occasio-
ne del trentesimo anniversario del film e fu proiettata al Film Forum
di New York. Originariamente Il dottor Stranamore doveva essere
proiettato con un formato 1.85:1. Nel nuovo positivo, Kubrick rea-
lizzò la sua idea originale di girare il film con un formato di 1.66: l,
che rivelò nella sua interezza il Cinemascope dei brillanti set di Ken
Adam e della messa in scena di Kubrick.
Il 10 novembre 1995, nell'edizione di "Nightline" sulla Abc,
Forrest Sawyer ospitò un programma sullo smantellamento degli
arsenali nucleari degli Stati Uniti e dell'ex Unione Sovietica. I pro-
duttori di "Nightline" decisero di chiamare lo spettacolo Dr.
Strangelove Revisited e mostrarono una clip di Slim Pickens a cavallo
della bomba che avrebbe provocato la distruzione totale. Il 14
novembre Russell Baker scrisse una nota per il «New York Times>>
deplorando la triste condizione in cui versavano le più memorabili
battute del film. «In Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non
preoa·uparmi e ad amare la bomba c'erano delle intere scene, come quel-
la di Keenan Wynn che difende il distributore della coca-cola, che
ho sentito recitare da collezionisti di grandi battute con le voci di
Wynn e di Peter Sellers imitate in modo impeccabile>>.
Con Il dottor Stranamore, Stanley Kubrick raggiunse lo status di
regista/produttore cinematografico internazionale in grado di con-
trollare tutti gli aspetti finanziari, artistici e tecnici del processo
cinematografico.
Era giunto il momento di compiere un passo ulteriore.
272
Parte quinta
1964-1987
Isolamento/Solitudine/Eremitaggio
Capitolo 13
Il viaggio definitivo
Una tromba emette esaltata tre note purissime- do, sol, do- una
più alta dell'altra, e le fa esplodere in un accordo a due stadi. Il rim-
bombo dei tamburi annuncia poi il ritorno della tromba, ora ancor
più determinata nel riaffermare il trionfale richiamo. Una terza, e
ancora un'ultima triade armonica eruttano impetuose esplosivi
sprazzi di energia sonora, culminanti in un accordo che vola sopra di
noi con una forza superiore. Mentre si lancia verso il suo destino, la
tuonante maestà dello splendore di un organo a canne ci scuote con
la sua gloria.
Richard Strauss compose Così parlò Zarathustra nel 1896, quattro
anni prima dell'alba del secolo che avrebbe accompagnato il viaggio
dell'uomo verso le stelle. Mai avrebbe potuto immaginare che que-
sto motivo musicale, studiato per il suo poema sinfonico, sarebbe
divenuto uno dei più celebrati, parodiati e riconoscibili della storia
del cinema.
Fondendo, in 200 l: Odissea nello spazio, la musica visionaria del
diciannovesimo secolo e la realtà immaginata del ventunesimo con i
semi di una ancora embrionale tecnologia degli effetti speciali,
Stanley Kubrick reinventò con cinematica prescienza la nostra perce-
zione del racconto cinematografico e l'esperienza stessa del cinema.
La trama di 2001: Odissea nello spazio è l'armatura di una complessa
esperienza filmica raccontata con immagini, suoni e musica: la nar-
razione di un viaggio che attraversa più di tre milioni di anni. Il
film si apre sulla Terra nell'era preistorica, con un prologo intitolato
"L'alba dell'uomo". Un clan di scimmie ingaggia una battaglia terri-
toriale per il controllo della polla d'acqua che le divide da una tribù
di scimmie nemiche. Esse trovano un enigmatico monolito nero, che
induce il capo delle scimmie a scoprire che la sua mazza d'osso può
essere sia un'arma che un utensile. All'alba del ventunesimo secolo,
275
lo scienziato spaziale dottor Heywood Floyd viene incaricato di inda-
gare su un analogo monolito scoperto sotto la superficie della luna.
L'astronave Discovery parte per una missione di nove mesi su Giove.
L'equipaggio è composto dagli astronauti Dave Bowman e Frank
Poole, insieme a tre colleghi tenuti in ibernazione per la durata del
viaggio, e a Hai 9000, il computer di bordo dell'astronave. Durante
il viaggio Hai pone deliberatamente fine alla vita di Poole e dei
membri ibernati dell'equipaggio, costringendo Bowman a disattivar-
lo e a continuare da solo verso Giove. Nello spazio profondo Bowman
si trova davanti agli occhi un monolito sospeso ed è attratto nella
Porta defle Stelle, che conduce a una stanza vittoriana dove egli vede
se stesso invecchiare, morire ed essere resuscitato - sotto forma di
bambino stellare- dal potere di un altro monolito.
Nel 1957, Alexander Walker intervistò Kubrick nell'appartamen-
to newyorkese del regista, in occasione dell'uscita di Orizzonti di glo-
ria. Mentre Walker stava per andarsene, Kubrick ricevette una con-
segna di film da passare al vaglio. Il critico diede un'occhiata ai
titoli e notò che si trattava di un gruppo di film di fantascienza
giapponesi. Si rivolse nuovamente a Kubrick e gli chiese: «Sta per
fare un film sullo spazio?». Il regista lo guardò minacciosamente, e
disse: «La prego! Attento a quello che scrive!».
Nel febbraio 1964, Stanley Kubrick pranzò al Trader Vic's con
Roger Caras, della Columbia Pictures. Il regista disse a Caras che
avrebbe fatto un film sugli extraterrestri, e questi gli chiese chi stes-
se scrivendo la sceneggiatura. Kubrick spiegò che in quel momento
stava leggendo tutti i principali scrittori di fantascienza, alla ricerca
di un collaboratore. <<Perché perdere tempo?>>, gli chiese Caras,
<<Perché non cominciare semplicemente dal migliore: Arthur C.
Clarke?>>. Caras aveva incontrato Clarke per la prima volta nel 1959,
durante un week-end con Jacques Cousteau, e lo raccomandò come
collaboratore. Kubrick rispose: <<Ma mi dicono che sia un eremita,
un matto che vive su un albero da qualche parte in India>>. Caras gli
disse che Clarke viveva tranquillamente a Ceylon e accettò di contat-
tarlo lui da parte di Kubrick.
Caras telegrafo a Clarke: <<Stanley Kubrick - Il dottor Stranamore,
Orizzonti di gloria eccetera, interessato fare film su extraterrestri.
Interessato a te. Ti interessa? Pensava tu fossi un eremita>>. Clarke
rispose immediatamente: <<Spaventosamente interessato lavorare con
enfant terrible Stop Contattare mio agente Stop Cosa fa pensare
Kubrick che io sia un ~remita>>. L'agente di Arthur Clarke, Scott
Meredith, che aveva venduto a Kubrick i diritti cinematografici di
Red Alert, contattò il regista e gli propose di scegliere alcuni racconti
di Clarke su cui basare la sceneggiatura.
276
L'epico viaggio che avrebbe portato 2001 sullo schermo iniziò
nell'ampio attico di Kubrick, a Manhattan, nel marzo 1964 -l'anno
di uscita di Il dottor Stranamore. Il regista aveva preso una decisione
sul suo progetto successivo, quello che sarebbe stato il suo ottavo
lungometraggio, e il salto evolutivo nella sua carriera di regista cine-
matografico si compì mentre lui andava a piedi dal suo appartamen-
to all'ufficio. Stanley Kubrick stava per cambiare il modo in cui con-
cepiva e faceva film, scegliendo di fondere la sua vita all'arte, per
ottenere l'assoluto controllo creativo; uno sviluppo che era scritto nel
suo destino artistico fin dal 1953, quando a venticinque anni da solo
aveva prodotto, diretto, fotografato e montato il suo primo lungo-
metraggio, Fear and Desire.
L'appartamento di Kubrick incarnava le sue passioni e le sue osses-
sioni: si era creato un ambiente-bozzolo che conteneva solo quello
che gli interessava. Macchine fotografiche e libri erano dappertutto.
Dell'arredo facevano parte una collezione di registratori a nastro,
impianti hi-fi e una radio a onde corte usata per ricevere le trasmis-
sioni radio di Mosca, per conoscere il punto di vista russo sul
Vietnam. Gli oggetti delle tre figliolette, Katharina, Anya e Vivian,
erano sparsi per tutto l'appartamento.
Ormai ogni giorno nell'appartamento venivano consegnate scatole
intere di libri di fantascienza e repertori: Kubrick stava immergen-
dosi in un argomento che presto avrebbe conosciuto meglio di molti
esperti. La sua capacità di cogliere e divulgare informazioni sbalordi-
va molti fra coloro che lavoravano con lui: egli archiviava tutto nelle
sinapsi del suo cervello, come un computer umano.
Stanley Kubrick non corrispondeva al prototipo del regista di
Hollywood. In passato D. W. Griffith, Josef von Sternberg ed Erich
von Stroheim avevano imposto una sorta di uniforme del regista: cap-
pello maestoso, copricalzoni da cow-boy, monocolo, stivali da equita-
zione, bastone da passeggio; John Huston e Orson Welles fumavano
grossi sigari e si circondavano di opulenza. Invece questo figlio di
ebrei americani del Bronx indossava di solito una giacchetta sportiva
informe e molto vissuta, pantaloni sportivi e niente cravatta.
Nel 1964 l'aspetto di Stanley Kubrick cominciò a mutare. Con il
passare degli anni, gli occhi si facevano più intensi e profondamente
segnati, e le sopraéciglia formavano archi sempre più alti. I capelli,
una volta sempre freschi di barbiere, si allungavano: la precisa e sot-
tile definizione del vecchio taglio spariva ora sotto ciuffi ispidi che
ricadevano sulle orecchie ricoprendo la base del collo; non più dispo-
sti con un'ordinata riga da una parte, i capelli erano spettinati e
cominciavano a diradarsi. Lo sviluppo del nuovo progetto coincise
con l'apparizione di una barba fitta e non curata, che dava a Kubrick
277
l'aura di uno studente del Talmud. Gli abiti di stoffa scozzese e le
camicie bianche che gli erano state consigliate dallo staff fotografico
di «Loob> erano sparite da tempo. Commentando la trascuratezza
nel vestire di suo marito, Christiane Kubrick avrebbe detto:
«Stanley si veste come un venditore di palloncini. Sarebbe perfetta-
mente felice con otto registratori e un solo paio di calzoni>>.
In un profilo pubblicato sul «New Yorker>>, il fisico e giornalista
Jeremy Bernstein descrisse un Kubrick con l'aspetto bohémien di un
baro da crociera o di un poeta rumeno, notando che il regista <<aveva
l'aria vagamente distratta di un uomo che sta contemporaneamente
pensando a un problema difficile e cercando di portare avanti una
conversazione quotidiana>>.
Kubrick si mise alla macchina da scrivere e iniziò con frettolosa
decisione a comporre una prima lettera per Arthur C. Clarke, chie-
dendogli di collaborare con lui a un nuovo progetto. Tutto quello
che Kubrick rivelava circa la proposta era il desiderio di fare <<un
film di fantascienza veramente buono>>, specificando che il suo inte-
resse per il genere stava nelle <<ragioni per credere nell'esistenza di
vita extraterrestre intelligente e nell'impatto che una simile scoperta
avrebbe sulla Terra nel prossimo futuro>>. Kubrick concludeva pro-
ponendo di sviluppare il concetto. Il progetto era ancora senza titolo,
non esisteva una sceneggiatura di base né alcun romanzo di cui fosse-
ro stati opzionati i diritti cinematografici. Kubrick aveva un'idea
ancora allo stadio unicellulare, ma che si sarebbe moltiplicata quan-
do sottoposta alla necessaria stimolazione. Sulla busta fu appiccicato
un francobollo di posta aerea e la lettera fece il lungo viaggio fino
alla casa di Clarke a Ceylon.
Più avanti Kubrick spiegò a William Kloman del <<New York
Times>> il suo interesse per la vita extraterrestre: <<La maggioranza
degli astronomi e di altri scienziati interessati alla questione è forte-
mente convinta che l'universo brulichi di forme di vita, gran parte
delle quali -dato che i numeri sono così vertiginosi - pari o superio-
ri a noi in intelligenza, semplicemente perché l'intelligenza umana è
esistita per un periodo relativamente così breve>>.
Quando gli arrivò la lettera dagli Stati Uniti, Arthur Clarke era
nel suo studio a preparare il manoscritto del libro Man and Spa<"e per
la collana <<Science Library>> della Time/Life. Non aveva mai incon-
trato Stanley Kubrick ma aveva visto Lolita, che gli era piaciuto
immensamente. Clarke aveva sentito parlar bene dell'ultima fatica
del regista, Il dottor Stranamore, ed era ansioso di vederlo.
Arthur C. Clarke aveva quarantasette anni, ed era nato a Minehead
nel Somerset, in Inghilterra. Da bambino era affascinato dalla
paleontologia, lo studio della vita nel passato geologico: aveva colle-
278
zionato fossili, costruito telescopi e passato molte notti a tracciare
una mappa della luna.
Da adolescente Clarke aveva fabbricato, con un faro da bicicletta,
una trasmittente fotofona che trasmetteva la voce per mezzo di un
raggio luminoso, e aveva fatto esperimenti con la modulazione audio
della luce solare attraverso mezzi meccanici, anticipando lo sviluppo
di un congegno simile per le comunicazioni spaziali; da ragazzino il
suo soprannome era "Sid lo scientifico". Clarke aveva divorato le
visioni futuribili e fantascientifiche che apparivano sulle riviste
«Amazing Stories>> e «Astounding Stories». L'esposizione a questi
materiali si era fusa a solide basi scientifiche, producendo alla fine
uno scrittore nel quale la padronanza della scienza eccitava una ferti-
le immaginazione.
Nel 1964 Clarke era noto nel suo campo quanto Robert Heinlein e
Jsaac Asimov: il suo romanzo Le guide del tramonto era un classico del
genere, il cui stile, pragmatico e filosofico al tempo stesso, avrebbe
ispirato un'intera generazione con le sue visioni del nostro futuro
nell'universo. I successi artistici dello scrittore nella fiction di fanta-
scienza, e i suoi numerosi ed esaurienti libri sul pensiero scientifico,
ne facevano la scelta ideale per il film di Kubrick.
Clarke rilesse la lettera del regista. Era perplesso per l'assenza di
informazioni· sulla proposta, ma la fascinazione infantile di Kubrick
per il tema degli extraterrestri stuzzicava la sua curiosità. Benché
esistesse qualche film di fantascienza che ammirava, lo scrittore dif-
fidava dei produttori hollywoodiani, più attenti a sfruttare il genere
che a fargli onore: non aveva mai scritto una sceneggiarura e aveva
scarso interesse per quella che considerava una forma subletteraria.
Arthur C. Clarke era un uomo tranquillo e cauto, orgoglioso del suo
status di letterato e geloso del suo lavoro.
Dopo un'attenta considerazione, Clarke decise di accettare l'offerta
di Kubrick di discutere il progetto, e scrisse una lettera esprimendo
interesse. Non era chiaro se il regista volesse farlo collaborare a una
sceneggiatura originale o adattare una delle sue opere già pubblicate.
Per essere preparato, Clarke spulciò prudentemente il suo ampio
archivio di racconti: sentiva che un racconto ben sviluppato era un
buon materiale di base per un lungometraggio, mentre i romanzi
nella riduzione cinematografica spesso perdevano gran parte del con-
tenuto e delle sfumature.
Alla fine della ricerca Clarke scelse di proporre a Kubrick di porta-
re sullo schermo l'affascinante La sentinella, un racconto che aveva
scritto per un concorso della Bbc durante le vacanze di Natale del
1948. Il racconto non aveva vinto premi, ma Scott Meredith l'aveva
venduto alla rivista <<Ten Story Fantasy», che l'aveva pubblicato nel
279
1951 con il titolo originale, Sentine/ of Eternity. <<A differenza della
maggior parte dei miei racconti>>, ricorda Clarke, «questo puntava a
un bersaglio specifico, mancandolo completamente. La Bbc aveva
appena annunciato un concorso per un racconto; io proposi La senti-
nella, fresco di battitura, e lo riebbi indietro un mese dopo. Per qual-
che motivo non ho mai avuto molta fortuna a questi concorsi>>.
Clarke prevedeva che Kubrick sarebbe stato stimolato dall'evocativa
presentazione che il racconto faceva del tema extraterrestre.
La sentinella ipotizzava in nove pagine che visitatori extraterrestri
avessero esplorato la Terra prima dell'uomo, arrivando alla conclusio-
ne che il pianeta un giorno sarebbe stato abitato da esseri intelligen-
ti. I visitatori avevano lasciato un segnale fisico che Clarke descrive-
va come «Una struttura luccicante che aveva pressappoco la forma di
una piramide, alta il doppio d'un uomo, incastonata nella roccia
come un gigantesco gioiello sfaccettato>>. Il racconto era ricco di
sostanza speculativa e intellettuale e di immagini provocatorie per il
mezzo cinematografico.
Clarke lasciava di rado la sua preziosa Ceylon, ma aveva in pro-
gramma un viaggio in America nel mese successivo per una serie di
incontri editoriali e organizzativi relativi a Man and Spare, negli uffi-
ci di New York della Time/Life. Dopo lo scambio di lettere, Clarke e
Kubrick fissarono una data per incontrarsi e discutere il progetto del
regista. Clarke arrivò a New York e si stabilì subito all'Hotel
Chelsea, al centro di Manhattan.
L'incontro fra Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke fu fissato per il
23 aprile, giorno di apertura della Fiera Mondiale di New York del
1964. La coincidenza offrì al film di Kubrick uno sfondo ricco di
suggestioni, perché la Fiera Mondiale proiettava una visione del
futuro. La pellicola aveva un ruolo significativo nel visualizzare e
comunicare i sogni di una vita futura migliore, con l'aiuto di una
tecnologia emergente che, fra computer e voli spaziali, avrebbe cam-
biato per sempre la nostra esistenza quotidiana. Formati panoramici,
multischermi e produzioni multimediali - che ricorrevano a tecni-
che sperimentali come la proiezione a 360 gradi - annunciavano il
nuovo tipo di cinema che stava nascendo negli anni Sessanta.
Come luogo dell'incontro Kubrick aveva scelto Trader Vic's, il
popolare bar del Plaza Hotel dove Roger Caras gli aveva parlato dello
scrittore per la prima volta. Arthur Clarke durante la breve passeg-
giata che lo portava dal suo ufficio al trentaduesimo piano del palaz-
zo Time/Life al Plaza, dopo un giorno di incontri di produzione rela-
tivi al suo manoscritto, provò una sferzata di ansietà nervosa. Che
cosa voleva veramente da lui, Stanley Kubrick? Stava forse mettendo
a rischio la propria consacrata posizione nella comunità fantascientifi-
280
ca facendo il cascamorto con il cinema? Mentre entrava al Plaza e
arrraversava l'albergo per arrivare al Trader Vic's, Clarke si augurò
che Kubrick non fosse il classico tipo di Hollywood: l'immagine
archetipica del produttore hollywoodiano sempre abbronzato, che
parla velocemente, fuma il sigaro e dice «pranziamo insieme>> domi-
nava l'idea che lo scrittore aveva del mondo del cinema. Clarke arrivò
in anticipo; si avvicinò al bar e ordinò da bere. Kubrick si presentò in
orario e andò direttamente verso di lui; prima di contattarlo, infatti,
aveva letto tutto ciò che Clarke aveva pubblicato e la quarta di coper-
tina dei suoi libri rendeva lo scrittore istantaneamente riconoscibile.
Clarke fu sollevato: Stanley Kubrick aveva l'aspetto di un
newyorkese medio, ben lungi dal produttore hollywoodiano. Lo
scrittore osservò con un po' di sospetto la carica di energia del regi-
sta, dato che erano passate le sette del pomeriggio. In Kubrick si
riconosceva il pallore di una persona notturna, decisamente in con-
trasto con le abitudini rigorosamente diurne dello scrittore, abituato
a vivere imponendosi la regola: «Nessuna persona sana resta sveglia
dopo le dieci di sera, e nessuno che rispetti la legge oltrepassa la
mezzanotte>>.
Il Trader Vic's era un posto ideale per una conversazione sul cine-
ma, ma Stanley Kubrick non aveva in mente quel tipo di film di cui
solitamente si discute con in mano un cocktail. La chiacchierata fu
vivace e stimolante e il fascino di Kubrick fece sentire Clarke a suo
agio: il regista non cercava di vendere proposte, non pronunciava
mai parole come «accordo>> o <<baby>> e, anzi, il tema del suo proget-
to cinematografico non fu affatto sfiorato dalla discussione. La serata
si concluse con cordialità, fissando la data di un nuovo appuntamen-
to. Clarke uscì dall'incontro impressionato dall'intelligenza pura di
Kubrick e dalla sua abilità nell'afferrare istantaneamente nuove idee
e nuovi concetti.
Il regista contattò nuovamente lo scrittore e gli chiese di tenersi
libero un giorno intero per il secondo incontro. Kubrick condusse
per ore la conversazione in dialoghi ispirati che esploravano un
ampio spettro di argomenti: la fantascienza, Il dottor Stranantore, i
dischi volanti, i programmi spaziali americani e russi, il senatore
Barry Goldwater. Ogni scambio di opinioni era intenso, ricco di
dati, di punti di vista diversi e di attenzione al dettaglio. Clarke
apprezzava lo stimolo intellettuale, ma con il trascorrere della gior-
nata non poteva fare a meno di tornare con la mente all'allettante
progetto di fantascienza del regista.
Finalmente, quasi alla fine della giornata, Kubrick chiese ufficial-
mente a Clarke se era d'accordo a collaborare con lui per un film di
fantascienza. Il regista sentiva che, per quanto poco solida, la possi-
281
bilità dell'esistenza di vita extraterrestre poteva essere trasferita su
pellicola, e a Jeremy Bernstein avrebbe dichiarato: «Uno scrittore
inglese di fantascienza ha detto una volta: "A volte penso che siamo
soli, e a volte che non lo siamo. In entrambi i casi, l'idea è da verti-
gine". Devo dire che sono d'accordo>>.
Kubrick spiegò a Clarke che avrebbero elaborato insieme la vicen-
da, usando La sentinella come punto di partenza. Clarke, sedotto dal
carisma del suo interlocutore, disse di sì ma senza rendersi conto del
significato di questo accordo. Per il regista era l'inizio di un processo
formidabile, che avrebbe abbracciato completamente facendolo svi-
luppare in modo rigoglioso. Per lo scrittore scrivere una sceneggia-
tura per Stanley Kubrick ed essere parte dei suoi meticolosi metodi
di produzione sarebbe stato una prova di resistenza mentale e fisica
al di là della capacità di comprensione dello scrittore. Una stretta di
mano segnalò che si era già cominciato.
Ricorda Clarke: «Aveva fin dall'inizio un'iclea molto chiara della
meta finale. Voleva fare un film sulla relazione fra l'uomo e l'univer-
so; qualcosa che non era mai stato tentato, né tanto meno ottenuto,
nella storia del cinema. Stanley era deciso a creare un'opera d'arte
che suscitasse le emozioni della meraviglia, del timore reverenziale e
anche, se fosse stato il caso, del terrore».
Nel mese successivo Clarke continuò a lavorare su Man and Space,
e intanto dedicava fino a cinque ore al giorno a una serie regolare di
incontri con Kubrick. Nella primavera del 1964 i due passavano
fino a dieci ore al giorno a discutere il progetto, incontrandosi a casa
di Kubrick e in vari ristoranti, fra cui anche il familiare ritrovo di
New York, l'Automat. Visitarono il museo Guggenheim, il Centrai
Park e la Fiera Mondiale, che si teneva nel parco di Flushing
Meadows, nel Queens, dove era stata ospitata anche l'edizione del
1939. Continuavano a camminare e a parlare di spazio, extraterrestri
e film. Lavorare con Kubrick per Clarke era al tempo stesso eccitan-
te ed estenuante: il computer mentale del regista aveva continuo
accesso a miniere di informazioni e l'ossessione gli assicurava una
formidabile capacità di resistenza; le sue domande senza fine e la
mania per i dettagli più minuti attingevano senza posa all'enorme
sapere dello stesso Clarke. Anche se Kubrick era attratto dal concet-
to di un segnale lasciato sulla Terra da una cultura aliena, le sue idee
per il film andavano ben oltre i confini di La sentinella. A Clarke il
regista sembrò destinato alla nevrosi, spinto da una sete inestingui-
bile di perfezione totale.
Il primo approccio allo sviluppo del film prevedeva una serie di
sequenze che descrivessero la scoperta interplanetaria e l'esplorazione
della luna: il titolo scherzoso attribuito all'idea da Kubrick e Clarke
282
era "La conquista dello spazio", una parodia dell'epico western in
Cinerama della Mgm La wnquista del West. Queste scene di tipo
semidocumentaristico descrivevano i giorni pionieristici della nuova
frontiera spaziale; gli eventi dovevano raggiungere il culmine con
quello che sarebbe poi diventato il mistero spirituale di 200 l -
l'avvistamento di una struttura extraterrestre - ma questa direzione
fu presto accantonata quando Kubrick iniziò a esplorare altre possi-
bilità: La sera del 17 maggio 1964 - racconta Clarke - al termine d i
uno dei loro incontri-maratona, lui e Kubrick uscirono sulla veran~a
dell'appartamento del regista per prendere un po' di fresco. Alle
nove di sera videro insieme quello che parve loro un Ufo che scintil-
lava nei cieli pieni di smog sopra di loro. Kubrick chiese una spiega-
zione, ma Clarke era sconcertato e il regista si fece sopraffare dalla
paranoia: temeva che la scoperta di vita extraterrestre avrebbe
distrutto i piani che stavano prendendo forma per il film. I due
telefonarono al Pentagono e riempirono il modulo standar.d per
segnalare al governo l'avvistamento di un Ufo. Poi Clarke parlò
dell'accaduto con alcuni amici al planetario di Hayden e questi risol-
sero il mistero interstellare con i loro computer: regista e sceneggia-
tore avevano assistito al passaggio di un Echo I, non di un segno di
vita extraterrestre. Racconta Clarke: «Ricordo ancora, un po' timida-
mente, le mie sensazioni di timore ed eccitazione e il pensiero che mi
fulminò: "Questa coincidenza è troppo. Loro hanno deciso di impe-
dirci di fare questo film">>. L'ansia di Kubrick si riaccese quando la
sonda spaziale Mariner 4 si avvicinò a Marre. Il regista sentì l'esigen-
za di sviluppare trame alternative nel caso che sul pianeta rosso si
fosse scoperta la vita. Kubrick cercò anche di assicurare il film contro
la possibilità di essere superato dalla realtà della corsa allo spazio:
chiese ai celebri Lloyd's di Londra di stendere una polizza che lo
risarcisse qualora fosse scoperta vita extraterrestre, ma il costo, come
la pretesa, era astronomico. Clarke ha dichiarato che non ci sarebbe
mai stato un 200 l: Odissea nello spazio se quella sera di primavera
avessero realmente visto nel cielo ciò che credevano di aver visto.
Kubrick scartava le idee a una velocità spaventosa. Per rifornirsi di
carburante per il pensiero, Clarke tornò ai suoi archivi e presentò al
regista altri racconti che aiutassero a portare avanti l'epica spaziale.
Il 20 maggio 1964, Arthur C. Clarke firmò un contratto per for-
malizzare il suo lavoro sul progetto di Kubrick. L'accordo includeva
la vendita di La sentinella e di altri racconti di Clarke: Aria per uno,
Fuori dalla mila, Su un'orbita infinita ... , Il fantasma nella tuta,
Seguendo la wmeta e Prima dell'Eden. Illegale di Kubrick, Louis Blau,
e Scott Meredith misero a punto il contratto: lo scrittore ricevette
un'opzione di 10.000 dollari sui racconti; il 28 marzo fu deciso che
283
Clarke avrebbe scritto un trattamento basato su La sentinella, con un
compenso di 30.000 dollari, metà dei quali sarebbe stata pagata
all'inizio delle riprese e l'altra metà alla conclusione del film.
Kubrick avrebbe ricevuto una percentuale dei proventi di qualsiasi
romanzo-segue!, e dei diritti cinematografici collegati a 2001.
Avviandosi alla produzione, Kubrick elaborò un programma di
lavoro destinando al completamento del copione dodici settimane,
cui ne sarebbero seguite due di consultazioni, quattro di revisione,
quattro per preparare la parte visuale, venti settimane di riprese,
venti di montaggio e dodici di preparazione prima dell'uscita.
Questo programma enorme in realtà sarebbe più che raddoppiato
prima che il film fosse finito.
Per la prima fase, il completamento del copione, Kubrick rifiutò
l'idea di scrivere una sceneggiatura convenzionale, da lui definita «la
forma di scrittura meno comunicativa mai concepita>>. Istintiva-
mente sapeva che il progetto si sarebbe cristallizzato in fase di lavo-
razione, ma una stesura nero su bianco divenne necessaria quando la
Mgm si disse interessata a distribuire il progetto.
Il metodo scelto da Kubrick per trovare un compromesso con le
convenzioni dell'industria cinematografica fu di studiare un modo
non convenzionale di generare una storia per lo schermo: propose a
Clarke di scrivere insieme un intero romanzo, tenendo a mente le
possibilità filmiche. Il copione sarebbe stato sviluppato dal romanzo
stesso.
Kubrick sistemò Clarke nel suo ufficio di Centrai Park West, con
una macchina da scrivere elettrica e una scorta di carta bianca, ma
dopo un solo giorno sotto lo scrutinio del regista lo scrittore preferì
ritirarsi nell'atmosfera letterariamente più adatta del Chelsea Hotel,
nel quale la sua creatività era stimolata dalla compagnia di Arthur
Miller, Alleo Ginsberg e William Burroughs (che abitavano tutti
fisicamente al Chelsea) e di Dylan Thomas e Brendan Behan (presen-
ti in spirito). Oltre a essere l'albergo preferito da molte delle super-
star di Andy Warhol, il Chelsea divenne così anche il luogo in cui
furono scritti Il pasto nudo e 2001.
Kubrick e Clarke erano agli antipodi quanto a ritmi di lavoro e di
riposo. «Arthur e Stanley erano perfettamente complementari>>,
disse Roger Caras a Nei! McAleer, biografo autorizzato di Arthur C.
Clarke: <<Vi era qualche leggero conflitto, dovuto al fatto che Arthur
va a letto molto presto. Si stanca molto e il suo orario tipico per
andare a dormire è fra le nove e le nove e mezza. Stanley va a letto
verso le tre del mattino e dorme fino alle tre del pomeriggio. Questo
a volte presentava qualche problema. Ma quando i loro tempi si fon-
devano, ne risultava un confronto di talenti che dava a ciascuno dei
284
due il massimo risalto». Caras chiama l'incontro dei due <<un buon
matrimonio cerebrale>>.
Nel gennaio 1965, arrivarono in città Harry Lange e Frederick
Qrdway per la convention dell'American Institute of Aeronautics
and Astronautics all'Hilton di New York. I due avevano una società
di consulenza spaziale e stavano facendo il giro delle case editrici per
parlare di un libro sugli extraterrestri. Lange aveva progettato
manuali di addestramento per i piloti dell'esercito degli Stati Uniti
e, più avanti, avanzati veicoli spaziali per la Nasa; dal 1964, insieme
a Ordway, iniziò a sviluppare progetti spaziali indipendenti.
Ordway, che lavorava anche lui alla Nasa e alla Army Ballistic
Missile Agency a Huntsville in Alabama, approfittò della visita per
organizzare un incontro con Clarke.
Clarke, Lange e Ordway si incontrarono a pranzo all'Harvard Club.
A tavola, lo scrittore rivelò che stava lavorando a un film con Stanley
Kubrick; e Ordway gli disse di un progetto, intitolato "Intelligence
in the Universe", che lui e il suo collega stavano sviluppando per la
Prentice-Hall. Clarke fu molto impressionato dalle visualizzazioni
che Lange aveva creato per l'occasione. Quando i due salutarono per
andare a un altro appuntamento, fuori era iniziata una bufera di
neve. Mentre loro, ignari, aspettavano un taxi, Clarke si lanciò nella
tormenta verso il primo telefono pubblico per avvertire Kubrick; il
regista richiamò immediatamente l'Harvard Club, chiedendo al
direttore di far cercare i due, ancora in attesa sotto la neve. Ordway
fu rintracciato e accompagnato all'interno, fino a un telefono da cui
una voce gli disse: «Signor Ordway, sono Stanley Kubricb>.
Lange e Ordway passarono il giorno seguente a parlare con
Kubrick e firmarono un contratto di sei mesi per lavorare al progetto
del film. Ordway fu preso come consulente tecnico principale, men-
tre Lange doveva creare il design delle astronavi: avrebbero lavorato
all'esterno dell'ufficio di produzione della Polaris, con la responsabi-
lità di tenere Kubrick aggiornato sullo stato dell'esplorazione spazia-
le. La Polaris era l'ultima di una serie di case di produzione che
Kubrick aveva fondato per i suoi progetti; l'arredamento dell'ufficio
era sobrio, le suppellettili ridotte al minimo. Il regista passava ore
del suo fittissimo programma nei colloqui per scegliere la troupe
tecnica e sondare i cervelli migliori nel campo della scienza e della
tecnologia aerospaziale.
Durante la stesura del romanzo, Kubrick e Clarke proseguirono i
loro incontri quotidiani nell'attico, impegnati in continue disserta-
zioni e revisioni. Per lo scrittore, il metodo di lavoro del regista era
di una lentezza esasperante; i cestini della spazzatura traboccavano di
fogli di carta mentre, alla ricerca del Graal di Kubrick, un flusso di
285
parole si aggregava in idee che continuavano a espandere la portata
del soggetto nel tempo e nello spazio.
Arthur Clarke suggerì a Kubrick di andare insieme a parlare con il
giovane scienziato Cari Sagan, che era astrofisico allo Smithsonian
Astrophysical Observatory di Cambridge, nel Massachusetts, e che
in seguito sarebbe divenuto il celebre autore e presentatore di
Cosmos. Sagan, non ancora trentenne, fu invitato da Kubrick a una
cena-colloquio nel suo attico; la conversazione prima, durante e dopo
la cena fu centrata su quale poteva essere l'aspetto delle creature
extraterrestri. Sul quesito se la creatura dovesse o meno avere sem-
bianze umane, Kubrick era a favore e Clarke contrario. <<lo dissi che
sarebbe stato un disastro raffigurare gli extraterrestri», racconta
Sagan a Nei! McAieer. <<La mia tesi era che il numero di eventi indi-
vidualmente improbabili nella storia evolutiva dell'uomo è così
grande da rendere assolutamente improbabile che in qualunque altro
punto dell'universo si evolva qualcosa di simile a noi. Sostenevo che
qualsiasi esplicita rappresentazione di un essere extraterrestre avan-
zato fosse destinata ad avere in sé almeno un elemento di falsità e che
la soluzione migliore sarebbe stata suggerire gli extraterrestri, invece
d i raffigurar! i esplicitamente>>.
Kubrick e Clarke si disposero ad accogliere il maggior numero possi-
bile di influenze esterne, leggendo Adam's Ancestors di Louis Leakey e
African Genesis di Robert Ardrey, un testo che in seguito avrebbe avuto
un impatto decisivo su Sam Peckinpah e sul suo discusso film Cane di
paglia. Iniziarono a studiare The Hero with a Thomand Faces, un libro di
Joseph Campbell che avrebbe poi influenzato la trilogia di Guerre stella-
ri. Clarke andò a trovare il dottor Harry Shapiro, direttore dell'istituto
di antropologia aii'American Museum ofNatural History a New York.
Frederick Ordway sollecitò società impegnate nella tecnologia
aerospaziale perché si lasciassero coinvolgere nel film spaziale di
Kubrick, e riuscì ad attrarre l'interesse di Nasa, Ibm, Honeywell,
Boeing, Beli Telephone, Rea, Generai Dynamics, Chrysler e Generai
Electric. Kubrick allettò le aziende a contribuire al film con idee e
design offrendo in cambio un'apparizione dei loro marchi sullo scher-
mo, e questo ben prima che nel mondo della produzione cinemato-
grafica il concetto di product placemenfl diventasse un punto fermo.
287
incendio al terzo piano del Chelsea Hotel; mentre i pompieri cer-
cavano di estinguere le fiamme, Clarke si rifugiò nella hall, imma-
ginando con orrore il fuoco che si estendeva ai sette piani superiori
e trasformava la sola copia del manoscritto in un inservibile muc-
chietto di ceneri. Che cosa avrebbe detto allora a Stanley Kubrick?
Il l luglio era l'ultimo giorno di Clarke alla Time/Life: Man and
Spare era ormai finito. Il programma originale dello scrittore era
di tornare immediatamente a Ceylon, ma con tutto il lavoro anco-
ra da compiere sul progetto di Kubrick il ritorno a casa era fuori
discussione. Al termine della prima settimana di luglio, Clarke
aveva finito i primi cinque capitoli del romanzo, con una media di
duemila parole al giorno. Scriveva su una vecchia macchina da
scrivere Smith-Corona grigia, lavorando nella suite 1008 del
Chelsea Hotel e nutrendosi di tè, cracker e pàté di fegato. Alla
fine del mese lo scrittore si prese una breve pausa per comprare a
Stanley Kubrick un cartoncino di auguri per il suo trentaseiesimo
compleanno, il 26 luglio. Passeggiando per il Greenwich Village,
Clarke trovò il messaggio più adatto al regista di Il dottor
Stranamore: un cartoncino che mostrava la Terra in procinto di
esplodere. L'iscrizione diceva: «Come puoi passare un buon com-
pleanno quando il mondo potrebbe esplodere da un minuto
all'altro?».
Alla fine di agosto emergevano ormai tre dei personaggi princi-
pali del romanzo: due erano astronauti e uno un computer.
Kubrick decise che quest'ultimo, che nella storia continuava ad
acquistare peso e importanza, sarebbe stato femmina e si sarebbe
chiamato Atena, come la dea greca della guerra e della saggezza.
Alla fine il computer cambiò genere e divenne il più famoso main-
frame del cinema: Hai.
Dopo l'uscita di 2001 alcuni spettatori ingegnosi sarebbero
giunti alla conclusione che il nome Hal fosse nato perché le lettere
che seguono H, A e L nell'alfabeto sono I, B ed M, un riferimento
alla Ibm, che all'epoca era sinonimo di computer. «Fu una sor-
prendente coincidenza», ha detto Kubrick ad Alexander Walker:
((Arthur C. Clarke e io avevamo chiamato il computer Hai, che è
un acronimo basato sulle parole "euristico" 2 e "algoritmico", le
due forme di apprendimento che Hai aveva approfondito. Parecchi
anni dopo, un amico appassionato di codici ci fece notare che cia-
scuna lettera di Hai era una lettera avanti a Ibm e si congratulò
con noi per la gag nascosta». Rammenta Bob Gaffney: ((Ricordo
288
che c'era un ragazzo che scrisse a Stanley e gli disse come aveva
facto a capire che Hai era Ibm. La gente ci leggeva di tutto. Quei
ragazzi in pieno acid trip cercavano solo il senso della vita».
Mentre Clarke continuava a dar corpo alla storia, Kubrick iniziò
ad accumulare una moltitudine di domande sulla descrizione degli
astronauti, prendendo in esame ogni aspetto del loro lavoro e della vita
nello spazio. Tutte queste richieste erano soddisfatte dalle continue
ricerche dei collaboratori del regista. Una delle aree della ricerca di
Kubrick erano le storie di gente rimasta isolata molto a lungo: egli cer-
cava di capire che cosa avrebbero provato gli astronauti una volta priva-
ti di ogni contatto con il loro ambiente naturale e con gli altri. Tra i
libri che capitarono nelle mani del regista uno era su Ernest
Shackleton, un esploratore irlandese che aveva attraversato l'Areico con
un gruppo di p~rsone. Dopo averne assorbito la storia, il regista passò il
libro all'amico e collega Bob Gaffney, con il consiglio di farne un film.
Clarke aveva sempre più paura di non riuscire a trovare una trama
adeguata al film. Il suo sonno era ormai irregolare e interrotto da
incubi: in uno si trovava sul set - le riprese erano cominciate - con
gli attori che stavano lì senza avere niente da dire, e Kubrick conti-
nuava a interrogarlo e a sondarlo, mentre lui ancora non aveva trova-
to il filo narrativo che il regista cercava. Nelle ore di veglia, Clarke
faceva lunghe passeggiate con Kubrick fino all'East River, con poche
risposte e sempre nuovi elementi da considerare. Con l'avvicinarsi
del 25 dicembre, Archur C. Clarke batté lentamente le ultime pagi-
ne del romanzo, che presentò a Kubrick a Natale. Tutto il processo
di scrittura aveva richiesto ai due una media di quattro ore al giorno,
sei giorni la settimana, o circa duemilaquattrocento ore di lavoro per
due ore e quaranta di film - un vertiginoso rapporto di 900 a l.
Kubrick si estasiò davanti al manoscritto e disse a Clarke: <<Abbia-
mo ampliato il campo della fantascienza>>. La storia arrivava fino al
punto in cui Dave Bowman entrava nella Porta delle Stelle, ma ter-
minava senza una conclusione definita. Clarke pensava che da questo
canovaccio la sceneggiatura sarebbe emersa facilmente, ma per il
regista il progetto era ancora in gestazione.
Kubrick usò il manoscritto per vendere l'idea alla Mgm e alla
Cinerama, con un budget previsto di sei milioni di dollari. <<Presi il
loro trattamento>>, racconta Louis Blau, l'avvocato di Kubrick, a
Neil McAieer, «e lo feci leggere alla Mgm. Erano tenuti a risponder-
mi entro due o ere giorni, e fu in quei termini che chiusi l'accordo.
Stanley non usa mai una sceneggiatura tradizionale, come certi regi-
sci che vogliono sapere tutti i dettagli della scena. Lui invece conti-
nua a lavorarci fino all'inizio delle riprese, e anche durante, per assi-
curarsi che sia sempre meglio>>.
289
Martedì 23 febbraio 1965 la Mgm, dai suoi uffici al 1540 di
Broadway a New York, diffuse un comunicato stampa che annunciava
l'intenzione di produrre con Kubrickjourney Beyond the Stars, un titolo
di lavorazione usato per vendere l'idea, mentre il regista stava ancora
cercando le parole più giuste per definire la sua visione. Secondo il
comunicato, il progetto era appena stato annunciato ufficialmente da
Robert H. O'Brien, presidente della Mgm, e sarebbe stato realizzato a
colori e in Cinerama. Gli interni sarebbero stati girati negli studi
Mgm di Londra. Il comunicato includeva la descrizione del progetto
secondo Kubrick: <<}ourney Beyond the Stars è un'epica storia di
avventura ed esplorazione, che abbraccia la Terra, i pianeti del nostro
sistema solare e un viaggio di anni luce verso un'altra parte della
galassia. È un tentativo con fondamenti scientifici - e tuttavia dram-
matizzato - di esplorare le infinite possibilità che il viaggio spaziale
apre ora all'umanità. Il grande biologo J.B.S. Haldane ha detto:
"L'universo non è solo più strano di quello che immaginiamo; è più
strano di quello che siamo in grado di immaginare". Quando conside-
riamo che nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle, di cui il
nostro sole è un esemplare perfettamente medio, e che le stime più
attuali indicano il numero di galassie nell'universo visibile in cento
milioni, l'affermazione di Haldane suona addirittura conservatrice>>.
Con questo impegno ufficiale e l'annuncio della Mgm, l'accordo
era siglato - l'odissea iniziava. Robeit O'Brien autorizzò lo stanzia-
mento di sei milioni di dollari per il film spaziale di Stanley
Kubrick, programmandone l'uscita alla fine del 1966 o nella prima-
vera 1967. La decisone fu criticata da azionisti e dirigenti, ma il pre-
sidente appoggiò il regista con i suoi soldi e la sua fiducia.
Armato di una prima stesura, Clarke affrontò l'enorme impegno di
rivedere ed espandere il romanzo che doveva servire da percorso nar-
rativo del film. Intere sezioni del romanzo già approvato da Kubrick
furono scartate: nulla era definitivo, e le idee erano ancora in pieno
movimento mentre il momento di avviare la produzione vera e pro-
pria si avvJCmava.
Nell'aprile 1965, Tony Masters si trasferì a New York dall'Inghil-
terra e fu assunto come scenografo. Masters era stato un maggiore
dell'artiglieria reale nella seconda guerra mondiale e lavorava nel
cinema dal 1946; nel 1962 aveva fatto parte del reparto scenografia
di Lawrenfe d'Arabia di David Lean.
Mentre Clarke era ancora chino sulla macchina da scrivere per dare
al romanzo una conclusione, e a New York sbocciava la primavera,
Kubrick iniziò a sentire tecnici, capi reparto e attori, continuando a
fronteggiare dagli uffici della Polaris Productions l'assalto di detta-
gli e di decisioni da prendere che si riversavano sulla fase di prepro-
290
duzione. Clarke chiamò Roger Caras, che fu sorpreso di trovarlo a
New York. «Gli dissi: "Ehi, Arthur, quando sei arrivato?"», racconta
Caras a Nei! McAleer, «e lui mi rispose che era stato in città per
quasi sei mesi, al lavoro sul nuovo progetto. Parlai con Arthur qual-
che minuto, poi mi passò Stanley, che mi chiese: "Ti va di venire in
Inghilterra con noi a fare un film?". Era una domenica sera, circa le
undici e mezza, che per Arthur è tardi. Chiamai mia moglie e le
dissi: "Jill, ti va di traslocare in Inghilterra?". E lei rispose: "Certo".
Così il giorno successivo mi licenziai dalla Columbia Pictures dopo
dieci anni e mi preparai a trasferirmi in Inghilterra con Arthur,
Stanley e il resto del gruppo. Ero diventato il direttore della pubbli-
cità di 2001: Odissea nello spazio>>.
A Roger Caras fu affidato l'arduo compito di individuare ogni libro
di fantascienza che fosse mai stato scritto e di compilare un archivio
di articoli riguardanti il viaggio nello spazio e le scienze relative. Un
archivista dello staff rintracciò e procurò copie di tutti i film di fan-
tascienza. Clarke e Kubrick si fecero proiettare Uomini sulla luna
(prodotto da George Pal e basato su un romanzo di Robert Heinlein),
Ultimatum alla Terra, La msa da un altro mondo e Il pianeta proibito.
Dopo aver visto La vita futura - Nel duemila guerra o pace di William
Cameron Menzies, di cui Clarke era un ammiratore, Kubrick si rivol-
se allo scrittore e gli disse: <<Cosa stai cercando di farmi? È l'ultima
volta che vedo un film raccomandato da te>>. Il regista era molto cri-
tico su tutti i film che vedeva ma insisteva per guardarli tutti fino in
fondo, alla ricerca di idee e tecniche che potessero rivelarsi preziose.
Anche un film di fantascienza di serie Z, una coproduzione Germania
Est-Polonia, Der schweigende Stern, fu visionato da Kubrick,
Christiane e Jeremy Bernstein un sabato pomeriggio, in un cinema a
nord di Londra; nonostante il film fosse doppiato e pieno di effetti
primitivi, Kubrick insistette per resistere fino alla fine.
Alla fine dell'aprile 1965 era ormai tempo che Kubrick avviasse la
produzione. Il primo passo fu di abbandonare il titolo di lavorazione,
}ourney Beyond the Stars, più adatto a un B-movie di Roger Corman
per l' American Inrernational che all'esperienza iconoclastica che
Kubrick progettava di realizzare. Fin dall'inizio il regista era stato
ispirato dal capolavoro di Omero, l'Odissea: come Ulisse, nel film di
Kubrick gli astronauti si sarebbero imbarcati per un viaggio, e anche
il pubblico sarebbe stato accompagnato attraverso le galassie, in un
futuro distante neanche mezzo secolo. Stanley Kubrick annunciò for-
malmente alla stampa mondiale che il suo film 2001: Odissea nello
spazio sarebbe stato realizzato in Inghilterra.
Sempre attento ai dettagli, Kubrick chiese a Frederick Ordway
come si dovesse pronunciare il nuovo titolo. <<Stanley mi chiese se
291
dovevamo dire "duemilauno" oppure "venti zero uno" come diciamo
"diciannove zero uno"»\ racconta Ordway a Neil McAleer, «e si
decise che "duemilauno" suonava meglio. Spesso ci siamo chiesti se
il fatto che il film fosse chiamato "duemilauno"4 avrebbe avuto
un'influenza sul linguaggio inglese quando fossimo arrivati al ventu-
nesimo secolo».
Clarke tornò a Ceylon per passare tutta la primavera del 196 5 a
riscrivere il romanzo; era stato assente per un anno intero invece che
per qualche mese. Mentre lo scrittore tornava a casa, Kubrick trasferì
la sua unità produttiva presso gli studi Mgm a Boreham Wood, ven-
tiquattro chilometri a nord di Londra. Venti camion carichi di dati e
disegni furono spediti da New York in Inghilterra sulla S.S. France.
Per il progetto di Kubrick furono prenotati nove teatri di posa; la
Mgm realizzava fra le dieci e le dodici produzioni l'anno in quel
complesso, e questo impegno significava che avrebbe potuto· ospitar-
ne appena la metà, fino a quando Kubrick non avesse finito. Robert
O'Brien promise che i costi operativi non sarebbero stati caricati sul
budget della produzione - una pratica comune che divorava rapida-
mente le risorse di un film -ma gli studi inglesi della Mgm erano
già considerati una voce passiva della società madre, cosa che aumen-
tava la pressione sul presidente. Amici e nemici consigliarono a
O'Brien di non correre il rischio, ma Stanley Kubrick sapeva essere
molto persuasivo, e lo convinse che il gioco valeva la candela.
Stanley e Christiane Kubrick traslocarono tutta la famiglia in un
grande appartamento al Dorchester Hotel di Londra. L'Inghilterra
era diventata, per il regista del Bronx, la location preferita per girare
un film. Il suo unico incontro con lo studio system di Hollywood,
per Spartams, si era rivelato disastroso quanto alla possibilità di man-
tenere la libertà e il controllo creativo che erano essenziali ai suoi
ossessivi metodi di lavoro, e gli aveva fatto capire che a Hollywood
avrebbe potuto essere solo un artigiano su commissione. Per poter
essere l'autorità suprema doveva sistemarsi altrove e, come era avve-
nuto con Lolita e Il dottor Stranantore, Kubrick aveva deciso di pro-
durre 2001 in Inghilterra.
Pur essendo un autentico newyorkese, che traeva la sua linfa dalla
frenetica energia della città, Kubrick si adattò rapidamente alla
civiltà e ai ritmi meno incalzanti della Gran Bretagna. Parlando
3 In inglese i numeri che indicano gli anni sono abirualmenre leni spezzandoli in due
blocchi da due cifre. ""1999"" ad esempio viene !erro ""ninereen ninery-nine"", vale a dire
""diciannove novanranove"". (N.d.T.)
4 La perplessità di Ordway è più comprensibile nel resro originale, daro che in inglese
""2001"" si pronuncia ""rwo rhousand and one"' (duemila e uno). (N.d.T.)
292
della loro vita a New York, Christiane Kubrick disse ad Ann
Morrow, del «Times>> di Londra: «Abitavamo a Centrai Park West,
sull'Ottantaquattresima. Cominciavo ad abituarmi a vedere le strade
imbiancate di bottiglie di Coca-Cola rotte, a vedere poliziotti che
accompagnavano i bambini a scuola. Nei negozi ciondolavano teppi-
sti che si sdraiavano davanti alle porte costringendoti a scavalcarli
come se niente fosse. Anche le donne erano ruvide, ti scansavano a
gomitate. Andare a casa era terribilmente pericoloso, soprattutto per
i più deboli, come i bambini. Proprio come nel regno animale. New
York mi fece qualcosa. Prima di andarci pensavamo che gli america-
ni che si lamentavano delle scuole e dell'atmosfera fossero i soliti
individui di destra, ma ovviamente avevano le loro ragioni>>. Per
Stanley Kubrick, quella che era cominciata come una decisione di
mera utilità professionale divenne una scelta di vita.
I genitori di Kubrick, Jacques e Gertrude, si erano trasferiti dalla
costa orientale a quella occidentale. Jacques aveva richiesto una
licenza per esercitare la professione in California, indicando la sua
specializzazione in radiologia, e l'aveva ottenuta. Il dottor Kubrick
era anche membro dell' American College of Gastroenterology.
Per 2001 Kubrick strinse un accordo con la Mgm per l'affitto degli
studi di Boreham Wood. Oltre che per le eccellenti strutture produt-
tive, il regista scelse l'area anche per la regione circostante, dissemi-
nata di società di elettronica e di ditte che fabbricavano meccanismi
di precisione -l'alta tecnologia sarebbe stata il fluido vitale di 2001.
L'architettura esterna degli studi di Boreham Wood si inseriva per-
fettamente fra le vicine fabbriche, insediare tutto intorno. L'edificio
principale era dipinto di bianco e sembrava una qualsiasi fabbrica:
era alto due piani e aveva una piccola torre con un orologio senza
numeri e la semplice iscrizione "Mgm Studios"; nessuna cornice se
non un prato ben raso e qualche cespuglio. Lo studio non era adorna-
to con lo sfarzo spettacolare di quelli di Hollywood, ma aveva l'aspet-
to di un centro d'affari e offriva dieci grandi teatri di posa, forniti di
officine di falegnameria, pittura e meccanica, e una serie di uffici.
Dietro agli edifici si trovava un'immensa area piena di rottami e di
avanzi delle produzioni precedenti: la facciata di un villaggio france-
se, la carcassa di un bombardiere della seconda guerra mondiale e
altri resti. Tutto il complesso era organizzato in una formazione a
bungalow, così che Kubrick, come un nuovo Mayer, Zukor o Zanuck,
poteva tenere sotto controllo la sua_personale fabbrica di cinema.
Kubrick chiese a Ken Adam di partecipare alla produzione _ma lo
scenografo, che aveva già fatto Il dottor Stranamore, sapeva che il regi-
sta aveva da molto tempo avviato le sue ricerche sul progetto e senti-
va di non poter ideare la scenografia del film senza conoscere il sog-
293
getto almeno quanto Kubrick stesso. Declinò quindi l'offerta, spie-
gando con garbo di non sentirsi al passo con le complesse tecnologie
richieste da 200 l.
Gli uffici per lo staff di 2001 erano situati nella parte frontale del
complesso. Un settore speciale fu battezzato da Kubrick <<l'officina di
Babbo Natale>>; si trattava dei quartieri riservati al gruppo di giovani
modellisti che, sotto lo sguardo sicuro di Wally Veevers - superviso-
re agli effetti speciali -, si occupavano delle astronavi e dei pianeti.
La produzione impiegava centotre modellisti con competenze diver-
se: Kubrick aveva convocato costruttori di barche, studenti di archi-
tettura, disegnatori, scultori, litografi, metallurgici e perfino alcuni
intagliatori di avorio appena sbarcati da una baleniera. Il formalismo
non oltrepassava l'ingresso di quella che si configurava come una vera
e propria fucina creativa, popolata di elfi dai capelli lunghi e dalla
camicia sbottonata. Ognuno era assunto con brevi contratti a termine
e il ricambio era frequente: il direttore artistico John Hoesli lavorò
con oltre trenta disegnatori diversi per produrre i progetti delle
astronavi di Harry Lange. Anthony Pratt, un giovane scenografo che
avrebbe poi lavorato con John Boorman su za,·doz, Excalibm· e Anni
'40, fu convocato per contribuire alla concezione dei baccelli spaziali.
Kubrick iniziò a mettere insieme un gruppo che fosse responsabile
degli effetti speciali. Di tutti i film che aveva visto, non ce n'era uno
che fosse all'altezza delle sue esigenze per gli effetti visivi; il nuovo
progetto richiedeva un approccio diverso. Le idee già messe a punto
per le sequenze spaziali avevano bisogno di effetti speciali di una tec-
nologia molto più avanzata rispetto allo status quo del tradizionale
film di uno studio di Hollywood.
Per trovare tecniche che corrispondessero ai suoi criteri, Kubrick
decretò che si dovesse vedere e leggere tutto quello che era disponibi-
le sullo spazio, e il suo personale non si lasciò sfuggire niente.
Bisognava spingersi oltre il catalogo dei film più familiari: tutto
significava film da tutti i continenti, programmi televisivi, cortome-
traggi, documentari, film realizzati per la Fiera Mondiale, film spe-
rimentali. Con questo sistema fu scoperto Universe, un cortometrag-
gio prodotto nel 1960 dal National Film Board del Canada. Durante
la proiezione Kubrick fissò lo schermo rapito, mentre vorticava un
panorama delle galassie che raggiungeva lo standard di realismo
visionario e dinamico che il regista stava cercando di ottenere.
Quelle immagini non erano guastate dai mascherini imprecisi, dalle
evidenti animazioni e dai modellini poveri che si potevano trovare
nel tipico film di fantascienza: Universe dimostrava che la macchina
da presa poteva diventare un telescopio puntato sui cieli. Mentre i
titoli scorrevano, Kubrick studiò i nomi dei maghi che avevano crea-
294
to le immagini del film: Colin Low, Sidney Goldsmith e Wally
Gentleman; i membri del suo staff partirono subito per rintracciarli
e scoprire come avessero realizzato i loro miracoli.
Univer.re era una produzione della Uni t B del Canadian Film Board.
Colin Low e Roman Kroitor da sempre erano affascinati dalla cosmo-
logia e il progetto era nato, cinque anni prima dello Sputnik, come
proposta per un film scolastico; poi l'interesse attorno all'iniziativa
era cresciuto, attraendo altre persone interessate a fare un film che
permettesse allo spettatore di provare le meraviglie dell'universo. La
pellicola aveva richiesto quattro anni di lavoro ed era costata più di
60.000 dollari.
Dopo avere assistito ai grandiosi risultati di Universe, Kubrick sape-
va di aver trovato la sua équipe degli effetti speciali: assicurarsi l'inte-
ra squadra si rivelò impossibile, ma il regista riuscì ad avere Wally
Gentleman, che fece parecchie settimane di lavoro preliminare prima
di essere costretto a dare le dimissioni per motivi di salute. Nei primi
anni Ottanta, Gentleman si sarebbe occupato di un altro progetto
impegnativo: Un .rogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola.
Da ultimo, Kubrick scelse quattro collaboratori per dirigere il set-
tore degli effetti speciali: Wally Veevers, Douglas Trumbull, Con
Pederson e Tom Howard.
Kubrick sapeva che le astronavi del film avrebbero dovuto essere
modellini, e Wally Veevers- supervisore agli effetti speciali di Il dot-
tor Stranamore- fu preso per la sua esperienza nell'arte precisa e tedio-
sa della costruzione. Il regista voleva che le navi si muovessero con la
grazia di un cigno, attraverso un cielo pieno di stelle e di pianeti; ciò
richiedeva un'enorme attenzione al dettaglio, e un artigiano che
comprendesse ogni aspetto di un'arte così impegnativa. Scegliendo
Veevers, che era stato a suo tempo preso dai fratelli Korda come
apprendista per gli effetti speciali di La vita futura di William
Cameron Menzies, Kubrick sapeva di mettersi in buone mani.
Tom Howard era prezioso per la sua lunga esperienza nel campo
degli effetti ottici: aveva lavorato per Il ladro di Bagdad e aveva vinto
due Oscar, per Spirito allegro di David Lean e per Le meravigliose
avventure di Pollicino, prodotto e diretto da George Pal.
Il membro più giovane del gruppo era un americano di ventitré
anni, Douglas Trumbull. Nato a Las-Angeles, Trumbull era partito
con l'intenzione di diventare architetto ma poi la Graphic Films
Corporation di Hollywood aveva visto il suo portfolio di illustrazioni
spaziali e l'aveva assunto. Divenuto capo del settore sfondi della
società, Trumbull aveva lavorato a Lifeline in Spaa per la Usaf e a
Space in Penjle(fiz;e per la Nasa. Kubrick aveva scoperto il suo nome
nei titoli di Ji, the Moon and Beyond, un film in Cinerama 360 pro-
295
dotto per la Fiera Mondiale del 1964, e attraverso la Graphic Films
gli aveva commissionato alcuni disegni di sfondo; impressionato dal
talento dell'artista, il regista gli assegnò subito il compito di risolve-
re alcune delle principali difficoltà di 2001, inclusa la sequenza della
Porta delle Stelle che conclude il film.
Kubrick aveva anche bisogno di un direttore della fotografia con
capacità eccezionali: ci voleva un operatore che non fosse solo un
maestro della ripresa convenzionale ma che si trovasse a suo agio a
lavorare sugli spazi dello schermo panoramico, e che sapesse gestire i
procedimenti ottici e meccanici che dominavano il lungo program-
ma di lavorazione. Dopo molti colloqui e un attento studio delle
alternative, il regista scelse il cinquantacinquenne Geoffrey
Unsworth, un amabile gentiluomo inglese che aveva lavorato in Le
quattro piume, Il ladro di Bagdad, Duello a Berlino, Il mondo di Suzie
Wong, Befket e il suo re e Lo squattrinato. 2001: Odissea nello spazio
sarebbe diventato una pietra miliare nella sua già solida carriera.
In un mondo che ancora non era int,erconnesso da modem, compu-
ter e fax, Kubrick parlava ai progettisti e ai tecnici personalmente, al
telefono, per posta e per telegramma. Lo staff al lavoro cresceva fino
a numeri senza precedenti: si arrivò a radunare 106 persone, di cui
35 scenografi -che rappresentavano un ampio spettro di discipline e
stili artistici- e 25 tecnici degli effetti speciali.
Nel settembre 1965 Kubrick decise che la missione della Disco-
very non doveva andare su Giove, ma su Saturno, per sfruttare le
possibilità visive degli anelli del pianeta; l'équipe degli effetti spe-
ciali fu presa dal panico, perché aveva passato tre mesi a preparare e
progettare il viaggio su Giove. Alla fine Kubrick avrebbe cambiato
di nuovo idea e indirizzato di nuovo la Discovery verso Giove.
Quando Kubrick seppe del progetto americano Orion, ordinò che
la Discovery fosse riprogettata, per tornare poi sui suoi passi in
seguito alla considerazione che un veicolo che portava una bomba
sarebbe assomigliato troppo al B-52 di Il dottorStranamore.
Il 3 ottobre Clarke parlò con Kubrick al telefono e gli disse che la
storia avrebbe dovuto concludersi con Bowman che regredisce
all'infanzia: «Lo vedremo come un bambino in orbita>>. E poiché i
due avevano l'abitudine di fornire una giustificazione di ogni idea
proposta aggiunse: «È l'immagine di se stesso a questo stadio di svi-
luppo. E forse la Coscienza Cosmica ha il senso dell'umorismo>>.
A Clarke venne l'idea che il Bambino delle Stelle facesse esplodere
le armi nucleari sulla Terra, e la introdusse nel romanzo poi pubbli-
cato. L'idea entrò anche nella sceneggiatura, ma alla fine Kubrick
sentì di avere già fatto una cosa simile in Il dottor Stranamore. <<Il fina-
le fu alterato poco prima di girare>>, disse Kubrick a Jerome Age!.
296
«Nell'originale non c'era la trasformazione di Bowman. Egli si limi-
cava a girare per la stanza e alla fine vedeva l'oggetto. Ma non ci
sembrava una soluzione abbastanza soddisfacente o interessante, e
continuammo a cercare nuove idee, finché ci venne in mente il finale
che conoscete>>.
200 l richiedeva uno stile di recitazione naturalistico e scevro di
interpretazioni apertamente drammatiche. Nel film c'era poco dialo-
go, i personaggi erano definiti dall'azione e dai gesti. Questi astro-
nauti non erano gli archetipi eroici e fanciulleschi di Uomini veri:
Dave Bowman e Frank Poole erano stati selezionati e condizionati
per una lunga missione nello spazio, e dovevano apparire e agire
come uomini della Nasa, simpatici esternamente ma freddi ed emo-
tivamente chiusi. Kubrick non voleva che i ruoli di Bowman e Poole
divenissero una vetrina per grandi divi: i personaggi dovevano essere
integrati nel tessuto visivo del film.
Gary Lockwood, di ventinove anni, fu scelto per il ruolo di Poole.
Nato in California, l'attore si era distinto al liceo come giocatore di
football, aveva iniziato come stuntman e controfigura di Anthony
Perkins, e nel 1960 era stato lanciato da un ruolo in In punta di piedi.
Non era apparso in molti film: Paese selvaggio, Splendore nell'erba, La
sjJada magù-a, Bionde, rosse, brttne ... e L'ora della furia. La parte in
2001 gli offriva un'occasione internazionale.
Se 2001 fosse stata una produzione di Hollywood, il ruolo di Dave
Bowman sarebbe andato a un divo con il traino commerciale di Paul
Newman o di Steve McQueen - nel mercato di oggi i primi nomi a
venire in mente sarebbero Tom Cruise o Brad Pitt - ma Kubrick
voleva una verosimiglianza che sarebbe stata dissolta dalla presenza
di un divo. Nel trentenne Keir Dullea il regista trovò il fascino
infantile di un astronauta americano: Dullea era un bell'uomo e
comunicava le necessarie doti di coraggio, forza, ragione, intelligenza
e calma, con un inquietante sottofondo alla James Dean. I suoi ritrat-
ti di giovani emotivamente tormentati in Le L"anaglie dormono in paL"e e
Davide Lisa convinsero Kubrick che l'attore era in grado di comuni-
care il fervore emotivo prodotto dagli stress della fatale missione di
Bowman. Dullea doveva rendere la trasformazione metafisica scritta
nel destino di Dave Bowman con un dialogo ridotto a poco o niente.
In quel periodo, Keir Dullea stava lavorando con Otto Preminger
in Bunny Lake è .rL"omparsa. In un giorno di libertà a New York, l'atto-
re si recò a una fiera presso la stazione di Chelsea e capitò vicino alla
tenda di un chiromante che leggeva la fortuna. Così, per ridere,
Dullea entrò. <<Quest'uomo mi guardò la mano per un po' e poi
cominciò a interrogarmi», ricorda l'attore. <<Mi chiese: "Fa l'inge-
gnere?". Risposi Ji no. "Ha qualcosa a che fare con la meccanica o le
297
scienze?". Usò la parola "razzo spaziale". Uno o due giorni dopo mi
telefonò il mio agente per dirmi che avevo un'offerta sicura per il
ruolo del protagonista nel nuovo film di Stanley Kubrick, e ci
mancò poco che finissi a terra, poiché ero un vero fan di Kubricb>.
Il regista aveva deciso di dare a Keir Dullea il ruolo di Bowman
dopo essersi fatto proiettare le sue interpretazioni in David e Lisa e
La sottile linea rossa, un film basato sul seguito di Da qui all'eternità
di James Jones. Otto Preminger aveva spedito a Kubrick i giornalie-
ri di Bunny Lake è .rw11tparsa, ancora in lavorazione, affinché potesse
vedere le ultimissime prove dell'attore.
Dullea aveva sentito parlare per la prima volta di Stanley Kubrick
nel 195 7, mentre studiava recitazione a New York. In una giornata
libera aveva gironzolato fino a un cinema della catena Loew e aveva
deciso di vedere Orizzonti di gloria perché aveva notato il nome di
Kirk Douglas sul cartellone. «Rico'rdo che quel film mi stese com-
pletamente>>, commenta l'attore. <<L'inizio sembrava un quadro
monocromatico dipinto con il fango>>.
Alle medie, Dullea aveva attraversato un periodo di intense letture
fantascientifiche: era abbonato ad «Astounding Science Fiction>> e
«Galaxy>>, e sua madre gli comprava le raccolte annuali dei migliori
racconti fantascientifici dei primi anni Cinquanta. «Nel leggere la
sceneggiatura dissi: "Mio Dio, c'è qualcosa di familiare">>, ricorda
l'attore. «Venne fuori che ricordavo bene di aver letto da ragazzo un
racconto di Arthur C. Clarke intitolato La .rentinella, che mi era
rimasto in mente. Era una storia davvero eccezionale. Non ricordavo
il grosso dei racconti di fantascienza che avevo letto all'epoca. Mi
ricordavo La .rentinel!a>>.
A Dullea fu dato un copione completo, che era molto lungo e molto
più parlato di quel che sarebbe stato il film finito. La sequenza in cui
Hai legge le labbra di Bowman e Poole mentre i due parlano della
condotta incostante del computer conteneva in origine più dialogo.
L'attore ebbe la parte senza alcun provino. Arrivò sul Queen Mary
proprio alla fine di dicembre del 1965: una macchina venne a pren-
derlo e lo accompagnò alla sua nuova abitazione, un cottage in affit-
to a Hampstead, nel nord di Londra. Dullea era arrivato da non più
di mezz'ora e stava ancora disfacendo i bagagli quando squillò il
telefono: l'attore sentì una pacata voce americana che gli chiedeva se
fosse Keir Dullea. Quando rispose di sì, l'uomo disse: «Oh, ciao,
sono Stanley>>.
Arthur Clarke continuò a lavorare alla sceneggiatura fino a Natale
e il 26 dicembre 1965 diede a Stanley Kubrick la stesura completa.
Il regista lo chiamò per dirgli che non gli piaceva il dialogo; trovava
il copione troppo verboso: 200 l doveva basarsi piLt su immagini e
298
suono che sulle parole. Alla fine ci sarebbero stati appena 46 minuti
dialogati sui 139 della durata complessiva. Più avanti, Kubrick
avrebbe dichiarato al <<New York Times>>: «Ci sono certe aree di sen-
sazione e di realtà che sono particolarmente inaccessibili alle parole.
Forme di espressione non verbale come musica e pittura possono
arrivare a queste aree, ma le parole sono una terribile camicia di
forza. È interessante quanti prigionieri di questa camicia di forza
non sopportino che essa venga allentata>>. «Non mi piace parlare
molto di 2001», disse poi Kubrick aJerome Angel, «perché è essen-
zialmente un'esperienza non verbale. Tenta di comunicare più al
subconscio e ai sentimenti che all'intelletto. Mi è abbastanza chiaro
che c'è un problema di fondo con quelle persone che non prestano
attenzione con gli occhi. Ascoltano. E non c'è molto da ascoltare in
questo film. Coloro che non crederanno ai loro occhi non riusciranno
ad apprezzare questo film».
A Dullea e a Lockwood fu fornita un'estesa ricerca sul background
degli astronauti nell'anno 2001: essi erano seguiti fin dalla scuola
elementare sotto il profilo intellettivo e psicologico. Bowman e
Poole avevano due dottorati e resistevano allo stress in modo tale da
poter passare lunghi periodi di tempo nella solitudine dello spazio.
«Avevamo la nostra storia, sapevamo chi eravamo>>, spiega Dullea.
«Sapevamo quali fossero i nostri rapporti reciproci. Conoscevamo gli
eventi almeno soggettivamente, dal punto di vista dell'astronauta,
dal punto di vista del personaggio. C'erano molte cose che non dove-
vamo sapere. Non capivamo perché Hai avesse cominciato a dare i
numeri né conoscevamo la missione nascosta che non ci sarebbe stata
rivelata fino a parecchio tempo dopo».
In aggiunta a Lockwood e a Dullea, altri due attori furono nomi-
nati nei titoli del film: il volto gentile di William Sylvester fu scelto
per il dottor Heywood Floyd, presidente dell'U.S. Council of
Astronauts, e a Daniel Richter fu dato l'insolito ruolo di Moon-
Watcher, la scimmia protagonista di "L'alba dell'uomo".
Per fare la voce di Hai sul set, Kubrick chiamò inizialmente Nigel
Davenport, che era apparso in I giovani arrabbiati, L'oa·hio fhe ua:ide e
Un uomo per tutte le stagioni. Davenport doveva recitare le battute di
Hai fuori campo, a beneficio di Dullea e Lockwood; in seguito
avrebbe dovuto entrare in studio e registrare tutto il dialogo del
computer. Kubrick però si accorse ben presto che non voleva dare a
Hai un accento inglese; Davenport fu così sollevato dall'impegno e il
regista decise di cercare qualcuno con un eloquio americano stan-
dard. Nel frattempo, il compito di leggere le battute sul set fu dato
all'aiuto regista Derek Cracknell, che conferì a frasi come <d'm
afraid, Dave, my mind is going>> il suo orgoglioso accento cockney.
299
Anche Martin Balsam, noto soprattutto per i suoi ruoli di portavo-
ce della giuria in La parola ai giurati e dello sfortunato detective
dell'assicurazione in Psycho di Alfred Hitchcock, fu scelto come voce
dell'onnisciente e onnipresente Hal. Kubrick registrò la voce
dell'attore ma trovò che fosse troppo americana ed eccessivamente
emotiva e lo escluse dal cast. A un certo punto durante la selezione
della voce del computer, Kubrick arrivò a scherzare: «Forse dovrebbe
suonare come Jackie Mason>>.
Intanto il canadese Douglas Rain, già voce narrante di Universe, era
stato preso per la narrazione prevista dalla prima versione del copio-
ne di scena, quella che Kubrick aveva chiesto a Clarke di scrivere per
la sequenza che apriva il film, "L'alba dell'uomo". Alla fine il testo fu
eliminato e l'attore ebbe il celebrato ruolo della voce umana di Hai.
Interprete shakespeariano, Rain trovò Kubrick cortese ma sulle sue;
nelle nove ore e mezza che l'attore passò in uno studio per registrare
le battute di Hal, Kubrick non gli mostrò mai una sceneggiatura né
un solo fotogramma del film. Costretto a leggere pagine che riporta-
vano solamente le battute di Hal, Rain recitò sotto l'orecchio critico
del regista, che fu contento del tono condiscendente e asessuato otte-
nuto dall'attore. A proposito della performance fuori campo di Rain,
Kubrick avrebbe in seguito scherzato: «Magari la prossima volta farò
vedere Rain in carne e ossa, ma sarebbe un ruolo muto, il che chiu-
derebbe perfettamente il circolo».
Sul set, l'atteggiamento di Kubrick era sempre calmo e conviviale
con gli attori: non si arrabbiava mai e non alzava la voce, e tuttavia le
sue maniere educate ma insistenti affaticavano molti membri del cast.
Era capace di chiedere un ciak dopo l'altro, arrivando anche a cinquan-
ta, senza dire molto più di: <<Questa era buona, proviamone un'altra».
Come un maestro di scacchi che non segnala mai un'interruzione del
gioco, Kubrick di rado manifestava eccitazione per un ciak particolar-
mente buono e ne chiedeva risolutamente un altro. Nelle pause delle
riprese impegnava gli attori in intense discussioni sui loro personaggi,
incoraggiandoli a interpretare ogni gesto e ogni battuta in modi che
non avevano mai tentato prima. A ogni ciak si ripartiva da zero e ci
voleva un attore dotato di molta sicurezza per andare avanti.
Kubrick era ossessionato dal bisogno di ottenere un'accurata
descrizione dell'universo nell'anno 2001, e chiese a società aeronauti-
che, enti governativi e a un ampio ventaglio di industrie, sia negli
Stati Uniti che in Europa, di condiv1dere i loro pronostici sul futuro;
la lunga lista di collaboratori iniziava dalla Aerospace Medicai
Division della base aerea militare di Wright Patterson e proseguiva
attraversando l'alfabeto fino alla Whirlpool Corporation. L'enorme
gamma di argomenti copriva progetti di strumenti per il controllo
300
dei veicoli, design di tute spaziali, informazioni sulla propulsione
nucleare dei missili, strumenti biologici e medici per la centrifuga e
i sondaggi planetari, mappe lunari, dati e fotografie di cibi spaziali e
del modo di prepararli, telecomunicazioni, design di computer,
sistemi di controllo per le sequenze di ibernazione, disegni degli
interni delle capsule spaziali e delle cucine delle astronavi, menu per
i lunghi viaggi nello spazio, tecnologie delle stazioni spaziali, adde-
stramento degli astronauti, mantenimento e riparazione di veicoli
spaziali e i programmi spaziali sovietico e americano.
Filmati, mappe, modelli e materiali fotografici affluivano negli
uffici della produzione. Per soddisfare la famelica banca dati di
Kubrick furono consultate molte altre società ed enti governativi,
spesso su aspetti simili del film. I collaboratori erano costantemente
impegnati in incontri e nella raccolta di informazioni destinate a
ricevere l'approvazione o la disapprovazione definì riva dali' autorità
centrale di Stanley Kubrick.
Le approfondite interviste con i migliori cervelli in campo spazia-
le, scientifico e religioso avevano un doppio fine: rispondere a
domande specifiche per risolvere i problemi che la trama sollevava
costantemente, ma anche diventare parte di un prologo di dieci
minuti in bianco e nero che avrebbe dovuto aprire 2001. Il minido-
cumentario doveva presentare discussioni con gli intervistati circa la
probabilità dell'esistenza di vita extraterrestre, assicurando un prelu-
dio realistico al poema speculativo visuale che seguiva.
Roger Caras, Frederick Ordway e altri fecero un viaggio alla
Grumman Corporation a Bethpage, nello Stato di New York, per
vedere i supporti del modulo lunare allora in costruzione e rendere
autentico ciò che si sarebbe visto nelle scene sulla luna di 2001.
Lo scenografo Tony Masters seguì la costruzione dei set, mentre
Harry Lange traduceva i suoi disegni in modellini, utilizzando per i
dettagli più minuti componenti tratti da kit di costruzione in com-
mercio. Lange disegnò anche i caschi che gli astronauti avrebbero
indossato nel film, e una società di Londra fu incaricata di creare lo
stampo e di produrli. Alla British Hawker Siddley Aircraft Company
fu affidato il compito di realizzare l'interno delle capsule e i quadri
della strumentazione. A un certo punto fu Chiesto a una ditta privata
di plasmare un grosso blocco di luci te- a Kubrick interessava prova-
re a proiettare immagini sulla sua superficie. Il blocco venne fuso e
ricevette molta attenzione da parte della stampa, essendo il più gros-
so stampo di plastica mai tentato prima. Le ottiche però non erano
all'altezza degli standard di Kubrick e l'idea fu scartata.
Animare i modellini delle astronavi fu una sfida di meticolosità.
Per ottenere la giusta profondità di campo, in modo da creare l'illu-
301
sione di un'astronave a grandezza naturale, il diaframma dell'obiet-
tivo doveva essere aperto al massimo; inoltre affinché le parti mobi-
li dei modellini si muovessero in modo fluido, i motori che guida-
vano i meccanismi erano regolati al minimo, in modo che il movi-
mento creato fotogramma per fotogramma fosse impercettibile.
Kubrick raccontò la minuziosa operazione a Herb Lightman di
«American Cinematographer>>: <<Era come guardare la lancetta delle
ore di un orologio. Abbiamo girato la maggior parte di queste
scene usando esposizioni lente di quattro secondi a fotogramma, e
se stavi sul set non vedevi nulla in movimento. Anche la gigantesca
stazione spaziale, che sullo schermo ruotava a una discreta velocità,
sembrava immobile durante le 'riprese delle scene. Per alcune
inquadrature, come quelle in cui sulle astronavi si aprivano o si
chiudevano delle porte, un movimento di dieci centimetri richiede-
va cinque ore di riprese. Non era possibile notare un movimento
irregolare, se c'era qualche irregolarità, fino a quando non si vedeva
la scena sullo schermo, e anche gli ingegneri non potevano mai
essere sicuri circa il punto esatto dove l'irregolarità si fosse prodot-
ta. Potevano solo indovinare guardando la scena. Questo tipo di
cosa implicava infiniti tentativi ed errori, ma i risultati finali sono
un tributo alla grande precisione dell'officina meccanica della Mgm
inglese>>. Il procedimento utilizzava animazione, controllo del
movimento e una lunga lista di passi meticolosamente dettagliati.
Il settore che produceva il materiale del volo fu chiamato <da fab-
brica delle salsicce>>.
La stanza preferita di Kubrick era il "Controllo Missione" dell'im-
presa. Come alla Nasa, questa stanza era controllata attentamente
giorno e notte, ed era lì che il progredire di 2001 era mappato sotto
ogni dettaglio immaginabile: i muri erano coperti di schede di flus-
so, diagrammi, story board e stampati. Un sistema organizzativo
all'avanguardia, acquistato da una ditta europea, permetteva a
Kubrick di riorganizzare il programma, l'attrezzatura, lo staff, la sce-
neggiatura, i dati e i giorni di ripresa a seconda delle crescenti neces-
sità artistiche del film. Per seguire il programma di lavorazione, che
era di ventiquattro ore su ventiquattro, si utilizzavano schede perfo-
rate e ogni sistema di archiviazione allora disponibile.
Tenere le fila di tutte le inquadrature era uno sforzo notevole.
Secondo il supervisore agli effetti speciali Douglas Trumbull, la
soluzione scelta dalla produzione fu un insolito metodo linguistico:
«Con una mezza dozzina di macchine da presa che giravano contem-
poraneamente - alcune su turni di ventiquattro ore - e con aspetti
diversi di molte sequenze eseguiti in parallelo, il problema di come
stare dietro ai progressi di ogni inquadratura era nel migliore dei
)02
casi difficile. Per poter discutere di una inquadratura senza doversi
riferire a un'immagine dello story board, ogni scena aveva un nome e
un numero. Ad esempio tutte le scene della sequenza di Giove ave-
vano nomi di azioni del football - "deep pass", "kick-off', "punt
return" e così via. Ciascun termine richiamava alla mente una certa
scena, che in qualche modo era collegata al nome».
Kubrick spiegò a Herb Lightman le necessità che avevano spinto
la produzione a un sistema di controllo così complesso: «Per me era
una novità dover sovrintendere un'operazione di gestione delle infor-
mazioni così complicata, ma era assolutamente essenziale tenere le
fila delle migliaia di dettagli tecnici necessari. Avevamo calcolato
che nel film ci sarebbero state 205 scene di effetti speciali, ciascuna
delle quali avrebbe richiesto, per essere completata, una media di
dieci fasi principali di realizzazione. Definisco "fase principale" quel-
la in cui della scena si occupa un altro tecnico o un altro settore.
Stare dietro a tutte queste scene, e alle fasi separate che queste impli-
cavano, era talmente complicato che fu necessario riservare a tale
scopo tre persone, in una specie di "stanza operativa" in cui ogni
muro era coperto di carte penzolanti, con una cronistoria delle ripre-
se per ogni scena. Ogni diverso elemento e ogni fase erano registrati
in questa storia - informazioni sulla data delle riprese, esposizioni,
processi meccanici, requisiti speciali e i tecnici e i settori coinvolti.
Studiare dieci fasi per duecento scene equivale a duemila fasi, ma
quando ti rendi conto che la maggior parte di esse dovevano essere
tentate otto o nove volte per essere sicuri che fossero perfette, il tota-
le reale si avvicina di più alle sedicimila fasi distinte. Ci voleva un
incredibile numero di diagrammi, schede di flusso e altri dati per
gestire tutta l'organizzazione ed essere in grado di rintracciare le
informazioni di cui qualcuno avrebbe potuto aver bisogno, su qual-
cosa che era stato fatto sette mesi prima. Dovevamo essere in grado
di dire a che stadio fosse ogni scena in ogni dato momento - e il
sistema ha funzionato>>.
Kubrick raccontava a Jeremy Bernstein che gli scacchi avevano
affinato la sua memoria ritentiva e il suo dono dell'organizzazione:
<<Con uno staff di quelle dimensioni, il problema è che la gente sia
in grado di capire cosa deve venire a chiederti e cosa non deve venire
a chiederti. Il tuo tempo è sempre occupato da questioni che non
sono importanti e che avrebbero potuto essere facilmente risolte
senza la tua opinione. In compenso, a volte, senza chiedere la tua
approvazione, si prendono decisioni che ti chiudono in frustranti
vicoli ciechi>>.
La sovrabbondanza di dati necessaria a ottenere la perfezione tecni-
ca a cui Kubrick mirava portò il regista a inventare un termine ori-
303
ginale per descrivere il procedimento: «Abbiamo coniato una nuova
frase e abbiamo cominciato a chiamarli i "non-rifare". È come un
"rifai" in cui non devi ripetere lo stesso errore che hai fatto prima».
L'intensità di Stanley Kubrick era costante: guardava e supervisio-
nava ogni dettaglio senza quasi mai staccare lo sguardo, con occhi
puntati come un laser. Pensatore instancabile e fumatore accanito, il
regista aveva sempre in mano una sigaretta.
L'ufficio personale di Kubrick era lo specchio del pragmatico affol-
lamento del suo appartamento di New York. Un arsenale di registra-
tori facilitava il mastodontico processo di sceneggiatura: il regista
dettava la prima versione del rarefatto dialogo del film, insieme ad
altro materiale, in una delle macchine, e le seg~etarie pensavano a tra-
scrivere i nastri producendo una stesura dopo l'altra in forma di sce-
neggiatura. L'ufficio ospitava anche un'enorme collezione di dischi
che includeva ogni composizione musicale moderna disponibile.
Durante le sue meditazioni, Kubrick passava ore ad ascoltare nmsique
,·oncrète, musica elettronica e Cari Orff, cercando l'ispirazione e la chia-
ve per il miglior indirizzo musicale da dare alla sua opera spaziale.
«Stan e io avevamo usato molto i Carmina Burana nella fase di
scrittura>>, ha detto Clarke a un amico. Il brano è poi stato utilizzato
in molti film, fra cui Il presagio, e Kubrick aveva anche cercato di
avere per il suo film l'autore Cari Orff, che però aveva risposto di
essere troppo vecchio per un impegno così importante.
Il regista teneva le fila dei dettagli della produzione in una serie di
piccoli taccuini neri. Per trovare esattamente la carta giusta per le
sue annotazioni aveva ordinato a un'importante cartiera un campione
di ogni tipo di foglio per appunti che questa producesse.
Quando Jeremy Bernstein venne a Boreham Wood per osservare
Kubrick al lavoro su 2001, trovò il regista seduto alla sua scrivania al
comando centrale, occupato a firmare lettere e a fare un numero
incalcolabile di telefonate senza mai smettere di approvare o rifiutare
scelte di costumi, oggetti e astronavi, ed esaminando con ritmo inde-
fesso infiniti dettagli produttivi. Bernstein rimase a guardare mentre
Kubrick respingeva una proposta di design per le etichette con
l'identificativo da applicare sulle spalle delle uniformi degli astro-
nauti: il regista suggerì all'esponente del settore relativo che la pros-
sima versione seguisse il lettering usato sull'etichetta ufficiale della
Nasa. In perpetuo movimento da un dettaglio all'altro, Kubrick
disse scherzosamente a Bernstein: «In questa fase del gioco, mi sento
come il commesso del Katz's Delicatessen di Houston Street all'ora
di pranzo. Uno fa appena in tempo a dirgli: "Due etti di carne salata"
che lui fa: "Altro?" e prima che tu abbia finito di dire "Un pane di
segale affettato" ti sta già dicendo di nuovo: "Altro?">>.
304
Kubrick chiese a un gran numero di costumisti di proporre idee
sui vestiti dell'anno 2001. Alcuni risalirono all'età edoardiana, altri
avevano idee futuribili. Prima di scegliere Hardy Amies, Kubrick
parlò con Jeremy Bernstein della sfida presentata dai costumi: «Il
problema è trovare qualcosa che abbia un aspetto diverso e che possa
riflettere nuovi sviluppi nel campo dei tessuti, ma che non sia così
estremo da distrarre. Di sicuro i bottoni saranno spariti. Già adesso
esistono tessuti che restano chiusi da soli».
Ad agosto, Clarke raggiunse Kubrick agli studi di Boreham Wood
mentre l'attività dello staff della produzione si faceva frenetica in
vista del primo giorno di riprese- una data che il regista sperava si
sarebbe materializzata prima della fine dell'anno. In aggiunta alle
sue mansioni di sceneggiatore, Clarke divenne il consulente scienti-
fico interno della produzione e dovette coordinare la massa di dati
tecnici che soffocavano l'ufficio. Clarke andò ad abitare da suo fratel-
lo Fred e dalla cognata Sylvia in Nightingale Road 88, a Londra.
Kubrick stava rivedendo il romanzo con Clarke e contemporanea-
mente preparava il copione di scena, una traccia necessaria per piani-
ficare esattamente le riprese.
Alla fine di agosto Clarke decise che il romanzo doveva finire con
Bowman in piedi accanto a un'astronave aliena, ma Kubrick non fu
soddisfatto di questa conclusione e la ricerca andò avanti.
Uno staff selezionato di progettisti e studiosi del futuro passava
tutto il tempo a lavorare a un unico progetto: la visualizzazione del
segnale lasciato sulla Terra dagli extraterrestri immaginati da Clarke
in La sentinella. Bozzetti e idee erano analizzati, discussi e respinti da
Kubrick, che riusciva sempre a cogliere in un'idea un dettaglio da
usare come base per l'elaborazione successiva.
Per l'oggetto, il regista esplorò ogni possibile forma geometrica,
pretendendo una motivazione intellettuale per ogni configurazione
proposta: cercava una forma primaria che potesse comunicare con il
pubblico in una sola immagine. Fu preso in seria considerazione un
misterioso cubo trasparente, ma a un certo punto si parlò di una
piramide, un concetto collegato alle meraviglie architettoniche
dell'antico Egitto. La vigorosa semplicità della piramide si trasfigurò
nella complessità magica del tetraedro, un solido identificabile come
una piramide a base triangolare. Anche se l'oggetto sarebbe stato
solidamente piantato sulla superficie terrestre, doveva essere plausi-
bile che fosse stato trasportato sulla Terra attraverso lo spazio. Un
modello di tetraedro alto quattro metri e mezzo attraeva Kubrick,
perché la sua ampia superficie era l'ideale per uno strumento attivato
con energia solare: l'oggetto aveva le qualità scientifiche e mitiche
richieste, ma alla fine ricevette il veto della regia.
305
La scelta definitiva di Kubrick fu un unico blocco nero rettangola-
re, noto come il monolito. Per il regista esso conteneva il potere jun-
ghiano di una forza primordiale. L'impatto visivo del solido nero
dalla superficie perfettamente liscia è diventato la vera e propria
immagine poetica centrale di 2001. li monolito confermò la convin-
zione di Kubrick che <da verità di una cosa sta nel sentirla, non nel
pensarla>>. Più avanti, Clarke avrebbe detto: <<Mi piace pensare al
monolito come a una sorta di coltellino svizzero cosmico: fa tutto
quello che vuole fare>>.
A novembre Clarke andò a vedere il progetto in la-vorazione del set
per la nave in orbita sulla terra, la Orion III. Durante la visita, con
Kubrick e gli scenografi, lo scrittore fece una battuta sul fatto che la
carlinga assomigliava un po' a un ristorante cinese; il regista vide
subito il set con occhi diversi e chiese istantaneamente una serie di
modifiche, inducendo Clarke a prendere mentalmente un appunto:
<<Star lontano dagli scenografi per qualche giorno>>.
Dicembre fu dedicato freneticamente a inaugurare il processo di
produzione di 2001: il primo giorno di riprese fu fissato per merco-
ledì 29 dicembre 1965. Kubrick decise di cominciare con la sequen-
za della scoperta del monolito sulla luna, e il settore scenografia con-
centrò tutte le energie nella costruzione del set, che il programma di
lavorazione definiva <<ZOna di scavo TMA-1 >>. Nel teatro H degli
studi Shepperton di Londra, il secondo teatro di posa più grande
d'Europa, la troupe creò un pozzo di 18x36x18 metri per il sito di
scavo del monolito. La superficie lunare e gli sfondi sarebbero stati
costruiti e ripresi in seguito. li negativo dell'inquadratura nel pozzo
di scavo fu contrassegnato e conservato in una camera apposita. In
postproduzione i due negativi sarebbero stati stampati insieme per
completare l'illusione.
Kubrick aveva tempi terribilmente ristretti: nella prima settimana
del 1966 un'altra produzione era prenotata per il teatro H, il che
lasciava appena una settimana per girare l'incontro cruciale fra
l'uomo moderno e un segnale lasciato da un'intelligenza superiore. Il
set doveva essere ultimato in tempo per le riprese del 19 dicembre e
andava smantellato esattamente una settimana più tardi. Un Kubrick
instancabile come al solito lavorò con la troupe per tutte le vacanze.
Mercoledì 29 dicembre 1965, William Sylvester e gli altri cinque
attori che impersonavano il gruppo di esploratori si trovarono alle
sette e trenta del mattino al trucco per essere pronti alla convocazio-
ne delle nove. Iniziavano le riprese di 2001: OdiJ.rea nello .rj1azio.
Kubrick riuscì a girare l'intera sequenza al TMA-1 prima dello
scadere della settimana. La difficoltà maggiore che si presentò a
Geoffrey Unsworth e ai suoi uomini fu illuminare la lastra nera per
306
creare la magia visuale necessaria a farne sprigionare il potere. A un
certo momento delle riprese Arthur Clarke fece notare a Kubrick un
punto del monolito che si era sporcato spostandolo; l'oggetto era
fatto di legno, ma per conferirgli un lustro speciale vi era stata appli-
cata una mistura di pittura nera e grafite. Il regista cominciò a stu-
diare dei metodi per impedire che l'incidente si ripetesse, e gli
attrezzisti dovettero darsi molto da fare perché il monolito rimanesse
liscio, levigato e immune da polvere, sporco o ditate. Quando le
riprese della sequenza furono completate, gli attrezzisti lo avvolsero
con cautela nell'ovatta e lo misero da parte in attesa della sua appari-
zione successiva. Per la scena in cui il monolito era sospeso nell'orbi-
ta di Giove fu fabbricato un modellino.
Per una ripresa con macchina a mano che seguiva il dottor Floyd e
il gruppo mentre nello scavo scendevano la rampa che portava al
monolito, Kubrick impugnò personalmente la cinepresa. Un dolly
sarebbe stato impossibile perché la base di griglia metallica della
rampa non permetteva alle ruote di scorrere in modo fluido, e la
steadicam era ancora !ungi dall'essere inventata; il regista manovrò
direttamente la Mitchell a 65mm, facendosi aiutare da macchinisti e
assistenti per sostenere parte del peso.
Arrivò il nuovo anno, il 1966. 1'8 gennaio la produzione lasciò gli
spazi del complesso di Shepperton per tornare ai più piccoli studi di
Boreham Wood, dove gli scenografi stavano dando gli ultimi ritoc-
chi all'interno della navetta Orion. Kubrick iniziò a girare le sequen-
ze che accompagnano il dottor Floyd e i suoi compagni di missione
alla stazione spaziale.
Con il proseguire della lavorazione, lunghe discussioni e ancor più
lunghe ore alla macchina da scrivere portarono Clarke a un punto
estremo di stanchezza e di stordimento, anche a causa di un terribile
mal di testa da stress, ma il 17 gennaio lo scrittore riuscì a terminare
la revisione della prima stesura del romanzo. Due giorni dopo
Kubrick lo chiamò, proclamando che la storia ormai era definita, e
Clarke iniziò l'insidioso percorso per far sì che il regista desse l'ok
alla versione "finale", in modo che il romanzo potesse essere spedito
alle case editrici.
Per la sequenza in cui Bowman entra di forza nella Discovery attra-
verso il porcello di emergenza, dopo essere stato chiuso fuori da Hai,
Keir Dullea compì la missione personalmente, senza una controfigu-
ra o una rete: «Adoravo Stanley e avrei fatto per lui qualsiasi cosa.
Misi da parte la cautela che avrei adottato di solito per un film quan-
do si parla di scene d'azione>>. Diverse inquadrature richiedevano a
Duilea e a Lockwood di stare appesi a dei cavi. Per l'esplosione attra-
Verso il porcello, Dullea fu sistemato in cima al set - alto diversi
307
piani - assicurato a un cavo che passava attraverso l'inguine del suo
costume da astronauta. Quando la porta si apriva, Dullea veniva fatto
cadere dalla cima e scivolava fino in fondo lungo il cavo, senza rete.
La macchina da presa era piazzata con un'angolazione di 180 gradi
alla base del set verticale, per dare l'illusione che Bowman volasse
verso l'obiettivo. L'attore iniziava il suo "viaggio" su un'impalcatura
fuori dal set, vicino a un tecnico con un sistema di carrucole; il tecni-
co aveva i guanti e teneva in mano una corda annodqta: quando la
lasciava scorrere, Dullea precipitava verso la base del set; e quando il
nodo arrivava in fondo, l'uomo saltava dall'impalcatura e Dullea rim-
balzava più volte avanti e indietro, creando l'impressione che
Bowman fosse sballottato dall'intensa pressione dell'aria.
Kubrick usò la macchina a mano per l'inquadratura che segue
Dave Bowman quando esce dalla camera di equilibrio e attraversa la
nave fino alla scala che porta al cervello centrale di Hai. Anche que-
sta volta assistenti e macchinisti dovettero sostenere il peso della
cinepresa in modo che il regista potesse manovrarla e ottenere
l'inquadratura voluta.
Il più anziano amministratore Nasa del progetto Apollo, George
Mueller, e il primo astronauta Deke Slayton vennero in visita sul set
di 2001. Mueller si guardò attorno e ribattezzò il progetto spaziale di
Kubrick <da Nasa orientale>>. Scherzando con il regista disse laconica-
mente: <<Devi esserti fatto fregare da un venditore di capsule usate».
Le riprese della sequenza procedevano molto lentamente. Kubrick
e Geoffrey Unsworth continuavano a scattare Polaroid di ogni posta-
zione della macchina da presa, e a montarle su un pannello per ana-
lizzare l'illuminazione, la composizione e ogni dettaglio fotografico.
Spesso ci voleva la maggior parte della giornata per preparare tutto,
prima che gli attori potessero finalmente essere chiamati per comin-
ciare a girare.
Anche se Kubrick teneva segreti i particolari del suo film come se
si trattasse di una missione della Cia, restava un pragmatico uomo
d'affari: il 18 gennaio accolse quindi con un benvenuto il celebre
fotografo Lord Snowdon, marito della principessa Margaret, giunto a
Boreham Wood per un servizio fotografico sul regista e su 2001 per
la popolarissima rivista <<Life». Kubrick era ben conscio che la pub-
blicità giusta avrebbe stimolato le aspettative del pubblico.
Kubrick restava affascinato dalle nuove tecnologie. Ricorda Keir
Dullea: <<Bastava che sul set arrivasse qualcuno con un nuovo giocat-
tolo computerizzato o roba del genere perché tutto si fermasse. In
quel senso aveva la curiosità di un bambino».
Il regista cercò di arruolare i responsabili degli effetti di "The
Thunderbirds", la serie televisiva prodotta dalla Bbc nel 1966, ma i
308
produttori Sylvia e Gerry Anderson mangiarono subito la foglia
quando chiamò per invitare Sylvia a pranzo. Più avanti, alcuni mem-
bri dello staff di 2001 sarebbero riusciti ugualmente a convincere un
paio di tecnici della serie a d iserrare.
Il 19 aprile 1966, Arthur Clarke riapparve allo studio. Kubrick
faceva lavorare la troupe per lunghe, faticose ore. La moglie dello
scenografo Tony Masters, Heather, ricorda che di rado vedeva suo
marito prima delle dieci di sera. Quando Masters era a casa passava
la maggior parte del tempo al telefono con Kubrick, e questo andaz-
zo proseguì per due anni, mentre il progetto procedeva. Il regista era
paziente ma esigente: quando un tecnico del suono si scusò di non
aver finito il lavoro, Kubrick interruppe le riprese fino a quando
l'uomo non fu pronto, poi gli disse con voce tranquilla ma ferma:
«La prossima volta che io avrò cinque ore di prove prima di girare,
forse dovresti provare ad approfittarne per risolvere i tuoi problemi
di suono>>. Alcuni rispettavano questo perfezionismo esigente, ma
altri non reggevano allo sforzo. Uno dei consulenti esterni che lavo-
ravano ai modelli della superficie lunare continuò a fare una revisio-
ne dopo l'altra, senza mai ottenere l'approvazione di Kubrick, e fu
visto per l'ultima volta mentre lo trasportavano in lacrime via dagli
studi. Per mantenere sempre al massimo l'efficienza della troupe, il
regista esercitava una continua pressione psicologica creando
un'atmosfera competitiva, e arrivava ad affidare lo stesso obiettivo a
due équipe diverse in modo da costringerle a correre l'una contro
l'altra. Raccontava Harry Lange: <<Ti trasporta con il suo incredibile
entusiasmo. Ha la grande capacità di farti credere in quello che stai
facendo. Da lui si impara moltissimo. Un sacco di gente deve a
Stanley tutta la carriera». <<Stanley ispira la gente>>, diceva lo scena-
grafo John Hoesli. <<Non so proprio spiegare come, ma ha questo
dono di spingere la gente a fare quel qualcosa in più. Anche il ragaz-
zo dell'ufficio!>>.. Il "ragazzo dell'ufficio" Tony Frewin sarebbe poi
diventato l'assistente personale di Kubrick e dal 1965 è sempre
rimasto con il regista. Brian Johnson, un membro dell'équipe degli
effetti speciali, scoprì che Kubrick sembrava ignorare chi parlava di
qualsiasi altro argomento che non fosse il film. Un giorno Johnson
accennò di passaggio al suo interesse per l'aviazione, e il regista si
limitò a ignorarlo e ad andare via. Ma poi Johnson trovò sulla scriva-
nia una pila di riviste di aviazione con un biglietto di Kubrick che
diceva: <<Potresti trovarle utili>>.
Kubrick aveva fama di essere freddo e privo di emozioni nei con-
fronti di molti di coloro con cui lavorava. A un certo punto il figlio di
Ìony Masters si ammalò gravemente di difterite e il regista fece spedi-
re dagli Stati Uniti un inalatore. La sua mente lavorava con la logica
309
di un computer, utilizzando la ragione per risolvere tutti i problemi
che le si presentavano davanti. Più difficile era interpretare la sua vita
emotiva. Lavorava duramente, gomito a gomito con la troupe, pronto
a spostare un pezzo di attrezzatura se era necessario o a sdraiarsi a terra
per un'inquadratura dal basso. Le sue emozioni finivano nelle sinapsi
del suo cervello e si trasformavano in·visioni. <<Stanley è un genio>>, ha
detto Roger Caras a Piers Bizony. <<Ne devo aver conosciuti cinque o
sei nella mia vita e ci metto anche Arthur [Clarke}; beh, dentro di
loro c'è un mostro che li mangia vivi, ed è costituito dai loro lobi
frontali. Devono costantemente nutrire questa cosa e non sopportano
la noia. È questo che li guida a profondità sempre maggiori di com-
prensione, di sc~vo. Sostanzialmente, Stanley è una persona chiusa,
molto riservata. E tollerante e modesto. Non tiranneggia gli altri, ma
il fatto che capisca qualcosa venti minuti prima di chiunque altro, e
che abbia una memoria incredibile che raggiunge profondità impen-
sabili quando gli interessa qualcosa, tutto ciò fa sembrare Stanley
tranquillo e riservato a meno che non lo si conosca bene. Ma quando è
rilassato con qualcuno ha un senso dell'umorismo veramente eccezio-
nale, e naturalmente ha questa curiosità insaziabile».
Kubrick chiese all'amico Bob Gaffney, che aveva diretto la seconda
unità per Lolita, di fare lo stesso per 2001. Sul set Gaffney poté
osservare l'abilità di Kubrick con la macchina da presa. <<Era un otti-
mo operatore», ricorda Gaffney. <<Mi trovavo in Turchia e Stanley
aveva chiamato dicendo: "Quando torni a casa faresti un salto a
Londra? Ti voglio parlare". Così andai a Londra dove lui stava facen-
do 2001. Aveva un'idea per la sequenza finale ma non fu esplicito. Si
limitò a tirare fuori un libro e dire: "Voglio scene nella Monument
Valley girate con luce molto bassa, volando sulle formazioni rocciose
e lungo il terreno, più in basso possibile". Ma non disse il perché"».
<<Quel pomeriggio eravamo nel terreno dietro i teatri di posa.
Arthur Clarke e io stavamo là a parlare. Stavano riprendendo l'osso
che volava per aria e l'operatore non riusciva a tenerlo in campo. È
un'inquadratura molto difficile. Giravano ad alta velocità. Quando
butti in aria qualcosa non sai mai quanto in alto andrà perché l'osso
veniva lanciato in maniera sempre diversa. Lo lanciavano in modo
che girasse su se stesso. Così bisognava seguirlo mentre saliva e poi
seguirlo nella discesa. L'operatore lo mancò tre o quattro volte.
Stanley si mise dietro alla macchina e lo fece al primo colpo, ed è
l'inquadratura che si vede nel film. La macchina la manovrava lui».
La scena in cui Moon- Watcher scopre l'osso-arma fu la sola che
Kubrick girò in un ambiente reale, anche se non fu necessario andare
lontano: venne montata una piattaforma in un campo a pochi metri
dagli studi. Mentre Dan Richter nel suo costume da scimmia franru-
310
mava teschi e ossa di facocero, Kubrick teneva la macchina da presa
in basso puntandola verso il cielo. Automobili e autobus passavano
mentre la troupe continuava a girare, ma restavano fuori campo: solo
il passaggio occasionale di qualche aereo disturbava di tanto in tanto
il sapore preistorico della scena, costringendo Kubrick ad aspettare
che il ventesimo secolo, lentamente, uscisse di campo.
L'osso della scimmia, contemporaneamente utensile e arma, e il
computer degli astronauti erano molto significativi eer Kubrick, che
disse a William Kloman del «New York Times>>: «E sotto gli occhi
di tutti che tutta la tecnologia umana sia nata dalla scoperta
dell'utensile-arma. Non c'è dubbio che ci sia una profonda relazione
emozionale fra l'uomo e le sue macchine-armi, che sono i suoi figli.
La macchina sta cominciando a imporsi in un modo molto profondo,
anche suscitando sentimenti di affetto e di ossessione».
L'inquadratura dell'osso che vola in aria sarebbe stata usata come
transizione per staccare sul volo di un'astronave, in quello che
Arthur C Clarke ha chiamato: «II più lungo flashforward della sto-
ria del cinema: tre milioni di anni».
Inizialmente Kubrick voleva girare 2001 nel formato panoramico
di 1,85:1. In una delle loro innumerevoli discussioni tecniche, Bob
Gaffney gli parlò di altre possibilità: <<Gli dissi: "Devi fare una cosa
viscerale. Se vuoi portare la gente nello spazio non c'è niente di più
grande del 70mm, e il Cinerama è ancora meglio perché avresti uno
schermo curvo" e lui fu d'accordo. E lo fece. Costò pure un po' di
soldi alla Mgm». Gaffney aveva lavorato diversi anni con il formato
Cinerama, ma era un'autorità anche per il 70mm e aveva fatto parec-
chi cortometraggi in Todd-AO.
<<Passai ore al telefono con lui», ricorda Gaffney: <<Non fu necessa-
rio insistere. Gli avevo fornito uno spunto e ora lui mi avrebbe inter-
rogato per giorni. Stanley è un uomo dalla mente aperta. Questa è
una cosa che complica la vita alla gente, ma non c'è nulla su cui la
sua mente resti chiusa. Ascolta, valuta e vede se per lui può funzio-
nare. È dura per la gente che gli sta intorno perché è come avvicinar-
si a un aspirapolvere. Ti risucchia il cervello. Se fai un errore lui ti
scopre subito. Mi arrivavano strane telefonate: "Ora, se tu metti un
faro a trenta centimetri da te e ne indirizzi un altro uguale sullo stes-
so punto, ottieni il doppio di quella quantità di luce?". Voleva vede-
re se sapevo la risposta, lui la sapeva già. A volte non conosceva la
risposta e se ti capitava di dire qualcosa lui saltava su: "Che?". Una
Volta mi chiese: "Come fai a dire la differenza fra qui e lì?". Io dissi:
"È la triangolazione. Hai un punto qui e un punto lì. Misuri gli
angoli del triangolo". "Beh, ma come si fa?". "Beh, devi conoscere il
seno, il coseno e la tangente". Non aveva mai studiato quella roba a
31 l
scuola. Allora scriveva: "Nota per Margaret, procurami questo e quel
libro". Poi si sedeva e se lo leggeva>>.
Gaffney riprese il materiale del terreno per la sequenza della Porta
delle Stelle con le informazioni minimali che Kubrick gli aveva dato
circa il volare basso e il girare con luce bassa.
Quando 200 l uscì, molti p€nsarono che Kubrick avesse usato la
solarizzazione - la tecnica che Richard Avedon aveva usato nelle sue
celebri fotografie dei Beatles nello splendore dei colori psichedelici.
Ma le riprese aeree di Bob Gaffney non sono state solarizzate.
Parecchi anni dopo l'uscita del film, Gaffney vide una dimostrazione
che era stata presentata a Kubrick dalla Films Effects of Hollywood:
era l'immagine di un'onda che scivolava sull'oceano, e nel momento
in cui si rompeva l'acqua bianca esplodeva in mille colori. Al regista
era stato spiegato che l'effetto era stato ottenuto mescolando i master
di separazione in bianco e nero usati per produrre una stampa a colo-
ri5. Stampando la registrazione del giallo sul master ciano, e stam-
pando il ciano sul magenta, la mescolanza di master e registrazione
produceva spettacolari effetti di colore. Attente sperimentazioni e
test impegnativi avevano rivelato a Kubrick che era possibile con-
trollare i colori per alterare i paesaggi americani, in modo da farli
sembrare panorami alieni.
La maggior parte del materiale per la sequenza fu girato sopra
Page, in Arizona; un paio di scene furono riprese nella Monument
Valley, dove fu per poco evitato il disastro. «C'è mancato poco che
mi ammazzassi>>, ricorda Gaffney: «L'erosione da quelle parti è dovu-
ta alla forza del vento. lo ero in un Cessna 21 O con la macchina da
presa fissata sotto un'ala in modo da non riprendere il motore.
Andavamo a girare la mattina presto e la sera tardi. La prima sera
che ci trovavamo lì, la nostra pista era la stazione Texaco di fronte al
motel ed era piena di muli e capre. Diedi un'occhiata alla manica a
vento ed era completamente morta. Decollammo, e appena arrivati
in cima all'altopiano ci arrivò addosso un vento a 160 chilometri
orari, che sballottava l'aereo. Il pilota urlava: "Lo sapevo che uno di
questi giorni mi facevi ammazzare, stupido figlio di puttana!". Io gli
dissi: "Spingi giù la cloche, o lo faccio io!". Spinsi giù la cloche e ci
buttammo verso il basso per tornare dove l'aria era calma. Una volta
5 Per produrre una copia a colori, la pellicola individuale veniva scomposta su tre pdb-
cole monocromatiche attraverso tre filrri con i colori base Jel processo di stampa: gial-
lo, ciano e magenta. Questa pellicola era intrinsecamente molto più nitida di quella a
colori. Con i filtri appropriati, le tre pellicole potevano essere ricombinate restaurando i
colori originali attraverso la stampa, in successione, su una quarta pellicola a colori.
(N.d.T.)
312
riequilibrato l'aereo, girammo per tornare dove eravamo decollati. Il
sole stava tramontando proprio dietro la pista, e vi era tutta la polve-
re che avevamo appena alzato decollando. Lì non c'era un filo di
vento. La polvere ci impediva di vedere la pista, non vedevamo nien-
te. Io dissi: "Tu vola, io faccio il radar, due gradi a sinistra, a destra,
tira giù il carrello, togli gas" e boom lo portai a terra>>.
Kubrick aveva il controllo artistico su 200 l ma doveva sempre
rispondere alla Mgm, principale finanziatrice del film e responsabile
della distribuzione. Durante la lavorazione la società aveva comincia-
co a sprofondare nei debiti e Kubrick decise che il modo migliore di
placare l'ansia terribile dei dirigenti dello studio fosse presentare loro
un breve rullo dimostrativo del materiale ripreso nel primo mese di
lavorazione. Il programma includeva scene dell'interno della stazione
spaziale e della navetta lunare Orion. La maggior parte del materiale
era stato ripresa senza sonoro, così Kubrick aggiunse brani di musica
registrata che aveva ascoltato durante la preproduzione: le scene con
gli astronauti in assenza di gravità furono sonorizzate con Sogno di
11na notte di mezza e.rtate di Mendelssohn; per il materiale sulla luna e i
primi test per il clou spirituale del film (la sequenza sperimentale
della Porta delle Stelle) la colonna sonora scelta da Kubrick fu
l'Antanticct Suite di Vaughan Williams. Alla Mgm furono impressio-
nati dalla presentazione ma restarono nervosamente in attesa di sape-
re come sarebbero state usate immagini spaziali di un realismo così
sconvolgente, e come sarebbero andate al botteghino. Robert
O'Brien, presidente della Mgm e i suoi dirigenti più alti, per quanto
impressionati, cominciarono a trattenere il fiato sperando che il film
finisse presto. Intanto nella visione di Kubrick aveva cominciato a
prendere forma la relazione fra musica classica e immagini futuribili.
Instancabile, Kubrick pretese un orario basato su giornate di dodici
ore: cominciò ad arrivare sul set alle otto e un quarto del mattino,
per lavorare fino alle otto e mezza di sera, e così di seguito per mesi.
Il set più complesso e imponente del film era la centrifuga, il centro
dell'astronave Discovery, che trasportava gli astronauti. Per costruirlo
fu scelto un grosso teatro che assomigliava a un hangar per aeroplani.
Una volta approvata l'idea finale, basata su progetti dei programmi
spaziali americani e russi, Kubrick pretese espressamente una tecno-
logia ben superiore alle possibilità di una produzione cinematografica
convenzionale, e affidò alla Vickers Engineering Group il compito di
costruire una centrifuga funzionante su una scala sufficientemente
grande da permettere agli astronauti di viverci e lavorarci.
Il progetto durò sei mesi e costò alla produzione 750.000 dollari.
La centrifuga aveva un diametro di undici metri ed era composta di
travi d'acciaio. Pesava trenta tonnellate e poteva ruotare a una velo-
313
cità massima di quasi cinque chilometri all'ora. Vista dall'esterno,
ricordava da vicino una ruota panoramica da luna park. L'interno era
largo due metri e mezzo e gli scenografi, per raffigurare una proie-
zione delle astronavi del futuro, avevano ;;tudiato e decorato tutti i
360 gradi della struttura, fino al più piccolo dettaglio. Questo com-
portava la difficoltà di assicurare gli arredi interni, che avrebbero
dovuto ruotare costantemente in movimento circolare. All'interno
della centrifuga erano installati fino a due dozzine di proiettori cine-
matografici. Tutto era fisicamente avvitato al pavimento, inclusi una
consolle da computer, un dispensario medico controllato elettronica-
mente, una doccia, un solarium, una sala giochi completa di tavolo
da ping-pong e di un piano elettronico, e cinque involucri bombati
in plastica in cui dormivano i membri ibernati dell'equipaggio della
Discovery. Kubrick scherzò con Jeremy Bernstein: «Forse la società
può recuperare un po' dell'investimento vendendo visite guidate alla
centrifuga. Potrebbero anche farne un'attrazione>>.
Quando gli attori erano all'interno della centrifuga, si chiudeva
una botola che li isolava all'interno. Kubrick ordinò la disponibilità
immediata di una· squadra di vigili del fuoco e venne effettuata una
serie di esercitazioni per far uscire gli attori tempestivamente se
all'interno si fosse sviluppato un incendio. Disse Roger Caras a Nei!
McAleer: <<C'era molta elettricità e vi erano elementi infiammabili
come legno e plastica. Se fosse scoppiato un incendio lì dentro sareb-
be potuto essere un fuoco improvviso, come quello dell'Apollo 11
che aveva ucciso i tre astronauti. C'erano bulloni piazzati in punti
strategici che all'occorrenza potevano essere colpiti a martellate per
consentire agli attori di uscire. Gli attori erano sempre alla base
della centrifuga. La macchina da presa si muoveva e si muoveva il
macchinario, ma gli attori erano sempre alla base, ad appena un
metro, un metro e mezzo sopra il pavimento del teatrO>>. Un grande
sistema di ventilazione aiutava a fare uscire l'aria calda prodotta
dall'enorme potenza dei riflettori, e pompava dentro aria fresca.
Kubrick spiegò a Herb Lightman come aveva utilizzato la macchi-
na da presa all'interno della centrifuga: <<C'erano praticamente due
tipi di posizioni di macchina usate all'interno della centrifuga. Nel
primo la macchina da presa era fissata al set, così che quando questo
ruotava a 360 gradi la macchina lo seguiva. Però, in termini di orien-
tamento visivo, la macchina da presa non "sapeva" di essere in movi-
mento. In altre parole, sullo schermo sembra che la macchina da presa
sia ferma, mentre l'attore se ne allontana camminando su per la pare-
te, attraverso il soffitto, e scendendo dall'altra parte. Nel secondo tipo
di ripresa la macchina, montata su un dolly in miniatura, restava con
l'attore alla base, mentre tutto il set gli si spostava attorno. Non era
314
semplice come può sembrare perché, dato che la macchina da presa
doveva mantenersi a una certa distanza dall'attore, era necessario posi-
zionarla sulla parete a circa sei metri, e tenerla in quella posizione
mentre il set ruotava. Questo risultato si otteneva grazie a un cavo
d'acciaio che dall'esterno era collegato alla macchina da presa aura-
verso una fessura praticata al centro del pavimento e che correva
attorno all'intera centrifuga. L'apertura era dissimulata da tappetini
di gomma che ricadevano in posizione appena il cavo era passato>>.
A un certo punto delle riprese nella centrifuga, mentre la macchi-
na da presa viaggiava lungo le pareti del set, qualcosa la fece sgancia-
re e precipitare a terra da oltre nove metri. Per fortuna gli atrori
erano fuori portata: il peso della macchina da presa avrebbe potuto
ucciderli. Keir Dullea dichiarò a «Newsweeb>: <<Durante le riprese
di 2001 Stanley era l'unico a indossare sempre il casco protetrivo>>.
Cercando di individuare la corretta esposizione e il bilanciamento
della luce su un set così insolito, Kubrick e Geoffrey Unsworth scat-
tarono una serie di Polaroid in bianco e nero per controllare l'intrica-
to sistema di illuminazione. Nel corso della produzione, Unsworth
avrebbe scattato più di diecimila Polaroid, per risparmiare tempo e
poter controllare istantaneamente la luce.
Il set della centrifuga presentava un genere di pericoli più comune
agli operai dei grattacieli che a una troupe cinematografica. Tutto il
personale della produzione era equipaggiato con· elmetti d'acciaio
che proteggessero da detriti caduti dal set rotante. Gli uomini di
Unsworth dovevano assicurare il materiale delle luci alla strutrura
d'acciaio e gli elmetti tornavano utili quando una lampada scoppiava
sparando tutto attorno schegge di vetro, o quando un cacciavite o
altri utensili precipitavano dall'alto. Oltre agli elmetri erano di uso
comune anche leggere scarpe da tennis, che permettessero ai membri
della troupe di camminare per il set facilmente e silenziosamente.
Per raggiungere le varie aree della centrifuga, i membri della troupe
dovevano arrampicarsi sulle impalcature d'acciaio esterne o arrivare
in cima al cilindro tenendosi a una delle suppellettili inchiodate,
fìno a quando questa raggiungeva la destinazione. Una volta arrivati
dovevano aggrapparsi bene per maggior sicurezza. All'esterno della
struttura della centrifuga erano montati proiettori a 16mm per con-
sentire a Kubrick di creare gli effetti di proiezione della facciata che
venivano sviluppati dal supervisore agli effetti speciali Tom Howard.
All'interno della centrifuga fu installato un sistema di televisione a
circuito chiuso che permetteva a Kubrick di dirigere le scene da una
Postazione di controllo esterna al set.
All'inizio della sequenza del film ambientata sulla Discovery, l'astro-
nauta Frank Poole fa jogging e si esercita nella boxe attorno al perime-
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tro della nave. L'austera semplicità di questa scena entusiasmò gli spet-
tatori, immediatamente trasportati nella gravità zero dello spazio. La
centrifuga era necessaria a creare questa sequenza affascinante. Alla
proiezione dei giornalieri, Kubrick fece suonare un valzer di Chopin
un brano che gli pareva sarebbe potuto ~ssere scelto nel 2001 da u~
uomo intelligente. Sulla colonna sonora si poteva sentire di tanto in
tanto la voce di Kubrick che sovrastava Chopin dando a Lockwood
indicazioni per la difficile sequenza: «Guadagna un po' sulla macchi-
na, Gary! ... Ora una scarica di sinistri e destri!. .. Un po' più catti-
vo!». Dopo aver proiettato il materiale, Kubrick commentò: «È bello
avere due minuti di film utilizzabile dopo due giorni di riprese».
Durante le riprese Kubrick era sistemato a una consolle elettronica
fuori dalla centrifuga. Fuori e dentro il set erano installati sei
microfoni e un sistema di altoparlanti che, insieme al sistema di
televisione a circuito chiuso, permettevano al regista di osservare
l'azione su tre monitor e di comunicare con gli attori e con la troupe.
A portata di mano c'era anche un grosso e goffo videoregistratore
affinché Kubrick potesse vedere una scena dopo averla girata.
Il controllo video, che permette a un regista di rivedere subito i
ciak, oggi è un elemento standard della produzione cinematografica,
ma nel 1966 una tecnologia del genere non era così facilmente
disponibile. L'uso innovativo del video fatto da Kubrick per la pro-
duzione cinematografica sarebbe divenuto di attualità negli anni
Ottanta quando Francis Ford Coppola diresse Un sogno lungo un giorno
dall'interno di una roulotte parcheggiata sul set piena di attrezzatura
elettronica- un metodo che ribattezzò «cinema elettronico».
C'erano inquadrature per le quali Kubrick non aveva lo spazio per
far stare un operatore nella centrifuga. In quei casi Dullea o
Lockwood dovevano prima provvedere personalmente a far partire la
macchina da presa e poi tornare in posizione per recitare la scena,
mentre il regista li osservava dall'esterno su un monitor. Per altre
inquadrature la macchina da presa veniva montata su un dolly per
seguire gli astronauti mentre camminavano per la nave. In aggiunta
alla centrifuga, altri pezzi del set furono usati per le altre parti
dell'interno della imponente astronave. Anche molte di queste unità
ruotavano e avevano due metà, per creare effetti come la scena in cui
una hostess cammina su un muro ed entra in una botola sul soffitto.
Per l'inquadratura nella quale Poole è seduto a mangiare davanti a
Hal e Dave scende da una scaletta sull'altro lato della stanza cammi-
nando fino a lui, Gary Lockwood in realtà era legato capovolto alla
sedia. Il cibo era assicurato al tavolo e alla forchetta dell'attore. Keir
Dullea camminava sul posto mentre la centrifuga gli girava attorno
dando l'impressione che si avvicinasse a Lockwood.
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Durante le riprese la sceneggiarura crebbe in lunghezza via via che
le improvvisazioni arricchivano le scene. Ricorda Keir Dullea:
,Quando stavamo girando una scena ma sapevamo che un'altra
sarebbe arrivata dieci giorni dopo, andavamo nella roulotte di
Stanley e lui accendeva un registratore. Noi improvvisavamo il dia-
logo basandoci sulle battute originali e il giorno seguente trovavamo
il nuovo copione».
«Avevamo un sacco di tempo libero, c'era molto da aspettare.
Tutti i film sono fatti di momenti frenetici e di lunghe pause, ma in
rutta la mia vita non mi è mai capitato di aspettare così a lungo tra
una inquadratura e l'altra. Le attese più lunghe per la nuova posizio-
ne macchina sono state su questo sec. Così avevamo del tempo. Lui
faceva mettere su carta dalla segretaria tutto quello che registravamo
e il giorno dopo avremmo improvvisato su quel materiale. Sicché
improvvisavamo su un'improvvisazione basata su un'improvvisazio-
ne tratta da un'altra improvvisazione, fino a quando era tutto ripuli-
to fino all'osso>>, conclude Dullea.
Per l'inquadratura in cui Bowman e Poole camminano attorno a
un nucleo che conduce a un passaggio aperto in collegamento con
un'altra area della nave, la macchina da presa era avvitata alla parte
in primo piano del cilindro della centrifuga, mentre il cilindro sullo
sfondo ruotava. Appena i due entravano nella seconda sezione, questa
cessava di ruotare e cominciava a ruotare la parte con la macchina da
presa, dando l'impressione che gli uomini camminassero sui muri e
nel passaggio sopra di loro.
Le riprese nella centrifuga procedevano lentamente. Cambiare le
luci per una nuova posizione macchina richiedeva un'attenta pro-
grammazione logistica, mentre la troupe si arrampicava su per i lati
ricurvi del set fino a poter spostare una luce o appendere un nuovo
faretto. Gli astronauti avevano scarpe munite di velcro, che permet-
tevano loro di camminare nell'assenza di gravità della nave. Quando
Kubrick vide il design completo delle scarpe ne rifiutò la forma e le
riprese furono interrotte per un giorno mentre le scarpe venivano
ridisegnate.
Kubrick lavorava con gli attori in privato, prendendoli individual-
mente da una parte come aveva fatto in passato con Marie Windsor
per Rapina a mano armata. Ricorda Keir Dullea: <<È un uomo molto
tranquillo e i tuoi rapporti con lui in questo senso erano intimi. Era
~olco facile lavorare con lui. I bravi registi sono dei meravigliosi
tmbroglioni. Si può imbrogliare un attore e fargli credere che sta
facendo una cosa perché pensa che sia una grande idea, e invece è
opera clel regista. Penso che sia bellissimo, e Kubrick sicuramente
aveva questo dono. I migliori registi con cui ho lavorato ce l'aveva-
317
no. Aveva una forza tranquilla. Era un fanatico del dettaglio, ma in
lui non c'era niente di tirannico. Non faceva drammi sul set. È vera-
'
mente una persona estremamente riservata>>.
Durante la difficile lavorazione del film, Stanley e Christiane ten-
nero ogni settimana una serie di eleganti pranzi per attori, troupe e
altri ospiti. I Kubrick intrattenevano scienziati, filosofi e scrittori.
Ricorda Keir Dullea, che partecipò a molti party vivaci, ricchi di sti-
molanti conversazioni: «Stanley è un autentico uomo rinascimentale.
Voglio dire, gli capitava lì uno storico dell'arte e lui era assoluta-
mente alla sua altezza nel parlare di rinascimento o di cubismo.
Osservai che era in grado di farlo in aree di ogni genere. È sempre
stato un uomo dalla curiosità insaziabile. Ti faceva un sacco di
domande sulle cose. Conosceva in profondità una quantità di cose che
nulla avevano a che fare con il cinema>>.
All'inizio, Kubrick aveva calcolato 130 giorni di riprese per le
scene principali del film (le inquadrature degli effetti speciali aveva-
no un lungo programma a parte) ma i ritmi inaspettatamente lenti
del lavoro negli interni della Discovery aggiunsero una settimana a
un calendario già prolungato. Per niente disposto ad accettare com-
promessi, il regista prendeva atto della lentezza dei ritmi senza farsi
problemi e quando si trattava di preparare una nuova posizione mac-
china usava il tempo necessario a suo beneficio. I membri della trou-
pe trainavano all'interno del teatro una roulotte blu, un tempo usata
come camerino di Deborah Kerr e ora convertita in un ufficio mobile
completamente attrezzato. Mentre Jeremy Bernstein osservava le dif-
ficoltà delle riprese all'interno della centrifuga, Kubrick si voltò
verso il giornalista e commentò: «Mi avvantaggio di ogni ritardo o
interruzione per andarmene e pensare. Un po' come quando si gioca
a scacchi e il tuo avversario ci mette molto tempo a pensare alla sua
prossima mossa».
Gli scacchi avrebbero fatto una nuova apparizione in un film di
Kubrick. Poole gioca con Hai e viene sconfitto dal computer. Il regi-
sta aveva chiesto alla Parker Brothers, la società che distribuiva il
Monopoli, di inventare un gioco elettronico che Hai potesse fare con
Bowman e Poole; la Parker aveva studiato il gioco e prodotto una
versione da tavolo che pensava di distribuire, ma il gioco non fu uti-
lizzato in 2001 e la società non lo distribuì mai. Keir Dullea ne rice-
vette una copia come ricordo del suo viaggio cinematografico nello
spaZIO.
Hai, il computer di bordo, era un personaggio fondamentale nelle
scene sulla Discovery. Dullea e Lockwood guardavano nel suo occhio
rosso, simile a un obiettivo, e dialogavano con lui come se fosse stato
un essere vivente in carne e ossa. Durante le riprese, le sue battute
318
venivano a volte dalla viva voce di Stanley Kubrick, trasmesse dalla
sua trincea elettronica attraverso microfono e ricevitore. Gli attori
rispondevano a battute di Hai pronunciate con l'irreprimibile accen-
to del Bronx del regista, che le avrebbe poi riscritte e fatte doppiare
da Douglas Rain. Agli attori, Kubrick offriva le frasi più quotidiane
come: «Buongiorno, cosa vuoi per colazione?>>. Lo scambio produce-
va una relazione intrigante ed eccitante fra l'uomo e la macchina.
Questa intima interazione psicologica rende la scena della morte di
Hai una delle più insolitamente toccanti del cinema contemporaneo.
Nella sequenza in cui Bowman disattiva Hai, Keir Dullea era
sospeso da cavi e durante i primi piani rallentava i suoi movimenti
corporei per accentuare l'impressione che stesse galleggiando attra-
verso l'unità centrale. L'aiuto regista Derek Cracknell leggeva le bat-
tute di Hai con il suo accento, pregando Dave di smetterla, e si pro-
dusse poi in una versione cockney di Giro giro tondor, così che Dullea
potesse reagire mentre disattivava Hai. L'attore commenta la toccan-
te scena dicendo: <<Era un po' come George che spara a Lenny in
Uomini e topi>>.
La stanza che ospitava il mainframe di Hai era chiamata dalla pro-
duzione <da stanza del cervello>>. Era alta tre piani, costruita vertical-
mente ma ripresa da un lato, in modo che sullo schermo apparisse
orizzontale. Lavorare sul set era pericoloso: durante la costruzione un
operaio cadde dalla sommità e si ferì seriamente la schiena.
I giorni nella centrifuga e nei set della Discovery continuavano a
trascinarsi. Attori e troupe lavoravano dalle dieci alle dodici ore al
giorno. All'epoca le troupe britanniche non erano abituate a fare
tanti straordinari, ma quella di Kubrick restò motivata e disponibile
a perseverare in questo progetto unico. Di tanto in tanto qualche
membro della troupe era portato all'esasperazione dall'insistenza per-
fezionistica del regista; Keir Dullea ricorda di averne sentito qualcu-
no lamentarsi per poi concludere con: «Ma sai che cos'è che ti frega?
Che il maledetto bastardo ha sempre ragione!>>.
Per le sequenze in cui Bowman e Poole galleggiano nello spazio, le
controfigure furono appese ai cavi grazie a busti speciali e furono for-
nite sia di un sistema radio per comunicare con Kubrick e con la
troupe, sia di bombole di ossigeno perché li aiutassero a sopportare
l'altezza.
Squadre di ricercatori furono inviate in giro per il mondo alla
ricerca di location per gli sfondi delle sequenze di "L'alba dell'uo-
mo" e della Porta delle Stelle, ma Stanley Kubrick non lasciò mai i
319
confini dello studio. Questo non era dovuto alla mancanza di
tempo. Kubrick era un'autorità in fatto di aviazionfi e aveva addirit-
tura la licenza di pilota, ma non avrebbe più messo piede su un
aeroplano. Aveva accumulato 150 ore di volo, per lo più attorno
all'aeroporto di Teterboro nel New Jersey, ma dopo aver fatto prati-
ca di decollo e atterraggio, aver volato in solitario fino ad Albany e
aver accompagnato nei cieli i suoi amici, aveva smesso di entrare
nella carlinga.
Il fatto che Kubrick si rifiutasse di prendere l'aereo è stato attri-
buito alla paura di volare e al suo senso della logica e delle probabi-
lità che gli avrebbe fatto decidere che non era un rischio che valesse
la pena di correre; però il regista aveva volato da una costa all'altra,
ed era stato lui stesso pilota. La paura che gli ha impedito di volare
per quasi trent'anni ha le sue radici in un particolare incidente.
Un certo giorno, mentre .ai comandi del suo aereo era in procinto
di uscire dall'aeroporto di Teterboro, Kubrick aveva cominciar~ a
rullare sulla pista. Mentre controllava gli interruttori, uno era rima-
sto incastrato a metà; l'aereo era partito di scatto e aveva decollato
con una parte del motore che non funzionava. Dopo una lotta frene-
tica, Kubrick era riuscito a far atterrare l'aereo, ma l'incidente, che
gli aveva mostrato quanto fosse sottile la linea fra la vita e la morte,
aveva chiuso la sua carriera di aviatore.
Quella che si potrebbe interpretare come una paura irrazionale era
la scelta pragmatica di un essere capace di mantenersi sempre razio-
nale. Kubrick leggeva continuamente riviste di aviazione e passava
ore a seguire le trasmissioni della torre di controllo di Londra con la
sua radio a onde corte. Il margine di errore nel volo, per lui, era
troppo alto. Kubrick prendeva le decisioni sulla base di dati raccolti,
e con quei parametri non poteva mettere a rischio la sua sicurezza.
Così aveva ristretto i suoi voli ai viaggi di celluloide di 2001. Aveva
disposto le circostanze in modo che non gli toccasse di volare e aveva
organizzato la vita in Inghilterra in modo da poter evitare rischi.
Mentre la ricerca continuava, Kubrick parlò a Jeremy Bernstein
delle location che stava prendendo in considerazione per il prologo:
<<Stiamo cercando un deserto fresco dove sia possibile girare alcune
sequenze a tarda primavera. Ci è caduto l'occhio su un luogo in
Spagna ma potrebbe fare troppo caldo per poterei lavorare comoda-
mente e potremmo avere difficoltà a controllare la luce. Se non andia-
mo in Spagna, dovremo costruire qui un set completamente nuovo.
Altro lavoro per (lo scenografo) Tony Masters e i suoi artisti>>.
A un altro scenografo, Ernie Archer, fu affidato il compito di dise-
gnare i panorami che corrispondessero agli sfondi fotografici proiet-
tati in trasparenza per gli ambienti di "L'alba dell'uomo".
320
A giugno, Clarke volò a Hollywood per rassicurare i dirigenti
.Mgm, sempre più nervosi, sullo stato del loro film di fantascienza.
Tornato a Boreham Wood, lo scrittore cercò di convincere Kubrick
che il manoscritto del romanzo era pronto per la pubblicazione, ma
il regista era ancora riluttante a dichiararlo definitivo. Voleva conti-
nuare a lavorarci ma gli impegni della lavorazione glielo impediva-
no. Clarke disse con fermezza che lo scrittore era lui e che doveva
avere il diritto di dichiarare completo il romanzo: la sua frustrazione
nasceva dal fatto di aver perso 15.000 dollari di lavori mentre era
impegnato nelle lunghe revisioni di 2001; aveva bisogno di soldi e
doveva chiedere un prestito. Kubrick propose un compromesso, pre-
vedibilmente alle sue condizioni: in poche settimane avrebbe anno-
tato i cambiamenti necessari per la versione finale.
Il 18 giugno, Clarke ricevette un memorandum di nove pagine,
composto di trentasette paragrafi che coprivano il manoscritto di
calcolate minuzie. Nei ritagli di tempo dei giorni esasperanti delle
riprese, Kubrick aveva discusso anche i particolari più piccoli. Ecco
alcuni estratti dalle annotazioni: <<Si può usare la parola prateria in
un'area colpita da siccità?»; <<I leopardi ringhiano?>>; <<Non penso
che il verbo "cinguettare" sembri giusto. Dobbiamo decidere come
parla questa gente>>.
Fiducioso di avere ormai in mano le correzioni definitive, Clarke
diede istruzioni al suo agente Scott Meredith di procedere alla chiu-
sura di un accordo di pubblicazione. Meredith ottenne un impegno
dalla Delacorte Press e Clarke firmò il contratto. L'accordo era che la
Dell pubblicasse il libro in un'edizione cartonata Delacorte e in un
tascabile Dell. Meredith ottenne da Helen Myer della Dell un antici-
po di 65.000 dollari. L'accordo completo, che ammontava a 160.000
dollari, era stato firmato da Clarke il 28 aprile 1967 e stabiliva che il
libro avrebbe dovuto essere pubblicato prima dell'uscita del film: ma
Kubrick non voleva firmare il contratto. Tutti quei ritardi avevano
già abbassato il prezzo, e Clarke passò un mese a riscrivere il roman-
zo per effettuare i cambiamenti elencati nel memorandum di
Kubrick: ma ogni volta che le critiche venivano accolte e il brano
riscritto, Kubrick immediatamente lodava la nuova versione e in
capo a qualche giorno indicava nuovi difetti, errori e imperfezioni,
fìno al punto in cui tutto era ridotto a frammenti inucilizzabili. La
mania perfezionista e le tattiche dilatorie del regista infransero le
speranze di Clarke di riuscire a chiudere e a ottenere la firma del
regista sulla linea tratteggiata.
Clarke cercava disperatamente di stare dietro al rapido accumularsi
delle revisioni che Kubrick pretendeva via via che leggeva il nuovo
materiale, scritto dopo il suo memorandum. Il regista si ostinava a
321
non voler firmare il contratto per la pubblicazione del libro.
Purtroppo la Delacorte aveva provveduto a far trascrivere e rileggere
il manoscritto e aveva già praticamente impaginato il libro: a Clarke
e Meredith toccò la sgradevole responsabilità di dare la notizia che il
libro non poteva essere pubblicato senza le modifiche di Kubrick. A
metà del 1967 la Dell aveva già speso 10.000 dollari sul progetto,
Clarke aveva 50.000 dollari di debiti e Kubrick continuava a non
firmare. La Delacorte fu costretta a rompere le matrici di stampa e a
smontare tutto, mentre Clarke si rassegnava a nuove revisioni, ren-
dendosi conto che il libro non sarebbe mai uscito finché Kubrick
non avesse ultimato il film. A questo punro la data era ignota, ma il
regista cercò di rassicurare lo scrittore dicendogli: «Non preoccupar-
ti, alla fine andrà tutto bene>>.
Ali' inizio d eli' estate 1967 Davi d Vaughan, coreografo d i Il bacio
dell'asscmino e amico di Ruth Sobotka, lavorava come attore di teatro
e si preparava a passare la stagione a Seattle. Prima che lui partisse,
Ruth Sobotka, che aveva divorziaro da Kubrick nel 1961, gli disse
di non sentirsi bene. Ricorda l'attore: «Poco dopo la mia partenza
per Seattle qualcuno mi chiamò e mi disse che Ruth era morta
improvvisamente. Non ho mai saputo veramente di cosa fosse morta.
Si era presa qualche strana infezione e il dottore era via per il week-
end quando lei aveva bisogno di cure; fu terribile. Le era venuta una
febbre altissima e se fosse sopravvissuta temevano che il cervello
restasse danneggiato. Penso che uno dei motivi per cui morì fu che
non voleva più vivere. Non voleva vivere per diventare come sua
madre. Aveva lasciato il gruppo di balletto e aveva tentato la carriera
di attrice. Era una persona di grande forza fisica ed era incredibil-
mente attraente, ma all'epoca aveva una relazione pessima con un
uomo orribile. Fu tragico e non necessario>>.
Dopo il matrimonio con Stanley Kubrick, Ruth Sobotka aveva
avuto altre storie, finite male. Morì il 17 giugno 1967 a New York.
Aveva quarantadue anni. Il suo necrologio, pubblicato su «Variety>>
il 21 giugno 1967, riportò che era <<morta per cause non immediata-
mente certe>>. Il trafiletto inoltre segnalava che Ruth Sobotka aveva
disegnato costumi per balletti e per rappresentazioni teatrali e che
dopo il suo divorzio da Stanley Kubrick si era dedicata agli spettaco-
li off-Broadway e alla televisione. Lasciava entrambi i genitori.
Nell'autunno 1967 Kubrick iniziò a lavorare a "L'alba dell'uomo",
il prologo di quindici minuti di 200 l. Le scene, che descrivevano la
Terra prima della nascita dell'uomo, illustravano attraverso una tribù
di scimmie l'inizio dei conflitti umani per il dominio del territorio,
per il cibo e per il potere. Dopo aver studiato fotografie e filmati
npres1 in Africa e in altre lontane località, Kubrick prese l'audace
322
decisione di girare tutta la sequenza negli studi di Elstree. Il ragio-
namento era che le imprevedibili condizioni del tempo avrebbero
reso difficile girare nei luoghi isolati e distanti che meglio avrebbero
potuto rappresentare l'intatta belJezza della Terra prima dell'arrivo
dell'umanità. Sopra tutto, Kubrick voleva il controllo. Alla fine
furono la sua decisione di non volare e l'ossessione per il controllo a
portare tutta la sequenza in un teatro di posa in Inghilterra.
Per prima cosa, squadre di operatori e di fotografi furono inviate
nelle località prescelte per riprendere panorami da utilizzare come
materiale per gli sfondi; seguendo le esplicite istruzioni di Kubrick
furono girati migliaia di metri di pellicola e scattate migliaia di dia-
positive. Lo scenografo Ernie Archer e il fotografo Robert Watts si
recarono in Sudafrica per scattare diapositive Ektachrome, ad alta
definizione e grande formato (20x24), dei cieli e del terreno. In una
delle loro trasferte, mentre guidavano su una stretta strada nel deser-
to della Namibia, andarono a sbattere contro un camion che viaggia-
va nella direzione opposta.
Affidare le riprese degli sfondi alla seconda unità a Hollywood era
divenuta una pratica standard per arricchire i film con location esoti-
che; i divi recitavano poi davanti a uno schermo semitrasparente su
cui veniva proiettata la scena ripresa in precedenza, in modo da dare
l'illusione che gli attori agissero in esterni.
A Kubrick non erano mai piaciuti i risultati della retroproiezione
-o, come li si chiamava a Hollywood, dei "trasparenti"- che produ-
cevano un'immagine leggermente sfocata e granulosa che di rado
sembrava uno sfondo reale. Alfred Hitchcock, un altro regista con
l'ossessione del controllo del set, vi ricorreva con tale frequenza che
la plausibilità delle location esotiche di film come Cacàa al ladro e
del remake a colori di L'uomo che sapeva troppo era guastata dall'abuso
dei trasparenti.
Era dagli anni Quaranta che si facevano esperimenti con la tecnica
di proiettare le immagini sullo schermo frontalmente - invece che
dai retro - ma di solito la si utilizzava per un'inquadratura occasio-
nale e non per sequenze di questa lunghezza. Sherman Fairchild, che
aveva sviluppato e fabbricato la prima macchina da presa automatica
per il Genio Radiotelegrafisti e Segnalatori dell'esercito americano,
aveva collaborato a Hollywood con il tecnico William Hansard,
creando il metodo di proiezione frontale Fairchild-Hansard, descrit-
to negli anni Sessanta dallo scrittore di fantascienza Murray Leinster.
Tom Howard, supervisore agli effetti speciali, studiò tutte le
attrezzature e le tecniche disponibili all'epoca e suggerì a Kubrick di
0 Ptare per quel sistema. Allo scopo di mantenere un'immagine cre-
323
proiettare i giganteschi sfondi sui componenti reali dei grandi set
che molte sequenze richiedevano. Dopo un attento esame dell'attrez-
zatura esistente, Howard e Kubrick progettarono e brevettarono una
grande quantità di nuovi apparati per la proiezione frontale.
La struttura base per la proiezione frontale nel prologo - che fu
girato agli studi Elstree della Mgm - richiedeva un grande schermo
riflettente su cui si proiettavano le immagini riprese in Africa. Lo
schermo era composto da milioni di perline di un materiale studiato
dalla 3M per la realizzazione di catarifrangenti e segnali stradali. Di
fronte allo schermo gli scenografi creavano un'ambientazione prei-
storica che corrispondesse in modo perfetto agli sfondi proiettati.
Effettuando la ripresa attraverso uno specchio a due facce, posto a un
angolo di 45 gradi, si potevano eliminare le ombre degli attori e il
risultato era una versione antropologicamente corretta della Terra
preistorica, ottenuta nell'ambiente controllato dello studio. Kubrick
usava un binocolo per essere sempre sicuro che l'immagine sullo
schermo restasse nitidamente a fuoco.
Ernie Archer si occupò di creare in teatro il terreno in primo piano,
facendolo corrispondere con il materiale ripreso in Africa e altrove. I
set erano costruiti su una piattaforma rotante in modo che fosse pos-
sibile spostare i diversi scenari davanti allo schermo di proiezione.
La proiezione frontale divenne la tecnica favorita di Kubrick per
tutto 2001. Una delle applicazioni più spettacolari del sistema fu
l'immagine esterna di una imponente stazione spaziale, vista mentre
la nave del dottor Floyd si avvicina: la macchina da presa si accosta
lentamente alla stazione, si cominciano a vedere numerose stanze di
controllo affollate di equipaggi al lavoro. Per creare questa illusione,
Kubrick aveva fatto costruire un modello in scala, con sezioni vuote
riservate alle stanze di controllo. L'azione nelle stanze era stata ripre-
sa su set a grandezza naturale, e quindi proiettata e rifotografata nel
contesto dell'intero set della base spaziale. L'illusione finale era di
vedere l'asse centrale di una stazione spaziale in piena attività; le pic-
cole figure umane erano l'ingrediente chiave che dava al modello, già
perfettamente curato nei dettagli, una completa credibilità.
Le scimmie erano interpretate da ballerini e da mimi, truccati da
Stuart Freeborn. Moon-Watcher, il capo della tribù che compie la
fatale scoperta del fatto che un osso può essere sia un'arma sia un
utensile, era l'attore Daniel Richter. La sequenza sarebbe stata l'ulti-
ma della lavorazione di 200 l a como rendere azione dal vivo.
Geoffrey Unsworth, che doveva partire con un altro lavoro, lasciò
il set alla fine del giugno 1966, quando Kubrick si preparava a gira-
re "L'alba dell'uomo". Il direttore della fotografia era stato impegna-
to nelle riprese di 2001 dal Natale 1965. John Alcott, suo assistente,
324
rimase sul set per tenere sotto controllo il sistema di proiezione fron-
tale e si trovò in prima fila per lavorare con Kubrick sui progetti
successiVI.
L'audace incipit di 2001 era il modo di Kubrick di legare il passa-
to al futuro. A Gene L. Phillips il regista disse: «Qualcuno ha detto
che l'uomo è l'anello mancante fra le scimmie primitive e gli esseri
umani civilizzati. Si può dire che l'idea sia implicita anche nella sto-
ria di 2001. Siamo semicivilizzati, capaci di collaborazione e di affet-
to, ma abbiamo bisogno di un qualche tipo di trasfigurazione in una
forma di vita più elevata. Dato che i mezzi per cancellare la vita sulla
Terra esistono, ci vorrà qualcosa di più di un'attenta programmazio-
ne e di una cooperazione ragionevole per evitare qualche eventuale
catastrofe. Il problema esiste finché esiste il potenziale, ed è un pro-
blema essenzialmente morale e spirituale».
Gli interni della Discovery richiedevano molte immagini grafiche
animate sugli schermi e sui pannelli di controllo di tutta la nave. Il
rosso occhio-obiettivo centrale di Hal era circondato da schermi con
informazioni che cambiavano costantemente; altri monitor mostra-
vano funzioni della nave, controlli missione, un messaggio di buon
compleanno da parte dei genitori di Poole sulla Terra e uno schermo
news da tavolo che trasmetteva la registrazione di un programma
della Bbc sul volo. Alla fine degli anni Settanta i maghi degli effetti
speciali della Industriai Light and Magie di George Lucas avrebbero
perfezionato la tecnologia elettronica, digitale e video per poter pro-
grammare la grafica dalla tastiera, ma tutto ciò non era ancora dispo-
nibile a Stanley Kubrick: ogni immagine grafica era disegnata dal
settore scenografia, sulla base di dati forniti dai futurologi della
schiera di società consultate, e quindi ripresa su pellicola a 16mm.
Quando si giravano le scene principali in Super Panavision a bordo
del set della Discovery, le immagini venivano retroproiettate su
schermi appositamente inseriti nella scenografia.
Kubrick doveva definire Harry Lange "consulente tecnico" per
tenersi buoni i sindacati cinematografici; Lange non aveva una for-
mazione da scenografo ma aveva dato un enorme contributo alla pro-
gettazione di 2001. Alla fine l'ambiente del cinema iniziò ad accet-
tare Lange come uno di loro e Kubrick fu in grado di attribuirgli la
qualifica di scenografo.
La sequenza della Porta delle Stelle, che conclude il film, fece sì
che i figli dell'Età dell'Acquario tributassero a 2001 la palma del
film degli anni Sessanta per antonomasia. La trama voleva che
Bowman, unico superstite della tragica missione Giove, compisse da
solo un viaggio destinato a concludersi con la sua spettacolare rina-
scita. Kubrick voleva che la visualizzazione del viaggio fosse ciò che
325
veniva promesso dalla pubblicità di 2001: il Viaggio Definitivo. La
Porta delle Stelle univa vivide immagini di volo spaziale ad alta
velocità a sprazzi di colori psichedelici. Questo insieme di alchimia
cinematografica non aveva precedenti nel cinema commerciale ed era
stato appena accennato in certi film sperimentali.
Kubrick affidò l'inebriante compito a Douglas Trumbull, che con-
cepì una magica macchina delle immagini capace di produrre questo
luminoso spettacolo filmico. Dopo molti mesi di esperimenti,
Trumbull inventò la Slitscan, uno strumento che sfruttava un proce-
dimento fotografico a striscia per il quale l'otturatore della macchina
era tenuto aperto per un lungo periodo di tempo mentre le immagi-
ni venivano registrate direttamente sulla superficie di celluloide, e
non un fotogramma alla volta. Gli scenografi prepararono un flusso
di creazioni astratte, utilizzando dipinti di Op Art, progetti archi-
tettonici, circuiti stampati e fotografie di cristalli e strutture mole-
colari scattate al microscopio elettronico: tutto questo veniva elabo-
rato dalla Slitscan formando un corridoio composto di due piani infi-
niti di illuminazione. Questo tunnel di "luce liquida" segnava la
strada di Bowman, che tremava, strizzava gli occhi e fissava con ter-
rore e meraviglia i colori cangianti che gli illuminavano il volto.
A «Sight and Sound>> Douglas Trumbull spiegò: <<Avevo incontra-
to il cineasta sperimentale John Whitney, così avevo qualche idea
sulla sua tecnica di effettuare più esposizioni su un singolo foto-
gramma di pellicola, in modo automatico. John lavorava a un mec-
canismo per far scorrere una fessura attraverso un fotogramma, muo-
vendo un'immagine dietro la fessura in modo da creare forme, stria-
ture e altre cose. In realtà non vidi mai questa cosa, ma ne avevo
un'idea nella mia testa. E mi venne in mente che se si poteva farlo
piatto doveva anche essere possibile farlo su tre dimensioni. Dopo un
esperimento attraversai lo studio, andai nell'ufficio di Kubrick e gli
dissi: "Dovrò costruire una macchina grande come una casa, con
binari e motori, e grossi pezzi di vetro per arrivare in fondo a questa
cosa". Lui disse: "Penso che tu abbia ragione. Fallo, prendi tutto,
tutto quello che ti serve". Le immagini erano su diapositive
Kodalith alte circa un metro, un metro e mezzo, e larghe circa tre
metri: centinaia di figure da libri di Op Art, strane griglie trarre
dalla rivista <<Scientific American>>, fotografie al microscopio elettro-
nico ingrandite, contrastate e stampare in negativo; anche un sacco
di roba disegnata da me. Stranissime forme, più gelatine colorare,
montate insieme su un enorme tavolo luminoso. La macchina da
presa era montata su binari e si muoveva in una direzione, mentre le
immagini scorrevano dietro la fessura in un'altra. Ecco la sensazione
di tuffarsi in uno spazio che ha una profondità infinita. Non esisreva
326
un nome per questo procedimento, perché non era mai stato fatto
prima. Io lo chiamai Slitscan. Non so come Whitney avesse chiama-
co iJ SUO».
<<Quando Keir Dullea indossava il casco si vedevano i riflessi dei
film a 16mm fuori campo, e tutte le luci e la strumentazione e gli
schermi di controllo di Hai all'interno della capsula. Nella sequenza
in cui viene chiuso fuori e non ha il casco in testa, gli vengono proiet-
tate immagini sul volto. Non ha senso ma l'effetto è grandioso».
Trumbull creò anche la montagna di materiale grafico da retro-
proiettare sugli schermi installati in molti dei set. In alcune scena-
grafie c'erano fino a otto schermi, che mostravano tabulati di com-
puter e altre informazioni sulla missione.
Per le inquadrature di Bowman all'interno della capsula, quando
arrraversa la Porta delle Stelle, Kubrick riprese Keir Dullea che rea-
giva al viaggio mentre lo spettacolo delle luci si proiettava sul suo
volto. La sequenza non aveva dialogo, così Kubrick tornò alla tecnica
di usare una musica per aiutare l'attore a sentire l'atmosfera giusta,
come aveva già fatto per Woody Strade e Kirk Douglas in Spartaw.r.
Kubrick scelse un movimento dall'Antarctica Suite di Vaughan
Williams. Keir Dullea descrive la musica come dotata di un senso di
mistero bello e avvolgente, capace di aiutarlo a trasmettere ciò che
Bowman avrebbe pensato durante il viaggio che gli avrebbe cambia-
to la vita: <<Mi proiettavano delle luci sulla faccia. Nel pannello di
controllo della capsula, oltre a pulsanti multicolori che si illumina-
vano e continuavano a lampeggiare, c'era un monitor che doveva
essere uno schermo di computer su cui si vedeva qualche tipo di rap-
presentazione digitale. Così quella roba era proiettata sulla mia fac-
cia. Dovevo guardare in macchina e vedevo intorno a me il teatro.
Ecco perché usava la musica- non avevo niente su cui lavorare>>.
Per creare l'intensa pressione subita da Bowman e dalla capsula
durante il passaggio nella Porta delle Stelle, Dullea sottopose il suo
corpo a un intenso esercizio isometrico che lo faceva tremare violen-
temente. Per fotografare i primissimi piani dell'occhio di Bowman
quando attraversa una serie di cambiamenti cromatici, Kubrick
chiese a Dullea di stare seduto mentre l'obiettivo riempiva lo scher-
mo del suo occhio che sbatteva. Ricorda l'attore: <<Faceva un po'
paura perché non sapevo se stavo correndo il rischio di diventare
cieco. Usavano una luce ad arco che mi stava molto vicina. Cioè,
nessuno si avvicina mai a una luce ad arco. Ci sono cose che non
avrei fatto per nessun altro che non fosse stato Stanley>>. Più tardi,
nell'impegnativo processo di postproduzione, Kubrick avrebbe alte-
rato il colore dell'occhio, facendone una parte del viaggio cromatico
nella Porta delle Stelle.
327
Il trucco di Dullea per l'incarnazione più vecchia di Bowman
durante la metamorfosi richiedeva dodici ore di lavoro. Per accelera-
re la laboriosa applicazione, Kubrick diede ordine ai truccatori che
facessero un calco del volto di Dullea: il modello sarebbe poi stato
usato per fabbricare i pezzi di lattice e prepararli all'applicazione.
Nel copione originale, dopo aver attraversato la Porta delle Stelle
Bowman atterrava in una camera d'albergo creata dagli extraterrestri
per metterlo a suo agio. Su una scrivania vedeva un elenco del telefo-
no, ma quando si avvicinava scopriva che la stampa era sfocata e che
non era reale. Kubrick decise di abbandonare questo tipo di approc-
cio e fece ideare a Tony Masters un'elaborata versione futuribile di
una stanza in stile vittoriano.
Kubrick non parlò mai con gli attori del significato del film. Affer-
ma Dullea: <<Mai! Non parlava mai con noi della filosofia del film.
Penso che fosse una scelta intenzionale con me e Gary, perché i nostri
personaggi non potevan_o avere la minima idea dell'insieme, in quan-
to la loro esperienza era totalmente soggettiva. Sapevo che sarebbe
stato un film speciale perché ero in un film di Stanley Kubrick.
Sapevo che non era semplicemente un altro film di fantascienza>>.
Nel dicembre 1967 Kubrick rivolse le sue attenzioni alla colonna
sonora del film. Telefonò ad Alex North, che aveva ricevuto una can-
didatura all'Oscar per la sua eroica musica orchestrale di Spartacu.r.
North abitava al Chelsea Hotel, dove Arthur Clarke aveva scritto la
storia di 2001. Kubrick gli disse che lui era il musicista che più
rispettava e che lo voleva per scrivere la musica di 200 l; descrisse la
struttura antinarrativa e spiegò a North che il film aveva circa venti-
cinque minuti di dialogo e nessun effetto sonoro. North ci vide
un'occasione unica per comporre una colonna sonora creativa che
diventasse un complemento fondamentale del film.
Kubrick avvertì il musicista che non avrebbe potuto vedere il film
completo mentre componeva la musica, perché gli impegnativi effet-
ti speciali non sarebbero stati pronti fino alla fine della postprodu-
zione, e gli chiese di comporre un valzer per accompagnare le scene
del volo delle astronavi. Senza poter vedere il materiale, North dove-
va comporre e registrare la musica del film basandosi soprattutto su
lunghe conversazioni con Kubrick.
Ai primi di dicembre, Alex North volò a Londra per discutere con
il regista, che gli fece ascoltare la musica provvisoria usata durante la
lavorazione, dicendo che pensava di conservare alcuni di quei brani
per la versione definitiva. North non poteva accettare l'idea che la
sua parti tura fosse interpolata con brani di altri musicisti, ma sentiva
di dover comporre una musica capace di catturare l'essenza di ciò che
Kubrick voleva.
328
Alex North tornò a Londra il 24 dicembre 1967, preparandosi a
registrare la partitura il l gennaio 1968. Kubrick gli mise a disposi-
zione un lussuoso appartamento che si affacciava su Chelsea e gli
fornì un giradischi, un registratore e una serie di dischi. North
lavorò giorno e notte per fare in tempo, ma lo stress gli causò spa-
smi muscolari che gli provocarono acuti mal di schiena, costringen-
dolo a recarsi allo studio di registrazione in ambulanza. Al suo
posto, l'orchestra fu diretta da Henry Brande, mentre North stava
nella stanza di controllo. Kubrick andava e veniva per dare suggeri-
menti. Il musicista pensava che l'inizio che aveva scritto per sosti-
tuire Così parlò Zarathustra probabilmente non avrebbe soddisfatto
Kubrick, ma cercò ugualmente di catturare la natura drammatica
del pezzo.
In due settimane, North compose e diresse più di quaranta minuti
di musica e, nell'attesa di vedere il film finito per poterla sincroniz-
zare, si occupò di effettuare una quantità di modifiche. Al telefono,
Kubrick gli chiese senza troppa convinzione una serie di cambia-
menti per una registrazione successiva. North attese undici giorni
per vedere ancora un po' di film in modo da essere pronto per la
nuova incisione, prevista ai primi di febbraio, ma Kubrick chiamò
per dire che non aveva bisogno di altra musica e che per il resto del
film avrebbe usato suoni di respiro. North pensò che fosse strano ma
disse al regista di essere in grado di fare tutto ciò che sarebbe stato
necessario anche una volta tornato agli studi Mgm di Los Angeles.
La speranza del musicista era di essere richiamato più avanti per scri-
vere altra musica per il film: tornò a casa e attese di ricevere notizie.
Finite le riprese principali, gran parte del 1967 fu dedicato
all'immenso lavoro degli effetti speciali. In tutto sarebbero stati
impiegati diciotto mesi per completare i 205 effetti di 2001, quasi
metà delle inquadrature di tutto il film. Dei 10.500.000 dollari del
budget totale, 6.500.000 furono assorbiti dagli effetti, una cifra
senza precedenti per l'epoca. Mesi di sperimentazioni cromatiche nel
laboratorio di stampa trasformarono le riprese aeree effettuate dalle
seconde unità, sulle Ebridi in Scozia e sulla Monument Valley, nel
panorama ultraterreno visto da Bowman uscendo dalla Porta delle
Stelle. Per assicurare un risultato fotografico coerente, Kubrick insi-
stette perché la pellicola vergine fosse conservata in una camera sot-
terranea, così che ogni negativo di una determinata inquadratura
Potesse essere sviluppato n~lla stessa soluzione chimica. Questo
significava che per vedere se un'inquadratura composita aveva fun-
zionato poteva essere necessario aspettare fino a un anno, con disci-
plina Zen. Per creare le 205 inquadrature di effetti speciali in 2001
furono utilizzate più di 16.000 inquadrature diverse. Il Bambino
329
delle Stelle che appare nel finale fu creato dalla scultrice Liz Moore e
per montare la sequenza ci vollero otto ore.
Per lo strenuo lavoro del montaggio di 2001, Kubrick promosse
Ray Lovejoy, assistente al montaggio di Anthony Harvey per Il dottor
Stranamore. Kubrick sentiva che per Harvey era giunta l'ora di passa-
re alla regia; una volta, durante una pausa alla toilette, il regista si
era girato verso di lui e gli aveva detto: «Sai, Tony, sei diventato dav-
vero impossibile. Sei diventato il Peter Sellers del montaggio. Sarà
meglio che tu te ne vada a fare il regista prima di farmi diventare
matto>>. Più avanti avrebbe dato a Harvey una sceneggiatura con il
consiglio di prendere in considerazione l'idea di dirigerla. Il proget-
to non si sarebbe concretizzato, ma Harvey stava preparandosi a fare
il grande passo.
Dopo un meritatissimo riposo in barca ai Caraibi, lontano dai rigo-
ri del montaggio di Il dottor Stranamore, due mesi più tardi Harvey
era tornato a New York per parlare con Kubrick del nuovo progetto
di fantascienza. In città ne approfittò per vedere LeRoi Jones che
recitava D11tL"h111an al Cherry Lane Theater, il che l'aveva portato a
opzionare la pièce e a dirigere il suo primo film.
Mentre i laboratori facevano gli straordinari per sviluppare il
materiale, iniziò il rigoroso processo di montaggio di 2001. Il primo
montatore Ray Lovejoy e la sua squadra continuavano a catalogare e
schedare la quantità di girato ammassata durante la lavorazione.
Kubrick presiedeva alla sala montaggio. Lovejoy e i suoi manovrava-
no una serie di moviole mentre il regisra sceglieva ogni inquadratura
e determinava esattamente dove dovesse cominciare e finire: un
metodo opposto alla procedura più comune a Hollywood, in cui il
montatore completa un primo montaggio già durante la lavorazione,
prima di iniziare a lavorare in collaborazione con il regista. Il ritmo
era dettato dal lirismo delle immagini più che dalla cadenza dram-
matica imposta spesso ai film commerciali. Furono rimosse numero-
se scene che servivano di transizione.
Kubrick aveva girato scene di vita sociale e familiare sulla base
lunare che venivano mostrate al dottor Floyd durante la sua visita.
Una delle scene si svolgeva in una stanza blu che aveva una piscina
circolare e una moquette d i Astro-Turf. Durante il giro Floyd vedeva
anche un gruppo di bambine, figlie degli abitanti della stazione,
impegnate a dipingere su dei cavalletti: Anya e Katharina Kubrick,
sulle orme della madre Christiane, erano due delle bambine. La
scena fu eliminata al montaggio, ma la piccola Vivian Kubrick, che
aveva sei anni, fu la figlia del dottor Floyd, che fa un'apparizione su
un videotelefono. Vivian sarebbe stata l'unica figlia di Kubrick a
sopravvivere nella versione definitiva.
330
Kubrick effettuò numerosi tagli sostanziali dopo una proiezione
contrattualmente inevitabile per i dirigenti Mgm a Culver City,
California. Il prologo con gli esperti che discutevano la possibile esi-
stenza di creature extraterrestri fu tagliato dalla copia lavoro. Per
dare maggior enfasi alle immagini, fu rimossa anche la voce fuori
campo che aiutava a spiegare molti dei principi scientifici e filosofi-
ci. 2001: Odi.r.rea nello .rpazio era un nuovo tipo di film antinarrativo.
Dopo aver ascoltato la colonna sonora di Alex North, Kubrick
decise di abbandonarla completamente. Il fatto di aver proiettato i
giornalieri per tutta la lavorazione con un sottofondo di musica clas-
sica aveva influenzato il regista inducendolo a utilizzare per il film
una serie di pezzi preesistenti, passando da un valzer del diciannove-
simo secolo ai lavori atonali e di avanguardia del secolo ventesimo.
Con la scelta di Co.rì j1arlò Zarathu.rtra, Kubrick riecheggiava l'opera
principale di Friedrich Nietzsche, arricchendo il tessuto filosofico
del film. Il maestoso, eroico tema di Richard Strauss fa risuonare il
racconro profetico di Nietzsche.
Kubrick portò alle orecchie di una nuova generazione la musica di
Khacaturjan, Ligeti e degli Strauss, ridefinendo allo stesso tempo il
concetto di colonna sonora cinematografica. L'uso di musica preesi-
stenre in 200 l influenzò film disparati come Ea.ry Rider, ApocalyjJJe
Nou· e The Four Sea.ron.r.
Dopo tutto il suo duro lavoro per realizzare una colonna sonora
completa, incluso un valzer originale, Kubrick non disse mai ad
Alex North che la sua partitura era stata scartata. Una volta partito
da Londra, a febbraio, il musicista non seppe piì:1 nulla dal regista
circa la sua musica per 2001 e apprese la brutta notizia quando vide
una proiezione del film ultimato poco prima dell'uscita ufficiale. Gli
amici raccontano che North fu sconvolto dalla cosa, anche se le sue
dichiarazioni pubbliche in merito alla faccenda non esprimono alcu-
na amarezza.
Dopo l'uscita di 2001, Alex North raccontò a lrwin Bazelon- per
il libro Knou ing the Swre: Note.r on Film Mu.rù-- che un altro musicista
1
339
basi spaziali fu usata per i manifesti. La Mgm aveva lanciato il film
come un grande spettacolo per famiglie, e non era quello il pubblico
principale di 2001. Robert O'Brien ricevette molte pressioni dalla
società affinché ritirasse 2001 dalle sale munite di Cinerama a favore
di Ba.re artù-a zebra, un altro film Mgm. Alla fine del 1969 la Mgm
aveva 80 milioni di dollari di debiti. Nel 1970 la casa di Leo il Leone
sarebbe stata rilevata dal finanziere di Las Vegas Kirk Kerkorian.
Alla fine 200 l divenne uno dei cinque maggiori successi della
Mgm, accanto a Via col vento, Il mago di Oz, Il dottor Zivago e Lawrence
d'Arabia. La prima edizione fu proiettata in alcune sale per due anni
senza interruzioni e il film divenne uno dei gioielli dello studio.
200 l era ancora in circolazione nel 197 2, a quattro anni dalla prima
uscita e la Mgm creò un pacchetto di repertorio chiamato "l favolosi
tre", in cui il film era abbinato a Il dottor Zivago e Via wl vento.
Negli anni Settanta, 2001: OdiJ.rea nello .rpazio fu rieditato cinque
volte, in un caso riscuotendo grande successo nella migliore sala di
New York, lo Ziegfeld. Kubrick chiese per l'occasione a Bob Gaffney
di prendere il suo posto, parlare con la stampa e assicurarsi che gli
standard tecnici della presentazione fossero degni della sua approva-
zione. Nel 1973 gli incassi domestici avevano totalizzato
20.347.000 dollari, e l'incasso all'estero nel luglio 1974 raggiunse i
7.500.000 dollari. L'incasso americano era ormai oltre i 25.000.000
di dollari. In turco il mondo 2001 è arrivato a 40.000.000 di dollari.
Nell'aprile 1973, Jerome Agel -guru di 2001 e autore di The
Making of Kubrù·k's 2001 -tenne una conferenza sui film di Stanley
Kubrick all'Experimental College di Sherwood Oaks. 11 padre del
regista, da tempo residente in California, era presente alla lezione e
senza dubbio si occupò di tenere il figlio informato.
2001 ha influenzato una generazione di cineasti. James Cameron,
regista di Aliens. Swntro finale, The Aby.rs e Terminator 2 - Il giorno del
giudizio raccontò a Syd Field - il maestro zen della sceneggiatura - il
profondo effetto che il film aveva avuto su di lui a quindici anni:
<<Non appena lo vidi, seppi che volevo diventare regista. Mi colpì a
una quantità di livelli diversi. Non riuscivo a capire come avesse
fatto rutta quella roba, dovevo imparare e basta». 11 montatore di
Kubrick per 2001, Ray Lovejoy, più tardi lavorò con Cameron per
Alien.r e disse: «2001 è il motivo per cui Jim si è dato al cinema. Ho
conosciuto una quantità di tecnici americani che dicono esattamente
lo stesso- che il film li ha ispirati a tentare la carriera cinematografi-
ca>>. Dan Bronson, executive story editor alla Paramount, commenta:
«Scoprii che esisteva un altro tipo di linguaggio - un linguaggio
altrettanto eccitante quanto le parole messe su carta da F. Scott
Fitzgerald. Feci questa scoperta vedendo 2001 di Kubrick, in parti-
.140
colare una scena che sicuramente dovete ricordare. Le scimmie tocca-
no il monolito e cominciano a evolversi, e iniziano a usare utensili
primitivi. C'è una scena magnifica, dopo che la scimmia ha ironica-
mente fatto il primo passo verso la civiltà e ha imparato a uccidere
con uno strumento. Prende in mano quel femore e lo sbatte, ancora e
ancora, su quella pila di ossa, facendole a pezzi, facendo volare fram-
menti dappertutto. E finalmente, in un senso di esaltazione e trionfo,
lo lancia verso l'alto, roteante, e il film "stacca", mentre l'osso ricade,
su un satellite nucleare in orbita sulla Terra. Mio Dio, centinaia di
migliaia di anni di evoluzione in una frazione di secondo sullo scher-
mo. È allora che ho pensato: "Sì, anch'io voglio saperne qualcosa"».
Quando gli chiesero del film, John Lennon rispose: <<2001, lo vedo
tutte le settimane».
2001 è stato riverito, citato e parodiato. In Minnie e Moskowitz,
John Cassavetes fa viaggiare i suoi due protagonisti su e giù per
l'Hollywood Boulevard in un camion che si muove sull'aria del
Danubio blu. In un articolo apparso nel 1969 su Don Siegel, il pittore
e critico Manny Farber vide nella sequenza iniziale di L'uomo dalla
cravatta di moio, con Clint Eastwood, <<un'esplosiva parodia dell'ini-
zio di 2001 di Kubrick: immagini che divorano lo spazio, la jeep di
uno sceriffo sparata attraverso il deserto e un indiano dal viso rovina-
to che saltella per le colline, preparando un arsenale per distruggere
il mondo mentre la jeep si avvicina>>. Sempre nel 1969 Davi d Bowie,
stimolato da una visione di 2001, scrisse e cantò Space Oddity, una
canzone su un astronauta che va alla deriva nello spazio. La cultura
popolare - pubblicità, affissioni e video musicali - ha dedicato alla
musica e al monolito un'infinita serie di tributi.
2001 fu un film innovativo e di fortissima influenza, ma deve
indubbiamente qualcosa ai film sperimentali di Jordan Belson e dei
fratelli Whitney. Nel 1970, Gene Youngblood, nel libro Expanded
Cinema e sulle pagine della rivista <<Film Culture», segnalò che il
film di Jordan Belson Al!UI·es <<ricordava fortemente il 2001 di
Kubrick - salvo che era stato fatto sette anni prima». Parlando di
Re-Ent1y, un altro film di Belson, Youngblood disse: <<Diventa un
vertiginoso e geometrico corridoio di luci inquietanti, quasi esatta-
mente come il corridoio in Slitscan della Porta delle Stelle dell'odis-
sea spaziale di Kubrick - salvo che Re-Enti)' è di quattro anni prece-
dente». Youngblood procedeva dicendo: <<Se si dovesse isolare una
singola qualità che distingua i film di Belson da altri film "spaziali",
è il fatto che la sua opera è sempre eliocentrica, mentre la maggior
Parte degli altri, anche 2001, è geocentrica».
Alla fine del ventesimo secolo, l'eredità di 200 l: Odissea nello spazio
continua a essere forte. Ray Bradbury getta luce sulla n6stra inesau-
341
ribile fascinazione per il film: <<Perché continuiamo a tornare e tor-
nare a 2001? Certo non per la trama fin troppo lineare e per il finale
sconcertante. Ci torniamo perché la stessa possibilità delle sue inter-
pretazioni ci rende liberi di carambolare nella più vasta delle archi-
tetture: l'universo stesso».
Precursore di una nuova era nel genere della fantascienza, 2001 è il
prototipo della tecnologia degli effetti speciali di Guerre ste!lari,
Incontri ravviànati del terzo tipo, Biade Runner e Terntinator 2. La strut-
tura narrativa visuale di Kubrick allargò il lessico cinematografico
dell'America e la sua favola epica emerge invariabilmente nelle liste
dei dieci migliori film di tutto il mondo, assieme a classici senza
tempo come Quarto potere, La regola del giow, Tempi moderni e l sette
samurat.
Kubrick continuò a identificarsi e a essere paragonato al primo
enfant terrible degli Stati Uniti, Orson Welles. Una sera Bob
Gaffney si fermò all'ufficio di Kubrick mentre andava a una registra-
zione per una pubblicità televisiva con Welles. Kubrick sapeva che
Gaffney stava per vedere Welles e voleva spedire al grande regista un
messaggio. «Stanley scavò furiosamente nei suoi archivi e produsse
una recensione di Bosley Crowther a Quarto potere, che stroncava il
film», ricorda Gaffney. «Stanley disse: "Fai vedere questa a Orson".
Ogni generazione ha il suo linguaggio visuale>>, conclude Gaffney,
collegando due uomini che hanno lasciato un marchio indelebile
nella storia del cinema.
La lavorazione di 2001 ebbe un impatto duraturo su Stanley
Kubrick. Ora l'Inghilterra era la sua casa, e gli offriva l'autonomia
che il regista si era sforzato di raggiungere dall'inizio della carriera.
Kubrick si sistemò con la famiglia in una sperduta proprietà
nell'Hertfordshire, nella campagna inglese: un rifugio situato nei
sobborghi di Londra, vicino a una casa di riposo per cavalli e a
distanza di macchina dalla maggior parte delle strutture di produ-
zione, con accesso ai migliori artigiani e servizi cinematografici. I
Kubrick portarono da New York tutta la loro roba in novanta bauli
da campo verde scuro, tutti numerati: «L'unico modo sensato di tra-
slocare>>, come spiegò Kubrick a Jeremy Bernstein. La casa aveva
molte stanze, inclusa una sala da biliardo con un grande tavolo da
snooker. In una delle camere, Christiane Kubrick ricavò uno studio
per dipingere. Un'altra stanza divenne l'ufficio di Kubrick, stiparo
delle onnipresenti macchine fotografiche, dei registratori e dei tac-
cuini neri. In una della sale inferiori si trovavano due armature
complete.
L'isolamento dalla comunità cinematografica internazionale e dalle
sue radici americane iniziarono a far sentire il loro peso sulla già
342
rigida autodisciplina di Kubrick. Divenne sempre più attento alla
sua sicurezza personale. Il suo rifiuto di volare rimase incrollabile e
si racconta che il suo autista fosse istruito a non spingere mai la mac-
china a piì:t di 35 miglia all'ora. La mente altamente logica del regi-
sta e l'esistenziale coscienza della morte che permea molti dei suoi
film lo spinsero in un'introversione più profonda. Kubrick elaborò
un modus operandi nel quale i mondi cinematografici da lui scoperti
sarebbero stati montati sul nudo palcoscenico di un teatro di posa.
Non gli era più necessario lasciare la sua base operativa. Sulle loca-
tion desiderate poteva mandare le seconde unità ma la, pur neonata,
era delle comunicazioni gli avrebbe permesso di corrispondere con
chiunque nel mondo: da casa sua, alle sue condizioni.
Con 2001, per Kubrick emerse un modo distintamente nuovo
nell'elaborazione del materiale cinematografico. Il regista si era stac-
cato dai metodi narrativi e produttivi convenzionali e prima di
impegnarsi su un nuovo progetto lo avrebbe esplorato sotto ogni
punto di vista. Per essere in grado di produrre un film avrebbe dovu-
to raggiungere un intenso stato ossessivo che lo portava a fare un
film senza più badare al tempo necessario.
2001: OdiJJea nello .rpazio posizionò Kubrick fra i maestri del cine-
ma, come artista puro; il salto di qualità era completo. Arthur
Clarke tornò a Ceylon, la troupe passò a nuovi progetti. Stanley
Kubrick rimase seduto nel suo ufficio, riflettendo sul prossimo film,
aspettando che un'idea raggiungesse il livello dell'ossessione. Questa
volta non si trovava nella cacofonia di New York, ma nella solitudine
bucolica dell'Inghilterra. Un piccolo staff iniziò a indagare le aree di
interesse per un nuovo progetto. La stampa cinematografica e il pub-
blico tentarono senza successo di scoprire che direzione stesse pren-
dendo Kubrick, e l'ufficio del regista mantenne il riserbo di un ser-
vizio segreto. Ma il 23 settembre 1968, un articolo su <<L'Express>>
offrì un presagio di ciò che doveva venire: <<Questa settimana, alcune
centinaia di libri su Napoleone sono stati spediti da Parigi all'ufficio
londinese di Stanley Kubricb.
Stanley Kubrick non riusciva a smettere di pensare a Napoleone
Bonaparte.
Capitolo 14
«È davvero Napoleone, vero?>>
«Lui è tutto. L'ho amato. L'ho odiato. Con lui ho provato ogni emo-
zione possibile. Ma la cosa che mi ricordo davvero è che, quando
facevo qualcosa, si cacciava il fazzoletto in bocca dalle risate. E non
c'è nulla che dia a un attore più adrenalina di vedere il suo regista
che si ficca in bocca il fazzolettO>>.
Malcolm McDowell
l Cusrodia di metallo per la cinepresa, che serve ad assorbire il suono dei mecnmisrru
che permetrono lo scorrimento della pellicola. (N.d.T.)
368
nava ai cinquantasei. Per illuminare il film, Kubrick usò principal-
mente le lampade di scena. Scegliendo lampadari che avessero il giusto
aspetto futuribile e potessero anche ospitare una jJhotoflood2 o una pic-
cola q~tartz, Kubrick e Alcott erano in grado di girare senza dover uti-
lizzare ingombranti fari da teatro di posa. Furono utilizzate anche
alcune leggerissime quartz Lowell da l 000 watt, riflesse sul soffitto e
su ombrelli diffusori: questa tecnica permetteva di girare panoramiche
a 360 gradi senza doversi preoccupare di nascondere le luci, e rendeva
le riprese più efficienti, sveltendo il programma.
Per Malcolm McDowell la lavorazione di Aranàa meccaniw fu una
durissima prova fisica. L'attore aveva il terrore dei serpenti e Alex
aveva un serpente domestico che teneva in un cassetto nella sua stan-
za. Dopo aver concluso la cura Ludovico, Alex viene presentato a un
gruppo in una sala conferenze per dimostrare come sia stato "curato"
dallo Stato, e sul palco arriva un uomo che lo provoca sbattendolo a
terra e calpestandolo: il piede troppo energico del provocatore costò
all'attore qualche costola fratturata. Piì:1 avanti nel film, Alex incon-
tra due dei suoi ex drughi, ora poliziotti, che, in una lunga inqua-
dratura senza stacchi di salvataggio, gli immergono la testa in una
vasca piena di acqua sporca: McDowell eseguì la scena personalmen-
te immergendo la resta in un brodo di carne, e quasi soffocò per trat-
tenere il respiro fino all'ultimo. Le scene più difficili da girare furo-
no però quelle della cura Ludovico: gli occhi di McDowell furono
tenuti aperti dagli appositi divaricatori che costringevano il perso-
naggio a guardare i film violenti usati per purificarlo.
Ad Andrew Bailey di «Rolling Stone>>, Kubrick spiegò:
<<Abbiamo usato un normale attrezzo chirurgico detto "fissapalpe-
bre". Ci voleva coraggio e un'anestesia locale perché lui potesse met-
terselo. Posso assicurarle che non gli piaceva per niente, e che la
prima volta non si riuscì a completare veramente la scena. Ha dovu-
to tornare ad affrontarlo alla fine. Doveva farlo. La scena non sarebbe
stata credibile altrimenti. Una delle peggiori fantasie che si possano
immaginare è di essere in una camicia di forza, legato a una sedia, e
incapace perfino di sbattere gli occhi».
Kubrick dedicò alle scene chiave un tempo considerevole. A Paul
D. Zimmerman di <<Newsweeb> raccontò: <<l maestri di scacchi a
volte spendono metà di tutto il tempo a loro disposizione su
~n'unica mossa perché sanno che, se non è quella giusta, tutta la par-
tita crolla in pezzi. Allo stesso modo, a cerri aspetti cruciali del tuo
fìlm devi dedicare quella che sembra a volte una pericolosa quantità
369
di tempo. La scena dello stupro in Aranàa mea·anica in cui Alex fa
Singin' irt the Rain era uno di quei momenti. Ci vollero tre giorni per
riuscire a farla>>. Quei momenti, Kubrick li chiamava gli <<MCP>>, i
«momenti critici della prova>>, una fase in cui regista e attori devono
collaborare per definire la scena.
Durante le riprese, Malcolm McDowell fu invitato a Kensington
Palace per un pranzo della principessa Margaret. L'attore raccontò a
Tom Burke di aver chiesto a Kubrick se poteva ritenersi libero per
l'occasione, e che il regista aveva risposto: «Via, Male, non voglio
dover chiudere tutta la squadra per un giorno solo per lei!>>.
Kirk Douglas, che con Kubrick aveva lavorato in Orizzonti di gloria
e Spartam.r, e che aveva visto Aranàa meccanica, avrebbe un giorno
incontrato Malcolm McDowell e gli avrebbe chiesto come fosse stato
lavorare con il regista. La risposta dell'attore: «Mi ero graffiato la
cornea dell'occhio sinistro. Faceva male, non ci vedevo. Kubrick
disse: "Andiamo avanti con la scena. Farò in modo di farla a favore
dell'altro occhio">>.
Con Kubrick, McDowell sviluppò un rapporto di amore-odio. Una
volta uscito il film, il regista gli scrisse esprimendo il suo dispiacere
per i loro diverbi durante le riprese. Al giornalista Tom Burke,
McDowell confessò: «Ho scoperto qualcosa: che sono veramente affe-
zionato a Stanley, in una sorta di amore-odio. È unico, non esistono
tecnici migliori. È un genio, ma è dotato di un umorismo nero come
il carbone. A volte mi vengono dubbi sulla sua ... umanità>>.
Per il ruolo del poliziotto che interroga Alex, Kubrick scelse
Steven Berkoff, un attore e regista teatrale che aveva già diretto
apprezzate messe in scena di La metam01josi e di Il proce.r.ro di Kafka, e
del Mm·beth di Shakespeare. La carriera di Steven Berkoff sarebbe
proseguita con notevoli performance in Beverly Hill.r Cop - Un piedi-
piatti a Beverly Hill.r, Rambo 2 - La vendetta, Ab.rol11te Beginner.r, The
Kray.r- I Corvi e Barry Lyndon di Kubrick, accanto a molte produzio-
ni teatrali come la sua stessa Salomè del 1995.
La scena fu girata in un vecchio edificio che faceva parte del com-
plesso della Brunei University. Ricorda Berkoff: «Stanley Kubrick
era incredibilmente gentile e molto prodigo di informazioni su ciò
che voleva. Era una persona saggia e dai modi professionali, molto
sensibile agli attori. Se gli davi ciò che voleva non c'erano problemi».
Nella scena, Berkoff offre un'interpretazione molto intensa nel
ruolo di un poliziotto duro che schiaccia il naso di Alex proprio dove
questi è stato colpito con una bottiglia da uno dei drughi; Alex cad~
a terra per il dolore e per tut.to il resto della scena i suoi inquisitoCl
sono mostrati dal suo punto di vista. Kubrick diede a Berkoff l'occa-
sione di guardare in macchina per vedere quell'inquadratura unica,
370
dal basso e con il grandangolo. Racconta l'attore: «Mi offrì l'oppor-
tunità di guardare nel mirino per vedere esattamente come venivo
inquadrato. Pensava che fosse interessante perché era un grandangolo
piuttosto spinto. In effetti era un'inquadratura molto interessante.
Mi mostrava il risultato e lavoravamo benissimo. Stanley era molto
paziente con gli attori. Notai che non si arrabbiava mai, o non sem-
brava arrabbiarsi o essere infastidito da ciò che facevano o non face-
vano. Ricordo che un attore con cui recitavo la scena stava imparan-
do le battute quello stesso giorno perché la sua teoria era che non
voleva impararle prima di sapere esattamente cosa doveva fare.
Stanley disse: "Dovresti sempre imparare le battute prima, perché
così poi le hai dentro di te. Non importa come le faremo, se ci saran-
no cambiamenti o modifiche, almeno hai una base". Fu molto genti-
le nel rimproverare l'attore. lo pensavo che il mio collega fosse stato
sciocco a non voler imparare le battute, specialmente visto che lavo-
ravamo con il maestro. Io le mie battute le avevo imparate. Voglio
dire, le avevo imparate all'indietro, in avanti, dentro-fuori e capovol-
te, così non sarei mai stato colpevole di sbagliare un ciab>.
Essendo un attore di teatro, Berkoff apprezzava l'enfasi di Kubrick
sulla disciplina e sulle ripetizioni per mettere perfettamente a punto
le performance: «Girava una quantità di ciak, voleva avere più mate-
riale possibile. Stanley era dell'opinione che un attore, come nelle
prove a teatro, potesse provare e riprovare a lungo. ·così suppongo
pensasse che avremmo potuto migliorare facendo molte prove, se
facevamo molti ciak. Mi ricordo di aver fatto un bel po' di ciak, non
troppi, ma una discreta quantità. Davanti agli altri attori ti dava
indicazioni molto generali. Ma se c'era qualcosa di più specifico ti
prendeva in disparte, e non ti umiliava, non indicava mai che avevi
sbagliato davanti ad altri>>.
A Londra, Stanley Kubrick andò a vedere The Contraffar, una com-
media di David Storey diretta da Lindsay Anderson in cui Philip
Stone aveva il ruolo insolito e silenzioso del leader di un gruppo di
operai che montano una grande tenda. Lo spettacolo era in cartellone
da diversi mesi. Kubrick andò a teatro due volte a vederlo e fu
impressionato dalla recitazione di Philip Stone. Ricorda l'attore:
<<All'improvviso Stanley mi chiese di andarlo a trovare sul set. Le
riprese di Aranàct meccanù·a erano già cominciate. Ci incontrammo.
Mi disse: "La tua performance nello spettacolo è notevole. Ti andreb-
be di fare questo film?". lo dissi: "Beh, penso che potremmo fare un
bei lavoro insieme". Lui disse: "Già, già, potremmo. Okay, tu fai
Papà". Non sapevo che stavo per entrare nella storia del cinema>>.
<<Papà sembrava un personaggio triste e abbattuto. C'è un lato tri-
Ste della mia personalità e non era particolarmente difficile, purché
371
fossi sincero. Stanley non accetta stronzate. Fa attenzione a tutto con
cura estrema e interminabile prima di cominciare a girare - le luci e
soprattutto il suono. Tutto il set era pieno di piccoli microfoni. A
Stanley piace il suono autentico e immediato. Con tutta quella pre-
parazione ti dà fiducia, ti permette di !asciarti andare ed essere te
SteSSO».
<<Nello stesso periodo di due o tre settimane in cui giravo Arancia
meccanica, lavoravo ogni sera sul palcoscenico per The Contraaor.
Erano giornate lunghe. Mi alzavo alle cinque e mezza e tornavo a
letto a mezzanotte. Mentalmente ero molto eccitato lavorando tutto
il giorno e parte della notte. Alle sei del pomeriggio dovevo finire.
Una macchina mi riportava dal seta Londra. In macchina mangiavo
un panino al prosciutto per tenermi in piedi e poi via sul palcosceni-
co a montare la tenda. Era durissima, oggi non ce la farei piÙ>>.
Kubrick montò il film con Bill Butler in salette approntate negli
ambienti della sua proprietà. Ad Alexander Walker, Kubrick spiegò:
<<L'attrezzatura base che utilizzo sono due tavoli di montaggio
Steenbeck e una moviola. Uso gli Steenbeck per fare le scelte e aven-
done due posso guardare la pellicola ininterrottamente, senza dover
aspettare che l'ultimo rullo sia riavvolto e sostituito. Non mi sento
troppo colpevole per il fatto di avere due Steenbeck, perché il costo
per affittarli entrambi è una percentuale minima degli interessi pas-
sivi che pesano ogni giorno sulla produzione, anche di un piccolo
film, quando si è in fase di montaggio. Trovo che lo Steenbeck sia
meraviglioso per le scelte: consente il fast forward e la marcia indie-
tro, e a velocità normale è molto silenzioso. Ma quando si tratta di
montare veramente il film, e di gestire brevi pezzi di pellicola, la
vecchia moviola è molto superiore, con tutto il suo rumore sferra-
gliante. Quando monto, lavoro sette giorni la settimana. All'inizio
faccio dieci ore al giorno ma poi, quando ci si avvicina alla data ulti-
ma, arrivo anche a quattordici o sedici>>.
La musica di Arancia meccanùa era un elemento cruciale al centro
della storia di Burgess: Alex aveva un amore estremo per la musica
di Ludwig van Beethoven e la Nona Sinfortia era parte integrante
della trama. Kubrick aveva capito subito di volere in tutto il film
musica classica come punto e contrappunto della vicenda, ma rutti
gli elementi del film avevano un trattamento futuribile: per dare lo
stesso sapore a motivi del diciottesimo secolo, il regista si rivolse
all'avanguardia della musica: l'elettronica.
Il 1968 aveva visto l'uscita di uno degli album più venduti di rutti
i tempi, Swiuhed-on Bach, una raccolta di musica al sintetizzatore
creata da Walter Carlos. Carlos aveva composto a dieci anni Trio for
Clarinet, Aa:ordion, and Piano, e a quattordici anni aveva fabbricato
372
un piccolo computer. Le sue passioni per la musica e per la tecnolo-
gia si erano fuse quando Walter aveva compiuto diciassette anni e
aveva impiantato uno studio di musica elettronica. Nel 1966, dopo
aver studiato musica e fisica alla Brown University, e aver lavorato al
centro per la musica elettronica della Columbia-Princeton, Carlos
aveva iniziato a collaborare con l'ingegnere Robert Moog. Il risultato
fu un prototipo di sintetizzatore usato per eseguire adattamenti di
Bach e altri musicisti classici: il sintetizzatore Moog.
Carlos e la sua socia Rachel Elkind incontrarono il produttore
Mike Frankovitch per la colonna sonora del film Abbandonati nello
spazio. Alla fine i produttori decisero di fare il film senza musica e
Rachel pensò a Stanley Kubrick, che si diceva stesse facendo un
nuovo film. Rachel disse all'agente letterario Lucy Kroll che lei e
Walter erano interessati a contattare il regista, e la Kroll li mise in
contatto con Louis Blau, da tempo avvocato e collaboratore di
Kubrick. Il regista ricevette così le copie dei primi due album di
musica sintetizzata di Carlos e della Elkind, e chiese di incontrarli.
Carlos e la Elkind iniziarono a creare brani di prova, che Kubrick
avrebbe inserito nella copia lavoro del film. Via via che il montaggio
procedeva cominciarono a creare brani studiati sulla natura di
Arancia meaanùa.
Kubrick chiese a Carlos e alla Elkind di andare in Inghilterra a
vedere un primo montaggio. Il film era quasi finito, ma non erano
ancora stati inseriti alcuni brani delle fantasie di Alex, mancavano
un paio di scene e alcune sequenze avevano ancora bisogno di essere
scorciate. Durante la proiezione, Carlos e la Elkind si accorsero che
molti dei brani di prova che avevano spedito erano nel film. Uno di
essi, Timestep.r, era una composizione originale di Carlos realizzata
anni prima. Carlos aveva letto il libro e aveva avuto l'ispirazione per
comporre Time.rtep.r, un brano che alternava suggestivi suoni elettro-
nici in un montaggio che produceva una sorta di poema sonoro nar-
rativo. «Stanley era affascinato dai suoni>>, ricorda Carlos, oggi noto
come Wendy. «Ricordo che mi chiese: "Perché non vieni al pianofor-
te e non mi mostri esattamente che note sono?". La parte che chiude
il primo blocco principale di Time.rtep.r finisce con una musichetta e
dovetti fargliela sentire al piano. Aveva questo grande pianoforte
Verticale che sembrava recuperato da qualche magazzino dell'esercito
della salvezza. Stanley insegnava musica alle figlie, che prendevano
lezioni di piano>>.
«Con noi Stanley fu sempre aperto. Rispondeva sempre a tutte le
rnie domande, e io ne avevo tonnellate su 200 l, perché era un film
che mi aveva proprio travolto. Rispondeva su tutto, così quando era
lui a farmi domande era piacevole avere quel tipo di scambio>>.
373
Inizialmente la sequenza dell'orgia era commentata da una regi-
strazione tradizionale dell'ouverture del Guglielmo Te/l. Ricorda
Wendy Carlos: «Buttai lì quasi per scherzo che sarebbe stata molto
più divertente se ne avessi fatta una versione sintetizzata e accelerata.
Era buffa, ma non tanto quanto avrebbe potuto essere>>. Kubrick
chiese: «Aspetta, che vuoi dire? Mi fai vedere?>>. Non appena ebbe
sentito la versione sintetizzata da Carlos del classico di Rossini, il
regista lo inserì immediatamente nel film.
Kubrick era pieno di domande sul sintetizzatore e sulla musica.
Dice Wendy Carlos: «È molto aperto alla collaborazione, una persona
molto aperta. È molto facile parlarci. È estremamente intelligente.
Mentre stavamo lì, Rachel e io facevamo scintille. Voglio dire che
quasi non ce la facevamo nemmeno più a tornare in albergo per dor-
mire. Eri così in tensione che non potevi più smettere. Poi lui manda-
va il suo autista a prenderti all'alba per la prossima cosa da fare. Non
so da dove prenda tutta quell'energia, ma è affascinato da tutto>>.
La Elkind, Carlos e Kubrick si piazzavano sul tavolo Steenbeck di
casa Kubrick con una quantità. di dischi, e ascoltavano miriadi di
brani guardando il montaggio. Ricorda Carlos: <<Provava varie cose.
Faceva veramente cadere la puntina. Naturalmente all'epoca c'erano
solo gli Lp. RijJ, rijJ, la puntina andava giù. "Sentiamo questa, tor-
niamo indietro". Stanley aveva lì il suo Steenbeck e riavvolgeva la
pellicola e provava un'altra combinazione. Saltava fuori questo acco-
stamento. "Beh, funziona davvero? Proviamo a metterlo un po'
prima". Stanley lo faceva direttamente dai dischi che avevamo porta-
to, e alla fine ci toccò prendere i nastri che gli avevamo spedito e
mandarli in un posto dove stampassero su vinile, in modo che potes-
se avere dei 33 giri da far girare. Per lui era molto più comodo così
che avere la musica su un nastro da un quarto di pollice, che avrebbe
dovuto trasferire su pellicola magnetica e quindi sullo Steenbeck per
vedere se funzionava o meno. Quella fase sarebbe arrivata dopo, ma
la prima fase era: sentiamo direttamente dal disco, anche se non
suona granché bene, giusto per sentire se siamo dalle parti giuste.
Era stata un'idea di Rachel, si doveva a lei un bel po' dell'energia,
della creatività e di tutti quegli elementi che spesso si tende a dare
per scontati ma che fanno avvenire un progetto e rendono creativa
l'interazione>>.
«C'erano volte che Stanley si piantava su certe cose anche se io ero
convinto che avevamo idee molto migliori. Niente da fare, la voleva
così e naturalmente era un suo diritto, essendo il regista. Funziona
così in qualsiasi impresa creativa, e il cinema è l'esempio migliore.
Ho lavorato con Rachel per anni, e non si sa mai da dove venga
l'idea di una musica, si sa solo che viene, solo questo importa>>.
374
Oltre alle creazioni al sintetizzatore di Carlos e della Elkind,
Kubrick usava registrazioni classiche preesistenti - molte della
Deutsche Grammophon -come già aveva fatto per 2001. Jan
Harlan, fratello di Christiane Kubrick e assistente alla produzione,
era essenziale nell'assicurare una consulenza in fatto di musica e di
cultura. Spiega Wendy Carlos: «]an studiava musica. Lui e sua
moglie sono molto colti, in un senso meravigliosamente europeo.
Quando Stanley diceva: "Esiste un brano musicale che suoni un po'
come ... ", Jan diceva: "Oh, sì, Stanley, naturalmente, c'è questo e
quest'altro di tale e talaltro" e li trovava al volo. Quando feci gli
adattamenti da Beethoven e mi serviva una partitura completa, Jan
ce l'aveva. Aveva queste splendide registrazioni tedesche che erano
meravigliose>>.
Quando Carlos e la Elkind tornarono a New York da Londra, rien-
trarono al loro studio con un'immensa pila di appunti e bloccarono
gli appuntamenti di tutto per il mese successivo, e oltre, per creare
la musica di Arancia 11teccanica. Ricorda Wendy Carlos: «Ci assicu-
rammo che nello studio tutto fosse in linea e funzionasse, chiamam-
mo un po' di gente perché ci desse una mano e cominciammo sem-
plicemente a fare ricerche, correndo in biblioteca a procurarci spar-
titi e inviando musiche a Kubrick. La svolta venne con uno dei pri-
missimi registratori a cassetta Dolby. Ce ne prendemmo uno e se ne
prese uno anche Stanley. Divenne quello il modo in cui ci spediva-
mo avanti e indietro la musica. Era perfetto. Poteva mandarci roba
che aveva sentito: "Perché non ascoltate un attimo questa cosa?
Potete provare a metterei qualcosa dentro?", e ci mandava una cas-
setta. Ancora non esisteva il Fed Ex3 e così dovevamo andare giù
all'aeroporto e spedire pacchi avanti e indietro per corriere aereo.
Quando finivamo certi missaggi del sonoro prendevamo il nastro da
un pollice, a otto piste, e a fine serata lo portavamo all'aeroporto.
Era estate. Ti trovavi in un ingorgo, sotto il caldo soffocante.
Arrivavamo all'aeroporto, allo sportello "corrieri" del Kennedy,
mollavamo il pacco, ci prendevamo la ricevuta, tornavamo a casa,
acchiappavamo qualcosa da mangiare per strada e telefonavamo alla
segreteria telefonica di Stanley: "Sta sull'aereo, ce l'avrai domattina.
Allora, la pista uno è questa pista, la pista due è questa, la pista tre
è una versione che abbiamo provato a fare così, la pista quattro è
una versione diversa, la pista cinque è quella fatta come dicevi tu
ma che a noi sembrava che non funzionasse, la pista sei è una varia-
375
zione su quest'ultima, che forse è il miglior compromesso". A metà
pomeriggio, il corriere aereo aveva mollato la roba a casa sua. Allora
lui la portava allo studio, che aveva preso in affitto tutto intero, e
vedeva se poteva usare qualcosa. Insomma, lavoravamo a distanza in
un modo che può sembrare goffo, perché ora si può fare molto più
facilmente».
<<II problema era che Stanley lavorava sempre a Londra. Non voleva
viaggiare e quando abbiamo fatto sia Arancia meccanica che Shining la
nostra attrezzatura era totalmente impossibile da trasportare. Ne
parlammo. Potevamo affittare un appartamento a Londra e spedire
su un po' di roba, in parte si sarebbe scassata definitivamente, in
parte la si sarebbe potuta aggiustare. Negli anni Cinquanta, quando
i Barron fecero la colonna sonora di Il pianeta proibito, lavorarono pro-
prio qui sull'Ottava strada di New York mentre il film veniva girato
alla Mgm, e spedivano la roba avanti e indietro>>.
La Elkind e Carlos tentarono di convincere Kubrick a scegliere, per
i titoli e per certi momenti del film, qualcosa che non fosse il brano
di Henry Purcell Mu.ric for the Funeral of Queen Mary, ma lui non
volle smuoversi dalla decisione; non gli piaceva però l'esecuzione,
che aveva trovato su un vecchio Lp, e si rivolse a Carlos e alla Elkind
dicendo: <<Vedete se vi riesce di farne una versione migliore per il
film>>. Così i due produssero la inquietante e ossessiva musica che
sarebbe stata identificata con Alex e i suoi drughi. Spiega Wendy
Carlos: <<Ii termine esatto è "metamorfizzato". Puree!! è metamorfiz-
zato in una cosa più ampia, elettronica, strana, e funzionava. A
Stanley piacque molto e non ci ripensò piÙ>>.
Per scegliere fra la profusione di idee musicali che Carlos e la
Elkind gli proponevano, Kubrick ricorreva alla diplomazia. Ricorda
Wendy: <<Quando non voleva qualcosa, diceva sempre: "Beh, pare
che ci sia un'altra buona idea per il disco", intendendo: almeno così
puoi risparmiare un po' di chilometri. Era un modo di usare il suo
senso dell'umorismo per superare qualcosa che non sarebbe stata una
buona notizia. In effetti, uno non ha voglia di fare l'ambasciatore
porta-pena>>.
La musica di Carlos e della Elkind fu registrata in stereo, ma a
Kubrick non piaceva usare lo stereo per un film, così tutte le piste
della colonna sonora furono riregistrate in mano. Arancia meccanica
sarebbe stato il primo film a fare uso del Dolby per ridurre il fruscio
in tutte le fasi del missaggio, ma Kubrick non era ancora pronto a
usarlo durante la produzione del sonoro.
Nel suo nuovo film, Kubrick voleva il nome sopra il titolo. Il
nome di David Lean appariva prima del titolo delle sue opere pìù
recenti con la dizione <<David Lean's Film of>>, una posizione che
376
conferiva al regista di Lawrence d'Arabia e di Il dottor Zivago il rango
di superstar. Kubrick insistette per chiamare il film Stanley K11brick:r
A Clockwork Grange, presentandolo con una rivendicazione di pro-
prietà: Anthony Burgess era l'autore e il creatore del testo, ma il film
era di Stanley Kubrick. L'espressione scelta dal regista lo definiva
come una superstar (e infatti fu scelto per essere intervistato per il
libro The Film Director a.r S11per.rtar). Kubrick voleva far sapere a tutti
di essere l'unico creatore del film: era l'autore della sceneggiatura, il
produttore e il regista e manteneva il totale controllo artistico, oltre
ad avere in mano gran parte degli aspetti economici.
Nell'autunno del 1971, la Warner Bros. invitò Anthony Burgess,
sua moglie Liana e il figlio di sette anni a Londra, facendoli venire
dalla loro casa in Italia e ospitandoli in una lussuosa sui te al Claridge
Hotel per farli partecipare a una proiezione privata del film.
Burgess era un ammiratore dei film di Stanley Kubrick, special-
mente di Orizzonti di gloria e Il dottor Stranamore. Lolita gli aveva dato
qualche preoccupazione perché sentiva che vi erano delle affinità con
il modo in cui Kubrick avrebbe affrontato Arancia meccanica. Burgess
trovava che Kubrick non fosse stato capace di trovare uno stile cine-
matografico adatto a rendere la danza letteraria di Nabokov. Lo scrit-
tore pensava di avere in comune con Nabokov la scelta di concentrarsi
più sull'uso del linguaggio che non sul sesso o sulla violenza, a diffe-
renza di Kubrick. Nella sua autobiografia, Burgess scrisse: «Il fine
dello scrittore in entrambi i libri è di mettere in primo piano il lin-
guaggio, non il sesso o la violenza. Temevo che il fatto di ripetere per
Arancia meccanica la tecnica usata con Lolita, di ridurre tutto all'osso
narrativo, ne avrebbe fatto un esempio di pornografia gratuita. Ciò in
cui speravo, avendo visto 2001: Odi.r.rea nello .rpazio, era uno sforzo
esperto nella direzione dì un futurismo visuale. Un'arancia a orologeria
era stato ambientato in un vago futuro che probabilmente era già pas-
sato; Kubrick aveva l'opportunità di creare un nuovo, fantastico futu-
ro che, essendo realizzato negli arredi, poteva influenzare il presente>>.
Arthur C. Clarke, che aveva lavorato con Kubrick su 2001, aveva
visto una copia lavoro dì Arancia meccanica e aveva telefonato al colle-
ga Anthony Burgess per dirgli che il film era visivamente eccitante.
Finalmente, Burgess e sua moglie si recarono in una sala di proiezio-
ne di Soho per vederlo. Durante la proiezione, Kubrick sedeva in
fondo alla sala. A dieci minuti dall'inizio Deborah Rogers, ospite
dello scrittore, gli disse che non ce la faceva e che voleva andar via;
un minuto dopo, Liana sì girò verso il marito e annunciò anche lei
l'intenzione di andarsene. Burgess subito pregò le donne di evitare
Una scortesia nei confronti del gentilissimo Stanley Kubrick, ed
entrambe rimasero fino alla fine del film.
377
Nonostante le sue paure, Burgess trovò che il film rispondesse in
modo brillante al suo virtuosismo linguistico: gli piacquero in parti-
colar modo la scelta cinematografica di usare il rallentatore per la
scena del tentato suicidio di Alex, e l'accelerazione dell'orgia.
Leo Greenfield, capo della distribuzione alla Warner, pensava ini-
zialmente di far uscire Arancia meaanùa alla fine di settembre, ma
Kubrick voleva che il suo film uscisse nel periodo natalizio, quando
erano distribuiti tutti i film in cui gli studios riponevano le speranze
per gli Academy Award.
A fine novembre 1971, la Warner Bros. voleva iniziare le proiezio-
ni stampa del film. La data della prima era fissata per il 19 dicembre
al Cinema I di New York e in sale di San Francisco. A Londra,
Kubrick stava ancora lavorando sulla versione definitiva. Alla
Warner erano preparati a vedersi classificare il film con una X, come
gli era già successo per l diavoli di Ken Russe!!. Il 15 novembre, lo
studio iniziò a diffondere annunci sui giornali, spot radiofonici e
trailer di Arancia ntece"anù·a senza ancora avere una risposta sicura sul
divieto, nell'attesa ansiosa del verdetto della Mpaa. Kubrick aveva il
diritto al fina/ c-ut: quando l diavoli aveva avuto la X, la Warner
aveva richiesto a Ken Russell di effettuare una ventina di tagli sul
suo montaggio per alleggerire il materiale sessualmente più esplici-
to, e la X era stata tolta. Gli studi erano molto nervosi circa l'impat-
to negativo che una X poteva avere sugli incassi: la Columbia aveva
schivato la X tagliuzzando il Mm·beth di Roman Polanski, e lo stesso
aveva fatto la Cinerama Releasing con Cane di paglia di Sam
Peckinpah; ma la Warner Bros. non sapeva bene come avrebbe potu-
to reagire Kubrick.
La stampa voleva informazioni sul nuovo film del regista, che
però si rifiutava di fare un tour di conferenze: chiunque fosse inte-
ressato a intervistare Stanley Kubrick doveva andare da lui. La
Warner Bros. diede una mano a organizzare appuntamenti con
Kubrick per Pau! Zimmerman, Jay Cocks e Judith Crist, ma i
viaggi furono pagati dai rispettivi capi dei giornalisti alle riviste
<<Newsweek>>, «Time>> e «New York>>. Quando alla Warner Bros. si
resero conto che non si sarebbe mai riusciti a far arrivare a New
York una copia della pellicola nella data prevista, pagarono il volo
in Inghilterra a Hollis Alpert del «Saturday Review>> perché potes-
se fare una copertina su Kubrick e Aranàa meuanie"a. Durante
l'intervista con Penelope Houston, il regista aggiunse alla registra-
zione un elemento acustico felino, così descritto dalla giornalista
nel suo pezzo sul «Saturday Review>> del «Times>> di Londra:
«Mentre parliamo con Kubrick, uno dei suoi inquilini, un enorme
gatto, si avvicina maestoso sul lungo cavolo, mettendo le zampe
378
nel registratore e facendo vigorosamente le fusa nel microfono.
Continuiamo a parlare e il gatto continua a registrare il suo bron-
tolio. E anche questo suono, sul nastro, sembra un'appropriata
scelta kubrickiana».
Kubrick ammetteva in casa e in ufficio giornalisti e visitatori, ma
manteneva il più stretto riserbo su molte questioni inerenti al suo
modo di fare film, un'area che considerava privata, e arrivava al
punto di nascondere fisicamente le zone che mostravano come lavo-
rava. Raccontò Malcolm McDowelJ a Pau! D. Zimmerman: <<Quando
andai a casa di Stanley notai una quantità di asciugamani che copri-
vano un muro. Venne fuori che nascondevano il suo sistema di indici
incrociati. Gli piace la segretezza>>.
Vietar Davis del «Daily Express» intervistò Kubrick in un risto-
rante vicino alJa casa del regista nelJ'Hertfordshire. Kubrick entrò
indossando una pesante giacca e scarpe d'ordinanza e passò a disagio
accanto a uomini d'affari che bevevano e parlavano ad alta voce al
bar. Kubrick era in una giornata filosofica e parlò a Davis della
moralità di Aranàa meccanica: «La cultura sembra non avere effetti
sul male. Molte pagine sono state scritte sul falJimento delJa cultura
nel ventesimo secolo: l'enigma dei nazisti, che ascoltavano
Beethoven e mandavano milioni di persone nelJe camere a gas. Non
serve a niente sostenere che la legge e l'ordine sono un falso argo-
mento solJevato da elementi neofascisti che ci si vogliono attaccare.
Può darsi, in effetti, che lo facciano, ma è un problema autentico. Di
sicuro una delJe serie questioni morali poste da Aranàa meccanica è se
il male del metodo usato dallo Stato per trovare una "cura per il cri-
mine" sia peggiore del male individuale di Alex. A ogni modo, qual-
siasi cosa io pensi e quale che sia la vera natura dell'uomo, in qualche
modo è riuscito a sopravvivere, e c'è da sperare che continuerà a
sopravvivere».
A Londra, Kubrick stava seguendo il suo film attraverso i laboriosi
passaggi delJa produzione della copia definitiva. Non comprava un
paio di scarpe nuove da più di un anno, e nelJ'andirivieni fra il suo
centro di comando e i laboratori di sviluppo e stampa, riuscì a trova-
re un momento per fermarsi al Golden Green, a nord di Londra. Il
regista passava da una vetrina all'altra, indeciso se prendere il paio di
stivali da lavoro che avrebbe preferito o un paio di scarpe più elegan-
ti, come da istruzioni di sua moglie: per Aranàa meccanica, l'unifor-
me di Kubrick era costituita da un paio di pantaloni grigi stazzona-
ti, una giacca monopetto blu con i gomiti ormai lucidi e una giacca
a Vento di colore olivastro; abitualmente indossava camicie larghe e
Pantaloni sformati: l'uomo che una volta aveva posseduto tre abiti
ora aveva nelJ'armadio solo semplici giacche.
.179
Mentre Kubrick scorreva le vetrine cercando le scarpe giuste, il suo
ufficio lo stava cercando. Quando riuscì finalmente a entrare in un
negozio di scarpe che gli andasse a genio, il commesso gli chiese se
fosse americano e, quando il regista ripose di sì, gli passò un telefo-
no. Ali 'inizio della giornata, guidando la sua Mercedes del 1967,
Kubrick aveva notato che la lucetta rossa sul quadro aveva comincia-
to a lampeggiare e, dal telefono mobile dell'auto, aveva dato istru-
zioni al suo assistente Andros Epaminondas perché contattasse la
Mercedes chiedendo informazioni sulla macchina. Nell'organizzatis-
sima operazione paramilitare, Kubrick era l'operativo 285 e Andros
l'operativo 783. Una volta stabilita la connessione, Kubrick ordinò
ad Andros di chiamare il quartier generale della Mercedes per sco-
prire cosa andasse male nella sua macchina e, quando apprese che
poteva trattarsi di una perdita nel liquido dell'impianto frenante,
tornò a casa a una velocità dimezzata rispetto ai ritmi già molto lenti
che si era imposto di recente per motivi di sicurezza, e prese la sua
Land Rover a dodici posti per andare al laboratorio del National
Screening a vedere la prima copia dei titoli di Aranda mea-anù-a.
La proiezione andò male. Kubrick trovò che il fondo blu divorava le
lettere bianche, e su uno degli sfondi dei titoli si vedeva l'ombra di
una riga. L'occhio del regista, preciso come un obiettivo, percepì che
tutta la scena era proiettata fuori fuoco. Con calma scrisse le sue
annotazioni. Il capo del laboratorio rispose che molti dei problemi
lamentati non potevano esistere, ma Kubrick ordinò una nuova stam-
pa e ottenne la promessa dei nuovi risultati per il giorno seguente.
Kubrick aveva uno scaff personale di otto persone che adempivano
alle sue dettagliate commissioni. Ad Andrew Bailey, che era venuto
a trovare il regista per un articolo che stava scrivendo per <<Rolling
Stone>>, Andros confidò: <<Vede questo pezzo di carta? Misura quin-
dici centimetri per dieci, perché Stanley ritiene che quindici per
dieci sia il formato migliore per un memo. Il fatto è che ha ragione.
Certo, può essere frustrante lavorare per Stanley, non perché taglia
fuori le iniziative personali, ma perché ha sempre ragione. In realtà
lavorare per lui dà grandi soddisfazioni. Penso di dedicargli parte
della mia vita. So che ne varrà la pena>>.
Bailey trovò assai arduo intervistare Stanley Kubrick: il regista
discuteva raramente l'argomento dei suoi film ed era molto circo-
spetto sui lavori ancora in corso. Bailey imparò, come Arthur C.
Clarke prima di lui, che Kubrick amava saltare da un argomento
all'altro senza preavviso: mentre il giornalista voleva parlare di
Aranda mea-anù-a, Kubrick passava ad argomenti che andavano dal
costo della stampa dei giornali allo stile della difesa del calcio ingle-
se. Bailey si accorse che molta gente desiderava incontrare il regista e
380
che tutti erano costretti ad adattarsi ai suoi orari. Il giornalista trovò
Kubrick cortese e diplomatico.
Una settimana prima dell'uscita di Arancia meaanùct, il negativo
originale fu graffiato e la qualità del colore si rivelò non corrispon-
dente alle richieste specifiche di Kubrick. Il regista si sfogò con
Bernard Weintraub del «New York Times>>: <<11 laboratorio è capa-
cissimo di fare orribili errori. Proprio l'altra sera ho visto in televi-
sione Orizzonti di gloria, e molti rulli erano stati stampati fuori sin-
crono. Le macchine stampano a volte troppo scuro, a volte troppo
chiaro, o con i colori sbagliati. Ci sono un sacco di variabili>>.
Quando Kubrick scoprì il graffio sul negativo decise di cambiare
laboratorio per proteggere il film e pianificò la mossa con precisione
militare, trasportando personalmente i sedici rulli di negativo con la
sua Land Rover corazzata. Come un agente dei servizi segreti, chiese
al suo montatore di precederlo a breve distanza con la sua auto, per
assorbire l'impatto nell'eventualità di un incidente. Ma Kubrick
restava sempre calmo di fronte allo stress e alle avversità; Ed Haben,
un tecnico del doppiaggio che aveva lavorato con lui dieci settimane
per Arancia meaanùa, dichiarò a Pau! D. Zimmerman: «Ha avuto un
bel po' di buone ragioni per esplodere con tutti. Ma non ha mai alza-
to la voce, non una sola volta>>.
4 La pixilation indica, in questo caso, la tecnica di accelerare una scena girata a velocità
normale tagliando un fotogramma ogni due o tre, in modo da ottenere un'accelerazione
a scarti. (N.d.T.)
384
Ja pubblicità di film classificati con la X. Il <<Detroit News», uno
dei principali che prese questa posizione, annunciò le sue intenzio-
ni nell'edizione del 19 marzo 1972: il giornale, con una tiratura
quotidiana di 65.000 copie, asserì che a partire ddla domenica
seguente non avrebbe più <<ospitato pubblicità o dato pubblicità
editoriale a film X-rated e a quegli altri film non classificati che, a
nostro giudizio, siano di natura pornografica». Indipendentemente
dal contenuto, nessuna pubblicità per un film con la X sarebbe
più stata pubblicata sul giornale, né sarebbero pitl apparsi articoli
promozionali, interviste o recensioni riferiti a film di quella cate-
goria. Il <<Detroit News» proclamò: <<A nostro modo di vedere,
un'industria cinematografica malata sta usando la pornografia e il
richiamo alla libidine per puntellare la frequentazione delle sale:
molto semplicemente, non abbiamo intenzione di essere loro com-
plici in questa strategia. Non pensiamo che il risultato della
nostra decisione sarà una pulizia dell'industria cinematografica.
Anche se siamo il più grande giornale del Paese a fare un passo del
genere, ci rendiamo conto che agli esercenti restano accessibili
altri mezzi di propaganda, sia a Detroit che all'esterno della città.
Forse gli unici risultati saranno nella soddisfazione a noi procurata
dalla nostra modesta presa di posizione contro una teoria che fa
del sesso hard-core, del voyeurismo e della violenza sadica gli
ingredienti principali dell'arte e dell'intrattenimento negli anni
Settanta».
Ironicamente, il << Village Voi ce», che accettava pubblicità per film
classificati con la X, pubblicò la locandina del film in 3D per adulti
The Stewardm proprio accanto alla recensione negativa di Andrew
Sarris ad Arancia meccanic•t, il cui titolo era The Ultimate Trip- F!ying
Again5.
Stanley Kubrick rispose con l'eloquenza di un paladino del primo
emendamento. Arancia meccanica non era nominato direttamente
nell'editoriale del <<Detroit News>>, ma faceva parte di un gruppo di
film commerciali prodotti da una major e che avevano ricevuto
un'etichetta fino a quel momento riservata esclusivamente a film
per adulti hard-core. Nel 1969, Un uomo da marciapiede era stato il
Primo a ricevere la X, ma aveva vinto l'Academy Award, segnalan-
do che l'America era pronta per un nuovo tipo di film drammatico
S Letteralmente: Il viaggio definitiz'o - Si volti di n11ol'IJ. "The ultimare rrip" allude allo
slogan con cui era sraro lanciato 200 l, ma il riferimento al volo mette probabilmente
tn t'Onta il doppio senso sessuale anribuiro a volte al verbo "to fly" e messo qui in rilie-
Vo dall'at'costamento forse casuale alla locandina di un film erotico il cui titolo si
Porrebbe tradurre con "La hostess". (N.d.T.)
385
adulto; anche I diavoli di Ken Russell e Il 1Jl/1Cchio selvctggio di Sarn
Peckinpah, contemporanei di Aranàa merwnirct, erano !;taci colpiti
dalla X. Kubrick si scagliò contro il tentativo di censurare e mette-
re i film al bando: la sua lettera al direttore fu pubblicata sul
<<Detroit News>> il 9 aprile 1972, e si apriva definendo la <<modesta
presa di posizione>> del giornale un <<diktat irrazionale>>.
<<Nella sua enfasi sulla protezione e la purificazione, sul purificare
la mente del pubblico da ciò che "a nostro giudizio" sono film di
natura pornografica, esso ricorda le parole di un altro arbitro della
pubblica morale e del gusto nazionale, che disse: "Opere d'arte che
non sono comprensibili e che richiedono una serie di istruzioni per
giustificare la propria esistenza, e che trovano la via per farsi cono-
scere da nevrotici pronti ad assorbire questa dannosa immondizia,
non potranno pitl raggiungere il pubblico. Non facciamoci illusio-
ni: abbiamo intrapreso la missione di liberare il Paese e la nostra
gente da tutte quelle influenze che ne minacciano l'esistenza e il
carattere">>.
Kubrick stava citando un commento di Adolf Hitler a una mostra
di arte "degenerata" tenuta a Monaco nel 1937. <<Al giorno d'oggi,
in questa epoca, i censori del <<Detroit News>> si sentiranno forse
meglio attrezzati per fare distinzioni così sottili, anche se non invi-
dio loro il compito>>, scriveva Kubrick. <<Ma ciò che fanno è, essen-
zialmente, la stessa cosa>>.
L'argomento principale di Kubrick era che la pubblicità sui gior-
nali è fondamentale alla promozione di un film, e che se il pubblico
non è in grado di sapere dove e quando un film viene proiettato,
questo è - a tutti gli effetti e quali che siano le intenzioni - messo al
bando. Il regista accusò il giornale di violazione di quello stesso
primo emendamento che proteggeva la sua libertà di stampare le sue
opinioni e spiegò che la Mpaa non condanna un film, limitandosi a
identificare quelli che possono essere visti solo dai maggiori di
diciassette o diciotto anni, a seconda degli Stati. Dichiarava il regi-
sta: <<Questa categoria è coerente con l'opinione della Corte Suprema
degli Stati Uniti, che solo la morale dei minori sia vulnerabile e
debba essere protetta>>.
Dopo questo attacco generale e ancorato ai principi più alti,
Kubrick rivelava i suoi motivi personali: <<A parte i principi antide-
mocratici che animano la posizione del "Detroit News>> ", l'arbitra-
rietà indiscriminata del suo editto è illustrata dalla scelta di proibire
il mio film, Aranàa meccanira, dalla pubblicità e dalle pagine edito-
riali. Il film ha ottenuto dai critici di New York i premi per il
miglior film dell'anno e il miglior regista dell'anno, ed è stato can-
didato agli Oscar come miglior film, migliore regia, migliore sce-
386
0 eggiatura e miglior montaggio; e tuttavia i censori del "Detroit
News" sono pronti a diffamare e a screditare indiscriminatamente
rutti i film classificati con la X perché non si conformano a quello
che essi giudicano gli standard dei loro lettori>>.
Kubrick concludeva dicendo: <<Un alto livello di comportamento
morale può essere ottenuto soltanto attraverso l'esempio di persone
che pensano nel modo giusto e dell'intera società, e non può essere
mantenuto attraverso l'effetto coercitivo della legge. O di certi
giornali>>.
Lo scandalo su A1'ancia meccanira si appuntava sul divertimento
sfoggiato da Alex e dai suoi drughi nell'infliggere dolore alla società.
Ad Andrew Bailey di <<Rolling Stone>> Kubrick spiegò: <<Quando ci
si chiede se sia giusto che la violenza sia divertente, è necessario ren-
dersi conto che la gente è abituata al divertimento di certi tipi di
violenza. Lo si vede quando l'eroe del western alla fine ammazza
tutti i cattivi. La violenza eroica nel senso hollywoodiano è molto
simile al problema dei ricercatori motivazionali nella vendita dei
dolciumi. Il problema con i dolciumi non è convincere la gente che
sono buoni, ma liberarli dal sentire un senso di colpa quando li man-
giano. Abbiamo visto chissà quante volte film in cui tutto serve solo
come scusa per motivare il sanguinoso massacro finale dei nemici da
parte dell'eroe, e allo stesso tempo sollevare il pubblico dal senso di
colpa che deriva dal fatto di godersi questo macello>>.
La discussione su Arancia meccanica e sulle sue implicazioni era
ovunque. <<Hollywood Reporter>>, noto soprattutto per il suo punto
di vista "interno all'industria", con recensioni ai film basate più sul
potenziale commerciale che sulle implicazioni sociali, arrivò a chie-
dere al professar Emanuel K. Schwartz, del Postgraduate Center far
Menta! Health di New York, di fornire un'analisi psichiatrica di
Arancia meccanica. Schwartz fu d'accordo con Kubrick che guardare
un film fosse un'esperienza affine al sogno, e definì il film un'impor-
tante affermazione sul condizionamento umano. Nelle sue conclusio-
ni, il dottor Schwartz scriveva: <<È la ricorrenza di esperienze estreme
in un modo meccanico, a orologeria, che rende istruttivo questo par-
ticolare film. La ricerca dell'esperienza estrema è la ricerca maniacale
dell'onnipotenza. Questo ci porta agli aspetti morali del film. La
civiltà sopravvive nello sforzo di controllare, modificare, attenuare,
limitare l'assolutismo magico e maniacale delle fantasie inconsce.
Scoprire se ci sia possibile introdurre limiti all'interno dei quali pos-
sano essere intensificati determinati gradi di libertà, all'interno dei
~ua[i si possa vivere senza un senso di impotenza o di onnipotenza, è
l arduo compito degli ingegneri sociali. Il fatto, comunque, è che
Arancia 1JteaiHtù·a è fatto del materiale di cui è fatto l'uomo>>.
387
Kubrick iniziò il suo nuovo rapporto con la Warner Bros. in termi-
ni che gli assicuravano il completo controllo dei suoi film e dedicò
grande cura alla distribuzione di Aranda mea-anira. Il regista e il suo
staff avevano ammassato un'enorme banca dati che dissezionava i
mercati americani ed esteri: Kubrick aveva analizzato due annate di
« Variety>> compilando una lista che comprendeva ogni sala citata nei
rapporti sugli incassi pubblicati settimanalmente dalla rivista: di
ognuna erano stati annotati il numero dei posti, il prezzo del bigliet-
to, i film programmati e la tenirura, per poter avere una mappa delle
sale più adatte ad Arancia mea-anù-a. Ogni cinema fu scelto sulla base
di una serie di buoni risultati ottenuti con film di analogo livello.
Il vicepresidente delle vendite della Warner Bros., Leo Greenfield,
che si occupava dei territori nazionali, trovò astuta e preziosa la stra-
tegia di Kubrick. Il regista e il suo staff usarono lo stesso metodo per
determinare in quali sale sul mercato internazionale sarebbe stato
proiettato Arancia mea-anù-a. Norman Katz, il primo dirigente della
Warner lnternational, aveva avuto contrasti con Ted Ashley, presi-
dente della Warner Bros., circa il modo di guidare la società, e nella
sfera delle sue competenze rifiutò i suggerimenti di Kubrick. Ma il
regista osservò attentamente la distribuzione di Arancia rttea-anica, e
non apprezzò il modo in cui lo studio gestiva il film in Europa. Con
la stessa attenzione che applicava alla fase della produzione, Kubrick
cominciò a indagare su come stesse andando il film, e convocò una
riunione per esprimere il suo disappunto: ai dirigenti Warner pre-
sentò una serie di stampate con gli incassi di 2001 distribuito dalla
Mgm, confrontati con i risultati di Arancia mea-anica nelle stesse sale.
Anche con tre anni di differenza, le cifre provavano la tesi di
Kubrick che la Warner non stesse facendo del suo meglio, e il regista
chiese di cambiare i dirigenti che si occupavano del film, minaccian-
do altrimenti di togliere Arancia meccanù-a alla Warner. Le tattiche
decise che Kubrick aveva imparato sulle scacchiere del Washington
Square Park, sul sete nei suoi studi personali della storia militare gli
tornavano ora utili nel ruolo del cineasta che protegge il suo film.
Con l'aggravarsi del contrasto, Ashley colse l'occasione per colpire
Katz e si schierò a fianco di Kubrick sulla base dei suoi risultati eco-
nomici sul mercato interno. Katz perse il lavoro e Kubrick consolidò
la sua posizione alla Warner. All'incontro annuale della Warner
Communications, Ashley parlò del regista come di un genio che
combinava l'estetica con la responsabilità fiscale.
Nel gennaio 1972, Anthony Burgess camminava in Bond Street a
Londra quando fu fermato da un amico che gli chiese perché avesse
l'aria così depressa e lo scrittore gli rispose che stava andando a pran-
zare con Stanley Kubrick. L'amico gli disse che Arancia mecwniut era
388
il successo cinematografico dell'anno, e Burgess rispose: <<Appunto.
Ho venduto i diritti cinematografici molto tempo fa per poche cen-
tinaia di dollari>>.
Kubrick regalò a Malcolm McDowell un Labrador retriever, e
l'attore lo battezzò Alex. Il regista chiese a McDowell di contribuire
a promuovere il film in televisione, e continuò a farlo mentre l'attore
lavorava sul progetto successivo, O Lucky Man, con il regista Lindsay
Anderson. McDowell eseguì quanto Kubrick gli chiedeva, accettan-
do premi ai festival cinematografici in cui Arancia meccanù·a era
acclamato.
Burgess e Malcolm McDowell intrapresero un giro promozionale
per Arancia meccanica. La Warner Bro,s. sistemò Burgess all'Algon-
quin Hotel di New York e gli fissò appuntamenti per parlare del
film in programmi radiofonici e televisivi. Kubrick restava in
Inghilterra, a controllare la pubblicità e la promozione. Arthur Beli,
del << Village Vo ice>>, passò la giornata con McDowell e Burgess, scor-
tato da Mike Kaplan, che era stato il responsabile della campagna
"Viaggio definitivo" per 2001. I due si diedero i turni, apparendo al
"Today Show", dove Malcolm fu intervistato da Barbara Walters con
una certa riprovazione, al "The David Frost Show" e a "Midday" con
Lee Leonard. McDowell rivelò ad Arthur Beli che Kubrick sorveglia-
va ogni mossa sua e di Burgess. Durante la loro giornata promozio-
nale, l'attore disse al giornalista come era nata la celebre scena in cui
Alex picchia lo scrittore e lo costringe a guardare mentre lui violenta
sua moglie, cantando il classico di Gene Kelly Singin' in the Rain:
<<Stanley Kubrick mi chiese se ero capace di cantare e ballare e io
dissi di sì, ci pensai su qualche minuto e poi feci questo vecchio
passo "strisciato" su "la dee had had doo, la dee dah dah doo, l'm
singing, just dancing in the rain", ci stava bene e Kubrick disse:
"Useremo questa"; ed è così che nascono i momenti più belli>>.
<<Avevamo fatto le prove di ciò che era previsto dalla sceneggiatura
ed era impossibile da fare>>, raccontò Malcolm McDowell a Nat
Hentoff in una trasmissione radiofonica nel 1972. <<Non funzionava,
la scena con i drughi che si scaraventano dentro e Alex che acchiappa
il manoscritto e lo butta in aria come coriandoli e tutto il resto.
Semplicemente non funzionava. Era molto piatto. Restammo lì a
pensarci per tre giorni. È qui che si vede la grandezza di quest'uomo,
che sa prendersi il tempo necessario. Sono pochissimi quelli in grado
di farlo, perché sono sottoposti a tali pressioni. Kubrick era sotto
pressione, ma nel suo giardino aveva messo un tendone dove la trou-
pe poteva aspettare mentre si creava qualcosa sul posto. Il terzo gior-
no venne da me e disse: "Sai ballare?". E io mi lanciai in questo
Passo "strisciato" e siccome stavo pensando come Alex mi venne in
389
mente d'istinto una delle canzoni più allegre che conoscevo dalla
mia adolescenza, cioè Singin' in the Rain. Nessuno avrebbe potuto
scrivere una cosa simile. È per questo che con gli attori Stanley
Kubrick è così grande, perché ti permette di creare e ti dà molto. Ti
incoraggia e accetta quello che tu hai da dare. Se si fìda di te, va
tutto bene>>.
Quando i critici di New York diedero ad Arancia meccanùa i premi
per il miglior fìlm e il miglior regista, Kubrick chiese a Burgess di
andare lui alla cerimonia al Sardi's, e lo chiamò a New York per dir-
gli il discorso che voleva che lo scrittore leggesse a nome suo.
Burgess ascoltò con attenzione, ma davanti ai critici di New York
usò più le sue parole che quelle di Kubrick.
Finito il tour promozionale a New York, Burgess si diresse nuova-
mente a Roma, dove abitava, ma fece tappa a Londra per consegnare
a Kubrick le targhe di miglior film e miglior regia dei critici di
New York. Proprio nei suoi giorni a Londra, Burgess fu invitato a un
programma radio della Bbc dove Arancia meaanùa veniva attaccato
pesantemente. La violenza nei film divenne un soggetto incande-
scente. Spesso Arancia meaanùa veniva associato nei discorsi a Cane
di paglia di Sam Peckinpah: entrambi i fìlm avevano ricevuto la X,
ma la maggioranza dei critici inglesi lodava Kubrick e condannava
Peckinpah. Tredici critici cinematografici scrissero al <<Times>> di
Londra per condannare Cane di paglia, dicendo che il film era
«Sospetto nelle intenzioni, eccessivo nei risultati>>.
A Pau! D. Zimmerman, Kubrick dichiarò: «La violenza non è
nf.'cessariamente ripugnante in se stessa. Dal suo punto di vista, Alex
si diverte molto e volevo che la sua vita ci apparisse come appare a
lui, senza le restrizioni delle convenzionali regole di comportamento.
Non si può paragonare ciò che fa Alex a una qualsiasi realtà quoti-
diana. Vedere un fìlm è come sognare a occhi aperti. Puoi esplorare
senza pericolo aree che nella vita quotidiana ti sono precluse. Ci sono
sogni in cui si fanno tutte le cose terribili che il nostro pensiero
cosciente ci impedisce di fare>>.
Nell'ottobre 1972 Kubrick decise di ritirare dalla circolazione
Arancia meccanica per sessanta giorni, per ottemperare alle regole
della Mpaa sul sottoporre un fìlm a un nuovo esame per una classifi-
cazione diversa. Kubrick sostituì trenta secondi di materiale, in due
scene che contenevano materiale sessualmente esplicito, con inqua-
drature più innocue delle stesse scene. Quando la Mpaa vide la
nuova versione diede al fìlm una R e il fìlm uscì di nuovo alla fìne
dell'anno. Il cambio di etichetta permetteva alla Warner Bros. di
mostrare il fìlm in molte zone dove le pellicole con la X non erano
ammesse.
390
Il 9 maggio 1973, Anthony Burgess fece causa presso l'Alta Corte
di Londra contro Si Litvinoff e Max Raab, e contro la Warner Bros. e
varie società collegate, con l'accusa di aver cospirato per defraudare
!'autore dei diritti cinematografici sul romanzo. Stanley Kubrick
non era citato. Burgess, che si trovava a New York e insegnava al
City College, sosteneva che Litvinoff l'avesse portato con false
dichiarazioni a cedere i preziosi diritti sulla sua opera senza diritti
d'autore. Burgess ottenne alla fine una percentuale minore dei pro-
duttori esecutivi Litvinoff e Raab, pagabile quando il film fosse stato
in attivo.
Anche se Anthony Burgess era un prolifico autore e musicista, fu
conosciuto e divenne famoso soprattutto per il romanzo Un'arancia
a orologeria. Il libro aveva avuto una vita tranquilla fino all'uscita
del film di Kubrick: da quel momento, Burgess fu vilipeso per la
violenza da lui inflitta alla società e per aver scatenato emuli che
ripetevano le azioni di Alex nella vira reale. Nella sua celebrità,
Burgess ricevette proposte da molte donne e parecchie ridicole
offerte cinematografiche.
Arancia meccanica di Stanley Kubrick fece sì che Burgess raggiun-
gesse la fama non per la sua sterminata produzione musicale e lette-
raria ma per un unico romanzo. Il libro fu pubblicato in Bulgaria, in
Cecoslovacchia e in Polonia, e ne furono fatte anche un'edizione in
ebraico e una in russo per gli emigrati di lingua russa. Come
Nabokov, Burgess accettò facilmente questa attenzione così circo-
scritta, ma attorno al 197 3 cominciò a stancarsi di dover rispondere
del film mentre Kubrick restava in silenzio. A <<Variety>>, lo scrittore
dichiarò: <<Comincio a essere esasperato dalla presunzione di colpa
che fa sì che io debba difendere il film, e non solo il mio libro, da chi
lo attacca. Spetta all'autore difendere la sua opera».
<<È possibile che questo non sia strettamente rilevante, ma è inevi-
tabile che io sia un po' stufo del fatto che in generale tutti pensano
che Un'arancia a orologeria sia il solo romanzo che ho scritto. Sono
aurore di quasi trenta libri e mi piacerebbe che qualcuno di questi
venisse letto. La maggior parte delle mie dichiarazioni riportate dai
giornalisti sono in realtà distorsioni di ciò che ho detto veramente.
Si può dare la colpa alla difficoltà delle comunicazioni telefoniche
fra Roma, dove abito, e Londra. Ma la colpa si deve dare in primo
luogo all'apparato "disordinatore" che risiede nei cervelli di troppi
giornalisti,,.
Nel 1974, il senatore dell'Arizona John Roeder introdusse un
decreto che divenne noto come <<II decreto Arancia meccanica»: la
normativa proponeva di proteggere i detenuti che si fossero offerti
Volontari per programmi di terapia che, come la cura Ludovico,
391
sostenessero di trasformare criminali violenti in pacifici membri
della società.
Aranàa meccanica ebbe un effetto inquietante in Inghilterra. Critici
e gruppi sociali furono sconvolti dalla violenza del film, a cui fu
attribuita la responsabilità di stupri e omicidi compiuti da imitatori.
Per le strade della Gran Bretagna si vedevano giovani che saccheg-
giavano le strade vestiti come Alex e i suoi drughi.
Quando Arthur Bremmer fu arrestato per aver sparato al governa-
tore George Wallace durante un comizio per le elezioni presidenziali,
la polizia trovò un diario in cui Bremmer aveva scritto: «Milwaukee,
24 aprile. Dovevo liberarmi dai miei pensieri. Sono andato allo zoo, e
lungo il fiume, ma non è servito a niente. Ho visto Arancia meacmica
e ho pensato di far passare a Wallace tutto il film>>. Usava anche il
termine «ultra-violenza>>, spesso citato da Alex. Più avanti il diario
di Bremmer sarebbe stato una delle fonti di ispirazione della sceneg-
giatura di Pau) Schrader per Taxi Driver di Martin Scorsese. Quel
film avrebbe acceso un'altra ossessione, quella di John Hinckley, che
avrebbe sostenuto di aver deciso di sparare al presidente Ronald
Reagan dopo aver visto Jodie Foster, che nel film interpretava una
giovane prostituta.
In Inghilterra cominciarono a verificarsi atti di violenza che rispec-
chiavano quelli di Aranàa meccanù·a: una ragazza olandese di dicias-
sette anni fu violentata in un campeggio del Lancashire da una
banda che cantava Singin' in the Rain; il tribunale di Oxford Crown
condannò all'ergastolo un sedicenne ossessionato dal film che aveva
ucciso a calci un barbone sessantenne; un altro sedicenne picchiò sel-
vaggiamente un bambino più giovane, indossando un completo
bianco come Alex, una bombetta nera e stivali da combattimento. Il
giudice Desmond Bailey disse al ragazzo: «Dobbiamo schiacciare
questa orribile moda ispirata da quel miserabile film. Teniamo conto
del fatto che le tue azioni siano state ispirate da un film perverso, ma
questo non significa che tu non abbia colpa>>. Bande di giovani pas-
seggiavano per Leicester Square vestiti da drughi. Stupri e delitti
erano attribuiti all'influenza del film.
Miriam Karlin, che interpretava la "signora dei gatti" che Alex
ammazzava schiacciandola con la scultura fallica, difese il film dichia-
rando all'inglese <<Daily Mirron>: <<Rifiuto recisamente l'affermazione
in tribunale che [uno degli omicidi] sia un risultato del film. Nessun
essere umano normale che non ospiti in sé intenzioni cattive o deside-
ri selvaggi può farsi influenzare dalla visione di questo film>>.
Kubrick non rispondeva alle accuse che il suo film incitasse i gio~
vani inglesi alla violenza. Anthony Burgess, che aveva creato Alex e 1
suoi spietati drughi, si espresse con eloquenza dichiarando al
392
,,Saturday Review>> del <<Times» inglese: <<Né il cinema né la lettera-
tura possono essere accusati del pecca.to originale. Un uomo che
uccida suo zio non può giustificarsi incolpando una rappresentazione
dell'Amleto. D'altra parte, se la letteratura è da ritenersi responsabile
per il caos e il delitto, allora il libro più degno di condanna è la
Bibbia, l'oggetto letterario più imbevuto di vendetta che esista».
Nel 197 4, Stanley Kubrick, preoccupato di tutti i reali atti di vio-
lenza attribuiti alla visione di Arancia meccanica, ritirò il film dalla
distribuzione in Inghilterra, autoimponendosi un'efficace messa al
bando dell'opera. Kubrick chiese alla Warner Bros. di interrompere
la distribuzione del film in Inghilterra, e di rendere illegale la sua
proiezione ovunque nel Paese. Arancia meccanica era stato proiettato
per sessantuno settimane al Warner West End Cinema, attirando un
pubblico record: 55.716 persone, per un incasso di 438.797 sterline.
Il film fece solo una breve apparizione nelle altre città, prima che
Kubrick lo facesse ritirare per sempre dalla Warner. In Inghilterra,
Aram·ia meccanica aveva incassato due milioni e mezzo di dollari,
subito dietro al film di James Bond Agente 007 - Vivi e la.rcia morire e
a Il padrino.
In Inghilterra la vita cominciava a cambiare, i pakistani erano
aggrediti da teppisti di estrema destra, mentre i sindacalisti radicali
soffiavano sul fuoco dell'odio politico e razziale. Alla fine del decen-
nio, i Sex Pistols rappresentavano la prima linea di un movimento
punk che andava oltre la musica in una visione del mondo nichilista,
arrabbiata, violenta e autodistruttiva. Nel vedere che la violenza di
Arancia meccanica lasciava lo schermo e si allargava alle strade del
Paese in cui abitava, Kubrick cominciò a preoccuparsi della sicurezza
della sua famiglia e dell'impatto che il film poteva avere nell'ambien-
te che lo circondava.
Nell'agosto 1985, A1·ancia meccanica fu finalmente distribuito in
Argentina. Nel 1971 il governo argentino aveva condizionato
l'approvazione del film a una serie di tagli e Kubrick si era rifiutato:
il film rimase al bando per quattordici anni, fino al giorno in cui il
sistema censorio argentino fu smantellato. Nell'arco del periodo si
erano succeduti nel Paese dieci presidenti. Kubrick insistette perché
le copie argentine avessero sottotitoli tecnicamente aggiornati, il che
ne ritardò la distribuzione di un altro anno.
Durante il bando autoimposto in Inghilterra, Channel 4 trasmise
~n documentario di venticinque minuti su Arancia meaanica che
Includeva dodici minuti e trenta secondi del film. Su richiesta di
Kubrick, la Time Warner avviò un'azione legale contro l'emittente.
Channel 4 sostenne di avere un diritto giornalistico dovuto all'"equo
Utilizzo" previsto dalla legge sul diritto d'autore del 1988. La Time
393
Warner accusava l'emittente di aver ottenuto le immagini illegal-
mente, riproducendole da un laser disc americano del fìlm. Il giudi-
zio d'appello diede ragione a Channel 4.
Nel 1993, dopo quasi vent'anni di assenza dagli schermi inglesi, il
fìlm fu proiettato in pubblico e Kubrick continuò a imporre la sua
autocensura. La ventinovenne Jane Giles, responsabile della pro-
grammazione del cinema Scala di Londra, fu accusata di aver proiet-
tato una copia pirata di Arancia meccanica. Gli avvocati della Fact, la
Federation Against Copyright Theft, accusarono lei e il proiezionista
di violazione del Designs and Patents Act del 1988. I diritti appar-
tenevano alla Warner Bros.
Lo Scala, una sala di King's Cross, nel nord di Londra, fu accusato
di aver proiettato il fìlm, annunciato sui giornali come <<fìlm a sor-
presa>>. La Giles dichiarò di aver avuto la copia di Arancia meccanica
da Jean Mare Brenez, che glielo aveva offerto gratis. Il proiezionista
Jeremy Cusans, che avrebbe lasciato lo Scala per andare a lavorare
alla Warner Bros., sostenne che la sala aveva proiettato il fìlm alme-
no due volte negli anni Ottanta; agli avvocati e al magistrato Ian
Baker del Wells Street Magistrates Court di Londra centro disse di
aver avuto una conversazione con la Giles sui rischi di proiettare il
fìlm e di averla avvertita che Kubrick sorvegliava con attenzione il
bando, dicendole: <<Tutti sanno che Kubrick ha spie dappertutto che
tengono gli occhi aperti per proteggere i suoi diritti d'autore>>.
Cusans disse alla corte che la copia era stata fornita da un collezioni-
sta privato, che l'aveva lasciata nel magazzino della sala nel 1989.
Il 21 giugno 1990, a Pittsburgh in Pennsylvania, Michale Ander-
son, che aveva compiuto diciotto anni il giorno prima, ricevette una
condanna per aver pugnalato sei volte la diciassettenne Karen
Hurwitz con una spada da arti marziali di novanta centimetri, e con-
fessò che il giorno dell'omicidio indossava una maglietta di Aranàa
meccanica. Il suo avvocato sostenne che l'omicidio era stato indotto da
ripetute visioni del fìlm di Stanley Kubrick. Come parte della strate-
gia difensiva, Botula mostrò alla giuria cinquanta minuti di Arancia
meccanica per dimostrare la violenza presente nel fìlm. Il pubblico
ministero W. Christopher Conrad ribatté l'argomentazione dicendo:
<<Anche il giovane Alex potrebbe prendere lezioni di "ultra-violenza"
da Mich>>. Sui mezzi di comunicazione si riaccese la discussione sul
problema della forza dei fìlm nell'incitare alla violenza.
La controversia sul sesso e la violenza in Arancia meccanùa ha finito
per mettere in ombra il magistrale e sempre attuale controllo del
mezzo di Kubrick. Oltre venticinque anni dopo la sua prima uscita,
Arancia meccanica non ha perduto la sua forza viscerale. Come docu-
mento sociale, esso dimostra che Burgess e Kubrick hanno anticipato
394
il futuro che ci aspettava: quando il film uscì stava concludendosi la
stagione di pace e amore dell'età dell'Acquario, e il concerto dei
Rolling Stones all'Altamon Speedway aprì la porta a un'ondata di
violenza giovanile. Nei due decenni seguenti, la società avrebbe visto
movimenti punk, skinhead e neonazisti, e violenza nelle città, tutti
riconducibili al mondo di Alex e dei suoi drughi.
Come esperienza cinematografica, la sempre più oscura visione del
mondo di Kubrick si saldava con la sua lucida visualizzazione del
denso e complesso virtuosismo linguistico di Burgess nel descrivere
un punto di vista dei teppisti del futuro che non è facile accantonare.
Arancia meccanica è strutturato come un flusso continuo delle tre
parti definite nel libro. Kubrick lavora su grandi pannelli, ripren-
dendo le scene in audaci totali, con la macchina da presa che carrella
e si muove, che osserva attraverso grandangoli, distorcendo le imma-
gini del mondo appariscente, sessuale e violento visto da Alex. Nel
fondamentale l111tua·hio .relvaggio di Sam Peckinpah, il regista ricorre
al rallentatore, al montaggio alternato, all'iterazione e a un'ondata di
sangue a 360 gradi per trascendere la violenza in un catartico ballet-
to di morte. In Aranàa meccanica, Stanley Kubrick usa rallentatore,
accelerazioni e immagini allungate da cartone animato per trasfor-
mare violenza e sesso espliciti in una presa di posizione sociopolitica
sulla minaccia dello Stato alla libertà personale. Il sintetizzatore di
Walter Carlos mette un filtro magico e futuristico al passato, trasfor-
mando Purcell, Rossini e Beethoven in una colonna sonora per le
azioni ultra-violente perpetrate con vivace cattiveria da Alex.
Aranàa meccanica era il primo film realmente inglese di Kubrick.
Lolitct, Il dottor Stranamore e 200 l erano stati prodotti in Gran
Bretagna ma conservavano la sensibilità americana del regista. La
visione proposta da Kubrick del futuro prossimo creò uno scalpore
che finì per renderlo invisibile in Inghilterra per più di trent'anni.
La voce e le immagini di Amnàa meccanica rimasero così in silenzio,
tacitate dal loro stesso creatore, che forse sentiva che il potere violen-
to del film era troppo vicino alla sua patria di adozione.
401
rare il diciottesimo secolo era la luce naturale, poiché l'elettricità
ancora non esisteva: la gente del mondo di Barry Lyndon concepiva
solo la luce del sole o della candela.
Kubrick e Alcott avevano parlato della possibilità di girare a lume
di candela durante la lavorazione di 2001, quando il regista proget-
tava il film su Napoleone, ma all'epoca non esistevano obiettivi
abbastanza sensibili per poterlo fare - e non esistevano ancora nem-
meno per Barry Lyndon.
Negli anni Settanta la sensibilità della pellicola era ancora bassa. I
vari tipi disponibili fra i 50 e i l 00 Asa non avevano l'ampiezza suf-
ficiente per consentire all'emulsione di essere impressionata dalla
fioca luce di una candela. Le pellicole di oggi, molto più sensibili,
avrebbero reso la cosa più semplice, ma nei primi Settanta Kubrick
poteva solo sperare di trovare un obiettivo abbastanza luminoso, che
gli permettesse di catturare la patina delle antiche case signorili in
cui pensava di effettuare le riprese.
Mentre progettava il suo film in costume, Kubrick apprese che la
tedesca Zeiss aveva messo a punto per il programma spaziale Apollo
alla Nasa un sensibilissimo 50mm fotografico. La disponibilità di
lenti del genere dava a Kubrick la possibilità di spingere ancora oltre
i limiti della fotografia cinematografica: i film in costume di
Hollywood erano girati con luce artificiale, illuminando scene che si
presumevano illuminate solo dalle candele: nonostante il tremolio
delle fiammelle, gli interni erano inondati dalla luce di fari elettrici
multidirezionali che distruggevano il bagliore caldo e modulato
dell'autentica luce di candela.
Per affrontare il problema, Kubrick telefonò a Ed Di Giulio della
Cinema Products, che gli aveva procurato Io zoom 20: l per Aranàa
meccanica: <<Stanley mi chiamò e disse: "Ho questo obiettivo della
Zeiss". A quanto pare era stato pensato per la Nasa, che doveva usar-
lo su uno di quei satelliti-spia. Era una lente fissa da 50mm, niente
messa a fuoco o cose del genere, solo un'ottica che aveva 50mm di
focale. L'apertura era fO, 7, un intero stop più luminoso del fl ,O o due
stop più veloce delle lenti super sensibili che abbiamo oggi, cose
come fl ,2. Così Stanley dice: "Ho quest'obiettivo e voglio montarlo
sulla mia BNC Mitchell". Ci diedi un'occhiata. Più un obiettivo è
sensibile, più si avvicina alla superficie della pellicola, e questo arri-
vava a mezzo centimetro dalla superficie, arrivava fino a lì. Gli dissi:
"Stanley, non ci starà proprio. La BNC ha un otturatore a due lame.
Sulla BNC hai una lastra di apertura che è piuttosto spessa". Stanley
disse: "Beh, potrei levare una delle lame dell'otturatore. Non rni
serve un otturatore regolabile e magari tu potresti rimuovere la lastra
di apertura". "Sì, potrei farlo, Stanley, ma poi la macchina sarebbe
402
rovinata per qualsiasi altro uso". Stanley disse: "Va benissimo, faccia-
molo". Così fabbricammo un supporto speciale con messa a fuoco per
quest'obiettivo. Per andare da zero a infinito ci volevano tre giri
completi della ghiera. Dovevamo fare la filettatura abbastanza fine
da far sì che si potesse metterla a fuoco in modo esatto, perché con
rutto aperto e un obiettivo così luminoso non avevi la minima possi-
bilità di mettere a fuoco a occhio. Ci riuscì di montare questo 50mm
con successo. Stanley lo provò ed era felicissimo. Poi mi disse: "Okay,
Ed, adesso voglio un 35mm". Così chiamai il mio vecchio amico, il
dottor Richard Vetter della Todd-AO, e Dick mi disse che avevano
questi adattatori Manocom per obiettivi da proiezione fatti da Cole
Morgan. È un adattatore che si mette davanti a una lente da proie-
zione per cambiare leggermente la focale, più larga o più stretta, a
seconda della direzione in cui ci si mette e di cosa deve essere riempi-
to. Puoi adattare una lente di proiezione che magari non riempie
bene il proscenio, o il contrario. Così ho messo tutto insieme e sono
riuscito a fabbricargli un 75mm e un 35mm. Adesso ha questi tre
meravigliosi obiettivi, e ha girato Barry Lyndon con quelli. Non
penso che dopo li abbia più usati nessuno. Mi ha chiamato un sacco
di gente e io li mandavo tutti da Stanley. Ma lui naturalmente era
geloso della sua attrezzatura e non la faceva toccare a nessunO>>.
Kubrick aveva cominciato a fare progetti con uno scenografo e
aveva studiato il progetto in modo da girare tutto a Picketts Manor.
Non voleva andare in un teatro di posa: era stufo dell'aspetto posato
dei film in costume e voleva reinventare il genere, come aveva fatto
con la fantascienza in 200 l.
Quando l'idea di Picketts Manor divenne troppo limitativa per
Barry Lyndon, Kubrick contattò Ken Adam, il grande scenografo che
aveva creato gli ambienti spettacolari di Il dottor Stranamore. Barry
Lyndon sarebbe stato per lui un progetto molto più complesso e diffi-
cile: lo scenografo pensava di creare nel teatro di posa i set delle
dimore signorili dell'epoca, ma Kubrick insistette per girare in
ambienti reali. «Doveva sempre essere una combinazione di esterni e
interni, ma con scenografie ricostruite in studio>>, spiega Adam.
«L'ho fatto in scala molto più ridotta per La pazzia di Re Gi01·gio,
dove gli appartamenti reali erano stati costruiti agli Shepperton
Studios. lo ho cercato di dar loro più importanza usando alcuni
interni reali fantastici>>. Ma Kubrick rimase inflessibile sull'inten-
zione di girare in ambienti autentici ed era sempre piti ossessionato
dall'idea eli ottenere quella che chiamava la patina degli interni
dell'epoca. La luce delle candele, combinata con le autentiche archi-
tetture dell'epoca, avrebbe creato una purezza di immagine che
avrebbe permesso di ritrarre il diciottesimo secolo con il realismo
40.~
pittorico di un documentario. Per rendere le cose ancora piì:t difficili,
Kubrick pretendeva location vicine alla sua casa di Boreham Wood,
subito fuori Londra, e spedì squadre di fotografi a scattare foto di
tutte le belle case a distanza di novanta minuti da casa sua.
A Richard Schickel, Kubrick spiegò che era «di grande aiuto non
essere costantemente esposti alla paura e all'ansietà che prevale nel
mondo del cinema». Era felice di vivere in un'ampia residenza di
campagna con due staccionate a guardia della sua preziosa privacy. II
complesso ospitava ancora sei gatti e tre cani. Alexander Walker
diceva che Kubrick era «Come un artista medievale che vive sopra la
sua bottega».
Poiché gli era stato richiesto di lavorare solo in ambienti reali, Ken
Adam dovette usare stanze di case diverse per creare gli spazi delle
abitazioni del film, e alla fine riuscì a convincere Kubrick che per gli
ambienti di Barry Lyndon era necessario andare piì:t lontano: la ricerca
si estese all'Irlanda, ma trovarvi edifici di tipo continentale era
impresa ardua. Parte del film si svolgeva in Germania, ma lo scena-
grafo non riuscì a convincere Kubrick a spingersi fin là: solo alla fine
della produzione Kubrick spedì a Potsdam e a Berlino Est una
seconda unità con il compito di catturare l'atmosfera tedesca
dell'epoca attraverso fotografie di castelli e di strade.
Per concepire le sequenze tedesche, Kubrick non lasciò mai la sua
casa in Inghilterra ma studiò un numero incalcolabile di immagini
scattate in Germania da squadre di fotografi, in modo da determina-
re esattamente in che modo la seconda unità avrebbe dovuto ripren-
dere le inquadrature richieste. Il sistema era lo stesso utilizzato in
2001 per gli sfondi di "L'alba dell'uomo". Kubrick aveva messo a
punto un sistema complesso, sovrapponendo alle foto una griglia con
lettere e numeri, che gli permetteva di dirigere la seconda unità per
telefono: bastava dare alla troupe le coordinate della griglia, con pre-
cisione matematica.
Le ricerche del settore scenografia per Barry Lyndon furono impo-
nenti. Adam ricorda: «Stanley voleva farlo quasi come un documen-
tario su quell'epoca>>. Al momento di cominciare, Kubrick sapeva
ben poco sul periodo storico; Adam aveva una solida conoscenza di
arte e architettura, ma con il passare del tempo il regista divenne
molto esperto, assorbendo montagne di dettagli sulla vita nel diciot-
tesimo secolo. <<Fotografavamo tutte le location e tornavamo a casa
per analizzare le foto>>, spiega lo scenografo. «Scoppiavano terribili
discussioni perché Stanley era attratto più dagli interni vittoriani che
da quelli, più formali e rigidi, del diciottesimo secolo. Diceva: ".Mi
piace quella tappezzeria", e io rispondevo: "Stanley, non puoi usare
quella tappezzeria, è vicroriana". "Perché?". Naturalmente, alla fine
404
Stanley ne sapeva più di me, e probabilmente di chiunque altro, su
quell'epoca, a causa della quantità di ricerche- le condizioni di vita,
i pidocchi nelle parrucche, i loro spazzolini da denti, i profilattici -
esaminammo tutto per scoprire come viveva quella gente>>. Per via
delle molte scene che mostravano il gioco d'azzardo, si fecero ricerche
su tutti gli accessori dell'epoca. Adam ricorda che «Dovemmo fab-
bricare noi le carte da gioco perché allora non avevano gli angoli
arrotondati. Erano dotate di spigoli acuti, rettangolari e senza nume-
ri». Il dipartimento scenografia lavorava in stretto contatto con quel-
lo delle luci: Adam e i suoi fecero prove con candele a stoppino sin-
golo, doppio e triplo per ottenere la necessaria intensità luminosa.
Furono disegnati e fabbricati candelabri da utilizzare negli ambienti
reali, e preparati schermi per proteggere dal calore i soffitti, i muri e
i preziosi quadri a olio. Fu Adam a disegnare e a collocare in un
ambiente reale la vasca da bagno Luigi XVI usata da Lady Lyndon.
Kubrick e Adam avevano approcci differenti alla scenografia di
Barry Lyndon: il metodo di Adam partiva da un'ampia ricerca
sull'epoca in cui doveva essere ambientato il progetto, sulla base
della quale lo scenografo creava una sua interpretazione che era una
sintesi della sua esperienza e della sua immaginazione. Kubrick
intraprese invece uno studio meticoloso dei dipinti con l'intenzione
di ricreare esattamente le immagini dei maestri dell'epoca, usandoli
come guida per rendere l'esatto aspetto dei set, degli arredi e dei
costumi. <<11 minuzioso processo di dover quasi riprodurre i dipinti
dell'epoca fu per me una sfida diversa», ricorda Ken Adam, che è
noto soprattutto per le sue immaginose interpretazioni di realtà pas-
sate e future in film, come La pazzia di Re Giorgio, che gli ha fatto
vincere un Oscar, e i fantasiosi e giganteschi film di James Bond.
Per i costumi, Kubrick ingaggiò Milena Canonero e Ulla-Britt
Soderlund, che acquistarono vestiti del diciottesimo secolo, ancora
disponibili in Inghilterra. In media, le persone nel Settecento erano
di taglia più piccola e fu quindi necessario aprire i vestiti e crearne
di nuovi sugli stessi modelli. La produzione scelse una fabbrica a
Radlet per produrre i molti costumi necessari a popolare il diciotte-
simo secolo che la macchina del tempo di Kubrick si preparava a
visitare.
A Leonard di Londra, che aveva lavorato con Kubrick in Arancia
meccanica, toccò il logorante compito di creare le parrucche per Barry
l.yndon: solo per Ryan O'Neal ne furono confezionate quindici. Come
~ateriale di base, Leonard utilizzava i capelli tagliati alle giovani
Italiane che entravano in convento; al giornalista Thomas Wood,
spiegò: <<E pensare che, se non fosse stato per tutte quelle giovani
suore, Ryan avrebbe dovuto interpretare tutte le sue scene d'amore
405
indossando pelo di yab>. Leonard passò sei mesi a mettere a punto le
acconciature d'epoca per Marisa Berenson e per le altre donne del
film. Il celebre parrucchiere di Londra lavorava io coppia con
Barbara Daly, la truccatrice che aveva creato il trucco dei drughi in
Arancia meccanica e che era una beniamina della moda londinese.
Approfondite ricerche furono effettuate sulla pittura del diciottesi-
mo secolo. Spiega Adam: <<Abbiamo usato pittori come Watteau e
Zoffany. E per qualche scena sul continente il polacco Chadowiecki>>.
L'aspetto di Barry Lyndon sarebbe stato influenzato fortemente anche
da Gainsborough, Hogarth, Reynolds, Chardin e Stubbs.
I quadri servivano a capire e a studiare l'epoca, come modello per
dar forma all'aspetto "fisico" del film e come elementi che rivelavano
uno stile di vita sontuoso. Le case signorili del diciottesimo secolo
erano piene di magnifici dipinti: molte dimore sembravano musei e
contenevano vaste collezioni. Le abitazioni scelte per Barry Lyndon
ospitavano molti dipinti classici che Adam e Kubrick utilizzarono
come arredi. Spiega Adam: <<Wilton ha dei bellissimi Van Dyck in
una stanza che ho utilizzato di nuovo in La pazzia di Re Giorgio>>.
<<Stanley ha un occhio incredibile. Composizioni strane o strane
cornici lo attraevano, e voleva includerle nelle riprese. Trovammo
che molti dei quadri negli interni erano appesi sulle pareti molto in
alto. Questo affascinava Stanley, lo affascinavano queste stranezze>>.
Lentamente, gli ambienti furono tutti scelti. La fattoria dove abi-
tava la madre di Barry fu trovata sui monti Camara, mentre le enor-
mi mura di pietra del castello di Caher furono scelte per il pranzo
della famiglia Brady. A Powercourt, che aveva forti influenze tede-
sche ma non era lontana da Dublino -e che fu usata per le scene di
battaglia - furono scoperte location adatte per le scene tedesche. Il
castello di Dublino divenne la casa di Chevalier, mentre il luogo
dove Barry incontra il capitano Potzdorf e le sue truppe era un punto
vicino a Waterford e Kerkenny. Una volta stabilitosi in Irlanda,
Kubrick cercò di convincere Ken Adam a trovare lì tutte le location
per le sequenze continentali, e solo alla fine si rese conto che le scene
inglesi si sarebbero dovute girare in Inghilterra. Gli esterni di casa
Lyndon furono ripresi al castello di Howard, e gli interni sono una
combinazione di Wilron, Corsham Court e Glenum. Singole scene
che si svolgevano in stanze determinate furono girate in ambienti
diversi e unificate in sala montaggio, per creare la stravagante e
magnifica dimora dei Lyndon. La continuità era un problema, e
Kubrick doveva tenere a mente l'insieme di ambienti che stava usan-
do per descrivere nel film una singola stanza.
Per organizzare le riprese in location, Kubrick decise che la produ~
zione avrebbe dovuto essere sempre mobile, e per poter tenere ogni
406
dipartimento in grado di spostarsi assegnò a ciascuno un minibus
Volkswagen. Ken Adam e i suoi scenografi erano sempre in movi-
mento: «Nel retro del mio minibus avevo un tavolo da disegno e
rutti i documenti di cui avevo bisogno. Stanley pensava a noi come
Rommel nel deserto», ricorda lo scenografo.
Il viaggio in Irlanda richiedeva una massiccia pianificazione. Negli
incontri preliminari, i direttori di produzione Douglas Twiddy e
Terence Clegg iniziarono a bombardare Kubrick di domande detta-
gliate su cosa spedire in tutte le varie location in cui si doveva gira-
re. Il regista cercava di rinviare le questioni per occuparsi di altro,
ma i due continuarono a insistere finché Kubrick accettò di rispon-
dere alle loro richieste, a una condizione: ogni volta che non avesse
saputo cosa rispondere a una loro domanda avrebbe suonato un cam-
panello e si sarebbe passati alla prossima. Quindi si dedicò a decidere
che tipo di campanello dovesse essere. Il direttore di produzione si
offrì di procurare un piccolo campanellino da tavola: Kubrick
respinse il suggerimento, spiegando che uno strumento simile avreb-
be urtato la sensibilità di classe dei presenti. Fu proposto allora un
campanello d'allarme, ma il regista lo trovava fastidioso e ordinò al
direttore di produzione: <<Chiedi agli scenografi di procurarmi esem-
pi di ogni campanello disponibile e io ne sceglierò uno>>. Questo
risolse il problema delle troppe domande del direttore di produzio-
ne, che già sapeva come all'inizio delle ricerche per Barry Lyrzdon
Kubrick avesse spedito squadre di assistenti a fotografare ogni
campo irlandese che avesse un albero al centro. Quando Stanley
Kubrick affrontava qualcosa, pretendeva di conoscere ogni alternati-
va prima di prendere una decisione, ma il problema del campanello
era davvero troppo per un direttore di produzione già sovraccarico di
lavoro. A Stanley Kubrick non piaceva dover rispondere a domande a
cui non aveva ancora voglia di rispondere - in realtà, gli piaceva
essere lui a farle.
Rispetto a tutti i precedenti progetti di Kubrick, Barry Lyndon era
quello più avvolto nel segreto. Durante tutta la fase di preproduzio-
ne e durante le riprese l'unica notizia disponibile fu che Stanley
Kubrick stava girando un film con Ryan O'Neal e Marisa Berenson:
tirolo e argomento restavano un mistero. Si diceva che Kubrick
mantenesse questo alto livello di segretezza perché stava utilizzando
un'opera letteraria che era fuori diritti e temeva che far sapere che
stava portando sullo schermo il romanzo di Thackeray potesse bru-
ciargli rapidamente un'idea non protetta, scatenando una sgradita
concorrenza al botteghino. La preoccupazione di Kubrick per la
segretezza era così intensa da fargli chiedere e ottenere i finanzia-
menti della Warner Bros. sulla base di un soggetto in cui nomi, luo-
407
ghi e date della storia erano stati cambiati, in modo che nessuno
potesse riconoscere con esattezza il romanzo da cui era stato tratto.
Sviluppare storie da raccontare sullo schermo sulla base di opere
già pubblicate era una costante di Kubrick, che per tutta la sua car-
riera non fu mai in grado di generare una storia originale tratta dalla
sua esperienza personale. A Richard Schickel disse che creare una
storia composta di attimi di vita era «uno dei risultati umani più
fenomenali>>. La sua infinita curiosità lo attraeva verso mondi al di
fuori della sua esperienza, che poteva esplorare attraverso strati su
strati di dettagli, fino a raggiungerne il nucleo.
Alla fine del gennaio 197 3, pur essendo costantemente in contatto
con Kubrick, la Warner Bros. era in grado di dire a «Variety» solo
che le riprese sarebbero iniziate in Inghilterra a maggio o giugno, con
Ryan O'Neal e Marisa Berenson. Per Arancia meccanica, la Warner era
partita sapendo solo che il film era basato su un libro di Anthony
Burgess. Kubrick non volle alcun ufficio stampa. << Variety» ipotizzò
che il regista stesse girando un progetto che la Warner aveva annun-
ciato a suo tempo, una riduzione del romanzo Doppio sogno di Arthur
Schnirzler, che una comunicazione stampa descriveva come un dram-
ma psicologico incentrato su una coppia, un medico e sua moglie, il
cui reciproco amore è minacciato dalla rivelazione dei rispettivi sogni.
Tutti cercavano di indovinare la prossima mossa di Kubrick.
La stampa era irritata dalla mancanza di materiale sul film e colse
l'occasione per sparare a zero sul regista, sempre più invisibile, reclu-
so e ossessionato dal segreto. Intanto Kubrick non accettava nemme-
no più di ricevere i giornalisti selezionati che erano stati ammessi sui
set dei film precedenti. Il suo ufficio approvava pochissime foto pub-
blicitarie e gli attori erano stati istruiti a non parlare con la stampa
senza un consenso previamente espresso. L'assenza di notizie scatenò
la circolazione di voci su ogni aspetto della produzione, dai metodi
di regia di Kubrick a un rapporto del <<New York Daily News»
secondo il quale il budget - arrivato a 11 milioni di dollari - era
partito da 2 milioni e mezzo. L'articolo descriveva Kubrick come un
autore ormai incontrollabile. Richard Schickel fu uno dei pochi gior-
nalisti ammessi a incontrare il regista: ma anche se il film gli fu
mostrato prima che a tutti gli altri critici, per consentirgli di dedica-
re a Barry Lyndon una copertina per la rivista <<Time», la sua intervi-
sta di quattro ore fu condotta sotto le restrizioni imposte da
Kubrick, nel cuore della notte in uno studio pieno di nebbia.
Il regista era restio a parlare anche con i suoi protagonisti. Marisa
Berenson, un'ex modella che si era distinta in Cabaret di Bob Fosse,
accettò di interpretare il film sapendo solo chi l'avrebbe diretto. Al
giornalista Thomas Wood dichiarò: <<Non ho fatto un provino per la
408
parte. Mi è arrivata e basta. Ero seduta nel mio appartamento di
Parigi un pomeriggio del febbraio scorso, quando è squillato il
telefono. Era Kubrick. Disse che aveva visto la mia interpretazione
in Cabaret e mi chiese se ero disponibile per un film da girare più
avanti, quest'anno. "Naturalmente", ho risposto. Allora lui ha detto
che non poteva dirmi molto, salvo che la storia si svolgeva nel
diciottesimo secolo e che era basata su un classico. Ma non importa-
va. Dopo tutto era Kubrick. Non avevo bisogno di sapere altro, così
ho accettato sui due piedi. C'era un'altra cosa. Mi ha chiesto di non
prendere il sole tutta l'estate. Devo avere questo pallore. Così quan-
do sono andata qualche settimana a Saint-Tropez ho dovuto tenere
la testa sotto un parasole. Il che è stata per me una circostanza
molto fortunata, perché mi faceva sembrare molto misteriosa e
romantica».
La Berenson aveva ventotto anni ed era figlia di Robert L. Berenson
e nipote di Elsa Schiaparelli, la disegnatrice parigina che era stata la
beniamina della moda degli anni Trenta. Gli occhi verdi della
modella, che usciva con membri del jet set come David de
Rothschild e Ricky von Opel, erede dell'industria automobilistica,
avevano contribuito a farla definire dalla rivista <<Elle>> <da ragazza
più bella del mondo>>. Oltre al suo ruolo in Cabaret, la Berenson
aveva interpretato la madre in Morte a Venezia di Luchino Visconti.
Ryan O'Neal aveva trentaquattro anni. Era apparso in prima serata
in oltre cinquecento episodi della fortunata e storica soap opera tele-
visiva "Peyton Piace". Barry Lyndon fu per lui un'esperienza unica: le
sue interpretazioni in Love Story, Ma flajJà ti manda .rola? e Paper Moon
ne avevano fatto un importante divo di Hollywood ma non lo aveva-
no preparato a recitare per Stanley Kubrick. <<Dio, come ti fa lavora-
re duro>>, disse O'Neal a Richard Schickel: <<Ti smuove, ti pungola,
ti aiuta, si arrabbia con te ma soprattutto ti insegna il valore di un
bravo regista. Stanley ha tirato fuori aspetti della mia personalità e
dei miei istinti di attore che erano sopiti. Dovevo dargli tutto ciò
che voleva, e voleva praticamente tutto quello che avevo. Avevo il
forte sospetto di essere coinvolto in qualcosa di grande>>.
Ryan O'Neal fu insolitamente abbottonato sul suo lavoro con
Stanley Kubrick. Interrogato dalla stampa quando arrivò a Londra
dopo aver ultimato le riprese in Irlanda, si limitò a dire: <<Questo film
parlerà da solo>>. Alla Warner Bros. non avevano da preoccuparsi del
tono furtivo, perché non ne sapevano molto di più di chiunque altro.
Nel novembre 1973 <<Variety>> riportava che John Calley, capo
della produzione della Warner, e Stanley Kubrick, avevano deciso di
comune accordo di sospendere la lavorazione di ciò che veniva allora
chiamato The Luck of Barry Lyndon, il titolo originale clelia storia di
409
Thackeray. Calley confermò una dichiarazione della produzione che
spiegava che le riprese venivano interrotte per non imporre un'intru-
sione ai proprietari delle dimore che volevano rientrare a casa propria
durante le vacanze. La Warner annunciava che Kubrick avrebbe rico-
minciato a girare nel gennaio 1974 per otto ulteriori settimane. Si
diceva che la pausa aggiungesse circa un milione di dollari al bud-
get. A Richard Schickel, Calley disse: <<Non avrebbe senso dire a
Kubrick: "Okay, caro, hai ancora una settimana per chiudere". Si
otterrebbe così un film mediocre che costa, diciamo, 8 milioni di
dollari, invece di un capolavoro che ne costa 11. Quando qualcuno
spende un sacco di soldi tuoi, la cosa più saggia è dargli il tempo di
fare un lavoro ben fatto. Questo lavoro è, nel migliore dei casi, un
tiro di dadi. Il fatto che Stanley sia convinto che il film incasserà
somme a nove cifre ci rassicura. Non si sbaglia mai di molto su nes-
sun argomento>>. L'accordo di Kubrick con la Warner Bros. prevede-
va che lo studio fornisse i finanziamenti e che il regista si prendesse
il 40 per cento dei profitti.
La produzione di Barry Lyndon, fra preparazione e riprese, era in
Irlanda già da sei mesi quando la lavorazione fu interrotta. Per spie-
gare la sospensione e il trasferimento di tutta la troupe in Inghilterra
furono fatte diverse ipotesi. Da Dublino circolava la notizia che l'Ira
avesse minacciato attentati dinamitardi ai danni della produzione:
Kubrick negò fermamente, ma è un fatto che abbandonò l'Irlanda e
riportò tutti in Inghilterra nell'arco di ventiquattro ore. Una dichia-
razione ufficiale della produzione spiegava che le riprese erano state
sospese perché si era rivelato impossibile girare in molte delle case
previste come location nel periodo natalizio. Durante la chiusura, fra
i membri del cast e della troupe circolarono voci di ogni genere:
molte riguardavano la veridicità delle minacce dell'Ira; altre ipotiz-
zavano che durante le riprese di Barry Lyndon ii regista stesse anche
realizzando scene di battaglia che sarebbero apparse nella sua epica
su Napoleone attesa da tempo. La scarsità di informazioni e la fitta
cortina di segretezza contribuirono a gonfiare ancora il mito crescen-
te di uno Stanley Kubrick autort-eremita.
Le riprese dovevano ricominciare all'inizio del nuovo anno. Molti
membri della produzione sospettavano che Kubrick stesse ripensan-
do tutto il film. Di sicuro, Barry Lyndon dovette subire una revisione
quando la lavorazione fu ripresa. Più che considerarlo il segno di una
produzione ormai senza controllo, lo si poteva vedere come u~
segnale ulteriore dell'evoluzione dei metodi registici di Kubrick: 1
suoi film non nascevano come un intero, ma erano costruiti metico-
losamente ed esaminati pezzo per pezzo durante la realizzazione,
quasi fossero fatti a mano. Barry Lyttdon avrebbe raggiunto gli scher-
410
mi in tutta la sua gloria con un'estetica disciplinata, anche se a tratti
debordante, e con l'idea di presentare la storia attraverso il rigore
degli zoom, del lume di candela e della voce istruttiva del narratore.
I detrattori del film avrebbero commentato: «Quando un regista
muore diventa un fotografo».
Alcott e Kubrick illuminarono con le candele intere scene. Per la
sequenza di gioco con Lord Ludd, Alcott chiese specchi di metallo
che impedissero al calore delle fiammelle di danneggiare i soffitti e
creassero un'illuminazione diffusa dall'alto. Ogni lampadario poteva
ospitare settanta candele, e dava all'operatore l'equivalente di tre foot-
L"ttrldles di illuminazione standard. Unafoot-candle è l'unità di misura
cinematografica che definisce l'intensità di una luce su una superficie
ogni punto della quale dista un piede dalla fonte di una candela. Il
negativo fu "tirato" di un intero stop in fase di sviluppo per pompare
nell'immagine complessiva la quantità di luce necessaria.
Girando con luce così scarsa diventava impossibile vedere l'imma-
gine attraverso un tradizionale mirino a prisma, e Kubrick e Alcott
ne adattarono uno tratto da una vecchia macchina da presa per il
Technicolor a tre strisce, montandolo sulla loro BNC Mitchell già
convertita. Il vecchio mirino funzionava con il principio dello spec-
chio e rifletteva ciò che vedeva, permettendo di vedere l'immagine
chiaramente anche con poca luce.
L'obiettivo da 50mm fabbricato originalmente dalla Zeiss e adatta-
to per il cinema da Ed Di Giulio fu usato praticamente per tutti i
campi medi e stretti. L'obiettivo era molto luminoso ma aveva
pochissima profondità di campo e rendeva necessarie prove molto
accurate e un sistema che tenesse conto delle distanze critiche a cui
l'obiettivo riusciva a tenere il fuoco. A Douglas Milsome, assistente
di Alcott e responsabile della messa a fuoco, fu data una telecamera a
circuito chiuso per mantenere la massima precisione. Alla rivista
<<American Cinematographen> Alcott spiegò: <<La telecamera era
posta a novanta gradi rispetto alla posizione della macchina da presa
ed era controllata attraverso uno schermo televisivo montato sopra la
scala degli obiettivi della cinepresa. Sullo schermo era posta una gri-
glia, e registrando le posizioni dei vari attori era possibile trasferire
le distanze sulla griglia per consentire loro una certa flessibilità di
movimento senza perdere il fuoco su di loro. Era un'operazione
molto delicata>>.
Kubrick e Alcott passarono ore a studiare gli effetti di luce ottenu-
ti nei dipinti dei maestri olandesi, ma trovarono che il loro stile fosse
piatto e decisero di illuminare le scene lateralmente.
Gli interni delle ville che racchiudono il mondo di Barry Lyndon
furono ripresi in modo da ricreare l'atmosfera di luce naturale
411
dell'epoca. Ad <<American Cinematographer», Alcott disse: <<Come
operatore sono sempre stato più incline a usare la luce naturale.
Penso che sia emozionante, in effetti, vedere il tipo di luminosità
offerta dalla luce del giorno e poi cercare di crearne l'effetto. A volte
è impossibile quando la luce esterna scende sotto un certo livello.
Abbiamo girato alcune di quelle sequenze in inverno, quando la luce
naturale era disponibile forse fra le nove del mattino e le tre di
pomeriggio. La necessità era di alzare la luce fino a un livello che ci
permettesse di girare dalle otto del mattino fino a qualcosa come le
sette di pomeriggio, mantenendo un effetto uniforme. Allo stesso
tempo cercavamo di riprodurre le situazioni decise in base alla ricer-
ca, e di riferirei ai disegni e ai dipinti previsti per la giornata - in
che modo erano illuminate le stanze e così via. Le composizioni
effettive delle nostre inquadrature erano molto fedeli ai disegni
dell'epoca».
Molte furono le tecniche impiegate per dare l'impressione di luce
naturale. La stanza in cui Brian, figlio di Barry, chiede se suo padre
gli ha portato un cavallo aveva cinque finestre, con una più grande al
centro. Kubrick e Alcott controllavano la luce in modo che sembras-
se entrare da quella centrale per dare alla stanza una sola fonte lumi-
nosa. Sulle finestre veniva messo materiale di plastica e carta velina,
e la luce naturale era simulata dai minibruti. Ogni scena di Barry
Lyndon fu girata in un ambiente reale, in autentiche case irlandesi e
nell'Inghilterra sud-orientale.
Molte delle proprietà usate nel film erano aperte al pubblico e
Kubrick non poteva tenere lontani i visitatori. Alla produzione era
permesso di lavorare in stanze specifiche, che venivano chiuse al
pubblico che passava nei corridoi. A volte il regista riusciva a lavora-
re solo quando non c'erano visite, altre volte si poteva girare solo fra
una visita e l'altra. Solo in qualche caso Kubrick e la sua troupe
ebbero la location a completa disposizione.
Per alcune sequenze, come ad esempio quella nella stanza da letto
di Lady Lyndon, furono costruite grandi tribune per le luci, che
potevano essere spinte da una parte quando la troupe riprendeva un
controcampo frontale rispetto alle finestre.
Per controllare le condizioni di luce in perpetuo cambiamento, fu
utilizzato un assortimento completo di gelatine e di filtri e anche la
tecnica di "tirare" lo sviluppo, in modo da mantenere regolare la
luce del giorno durante tutta la lunga e faticosa lavorazione. La scena
in cui Barry subisce un'imboscata da due briganti fu iniziata in
pieno giorno: via via che la giornata procedeva, e aumentava il
numero dei ciak, Alcott doveva usare lenti sempre più luminose per
mantenere la stessa esposizione del materiale girato in precedenza
412
mentre la luce diminuiva. Le ultime parti della sequenza furono
riprese con un obiettivo Tl.2 tutto aperto.
Storicamente, i film in costume si affidavano a una serie di filtri
diffusori per addolcire l'immagine e creare l'atmosfera di un passato
idealizzato. Alcott e Kubrick decisero di non usare diffusori ma per
tutte le riprese impiegarono invece un filtro Tiffen n. 3, a basso
contrasto, e una rete marrone. <<Abbiamo optato per il filtro a basso
contrasto invece che per un diffusore perché la nitidezza e la defini-
zione in Irlanda crea una situazione per le riprese che è molto simile
a un paradiso del fotografo», disse Alcott ad «American Cinema-
rographer>>. «L'aria è così pulita, penso, perché l'Irlanda è nella cor-
rente del Golfo. L'atmosfera è praticamente perfetta e abbiamo pen-
sato che sarebbe stato un peccato distruggerla con il diffusore, spe-
cialmente riprendendo i paesaggi».
Per il matrimonio fra Barry e la contessa, Kubrick e Alcott voleva-
no ottenere una morbidezza che diventasse un commento visivo alla
scena, e aggiunsero un elemento al loro filtro a basso contrasto: «Lo
combinammo con un velo per creare il tipo di radiosità visiva che
uno associa alla felicità», spiegò Alcott a Miche! Ciment.
La maggior parte delle riprese furono effettuate con una Arriflex
35BL. Ad «American Cinematographer>>, Alcott disse: «Hai il con-
trollo dell'apertura letteralmente sulla punta delle dita. Ha una scala
più ampia e quindi una regolazione più precisa della maggioranza
delle macchine. Questa dote è particolarmente importante quando si
lavora con Stanley Kubrick, perché a lui piace continuare a lavorare,
che il sole ci sia o non ci sia. In Barry Lyndon, durante la sequenza in
cui Barry compra il cavallo per il figlioletto, il sole continuava ad
andare e venire per tutta la sequenza. In questi casi bisogna provve-
dere. La vecchia battuta che dà lo stop perché il sole se ne è andato
non funziona più». La precisione dei comandi dell'apertura
deli'Arriflex 35BL permetteva ad Alcott di adeguarsi rapidamente
ed esattamente alle cangianti condizioni di luce.
La visione di Kubrick per Barry Lyndon prevedeva un uso massiccio
dello zoom: spesso la macchina da presa esplora un'immagine perfet-
tamente composta partendo da un dettaglio e poi zoomando indietro
fìno all'inquadratura piena. Alcott e Kubrick decisero di usare uno
zoom 20: l della Angenieux, che il regista si era fatto fabbricare da
Ed Di Giulio. Il progetto implicò una lunga serie di telefonate, telex
e lettere fra Kubrick, Di Giulio e la Angenieux Corporation: l'acume
tecnico del regista abbagliava gli ingegneri, che vedevano in lui un
caso senza precedenti fra i cineasti contemporanei.
Il fluido movimento dello zoom fu ottenuto con un controllo a
ioystick studiato da Di Giulio e dalla Cinema Products: il sistema
41.~
permetteva a Kubrick e Alcott di far partire e fermare uno zoom
senza il salto improvviso che spesso si verificava con gli zoom a
motore. Alla rivista «Millimeter>>, Alcott disse: <<Pochissimi sanno
usare correttamente gli zoom. [In Barry Lyndon] lo zoom accentuava
l'aspetto fluido del film ed è stato usato in tutto il film, e non solo
come un mezzo per fare più in fretta». <<Lo abbiamo usato molto»,
disse il direttore della fotografia a Michel Ciment. <<Ogni volta
diventava un'immagine in se stessa e non, come capita di solito, un
mezzo per spostarsi da un punto nello spazio a un altro. Così ogni
inquadratura era una composizione, come lo zoom indietro dal duel-
lo con le pistole in riva al fiume. Lo zoom significava anche che non
dipendevamo più di tanto dal montaggio e dava a tutto il film una
certa morbidezza e fluidità>>.
La tecnica dello zoom divenne la scelta stilistica di Barry Lyndon
rimpiazzando i rinomati dolly e carrelli di Kubrick, così memorabili
in Orizzonti di gloria. L'uso dello zoom diventava uno strumento este-
tico che sezionava composizioni accuratamente incorniciate. La
metafora era quella di un dipinto d'epoca che prendeva vita. La
messa in scena era minima e manierata, e la costante ripetizione
dello zoom per introdurre una scena contribuiva a trasportare lo
spettatore indietro nel tempo, fino al diciottesimo secolo, attraverso
un mondo di quadri classici meticolosamente rappresentati. Quando
l'occhio della cinepresa zoomava da vicino a lontano, Kubrick espan-
deva la sua esplorazione del mondo della pittura del diciottesimo
secolo, senza superare i rigidi confini del quadro ma esaminando la
profondità dello spazio in rapporto al mutare delle distanze.
Kubrick continuò a usare il video come mezzo per comunicare fra
la macchina da presa e quello che otteneva sulla pellicola. Girando in
video dalla stessa angolazione, il regista raffinava il suo approccio
alla macchina da presa e coordinava la messa in scena e la composi-
zione in movimento.
Quando Kubrick decideva di muovere davvero la macchina da
presa, lo faceva su scala grandiosa: per intensificare l'eccitazione
viscerale della grande scena di battaglia studiò un carrello imponen-
te. Ad <<American Cinematographer», John Alcott spiegò: <<Nella
sequenza della battaglia avevamo un carrello lunghissimo, con le
macchine da presa su un binario di quasi 250 metri. Sul carrello
c'erano tre cineprese che si spostavano con le truppe. Usavamo un
dolly Elemack, con ruote da carrello, montato su una normale piat-
taforma di metallo con ruote a una distanza di oltre un metro e
mezzo, perché avevamo scoperto che questo ci aiutava molto nel cer-
care di eliminare le vibrazioni quando si girava con lo zoom a fondo.
Sembrava che assorbisse le vibrazioni più che se fossimo andati direr-
414
ramenre suli'Eiemack. Praticamente tutti i primi piani fatti dal
binario durante quella scena di battaglia sono fatte con lo zoom tira-
to a 250mm>>.
Prima di cominciare le riprese, Alcott aveva provato una macchina
da presa su un binario normale e poi su uno montato su una base: a
Kubrick erano piaciuti i risultati e aveva ordinato di fabbricare piat-
taforme su cui mettere i binari. A Ken Adam e agli uomini del suo
settore toccò l'incarico di costruire la base di legno su cui mettere i
binari. La sequenza della battaglia richiese un'ampia preparazione:
Ken Adam visualizzò con lo story board le idee grafiche di Kubrick
per girare con lenti di varie focali. Con gli story board, il regista era
in grado di decidere per ogni inquadratura quali soldati avrebbero
indossato costumi reali e quali potevano indossare quelli di carta -
fino ai campi lunghi, sullo sfondo dei quali potevano essere usati dei
fantocci. Per consentire a Kubrick di vedere le sue potenziali inqua-
drature da ogni angolazione possibile si fecero infinite simulazioni
schierando in varie formazioni dei soldatini di piombo.
Nel senso migliore dell'espressione, la maestosa e splendida foto-
grafia di Barry Lyndon fu una collaborazione fra Joh n Alcott e
Stanley Kubrick. Un operatore che lavorasse con il regista non pote-
va essere che un con-direttore della fotografia: sia Alcott che Kubrick
si occupavano del posizionamento della macchina da presa, della
composizione, della scelta degli obiettivi e anche di manovrare per-
sonalmente la cinepresa.
Per il cast di Barry Lyndon, Kubrick attinse a un vasto gruppo di
esperti attori di teatro e di cinema, che fossero abili verbalmente, e
che avessero esperienza di repertorio d'epoca. Per le sequenze irlan-
desi, il regista si rivolse agli allievi del celebre Abbey Theater.
Alcuni attori inglesi furono scelti in base alle loro specifiche abilità
ed eccentricità. Jonathan Ceci! fu inizialmente ingaggiato per inter-
pretare un personaggio del romanzo di Thackeray che lo stesso Ceci!
descrive come <<Un giovane ufficiale snob e di classe alta». L'ufficiale
viene ferito e Barry lo aiuta a salire le scale di una fattoria tedesca,
dove una giovane donna si prende cura di lui. Nella versione finale
dei film tutto quello che resta di questo brano è la storia d'amore di
Barry con la giovane tedesca che, rimasta sola, aspetta con il figlio il
ritorno dalla guerra del marito.
A ogni attore secondario di Barry Lyndon fu fatto un provino: era il
direttore del casting James Liggat a convocare gli attori, molti dei
quali erano scelti personalmente da Kubrick, che continuava a vede-
re quanti più film era possibile per rastrellare nuovi talenti.
Jonathan Ceci! aveva un'ampia esperienza di televisione e di teatro.
Mentre nei primi anni Settanta recitava in Cowardly Cu.rtard, una
415
rivista di Noel Coward, gli avevano detto che Kubrick era stato pre-
sente tra il pubblico. Ma per il regista era essenziale visualizzare
ogni attore nel ruolo che gli era proposto dalla sceneggiatura di
Barry Lyndon. Dopo aver visto il provino di Ceci!, Kubrick disse ai
suoi di avvertire l'attore che avrebbe avuto la parte. <<Fu un'esperien-
za straordinaria, posso dire con sincerità che fu una delle più strane
mai avute in trentadue anni di carriera», affermò Ceci!, che in segui-
to avrebbe lavorato con Federico Fellini, Billy Wilder e Lindsay
Anderson.
«Ci fu una giornata disastrosa, in cui diluviava come accade solo in
Irlanda. Siamo arrivati tutti alle sei del mattino in questa piccola
fattoria, che doveva essere il cover set2 , per scoprire che era senza tetto.
Entrava acqua da tutte le parti, era una rovina. Così siamo arrivati lì
solo per trovare Stanley e tutta la troupe che partivano per andare da
un'altra parte a girare qualcos'altro».
Alla fine fu trovata una location adatta a girare la sequenza della
fattoria e Kubrick iniziò a lavorare con Jonathan Ceci! e Ryan
O'Neal alla creazione della scena. Ricorda Ceci!: «Cercava di farci
inventare qualcosa, e sarebbe stata una scena molto divertente. Io,
nella parte del giovane ufficiale arrogante, cercavo di sedurre questa
ragazza tedesca in un modo alquanto rustico. Barry Lyndon, natural-
mente, aveva più fortuna con lei e io ne ero seccato. Quando comin-
ciai a interpretare il ruolo, si era all'inizio delle riprese. Ryan O'Neal
mi trasportava e io dovevo fingere di essere ferito. Mi davo un gran
da fare a lamentarmi e contorcermi dal dolore, come immaginavo
avrebbe fatto qualcuno con una pallottola nella coscia. Stanley disse:
"È troppo. Deve essere più inglese, cerca di reagire al dolore". Era
tutto il contrario di quanto risultava dalla sceneggiatura originale,
in cui il giovane ufficiale è ferito solo leggermente ma fa un sacco di
scena. Era molto drammatizzato, ma Stanley non voleva quella roba,
continuava a ripetermi: "Ora, ricordati, labbro superiore rigido". È
così che lo chiamiamo noi inglesi. Essendo diventato un vecchio
attore, credo di capire che era molto più efficace. Non mi sembrava
di stare esagerando in modo particolare, ma facevo parecchio rumore.
Stanley stava a guardare e io dissi: "Sto facendo un po' il merluzzo?".
Stanley disse: "Cosa è questa parola, "merluzzo"?". Gli spiegai che
era una vecchia espressione del gergo teatrale inglese, che significava
eccedere leggermente nella recitazione, o renderla ridicola. Si diceva:
2 Un set eli emergenza, sempre pronto a ospitare un programma alternativo nel e<IS 0
che le condizioni meteorologiche non consenrano di rispettare il programma eli riprese
all"aperto. (N.d.T.)
416
"Ha recitato da merluzzo". Voleva dire gigioneggiare. Non se ne fece
mai niente, perché Stanley decise all'improvviso che tutta questa
scena era superflua ai fini della trama>>.
<<Molti attori furono mandati a casa e le riprese furono sospese per
due o tre settimane. Non sapeva dove stava andando a finire, perché
sembrava che le scene in Irlanda andassero avanti così a lungo che il
film non sarebbe finito mai. Ci sistemarono tutti in albergo. Mentre
Stanley decideva come riadattare le trame ed eliminare alcune scene,
gradualmente sempre più attori venivano pagati e rimandati a casa e
noi stavamo lì a giocare senza fine a Scarabeo, senza sapere niente.
Quando ero un giovane attore c'erano queste commedie popolari, alla
fine delle quali tutti sono morti - era quel tipo di situazione. C'era
sempre una telefonata. Allora i telefoni irlandesi funzionavano malis-
simo. Non ci voleva niente a collegarti a Londra o all'America, ma
cercare di telefonare a un altro luogo in Irlanda era incredibilmente
difficile, e a me capitava di sentire questa voce gracchiante che dice-
va: "Tu resti nel film, ma mi chiameresti questo e questo?". Ogni
giorno mi truccavano e mi preparavano per fare l'ufficiale, anche se il
personaggio non esisteva più nella forma prevista dalla sceneggiatura
originale. Alla fine fui chiamato sul set. Mi sono sempre trovato
benissimo con Stanley, che trovavo un uomo straordinario ed estre-
mamente cortese. Ho lavorato con Fellini in E la nave va. Erano per-
sone molto diverse, ma avevano in comune una qualità: quando eri in
loro presenza ti guardavano come se fossi la cosa pitl importante, per-
ché di fatto eri un oggetto d'arte da mettere sullo schermo con tutte
le possibilità di quello che potevano fare con la tua faccia>>.
<<Tutti i week-end Stanley veniva al nostro albergo. Se veniva al
bar io scappavo perché non sopportavo di sentire puntati su di me
quegli occhi inquisitori. Pensavo: "In questo momento sono fuori
servizio". Aveva questi occhi scuri fiammeggianti e una immensa
serietà. Era interessato a ogni aspetto, anche a un attore che si limi-
tava a passare nel film con una sola battutina. Non è che mancasse di
umorismo. Il mio aspetto è quello di un eccentrico tipo inglese e
quel costume d'epoca mi stava perfettamente. Ricordo che la prima
volta che mi vide in costume si divertì. Durante il periodo, fra un
mese e le sei settimane, che mi tennero in stand-by permanente,
l'aiuto regista Brian Cook mi telefonava a casa a Londra e diceva:
"Sai le battute?", perché Stanley ha un modo incredibile di rifilarti
le battute. Una volta all'improvviso mi fu data una frase in tedesco.
Trovavo molto difficile imparare rapidamente nella roulotte, con
addosso il trucco e tutto quello che succedeva. Allora non avevo
molta esperienza: ero soprattutto un attore di teatro ed ero abituato
ad avere parecchio tempo per studiare le battute. Così Brian Cook
417
mi diceva: "Sai le battute?" e io dicevo: "Sì". "Saresti pronto a reci-
tarle domani se ti dovessimo chiamare?", e io: "Sì". E Brian: "Beh
vogliamo provarle?". Così lo facevamo al telefono. Certo che sapev~
le battute, ve lo dico io. Beh, per quanto ne sapeva lui poteva darsi
che avessi la sceneggiatura in mano e stessi leggendo. Andavamo
dappertutto in questi furgoncini Volkswagen, da una location
all'altra, anche per distanze molto brevi. Quando Stanley era in mac-
china non smetteva mai di lavorare. Aveva sempre un registratore in
funzione e ascoltava la musica che avrebbe usato, una straordinaria
collezione di musica folk e di Schubert>>.
Per la scena con l'ufficiale ferito che ha cercato di sedurre la conta-
dinella tedesca, Ryan O'Neal doveva portare Jonathan Ceci) su per
una scala di legno. Ricorda Ceci): «Facevamo un ciak dopo l'altro.
Povero Ryan. Mi portava su per la scala sollevandomi come un pom-
piere. Era molto pericoloso perché eravamo in una zona umida
dell'Irlanda e tutto era molto scivoloso per via del muschio e del
resto. Quella scena fu rifatta un sacco di volte. Io dovevo fare tutto un
discorso. Alla fine si riuscì a finirla e Stanley disse: "Stop! Jonathan
l'ha rovinata, si è dimenticato di recitare". Io pensavo di aver fatto
tutto bene. Eravamo arrivati in cima alla scala, non avevo sbagliato
alcuna battuta, non avevo sbagliato il tedesco, i passi erano giusti, la
posizione era proprio quella ma in effetti mi ero scordato di recitare».
Kubrick non dava a Ceci) molte indicazioni. Spesso si limitava a
dire: <<Ancora>> e fare un altro ciak. <<Poi una volta mi disse: "Okay,
Jonathan, sembra che la tua parte non sia più nel film, ma mi piaci,
penso che tu sia bravo. In questo film non ci sono ruoli da nobile
inglese. È possibile che ti troveremo qualcosa più avanti. Ti voglio
nel film". E fu tutto, fui mandato a casa. Pensavo: "Oh, beh, è genti-
le da parte sua parlare così". A fine ottobre o ai primi di novembre
tornai in Inghilterra per fare una serie televisiva comica, feci un'altra
cosa per la Tv e partecipai a un Amleto. Non avevo idea che Barry
Lyndon stesse ancora andando avanti. Ero a Glasgow e all'improvviso
mi arriva una telefonata. Stanley mi mandò il suo assistente, Andros
Epaminondas, per farmi un provino a torso nuclo nella sala
dell'albergo. Andros gli aveva detto: "Ma scusa, hai tutto quesro
materiale girato di Cecil, perché devo andare fin lassù". Stanley, con
il suo perfezionismo, aveva detto: "Che fai domenica?". "Beh, nien-
te", aveva detto Andros. Così dovette venire a Glasgow e riprender-
mi in questo albergo molto puritano. Io avevo il terrore che entrasse
qualcuno e mi trovasse nei panni di questo ufficiale gay, a torso nudo
nella sala riservata agli ospiti>>.
Quando Ceci) tornò sul set di Barry Lyndon, aveva sempre il ruol.o
dell'odioso ufficiale che Barry usa per disertare prendendogli l'uni-
418
forme: ma stavolta Kubrick gli fece fare la parte di un soldato gay
innamorato di un altro ufficiale.
«Una cosa che non dimenticherò mai di Stanley accadde nel giu-
gno seguente, mesi dopo che avevo usato quella parola, "merluzzo",
che chiaramente aveva archiviato nella sua mente, perché mentre
facevo l'ufficiale omosessuale nell'acqua con l'altro ufficiale mi disse:
"Jonathan, così come l'hai appena detto è un po' da merluzzo".
Pensai: "Che uomo straordinario". Io avevo usato questa espressione
all'antica, da attore estivo, e lui l'aveva ricordata e utilizzata. Pensavo
che fosse straordinario, calcolando che da quando c'ero stato io nel
film erano passati più di un centinaio di attori».
Il nuovo ruolo di Jonathan Ceci! sopravvisse nella versione defini-
tiva di Barry Lyndon. Mentre i due ufficiali gay si struggono per
l'imminente separazione, Barry spunta da dietro una collinetta e
ruba l'uniforme e il cavallo di uno di loro per sfuggire ai rigori del
suo reggimento e riacquistare la libertà. La macchina da presa inizia
su Barry che porta dell'acqua- fuori campo sentiamo le voci dei due
amanti, mentre lui si avvicina ai vestiti e al cavallo. La macchina
continua la panoramica e zooma nell'acqua mentre vediamo i due
uomini a media distanza, quindi torna su Barry che ruba le loro cose.
La conversazione rimane costante per tutta la scena.
La sequenza si svolge in una giornata calda, che incoraggia i due
uomini a spingersi nell'acqua nudi dalla cintola in su. Kubrick deci-
se di girare in un giorno che era tutt'altro che caldo. Ricorda
Jonathan Ceci!: <<Mi battevano i denti. Stanley continuava a gridare
nell'altoparlante: "No, no, no. Jonathan, rilassati, fa caldo, è una
splendida giornata">>.
La situazione era aggravata dalla passione di Kubrick per girare
tutti i ciak necessari a trovare di una scena ogni sfumatura possibile.
<<Sessanta ciak! Non ne avevo mai fatti tanti in tutta la mia vita»,
dice Cecil. <<Fu girata da ogni angolazione. Stanley stava subito
sopra l'argine e noi eravamo subito sotto. Io e il mio partner,
Anthony Dawes, continuammo a essere convocati per tutta l'estate.
Era bellissimo essere sul libro paga. Continuavano a convocarci e
Stanley non è mai convinto della location. Stanley non è sicuro fino
al momento in cui è proprio sul posto e vede la location, e solo allora
lo sa. L'ho visto andarsene da un set, anche se lo scenografo gli aveva
assicurato che era perfetto e prima aveva visto ogni tipo di diapositi-
:a e fotografia. Fino a quando non si trovava lì, con gli attori e tutti
m posizione nella scena, non aveva ancora deciso di volerla in quel
modo. Era un'area bellissima nella campagna nell'Inghilterra occi-
dentale. Eravamo in un fiume e Stanley stava sull'argine. Girava da
lontano. Dovevamo essere in piedi nell'acqua, ma era troppo poco
419
profonda, per cui in realtà eravamo in ginocchio su una chiana mon-
tata su una specie di lancia>>. Per girare la scena ci volle un'intera
giornata di dodici ore.
Agli attori esperti di Barry Lyndon Kubrick chiedeva disciplina.
Spiega Ceci!: <<Stanley era molto rigoroso, tutto doveva essere prova-
to fino all'ultimo dertaglio e un attore aveva pochissimo spazio per
variare l'interpretazione da un ciak all'altro. Su Peter Sellers, in
Lolita, lasciava che la macchina da presa continuasse a girare.
Leonard Rossiter, che diede un'interpretazione straordinaria come il
capitano Quin, era un attore imprevedibile e insolito. A Stanley pia-
ceva quel tipo di attore. Era molto rigoroso nel volere che turto fosse
ripetuto esattamente. Stanley non era troppo propenso a lasciare che
uno se ne uscisse fuori con qualcosa di leggermente diverso, ma face-
va qualche eccezione per artori dotati di quel genere di eccentricità».
Kubrick continuava a decidere come si doveva girare una sequenza
anche quando si trovava sul set di fronte agli attori. A R ic hard
Schickel, Ryan O'Neal dichiarò: «Il momento più difficile della
giornata di Stanley era trovare la prima inquadratura. Una volta fatta
quella, turte le altre andavano a posto. Ma agonizzava sulla prima.
Una volta che era proprio bloccato cominciò a cercare in un libro di
riproduzioni artistiche del diciottesimo secolo. Trovò un quadro, non
mi ricordo quale, e sistemò Marisa e me come se fossimo in quel
quadro>>.
O'Neal ricorda un momento durante una scena particolarmente
difficile che per lui costituì la svolta per capire l'approccio totale di
Kubrick al cinema: «Trovò il modo di passarmi vicino mentre dava
istruzioni alla troupe - "Passiamo alla trentadue, sposta quelle luci
in primo piano" e così via - ma quando mi fu vicino, mi prese la
mano e me la strinse. Fu il gesto più bello e più apprezzato della mia
vita. Il momento più bello della mia carriera>>.
Gay Hamilton, che interpretava la cugina di Barry, Nora Brady,
non incontrò Stanley Kubrick fino a quando - dopo essere già stata
scelta- arrivò sul set pronta a interpretare il ruolo. L'attrice scozzese
era venuta a Londra dopo aver studiato al Glasgow College: era stata
membro della Royal Shakespeare Company ed era apparsa in nume-
rose produzioni televisive. «Conoscevo bene il direttore del casting,
Jimmy Liggat>>, ricorda la Hamilton. «Mi chiamò per un colloquio e
mi disse: "Stanley Kubrick non incontra nessuno". Fui chiamata.
Non c'era una sceneggiatura. Mi dissero di fare qualcosa in video,
così feci Il fmfantello dei/'Ove.rt di J.M. Synge. Mandarono quella roba
a Stanley e lui disse: "Sa fare anche altro?". Alla fine feci una cosa
che avevo imparato da bambina e ci siamo fatti un sacco di risate.
Jimmy Liggat disse che Stanley aveva chiesto se io potevo "far vedere
420
le gambe" per qualche motivo - non penso che nel film si vedano
01 ai, tranne forse un pochino quando balliamo. Non ho incontrato
Stanley fino alle prove costume, che sono state tenute con grande
attenzione. La parte inferiore dei materiali che usavano era parecchio
sbiadita. La forma dei costumi e dell'acconciatura prevista per il mio
ruolo era basata su dipinti francesi. C'è un Fragonard con una ragaz-
za, con le guance rosa, i capelli marroni raccolti e la testa inclinata a
leggere un libro. Ogni materiale veniva mostrato a Stanley Kubrick,
esaminava personalmente ogni costume. Era in contatto con tutto.
Era circondato da consiglieri ma alla fine dovevano mostrare tutto a
lui e farglielo approvare. Non c'era dubbio che avesse il controllo su
ogni singolo aspetto del fare cinema>>.
«Quando lo incontrai per la prima volta ero stata portata in un
campo in Irlanda. Faceva piuttosto fresco. Lui era su un'ampia strut-
tura e filmava dall'alto. Guardava in basso verso di me ed era il
nostro primo incontro. "Salve", disse. "Ti puoi girare?". Era straordi-
nario. Naturalmente mi rendeva estremamente nervosa, anche se ero
già stata scelta e avevo già il costume ed ero pronta a partire, ma non
l'avevo mai incontrato. È solo che evita di incontrare chiunque a
meno che non sia proprio necessario. Mi ci trovai benissimo. Fu sim-
patico perché la mia parte nel libro è molto piccola e alla fine mi
disse: "Vorrei che il personaggio avesse da fare qualcosa di più ma,
sai, non posso inventarmelo">>.
Gay Hamilton aveva letto il romanzo di Thackeray per assorbire
tutto quello che poteva del personaggio. «Non era molto>>, ricorda
l'attrice: «I suoi capelli sono descritti come color carota, e ovviamen-
te erano diversi dai miei. Speravo che non mi avrebbero fatto una
cosa simile. In sostanza, Stanley mi diede una sola indicazione, che
durò per tutta la lavorazione. Noi attori inglesi interpretiamo la
Restaurazione, così l'epoca mi era familiare, e la interpretiamo in
modo manierato. Stanley disse: "Posso parlarti un minuto?". Mi
prendeva da parte e mi diceva: "Gay, posso parlarti un minuto?". Mi
parlò con molta pazienza: "Vedi, questo personaggio è una civetta,
ed è una birbona, così interpretalo con rutta la dolcezza che riesci a
metterei". Era magnifico. Da allora ho ripensato molte volte a quella
indicazione, perché era così giusta. L'aveva centrato fin dall'inizio,
dicendo: "Questa la facciamo sul serio e tu devi interpretarla come
una persona simpatica perché noi sappiamo tutto del tuo personag-
gio". Era un'indicazione che ti spiegava direttamente come interpre-
tare il personaggio. Naturalmente la narrazione stava spiegando al
pubblico chi io fossi. Di tanto in tanto ti prendeva in disparte e si
Parlava del livello dell'energia o dell'emozione, ma dopo quella sin-
gola indicazione su come interpretarla non ne ebbi molte altre. È un
421
po' come se l'avessimo risolta e in qualche modo ora il personaggio
fosse presente>>.
<<Con me fu sempre gentile, tranne una volta che mi slacciai
quell'infernale corsetto e lui gridò: "Gay - servono due persone per
prepararlo!", ma nel complesso ci trovammo estremamente bene.
Ryan O'Neal stava in questa casa vicino Dublino. Stanley e Ryan
guardavano sempre video di pugilato perché a Stanley piace molto, e
piaceva anche a Ryan. Naturalmente all'epoca c'era in giro Tatum, la
figlia di Ryan, che scorrazzava dappertutto. Una volta dovevo pro-
varmi un costume e andare a mostrarlo a Stanley, ma lui e Ryan
erano così occupati a guardare il video della boxe che io dicevo:
"Scusate? Scusate!- Sono qua!". Stanley si limitò ad alzare la testa, e
mi fissava. Gli dissi: "Oh, quanto sai essere difficile">>.
<<Le inquadrature erano così lunghe - tutta quella luce. Stanley
metteva un bel po' delle luci, in stretta collaborazione con John
Alcott, ma se ne occupava personalmente. Kubrick non se ne andava
a fare altro, stava sempre lì. Una volta andammo tutti ai monti
Wickley in Irlanda e non si fece nulla tutto il giorno. Era una lunga
carovana- tutte le roulotte, e tutti quanti a guidare, guidare, guida-
re - non si girò neppure un fotogramma>>.
Quando le riprese iniziarono in autunno in Irlanda, la sceneggiatu-
ra era completa ma molti degli elementi che dovevano descrivere una
scena non c'erano. <<Mi diedero tutto quello che era stato scritto, ma
su ogni cosa c'era un'aria di mistero>>. Per la scena in cui Barry e sua
cugina Nora Brady attraversano a piedi il bosco, Kubrick si rivolse
agli attori perché sviluppassero il dialogo. Ricorda Gay Hamilron:
<<Stanley disse a Ryan: "Questa è tua cugina e tu sei ... " e poi si voltò
verso di me e disse: "E tu cosa diresti a questo punto?". Lui impostò
la situazione e praticamente toccò a noi scrivere le battute>>.
Kubrick usò lo stesso metodo per la prima scena fra Barry e Nora,
all'inizio del film. Incontriamo Barry che gioca a carte con sua cugi-
na Nora in una stanza decorata con conchiglie. La scena fu girata a
Powercourt Mansion, subito fuori Dublino. Ricorda Gay Hamilron:
<<Non sapevamo nemmeno che avremmo dovuto giocare a carte.
Arrivammo sul posto e ci mettemmo a sedere cercando di decidere
come sarebbe stato. Poi, all'improvviso, a qualcuno venne in mente
che avremmo potuto giocare a carte. "Andate a prendere delle carre".
Lì non c'era nulla>>.
Kubrick continuò a usare il metodo di rifare una quantità di ver:
sioni in un solo ciak, una filosofia che sposava la teoria che quando 51
fa un film la pellicola è la cosa che costa meno. Kubrick cercava una
tensione erotica fra Barry e sua cugina, quando lei lo stuzzica
nascondendosi un fiocco nella scollatura e sfidandolo a rrovarJo.
422
Ricorda la Hamilton: «Quella volta c'era una sorta di eccitazione
nell'aria. Quando lo bacio nella casa estiva con le conchiglie ricordo
che erano le otto di sera e avevamo fatto qualcosa come quattordici
ciak del bacio e Ryan disse: "Devo andar via perché Tatum ha la feb-
bre!". Certo, avevamo giorni lunghissimi che iniziavano alle sei del
mattino, e terminavamo attorno alle nove di sera. Erano giornate
lunghissime. Attingevi a riserve di energia che non sapevi di avere, e
alla fine della giornata ti sostenevi a forza di Guinness>>.
Kubrick mandò Gay Hamilton e Leonard Rossiter, che interpreta-
va il corteggiatore di Nora, il capitano Quin, da un'insegnante di
ballo a Londra, perché imparassero una danza irlandese che avrebbe-
ro dovuto fare nel film. Dopo molte lezioni, la Hamilton e Rossiter
conoscevano il ballo alla perfezione. La produzione era a Waterford e
Kubrick girò la scena a County Clare, con la gente del posto che
scava a guardare la coppia che danzava felice. Durante le riprese, la
Hamilton e Rossiter eseguirono il ballo alla perfezione, ma Kubrick
continuava a girare un ciak dopo l'altro. Ricorda la Hamilton: «La
facemmo perfettamente molte volte. Alla fine urlavamo: "Che diavo-
lo c'è che non va? Perché continua a rifarla?". Lui non spiegava.
Diceva soltanto: "Okay, benissimo, di nuovo". Penso che ce la voles-
se lasciar rifare ancora e ancora e ancora fino a quando fossimo arriva-
ti a farla quasi senza pensarci, come se avessimo ballato così tutta la
vita. Non sì voleva dare l'impressione che ci fosse appena stata inse-
gnata. Probabilmente la facevamo in modo un po' precisino, con
tutti i passi giusti. All'improvviso i capelli cominciavano a spetti-
narsi e sudavamo- era voluto>>.
<<Aveva un lato abbastanza diabolico. Una volta ero in un campo
lungo, quello a fianco della collina, quando mi si vede che do un
fiocco a qualcun altro e si scopre come sono veramente, e Stanley
disse, e questa la disse ad alta voce: "Gay, non riesco a vedere quello
che fai. Qui sei in un campo lunghissimo. Falla come quando hai
fatto il tuo primo piano, così possiamo vedere cosa stai facendo" e
intendeva che sul primo piano avevo esagerato. Mi stava prendendo
in giro, ma in modo simpatico>>.
«Cominciava in campo lungo. Partiva da lontano e poi zoomava in
avanti. Ricordo che fui molto sorpresa quando lo vidi. Ero molto
sorpresa che all'inizio fossimo così lontani. Non ne avevo idea. Solo
che ci volle un sacco, ma un sacco di tempo a preparare quella inqua-
dratura. Una volta preparata, la si fece un po' di volte ma non con
rnolte macchine da presa. Era solo quella singola inquadratura. La
Preparazione richiese secoli. Stette un bel po' a guardare in obiettivi
diversi fino a quando si decise a girarla in un certo modo. Non penso
che avesse un piano prestabilito, proprio non è così che lavorava.
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Trovava l'attore e andava sul set, anche nella casa delle conchiglie
stavamo lì e creavamo sul posto, facendo tutto in brevi pezzetti>>.
Spesso Kubrick stava personalmente alla macchina ed era molto
esigente circa la precisione della coreografia della ripresa. Il macchi-
nista del dolly Luke Quigley, lavorando con Bob Gaffney su una
pubblicità parecchi anni dopo, gli avrebbe raccontato un esempio:
<<Avevamo preparato questa scena che aveva circa otto movimenti del
dolly. L'ultimo movimento era poco più di due centimetri. Abbiamo
fatto il ciak e Stanley aveva una cuffia per controllare il dialogo e
stava in macchina>>. Luke manovrò il dolly per tutta la complessa
sequenza, facendo tutti i movimenti tranne l'ultimo. <<Stanley Io
chiamÒ>>, racconta Gaffney. <<Pensa alla difficoltà di vedere la diffe-
renza: Stanley seguiva il dialogo, stava in macchina e aveva ancora
abbastanza testa per accorgersene. Non è che contasse gli otto movi-
menti: tutto il suo corpo era accordato su quel movimento di mac-
china>>. L'abitudine di Kubrick di stare alla macchina personalmente
provocò le dimissioni di uno degli operatori, che se ne andò perché si
sentiva inutile.
La pressione dovuta al fatto di girare in ambienti reali e le neces-
sità dell'enorme produzione di Barry Lyndon forse non erano evidenti
per il cast e la troupe, che vedevano Kubrick attraversare con sicu-
rezza le difficoltà della lavorazione, ma lo stress cominciava a farsi
sentire: sulle mani di Kubrick apparve uno sfogo che non andò via
fino a quando Barry Lyndon non fu ultimato. Anche se Christiane lo
aveva recentemente convinto a smettere, il regista riprese a fumare
pesa n teme n te.
L'attore scelto per fare il capitano Potzdorf interpretò il ruolo
davanti all'obiettivo per quasi tre settimane e poi Kubrick decise che
non funzionava. Il regista non parlò personalmente con lui: come
aveva fatto con Alex North, preferì evitare di affrontarlo e lasciò che
fossero i membri dello staffa informare l'attore che non faceva più
parte del film. A un certo punto Kubrick discusse il ruolo di
Potzdorf con Steven Berkoff, ma poi decise di assegnare il ruolo a
Hardy Kruger, che aveva un certo nome in Europa e in America.
Girare a lume di candela fu un'esperienza unica per gli attori.
Ricorda Steven Berkoff: <<Sul set si parlava parecchio di quanto fosse
unico. Ricordo che ero affascinato dal fatto che non ci fossero luci
dall'alto o per gli sfondi. Doveva essere soltanto luce di candela, in
modo da dare un contributo unico all'arte della cinematografia risa~
lendo alla pittura. La pellicola era poco sensibile e la profondità dJ
campo era ridotta. Di conseguenza non c'era molto spazio di movi-
mento per gli attori: bisognava posare quasi come se fosse per un
ritratto. Avevamo tutte queste candele accese e, naturalmente, a
424
rneno che si facesse tutta una tirata, le candele si riducevano fra un
ciak e l'altro. Stanley faceva così tanti ciak e così tante inquadrature
che bisognava continuamente rimpiazzare le candele accese, e i loro
costi diventavano enormi. Dovevano costantemente controllare per
vedere quante candele c'erano. Continuavano a tirare fuori dei librini
e a controllare i prezzi delle candele. Divenne un ulteriore elemento
di stress, perché era necessario usare le candele rispettando la conti-
nuità: una candela dura a lungo ma dopo un paio d'ore ha un aspetto
diverso, per cui era un grosso problema>>.
«Andai a un grosso edificio municipale di Dublino che usavano
per una scena. A Dublino c'era un enorme temporale e fuori dalle
finestre c'erano grandi luci ad arco per creare la sensazione della luce
del giorno. Il temporale sferzava l'edificio e all'esterno i macchinisti
irlandesi dovevano tenere fermi i cavalletti di questi fari giganteschi.
All'interno c'era un'immagine di serenità e calma. C'erano dozzine
di comparse in attesa e in mezzo a tutto ciò questi tizi sono fuori a
reggere le lampade ad arco. Era pieno di comparse, e tutto quel truc-
co ... E Stanley se ne stava lì tranquillo, seduto in un angolo a parla-
re con Hardy Kruger. Stanley è un perfezionista fantastico: vuole
sempre vederne ancora, perché sente che se un ciak viene ripetuto ne
uscirà qualcosa di nuovo. Dopo qualche dozzina di volte, un attore
comincia a sbottonarsi, cade a pezzi. A furia di ripetere le parole non
sa più se suona inglese o indostano. Sicuramente non significa più
niente, perché hai ormai esaurito l'associazione che la parola ha nella
tua mente, e comincia a diventare solo un buffo suono. Stanley ha
quest'occhio incredibile, un'intelligenza attenta e acuta, e pensa che
stia sempre per succedere qualcosa>>.
Steven Berkoff interpretava Lord Ludd, un giocatore e dongiovanni
che gioca a carte contro Chevalier, un truffatore interpretato da
Patrick Magee. La scena si svolgeva in una stanza elegante, piena di
uomini e donne facoltosi e ben vestiti che assistevano all'incontro di
gioco. Ricorda Berkoff: «Prima dovevano girare con Patrick, poi
avrebbero potuto mandarlo a casa e io sarei passato per ultimo.
Patrick doveva dire tre parole, e per quelle tre parole ci volle tutto il
giorno -tutto il giomo. Patrick doveva dire: "Faite.r vo.r jeux, Mesdames,
Messieurs", e poi dare le carte. Per i primi due o tre ciak sembrava
tutto a posto. Pat diceva: "Faites vo.r jettx, Me.rdames, Mes.rieurs", con la
sua cadenza irlandese, ma andava bene. Poi all'improvviso jeux
~ivenne yeux, che significa occhi. Ricordo Stanley che diceva: "No, è
J~ux, Pat,faire vo.r ye11x è truccarsi gli occhi". Stanley la metteva gen-
tilmente, in un modo intellettuale, fraterno. Così Patrick disse: "Mi
spiace, Stanley, la farò bene". Ma visto che Pat si stava concentrando
Per dire vo.r je11x, la toppa che aveva sull'occhio tremava, perché sotto
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sbatteva l'occhio, si supponeva che fosse orbo. Così a quel punto
Stanley disse: "Pat, se solo potessi tenere quell'occhio chiuso, perché
si vede che sei agitato e la toppa si muove". Allora Pat riuscì a tenere
ferma la toppa, ma disse "Vos yeux" perché stava pensando alla toppa.
Poi, qualche ciak dopo, Pat cominciò a sudare perché stava preoccu-
pandosi del "jmx" e della toppa: così le carte che aveva in mano
cominciavano ad appiccicarsi, perché il sudore delle sue mani le
impiastricciava, e dovettero pulirle. Tutto questo andò avanti per
altri dieci ciab>.
«Allora ero soptattutto un attore di teatro, avevo alle spalle dieci
anni di esperienza, e così mi ripeto: "A me non succederà". Mi carico
di energia, come un lottatore. La cosa va avanti e avanti. Facciamo
una pausa e Stanley dice: "Pat, faremo solo il primo piano per "jeux"
e poi faremo le mani a parte, perché so che per te è difficile".
Quando Stanley riprese solo le mani di Pat, erano di nuovo sudate,
così lui disse: "Pat, non possiamo usare le tue mani". Così pensai:
"Non possono girare le mani -e allora come si fa?". Così quello che
fece Stanley fu di telefonare in Inghilterra e chiedere un mago che
venisse solo per dare le carre. Facciamo una pausa, ed ecco che arriva
David Bergraff, un mago meraviglioso, e Stanley filma solo le sue
mani. Le mani di David sono bellissime e le carte volano via dalle
sue dita come se andassero a reazione. Stanley è soddisfatto e a que-
sto punto si torna a Pat, perché nel campo medio si vedono le sue
mani ma non corrispondono. E Stanley dice a Pat: "Bisogna che ti
radi le mani, Pat", perché ha le mani pelose. Così è Pat, questo gran-
de divo, una forza che ha lavorato con Peter Brook, che è costretto ad
adattarsi alla controfigura, invece di mettere un po' di pelo sulle
mani di quest'ultimo. Ma è che avevano già ripreso le mani di
Bergraff, lisce, bianche come la panna. Le mani di un maestro della
prestidigitazione, così si dovettero rasare le mani di Pat. Pat tornò il
giorno dopo con le mani nude e dovette fare di nuovo "jeux". E fu
tutto. Alla fine si fece il controcampo con me e le ragazze>>.
«Io dicevo alle ragazze: perché non venite a sussurrarmi cose
all'orecchio, mi prendete la mano, sorridete, fate le carine, mi mor-
dicchiate il lobo dell'orecchio - ci si divertiva. Dovevo anche dire
qualche battuta in francese, e lo feci con l'enfasi di un francese e,
naturalmente, Stanley disse: "Perfetto, perfetto". lo mi limitavo a
guardare le ragazze e diedi loro un buffetto, guardai, strizzai l'occhio
e continuai a recitare, e Stanley disse: "Va bene, stop, ottima. Okay,
Steve, la rifacciamo". Cambiava obiettivi, provava varie possibilità,
così rifeci la scena; la rifacciamo e Stanley fa: "Bene, ora proviamo a
farla un po' più stretta, okay, di nuovo". E fa otto, nove ciak. "Okay,
proviamo di nuovo e magari mettiamo la macchina qui". Io avevo la
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strana sensazione che a Stanley piacesse vedere l'arcore quando
cominciava a perdere colpi, forse perché gli avrebbe rivelato qual-
cos'altro, gli avrebbe dato qualcosa di diverso. L'operatore comincia-
va a essere stanco ma io mi dicevo: "Non perderò un colpo, mai!
Non me ne importa se dobbiamo stare qui giorno e notte, si romperà
la macchina da presa, si romperanno tutti prima che io perda un
colpo, non mi spezzerò mai!>>.
<<Così abbiamo fatto ciak dopo ciak dopo ciak dopo ciak e su ogni
ciak non ho mai sbagliato una parola, anzi, cominciavo a godermeli
rutti uno più dell'altro. Dopo circa venticinque ciak, Stanley disse:
"Okay, ce l'abbiamo". Io dissi: "Oh, tutto qui?". Fu una giornata
indimenticabile>>.
<<Stanley ha un'aria vagamente rabbinica. Nel suo lavoro c'è una
qualità riflessiva perché è un intellettuale, e gli intellettuali non si
irritano perché versano il prezioso contenuto della loro mente - un
fesso può sempre urlare e strepitare perché non ha niente da versare,
è vuoto. Quando hai una tazza piena, la muovi con calma>>.
<<Vedevo Lord Ludd come un bellimbusto inglese. Indossava una
parrucca bianca, nei di bellezza e rossetto. Lo interpretai come un
ganimede decadente, pieno di indulgenza ed enormemente facoltoso.
Quando vidi i costumi che stavano preparando e gli effetti del truc-
co, riuscii facilmente a entrare in quel modo di pensare, e a recitare
il ruolo di quel tipo di bellimbusto elegante e molto sofisticato, che
amava le donne ed era una specie di dandy della Reggenza.
Provammo la scena e io improvvisai un po'. La scena era in gran
parte di mia creazione. Ormai conoscevo Stanley, aveva fiducia in me
avendo io lavorato su Arancict meccanica, e mi lasciò mano libera>>.
Ryan O'Neal e Steven Berkoff avevano un maestro di scherma che
li seguiva per la scena in cui Barry e Lord Ludd duellano per risolve-
re la questione del debito di Ludd con Chevalier. Ricorda Berkoff:
<<Durante il duello infilzai Ryan. C'era un cappuccio di sicurezza
sulla spada, ma dato che era un primo piano la punta era solo smus-
sata e facendo una parata lo colpii sulla nocca. Mi dispiacque molto
perché è una persona adorabile. Stanley non fece troppi ciak del
duello, ma ci fece improvvisare. Fece un discreto numero di ciak ma
non credo che potesse tirare Ryan più di tanto perché Ryan aveva
tanto da fare ed era un divo, e i divi sono trattati un po' diversamen-
te da ogni regista>>.
<<Kubrick era chiaro e comunicava con tutti. Non lasciava mai nes-
suno nel dubbio. Era buono con le persone, disposto a parlare con
tutti, non c'era nessuno con cui non fosse disposto a parlare, nemme-
no l'attore piì:t piccolo. Aveva tempo per tutti, incoraggiava la gente.
Quella era casa sua, eravamo la sua famiglia. Non era dittatoriale,
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dogmatico, scostante, era un essere umano, leggermente ossessivo
ma profondamente umano nel suo lavoro e con i suoi attori, e total-
mente disponibile>>.
Kubrick non dava mai ai suoi attori molte istruzioni. Ascoltava i
suggerimenti e lavorava facendo loro raffinare le caratterizzazioni
attra~erso una costante ricerca di nuove sfumature, ottenuta girando
ciak a ripetizione. A Richard Schickel, Patrick Magee raccontò: <<Le
parole chiave sul set sono: "Falla più in fretta, falla più lentamente,
falla di nuovo". Soprattutto "Falla di nuovo">>. Murray Melvin, che
era apparso in Sapore di miele e I diavoli, interpretava il reverendo
Runt. La straordinaria faccia e il portamento di Melvin evocavano il
diciottesimo secolo in modo inquietante: dava l'impressione di essere
arrivato sul set di Barry Lyndon uscendo da un dipinto di un maestro
olandese. Kubrick non metteva sotto pressione Marisa Berenson o gli
attori bambini, Dominic Savage e David Morley, ma spremeva fìno in
fondo gli interpreti con più esperienza. Su una scena particolare di
Murray Melvin girò qualcosa come cinquanta ciak. <<Sapevo che aveva
visto qualcosa che avevo fattO>>, disse l'attore a Richard Schickel, <<ma
essendo un bravo regista non mi avrebbe detto cos'era. Perché se
qualcuno ti dice che hai fatto un pezzetto buono, dopo tu lo sai e lo
metti fra parentesi e lo uccidi. Più eri bravo più roba ti tirava fuori>>.
L'utilizzo di un così alto numero di ciak da parte di Kubrick era
considerato da molti un uso irrazionale e ossessivo del potere registi-
co, ma lui credeva fermamente che i buoni attori di cinema fossero al
loro meglio nel momento della ripresa. Come disse a Richard
Schickel: <<Gli attori che hanno fatto molti fìlm non riescono vera-
mente a comunicare nelle loro interpretazioni un senso di autentica
eccitazione se nella cinepresa non sta scorrendo la pellicola>>.
Per il ruolo di Graham, nella seconda metà del fìlm, Kubrick scel-
se Philip Stone, che era stato "Papà" in Arancia meccanica. Graham è
un devoto servitore di casa Lyndon che passa un bel po' di tempo a
curare gli affari e spulciare i conti con l'accuratezza di un ragioniere.
L'attore appare in molte scene sullo sfondo, intessuto nel ricco arazzo
d'epoca ordito da Kubrick, fino alla fine del film quando Lord
Bullingdon lo manda a informare Barry dei rigori dell'accordo finan-
ziario in relazione alla sua messa al bando dall'Inghilterra e a Lady
Lyndon. Ricorda Stone: <<Nel bellissimo Barry Lyndon, Graham era sì
e no una comparsa ma poi, alla fìne, nella locanda, dopo che a Barry
hanno fatto fuori una gamba, dovevo all'improvviso venire fuori con
una scena molto intensa. Ryan O'Neal fu molto sorpreso della rnia
performance, dopo che ero stato sullo sfondo per settimane. Stanley
si limitò a strizzarmi l'occhio e disse serafìco: "Non preoccuparn,
Ryan, sa come farla">>.
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<<Stanley è strano, cupo e silenzioso, sembra taciturno e ossessivo -
rna chi non lo sarebbe facendo i fìlm che fa lui. Sembra che il suo
occhio interno sappia esattamente dove sta andando. Bisogna avere
in lui una grande fiducia: cerca sempre il fattore X e va avanti finché
non sente di averlo trovato. Diceva: "Okay, ottimo! Di nuovo". Ogni
ciak è una creazione. Lavorare con lui richiede un sacco di pazienza.
Ti può capitare di essere nella roulotte, truccato e pronto a partire, e
aspettare una settimana. Poi all'improvviso viene da te per una scena
intensa. Ci vuole coraggio a lavorare per Stanley, all'improvviso è
capace di cambiarti il dialogo sul set o di darti una quantità di bat-
tute da imparare in poco tempo e tu devi stare calmo, non serve a
niente perdere la bussola. A me non era mai capitato, e per ogni
nuovo film continuava a chiamarmi>>.
Kubrick aveva deciso di usare per Barry Lyndon autentica musica
del diciottesimo secolo e non una colonna sonora originale. Per
arrangiare, orchestrare e dirigere la musica, che avrebbe spaziato
dalla musica classica a quella folk dell'epoca, il regista scelse
Leonard Rosenman, un rinomato musicista per il cinema e la televi-
sione che aveva scritto musica per La valle dell'Eden, Gioventù brJtcia-
ta, Jack Diaruond gangster, L'inferno è per gli eroi, Viaggio allucinante,
Un uomo ,·hiamato cavallo, L'altra faa·ia del pianeta delle .ràrumie, The
Defender.r, Combat, "Il virginiano", "Kojak" e "Marcus Welby". A un
seminario presso l'American Film Institute, Rosenman disse:
«Stanley mi chiamò un lunedì chiedendomi di andare in Inghilterra
il mercoledì successivo - il film era finito. Non avevo mai fatto
adattamenti prima, e per me era l'occasione di dirigere la London
Orchestra in alcuni pezzi classici che mi interessavano. Non mi face-
vo illusioni di avere alcun lavoro creativo da fare sul film. Gli chiesi
che cosa avesse scelto e lui disse: "La prima cosa che voglio è com-
prare il tema di Il padrino". Dissi: "Beh, se pensi di fare una cosa
simile dimmelo subito, così faccio in tempo a prendere il primo
aereo per andarmene". "Che c'è che non va? È un tema bellissimo".
Risposi: "Hai ragione, ma l'ultima volta che ho visto Il padrino era
un film di gangster, non sugli aristocratici del diciottesimo secolo".
Ascoltai tutti i dischi che aveva, e aveva scelto una sarabanda regi-
strata con un clavicembalo; pensava che il basso sarebbe stato mera-
viglioso per le scene del duello. Aveva un altro tema per il bambino
morente, tratto da una delle peggiori opere di Verdi. Era come se
una classe di psicologi si fosse riunita e avesse detto: "Cerchiamo
qualcosa che davvero respinga la gente". Gli dissi che con quella
roba non avrei potuto fare niente e suggerii di provarlo con le per-
cussioni per sentire come veniva. Provammo a farlo così con la
london Symphony e lui se ne innamorò perdutamente>>.
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<<Me ne andai dopo aver scelto tutta la musica e averla registrata
sul posto. Poi lui praticamente fece un anello del tema di Verdi e lo
usò a ripetizione. Se avessi saputo che lo voleva così lungo, ne avrei
orchestrato qualche altra variazione; il pezzo aveva cinque variazioni
deliziose. Quando vidi questo film incredibilmente noioso con tutta
la musica che avevo scelto ripetuta in continuazione pensai: "Mio
Dio, che pasticcio!" Volevo rifiutare l'Oscar. La musica classica usata
nel film è molto più vicina a me perché sono un pianista. Io ne scelsi
solo circa metà e fu lui a scegliere l'altra>>.
La straordinaria sequenza in cui Barry duella con Lord Bullingdon
costituiva solo una riga nella sceneggiatura di Kubrick: "Barry duel-
la con Lord Bullingdon". La sequenza richiese quarantadue giorni di
montaggio. Per trovare la sarabanda di Handel usata come colonna
sonora, Kubrick aveva ascoltato ogni disco disponibile di musica del
diciassettesimo e del diciottesimo secolo e acquistato migliaia e
migliaia di dischi.
Mentre la postproduzione si avvicinava alla fine, Kubrick accelerò
i suoi ritmi passando qualcosa come diciotto ore al giorno sulla
colonna sonora e pianificando le campagne pubblicitarie e la promo-
zione. La sua devozione al lavoro andava ben al di là del paradigma
di un cineasta appassionato. La distinzione fra vita e lavoro era sfoca-
ta per Stahley Kubrick, con la sua ossessione per la perfezione e
l'inseguimento di una visione sempre in evoluzione. A Richard
Schickel spiegava: <<Se dici che non ti importa c'è un senso di totale
demoralizzazione. Dall'inizio alla fine di un film, le uniche limita-
zioni che io osservo sono quelle che mi sono imposte dalla quantità
di denaro che devo spendere e dalla quantità di ~onno di cui ho biso-
gno. O ti importa o non ti importa e semplicemente non saprei dove
tracciare la linea di demarcazione fra questi due punti>>.
La Warner Bros. vide solo pezzi e bocconi di Barry Lyndon durante
la lavorazione e la postproduzione. I dirigenti Warner, che avevano
dato a Kubrick la loro completa fiducia e il sostegno finanziario,
videro per la prima volta il film appena tre settimane prima della
data di distribuzione. Kubrick aveva su Barry Lyndon il completo
controllo artistico. Nessuna pubblicità poteva uscire dallo studio
senza la sua approvazione esplicita.
A New York, Barry Lyndon uscì il 18 dicembre 1975, allo Ziegfeld
e al Baronet. C'erano voluti tre anni e 11 milioni di dollari per por-
tare sullo schermo il film, che durava tre ore, quattro minuti e quat-
tro secondi. Barry Lyndon era il primo lungometraggio di Stanley
Kubrick a essere girato interamente in ambienti reali. Le riprese
erano durate otto mesi e mezzo. Il cast e la troupe erano arrivati a
170 persone, più i consulenti e le comparse.
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La campagna pubblicitaria utilizzava i caratteri usati nei titoli di
resta e nelle didascalie, un montaggio illustrato di scene tratte dal
film. A Barry Lyndon fu concessa una distribuzione limitata, con
rutto lo spazio per consentire il passaparola.
Kubrick continuava a incaricare gente del suo staff di seguire i
dettagli degli incassi in modo da poter far uscire Barry Lyndon nelle
migliori sale di prima visione delle città chiave di tutto il mondo. Il
regista usò il sistema che aveva istituito per Arancia meccanica, sug-
gerendo di usare le sale sulla base dei risultati di precedenti film
analoghi a Barry Lyndon. Questo gli permetteva di decidere in modo
intelligente dove far uscire il film.
La reazione della critica fu diseguale. I detrattori continuavano a
trovare che il metodo di Kubrick e l'estremo estetismo del suo modo
di fare cinema fossero qualcosa da ridicolizzare più che da ammirare,
ma i fedelissimi erano felici del suo ritorno. <<Stanley Kubrick: la
prova che esistono geni viventi>>, scrisse un fan in relazione alla
copertina che <<Time>> dedicò al film. Un altro scrisse: <<Stanley
Kubrick è uno Shakespeare del cinema. E penso che lo sappia>>. Il
nome del regista aveva il potere di attrarre platee in cerca di una
pura esperienza cinematografica. «Grazie a Dio Stanley Kubrick è
tornato a salvarci dal rischio di annegare, vittime stremate, nelle
aùuali mode cinematografiche>>, scrisse uno spettatore, mentre un
altro definiva Kubrick <<il personaggio più innovativo che abbia toc-
cato il cinema dai tempi di Thomas A. Edison>>.
I critici furono meno generosi. Jerry Oster, del <<New York Daily
News>>, ammettendo di esserci rimasto male per aver visto il film
dopo Richard Schickel, ed esprimendo la sua frustrazione per non
aver potuto intervistare Kubrick al telefono, disse: <<Si rimane lì a
domandarsi se con la sua riservatezza Kubrick non si sia dato la
zappa sui piedi. L'arte- e, ancor più importante, l'intrattenimento-
non nascono dal vuoto. Barry Lyndon è un film egocentrico, fatto da
un uomo che ha perso contatto con i suoi simili, i suoi critici e i suoi
spettatori>>. Michael Billington del <<London Illustrated News>>
disse: <<[È} una serie di immagini fisse che soddisfano la retina senza
placare la nostra sete di drammaticità>>.
Quando Barry Lyndon fu proiettato a New York, la Warner Bros.
contattò Bob Gaffney per dirgli che Kubrick aveva chiesto che
~ndasse lui a controllare i livelli della proiezione e si assicurasse che
11 proiezionista facesse molta attenzione alla messa a fuoco, perché
gli obiettivi usati per le scene a lume di candela avevano un fuoco
rnolto delicato.
Gaffney era l'inviato di Kubrick sulla costa orientale; per quella
Occidentale il regista si rivolse a Ed Di Giulio. Il film stava per esse-
431
re programmato al Cinerama Dome Theater per i dirigenti della
Warner Bros., quando Kubrick apprese di un problema al sistema di
proiezione. A quanto sembrava, l'arrrezzatura non produceva lo stan-
dard corretto di foot-cand!eJ. Temendo che lo studio non potesse vede-
re la gloria del suo miracolo di luce bassa, Kubrick telefonò a Di
Giulio a casa e gli chiese di andare a controllare. <<A quel punto non
sapevo un bel niente sui proiettori», racconta Di Giulio. <<Ora ho
imparato un bel po' perché ne ho fabbricati alcuni per lo Showscan,
ma allora non ci capivo niente e tuttavia volevo fare turto il possibile
per aiutare Stanley a risolvere il problema. Per fortuna era arrivato
qualcuno e aveva risolto, ma la sua era la meticolosa attenzione per
ogni fase della produzione, fino alla proiezione. È veramente un
maestro di ogni dettaglio della sua arte».
Dopo che il film fu distribuito, Kubrick parlò con Jack Hofsess
del <<New York Times» e colse l'occasione per spiegare ciò che lo
attraeva nei nuovi progetti: <<Quello che succede nel mondo del cine-
ma è più o meno questo: quando uno sceneggiatore o un regista
comincia a lavorare, i produttori e gli investitori vogliono vedere
tutto scritto nero su bianco. Giudicano il valore di una sceneggiatura
come se fosse una pièce teatrale, ignorando la grandissima differenza
fra i due mezzi. Vogliono un buon dialogo, una trama asciutta, uno
sviluppo drammatico. Quello che ho scoperto è che più un film è
completamente cinematografico, meno interessante diventa la sce-
neggiatura, perché una sceneggiatura non nasce per essere letta, ma
per essere realizzata su pellicola>>.
<<Così, se i miei film più vecchi sembrano più parlati dei più recen-
ti, è perché ero obbligato a conformarmi a certe convenzioni lerrera-
rie. Poi, dopo un certo successo, mi è stata data più libertà per esplo-
rare il mezzo come preferivo. Non sarà mai pubblicata una sceneg-
giatura di Barry Lyndon perché non c'è niente da leggere che abbia
un interesse letterario>>. Kubrick avrebbe continuato a cercare modi
cinematografici di raccontare storie e disse a Richard Schickel che il
cinema <<non ha ancora nemmeno iniziato a scoprire come si possano
raccontare storie secondo la sua specificità>>.
La National Society of Film Critics nominò John Alcott miglior
direttore della fotografia del 1975 per il suo lavoro in Bany Lyndon.
Vincent Canby scrisse sul <<New York Times>> che la fotografia di
Alcott <<si trasforma scena dopo scena in qualcosa che suggerisce un
Gainsborough o un Watteau>>. Alcott vinse anche I'Oscar per il suo
straordinario contributo a Barry Lyndon.
Ken Adam vinse l'Oscar per la notevole scenografia di Barry
Lyrtdon. Il progetto era stato faticoso e clifficile, ma gli esigenti mero-
di di lavoro di Kubrick avevano sospinto il film al di là della rigi-
4.12
dezza da museo dei precedenti film in costume. Ricorda Aclam: «È
)a cosa più vicina a un genio con cui io abbia mai lavorato, con tutti
i problemi del genio. Mette in discussione tutto, devi giustificare
rutto dal punto di vista intellettuale, che non è sempre facile se fai le
cose istintivamente. Sta sempre tentando combinazioni all'ennesima
potenza- è come un computer umano>>.
Barry Lyndon fu candidato anche all'Oscar per il miglior film, e
Kubrick ebbe una nominarion come miglior regista. In aggiunta a
quelli per la scenografia e la fotografia, il film vinse anche I'Oscar
per la miglior colonna sonora non originale (Leonard Rosenman) e
per i costumi (UIIa-Britt Soderlund e Milena Canonero).
Nel 1977, Kubrick ricevette a Taormina il David di Donatello per
la sua regia di Barry Lyndon.
La fotografia a lume di candela di Barry Lyndon entrò istantanea-
mente nella leggenda del mondo del cinema. Direttori della fotogra-
fia di tutto il mondo volevano avere notizie del magico obiettivo di
Kubrick. Quando il noto operatore cecoslovacco Miroslav Ondricek
si imbarcò nella fotografia deli'Aruade11.r di Milos Forman, scrisse a
Kubrick chiedendogli se poteva usare l'obiettivo per riprendere a
lume di candela il mondo di Mozart e Salieri: <<Mi rispose scrivendo
che fabbricare l'obiettivo gli era costato 150.000 dollari e che l'aveva
usato solo per sé. Capii, e iniziai Amctdm.r a modo mio>>. Col tempo,
pellicole e obiettivi più sensibili hanno raggiunto la tecnologia di
Kubrick, ma il regista aveva fissato uno standard tecnico e artistico
che portava all'arte del cinema una disciplina e una dedizione zen.
Bm-ry Lyndon partì benissimo in tutta l'Europa. Solo a Parigi il
film incassò 3 milioni di dollari. La Warner puntò la promozione
internazionale sul successo europeo del film, ma nel complesso Barry
Lyndon non fu all'altezza delle aspettative di incasso di Stanley
Kubrick e della Warner Bros. A John Hofsess del <<Los Angeles
Times>>, il regista spiegò: <<Barry Lyndon è stato uno dei maggiori
successi della Warner Bros. sul mercato internazionale, ma non negli
Stati Uniti. Se fosse andato bene come in Europa, il film sarebbe
stato un grande successo finanziario>>.
Nonostante l'accoglienza deludente, Barry Lyndon è stato rivaluta-
to e accolto nella lista dei migliori film di tutto il mondo. Come per
2001, con Barry Lyndon Kubrick aveva portato ancora più avanti la
sua tesi che immagini, suoni, musica e recitazione potessero essere
articolati in senso cinematografico.
Capitolo 17
«Di nuovo))
l In realrà il romanzo uscì inizialmente in lralia con il rirolo Un" sfJ/endida(esla di 111orte
(Sonzogno, 1978). Dopo l'uscira del tìlm fu poi riccliraro come Sbining. (N.d.T.)
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romanzo di Stephen King, e ne spedì una copia a Kubrick. A
Vincente Molina Foix il regista avrebbe dichiarato: <<Fra tutto il
materiale che mi è stato spedito quello era il solo che trovavo interes-
sante o che mi piaceva. La maggior parte di quello che leggo devo
!asciarlo perdere dopo dieci pagine per non sprecare tempo>>. Kubrick
non cercava una storia sul paranormale, ma per l'argomento aveva un
atavico interesse. Calley lo sapeva e pensava che il libro avrebbe cattu-
rato la sua immaginazione.
Kubrick non aveva mai letto Stephen King prima, ma fu attratto
dalla struttura di Shining: «Avevo visto il film Carrie lo .rgum·do di
Satana, ma non avevo mai letto nessuno dei suoi romanzi. Devo dire
che il meglio dell'ingegno di King sta nella costruzione della storia:
non sembra troppo interessato alla scrittura. Dicevano che avesse
scritto, riletto, forse riscritto una volta e spedito tutto all'editor.
Quello che sembra interessargli è l'invenzione e penso che sia quello
il suo forte>>.
«Trovai che fosse una delle storie più ingegnose ed eccitanti di
quel genere che avessi lettO>>, ha detto Kubrick a Miche! Ciment.
«Sembrava trovare un equilibrio straordinario fra la psicologia e il
soprannaturale, in un modo tale da farti pensare che il soprannatura-
le sarebbe alla fine stato spiegato dalla psicologia: "Forse Jack si sta
immaginando queste cose perché è pazzo". Questo ti permetteva di
sospendere il tuo dubbio sul soprannaturale fino al punto in cui eri
così completamente preso dalla storia da accettarla quasi senza accor-
gertene>>.
Stephen King, che aveva scritto Carrie, Le notti di Salem e Shining,
viveva tranquillamente in una piccola città del Maine con sua
moglie Tabitha e tre figli, ma stava diventando un fenomeno. Dalle
sue opere cominciavano a essere tratti film: Brian De Palma aveva
diretto la versione cinematografica di Carl'ie, Tobe Hooper il film
televisivo Le notti di Salem e George A. Romero aveva in programma
di dirigere L'ombra dello .rmrpione (il progetto sarebbe stato realizzato,
sotto forma di miniserie, solo quindici anni dopo e senza Romero).
Quando uscì Shining, King aveva trentadue anni e aveva venduto 22
milioni di copie con sei romanzi e l'antologia A volte ritornano.
Kubrick era stato sempre evasivo nello spiegare la sua attrazione
per una storia specifica: il materiale doveva soddisfare le sue enormi
ambizioni di regista, oltre a presentare sfide cinematografiche e a
permettergli di realizzare le sue intuizioni fotografiche; e doveva
anche stimolare la sua natura misantropica. A John 1-Iofsess, Kubrick
confessò: «È molto difficile dire perché ho finalmente scelto una
certa storia. Potrei elencare le qualità necessarie - una storia forte,
un potenziale cinematografico e ruoli interessanti per gli attori. Ma è
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una cosa più profonda di una semplice valutazione basata su qualche
tipo di punteggio. Il romanzo di Stephen King aveva una cascata di
invenzioni che non avevo trovato prima nei romanzi del genere, che
nella maggioranza dei casi tendono a essere costruiti attorno a
un'idea sola».
Kubrick era vagamente a disagio quando era interrogato sul suo
interesse in Shining, e disse a Jack Kroll che pensava che il romanzo
fosse un ingegnoso esempio di storia di fantasmi. Kroll sarebbe stato
uno dei pochi critici a dare al film una recensione positiva, dicendo:
«Primo esempio di horror epico, Shining sta agli altri film dell'orro-
re come 200 l: Odi.r.rea nello .rpazio stava agli altri film di fantascien-
za>>. Il critico, che stava preparando un pezzo sul film, continuava a
chiedere a Kubrick cosa lo affascinava nel romanzo di King, e il
regista rispose: «C'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella per-
sonalità umana. C'è un lato maligno. Una delle cose che le storie
dell'orrore sono in grado di fare è di mostrarci gli archetipi dell'in-
conscio: possiamo vedere il lato oscuro senza doverlo affrontare
direttamente. Inoltre, le storie di fantasmi fanno appello alla nostra
sete di immortalità. Se puoi aver paura di un fantasma, allora devi
credere alla sua esistenza, e se esiste un fantasma, allora l'oblio
potrebbe non essere la fine>>.
King, incoronato il legittimo erede dei giorni nostri di Edgar
Allan Poe e H.P. Lovecraft, fu informato che Kubrick aveva ordinato
al suo staff di portargli mucchi di libri horror per nascondersi nel
suo ufficio a leggerli tutti. La segretaria di Kubrick sentiva il suono
di ogni libro che colpiva il muro quando il regista lo scagliava sulla
pila degli scarti dopo averne letto le prime pagine. Finalmente, un
giorno la donna si accorse che era passato un po' di tempo dall'ulti-
ma volta che aveva sentito un altro libro mordere la polvere: si affac-
ciò a controllare e scoprì il capo profondamente assorto nella lettura
di Shining.
Prima che il progetto finisse in mano a Kubrick, King aveva scrit-
to per la Warner Bros. una sceneggiatura tratta dal romanzo, ma il
regista decise di non leggerla perché voleva usare lo scheletro della
storia concepita dallo scrittore per infondervi le sue idee personali.
Kubrick scelse la scrittrice Diane Johnson perché collaborasse con
lui all'adattamento. <<Deve essere plausibile, non usare trucchi da
quattro soldi, non avere buchi nella trama, né essere carente nelle
motivazioni ... deve essere wmpletamente spaventoso>>, disse la
]ohnson al <<New York Times>>. Era la prima sceneggiatura della
]ohnson, di cui Kubrick aveva apprezzato i romanzi. Il regista aveva
cominciato a sviluppare un trattamento di Shining, quando aveva
saputo che la scrittrice curava presso l'università californiana di
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Berkeley un corso sul romanzo gotico: sembrava la collaboratrice
ideale per il progetto e, dopo essersi impegnato in una discussione
dei suoi lavori, Kubrick le chiese di affiancarlo nel lavoro. <<Con
Shining, il problema era estrarre la trama essenziale e reinventare le
parti più deboli della storia», disse Kubrick a Michel Ciment. <<l
personaggi dovevano essere sviluppati in modo un po' diverso da
quello che succedeva nel romanzo. È nella riduzione che i grandi
romanzi di solito vengono rovinati perché una parte così grande di
quel che c'è di buono ha a che fare con la bellezza della scrittura,
l'intuito dello scrittore e, spesso, la densità della storia. Ma il caso di
Shining era diverso: le sue virtù erano quasi solo nella trama e adat-
tarlo a una sceneggiatura si rivelò un problema abbastanza semplice.
Diane e io parlammo un sacco del libro e poi abbozzammo una sca-
letta delle scene che pensavamo si sarebbero dovute inserire nel film.
Questa lista di scene fu mescolata e rimescolata fino a quando ci
parve che andasse bene, quindi cominciammo a scrivere. Abbiamo
fatto diverse stesure della sceneggiatura, che in seguito è stata rivista
a più riprese, prima e durante la lavorazione>>.
A Kubrick era piaciuto The Shadow Knou·s, un romanzo che la
Johnson aveva pubblicato nel 1974 e che raccontava di una donna
che si vede come la futura vittima di un mitico romanzo giallo:
aveva letto dell'autrice nel <<New York Times Book Review>> e cono-
sceva la sua opera di saggista. <<Lui è il tipo di persona con una pro-
pensione all'analisi critica>>, disse la Johnson a Denis Barbier. <<Sa
individuare quelli che hanno questa qualità. Credo che fra di noi ci
sia una sorta di affinità intellettuale>>.
La Johnson e Kubrick lavorarono insieme, in Inghilterra, per tre
mesi nel 1978. La Johnson era alloggiata in un appartamento a
Londra e ogni giorno, alle due del pomeriggio, veniva portata in
macchina alla proprietà di Kubrick. Seduti a un grosso tavolo in una
grande stanza, la Johnson e Kubrick lavoravano all'inizio separata-
mente, scalettando il film: poi mettevano a confronto le scalette e
discutevano ogni scena. Il processo fu ripetuto due o tre volte nel
corso dello sviluppo della trama. La Johnson e Kubrick passavano
ore a discutere una varietà di temi intellettuali: a volte lui estraeva
un libro dai suoi immensi scaffali e si lanciava in una discussione
analitica relativa al contenuto. La Johnson trovò Kubrick un uomo
altamente organizzato, circondato da telefoni, attrezzatura e raffinati
strumenti di scrittura. <<Ha un forte senso letterario. Sotto ogni
aspetto pensa come un romanziere>>, disse la Johnson a Denis
Barbier. La scrittrice fu la benvenuta nella famiglia Kubrick e passò
molte piacevoli serate a cena con Stanley e Christiane, trovando che
Stanley fosse un affezionato capofamiglia. Parlavano di H.P.
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Lovecraft, della lettura psicanalitica delle fiabe di Bruno Bettelheim
e delle intuizioni di Freud su come gli individui esprimono espe-
rienze parapsicologiche. Anche se Kubrick stava facendo un film
dell'orrore, non guardò con laJohnson pellicole del genere, preferen-
do film di Jack Nicholson, Guerre ste!lari e Il leopardo nella neve con
Keir Dullea.
La Johnson e Kubrick avevano diverse copie di Shining, che fecero
a pezzi e archiviarono in buste diverse intitolate ciascuna a un singo-
lo personaggio del libro.
Il rapporto di Stanley Kubrick con Stephen King era simile a quel-
lo che c'era stato con Anthony Burgess: Kubrick non voleva che
l'autore adattasse il suo stesso romanzo, ma voleva che rispondesse a
una serie di domande che spaziavano dal filosofico al concettuale,
sviluppando i personaggi e la trama.
Alla rivista «American Film>> Stephen King confessò: «Fui così
lusingato che Kubrick volesse fare qualcosa di mio. La prima volta
che chiamò, erano le sette e mezza del mattino. Io ero in piedi nel
bagno, in mutande, a radermi, quando entra mia moglie con gli
occhi che le schizzano dalle orbite. Pensai che uno dei bambini fosse
in cucina che soffocava o qualcosa del genere. Lei dice: "C'è Stanley
Kubrick al telefono!". Accidenti, la cosa mi stese, non mi levai nem-
meno la crema da barba dalla faccia. Più o meno la primissima cosa
che mi disse fu: "Il concetto stesso di fantasma è sempre ottimistico,
no?". E io dissi, con il mal di testa e un occhio mezzo aperto: "Non
capisco cosa voglia dire". Lui disse: "Beh, l'idea di fantasma presup-
pone la vita dopo la morte. Questo è un concetto allegro, no?". E
suonava così plausibile che per un momento rimasi lì a dibattermi e
non dissi nulla, e poi dissi: "Ma, e l'inferno?". Dall'altra parte ci fu
una lunga pausa, e poi lui rispose con una voce molto rigida e disse:
"Ma io non credo all'inferno". Non crede neanche nei fantasmi, solo
che trovava tutta l'idea molto ottimistica, il che mi porta alla sua
versione del lieto fine per Jack Torrance- questo anello che si chiude
in cui lui è il guardiano per sempre. Non sembrava che volesse
seguire l'idea di un fantasma come anima dannata>>.
King ricevette molte telefonate e un giorno gli fu concesso di
andare sul set. Trovò Kubrick amichevole ma ne verificò la leggen-
daria riservatezza. Ad «American Film>> spiegò: <<È un uomo con cui
puoi uscire a farti qualche birra, purché non pensi di andare avanti a
bere insieme tutta la notte>>.
Stephen King, in definitiva, ha espresso delusione nei confronti del
film continuando però a dichiararsi onorato che un regista così pre-
stigioso abbia portato sullo schermo il suo libro. Kubrick in effetti
eliminò parecchio materiale e fece diversi cambiamenti. Fra i più
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notevoli, furono eliminate le siepi a forma di animale, che nel
romanzo di King prendevano vita in modo sinistro e cambiavano
forma: il regista prese l'idea in considerazione, ma le possibilità
offerte dagli effetti speciali non soddisfacevano i suoi esigenti stan-
dard di credibilità. La soluzione fu di creare un gigantesco labirinto,
formato da una complessa disposizione di vialetti ed angoli. Il deda-
lo esprimeva una logica primordiale e offriva la metafora della trap-
pola e della fuga.
In effetti, Kubrick discusse con King un finale alternativo, propo-
nendo di chiudere il film sulla famiglia Torrance che cena piacevol-
mente a un tavolo dell'hotel mentre il direttore dà il benvenuto al
nuovo guardiano. e alla sua famiglia. Mentre questi ultimi passano
accanto al tavolo, i loro occhi guardano dritto attraverso i Torrance,
che sono divenuti fantasmi invisibili. King disse a Kubrick che
secondo lui il pubblico si sarebbe sentito imbrogliato. Lo scrittore
restava con la mente aperta, senza preoccuparsi che Kubrick volesse
cambiare la storia ma solo che i cambiamenti funzionassero dal
punto di vista drammatico.
A John Hofsess, Kubrick dichiarò: «Avevo deciso molto presto che
il finale del romanzo non avrebbe funzionato. Non volevo la classica
conclusione, con il grande luogo malvagio che brucia completamen-
te>>. Il regista e la sua cosceneggiatrice optarono quindi per l'idea del
labirinto di siepi, che ritenevano visivamente stimolante.
L'idea di Kubrick era di evitare le trappole del tipico film horror:
non ci sarebbero state porte scricchiolanti o scheletri che rotolavano
fuori dagli armadi. Per dare una base di credibilità, il regista girò il
film in quella che sembra luce naturale, senza gli effetti melodramma-
tici tipici del genere. <<È solo la storia di un uomo che impazzisce len-
tamente con tutta la sua famiglia>>, spiegò Kubrick aJohn Hofsess.
Gli attori erano stati scelti già durante la lettura del libro. Jack
Nicholson fu la scelta inequivocabile del regista per Jack Torrance,
mentre Shelley Duvall, che lui considerava «Una splendida attrice»,
avrebbe incarnato la sua tormentata moglie Wendy. A Hofsess,
Kubrick spiegò: «Certo non si poteva dare la parte a Jane Fonda; c'è
bisogno di qualcuno che sia timido e vulnerabile>>.
Un primo trattamento della sceneggiatura rivela che, prima di
arrivare alla trama usata per il film definitivo, Kubrick stava andan-
do in una direzione diversa. In quella versione, il film finisce con
Jack che aggredisce Wendy alle spalle: lei lo pugnala allo stomaco
con un coltello, Jack muore e la moglie fugge fuori sentendo il
motore di un gatto delle nevi. Danny ha una visione di Halloran che
arriva e parla con Grady, una visione da cui si capisce che il cuoco è
lì per uccidere Wendy e il bambino. Halloran diventa un maniaco
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assassino e Wendy fugge per tutto l'albergo, con il coltello in mano.
Con il suo potere psichico, Danny riesce momentaneamente a ferma-
re Halloran: Wendy arriva di corsa e lo uccide a pugnalate. Sul tavo-
lo da scrittore di Jack si vede un album con la fotografia di una festa
di Capodanno del 1919 in cui appare Jack. Wendy fugge con Danny
sul gatto delle nevi. La mano di un uomo chiude l'album e lo porta
via. Appare un cartello che dice: «L'Overlook Hotel sarebbe soprav-
vissuto a questa tragedia, come era successo per molte altre. È ancora
aperto ogni anno dal 20 maggio al 20 settembre. FINE>>.
Il trattamento parla di un album che dettaglia la <<Storia sinistra
dell'albergo- delitti, suicidi e incidenti fatali che hanno coinvolto la
gente ricca e famosa che da sempre lo frequentava». Nel film si vede
l'album aperto sul tavolo di Jack, ma non è identificato, spiegato o
mostrato nel dettaglio. La stanza 217, che racchiude il terrore per
Jack e Danny, ha lo stesso numero del romanzo: nel film sarebbe alla
fine stata cambiata in 237.
Fu Kubrick a cambiare il numero della stanza da 217 a 23 7. La
facciata anteriore dell'Overlook fu girata al Timberline Lodge, vicino
alla foresta Nazionale del monte Hood nell'Oregon; la facciata poste-
riore dell'Overlook fu costruita sui terreni degli studi Emi-Elstree,
ma modellata sul Timberline Lodge. L'albergo reale aveva la stanza
217 ma non la 23 7, e la direzione chiese a Kubrick di cambiare il
numero, temendo che dopo aver visto il film nessuno avrebbe più
voluto dormire nella 217. Nella scena del bagno così come è delinea-
ta nel trattamento, Jack incontra il cadavere vivente della moglie
assassinata di Grady, ma a differenza del film non la si vede all'inizio
come una giovane, seducente e bellissima donna nuda.
Kubrick prese seriamente in considerazione l'idea di tornare negli
Stati Uniti per fare Shining: non aveva piit girato film in patria
dopo SjJartams, nel 1960. Il regista chiamò l'amico e collaboratore
Bob Gaffney e gli chiese se fosse disponibile una casa di Long
Island in cui aveva abitato con Christiane e le figlie. Gaffney aveva
recentemente girato una pubblicità nel prato antistante la pro-
prietà, che era in vendita. Il 5 giugno 1977, il <<Los Angeles Herald
Examiner» annunciò che Kubrick sarebbe tornato negli Stati Uniti
per girare Shining in Colorado. Army Archerd rilanciò la storia il
giorno seguente nella sua rubrica "Just for Variety". Le illazioni
erano fondate su una serie di dati che Kubrick prendeva sempre in
esame prima e durante la lavorazione di un film. Il regista comin-
ciava a preoccuparsi dell'aumento del clima di violenza in
Inghilterra, ma alla fine decise di restare a Londra e di portarsi
l'America in casa costruendo un albergo americano in un teatro di
Posa inglese.
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Il Film 77 - una fiera della cinematografia allestita a Londra -
portò in Inghilterra Ed Di Giulio e Garrett Brown. I due andarono a
trovare Kubrick a Boreham Wood e gli mostrarono il modello più
recente messo ·a punto della steadicam. Kubrick stava iniziando la
preproduzione di Shining. Poiché Roy Walker stava progettando la
scenografia deii'Overlook Hotel, a Kubrick interessava capire che
cosa potesse veramente fare la steadicam, così che i set potessero far
risaltare la possibilità della macchina da presa di spostarsi senza sfor-
zo da una stanza all'altra. Con in mente la steadicam, Kubrick partì
dalla premessa che tutte le stanze del set dell'albergo dovessero esse-
re comunicanti.
Kubrick abituò subito Garrett Brown e la steadicam ai suoi ritmi:
aveva sempre una ragione per riversare su chiunque avesse informa-
zioni una raffica di domande per lui preziose e, anche se non spiega-
va mai il motivo delle sue dense e specifiche richieste, ogni risposta
veniva archiviata per contribuire all'idea cinematografica che comin-
ciava a prendere forma nella sua mente. Kubrick chiese a Brown di
mostrargli la precisione che poteva ottenere con la steadicam nel
portarsi in posizioni prestabilire e tenere il fuoco lavorando a esposi-
zioni T l ,4 che richiedevano un'attenzione critica per la messa a
fuoco. Quando Brown riuscì ad arrivare ai segni perfettamente,
l'occhio della mente di Kubrick cominciò a vedere le inquadrature
dentro I'Overlook.
Roy Walker era stato il decoratore di Barry Lyndon e aveva vinto
I'Oscar con lo scenografo Ken Adam per il suo contributo al film. Il
suo lavoro su Shining lo confinava al teatro di posa, ma era partito
con una serie di perlusrrazioni negli alberghi e nei condomini ameri-
cani. Walker attraversò tutti gli Stati Uniti scattando fotografie,
seguendo le istruzioni di Kubrick di fotografare ogni cosa che potes-
se essere usata come riferimento, e aveva preso le misure esatte di
tutto ciò che aveva fotografato, per poter utilizzare quei dati al
momento della progettazione. Quando Walker tornò dai sopralluo-
ghi, Kubrick fece passare tutte le foto, scegliendo gli elementi e le
componenti che gli piacevano, e il dipartimento scenografia ricreò i
colori e gli elementi architettonici preferiti combinando rutto
nell'immagine dell'hotel definitivo.
I muri della hall principale deii'Overlook erano pieni di piccole
foto in bianco e nero incorniciate che raccontavano la lunga tradizio-
ne di ospitalità dell'albergo e i suoi ospiti illustri. Kubrick utilizzò il
ricco archivio di foto di film e news formato 20x25 della Warner
Bros. e le dispose in modo da rappresentare il passato deii'Overlook.
La stanza da bagno in cui Grady e Torrance tengono la loro inquie-
tante e spaventosa discussione si basava sulla sranza di un hotel io
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Arizona, progettato da Frank Lloyd Wright. I principi scelti da
Kubrick per le luci nascevano dalla stessa filosofia realistica della
scenografìa: una grande intensità di energia fu utilizzata per duplica-
re la luce solare che si riversava nell'Overlook dalle finestre, mentre
le lampade all'interno dell'albergo dovevano avere l'intensità giusta
per poter essere registrate sulla pellicola come fonti naturali
dell'illuminazione. La luce che simulava i raggi solari che entravano
neli'Overlook fu creata all'inizio incaricando la Roseo Company di
fabbricare un fondale opaco di due metri e mezzo per nove: più pezzi
furono saldati insieme per creare un pannello unico. Il set della hall
aveva all'esterno una piccola terrazza con alcuni alberi, e lo sfondo fu
montato dietro a questi ultimi. Dietro allo sfondo c'erano 860 fari
Medium Flood Par 64 da 1.000 watt e 110 volt, montati su un'im-
palcatura tubolare di dodici metri a distanza di mezzo metro l'uno
dall'altro. Ogni lampada poteva essere spostata individualmente da
un comando all'interno del set, consentendo di muovere le luci
durante il complesso movimento di una ripresa con la steadicam. Il
calore emesso dall'apparato era così intenso da rendere impossibile a
chiunque passare fra lo sfondo e i fari da una estremità all'altra.
L'acclamazione per la fotografia di Bany Lyndon aveva fatto di John
Alcott un operatore rinomato di statura internazionale. Shining fu
girato nei confini di un teatro di posa, consentendogli un controllo
maggiore di quello possibile nelle location autentiche del film prece-
dente, ma fu un'impresa altrettanto ardua. La sfida principale di
Alcott fu illuminare l'intero set in modo da rendere l'illuminazione
naturale di un albergo: era necessaria un'intensità luminosa di molte
candele- intese come unità di misura della luce prodotta da potenti
fonti elettriche. «Lui mi ispirava>>, avrebbe detto Alcott a Jack
Kroll. <<Se Stanley fosse un direttore della fotografia sarebbe il più
ricercato al mondo. Per molti film dopo quelli che ho fatto con
Kubrick, continuo a usare idee che mi ha dato lui».
Dieci mesi prima di cominciare a girare, Kubrick aveva dato ad
Alcott una copia del romanzo di Stephen King. Anche se Alcott
aveva nel frattempo parecchi altri impegni, fu coinvolto nella pro-
gettazione e nella costruzione dell'imponente set, mappando le fonti
di luce date da finestre e caminetti.
Di tutti i set furono fabbricati modellini di cartone, con gli stessi
colori e arredi utilizzati nel film. Alcott fece una serie di prove, illu-
minando i modellini e fotografandoli con una Nikon dalle angola-
zioni che sarebbero state usate dalla cinepresa. Mesi prima delle
~iprese, Alcott andava ogni settimana a visitare e a sorvegliare i set
•n costruzione. Tutte le luci all'interno dell'Overlook erano collegate
alla rete elettrica come se fossero realmente parte dell'albergo, un
44.'>
lavoro immenso che richiese quattro mesi di collegamenti elettrici. I
lampadari nella hall principale e nella sala da ballo erano collegati a
un variatore in un pannello di controllo centrale; i corridoi di servi-
zio e la hall erano tutti collegati, e illuminati da lampade fluorescen-
ti che fornivano anche la luce necessaria alle riprese. Tutti i controlli
dei trasformatori e le messe a terra stavano nei corridoi del teatro,
per non interferire con il sonoro in fase di ripresa. L'occhio vagabon-
do della steadicam avrebbe colto qualsiasi luce supplementare: a
tutti gli effetti, Stanley Kubrick aveva costruito l'Overlook come un
albergo reale, non un albergo da film.
Il realismo della scenografia dell'albergo e lo stile di illuminazione
nascevano da un'osservazione che Kubrick aveva fatto leggendo
Franz Kafka: «Mi sembrava che la guida perfetta per questo metodo
si potesse trovare nello stile di scrittura di Kafka. Le sue storie sono
fantastiche e quasi giornalistiche. D'altra parte, tutti i film che sono
stati tratti dalle sue opere sembrano aver completamente ignorato
questo particolare, facendo sembrare tutto il più strano e onirico
possibile>>.
Anche se gran parte del film fu ripreso da Garrett Brown e dalla
steadicam, l'illuminazione era tutta sotto il controllo di Alcott che,
sotto l'occhio attento di Stanley Kubrick, trovò tutte le soluzioni ai
problemi causati dall'immane compito di illuminare un grande
albergo.
Questo era il quarto film di Alcott insieme a Kubrick. Ogni volta
Alcott si trovava a inseguire strati più profondi di perfezione, supe-
rando nuovi ostacoli e incontrandone di sempre più grandi.
Quando Shining uscì, Alcott dichiarò a Herb Lightman, direttore di
<<American Cinematographer>>: «Penso che con il passare del tempo
Stanley diventi più preciso, più esigente nelle pretese. Penso che
dopo aver fatto un film con lui uno debba andare via, acquisire
nuove conoscenze, tornare e cercare di sommare queste conoscenze
alle sue in un altro film. Pretende la perfezione, ma è pronto a darti
tutto l'aiuto necessario se pensa che quello che vuoi fare otterrà i
risultati voluti. Ti darà tutta la forza di farlo, ma allo stesso tempo
bisogna che funzioni. Stanley ti dà una grande ispirazione. Ti ispi-
ra. È un regista con un magnifico occhio per l'immagine>>.
Kubrick e Jack Nicholson parlavano di lavorare insieme dal 1969,
quando dopo una lunga gavetta l'attore era stato lanciato dalla
nomination all'Oscar per la sua parte in Easy Rider. Kubrick definiva
Nicholson «indiscutibilmente il più grande attore cinematografico
cl e i nostri giorni>>. Raccontava Jack Nicholson: «Avevo appena finit.o
di lavorare un'intera estate su una sceneggiatura che speravo di din-
gere, quando mi chiamò Stanley, all'improvviso, e mi chiese se ero
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interessato a lavorare con lui nel suo prossimo film. Non avevo letto
il libro, ma non avrebbe fatto differenza. Avrei fatto tutto quello che
Stanley voleva. Chiunque avrebbe voluto lavorare con lui. Mi mandò
una copia del libro. Lo trovai straordinario. Una grande occasione.
Una storia straordinaria. Tutto qui. Mi è stata attribuita la dichiara-
zione che io devo essere il 75 per cento di tutti i personaggi che
interpreto, ma la verità è che prima cerco qualcosa che catturi la mia
attenzione nella storia e poi la supervisione di un grande regista.
Shining è una storia eccezionale. E anche se può darsi che si tratti
della mia interpretazione, l'orchestrazione è di Kubrick. Sono felice
di avere avuto questa opportunità di tentare qualcosa di così diverso.
Sono orgoglioso delle nuove cose che ho provato a fare ... anche
quando non hanno funzionato. È un vecchio cliché dell'attore, ma
puoi essere bravo solo nella misura in cui sei disposto a essere un
cane. Penso che questo film sarà molto, molto buono>>.
«Penso che Jack sia uno dei migliori attori di Hollywood, forse
alla pari con le più grandi star del passato, come Spencer Tracy e
Jimmy Cagney>>, ha detto Kubrick a Miche! Ciment. <<Direi che sia
il primo della lista di chiunque per qualsiasi ruolo che gli si confac-
cia. Il suo lavoro è sempre interessante, pensato con lucidità, e ha il
fattore X, la magia. Jack è particolarmente adatto per ruoli che
richiedono intelligenza. È un uomo intelligente e colto, qualità che
sono impossibili da recitare. In Shining è perfettamente credibile
come scrittore, fallito o meno>>.
Shelley Duvall fu la prima e unica scelta di Kubrick per il ruolo di
Wendy Torrance. L'attrice era stata scoperta da un altro americano
indipendente, Robert A!tman, che aveva incontrato nel 1970 per
mostrargli i quadri di un suo fidanzato. Attratto dal suo aspetto
insolito e dalla sua identità di ragazza texana contemporanea,
Altman l'aveva presa per Aru·he gli tHL"el/i màdono, un film insolito,
perfetto per il talento della Duvall, che sarebbe andata a ingrossare
le file del clan del regista e sarebbe apparsa in I L"ompari, Gang,
Nashville, Buffalo Bill e gli indiani e Tre donne.
Danny Lloyd aveva cinque anni e mezzo, era figlio di un ingegnere
ferroviario americano e fu scelto per interpretare Danny Torrance da
una serie di provini su video. Kubrick aveva spedito Leon Vitali e
sua moglie Kersti a Chicago, Denver e Cincinnati per sei mesi per
selezionare cinquemila bambini - le tre città erano state scelte per-
ché il regista cercava un bambino il cui accento fosse una via di
rnezzo fra quelli di Jack Nicholson e di Shelley Duvall. Vitali, che
aveva offerto un 'interpretazione appassionante in Barry Lyndon nel
ruolo di Lord Bullingdon, era divenuto un fedele adepto di Kubrick
e in Shining ebbe il titolo di assistente personale al regista: durante la
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lavorazione, Vitali avrebbe fatto da tramite fra Kubrick e gli attori.
Un ufficio locale della Warner Bros. fece pubblicare annunci sui
giornali, invitando i genitori a proporre foto e a fare richiesta per il
film, e si arrivò a selezionare una lista di circa centoventi bambini
che secondo Kubrick avevano l'aspetto giusto. Il regista li cercava
con un viso espressivo e spiegò al vecchio amico Alexander Walker
che voleva che i muscoli del bambino reagissero in linea diretta ai
suoi centri nervosi. Vitali provinò tutti i bambini della lista regi-
strando le loro improvvisazioni su videocassetta: sulla base di questo
lavoro, Kubrick scelse Danny Lloyd, figlio di Jim e Ann Lloyd, che
abitavano in una cittadina dell'Illinois.
Le leggi inglesi sul lavoro minorile imponevano restrizioni al
tempo che Kubrick aveva a disposizione per lavorare con Danny
Jack Nicholson, Shelley Duvall e Scatman Crothers potevano essere
trattenuti sul set per lunghe ore, macinando oltre un mezzo centi-
naio di ciak; Danny poteva essere coinvolto nella produzione per
non più di quaranta giorni lavorativi all'anno, con orari limitati e
l'ordine, strettamente osservato, di lasciare il set per le quattro e
mezza del pomeriggio. In termini pratici, per Kubrick tutto questo
voleva dire un alto grado di organizzazione per il tempo in cui
Danny Lloyd era davanti all'obiettivo. Le regole non includevano le
prove, così Kubrick faceva provare Danny un giorno e poi lo porta-
va davanti alla cinepresa quello seguente. Il regista fece fabbricare
un fantoccio del bambino da usare nelle inquadrature in cui Wendy
lo porta in braccio. Kubrick prese la saggia decisione di affidare il
giovanissimo attore a Leon Vitali, che gli avrebbe dedicato tutta la
sua attenzione: il compito principale di Vitali era di prendersi cura
di Danny Lloyd ed essere il suo protettore, amico e primo interlo-
cutore.
Scatman Crothers aveva ottenuto il suo famoso soprannome nel
1932 quando, con il nome Benjamin Sherman Crothers, aveva fatto
un provino per uno spettacolo radiofonico a Dayton, neii'Ohio. Al
giovane batterista, cantante e suonatore di chitarra, il regista aveva
detto che avrebbe avuto bisogno di uno pseudonimo più brillante;
Crothers aveva risposto: «Chiamatemi Scatman, perché faccio un
sacco di canzoni .rcat». Scatman aveva scritto e interpretato centinaia
di canzoni e nel 1948 era divenuto il primo attore nero della televi-
sione di Los Angeles: sarebbe apparso in molte serie, fra cui "Get
Smart", "Kojak", "Sanford and Son", "McMillan and Wife", "Adarn
12" e "Chico and the Man". Crothers divenne un popolare caratteri-
sta, partecipando a La .rignora del blue.r, Wagon-lit.r wn omiàdi, Il jli.rto-
lero, Per .ralire fJÙÌ in b?t.r.ro e Hello, Dolly.'. Aveva lavorato con Jack
Nicholson in Il re dei giardini di Marvin, D11e Nomini e 11na dote e
446
Qualcuno volò Jlll nido del mmlo. Kubrick lo scelse per interpretare
Halloran, il capocuoco dell'albergo con il dono della luccicanza,
!'abilità di comunicare per via Esp.
Di ritorno negli Stati Uniti nell'estate del 1978, Garrett Brown
cominciò a ricevere di tanto in tanto telefonate di Kubrick la matti-
na presto. Fra domande tecniche e altri dati, il regista organizzò le
cose in modo da avere a disposizione Brown e la sua steadicam a par-
tire da dicembre: il piano era che Kubrick affittasse la steadicam, e
che Brown andasse per un breve periodo in Inghilterra per addestra-
re l'operatore che l'avrebbe manovrata in Shining.
I programmi delle riprese di Kubrick cambiarono e a Brown fu
detto che la data di inizio sarebbe stata in primavera. Per l'operatore
erano giorni inebrianti, dato che la steadicam affascinava tutti coloro
che ne vedevano i notevoli risultati in Rocky, Questa terra è la mia
terra e Ilmaratoneta: l'invenzione cominciava a rivoluzionare il modo
di usare la macchina da presa e il suo lavoro dietro la steadicam
entrava nella storia del cinema. Brown vinse il Bert Easey Technical
Award assegnato dalla British Society of Cinematographers, decise di
andare in Inghilterra per ricevere il prestigioso premio di persona e
ne approfittò per tornare a trovare Kubrick e mostrargli il prototipo
di un nuovo modello, che permetteva di tenere l'obiettivo a un'altez-
za variabile dai quarantacinque centimetri ad altezza vita. Il regista
apprezzò molto la possibilità di effettuare riprese a bassa quota per-
ché stava per fare un film con un bambino e voleva entrare nel suo
punto di vista abbassando la macchina alla sua prospettiva. Kubrick
accompagnò Garrett Brown in una visita dell'Overlook, con alcuni
mesi di anticipo sulle riprese. Passando per la cavernosa cucina e per
tutte le stanze e i corridoi comunicanti dell'immenso set, Brown
cominciò a intravedere incredibili possibilità per spingersi ancora
più avanti di quanto non avesse fatto con Hai Ashby, John Avildsen
e John Schlesinger e disse a Kubrick che voleva essere lui a pilotare
la steadicam nel film.
Le riprese di Shining iniziarono nel 1978, poco dopo l'uscita di
Verso il sud, interpretato e diretto da Jack Nicholson. Seguendo
guella che ormai era un'abitudine caratteristica, Kubrick fece avere
alla stampa, alla direzione della Warner Bros. e agli studi Emi-
Elstree, dove sarebbero state effettuate le riprese, pochissime infor-
mazioni sul nuovo film. Uno spiritoso portavoce dichiarò a
<<Variety>>: <<Come si conviene a ogni albergo, il signor Kubrick ha
appena appeso il cartello "Non Disturbare">>. All'inizio del 1978, i
terreni dello studio, che aveva ospitato una strada usata per dieci
anni per ricostruire luoghi stranieri come Amsterdam e Singapore,
furono spianati con le ruspe in modo che la produzione potesse
447
costruire la facciata posteriore dell'Overlook Hotel e il giardino-
labirinto. All'interno, Kubrick occupava quattro dei nove teatri di
posa di Elstree.
Shining sarebbe stato il primo film di Kubrick dopo 200 l a essere
ripreso principalmente in teatro: Amncia meccanica era stato girato
prevalentemente in ambienti reali e praticamente tutto Barry Lyndon
era stato girato in location. Dopo aver accarezzato l'idea di girare
Shining in location negli Stati Uniti, Kubrick aveva deciso di rico-
struire una parte degli Stati Uniti in Inghilterra, anche se questo
richiedeva di mettere sottosopra i terreni degli studi. La fama inter-
nazionale del regista gli dava credito in qualsiasi teatro di posa;
erano tutti anche troppo felici di essere chiamati da Stanley Kubrick.
L'insistenza di Kubrick nell'ottenere la perfezione era nota, ma
Garrett Brown poté verificarla personalmente quando si trovò a
dover soddisfare le sue esigenti richieste. Il suo primo giorno,
Brown fece più di trenta riprese, guidando la sua steadicam attra-
verso l'ampio set dell'ingresso con la grazia di un ballerino e la pre-
cisione di un pilota dell'aeronautica. La temperatura sul set sfiorava
i 43 gradi per via dei 700.000 watt generati da una batteria di lam-
pade: Kubrick e Alcott avevano elaborato, per creare la luce del
sole, un sistema che non si limitava a simulare, ma duplicava l'ener-
gia solare. Alla fine gli addetti all'aria condizionata sarebbero riu-
sciti a trovare un modo per dare un po' di sollievo, ma al momento
Garrett Brown doveva usare tutte le sue energie e le sue capacità per
riuscire a puntare la sua arma cinematografica esattamente nel
punto su cui Kubrick insisteva. Spiritosamente, in un articolo per
<<American Cinematographer>>, Brown scrisse: <<Mi resi conto presto
che quando Stanley diceva che il puntatore a croce del mirino dove-
va essere sulla narice sinistra di qualcuno nessun'altra narice sarebbe
andata bene>>.
Dai tempi dei suoi esordi come forografo, Kubrick aveva usato
nelle immagini il criterio di centrare le sue composizioni: le imma-
gini cenerate e bilanciate sono piacevoli da vedere e rispettano il
riquadro che le accoglie. Un'immagine centrata rappresenta ordine,
controllo, disciplina, logica e organizzazione- proprio le qualità
intrinseche alla personalità di Kubrick e alla sua psiche di artista.
Negli anni in cui aveva sviluppato la sua abilità di creatore di imma-
gini, Kubrick aveva passaro centinaia di ore seduto a una scacchiera,
un emblema visivo dell'ordine, con le sue sessantaquatrro caselle in
otro file di otto blocchi alternaci di scuro e di chiaro. La rappresenta-
zione della scacchiera - vera o simbolica - compare spesso nei fìl~
di Kubrick, e la precisione dell'immagine centrata è un caposaldo dl
quasi tutte le sue inquadrature. Garrett Brown gradualmente dover-
448
re riprogrammarsi l'occhio per gestire il continuo movimento e la
costante riquadratura nel manovrare la steadicam, e per essere
all'altezza del bisogno di ordine e stabilità di Kubrick nel lavoro
fotografico imparò a centrare il puntatore anche se questo era visibile
solo dall'obiettivo e non dall'oculare.
L'esigenza tecnica di centrare il puntatore nell'obiettivo divenne la
scusa di Kubrick per chiedere altri ciak, permettendo ulteriori svi-
luppi dell'arte della steadicam. Spiega Brown: <<Una buona parte era
fumo, solo per avere l'occasione di fare un altro ciak. Ai giornalieri
avrebbe ammesso che le riprese erano tutte uguali, tutte buone.
Dopo un po' mi resi conto che, dopo quattro o cinque riprese, dal
mio punto di vista erano tutte perfette e allora potevo concentrarmi
sui particolari più minuti del controllo dello strumento. È lì che ho
davvero imparato a controllare quella dannata macchina. Sono arri-
varo al punto che potevo posizionare il margine del fotogramma o i
puntarori dovunque e in qualunque momento, come danzando. Era
bellissimo, adoravo farlo. Adoravo fare cinquanta o settanta ciak. Per
me non sarebbero mai stati troppi perché non era stancante. Ne face-
vi uno, poi si discuteva e lo si rivedeva. Dopo ogni ciak ti riposavi.
Era un'opportunità di imparare a governare la tecnica che non avrei
trovato da nessun'altra parte. Metà del lavoro sta nel trasportare
tutta l'attrezzatura da un aeroporto all'altro, e l'altra metà è solo cer-
care di star dietro all'azione e di fare l'inquadratura sfruttando le tue
doti naturali. Se ti fanno fare tre ciak sei fortunato, ma non ti capita
mai di poterla fare e riguardare e rifarla e guardarla ancora - e capire
che se tieni la spalla così, funziona questa cosa, se metti il piede lì,
funziona quest'altra. Hai la possibilità di coltivare una memoria
muscolare, così ti rendi conto che se tieni la mano alla cintura e
accanto allo sterno, allora hai esattamente l'asta all'altezza che ti
serve. Io ero in grado di manovrare questo strumento snodato e
incontrollabile e di usarlo con il massimo della precisione».
Kubrick non era soddisfatto della qualità dell'immagine televisiva
che la steadicam trasmetteva a distanza per permettergli di control-
lare l'inquadratura: il problema avviò un'altra serie di richieste tec-
niche e filosofiche a cui fu necessario far fronte. Alla fine per miglio-
rare l'immagine video fu studiato un nuovo trasmettitore: per libe-
rarsi dalle restrizioni imposte dal segnale video, dietro ai muri di
turco il set furono nascoste antenne che permettessero al trasmettito-
re di essere captato da qualunque posizione. Brown sostiene di aver
capito allora che la parola «ragionevole>> non faceva parte del lessico
di Kubrick.
_L'alta quantità di ciak girati permetteva a Kubrick di crearsi una
btblioteca di reazioni ed emozioni dei personaggi per ogni singola
449
inquadratura: con l'accumularsi dei ciak, Jack Nicholson e Shelley
Duvall cominciavano a passare attraverso una gamma di emozioni
che andavano dalla catatonia all'isteria. Kubrick si era conquistato il
potere di fare i film come voleva lui, e il suo metodo gli dava una
quantità di scelte lungo rutto il processo di lavorazione, fino al
momento in cui approvava la copia definitiva da consegnare alla
Warner Bros. per la distribuzione.
Il risultato di una giornata di lavoro poteva essere una scena 0
un'inquadratura. Prima di girare anche un solo fotogramma veniva-
no fatte approfondire prove di illuminazione. Kubrick persisteva
fino a quando sentiva di aver tirato fuori da una scena tutto il possi-
bile. Non partiva da un'idea prestabilita, ma trovava ciò che stava
cercando attraverso una metodica progressione di passi e di ricerche
dell'inquadratura.
Garrett Brown doveva riprendere molte delle inquadrature in
piedi, camminando, correndo e roteando per coreografate i complessi
piani sequenza di Kubrick. La Elstree Camera, sotto la direzione di
Mick Mason e Harold Payne, elaborò una serie di supporti appositi
che permisero di montare la steadicam su ruote. Uno skateboard
riconvertito e un marchingegno fabbricato appositamente si rivelaro-
no inadeguati a garantire mobilità e precisione. La soluzione fu di
usare un prototipo di sedia a rotelle di Ron Ford, già messa a punto
su indicazioni di Kubrick: lo strumento consentiva a Garrett Brown
di stare seduto e di non dover correre, di essere spinto e quindi di
non essere costretto ad attraversare le stanze a passo di carica con il
peso supplementare del suo attrezzo. La steadicam era una meravi-
glia di ingegneria- abbastanza leggera da poter essere portata da un
operatore - ma, come Garrett Brown apprese quando il piccolo
Danny Lloyd scoprì di poter usare Brown e la cinepresa come altale-
na, I'Arriflex BL usata per Shining pesava quanto il ragazzino.
Sul set, Garrett Brown, la sua invenzione e il suo modo di espri-
mersi con la pellicola erano una presenza che si faceva notare: alto,
aggraziato e dotato di notevole fermezza, l'operatore aveva un
immenso rispetto per Stanley Kubrick. Mentre camminava, correva,
scivolava e, a volte, dava l'impressione di volare attraverso il set
deii'Overlook con la grazia di un Barijsnikov, Brown aveva il dono
di mettere l'obiettivo dovunque il regista lo volesse, e la convinzione
che la sua scoperta fotografica stesse soddisfacendo le aspettative del
mezzo stesso.
Kubrick fece rifare tre volte, per averla perfettamente liscia, una
pista di compensato di novanta metri costruita per la sedia a rotelle
della macchina da presa. Brown, secondo gli standard normali un
perfezionista, sentiva di essere in grado di realizzare una ripresa
450
accettabile e buona da stampare dopo i primi tentativi; Kubrick
d'altro canto era sempre critico fino a quando Brown non si avvicina-
va al quattordicesimo tentativo, e non si rilassava fino a quando sul
ciak non si leggevano numeri dal venti in su. In Shining Brown
divenne un altro degli artisti messi alla prova dalla filosofia della
moltiplicazione dei ciak fino al limite.
L'inquadratura in cui la macchina da presa segue Wendy per tre
rampe di scale e rallenta per poi subito precederla quando la donna
vede due ospiti fantasma impegnati in un atto sessuale divenne una
delle favorite di Garrett Brown: ebbe trentasei possibilità di girarla.
Il montaggio di Shining non sarebbe cominciato fino alla fine delle
riprese. Nei precedenti film di Kubrick si era cominciato prima, una
pratica abituale nell'industria cinematografica, perché aiuta il regista
a vedere di cosa c'è ancora bisogno o cosa deve essere girato di nuovo,
e permette al montatore di cominciare a dare un ritmo al film.
Kubrick stava avvicinandosi sempre più ad avere il controllo com-
pleto e assoluto sui suoi film. Sapendo che avrebbe seguito l'intera
crafila della postproduzione, il regista calcolava di aver bisogno di
almeno due o tre ciak che soddisfacessero i1 suo crìterio di perfezio-
ne. Guardando scorrere ogni ripresa con la steadicam, Kubrick divi-
deva la sua concentrazione fra la performance dell'attore e l'abilità di
Garrett Brown a mettere i puntatori esattamente nel punto richiesto.
Più avanti nella lavorazione, Kubrick avrebbe ammesso con Brown
che la recitazione degli attori era il fattore principale nella scelta del
ciak per il montaggio finale, ma che ciò non riduceva la sua pretesa
di eccellenza tecnica.
Lo spettatore occasionale di Shining tende a credere che la steadi-
cam sia stata usata solamente per le sbalorditive inquadrature che
seguono Danny sull'automobilina per i corridoi dell'Overlook, e per
la forza onnipresente che si muove nel labirinto, ma Kubrick usò
Garrett Brown per girare un'altissima percentuale del film. Con il
suo acume tecnico, Kubrick aveva capito presto che la steadicam era
in effetti così stabile da poter essere utilizzata in situazioni difficili e
che poteva essere usata anche per le scene in cui la macchina da presa
doveva essere fissa. Stanley Kubrick e Garrett Brown facevano
entrambi parte della società dei pensatori concettuali del cinema:
studente di cinema, Brown aveva capito che i cineasti cercavano un
modo di liberare la macchina da presa e, nel concepire e inventare la
Steadicam, aveva cercato di mettere a punto uno strumento che per-
mettesse all'operatore di mettere l'obiettivo dove voleva. Kubrick lo
capì e spesso ricorse all'inizio o al finale di una ripresa con la steadi-
carn come parte di una scena girata in prevalenza con una normale
macchina fissa. Brown utilizzò un obiettivo 18mm Cooke che per-
451
metteva alla steadicam di passare attraverso spazi strettissimi di
muri e porte. L'obiettivo grandangolare e le illimitate possibilità di
movimento della steadicam costituivano una immane sfida per la
luce. John Alcott risolse pazientemente ogni problema posto dalla
onnipresente macchina allestendo una luce senza ombreggiature,
adatta da un punto di vista emotivo alla scena e spesso rafforzata
dalla luce apparente del sole.
Garrett Brown seguì Shelley Duvall e Anne Jackson nel corridoio
fino al salotto, e rimase poi fisso su di loro che sul divano discuteva-
no la condizione di Danny in mezza pagina di dialogo. Per navigare
attraverso la cavernosa cucina, zeppa di cavoli, oggetti e scatoloni,
l'operatore manovrava come il corridore Mario Andretti, trovando la
linea più morbida per ogni curva: questo modo di curvare come su
un'auto da corsa permetteva di mantenere la macchina da presa invi-
sibile e di tenere l'occhio sulla scena. Brown si intrufolava nella
porta dell'appartamento dei Torrance nell'albergo, saliva e scendeva
le scale e incarnava le soggettive di Jack e Danny Torrance quando
entravano nell'orrore della stanza 23 7.
Le sequenze della cucina e del labirinto diedero a Brown la possibi-
lità di raffinare ancora di più la sua analogia con le corse automobili-
stiche: doveva sempre cercare la via più breve da seguire per ottenere
la dinamica messa in scena della scena pensata da Kubrick. Spiega
Brown: <<La macchina da presa non era mai stata in grado di percor-
rere quella che si potrebbe definire la retta di un'auto da corsa attra-
verso l'angolo. La retta di un'auto da corsa è il massimo raggio che si
può tagliare, quindi il passaggio pitt vicino possibile all'angolo vero
e proprio. Io posso muovere l'obiettivo con il minimo del disturbo,
così gli attori non sono schiacciati contro lo sfondo. Hai questa
meravigliosa serenità>>.
Brown montò sulla sua steadicam una livella a bolla d'aria che
durante le riprese nel labirinto consentiva di tenere l'obiettivo oriz-
zontale e di evitare le distorsioni dell'immagine che si verificano
spesso con un grandangolo.
Kubrick e il suo gruppo entrarono nel set dell'Overlook Hotel nel
maggio 1978 e lo tennero occupato fino all'aprile 1979. Gli Elsrree
Srudios dovettero trovare un altro modo per ospitare produzioni
come Flash G01·don di Dino De Laurentiis e L'imj1ero colj1isce ancora,
secondo episodio della trilogia di Guerre stellari di George Lucas.
Kubrick mantenne il suo abituale riserbo con molti degli attori.
Per il ruolo della dottoressa, che viene chiamata per visitare DannY
dopo che il suo primo episodio di luccicanza ha dato al bambino un
flash sul passato orripilante dell'Overlook Hotel, ii regista voleva
Anne Jackson, attrice di teatro e di cinema e moglie di Eli Wallach.
452
Kubrick telefonò alla Jackson e le parlò del ruolo in termini gene-
rici. L'attrice ricorda: <<Alla fine della conversazione, gli dissi:
"L'unica cosa, signor Kubrick, da quello che mi dice, se c'è qualcosa
che ha a che fare con l'essere ammazzata in una vasca da bagno non
posso fare la parte perché non sopporto le pugnalate. Non voglio
essere ammazzata". E lui non si mise a ridere. Disse solo: "Oh, nien-
te del genere". Aranàa meccanùa mi aveva spaventata a morte, è per
quesro che gli dissi: "La prego, non mi faccia uccidere. Se mi vuole
per farmi uccidere nella vasca, non posso farlo perché mi verrebbero
gli incubi"».
Dopo aver parlato un po', Kubrick disse alla Jackson che la voleva
per la parte di un dottore. All'attrice fu mandato il romanzo di
Stephen King e tutto fu organizzato per farla venire a Londra. La
prima impressione di Anne Jackson fu che Sranley Kubrick non
sembrava un tipico regista: <<Indossava una giacca da boscaiolo come
i ragazzi nella parte est di New York, quando ero una bambina e
andavo da quelle parti. Non sembrava l'abbigliamento adatto a un
adulto e sicuramente non era chic. Sembrava u·n uomo con un sacco
di cose a cui pensare. Non aveva facilità di rapporti con la gente. Fu
chiarissimo sul mio costume nel film. Non mi riuscì di farmi dire
come voleva che fosse il personaggio. Mi resi conto che probabil-
mente non lo sapeva fino a quando non vedeva cosa aveva creatO>>.
Erano state fatte delle ricerche su cosa avrebbe indossato nel
Colorado la gente di un particolare ceto sociale, e la Jackson fu man-
data in giro per Londra a fare compere con un membro dello staff,
per trovare il vestito indossato dalla dottoressa nella visita a domici-
lio. Ricorda l'attrice: «Ci furono fissati diversi appuntamenti e quelli
dello staff continuavano a mostrare vestiti a Stanley. Mi portarono
una gonna pieghettata e una specie di top da dottore. Lui diceva:
"No, no". Diceva solo "No", no a tutto. Poi io arrivai con una giacca
e un paio di pantaloni che avevo messo in aereo. Fa così freddo quan-
do si viaggia in aereo. Quel giorno a Londra pioveva e io me li ero
messi e Stanley disse: "È così che la voglio, procuriamoci quei vesti-
ti". Ma li aveva già visti prima perché non mi ero portata troppi
vestiti a Londra, non mi aspettavo di starei così a lungo>>.
<<Poi cominciò a insegnarmi come fare la dottoressa. Invitò un dot-
tore sul set e un week-end mi rimandò a casa con uno stetoscopio. lo
dissi: "Non capisco cosa intendi, Stanley. Dove la trovo la gente su
cui fare pratica?". Lui rispose: "Basta che suoni i1 campanello
all'albergo e ti fai mandare il personale". È quello che feci. Facevo
tUtto quello che mi diceva- era come se fossi sotto ipnosi>>.
La Jackson voleva sapere se doveva essere una pediatra o una psico-
loga infantile: <<Continuavo a chiedere a Stanley: "Quanto ne sa?
453
Non è una bravissima dottoressa del Colorado? Quanto ne sa?". Beh,
mi dava solo uno sguardo come per dire: "Dimmelo tu"».
Nel week-end, laJackson provò a ripetere la scena in cui si mette a
sedere con Wendy Torrance e spiega che l'episodio di Danny è stata
una normale esperienza infantile. La dottoressa apprende allora che
Jack ha un problema con il bere e che una volta involontariamente
ha rotto il braccio al bambino. Questa scena sarebbe stata girata
prima ma nel fìlm avrebbe seguito quella in cui la dottoressa visita
Danny e lo interroga sull'episodio avvenuto nel bagno. La sceneggia-
tura riportava solo le battute del dialogo, offrendo scarsi indizi sulle
motivazioni dei personaggi o sulle indicazioni di movimento. Le
riprese iniziarono e Kubrick girò diversi ciak della scena senza dire
nulla alla Jackson: chiedeva di girare e poi se la riguardava in video.
Ricorda l'attrice: <<Si fece un ciak e lui disse: "Ancora", e allora la
facemmo di nuovo e lui disse: "Ancora". Alla terza o quarta volta
cominciavo a innervosirmi perché avevo provato varie strade, non
sapevo cosa voleva, la prima mi sembrava a posto. Gli dissi: "Stanley,
quanto vuoi che ne sappia questo personaggio?". Lui si limitò a
guardarmi come per dire: "Perché fai tutte queste domande?". Non
mi dava la minima soddisfazione. Andammo avanti. Lui continuava
solo a rifarla mille volte. Alla fìne gli dissi: "Per favore, dimmi se c'è
qualcosa che non va o se ti manca qualcosa. Cos'è che vuoi,
Stanley?". In effetti avevo un certo nervosismo nella voce. Gli dissi
solo: "Cosa devo fare di diverso? Cosa c'è che non ti va bene?". Lui
mi guardò e mi fece veramente sentire come una ragazzina a scuola
che ha fatto qualcosa di sbagliato. Ma non sapevo cosa. All'inizio ero
stata abbastanza contenta della scena. Pensai: "Se dopo tutti questi
ciak non ho ancora fatto quello che vuole, allora finirà per licenziar-
mi". Dopo averla fatta tutte quelle volte cominciai a farne versioni
sospettose e alla fìne cominciai ad ascoltare semplicemente come se
non avessi la minima idea di cosa Shelley stesse dicendo. Questo
creava un'atmosfera di tensione. Andò avanti così fìno al momento
della pausa pranzo, e allora Shelley Duvall disse: "Non preoccuparti,
Annie, ha fatto così con tutti". Shelley mi diede uno di quei libri di
autoistruzione, del genere "Come non dire sì quando vuoi dire no".
Disse: "Ecco, prendi questo libro eleggilo". Mi piaceva molto lavo-
rare con lei, era così cara, gentile e così brava>>.
<<Poi tornammo dal pranzo e si ricominciò da capo. Non so quante
volte. So che nel fìlm ha usato il primo ciak perché mi ricordo cosa
avevo fatto nel primo ciak. So che Stanley ha usato il primo ciak per-
ché ci avevo messo molti più colori rispetto alle ultime versioni, per-
ché dopo cercavo di correggere qualcosa senza sapere cosa stavo cor-
reggendo. Tutte le scene che ho fatto dopo quella sono state ottenute
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solo con uno o due ciak. In seguito fu molto disposto ad aiutarmi.
Mentre facevo la scena con Danny Lloyd, cercavo di ingraziarmelo e
di fare amicizia. Stanley disse: "Non voglio niente del genere, voglio
che sia fatto molto seriamente". Questo mi aiutava. Mi era piaciuto
molto che mi avesse mandato a casa con lo stetoscopio. Avevo osser-
vato quel dottore con molta attenzione e avevo osservato il suo atteg-
giamento. Il suo atteggiamento era esattamente ciò che Kubrick
aveva in mente, cioè un dottore che fa bene il suo lavoro e che lo fa
in modo efficiente, senza essere troppo amichevole. La maggior parte
dei miei pediatri erano meravigliosi con i miei ragazzi, ma Stanley
non voleva niente del genere)).
Quando Anne Jackson lasciò lo studio alla fine del primo giorno,
si imbatté in Barry Nelson, che aveva conosciuto a New York.
L'attrice gli disse di chiamarla quando avesse finito il primo giorno
di riprese. «Volevo avvertirlo di quello che succedeva>>, ricorda la
Jackson. <<Gli dissi: "Chiamami, Barry'' e lui mi guardò. Quando mi
chiamò, sapeva esattamente perché glielo avevo detto. Gli chiesi:
"Quanti ciak?" e lui scoppiò a ridere. Disse: "Oh, direi circa trenta-
cinque. Ma tu avevi una scena, io avevo una battuta. Ho detto,
"Ehi là Jack, ehilà Jack, ehi}ack". E io dissi: "Che ha detto Stanley?".
Barry rispose: "Ha detto che sembravo un imbonitore da fiera">>.
Le riprese della scena in cui la dottoressa visita Danny e gli parla
filò liscia. Ricorda la Jackson: <<Quella fu proprio veloce. A quel
punto il personaggio era stato definito, Kubrick aveva scelto. Furono
necessari solo un ciak o due, perché Danny era un bambino e biso-
gnava soprattutto preservare la sua spontaneità. Non poteva lavorare
tutte quelle ore al giorno. Immagino che la ragione per cui Stanley
aveva fatto prima la scena con Shelley fosse perché voleva definire il
personaggio prima di farmi lavorare con Danny Lloyd>>.
Le due scene che Anne Jackson aveva in Shining richiesero fra le
due e le tre settimane di riprese: <<Era il regista più meticoloso con
cui avessi mai lavorato. Non avevo mai lavorato con uno così prima.
Ho per lui una tale ammirazione. Ero arrivata con quell'ammirazio-
ne e ce l'ho ancora. Cioè, anche dopo quella scena pensavo: "Se mi
dovesse chiedere di fare un altro film, lo farei". Non è un tiranno.
Stanley è tranquillo. Ti mette soggezione solo per via del suo
immenso talento e per il fatto che quando vedi i suoi film in essi c'è
tanta ricchezza che ti viene da pensare che lui sarà probabilmente
espansivo e loquace e invece non lo è per niente>>.
Kubrick aveva gradualmente imparato ad accettare le pause richie-
ste dalle troupe inglesi per riposarsi e per mangiare. Avendo comin-
ciato a New York come cineasta da guerriglia, il regista era abituato
a lavorare per lunghe ore, mangiando e dormendo in modo irregola-
455
re, mentre la troupe inglese si prendeva regolarmente le pause per il
tè e i rotoli di bacon. Quando nei paraggi fu aperto un McDonald's,
le pause serali iniziarono a includere il Big Mac, in aperta violazione
delle abitudini culinarie inglesi.
In un'insolita infrazione alle misure di sicurezza, Kubrick permise
a Vivian, la figlia minore, di fare un documentario sulla lavorazione
di Shining che fu trasmesso dalla Bbc. Il filmato offriva una rara
occasione di vedere Kubrick al lavoro. Per tutta la sua carriera,
Kubrick è stato ampiamente fotografato: le immagini raccolte negli
anni documentano l'intensa concentrazione, i leggendari occhi pene-
tranti e l'aria da cane ispido; le foto sui set rivelano un atteggiamen-
to diretto, la padronanza dietro la macchina da presa e una autorita-
ria presenza sul set. Il formato del documentario, mostrando
Kubrick in azione, lo rivela come un uomo tranquillo ma intenso. Lo
si vede sempre mentre si muove in avanti, sull'orlo dell'impazienza
con quelli che non riescono a stargli dietro e attratto da coloro con i
quali si trova in sintonia. Le sue indicazioni e i suoi suggerimenti
sono espressi con parole semplici e pragmatiche. Il suo abbigliamen-
to per Shirzing includeva un ampio parka e a volte una giacca
Eisenhower blu. La barba di Kubrick spuntava in tutte le direzioni e
veniva spesso tormentata e tirata inconsapevolmente quando era
assorto in qualche pensiero. Qualche chilo in più aveva accresciuto la
sua taglia, un tempo media, dandogli le proporzioni di un piccolo
Welles, ma la presenza ampia e autoritaria di Stanley Kubrick che
guidava il cast e la troupe nelle profondità dell'Overlook era impres-
sionante. Sembrava timido ma concentrato, un uomo che quando
guarda in macchina o in un mirino sorride quasi sempre. La som-
mità della testa era quasi calva, ora inquadrata da una zazzera di
capelli sfuggiti al controllo di pettini o spazzole. I suoi occhiali da
aviatore erano fabbricati con materiale di alta qualità. Spesso teneva
gli occhiali in mano mentre guardava nell'obiettivo per controllare il
fuoco, la composizione o la scena.
L'abitudine di Kubrick di girare un ciak dopo l'altro pesò in modo
particolare sul sessantanovenne Scatman Crothers. Una particolare
inquadratura della scena in cucina, nella quale Danny e Halloran
parlano della luccicanza, arrivò a centoquarantotto ciak. Si trattava
di una sola posizione macchina e non includeva le ampie coperture e
tutti i ciak che Kubrick si assicurava su altre angolazioni delle stesse
scene: quell'unica inquadratura durava sette minuti e Kubrick fec~
stampare ogni singolo ciak. Comunemente, i registi stampano solo 1
ciak che pensano siano riusciti bene, lasciando gli altri nel rullo del
negativo originale, ma Kubrick voleva vedere ogni fotogramma per
cercare l' «MCP», quel momento critico che riteneva conferisse alla
456
sua opera una distinzione nella regia. Anni di vorace frequentazione
delle sale cinematografiche gli avevano insegnato che nei film i
momenti magici non capitavano facilmente ma solo quando macchi-
na da presa, recitazione, scenografia, contenuto e stile trovavano
!'allineamento che creava la magia cinematografica.
Inesorabile, Kubrick girò quaranta ciak della scena in cui Halloran
è colpito con un'ascia da Jack Torrance. Dopo aver abbattuto per la
quarantesima volta l'attore ormai stanco, Jack Nicholson - che con
Scatman aveva lavorato in altri film -chiese a Kubrick di non conti-
nuare ancora a lungo. Come sempre, il regista pensava più ai risulta-
ci che alle esigenze umane del cast. Nicholson era all'apice del suo
potere creativo, aveva un immenso rispetto per Kubrick e, essendo a
sua volta stato regista, aveva una gran reverenza per le sue intuizioni
ed era pronto a sottoporsi a tutti i ciak che Kubrick avesse voglia di
fargli fare. Il regista sentiva che Nicholson dava il meglio di sé ogni
volta che si tuffava in qualcosa di nuovo e lo incoraggiava a trovare
nuove sfumature in tutto quello che la scena richiedeva. Tuttavia
l'attore si sentì obbligato a intervenire in favore di Crothers.
La lavorazione di Shinirtg fu per Scatman Crothers un'esperienza
emozionante. Quando Vivian Kubrick e la troupe del documentario
gli chiesero come fosse stato lavorare con Danny Lloyd, scoppiò in
lacrime: «È stato splendido, proprio come mio figlio. Se vedi delle
lacrime, devono essere lacrime di gioia perché ringrazio il Signore di
essere stato qui e di avere avuto modo di lavorare con questa gente
meravigliosa. Non lo dimenticherò mai>>.
La scena di Nicholson con Joe Turkel, veterano attore di Kubrick
che qui interpretava Lloyd, il barista fantasma, fu fatta e rifatta non
meno di trentasei volte. Disse Kubrick: <<L'interpretazione di Jack
qui è incredibilmente intricata, con im12rovvisi cambiamenti di pen-
siero e di umore- tutte note di grazia. E una scena molto difficile da
fare perché il flusso delle sue emozioni è così mercuriale. Richiede
cambi di direzione nettissimi e una enorme concentrazione per con-
servare lucidità e misura. In questa scena particolare Jack ha prodot-
to i suoi ciak migliori verso la fine>>.
In The Emerald Fore.rt Diary, John Boorman scrive: <<A Kubrick
piace fare molti ciak. Jack Nicholson mi ha detto che in Shining
Stanley a volte faceva settanta od ottanta ciak per inquadratura.
Quando ho visto il film ho capito cosa Kubrick avesse cercato di
fare. Cercava di ottenere imerprerazioni che nascessero dall'estremo,
dalia spossatezza>>.
Nicholson era attratto dalla crisi di famiglia dei Torrance. Per
Stephen King, quella era la miccia che faceva scaturire scintille in un
albergo infestato da fantasmi, ma per Kubrick e Nicholson, il vero
457
orrore del fìlm erano i demoni personali di Jack Torrance e la furia
che scatenava sulla sua famiglia. Nicholson, che aveva interpretato
Randle P. McMurphy in Qualcuno volò sul nido del mmlo, non era
estraneo a personaggi patologici ed era attratto dalla psicosi di Jack
Torrance. In un'intervista l'attore dichiarò: «II libro iniziava con
quel presagio, e io mi sono limitato a farlo esplodere. È un'interpre-
tazione impegnativa ed estremamente difficile, che ha qualcosa del
balletto. Se chiedi a una persona normale di camminare lungo un
corridoio di trenta metri, comincerà ad agitarsi dopo i primi dieci,
chiedendosi dove guardare, ma un attore deve riempire lo spazio.
Deve trovare un luogo in cui lo stile si fonde con la realtà del pezzo,
un qualche tipo di progetto simbolico».
L'attore Tony Burton fu scelto per il ruolo di Larry Durkin, il pro-
prietario di un'officina meccanica in Colorado che fornisce ad
Halloran il gatto delle nevi per raggiungere l'Overlook nella tempe-
sta di neve, nel momento culminante di Shining. Racconta l'attore,
che è apparso in molti film memorabili come la serie dei Rorky, The
Bingo Long Travelling AII-Star.r and Motor Kings e l ragazzi del Max's
bar e nell'acclamata serie televisiva "Frank's Place": <<II primo film in
cui avessi mai lavorato era Distretto 13: le brigate della morte di John
Carpenter. All'epoca lo proiettarono per anni in una sala di Londra.
Divenne un cult. Stanley lo vide e gli piacque. Disse di averlo visto
come un fìlm di cowboy, era come se avessero messo i carri in circolo
e i coloni fossero stati attaccati. È in questo modo che ho avuto il
lavoro in Shining. Non ho dovuto fare provini o cose simili. II mio
contratto era per una settimana. Nel film avevo solo due brevi scene.
Rimasi sei settimane perché Stanley e io giocavamo a scacchi>>.
Burton arrivò a Londra verso la fine della lavorazione di Shining:
Kubrick, il cast principale e la troupe lavoravano sul fìlm da quasi
un anno. «<I primo giorno non dovevo lavorare. Arrivai sul set e
mentre stavamo lì seduti io tirai fuori la scacchiera, ci misi sopra i
pezzi e cominciai a spostarli. Per Stanley fu una piacevole sorpresa.
Cominciammo a giocare. Io ero arrivato subito dopo pranzo.
Giocammo a scacchi per il resto della giornata. Quel giorno non si
girò più niente. Nessuno disse: "Forza, giriamo questo film". Stanley
e io giocammo due partite per il resto della giornata. Da allora non
fui più ammesso sul set. Mi vedevano alla porta e dicevano: "Tony,
per favore!">>. .
<<Stanley era più forte di me, ma io ero abbastanza forte da dargh
abbastanza da fare per divertirsi. Nella prima o seconda partita che
giocammo insieme riuscii a batterlo, e poi non vinsi più, ma era sem-
pre una lotta dura. È questo che adorava; credo che non ci fosse nes-
sun altro là che giocasse bene. Stanley è un ottimo scacchista. Parlava
458
di passare il tempo con Bobby Fischer e con tutti quei tizi a New
York. Stanley stava in piedi quando giocava con me. Era coinvolto dal
gioco a un livello fisico, non solo mentalmente, era come l'atletica. La
psicologia del suo corpo cambiava, con il procedere della lotta diven-
tava più animato. Tutti sapevano che non dovevano disturbarlo>>.
<<Stanley giocava in uno stile classico, convenzionale. Dovevi cono-
scere bene le aperture perché non sta molto a pensare. Conosce tutte
]e mosse dei manuali, la "difesa siciliana", la "Ruy Lopez", la "partita
Larson", adorava fare !"'attacco indiano di re". A me piaceva fare
!'"attacco indiano" al contrario, così ci capitava di fare delle battaglie
molto interessanti. A Stanley non piacevano gli scambi di pezzi. Gli
piaceva tenere la scacchiera piena di possibilità e tensione al centro.
Stanley aspettava che tu facessi un errore e ci si avventava sopra.
Per la sequenza con Larry Durkin, Kubrick aveva fatto fotografare
una vera autofficina nel Nordovest e le foto erano state usate per
replicarne l'esterno sul retro degli studi e l'interno in teatro di posa.
Per dare l'impressione che Tony Burton fosse fuori dall'officina
durante una violenta tempesta di neve, furono usate macchine per la
neve artificiale.
Com'era sua abitudine, Kubrick continuò a riscrivere la sceneggia-
tura di Shining mentre il film procedeva lentamente attraverso la
lavorazione. Quasi ogni giorno, agli attori erano consegnate pagine
nuove, al punto che Jack Nicholson lasciò perdere la sua copia origi-
nale e cominciò a usare come sceneggiatura corrente le revisioni
giornaliere. Quando riceveva pagine nuove tracciava una riga sotto il
nome del suo personaggio ogni volta che compariva: l'attore aveva
visto usare questo sistema a Boris Karloff quando aveva lavorato con
lui in I 11taghi del terrore e Lct vergine di cera, e da allora l'aveva adotta-
to. Kubrick mise sempre in chiaro, spesso attraverso la segretaria di
edizione June Randall, che le pagine date agli attori non erano il
"copione" ma solo una base da usare per trovare la vera scena con gli
attori, sul set, davanti alla macchina da presa, accanto a montagne di
pellicola vergine pronta a catturare ciò che avevano trovato.
Sul set, Nicholson appariva sempre nel personaggio: k sue leggen-
darie sopracciglia arcuate, molto simili a quelle del regista, si muo-
vevano costantemente su e giù, a destra e a sinistra, esprimendo la
personalità giocosa, maniacale e maligna che covava all'interno.
Passando il tempo con la troupe e rivolgendosi alla macchina da
Presa della troupe di Vivian Kubrick, Nicholson meneva in mostra
l~ sua intelligenza diabolica e il ghigno da bambino cattivo. La parte
dt Jack Torrance era estremamente fisica, così spesso l'attore si cari-
cava fino alla frenesia, saltando su e gil.t e imprecando ad alta voce
lllentre aspettava di girare.
459
Una delle più ispirate improvvisazioni di Nicholson fu l'ormai leg-
gendaria battuta <<Here's Johnny! >> dopo aver abbattuto a colpi di
scure la porta del bagno per raggiungere la terrorizzata Wendy.
Vivian Kubrick stava accumulando su pellicola uno studio senza
precedenti di Stanley Kubrick all'opera e il regista usava l'opportu-
nità per tenere a mente ogni sua mossa. Ricorda Tony Burton:
<< Vivian era sempre lì che ci riprendeva mentre facevamo il film.
Aveva anche un carrettino che spingeva in giro. Stavi parlando con
Stanley, veniva fuori qualche discussione o qualche tema e lui diceva:
"Già, ne stavo parlando ieri con Jack. Vivian, cos'è che dicevaJack?".
E lei frugava nel carrettino, trovava l'argomento della conversazione
e glielo rileggeva>>.
La madre di Stanley Kubrick, Gertrude, venne a trovare il figlio
durante la lavorazione di Shining. Kubrick aveva ereditato l'aspetto
di sua madre: gli occhi di Gert erano acuti, pesantemente segnati e
coronati da sopracciglia finemente arcuate. Intelligente e raffinata
nel parlare, la donna approfittò della visita per interrogare il figlio
sui metodi del fare cinema.
June Randall e gli assistenti di Kubrick lavoravano con Nicholson
e con gli altri attori e li aiutavano a imparare le battute leggendo il
dialogo assieme a loro, in modo da farglielo memorizzare completa-
mente. Anche se il regista incoraggiava l'improvvisazione e l'inven-
zione - se era ispirata - dai suoi attori si aspettava professionalità.
Parte del mestiere di recitare stava nell'imparare le battute e recitar-
le con precisione. Kubrick non amava l'improvvisazione se sentiva
che un attore non aveva perfetta padronanza di ogni parola della sce-
neggiatura. Una volta attenutala, se riteneva che fosse il caso,
Kubrick incoraggiava allora quelli che, come Jack Nicholson e Peter
Sellers, erano dotati n eli 'improvvisazione.
«Stanley mi mandava in albergo un assistente ai dialoghi che
ripetesse le battute con me>>, ricorda Tony Burton. <<Alla fine dovet-
ti dirgli: "Capo, la devi smettere di venire qui. Non ho bisogno di
te. Sapevo già le battute quando sono arrivato qui", così smise di
venire>>.
Kubrick continuò a lavorare alla sceneggiatura durante la lavora-
zione, battendo furiosamente, con un improvvisato e incerto stile a
due dita, su una macchina da scrivere portatile e non elettrica- per
quell'attività non usava un approccio elettronico, digitale o high-
rech. Osservare il regista che flagella i tasti, con gli occhi fissi sulle
lettere che formano le parole, e il carrello che scatta, dà l'impressione
che le dita dietro ai fogli di «Il mattino ha l'oro in bocca>> che riern·
piano il manoscritto su cui Jack Torrance ha lavorato tutto l'inverno
potessero essere le sue. Le forme e i ritmi delle parole riflettono
460
l'approccio innovativo di Kubrick al formato della sceneggiatura e la
sua ossessione per la simmetria, la configurazione e la ripetizione.
Mentre dirigeva, Kubrick si faceva coinvolgere fisicamente dalla
pianificazione di una scena. Per un'inquadratura dal basso verso
l'alto di Jack Torrance che prega sua moglie di !asciarlo uscire dalla
dispensa, il regista definì l'inquadratura con il suo mirino: dopo aver
deciso per un'inquadratura molto dal basso in alto verso Jack,
Kubrick lasciò la comoda sedia da regista e andò a sdraiarsi sul pavi-
mento per guardare Jack Nicholson che recitava sopra di lui.
Durante la ripresa della scena, Kubrick rimase sdraiato accanto
all'operatore di macchina per tenere una gelatina su una lampada
puntata sul volto maniacale di Nicholson. Lo si vede spesso sdraiato
a terra per studiare inquadrature wellesiane dal basso, o mentre roto-
la sul pavimento, riprende, assiste e guarda direttamente il suo sog-
getto accanto alla macchina da presa. Le indicazioni di Kubrick a
Nicholson erano spesso brevi e chiare, come: <<Ce la faresti a trovare
qualche modo per non guardare qui ma guardare in basso mentre
dici la battuta?». Attore intuitivo e dotato di un grande controllo
del suo mestiere, Nicholson non aveva difficoltà a dare a Kubrick
quello che lui voleva per quel ciak e a prepararsi ai successivi.
Kubrick non occupava spesso la sedia da regista. Era sempre in
piedi dietro a Brown e alla sua steadicam oppure, quando non stava
guardando lo schermo video, era seduco sul dolly o sul pavimento
per vedere direttamente quello che vedeva la macchina da presa. Il
regista stava sempre un passo avanti a tutti sul set: la sua intensità
dava l'impressione di un conflitto interiore fra pazienza e impazien-
za. Gli scacchi gli avevano insegnato a non catturare un pezzo sulla
base di una spinta emozionale, così sul set rimaneva calmo, conti-
nuando a pungolare tutti coloro che gli stavano attorno perché fosse-
ro migliori, più veloci e più perfetti.
Nicholson, un veterano che aveva lavorato con molti registi impor-
tanti, aveva un incrollabile rispetto per Stanley Kubrick. Alla troupe
dei documentario, l'attore dichiara: «Quando mi scontro con un
regista che ha un'idea con la quale magari non sono d'accordo,
magari non ci ho pensato su o roba del genere, sono più pronto a
seguire loro che non me stesso, perché come attore voglio essere
senza controllo. Voglio che siano loro ad avere il controllo, altrimen-
ti diventerà prevedibilmente opera mia e non è più divertente».
f momenti centrali della steadicam in Shining sono -le scene in cui
l'obiettivo segue Danny che pedala sulla sua automobilina fra i corri-
doi e le stanze dell'Overlook. Visivamente, le scene sono stupefacen-
ti, con la macchina da presa montata sulla sedia a rotelle che insegue
Danny a pochi centimetri dal pavimento. Ma il suono delle ruote di
461
plastica che scorrono alternativamente sul legno e sul tappeto nella
stanza principale crea un effetto viscerale che comunica direttamente
con il bambino presente in ogni spettatore. La concezione delle
sequenze richiese molte prove ed errori: al primo tentativo, Garrett
Brown correva a piedi dietro all'automobilina di Danny, ma le
inquadrature di tre minuti che Kubrick richiedeva lo sfiancavano. A
piedi, Brown era anche limitato dal non poter mettere la macchina
da presa a meno di cinque centimetri da terra- troppo alta per met-
tere l'obiettivo direttamente dietro il bambino che pedala furiosa-
mente per l'Overlook. La steadicam fu allora adattata alla sedia a
rotelle speciale di Ron Ford: ora Garrett Brown si poteva muovere
assieme alla macchina da presa, controllando il livello. Fu costruita
una piattaforma perché si potesse portare dietro il tecnico del suono,
l'assistente operatore Douglas Milsome e altri. Milsome, che avrebbe
firmato la fotografia del successivo film di Kubrick, Full Meta/
ja.-ket, era l'addetto al fuoco di John Alcott, un ruolo particolarmen-
te difficile con una macchina da presa costantemente in movimento:
Milsome, usando un comando senza fili, poté offrire al regista imma-
gini affilate come rasoi.
Il peso dell'attrezzatura e dei suoi occupanti si rivelò eccessivo per
le gomme originali. Una corsa all'inseguimento di Danny nei corri-
doi si concluse con l'esplosione di uno pneumatico che quasi provocò
un serio incidente, e furono quindi montate gomme più solide.
Kubrick continuava a cercare modi per duplicare i ciak di una data
inquadratura con regolarità e precisione: la sua soluzione fu di mon-
tare un tachimetro molto preciso, che si poteva controllare per stabi-
lire il ritmo esatto di una determinata ripresa, in modo che Garrett
Brown potesse fare ciak uguali uno dopo l'altro.
Le scene in cui Danny esplora con la sua automobilina i corridoi
stregati dell'Overlook permettevano a Kubrick di usare i metodi
classici dei registi del cinema muto: molte inquadrature non avevano
dialogo sincronizzato e il regista poteva usare due tecniche che risali-
vano ai giorni di David W. Griffith. Una era di far sentire della
musica per stabilire un ambiente emotivo per Danny Lloyd e per
creare un'atmosfera sonora in cui il bambino potesse recitare.
Kubrick aveva usato il medesimo espediente in SJwrtams e 2001.
L'altro classico trucco era di dirigere l'attore mentre la macchina da
presa continuava a girare: nel riprendere la scena in cui Danny corre
nei corridoio e si sorrrae ai padre infuriato nascondendosi in uno
degli armadi della cucina e chiudendo la porta, Kubrick istruì Leon
Vitali, che comunicava direttamente con il bambino, perché dicesse
a Danny di <<Stare a sentire Stanley», dandogli accesso diretto al pic-
colo attore; Vitali era la figura che sul set Danny associava con
462
l'autorità, ed era anche l'amico del bambino e la persona che control-
lava il suo universo sul set di Shining. Una volta fatte partire le mac-
chine, Kubrick dirigeva Danny gridando con insistenza nel suo
megafono elettronico: <<Danny, salta fuori, Danny, esci di lì, guarda
di nuovo fuori, Danny, esci, Danny, guarda dietro, guarda dietro,
Danny, comincia a rallentare, comincia a rallentare, vedi la porta,
vedi la porta, guarda nell'armadietto, presto, entra nell'armadietto,
Oanny!>>. Per una coincidenza, Kubrick aveva scelto un attore di
nome Jack per il ruolo di Jack Torrance e uno di nome Danny per
suo figlio, Danny Torrance, e nel caso del ragazzino la cosa dava
immediatezza alla performance, perché gli era pii:1 facile rispondere
al suo nome di battesimo.
Per la sequenza in cui Jack entra nella sala da ballo piena di ospiti
del 1920 che danzano e si godono l'atmosfera di festa, Kubrick fece
provare alle comparse le eleganti danze dell'epoca. Il regista seguì
attentamente le prove e scelse personalmente le musiche pii:1 adatte
spostando la puntina sul giradischi. Dirigeva i ballerini e gli ospiti
della festa con il megafono, dando loro cortesi indicazioni su dove
stare e come apparire rispetto alla macchina da presa. Kubrick chiese
alle comparse di non parlare veramente, in modo da non interferire
con il sonoro in presa diretta, ma di limitarsi a mimare le reciproche
conversazioni. Ma gli anni passati a esaminare migliaia di film ave-
vano insegnato al regista che spesso le comparse tendono a mimare le
loro azioni annuendo e usando ampi gesti che si percepiscono subito
come falsi. Kubrick chiese loro esplicitamente di recitare con natura-
lezza, per dare alla scena un inquietante senso di realismo temporale,
mentre Jack passa dagli anni Settanta ai ruggenti anni Venti.
Kubrick proiettava i giornalieri con proiettori di sua proprietà, che
faceva smontare e rimontare regolarmente per contrastare l'instabi-
lità dovuta ali 'usura. Il regista era particolarmente sensibile alla niti-
dezza e alla stabilità delle immagini proiettate. Le copie erano stam-
pate su pellicola matte-perf, che assicurava stabilità durante la proie-
zione. I laboratori Rank avevano la sola stampante che secondo
Kubrick era in grado di dargli la stabilità necessaria. Il regista fece
disegnare dal suo staff una tabella che forniva i requisiti e le peculia-
rità di ogni obiettivo del suo vasto arsenale fotografico: mentre gli
altri tendevano ad affittare, per anni Kubrick aveva acquistato la
maggior parte della sua attrezzatura, vedendo nella proprietà del
materiale il modo di assicurarsi, di mantenere e di controllare la
qualità che richiedeva ai suoi strumenti .
. Ogni fotogramma delle sequenze nel dedalo primordiale e labirin-
tJco sul retro dell'Overlook fu girato con la steadicam. I cespugli
erano stati fabbricati con rami di pino inchiodati su forme di com-
463
pensato disposte in modo da creare un dedalo di file, angoli e curve
che conducevano verso il centro e di nuovo all'esterno, se chi cercava
la strada trovava i passaggi giusti. I sentieri erano lastricati di
ghiaia. Una parte centrale del labirinto era costruita su un lato de!
set ed era più ampia del resto: nel montaggio finale sarebbe apparsa
al centro, collegata alle file e agli angoli delle siepi esterne, che sem-
bravano tutte uguali al visitatore confuso. All'inizio il labirinto era
stato costruito con alcuni punti aperti, ma la cosa a volte disorienta-
va Brown e se gli capitava di puntare l'obiettivo su uno dei buchi,
distruggendo l'illusione del labirinto, l'inquadratura era rovinata.
Kubrick fece fare una mappa completa del percorso, che veniva
usata per entrare e uscire e decidere le inquadrature. Alla troupe ne
furono distribuite delle copie, ma durante la lavorazione c'era sem-
pre chi ci si perdeva. Ricorda Garrett Brown che, se ti perdevi e gri-
davi <<Stanley!», la risata di Kubrick sembrava venire da ogni dire-
zione all'interno del labirinto. Il regista era spesso seduto davanti a
un monitor che riceveva l'immagine da un'antenna montata su una
scaletta. Per vedere il replay, Brown doveva rifarsi tutta la strada
attraverso il labirinto dopo averlo attraversato per fare la ripresa. Per
girare le complesse sequenze, l 'operatore usava un obiettivo
Kinoptik da 9,8 a sessanta centimetri dal suolo. La steadicam fu
usata anche per inquadrature fisse all'interno del labirinto, perché
consentiva di risparmiare tempo, non dovendo portare tutta l'attrez-
zatura dentro e fuori dall'immenso rompicapo.
Per l'inseguimento notturno nella neve fra padre e figlio che conclu-
de Shining, Roy Walker e i suoi scenografi avevano costruito il labirin-
to nel teatro uno degli studi Emi. Per creare abbastanza neve da ripro-
durre l'effetto di una tormenta nel Colorado si usarono sale grosso
bianco e polistirolo sbriciolato. La troupe si muoveva con difficoltà nel
materiale sabbioso e la cosa era particolarmente ardua per Garrett
Brown, che doveva correre senza posa dietro a Jack Nicholson e
Danny Lloyd: in alcune inquadrature, la sua steadicam seguiva o
precedeva i personaggi, in altre diventava la soggettiva dell'uno o
dell'altro. Per otto ore al giorno, il set era inondato di denso fumo
artificiale, per creare l'impressione della nebbia sulle quartz da giar-
dino usate per illuminare il labirinto immerso nella neve. Il fumo
rendeva difficile respirare, soprattutto per Brown che era sempre
sotto sforzo: la troupe all'inizio indossava maschere antigas, ma
l'operatore trovava che così non gli arrivasse abbastanza aria per
poter correre da un estremo all'altro del labirinto; inoltre la nev~
artificiale rendeva difficile muoversi e le luci erano sempre fra 1
piedi: furono le inquadrature pitt difficili clel film. Una ripresa che
seguiva i piedi di Danny fu fatta con l'obiettivo a meno di clieci cen-
464
timetri di altezza e fu realizzata con una copia della prima steadi-
cam: solo la macchina da presa, la batteria e un caricatore. Per
['inquadratura in cui Danny torna indietro sulle sue stesse orme si
nasconde e semina suo padre, che non riesce a capire perché le orme
si interrompano all'improvviso, Garrett Brown dovette indossare
trampoli speciali su cui erano inchiodate le scarpe di Danny, in
modo da poter camminare nelle orme del bambino.
Durante le riprese dell'inseguimento notturno nella neve con cui
culmina il film, Kubrick fece suonare una musica che riteneva adat-
ta. Regolando personalmente il volume e i punti chiave, Kubrick
lanciava istruzioni a Danny Lloyd per mantenerlo al giusto livello
emotivo. <<Non guardarti le mani, Danny! Non guardarti le mani
quando torni indietro! Lentamente. Lentamente. Continua a venire
avanti. Più spaventato, Danny. Ora, vai -corri, corri, corri!>>, grida-
va enfatico Kubrick mentre Danny arrancava fra montagne di sale e
polistirolo.
Le grandiose inquadrature dall'elicottero con le quali si apre
Shining furono girate al Glacier National Park nel Montana: Kubrick
inviò sul posto una seconda unità che gli riferì che l'area era priva di
interesse. Quando il regista vide le riprese di prova, capì che la loca-
tion era perfetta, ma che era sbagliata la troupe; chiamò quindi Greg
McGillivray, un rinomato operatore di scene dall'elicottero, che
passò diverse settimane nel Montana ottenendo risultati spettacolari.
Incontrare Stanley Kubrick faccia a faccia stava diventando sempre
più difficile per chiunque non lavorasse direttamente su uno dei suoi
film o non facesse parte della sua selezionata sfera privata. Il mondo
cominciava a vedere il regista come lo Howard Hughes del cinema
contemporaneo: usciva raramente da casa, se non per lavorare in uno
studio vicino, e non se ne andava quasi mai dall'Inghilterra. Restava
in contatto con molte persone in tutto il mondo, non per chiacchiere
spicciole- un'abitudine che non condivideva né comprendeva- ma
per ottenere informazioni e nutrire quei rapporti personali che erano
incondizionati e fermamente consolidati.
Sul set di Shining le misure di sicurezza erano rigide e il cartello
<<Non disturbare>> non fu mai staccato dall'Overlook Hotel. Uno dei
pochi visitatori esterni che Kubrick ammise durante le riprese fu il
suo vecchio amico Alexander Walker, che conosceva il regista meglio
e da più tempo di qualunque altro giornalista cinematografico.
Anche se Walker aveva scritto il primo saggio imporrante sul regi-
sta, Stanley Kubrù·k Direct.r, e aveva seguito la sua carriera da vicino,
Kubrick era ancora per lui un parziale enigma. Walker andò in visita
su( set di Shining e passò attraverso i rigidi controlli che Kubrick
aveva instaurato: il giornalista non era stato annunciato in anticipo
465
ma, quando arrivò, il suo nome fu comunicato a Kubrick sul walkie-
talkie e il generale diede l'okay. A Walker fu fornita una mappa dei
labirinto che dettagliava le coordinate esatte del punto in cui
Kubrick stava girando in quel momento.
Alexander Walker seguì l'intricata mappa e, dietro l'angolo di un
muro di siepi, trovò Kubrick in piedi dietro a Garrett Brown, che
preparava un'inquadratura con la steadicam: il regista teneva le mani
appoggiate con delicatezza sui fianchi di Brown per guidarlo mentre
eseguiva nel labirinto il balletto della steadicam che sarebbe diventa-
to uno degli elementi più sorprendenti di Shining. Walker osservò
che Kubrick non era cambiato molto dall'ultima volta che si erano
visti: la barba era più lunga e la leggendaria trascuratezza nel vestire
era diventata «una versione standardizzata di tenuta da lavoro e
tempo libero>>.
Walker era stato in presenza di Kubrick molte volte in diversi
decenni, ma gli occhi del regista continuavano ad affascinarlo. In un
articolo pubblicato sul «Los Angeles Herald-Examiner>> scrisse: <d
suoi occhi ipnotici, dominati da rughe di insolita forza, continuano a
folgorare con lo sguardo visitatori, amici e perfino familiari>>.
Verso la fine del gennaio 1979, una settimana dopo la visita di
Alexander Walker, mentre Kubrick girava su un set, poco dopo le
sei di sera scoppiò un incendio in un teatro adiacente che conteneva
parte dell'hotel. Quando qualcuno si accorse del fumo, l'edificio fu
evacuato, ma l'incendio stava ancora covando il mattino seguente. I
danni al set e al teatro di posa furono notevoli: inoltre erano andate
distrutte le fotografie degli archivi classici della Warner Bros.
L'immagine delle foto che bruciavano - le stampe in bianco e nero
inghiottite dalle fiamme -avrebbe potuto essere utilizzata in
un'altra versione di Shining, più vicina al finale del libro di Stephen
King che al freddo approccio psichico di Kubrick. L'incidente pro-
lungò di tre settimane il programma di riprese, che inizialmente
avrebbe dovuto concludersi a fine febbraio, posticipando la fine alla
metà di marzo. Andrew Mitchell, direttore generale degli Emi-
Elstree, stimò che la ricostruzione del teatro, inclusi un nuovo muro
e il tetto, sarebbe costata 2 milioni e mezzo di dollari. Subito dopo,
il teatro era stato prenotato da L'impero colfJi.ra amm·a, ma l'impegno
fu subappaltato alla struttura della Lee lnternational a Wembley.
Dopo aver valutato il danno, Kubrick e i suoi decisero di riprodurre
parte del set in un altro teatro per completare Ie riprese in quella
parte dell'Overlook. .
Kubrick e il suo montatore, Ray Lovejoy, erano alla ricerca di
nuovi metodi di lavoro da introdurre in sala montaggio e, perfetta·
mente aggiornati sulle nuove tecnologie, iniziarono a esplorare un
466
metodo che applicava il nastro magnetico al montaggio di un film.
Una delle persone contattare fu Bob Gaffney, rintracciato alla proie-
zione dei giornalieri di una pubblicità della Exxon. Kubrick gli disse
che voleva sapere un po' di cose sul montaggio al computer, e
Gaffney si rese conto che la struttura in cui si trovava disponeva di
un sistema di montaggio non lineare CMX, così chiamò subito il
recnico della società. Kubrick rimase a lambiccarsi il cervello per
oltre un'ora.
Philip Stone fu chiamato per la sua terza apparizione in un film di
Stanley Kubrick, questa volta nel ruolo di Grady, il precedente guar-
diano deli'Overlook Hotel, che ha ammazzato a colpi di scure la
moglie e le due figliolette. Nel film, Stone dà un'interpretazione
snervante di Grady, che appare aJack mentre esce dal bar durante un
ballo degli anni Venti. Grady, che ora è un cameriere, versa un drink
addosso a Jack Torrance e lo porta in bagno per aiutarlo a pulirsi. La
scena si svolge in un bagno rosso sangue e, lentamente, la lunga
discussione si sposta sul male presente nel passato dell'albergo e sul
male attuale della mente surriscaldata di Jack. Ricorda Philip Stone:
«Quella lunga scena con Grady e Jack richiese molto tempo. Lunghi
ciak ogni volta. Sembrava di essere in quel set da sempre. Ero orgo-
glioso di quel lavoro. Jack Nicholson continuava a dire: "Dovresti
andare negli States, Phil, guadagneresti una fortuna". La concentra-
zione e l'immobilità mi venivano dall'esperienza in commedie di
Pirandello, lunghi discorsi recitati con leggerezza, il dramma della
mente, ma dietro le battute ci devi mettere le palle».
Kubrick era stato duro con i suoi attori principali. A Janet Huck,
Jack Nicholson disse: <<Stanley è esigente. Fa una scena cinquanta
volte e per fare una cosa simile devi essere bravo. Ci sono così tanti
modi di entrare in una stanza, ordinare la colazione o morire di
paura in un armadio. Il metodo di Sranley è: come possiamo fare per
farlo meglio di quel che è stato fatto prima? È una grande sfida.
Molti attori gli danno quello che lui vuole. Altrimenti, te lo tira
fuori lui a forza- con il guanto di velluto, naturalmente>>.
Kubrick fu durissimo con Shelley Duvall, spingendola all'estremo
via via che Wendy Torrance è tormentata dalla depravazione di suo
marito. Spesso il regista piagnucolava: <<Shelley, non è così. Quanto
dovremo aspettare perché ti riesca di farla giusta?>>.
Kubrick tendeva a schiacciare Shelley Duvall dal punto di vista
psicologico, facendo sentire all'attrice che non stava riuscendo a dar-
gli quello che lui voleva, che stava facendo perdere tempo a tutti. Il
regista voleva che la Duvall usasse queste vessazioni per la parte di
Wencly, ma l'attrice era un tipo mire e il suo stile personale non fun-
zionava al meglio sotto pressione. Kubrick trovava che la Duvall rea-
II67
gisse in modo eccessivo nella scena in cui si nasconde in bagno men-
tre Jack minaccia di buttare giù la porta ad accettate. «Shelley,
l'unica parte chiaramente sbagliata era alla fine, quando hai detto:
"Dobbiamo farlo uscire di qui". Alla fine ci hai messo forza ma io
penso che debba essere un'ultima preghiera disperata e penso sempre
che non dovresti trasalire a ogni singola battuta enfatica. Sembra
finto. Davvero. Shelley, te lo ripeto, succede troppe volte, tutte le
volte che lui parla enfaticamente tu trasalisci e sembra falso>>. La
Duvall cercava di far sue le battute, modificandole per adattarle alla
sua interpretazione del personaggio. Kubrick le disse: <<Onestamente,
non credo che le battute faranno molta differenza se riesci ad avere
l'atteggiamento giusto. Penso che tu ti preoccupi della cosa sbaglia-
ta>>. Il regista continuò a lavorare sull'atteggiamento, mantenendo la
pressione sull'attrice per farle esprimere nella sua situazione nervosi-
smo e paura autentici.
Per girare l'inquadratura in cui Wendy corre fuori dalla porta
posteriore deli'Overlook, Kubrick e la troupe stavano fuori dalla fac-
ciata costruita sui terreni degli studi. Il regista ordinò di riempire
l'aria di neve e di fumo, diede l'azione facendo partire video e cine-
presa e attese con impazienza che la Duvall schizzasse disperata fuori
dalla porta cercando di sfuggire al marito impazzito. Dal walkie-
talkie, mentre la Duvall aspettava il segnale all'interno, usciva il fra-
casso della macchina per la neve e un accavallarsi di ordini da
Kubrick e dal suo assistente. Confusa, l'attrice non riuscì a uscire,
perché pensava che le avessero detto di aspettare un minuto prima di
partire. Quando Kubrick vide che la Duvall non usciva diede lo srop
e partì alla carica verso la porta. In un raro e m~mentaneo scoppio di
rabbia rimproverò l'attrice: <<Non c'è disperazione!>>, gridò. <<Là fuori
ci stiamo massacrando, cazzo, e tu devi essere pronta!>>. La Duvall
spiegò che non aveva capito il segnale alla radio, ma a Kubrick inte-
ressava solo l'atteggiamento del personaggio: <<Sì, ma quando lo fai
devi essere disperata, Shelley, ora stai facendo perdere tempo a tutti>>.
La lavorazione di Shirtirtg fu per la Duvall un tormento, ma alla
fine fu fonte di soddisfazione. Kubrick lavorava direttamente e con
facilità con Nicholson, ma l'attrice trovava che non le fosse prestata
la stessa attenzione e che non ci fosse altrettanto rispetto o conside·
razione per le sue idee e i suoi sentimenti. Lo stress della lunga lavo-
razione le causò problemi di salute. La troupe si prese cura della
Duvall quando un giorno si sentì mancare e dovette sdraiarsi un
attimo, ma Kubrick continuava a dirle che tutta quell'attenzione
non l 'aiutava a catturare lo spirito frenetico di una moglie malcrat·
rata come Wendy Torrance. <<Non commiserate Shelley>>, diceva,
<<non è di aiuto>>.
468
,,Da maggio fino a ottobre ho continuato davvero a stare male perio-
dicamente, per via dell'enorme stress del ruolo e per quello di essere
lontana da casa- proprio sradicata e spostata da un'altra parte- e si
era appena chiusa una mia storia, quindi per me era proprio un perio-
do tumultuoso>>, spiegò la Duvall all'obiettivo di Vivian Kubrick.
Ripensando alla difficile esperienza, la Duvall disse nel documen-
tario che in fondo il fine aveva giustificato i mezzi, vista la qualità
del film ultimato: <<Se non fosse stato per quella raffica di idee, e a
volte di scontri di teste, non sarebbe venuto fuori così bene. Ti aiuta-
va anche ad aumentare l'emozione e la concentrazione perché in
effetti faceva montare la rabbia. Riesci a tirar fuori di più, e lui lo
sapeva. Sapeva che facendo così mi faceva dare di più. Era un po'
come un gioco. Tu provi dolore e non ti piace ciò che provoca il
dolore, e provi risentimento. Così a volte avevo risentimento per
Stanley, perché mi pungolava e mi feriva. Ce l'avevo con lui per que-
sto motivo. Pensavo: "Perché vuoi farmi questo?", "Come puoi farmi
questo?". Mi tormentava ma era un tormento necessario a tirar fuori
quello che voleva tirare fuori. Avevamo in mente lo stesso fine, solo
che a volte i mezzi erano diversi, e alla fine i mezzi arrivarono a coin-
cidere. Lo rispetto davvero come persona e come regista. Sono sbalor-
dita, mi ha insegnato più lui, nell'arco di un anno in un solo film, di
tutto quello che ho imparato negli altri film che ho fattO>>.
<<Stanley mi ha spinto e pungolato più di quanto non mi fosse mai
successo prima>>, ha detto la Duvall. «È il ruolo più difficile che
abbia mai interpretato. Stanley ti fa fare cose che non avresti mai
pensato di poter fare. Robert Altman dice che sono un'artista diversa
da quando ho lavorato con Kubrick. Se Stanley non mi avesse pun-
golata così tanto, non sarei mai riuscita a tirar fuori un'interpretazio-
ne come quella. Non avrei mai pensato che fosse possibile>>. Quando
Altman lavorò di nuovo con la Duvall, nel suo sfortunato ma ispirato
Popeye - Brarào di ferro, si accorse che dopo aver sofferto quasi un
anno con Kubrick l'attrice era trasformata.
Scatman Crothers, che compì settant'anni mentre Shining usciva,
non aveva mai sentito parlare di Stanley Kubrick fino a quando era
stato scelto per fare Halloran, e lo trovò una forza della natura. A Jack
Kroll, Crothers dichiarò: «In una scena dovevo uscire da un gatto
delle nevi e attraversare la strada, niente battute. Cinquanta ciak.
Fece attraversare la strada a Shelley, Jack e il bambino. Ottantasette
ciak, caro mio, vuole sempre qualcosa di nuovo e non si ferma finché
non l'ottiene>>.
Ricorda Tony Burton: «Un giorno stavano girando un primo piano
di Scatman. Non era un dolly, non aveva movimenti di macchina.
Stanley girò qualcosa come centotrenta ciak e non ne stampò nem-
469
meno uno. Lo giravano e Stanley diceva: "Di nuovo, di nuovo, di
nuovo". Tutti stavano diventando pazzi: "Sono io? Sono io? Vuoi che
provi io a farla? Cosa posso fare?". Stanley diceva: "Di nuovo". II
giorno dopo Stanley spostò alcune delle battute. Scatman aveva otto
o dieci battute, così Stanley spostò alcune di quelle in cima giù nel
mezzo, e qualcuna che stava in fondo in cima. La girarono così e
stamparono la buona attorno al quarto ciab>.
«<o sono famoso per brontolare dietro le quinte>>, raccontava Jack
Nicholson. <<Mi lamentavo perché era l'unico regista che illumina i
set senza controfigure. Dovevamo stare lì anche per farci illuminare.
Solo perché sei un perfezionista non vuoi dire che tu sia perfettO>>.
Nicholson accettò il sistema di Kubrick di scoprire cosa si potesse
tirar fuori dalla sceneggiatura un ciak dopo l'altro, cercando modi
diversi di fare praticamente tutto quello che era richiesto. Alla troupe
del documentario, Nicholson spiegò: <<Quando sei un attore di suc-
cesso, puoi fare una cosa un sacco di volte, ma non puoi avere una
serie di teorie pronte. Puoi andare avanti per anni a dire: "Questa cosa
la voglio fare reale, perché nessuno l'ha veramente vista dal vero".
Continuano a vedere un tipo di irrealtà dopo l'altra che passa per esse-
re reale e tu diventi pazzo con il realismo e poi vai a sbattere in qual-
cuno come Stanley che dice: "Già, è reale, ma non è interessante">>.
Tony Burton era sul set quando Kubrick stava lavorando sull'ulti-
ma inquadratura del film: un lento carrello che attraversa l'ingresso
dell'Overlook e finisce sul primo piano di una foto del 1920 in cui
Jack è fra gli ospiti dell'albergo. <<Girarono quella scena per giorni>>,
ricorda Burton. <<Stanley si limitava a guardare il monitor e a dire:
"Di nuovo". Non riuscivano a superare un terzo della distanza attra-
verso la hall. Gli ci volle una settimana per coprire un terzo della
strada. Stanley continuava a vedere dei sobbalzi, voleva che fosse per-
fettamente liscia. Così cambiarono il carrello del dolly. Poi lo misero
su un binario. Poi lo tolsero dal binario. Poi cambiarono le ruote.
Poi ci misero piti peso. Poi il peso non bastava e ci misero su più
persone. C'era gente appesa a questo carrello che cercava di stare
immobile per poter fare questa inquadratura».
<<Non so quante volte hanno girato il sangue nell'ascensore.
Qualcuno mi ha detto che la giravano da prima ancora che le riprese
fossero iniziate l'anno prima. Mentre stavo lì la fecero tre volte. Circa
ogni dieci giorni la giravano di nuovo e Stanley diceva: "Non sem_IJ~
sangue" e loro chiedevano: "Beh, è un problema di consistenza? E 1!
colore?". Gli ci volevano qualcosa come nove giorni per preparare di
nuovo l'inquadratura e allora tornavano, la porta si apriva, veniva
tutto fuori e Sranley diceva: "Non sembra sangue". Ma alla fine riu-
scirono a farla>>.
470
Le due scene di Tony Burton andarono abbastanza lisce. Il suo
costume fu scelto facilmente e Kubrick non fece troppi ciak. Ricorda
Burton: <<Non dovette dare molte indicazioni. Essendogli stato
intorno per sei settimane e avendo avuto a che fare con lui sulla scac-
chiera, sapevo più o meno cosa voleva da questo personaggio. Voleva
qualcosa di molto semplice. Stanley era molto diverso in momenti
diversi con gente diversa. Gli piaceva portar fuori a pranzo la gente
in gruppi, e in quei momenti era diverso da quando era alla scacchie-
ra o da quando era sul seta lavorare. Quando lavora sul set non parla
con nessuno. Non spiega niente. Dice solo: "Di nuovo. Di nuovo".
Tu sai che non va bene e nessuno sa che aggiustamenti si devono
fare. È questo che fa diventare tutti pazzi. Dice solo: "Di nuovo". Se
è una scena di sessanta secondi, magari ti ferma dopo dieci e tu dici:
"Perché mi ha fermato?". Ma lui non te lo dice. Se dici: "Che cosa
c'è, Stanley?", lui risponde: "Tutto bene, tu sei a posto. Di nuovo.
Proviamoci ancora". Non si può mai sapere>>.
Durante il film, Kubrick torna sull'immagine delle due bambine
assassinate da Grady che appaiono a Danny nei corridoi dell'Over-
look. L'immagine, surreale e inquietante, evoca l'innocenza e l'iden-
tità dell'infanzia e ha le sue radici in due foto del passato di foto-
grafo del regista. Nella sua biografia di Diane Arbus, la scrittrice
Patricia Bosworth rileva che Kubrick potrebbe essere stato influen-
zato dalla famosa foto della Arbus di due bambine affiancate: la
fotografia, che stuzzica e turba, è divenuta quasi il simbolo
delJ'enigmatica artista, che esplorava l'anima dei suoi soggetti e, ai
tempi del Greenwich Village, aveva preso il giovane Stanley
Kubrick sotto la sua ala protettrice. L'altra foto era nata dalJ'obiet-
tivo dello stesso Kubrick, quando era stato inviato a fotografare
scene della vita dei dipendenti della Electric Light and Power
Companies, per il numero di <<Loob> del 25 maggio 1948:
nell'angolo di destra dell'articolo c'è la foto di due bambine -
Phyllis, di cinque anni, e Barbara, di otto - in piedi davanti a due
uomini che hanno salvato loro la vita quando sono state stordite da
fumi velenosi di monossido di carbonio. Le bambine stanno fianco a
fianco, indossano vestitini simili e hanno le braccia tese verso il
basso mentre si danno la mano. Sorridono e guardano direttamente
nell'occhio inquisitore di Kubrick. Padre di tre figlie, Kubrick
aveva passato anni a ritrarre con la macchina fotografica Katharina,
Anya e Vivian: anche quando il soggetto era la famiglia, l'occhio
dietro l'obiettivo era sempre, prima di tutto, quello dell'artista. Le
bambine di Grady restano nella memoria dello spettatore a lungo
dopo che Shining si è concluso: l'immagine di due bambine assassi-
nate che sorridono fianco a fianco aiia macchina da presa nell'invi-
471
rare e tentare Danny Torrance suscita echi di una storia fotografica
che va oltre l'immaginazione di Stephen King. ·
Un altro degli argomenti di Sbining era il tormento dell'atto di
scrivere. Ron Rosenbaum, che scrisse per il «New York Times
Magazine>> un profilo di Jack Nicholson, definì il film <<il primo
horror sul blocco dello scrittore>>. Anche se deve la celebrità al fatto
di essere uno dei migliori attori americani, Jack Nicholson aveva
scritto molti dei suoi primi progetti, firmando le sceneggiature di
Fligbt to Fury, Le colline b/11, Il .re111e1/fe di fitoco e Head. Scrivere, così
come le sue escursioni dietro la macchina da presa per dirigere
Yel!oU' 33 e Ver.ro il .rud, aveva dato forma alla recitazione di
Nicholson; e lavorando con un regista come Stanley Kubrick, che
ogni giorno e a ogni ciak affrontava la scrittura di una scena, anche
l'attore partecipò alla creazione di Jack Torrance e alla definizione
del suo comportamento di scrittore tormentato. Ogni bravo scritto-
re o attore lavora sulla sua esperienza, e Nicholson andò al cuore del
suo stesso passato per la scena in cui Jack scatena la sua rabbia, che
collega alla sua frustrazione come autore, sull'affezionata moglie che
osa chiedergli come vada il suo lavoro. A Ron Rosenbaum,
Nicholson disse: «Quella è la scena del film che ho scritto io. Quella
scena alla macchina sola da scrivere ... ero così quando ho divorziato.
Sentivo la pressione di essere un capofamiglia con una figlia e un
giorno accettai una parte in un film e recitavo di giorno ma scrivevo
un altro film di notte ed ero appena tornato nel mio angolino quan-
do la mia amata moglie, Sandra, si avvicinò a quello che era, a sua
insaputa, un maniaco ... l'ho raccontato a Stanley e l'abbiamo
aggiunto alla scena. Mi ricordo che ero alla scrivania e le dicevo:
"Anche se non mi senti battere a macchina non significa che non
stia scrivendo. Questo è scrivere ... ". Ricordo bene quello stato
d'animo. Beh, io poi ho divorziato».
Dopo ricerche e consultazioni, Kubrick mise a punto un sistema
che utilizzava videoregistratori e monitor per rendere il materiale di
Shiniug più accessibile a sé e al suo montatore Ray Lovejoy. Il sistema
in seguito sarebbe stato acquistato dal celebrato montatore Dede
Allen per ReciJ di Warren Beatty, che utilizzava un'imponente quan-
tità di materiale: il metodo avrebbe permesso a due montatori candi-
dati aii'Oscar come Allen e e Craig McKay di trovare rapidamente il
materiale e giudicare le interpretazioni di molti ciak seguendo un
codice numerico che scorre.
Ray Lovejoy, che aveva montato 200 l, era di nuovo in sala mon-
taggio con Kubrick che, come sempre, era molto presente alla pose-
produzione del suo film. Si lavorava in una saletta presso gli Elstree
Studios. Kubrick ascoltava scrupolosamente delle registrazioni per
472
trovare la musica che voleva: una volta scelto il compositore e il
pezzo specifico ascoltava tutte le registrazioni disponibili, lasciando
al suo staff annotazioni di questo tenore: «Male eseguita. Trovare
un'altra registrazione>>. È abitudine comune che sulle pareti di una
sala di montaggio si appendano fotografie o disegni per divertire i
visitatori e lenire il tedio di un lavoro pesante e solitario. Kubrick
aveva appeso una foro dei capi dello staff riuniti con il commento
scritto a mano «Ombre del dottor S.>>.
Per la musica di Shining, Kubrick si rivolse ancora a Wencly Carlos
e Rachel Elkind, che avevano realizzato la provocatoria colonna
sonora di Arancia mmcmica. Il regista aveva contattato Carlos e la
Elkind per dire loro che era interessato a utilizzarli per il suo nuovo
fìlm. Il cognato e produttore esecutivo di Kubrick, Jan Harlan, era a
New York e passò a trovarli per dire loro che il regista stava facendo
un film tratto dal romanzo di Stephen King, e li incoraggiò a leg-
gerlo. <<Così la prima cosa che abbiamo fatto è stata correre in libre-
ria, procurarci una copia del libro e leggerlo>>, racconta Wendy
Carlos. Quando ebbero letto il romanzo, Kubrick telefonò eli nuovo
da Londra e chiese: «Avete qualche idea su che tipo di musica
potrebbe essere adatta?>>.
«Non avendo visto un metro di pellicola eravamo nella bizzarra
posizione di dover scrivere musica per un romanzo>>, ricorda Carlos.
«Abbiamo fatto un po' eli musica dimostrativa e poi gli abbiamo
chiesto: "Che cosa ascolti in questo periodo?" e lui ha citato il Val.re
Tri.rte di Sibelius. Così siamo andati a sentire quello e un paio di altre
cose, qualcosa di Mahler, e li abbiamo usati come punto di partenza.
Abbiamo preso una piccola orchestra e l'abbiamo portata nel nostro
studio per registrare una mezz'ora di stacchi e prove. Non abbiamo
saputo più nulla. Poi sentiamo dire che stanno ancora girando, che
ancora non hanno niente da farci vedere, ma c'è un trailer e "Ci pote-
te mandare una copia degli ultimi due stacchi che avete fatto sul
nastro?". Così mandiamo a Stanley un po' di nastri da un quarto di
pollice e Jan viene in città e ci dice: "Stanley vuole comprare i diritti
del penultimo stacco per il trailer perché il film è in ritardo e dovre-
mo mandare un trai ler nelle sale per tener desta l'attenzione della
?ente, perché non ce la faremo a uscire prima dell'estate e ora è
mverno».
«Così comprarono i diritti di quel solo pezzettino di musica. Poi
Stanley chiamò e voleva che ci organizzassimo per andare a Londra
~ubito all'inizio dell'anno. Il primo gennaio presi un aereo. Rachel e
10 ci trovammo a Londra e fummo accompagnati agli Elstree Studios
2 Giorno commcmorarivo dei caduri in guerra. Nella maggior parre degli Srari è il )O
maggio. (N.d.T.)
476
La Mpaa concesse a Kubrick e a Shining un'insolita dispensa, per-
111ertendogli di stampare la R del divieto sotto i diciassette anni
sulla pubblicità del film prima che questo fosse stato effettivamente
classificato: la concessione era subordinata alla condizione che il film
fosse classificato entro il sabato successivo, ma gli annunci erano già
stati programmati per le uscite della domenica sul <<Los Angeles
Times>> e il <<New York Times». La consegna della copia definitiva
del film era vicinissima alla data di uscita del 23 maggio.
Nell'ambiente si stavano diffondendo voci che Shining si avviasse a
ricevere una X, come era successo all'inizio ad Aranàa mecwnù·a.
Richard D. Heffner, il capo della commissione giudicante, aveva
visionato una versione non definitiva del film, ma la commissione
affermò che non tutto il <<materiale rilevante per la classificazione»
era nella copia provvisoria e che quindi non era in grado di dare il
giudizio finale fino a quando non avesse visto il film completato. La
Warner propose due diverse versioni di pubblicità per Shining, con e
senza il simbolo della R rating. Se il film non fosse stato classificato,
si sarebbe usciti con gli annunci senza rating, ma tutto sembrava
avviato verso la R e così per le pubblicità del week-end imminente
la Mpaa aveva deciso di correre il rischio e di confidare che Kubrick
stesse in riga senza spostarsi in zona X. l più recenti film di una
major che avevano ricevuto la X erano stati Emmanuelle e Il
pornografo, per materiale sessualmente esplicito, e The Street Fighter,
solo sulla base del suo approccio alla violenza. La Mpaa fece come
Kubrick si aspettava e Shining passò con la R.
Kubrick chiese a Saul Bass, lo stimato grafico e creatore di titoli,
di disegnare il logo per la campagna pubblicitaria di Shining. Il regi-
sta stimava da tempo il contributo di Bass alla rivoluzione del design
dei titoli, e lavorare con lui era stata una delle poche esperienze posi-
tive che aveva avuto in Spartam.r. Bass disegnò un volto spettrale
fatto di un turbine di puntini bianchi che appariva in una grande
"T".> e si allargava su tutto il "The" del titolo su uno sfondo di un
rosso profondo. Naturalmente Kubrick arrivò ad approvare il risulta-
to finale al termine di una lunga elaborazione. Ricordava Bass: <<Fu
un'esperienza infernale. Stanley era ossessionato da quello che voleva.
Anche se mi faceva impazzire, lo rispettavo profondamente perché io
tratto così tutti quelli che lavorano per me. Ci volle uo sacco di lavo-
ro. Stanley mi pungolò molto, molto fortemente. Feci trecento dise-
gni. Alcuni erano stupendi. Ho la più profonda ammirazione per
quel modo di procedere. È un metodo che uso anch'io quando lavoro.
477
È questo ciò che si deve fare se si vuole ottenere qualcosa di buono.
Adoravo proprio lavorare con lui. Adoro i suoi modi. È completa-
mente in un bozzolo, e il bozzolo è ancorato allo studio, e c'è un altro
bozzolo a casa sua. Stanley si sposta da un bozzolo all'altro attraverso
un piccolo tunnel. Vive in modo monastico nella sua attitudine men-
tale ed emotiva verso quello che sta facendo. Stanley non esita a but-
tare via le cose e a rifarle perché pensa di poterle migliorare, cambia-
re o rifarle meglio. Può darsi che ci sia un'angoscia interna, ma
all'esterno è freddo. Ammiro quel campo di forza assorbente, ossessi-
va e concentrata che crea attorno a sé. È un tipo straordinario>>.
Shining uscì a New York il venerdì 23 maggio 1980. Stanley
Kubrick ci aveva lavorato tre anni. Le copie del film non furono
disponibili per le anteprime fino al mercoledì che precedeva l'uscita:
le proiezioni per la stampa furono rinviate quando il regista respinse
il missaggio sonoro delle prime tre copie stampate.
Cinque giorni più tardi, il 28 maggio, Kubrick ordinò di tagliare
un epilogo del film. Nella scena cancellata, Ullman, il direttore
dell'albergo interpretato da Barry Nelson, andava a trovare Wendy
in ospedale. Kubrick aveva deciso di eliminare la scena durante il
primo week-end; al <<New York Times>> dichiarò: <<Dopo diverse
proiezioni a Londra il giorno prima che il film uscisse a New York e
Los Angeles, quando ho potuto vedere per la prima volta il fantasti-
co picco di eccitazione raggiunto dal pubblico nel momento clou del
film, ho deciso che la scena non era necessaria>>. Il giovedì seguente,
tramite la Warner Bros., il regista mandò due montatori nelle due
città, che correvano in bicicletta da sala a sala per rimuovere la scena
dalla copia in distribuzione. Come per 2001, Kubrick sentiva di non
aver avuto il tempo di riflettere sul film terminato, e quando l'aveva
fatto aveva visto chiaramente che l'epilogo era superfluo.
Tony Burton andò a vedere Shining quando uscì in California e
ricorda di averci visto entrambe le sue scene. Oltre a quella in cui
parla ad Halloran dall'autofficina di Durkin ce n'era all'inizio anche
una più breve che si svolgeva all'esterno, quando Halloran arriva.
Mentre Halloran saliva sul gatto delle nevi, Durkin aveva un breve
scambio di battute con lui prima che partisse. La scena non appare
nella versione attuale del film.
Poco dopo l'uscita di Shining a New York, Alexander Walker andò
a trovare Kubrick nel suo ufficio e, superando un cartello che diceva
<<Hawk Films- Divieto d'ingresso>>, trovò Kubrick tra pile di scatole
di pellicola, con un telefono all'orecchio e una lente d'ingrandimento
stretta nell'occhio: davanti a lui c'era una copia del <<New York
Times>> di quel giorno, arrivato per via aerea, aperta su un manifesto
di Shining a tutta pagina. Kubrick parlava nel ricevitore con tono di
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rimprovero a un burocrate dello studio, che a quanto pareva non
aveva fatto bene il suo lavoro: <<Non le suona curioso che lei si trovi a
tremila miglia di distanza a New York e che io sia qui a Londra a
informarla che la proiezione supplementare di Shining all'una di
notte non è segnalata nella pubblicità sul "Times" eli oggi?>>.
Stephen King collegò la decisione di Kubrick di girare Shining in
teatro di posa a Il bacio della jJanterct, opera di due maestri del cinema
dell'orrore come Val Lewton e Jacques Tourneur. In Danza macabra,
il suo saggio sul genere horror, King scrive: <<Tourneur con grande
sensibilità scelse il teatro di posa, ed è interessante rilevare che, qua-
rant'anni dopo, Stanley Kubrick fece esattamente la stessa cosa in
Shining ... E, come Lewton e Tourneur prima di lui, Kubrick è un
regista con una squisita sensibilità per le sfumature di luce e
ombra>>. <<Nel 1942 Val Lewton non poteva girare di notte a Centrai
Park, ma in Barry Lyndon Stanley Kubrick girò diverse scene alla
luce delle candele. È un progresso tecnico enorme, con un effetto
paradossale: ha svaligiato la banca dell'immaginazione. Forse perché
se ne rendeva conto, Kubrick fece un grande passo indietro verso il
teatro di posa nel suo film seguente, Shining>>.
Shining fu uno dei film di Kubrick di maggior successo commer-
ciale. A dispetto di una maggioranza di recensioni negative, il film
partì benissimo a New York e a Los Angeles nel week-end del
Memoria! Day. Terry Seme!, vicepresidente e primo dirigente delle
operazioni della Warner Bros., ipotizzò un incasso di un milione di
dollari per il primo week-end e lo definì <da migliore apertura che un
nostro film abbia mai avuto a New York e Los Angeles. È più grande
di L'e.rorà.rtct, più grande di SujJermam>. La campagna pubblicitaria,
l'uscita estiva e il traino di Jack Nicholson fecero superare al film un
fuoco di fila di critiche negative dal <<Christian Science Monitor>>,
<<Films in Review>>, <<The New Leader>>, <<New York Magazine>>,
<<Newsday>>, <<Saturday Review>> e <<Village Voice>>. l buoni incassi
non aiutarono Shining agli Academy Awards: il film fu il primo di
Kubrick in ventitré anni a non ricevere nemmeno una nomination.
L'ultimo film del regista a essere snobbato dali'Academy era stato
Orizzonti di gloria.
Ed Di Giulio rimase stupefatto da ciò che Garrett Brown e Stanley
Kubrick erano riusciti a fare con la steadicam. Dopo aver visto
Shining, Di Giulio scrisse a Kubrick per congratularsi e commentare
le notevoli scene in cui la steadicam segue Danny Lloyd e la sua
automobilina: <<Era come una soggettiva malevola. 11 male seguiva il
bambino>>.
Più avanti, tenendo un seminario sulla tecnologia del film alla
scuola di cinema della Usc, Di Giulio pensava ancora a Stanley
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Kubrick: «In pratica dissi agli studenti che qualsiasi cosa facessero,
che fosse dirigere, scrivere, riprendere o qualsiasi cosa, la loro tavo-
lozza era la tecnologia del cinema. Era quella la loro tavolozza di
artisti. Dovevano conoscere la tecnologia dei film come un pittore
conosce i suoi ferri del mestiere, i pigmenti, le tinte e i colori, in
modo da poterla usare e manipolare. Per me il più consumato artista
capace di mettere in pratica questo comandamento era Stanley
Kubricb>.
Negli anni seguenti, Stephen King ha riconosciuto di essere orgo-
glioso che Stanley Kubrick avesse tratto un film da uno dei suoi
romanzi -di certo gli portò attenzione e gli fece vendere pitt libri -
ma da amante del genere horror trovava che il film non fosse
all'altezza delle sue aspettative. Alla rivista «American Film>>, King
dichiarò nel 1986: <<C'è molta roba buona. Ma è come una grande e
bellissima Cadillac senza il motore. Ti ci puoi sedere dentro, e puoi
goderti l'odore delle imbottiture in pelle- l'unica cosa che non puoi
fare è andarci in giro. Così io farei tutto diverso. Il vero problema è
che Kubrick ha deciso di fare un film horror ma non dà l'impressio-
ne di capire il genere. È una verità urlata in ogni fotogramma
dall'inizio alla fine, dalle decisioni della trama a quella scena finale-
che era stata già usata prima in Ai confini della realtà>>.
Shinirzg fu l'ultimo film di Stanley Kubrick a valersi della fotogra-
fia di John Alcott. Quando il film uscì nel 1980, Alcott e sua moglie
Sue e il figlio Gavin si trasferirono dall'Inghilterra agli Stati Uniti.
Alcott divenne cittadino americano e si stabilì a Studio City, in Cali-
fornia. Negli Stati Uniti divenne molto richiesto, curando la foto-
grafia e dirigendo spot pubblicitari e lungometraggi. Nell'ambiente
del cinema americano Alcott era una leggenda, dato che il suo con-
tributo ad Arancia meccanica, Bany Lyrzdon e Shining aveva fissato gli
standard dell'eccellenza nell'arte della fotografia. Il suo lavoro in
Sotto tiro e Grey.rtoke- La leggenda di Tarzan signore delle .rcimmie sotto-
linearono un talento che era tutto suo. Comprendere la collaborazio-
ne fra un regista e coloro che lavorano con lui è un concetto miste-
rioso, spesso offuscato dalla percezione del regista come autore, ma
una delle qualità di autentico genio registico di Stanley Kubrick era
quella di lavorare con artigiani magistrali come Alcott. Per quanto
avesse il controllo sulle sue opere, Kubrick non poteva essere più
bravo di quelli che lo circondavano. Il tempo fu crudele con John
Alcott e non gli permise di raggiungere di nuovo le vette di Barry
Lyndon, uno dei film con la fotografia più bella della storia del cine-
ma. Nell'agosto 1986, durante una vacanza con la famiglia nel Sud
della Francia, morì per un attacco di cuore. John Alcott aveva cin-
quantacinque anni. Progettava di girare con David Lean il progettO
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annoso del Nostronto di Joseph Conrad. Anche Lean, regista per molti
versi affine a Kubrick in fatto di convinzione, controllo e perfezione,
morì prima di cominciare le riprese.
Tre anni prima di morire, John Alcott riassunse le sue sensazioni
sulla collaborazione con Stanley Kubrick in una conversazione con
Herb Lightman, direttore di «American Cinematographer>>: <<Sento
che quando stai con Stanley il rapporto professionale ne guadagna di
film in fìlm. Abbiamo lavorato insieme a cominciare più o meno dal
1965, e lavorando con lui c'è sempre un modo di vedere diverso, una
diversa idea: "Proviamo qualcosa di diverso. In che modo possiamo
farlo molto meglio di quel che è stato fatto prima?". Sento che quan-
do hai tutto il tempo che io ho avuto in Shining per assicurarti che i
set siano a posto e che lo scenografo li stia costruendo, oltre che
secondo il suo progetto, sapendo come tu metterai le luci, è un gran-
de privilegio. Non hai quel privilegio con qualcuno a cui mancano
l'esperienza e la percezione dell'immagine di Stanley. È pronto a farsi
in quattro per darti tutto quello che ti serve per ottenere una nuova
tecnica di illuminazione e tutto questo è di grande aiuto. Quando
qualcuno lavora in questo modo ti rende il lavoro molto più facile.
Non penso che nulla di sostanziale sia cambiato nel nostro rapporto
professionale. Forse è più esigente di quanto fosse prima, ma questo
ti rende tutto più facile quando lavori su un fìlm di qualcun altro.
Per usare un'analogia riferita al gioco inglese del cricket: è come fare
pratica con cinque porte e giocare con tre. Sei abituato a difenderne
cinque e quindi quando ti trovi a difenderne tre è tutto più facile>>.
-181
Capitolo 18
«Sono stati sette anni?
Non ricordo mai gli anni>>
l Titolo originale di Nc11o Jler màclere. Il rermine sbor/-/Ùuer indica lertcralmenre chi
fa una ferma ridorta, cioè il soldaw di leva, a cui si conrrappone il li(er (a vira), vale a
dire il milirare di carriera. Quesw spiega la preoccupazione di Kubrick per !"equivoco
in cui il tiwlo avrebbe potuto indurre il grande pubblico (N.d.T.).
487
nel fucile. Il proiettile era accettato dalla Convenzione di Ginevra
perché non si espandeva quando penetrava il corpo.
Kubrick e Gustav Hasford fecero telefonate-maratona sulla sceneg-
giatura. Il regista continuava ad accrescere la sua reputazione di
Howard Hughes del cinema contemporaneo, ma era felice di comu-
nicare tramite telefono, e-mail e fax con chiunque fosse connesso alla
sua vita dedicata ai film.
Per tutto il lungo periodo del loro lavoro insieme, Hasford incon-
trò Stanley Kubrick una sola volta. Kubrick resisteva a tutti i meto-
di tradizionali di collaborazione a una sceneggiatura, smentendo
l'immagine del regista e dello sceneggiatore che passano insieme ore
e giorni, rilanciandosi idee, con infinite tazze di caffè e cene a domi-
cilio. Kubrick si era comportato così agli inizi, passando il tempo
con Marlon Brando e Calder Willingham e perfino con Arthur C.
Clarke, ma a cinquantasei anni era divenuto molto più isolato che a
trenta o a quaranta.
Quando Michael Herr ebbe finito la sua prima stesura della sceneg-
giatura, Kubrick la riscrisse tutta; poi Herr rielaborò la versione di
Kubrick. Anche Gustav Hasford lavorò alla sceneggiatura a Londra.
Kubrick continuò poi a riscrivere durante tutta la lavorazione.
Kubrick chiamò il suo eterno collaboratore Bob Gaffney e gli chie-
se di andare a Parris Island, in South Carolina: doveva fotografare i
marines durante gli allenamenti, senza dire ai militari a cosa sarebbe
servito il materiale. Quando Gaffney disse a Kubrick che il piano
non era realistico e che si sentiva a disagio a imbrogliare il corpo dei
marines degli Stati Uniti, l'idea fu scartata. Ma Gaffney andò a
Parris Island con una videocamera e riprese un giuramento per forni-
re a Kubrick dati utili a studiare sul monitor la vita dei marines.
Per mettere insieme il cast di Full Meta! Jacket, Kubrick fece fare
dalla Warner Bros. una ricerca in tutti gli Stati Uniti, pubblicando
annunci che invitavano ai provini giovani aspiranti attori. Come già
per Shining e Barry Lyndon, il regista si servì del videonastro per i
provini: poteva così vedere centinaia di attori senza essere costretto a
incontrarli di persona. Gli annunci chiedevano ai candidati di indos-
sare T-shirt e calzoni e di interpretare una scena di tre minuti adatta
a un film sul Vietnam: i partecipanti dovevano parlare di sé e dei
propri interessi e poi alzare un grosso cartello con nome, indirizzo,
numero di telefono, età e data di nascita, il tutto seguito da una serie
di primi piani, totali ed esempi di entrambi i profili. Il provino
doveva essere spedito a Kubrick attraverso la Warner Bros. inglese:
Il regista ricevette qualcosa come tremila videocassette di potenziali
marine cinematografici e il suo staff li esaminò tutti, eliminando
quelli giudicati inaccettabili: Kubrick ne guardò personalmente
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ottocento, e notò che la maggioranza dei ragazzi suonavano la chitar-
ra e facevano body building.
Nel 1961, Lee Ermey, che in Fu!/ Meta! Jacket avrebbe interpretato
il sergente istruttore, era un ragazzino diciassettenne in una fattoria
del Kansas che era arruolato nei marines subito dopo la maturità.
<<Ero robusto, avevo cinque fratelli e mio padre credeva con forza
nella disciplina>>, avrebbe spiegato Ermey ad Aljean Harmetz del
<<New York Times»: <<Le prendevo ogni giorno, che lo meritassi o
no. Ed ero bravo a sparare. Ero un ragazzo di campagna, così sapevo
come si spara». Ermey fece trenta mesi nei mari n es come sergente
ispettore nel periodo del Vietnam. Dopo undici anni la sua carriera
nel corpo si concluse bruscamente nel 1969, quando un missile
esplose a nord di Da Nang dove lui militava nella prima divisione
dei marines: la schiena e un braccio di Ermey furono crivellati di
schegge. Dopo quattro mesi in ospedale, Ermey usò l'indennità per
comprare un bordello a Okinawa e lo trasformò in un bar notturno.
Poi, instancabile, si trasferì nelle Filippine, si sposò, fece un breve
tentativo all'università e infine apparve come performer in pubblicità
televisive, vendendo quella che chiamava «merce da macho» - di
tutto, dal rum agli orologi, dai jeans alle scarpe da ginnastica.
La carriera cinematografica di Ermey iniziò nel 1976, quando
conobbe Francis Ford Coppola che era nelle Filippine per realizzare
AjJoctt!ypJe Now. Ermey frequentava l'Università di Manila grazie al
regolamento delle Forze Armate sui reduci di guerra, quando fu
preso per il ruolo di un pilota di elicottero. Ermey divenne il consu-
lente tecnico di Apoca/yjm Now, I ragazzi della Comj1agnia C e
Dimemione inferno e apparve sullo schermo in tutti e tre i film. Anche
in I ragazzi della Comj1agnia C interpretava un sergente istruttore.
Ermey incontrò Kubrick la prima volta mentre era in pensione di
invalidità e lavorava in una fabbrica al controllo di qualità. L'attore
adorava stare davanti alla macchina da presa e chiese a Kubrick di
fargli un provino per il ruolo del sergente artigliere Hartman in
Fu/! Meta! Jacket. Il regista gli disse che non era abbastanza cattivo
per interpretare il brutale istruttore del suo film, ma Ermey colse
l'occasione per dimostrare il suo talento di recitazione e l'intensa
comprensione di come i marines facciano a pezzi il carattere delle
giovani reclute per poterli ricostruire correttamente come combat-
tenti. Kubrick stava vedendo dei soldati inglesi per ruoli da mari-
nes, così Ermey cominciò a tormentarli e a umiliarli con un diluvio
di insulti. Il regista ne fu così impressionato che diede a Ermey la
Parte del sergente Hartman, e gli incontri con Ermey furono video-
registrati e usati nella sceneggiatura: Kubrick fece battere a macchi-
na una trascrizione del nastro e usò il materiale per le battute di
489
Hartman. Ad Alexander Walker, Kubrick disse: <<All'inizio fui col-
pito dalla sua straordinaria abilità come attore: lo abbiamo videore-
gistrato mentre interrogava dei paracadutisti dell'esercito territoria-
le britannico che stavamo considerando come marines americani.
Lee li mise in riga come reclute appena scese dall'autobus per Parris
Island e scatenò tutto il fuoco di intimidazione e insulti adatto
all'occasione>>. Kubrick compilò una trascrizione di duecentocin-
quanta pagine delle improvvisazioni di Ermey e inserì le scelte nella
sceneggiatura. Kubrick calcolò che il cinquanta per cento delle bat-
tute di Ermey, incluse frasi come <<Non mi piace il nome Lawrence!
Solo finocchi e marinai si chiamano Lawrence!», venisse dalle
. . . .
tmprovvtsazwni.
Ermey interpretava il ruolo del sergente Hartman sulla base della
sua esperienza da sergente istruttore. Quando il film fu completato,
dichiarò nelle interviste che non voleva essere identificato con
l'estremismo del personaggio, ma ai suoi tempi era stato un istrut-
tore altrettanto duro. A Martin Burden confessò: <<I sergenti istrut-
tori sono pieni di inventiva. Quando facevo l'istruttore ero capace di
passare lungo una fila di reclute e farne cadere in ginocchio una ogni
tre o quattro senza farmi vedere. Solo con una piccola gomitata, a
terra cosÌ».
Kubrick vedeva i sergenti istruttori come attori naturali. <<Recitare
è un dono incredibile, in parte follia in parte magia>>, disse a Pene-
lope Gilliatt. <<Il potere di un attore sta nella sua capacità di creare le
emozioni in se stesso, e così nel pubblico. La capacità di piangere
allo scatto di un ciak è un talento molto strano e raro. Naturalmente,
ai sergenti istruttori viene naturale perché sono degli attori. Lo
sanno fare bene i bugiardi, perché mentire è generalmente importan-
te per un bugiardo>>.
Kubrick usò l'interpretazione da Oscar di Lou Gossett, nei panni
di un sergente istruttore in Ufficiale e gentiluomo, per spiegare a Tim
Cahill di <<Rolling Stone>> che la maggior parte dei film si arruffia-
nano il pubblico: <<Penso che la performance di Lou Gossett fosse
splendida, ma doveva fare quello che la storia gli imponeva. Il film
chiaramente vuole ingraziarsi il pubblico. Molti film lo fanno>>.
Le prove con Lee Ermey si svolsero in una sala prove lunga quindi-
ci metri. Leon Vitali, assistente di Kubrick, lanciava all'attore arance
e palle da tennis: <<Io dovevo acchiappare la palla e rilanciarla a Leon
più in fretta possibile e dire le battute più in fretta possibile»,
spiegò Ermey ad Aljean Harmetz. <<Se pronunciavo male una sola
parola, o ne saltavo una o rallentavo, mi toccava ricominciar~·
Dovevo farlo venti volte di seguito senza un errore. Leon fu il rotO
sergente istruttore>>.
490
A Martin Burden del <<New York Post>> Lee Ermey dichiarò:
«Kubrick dice che io sono un superintimidatore. Il mio dialoghista
mi ha detto che avrei potuto diventare famoso a Hollywood come la
persona più offensiva della città, che faccio sembrare Don Rickles un
insegnante della scuola domenicale>>.
Da ex istruttore, Ermey aveva capito che il sergente istruttore era
l'unico che doveva parlare e che le reclute dicevano solo «Sì, signo-
re>>, «No, signore>>. «La maggior parte dei film sui campi di adde-
stramento hanno troppe chiacchiere; è per questo che non sono reali-
stici>>, spiegò Ermey a Burden. «Ma suppongo che gli altri attori si
sentano esclusi se non hanno niente da dire. Ma è così, è tutto
autentico>>.
Kubrick assegnò a Matthew Modine il ruolo del soldato Joker, un
personaggio che - come Gustav Hasford - era un giornalista milita-
re durante la guerra. Con Alexander Walker, il regista descrisse
Modine come «il tipo di bambino che Gary Cooper e Henry Fonda
avrebbero potuto avere>>. L'attore, ventisettenne quando Kubrick gli
diede la parte, era nato a Loma Linda in California ma era cresciuto
nello Utah, ed era in rapida ascesa, essendo apparso in sette film
negli ultimi quattro anni. Modine aveva già interpretato un soldato
del Vietnam in Birdy - Le ali della libertà e in Streamen, e aveva ruoli
in Prome.r.re, promes.re, Hotel New HamjJJhire, Crazy for you - Pazzo per te
e Fuga d'inverno. Tre dei suoi quattro fratelli maggiori e una delle sue
sorelle avevano prestato servizio nella guerra del Vietnam. «Era una
cosa con cui ero cresciuto>>, raccontò Modine a Susan Linfield di
«American Film>>. «E più leggo, e più cerco di capire, meno senso
ha. Guardavo la guerra in televisione. Sentivo il conto dei cadaveri -
sa, come sentire il punteggio. Chi vinceva. Era come una partita di
baseball. Abbiamo avuto dieci vittime, loro cento. Oh, oggi ci è
andata bene>>. A Caryn James del «New York Times>> l'attore
dichiarò: «Di certo ero abbastanza grande per capire cosa stava suc-
cedendo. Probabilmente il ruolo mi interessava per il fatto di esserci
cresciuto>>. Modine capiva la filosofia marine dei campi di addestra-
mento e l'idea di Kubrick di presentare il realismo e di non accatti-
varsi il pubblico. «Cerchi di non colorarlo con le tue opinioni, per-
ché il campo di addestramento non ha nulla a che vedere con la
caratterizzazione o la personalità>>, spiegò Modine alla James. «Per
tutta la vita ti insegnano a non fare del male alla gente, a non ucci-
dere la gente; ma quando entri in un sistema come i marines,
all'improvviso quelle regole non valgono piÙ>>.
«Joker non ha un nome nel film. È il soldato Joker fin dall'inizio;
Potrebbe essere qualsiasi soldato di qualsiasi guerra. Ha così tante
contraddizioni. È questo che penso sia il bello del film. Quando lo
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guardi non sai per chi tenere. Vuoi vivere in un mondo di pace, ma
se gratti un pachino la vernice ed entri nella psiche di un uomo lo
vedi diventare un animale; c'è una belva subito sotto la sottile super-
ficie della pace>>.
A Susan Linfield, Modine dichiarò: <<Ci chiamavamo "uccelli don-
dolanti" perché se socchiudi gli occhi e ci guardi - tutti con la testa
rapata sull'attenti -sembriamo delle gigantesche erezioni. Era umi-
liante. Voglio dire, non è piacevole farti rasare la testa una volta alla
settimana e farsi urlare da un tizio dieci ore al giorno>>.
<<Tutto quello che succede in Full Meta! Jacket esiste. La sequenza
del campo di addestramento è probabilmente la descrizione più rea-
listica di un campo di addestramento dei marines che sia mai stata
messa su pellicola, con l'eccezione di un filmato di un addestramento
di Parris Island. Non ti è concesso scampo. La ragione per cui le sto-
rie di Stanley sono scioccanti è che sono così vere. Non cerca di crea-
re un po' di simpatia per qualcuno perché è un film, perché vuole
conquistarsi il pubblico. Non è piacevole vedere uccidere qualcuno.
E non è piacevole morire. Perché cercare di rendere romantico qual-
cosa che non lo è? Forse in tutti quei film sulla seconda guerra mon-
diale - per via di quello che succedeva in Europa - era necessario
rendere romantica la gente che andava a combattere. Ma perpetuare
quel romanticismo è un errore. È stata una cosa straordinaria negli
anni Sessanta, che la gente abbia cominciato a chiedere perché>>.
Modine superò senza difficoltà le lunghe ore di lavoro e il perfezio-
nismo di Kubrick, e rispettava la visione del regista. <<Stanley è mio
amico>>, disse alla Linfield. <<C'erano delle volte che, per pura frustra-
zione, ti arrabbiavi con Lee. Ma c'è un qualche tipo di legame che si
crea e non puoi veramente arrabbiarti con nessuno. Non ti arrabbi
con il regista perché sta cercando di creare una forma d'arte invece
che un semplice film. Non è come la musica pop, che senti l'estate e
ci ridi sopra. È come un pezzo di musica classica che puoi ascoltare e
riascoltare, e ogni volta che la ascolti trovi sfumature diverse. È que-
sto che sento per Stanley>>.
Vincent D'Onofrio aveva saputo delle selezioni per Full Meta!
Jacket dal suo amico Matthew Modine. Nato a Brooklyn, D'Onofrio
era un attore dall'aspetto atletico, alto uno e novanta, capelli ricci
scuri, e aveva lavorato in produzioni off-off-Broadway. Aveva passato
la prima infanzia nelle Hawaii e aveva fatto il liceo a Miami. Aveva
studiato all'American Stanislavsky Theater di New York e passaro
tre anni interpretando ruoli teatrali come Murphy in The Indian
Want.r the Bronx e Lenny in Uomini e topi. Il suo primo impegno pro-
fessionale a Broadway era stato il ruolo di un ragazzo italiano dei
Bronx con un difetto di pronuncia in Oj1en Admùsions.
492
Quando Modine gli disse che la parte del soldato Palla di Lardo era
disponibile, D'Onofrio affittò una videocamera amatoriale per realiz-
zare il suo provino. Trovò una veranda verde che poteva passare per
le scalette di una baracca militare e indossò per il suo monologo un
berretto dell'esercito e una tuta da lavoro. D'Onofrio aveva trovato
un discorso che gli piaceva, scritto per un poliziotto alle prime armi,
e cancellò tutte le frasi riferite alla polizia. Spedì il nastro in
Inghilterra e ricevette subito una risposta: la parte era sua. <<Palla di
Lardo era il ruolo più difficile da assegnare di tutto il film. Volevo
trovare volti nuovi. Abbiamo ricevuto circa tre o quattromila video-
cassette», disse Kubrick a Penelope Gilliatt.
Quando D'Onofrio ebbe avuto la parte, Kubrick gli chiese di met-
tere su più di trenta chili, portando il suo peso a centoventisette. Il
bel fisico dell'attore fu trasformato in un capro espiatorio sovrappeso
e fuori forma, etichettato Palla di Lardo da un sergente istruttore
deciso a spezzare il giovane o trasformarlo in una macchina per ucci-
dere. <<Presi peso dappertutto>>, disse D'Onofrio a Leslie Bennetts del
<<New York TimeS>>: <<Le mie cosce erano enormi, le mie braccia
erano enormi, anche il naso era grasso. Avevo problemi ad allacciar-
mi le scarpe, ma era l'unico modo per interpretare Leonard, perché
dovevo avere la sua stessa mitezza. A causa del peso, e del fatto di
essere completamente fuori dal suo elemento, la mente di Leonard si
era indebolita. Era lento a partire, uno zoticone di campagna, ma
non penso che fosse pazzo. Quello che facevano a Leonard era di tra-
sformarlo in una efficientissima macchina per uccidere>>. La fisicità
delle sequenze degli addestramenti era una sfida per D'Onofrio, per-
ché il peso extra e la mancanza di forma del personaggio lo rendeva-
no vulnerabile agli infortuni: lavorando sul set di uno dei percorsi a
ostacoli del film, D'Onofrio si fece così male al ginocchio da doversi
sottoporre a una ricostruzione chirurgica.
Kubrick aggiunse il volto del soldato Palla di lardo alla sua colle-
zione di immagini minacciose: in Arancia meuanica, Malcolm
McDowell aveva bucato lo schermo nel ruolo di Alex, con l'aspetto
maniacale conferitogli dallo sguardo in tralice e dalla testa inclinata;
Jack Nicholson aveva perfezionato il kubrickiano sguardo da folle con
il suo ghigno malvagio e gli occhi sconvolti, la resta leggermente
curva, guardando nell'obiettivo. Vincent D'Onofrio ha i suoi momen-
ti, quando guarda l'istruttore parlare di ciò che un marine può fare
con il suo fucile, con la resta sghemba, le rughe che convergono ad
angoli simmetrici, la bocca aperta, il bianco degli occhi visibile sotto
le pupille indurire. E il bizzarro sguardo finale quando Palla di Lardo
è seduto nella latrina prima di uccidere il sergente Hartman e se stes-
so. I denti digrignati e gli occhi da folle di D'Onofrio sono degni di
49.~
Nicholson e di McDowell e si aggiungono alla galleria kubrickiana
di ritratti di pazzi. <<Quella scena era molto forte>>, disse a Ron
Magid il neodirettore della fotografia Douglas Milsome. «D'Onofrio
lancia ciò a cui ora ci si riferisce come lo "sguardo folle di Kubrick".
Stanley ha uno sguardo come quello, che è molto penetrante e a volte
ti spaventa a morte; ne concludo che sia in grado anche di iniettarlo
nei suoi attori>>.
Alla fine delle riprese, dopo che il soldato Palla di Lardo ha
ammazzato l'istruttore Hartman e si è ucciso facendosi saltare la
testa con il fucile, Vincent D'Onofrio concentrò tutte le sue energie
nel ritornare quello che era prima: radersi la testa e ingrossarsi fino a
centoventisette chili aveva provocato sconvolgimenti nella psiche del
giovane. «Mi cambiò la vita>>, disse D'Onofrio a Leslie Bennetts. «Le
donne non mi guardavano più; il più delle volte ero io che guardavo
la loro schiena mentre scappavano. La gente mi diceva le cose due
volte perché pensavano che fossi stupido>>. Un anno dopo il congedo
dall'esercito di Kubrick, facendo ogni giorno dieci chilometri di
corsa, D'Onofrio riuscì a tornare al suo peso normale: i suoi ricci
erano ricresciuti, il ginocchio era guarito e, grazie alle buone recen-
sioni ricevute per il ruolo del soldato Palla di Lardo, la sua carriera
era decollata.
Kubrick completò il cast con un gruppo forte di giovani attori. Per
il suo provino Adam Baldwin propose materiale da La mia g11ardia
del <"011JO, 3:15 e una scena dalla commedia Bm·k to Back, su due solda-
ti seduti in una trincea in Vietnam, e ottenne la parte di Animai.
Venticinquenne, alto un metro e novantadue, l'attore ammirava
Kubrick da quando aveva visto per la prima volta Arcmcia meacmùa,
2001: Odi.r.rea nello .rpazio e RajJina a mano armata. Baldwin disse che
ammirava «il fatto che ti portava via da film emotivamente consola-
tori e dalle scelte facili e commerciali della maggior parte degli altri
cineasti e che cattura veramente il senso della guerra, che sia guerra
psicologica, guerra nello spazio o una guerra da commedia nera come
Il dottm· Stranamore. Mi piace il modo in cui ha descritto la guerra>>.
Adam Baldwin era apparso anche in Amare con rabbia, D.C. Cab e
Gente cmmme. Era stato scoperto dal produttore e regista Tony Bill
mentre giocava a hockey su ghiaccio a Winnetka, nell'Illinois. Era
stato Bill a scegliere Baldwin per il suo debutto nella regia, La mia
guardia del cm1Jo, che anche aveva segnato l'esordio dell'attore.
Baldwin lesse per la prima volta Nato jJer uccidere dopo aver avuto l~
parte ed essere arrivato in Inghilterra. «La cosa che veramente mi
colpÌ>>, ricorda l'attore, «è che sembrava un ritratto stretto e clau-
strofobico solo di quel pugno di uomini. Praticamente ti dava solo
quel piccolo ritratto della guerra e di ciò in cui essa consisteva per
494
quei pochi giovani, e fare una cosa del genere era già per me una suf-
ficiente presa di posizione antimilitarista. Io sono uno di quei libera-
li dal cuore che sanguina e qualsiasi affermazione di sinistra contro la
guerra mi trova d'accordo».
Dorian Harewood, scelto da Kubrick come Eightball, aveva reci-
tato in "Radici: Le nuove generazioni", "The ]esse Owens Story" e la
miniserie "Amerika". A teatro era apparso in Streamer.r e The Two
Gentlemen of Verona. Era anche nei film Il gioco del falco e Due vite in
giow.
Arliss Howard, che in Full Meta! jacket interpreta Cowboy, era
stato scoperto dalla Abc Circle Films a Kansas City, nel Missouri,
dove di giorno gettava fondamenta di cemento e di notte appariva al
teatro locale. Howard era membro a vita dell'Actors Studio e aveva
una formazione teatrale. Era nella discussa miniserie The Day Ajte1· -
Il giorno dopo, e nel film LightshijJ - La nave faro.
Ed O'Ross, il tenente Touchdown, era figlio di un operaio metal-
lurgico di Pittsburgh, in Pennsylvania, e veniva da undici anni di
Broadway, off-Broadway e teatro regionale. O'Ross si era guadagnato
da vivere come gioielliere, imbianchino, uomo delle pulizie e mecca-
nico. Era apparso in Cotton Club, Il "Papa" di Greenwù-h Village e nelle
serie televisive "Moonlighting" e "Scarecrow and Mrs. King".
Kevyn Major Howard, che interpreta Rafterman, aveva lavorato
per dieci anni in serie televisive a episodi e in film per la televisione.
Era apparso nei film Coraggio ... fatti armnazzar·e e Il giustiziere della
notte n. 2 e nei film televisivi Scared Straight, For Love and Honor e
Minnesota Strip. Si trovava a Roma in vacanza quando aveva ricevuto
una frenetica telefonata dal suo agente che gli diceva che Stanley
Kubrick lo voleva nel suo nuovo film per interpretare Rafterman, un
fotografo di guerra innocente e ingenuo.
Kubrick non permise mai a Lee Ermey di provare con gli attori
che interpretavano le reclute di Hartman: voleva che le loro reazioni
nei suoi confronti producessero emozioni autentiche, e non voleva
che i ragazzi avessero rapporti o legami con Ermey. Il risultato fu il
tipo di distacco che il regista aveva ottenuto con Danny Lloyd in
Shining. Ad Aljean Harmetz, Ermey spiegò: «Fu terrificante per
quegli attori. Il mio obiettivo era l'intimidazione. Nessuno aveva
mai invaso il loro spazio privato. Nessuno aveva avvicinato la faccia
alla loro. La prima volta che saltai addosso a Vincent, tutto quello
che doveva dire era "Sì, signore" e "No, signore" ed era così scioccato
che sbagliò le battute tre o quattro volte>>.
Lee Ermey ebbe un ruolo centrale nella realizzazione di Full Meta!
}acket: oltre al ruolo del sergente Hartman, che domina la prima
parte del film, l'attore ricevette da Kubrick l'ordine di creare
495
un'atmosfera da campo di addestramento su un set impregnato di
realismo documentario. II film inizia con un montaggio di reclute a
cui vengono rasate le teste, ma dopo alcune prove Kubrick scoprì
che i rasoi elettrici tradizionali non radevano abbastanza a fondo da
produrre il look del campo di addestramento dei marines; Ermey
fece una telefonata a un amico al campo della vera Parris Island nel
South Carolina e scoprì che utilizzavano rasoi usati per tosare i bar-
boncini francesi.
Kubrick continuò a lavorare con gli attori attraverso la mancanza
di indicazioni, motivandoli a cercare una scena assieme a lui durante
le riprese. «La mia impressione è che, non dicendoti lui quello che
vuole, in qualche modo lo si troverà insieme>>, disse Matthew
Modine a Susan Linfield. <<Spesso si conversava, spaziando dalla boxe
alla mitologia greca, un sacco di conversazioni che spaziavano dalla
A alla Z. Era bellissimo>>.
Modine trovò che, nonostante Kubrick puntasse al realismo negli
aspetti concreti della produzione, quello che cercava erano attori
capaci di andare oltre la realtà. Come era successo a Jack Nicholson
in Shining, Modine scoprì che il regista voleva catturare la moltitudi-
ne di scelte che esistevano in ogni movimento o parola pronunciata.
<<Stanley dice: "Ok, è reale, ma è interessante?">>, disse l'attore a
Susan Linfield. <<0 è più interessante intensificare la realtà e renderla
una metafora? Voglio dire, come si comporta uno a cui puntano una
pistola in faccia? Non puoi dire che questo sia "il" comportamento
reale. È "un" comportamento. Ci sono centinaia di modi diversi di
reagire a una pistolapuntata in faccia. Penso che Stanley sia interes-
sato alla realtà, ma non si accontenta della prima cosa che viene in
mente a un attore o a lui stesso. Sta cercando qualcosa che può essere
più interessante, più insolita, strana. Altri cineasti non hanno il
tempo di cambiare. Devono girare qualcosa domani, e spesso non è il
modo in cui vorrebbero girare. Con Stanley, lo fai nel modo che vuoi,
non perché sei costretto a prendere una decisione sulla base del
tempo>>.
Kubrick mantenne in famiglia le posizioni cruciali di Full Meta!
Jacket: lui era regista e produttore, il cognato Jan Harlan era produt-
tore esecutivo e il neogenero Philip Hobbs fu preso a bordo come
coproduttore.
Per la scenografia di Full Metal]a,·ket, Kubrick scelse Anton Furst,
che aveva lavorato con Ken Adam in Moonraker - Operazione .rpazio,
aveva fatto parte della squadra di progettisti per Alien di Ridley
Scott ed era autore delle scenografie di In wmfh:tgnia dei l11pi di Neil
Jordan. Nato in Inghilterra ma di discendenza regale lerrone, Furst
aveva una sensibilità europea e un audace stile architettonico.
496
Full Meta! }acket era notevolmente differente da altri film sul
Vietnam. Non era come Platoon o AjJocalyjJ.re Nou·, girati nelle
Filippine per trovare una giungla simile a quella vietnamita.
Kubrick non avrebbe fatto un film di guerra nella giungla: la prima
parte era a Parris Island; la storia della seconda parte si svolgeva a
Hue, in Vietnam, durante l'offensiva di Tet nel 1968. Le ricerche per
il progetto, con l'ovvia intenzione di ricreare Hue in Inghilterra,
furono difficili: Kubrick e il suo staff cercarono informazioni sui car-
telli vietnamiti e alla fine scoprirono che la Library of Congress
aveva edizioni microfilmate di quotidiani vietnamiti e di riviste
dell'epoca. Kubrick, Furst e la squadra degli scenografi lavorarono su
fotografie giornalistiche storiche scattate nella città vietnamita di
Hue nel 1968, e che descrivevano un'area della città ridotta in mace-
rie dai combattimenti: il regista e i suoi scenografi usarono quelle
fonti per conferire autenticità ai set.
Kubrick spedì una troupe all'esplorazione delle aree nei dintorni
di Londra, dopo aver già fatto fare ricerche su ogni base aerea deser-
ta come possibile luogo per le riprese. Il regista voleva girare in
esterni per catturare il realismo necessario. Le location per il campo
di addestramento di Parris Island e per le sequenze in Vietnam
furono trovate in tre punti diversi a nord-est di Londra, in un rag-
gio di ottanta chilometri dai domini di Kubrick. <<Quando pensi al
Vietnam, è naturale pensare alla giungla. Ma questa storia parla
della guerriglia urbana», disse Adam Baldwin a Mare Cooper della
rivista «American Film>>: «È per questo che Londra non era una
location così folle, dopo tutto>>. Molti erano sbalorditi che Kubrick
girasse il film in esterni a Londra. «La battuta ricorrente era che
Stanley aveva già girato il film da qualche altra parte e che quando
siamo arrivati a Londra doveva solo sovraimporci a esso>>, scherzò
Adam Baldwin.
Il campo di addestramento di Full Meta! Jacket fu costruito su un
terreno industriale di Enfield. Una base dell'esercito territoriale bri-
tannico a Bassingbourne fu usata come Parris Island, South Carolina.
Lee Ermey fornì la sua consulenza sull'accuratezza del set mentre
veniva costruito e arredato.
L'area delle latrine nel campo addestramento, dove si sarebbero
svolti l'omicidio e il suicidio, fu progettata e costruita in un teatro
di posa a Londra. Kubrick era schiavo del dettaglio realistico, tranne
quando vedeva l'occasione di possibilità drammatiche. La vera area
delle latrine di Parris Island non aveva l'aspetto che il regista voleva:
«L'abbiamo fatta come una specie di licenza poetica>>, disse a Lloyd
Grove riferendosi alla sua interpretazione espressionistica dell'am-
biente: «Sembrava buffa e grottesca>>.
497
Per il sito della scena di battaglia che occupa l'ultima parte di Full
Meta/ Ja,·ket, Kubrick scelse una fonderia abbandonata degli anni
Trenta nel quartiere di Beckton sul Tamigi nella East London: un
tempo usato per l'estrazione del carbon fossile, l'impianto era stato
utilizzato per il remake di Nel 2000 non .rorge il .role, Orwe/1 1984.
Beckton era stato bombardato durante la seconda guerra mondiale e
gran parte dell'architettura industriale dell'area era stata progettata
dagli stessi architetti francesi che avevano lavorato a Hue in
Vietnam. Un certo numero di edifici a Beckton erano copie carbone
di quelli nei quartieri industriali di Hue.
Kubrick scoprì che l'area, di un paio di chilometri quadrati, appar-
teneva alla British Gas, che aveva in programma la sua totale demo-
lizione. La zona era isolata e poteva quindi essere chiusa come il ter-
reno di uno studio, salvo che il materiale presente era autentico e
non costruito dal nulla come la facciata posteriore deii'Overlook
Hotel di Shining. Kubrick trovò che la location fosse il posto perfetto
per mettere in scena le sequenze che si svolgevano a Da Nang, Phu
Bai e nella città imperiale di Hue, che era stata devastata nell'offen-
siva di Tet. Gli fu dato il permesso di usare l'area. A Lloyd Grave,
Kubrick disse: «Per una settimana abbiamo avuto una squadra di
demolitori che faceva saltare in aria edifìci, e lo scenografo ha passato
circa sei settimane con un tizio con una palla per demolizioni, sfon-
dando gli spigoli e creando rovine davvero interessanti, che nessuna
somma di denaro ci avrebbe mai permesso di costruire>>.
Durante le demolizioni, i dirigenti della British Gas portarono le
famiglie una domenica a vedere la troupe che faceva esplodere le
costruzioni. Poi il set fu completato con inferriate e altri elementi
architettonici. «In questo modo abbiamo ottenuto qualcosa di
unico, che non sarebbe stato possibile fare in alcun altro modo per
nessuna somma>>, disse Kubrick ad Alexander Walker. «Non penso
che alcun film abbia mai avuto modo di lavorare con rovine così
vaste e genuine; grazie alla geografia isolata del posto abbiamo
avuto modo anche di accendere fuochi enormi e di creare immense
colonne di fumo>>.
Anne Edwards si occupava delle Berkely Nurseries da vent'anni.
La società, che era stata fondata dal suo ex marito, forniva, affittava,
vendeva e manteneva piante per banche e società di pubblicità, desi-
gn e computer. L'attività della Edwards nel mondo del cinema ini-
ziò quando ricevette una telefonata inattesa da Staniey Kubrick, che
le chiese se era in grado di procurargli sessanta palme. «Io dissi:
"Sì", e gli chiesi quando gli servivano, garantendo la consegna, P01
mi domandai: "Che cosa ho fatto mai?">>, ricordava la Edwards
all' <<Observer>> di Londra.
498
La Edwards si recò personalmente in Spagna e fotografò trecento
diversi alberi di palma di varietà differenti. Ciascuno era identificato
e numerato, con tutti i dati precisi: altezza, lunghezza del fogliame e
la circonferenza. Kubrick studiò le fotografie e scelse gli alberi che
voleva usare per ricreare il Vietnam a Londra per Full Metal Jacket.
Le palme nordafricane scelte dal regista erano state piantate poco
dopo la seconda guerra mondiale. La Edwards seguì lo sradicamento
delle piante e la loro preparazione per il trasporto in Inghilterra: le
radici di ogni albero furono racchiuse nel gesso e gli alberi legati
insieme. La produzione pagò mille sterline per pianta, e si dovette
richiedere un permesso di esportazione per portare il tutto dalla
Spagna all'Inghilterra. Gli alberi furono controllati per assicurarsi
che non venissero usati per trasportare droga. Ogni giorno dovevano
essere bagnati con un idrante antincendio per tenere i tronchi umidi
e le foglie fresche. Il primo ordine di sessanta palme richiese cinque
rimorchi da dodici metri per trasportarle alla location una volta arri-
vate in Inghilterra: ogni pianta era alta nove metri, conservata in una
singola gabbia e trasportata in un involucro con un'intelaiatura spe-
ciale.
La Edwards andò al porto domenica notte, prima della scadenza di
lunedì, e fu sollevata nel vedere che i cinque rimorchi da dodici
metri erano arrivati. Scoprì più tardi che quella notte le palme ave-
vano avuto un altro visitatore: Kubrick era venuto per essere sicuro
che gli alberi fossero pronti per il suo Vietnam di Beckton. Quando
furono arrivati, il regista ne ordinò altri, arrivando alla fine a quasi
duecento palme. Per completare la vegetazione, migliaia di piante in
plastica furono spedite da Hong Kong e messe in posizione.
Dopo aver lavorato in Full Metal Jacket, la Edwards creò la Palm
Brokers, una società formata esclusivamente per offrire servizi a cine-
ma e televisione. La Palm Brokers avrebbe fornito la vegetazione per
Il giardino segreto, il film di James Bond 007 Zona pericolo, Quarto pro-
tocollo, L'impero del .role di Spielberg e molte pubblicità, video-clip e
spettacoli televisivi.
Per le scene in strada, Kubrick fece arrivare cinquemila immigrati
vietnamiti che vivevano a Londra, che dovevano popolare la zona e
farla sembrare la Da Nang nel 1968. Per completare il resto del
gruppo dei marines, una volta assegnati i principali ruoli con battu-
te, il regista scelse membri dell'esercito territoriale, la versione
inglese delia Guardia Nazionale degli Stati Uniti.
La scena di battaglia che conclude Full Metal Jacket era unica nel
cinema sul Vietnam, che di solito descriveva combattimenti nella
giungla in cui la logistica e il movimento delle truppe non sono
molto chiari, per via della natura paludosa del terreno. In F11ll Metal
499
Jacket, il campo di battaglia è chiaramente delineato. <<L'intera zona
di combattimento era un'unica area>>, disse Kubrick a Tim Cahill.
<<Esisteva nella realtà. Una delle cose che ho cercato di fare è stata di
darti un senso di dove ti trovi, di dove è tutto il resto. Che nei film
di guerra è qualcosa che spesso non hai. Il terreno dell'azione dei
commando è realmente la storia dell'azione. E questa è una cosa che
abbiamo cercato di rendere assolutamente chiara: c'è un passaggio
basso, c'è Io spazio delle costruzioni. E una volta che ti ci trovi den-
tro, tutto è esattamente dove era prima. Non ci sono stacchi di salva-
taggio, non si imbroglia. Così si trattava di dove sarebbe stato il cec-
chino e dove sarebbero stati i marines>>.
Con John Alcott che viveva e lavorava in America, Kubrick si
rivolse al suo assistente, Douglas Milsome, perché fosse il direttore
della fotografia in Full Meta! Jacket. Milsome era stato l'assistente
alla messa a fuoco di Alcott in Barry Lyndon, e in Shining si era occu-
pato della messa a fuoco e di girare parte del materiale della seconda
unità. Milsome aveva lavorato con Alcott per quindici anni e la sua
morte prematura aveva avuto su di lui un forte effetto. A Ron Magid
di <<American Cinematographer>>, Milsome dichiarò: <<Mi piacerebbe
continuare da dove John si è fermato. Pensavo che fosse un grande
direttore della fotografia e ho imparato moltissimo da lui mentre
lavoravamo per Stanley. La scomparsa di John è stata per me un tale
colpo che ho preso la decisione di cercare di perpetuare quello che
stava cercando di fare>>.
Milsome lavorò in F11ll Meta! ja.-ket per un anno e mezzo. Le ripre-
se principali richiesero un po' più di sei mesi, ma gran parte del
tempo fu impiegata nella preproduzione con Kubrick. <<C'è sempre
una quantità di cose da discutere con Stanley in preproduzione per-
ché nei suoi film c'è così tanto di cui occuparsi>>, disse Milsome a
Magid. <<Sono sempre grandi temi, così l'operatore è spesso chiamato
un po' prima del solito, non solo per controllare l'attrezzatura ma per
verificare ogni singolo aspetto di ogni possibile situazione all'ennesi-
mo grado. Richiede tempo per accurate discussioni. Nella prepara-
zione è tanto metodico quanto nelle riprese. A volte la preparazione
richiede tanto tempo quanto le riprese, spesso di più. Lui dà un
nuovo significato alle parole "meticoloso" e "metodico". Per quello
che riguarda l'illuminazione, è del tutto aperto alla discussione.
Costruiamo modellini dei sete discutiamo di come illuminarli, e poi
facciamo prove approfondite>>.
<<Ho avuto in effetti difficoltà molto maggiori lavorando con gente
con meno talento di Stanley. Ti prosciuga, ti risucchia completamen-
te, ma è il primo a lavorare duro e si aspetta che lo facciano tutti gli
altri. A volte diventa pesante perché è così lento e complesso, ma
500
adora fare le cose in modo molto diverso da tutto quello che è stato
fatto prima. Non si può veramente fare qualcosa così come ti viene,
così si lavora molto per ottenere insieme qualcosa di diverso che
porti il suo marchio. Tutto questo può essere un po' autoritario, e
tende a folgorarti e ad assorbire quasi tutto il tuo tempo. A volte il
rapporto può diventare un po' teso perché devi dedicarti solo a lui.
Mangi, bevi e dormi il film e sei sotto contratto con Stanley corpo e
anima. Ma ti concede il tempo di fare tutto perfettamente nel modo
giusto, che è quello che trovo così appagante>>.
Milsome aveva osservato anche, come era successo a Garrett Brown
nel lavorare con il regista in Shining, l'uso particolarissimo che
Kubrick faceva della composizione: <<La composizione di Stanley è
molto stilizzata. Il modo in cui mette la gente in posizione è sempli-
cemente sbalorditivo. Non troverai mai un'inquadratura di Kubrick
in cui si tagliano i piedi agli attori: ogni inquadratura è dalla vita in
su o a figura intera. Ciascuno dei suoi film ha quell'aspetto: molto
quadrato, molto equilibrato e simmetrico. Ogni volta le cose sono
sistemate esattamente al punto giusto. lo uso quello stile anche
quando non sto lavorando con lui, perché è il tipo di cosa che piace
anche a me. Anche l'uso dei grandangoli è tipicamente suo, e ci offre
una vasta area in cui manipolare l'azione. Abbiamo usato molti gran-
dangoli per comporre inquadrature interessanti, oltre a un sacco di
angolazioni strette delle stesse inquadrature, e Stanley avrebbe poi
staccato da un estremo all'altro>>, disse Milsome su «American
Cinematographer>>.
Il clou dello scontro dei marines con il cecchino contiene immagi-
ni notevoli. Quando gli uomini venivano colpiti, Kubrick usava il
rallentatore. A volte il regista girava con macchine ad alta velocità,
riprendendo cinque volte più in fretta per enfatizzare l'orrore e il
dolore degli uomini colpiti dalla pallottola del cecchino. L'inquadra-
tura più agghiacciante è quella in cui si scopre che il cecchino è una
giovane donna vietnamita, che si gira e spara sugli uomini che le si
stanno avvicinando. A Ron Magid, Milsome rivelò: <<Quella non fu
ottenuta semplicemente rallentando la pellicola. Abbiamo dovuto
mettere l'otturatore della macchina da presa fuori fase rispetto al
movimento del film, creando un leggero effetto stroboscopico verti-
cale. Mentre lei si muove su e giù nel voltarsi, le fiamme sembrano
stare ferme, e quando lei si sposta verso le fiamme, queste non si
muovono ma sembra che le sanguinino sul volto. In effetti la pellico-
la si sta impressionando in movimento, ed è questo che dà
quell'effetto stroboscopico. Normalmente la pellicola si ferma quan-
do l'otturatore è aperto, il che congela l'immagine, ma in questo
caso la pellicola si sta muovendo con l'otturatore aperto. Appena
501
appena fuori sincrono - forse un 25 per cento - ma basta a dare
l'effetto di una luce che nell'inquadratura dura quell'attimo di più».
Per la sequenza finale di F111l Meta! ja.·ket, quando i marines mar-
ciano attraverso la città in fiamme cantando la musica del Club di
Topolino, gli edifici circostanti furono fotografati alla luce di un ser-
batoio che conteneva undicimila litri di benzina incendiata. Gli
impianti per bruciare olio generavano fumo nero e un forte bagliore
rosso.
Gustav Hasford fece una visita a sorpresa nel Vietnam ricostruito
da Kubrick a Beckton, passando in Inghilterra per assicurarsi che il
film basato sul suo romanzo fosse effettivamente in lavorazione.
«Andai al set dove pareva che Stanley stesse girando, in un paesino
chiamato Beckton, vicino a Essex. È sul Tamigi, una centrale a gas
abbandonata», disse Hasford a Grover Lewis. <<All'epoca meditavo di
fare causa, e non avrebbe avuto senso se non ci fosse stato alcun film.
Mi portai dietro un paio di amici. Ci vestimmo con tute mimetiche.
La nostra idea era che stessero girando e che ci saremmo potuti sem-
plicemente mescolare alle altre comparse. Entrammo e questo picco-
lo assistente ci portò alla tenda dei viveri mentre qualcuno controlla-
va chi ero. Mangiavamo ciambelle e l'assistente chiese: "Chi siete?
Perché siete venuti?". lo dissi: "Beh, sono il tipo che ha scritto il
libro su cui è basato questo film". I suoi occhi si illuminarono e
disse: "Scherzi! Sei tu il tizio? Sei proprio tu?". Io dissi: "Già, già, ho
scritto il libro". Lui disse: "Beh, voglio stringerei la mano, perché
Di.rpahhes è il libro più bello che abbia mai letto". "Eh, lo penso
anch'io", dissi>>.
La vecchia fascinazione e ammirazione di Kubrick per l'epoca del
muto lo portò alle scelte di regia in Full Meta! }a<"ket. Il suo desiderio
era di far sì che il film comunicasse con le immagini e con un dialo-
go ridotto e succinto. Kubrick disse a Francis X. Clines che voleva
che «l'economia della frase strutturale fosse il più vicina possibile al
film muto>>, perché trovava il dialogo di Full Meta! ]a<"ket «quasi
poetico nella sua qualità grezza, quasi scavata>>.
Tony Spiridakis era in Inghilterra a lavorare in Il giustiziere della
notte 3 per il regista Michael Winner, quando sentì dire che Stanley
Kubrick riceveva provini su nastro di potenziali attori per un nuovo
film: «Ci andai subito. Il suo assistente Leon Vitali stava seguendo le
audizioni ed era completamente impegnatO>>. Spiridakis, che si era
formato come attore teatrale alla Yale Drama School, aveva interpre-
tato il catcher nella serie televisiva di Steven Bochco "The Bay City
Blues", e aveva scritto e interpretato Sognando Manhattan, dichiarò:
«Lo beccai in un momento di pausa e gli dissi: "Guarda, sono qui.
Ne ho sentito parlare all'ultimo minuto", e lui mi fece passare alla
502
fine della giornata. Un paio di giorni dopo Leon chiamò e disse:
"Stanley vuole sentirti meglio" e tutto cominciò così. Così mi
mandò un paio di fotocopie delle pagine di sceneggiatura per due
ruoli diversi e io tornai e feci un altro provino per le due parti».
Spiridakis provò la parte di capitan Gennaio e del capitano Lockhart.
«Feci il provino un paio di volte. Mi piaceva davvero Leon, era forte.
Leon faceva tutto. La mia immagine di Leon Vitali è di lui che aveva
letteralmente appunti e numeri di telefono scritti con la biro diretta-
mente sulla pelle, dalla punta delle dita fino in cima alle spalle>>.
Oltre al casting, Vitali aiutava gli attori nel dialogo, recitava le bat-
tute e fungeva da collegamento fra loro e Kubrick. «Così, ci crediate
o no, Stanley disse: "Decide Tony, va bene quello che vuole lui, una
qualsiasi delle due parti". Uscii a prendere un caffè con Leon per,
diciamo, deliberare e fummo d'accordo che capitan Gennaio aveva il
maggior impatto>>.
Spiridakis lavorò in Full Meta! }afket per cinque settimane. Si fece
tutto il programma di addestramento con Lee Ermey e gli altri attori
che interpretavano le reclute dei marines. «Lee era presente per
tenerci in tensione, ci arrivava in faccia e la preparazione era sia psi-
cologica che fisica>>, ricorda Spiridakis.
In questa fase, la sceneggiatura di Full Meta! }afket conteneva una
parte in cui il soldato Joker andava a Phu Bai a trovare capitan
Gennaio. <<Il film era diviso in tre parti, c'era il terzo di Parris Island
- che era il campo di addestramento - e poi c'era il pezzo centrale,
dove si verificava la vera disillusione di Joker. Il personaggio veniva
disilluso da tutta la macchina propagandistica del corpo dei marines.
Da giornalista, si rendeva conto che la realtà del giornalismo aveva a
che fare solo con la falsificazione. Quella era una parte affascinante
del percorso del personaggio. Era tutto un terzo in mezzo che non
comparì nel film. Così Joker andava da Parris Island -che di per se
stessa era già una forte delusione - dritto nella follia del combatti-
mentO>>.
Il montatore Martin Hunter mostrò a Spiridakis le scene in cui
l'attore appariva. Capitan Gennaio era un ufficiale pazzo affine al
personaggio di Robert Duvall in Apocalyp.re Now: <<Giocava a
Monopoli con sold~. veri. La sua idea di una cosa meravigliosamente
nobile era rispedire alla sua fidanzata la testa di un muso giallo>>.
Spiridakis era in due scene. In una gioca a Monopoli con Joker, e
nell'altra discute la conta dei cadaveri. Le scene con capitan Gennaio
erano state girite a Londra, in un set che riproduceva un ambiente di
giungla vietnamita più tradizionale.
<<Sapevo molto poco di Kubrick, così mi sconvolse scoprire che era
solo un tizio del Bronx e io ero un tizio del Queens. La cosa mi stese.
503
Non mi capacitavo proprio. Quando trovi qualcuno così mitologica-
mente leggendario come Stanley Kubrick e scopri che viene da
Kingsbridge Road, c'è da impazzire>>.
«Ero tornato a New York e mi ero abbronzato perché stavo nelle
scene della giungla. Quando tornai a Londra, Stanley era fuori di sé
perché ero molto più scuro di tutti gli altri attori. Subito dopo mi
ritrovai a essere portato continuamente avanti e indietro dal trucca-
tore e dal parrucchiere. Continuavano a mettermi diversi tipi di fon-
dotinta e cominciarono a provarmi dei baffi. Stanley stava cercando
di cambiare il mio aspetto in quello di un portoricano. Alla fine
venne fuori la cosa del Queens e io non ci vidi più. Dissi: "Senti, ho
fatto le mie ricerche, è così che sarei se avessi fatto un paio di giri da
queste parti!". Quando mi arrabbiai, pensavo davvero che mi avreb-
bero licenziato. Diedi proprio di fuori e Stanley mi guardò, questo
gran sorriso gli si dipinse sulla faccia e il giorno dopo tutti quegli
attori erano a farsi la lampada. Il giorno dopo Matt Modine disse:
"Grazie tante, mi devo alzare un'ora prima e farmi la lampada". Alla
fine, Stanley l'aveva vista come una buona idea. Avevano cominciato
a prendermi in giro perché ogni mezz'ora arrivavo con un paio di
baffi nuovi. Tutti facevano le imitazioni: "Capitano Rodriguez, non
ci servono quei distintivi del cavolo!". Era una gag ricorrente e
cominciavo a rompermi le scatole. Così ci avevo provato, ci avevo
pensato bene e avevo deciso che io avevo ragione e loro si sbagliavano
e Stanley era stato d'accordo con me. Fu eccezionale da parte sua per-
ché gli sarebbe stato più facile !asciarmi perdere che mandare tutti
quei ragazzi sotto le lampade. Da quel momento mi innamorai di
Stanley; eravamo molto vicini, andavamo veramente d'accordo».
Kubrick girava in video molte prove con gli attori e a volte le
montava in sequenza. Ricorda Spiridakis: <<Se stanno cambiando le
luci e c'è un attimo di pausa ti porta in una stanza e ti fa vedere una
prova».
«Alla fine della giornata sei esausto, sei stato davvero spinto al
limite. Veramente riesce a tirar fuori il massimo dai suoi attori come
un grande allenatore di basket riesce a fare con i suoi atleti al colle-
ge. Ti pungola per tirarti fuori il meglio. Alla fine sei esaurito ma ti
senti splendidamente>>.
«Quando Matte io facevamo la scena del Monopoli, in una capan-
na, c'era una comparsa che ci stava dando dentro un po' troppo.
Stanley venne da me e disse: "Quel tizio sta proprio esagerando,
vero?" e io dissi: "Beh, decisamente sì". Cominciamo il ciak successi-
vo e all'improvviso Stanley è seduto nella sedia del tipo e sta recitan-
do la scena fuoricampo. Stanley voleva esserci. Stava veramenre reci-
tando. Era incredibile. È un regista così analitico. Dava l'impressio-
504
ne di saltare in giro e fare tutto. A un certo punto della scena aveva
un monitor in grembo, aveva la cuffia in testa- era proprio coperto
di attrezzatura>>.
<<Dopo dieci o dodici ciak diceva: "Andiamo a farci un giro" e
andavamo a fare una passeggiata. Come un atleta, potevi spingerti
solo fino a quel punto e poi dovevi ritirarti. Parlavamo a lungo di
diversi attori. Tutto il processo creativo ce l'aveva proprio nel san-
gue. In qualsiasi professione si incontrano pochissime persone che
possono lavorare così duro e mantenersi equilibrate. A un livello
vuoi essere la persona più competitiva del mondo e all'altro vuoi
essere un Buddha e non finalizzare tutto al risultato, per cui è una
enorme contraddizione- può fare a pezzi una persona- ma Stanley
ha la capacità di lavorare duro tutto il tempo ma mantenere sempre
l'equilibrio. È come un bambino, ma sofisticato come un vecchio
saggio, è entrambe le cose insieme. Piuttosto che andare nella rou-
lotte, appoggiava la testa alla tua spalla e chiudeva gli occhi. È inna-
moratissimo dell'atto di recirare, e dell'atto fisico di fare il cinema>>.
<<Mi fece dei grandi complimenti per la recitazione e io ne fui
molto commosso. Diceva sempre: "Mi ricordi qualcuno". Alla fine,
dopo un paio di settimane, disse: "So chi. Se Ben Gazzara e John
Cassavetes avessero un figlio, saresti tu". La cosa mi stese totalmente
e così dopo mezz'ora gli dissi: "Se Rasputin e Babbo Natale avessero
un figlio, saresti tu". È quello l'incrocio che verrebbe fuori. C'è un
po' di Rasputin in lui e ti viene decisamente voglia di abbracciarlo.
Quei due personaggi per me sono Stanley: di uno hai paura e l'altro
vorresti abbracciarlo>>.
<<È molto spiritoso e alla mano, racconta aneddoti eccezionali su
George C. Scott e su pezzi di attrezzatura che ha inventato. Disse:
"Vedi questo occhiaie? L'ho inventato io e non ci faccio un soldo per-
ché non sono stato a sentire mia moglie, ma questa cosetta l'ho
messa insieme io">>.
Quando il film fu assemblato, Spiridakis fu tagliato al montaggio.
Kubrick chiamò personalmente l'attore per dirglielo. <<Mi chiamò e
disse che c'era un cinquanta per cento di probabilità che io fossi
tagliato dal film e che gli dispiaceva molto. È così che lo fece, non
lasciò che lo scoprissi vedendo il film. Apprezzai molto. Un mio
amico è amico di sua figlia, e Vivian disse quanto era spiaciuto a suo
padre tagliarmi via e che mi adorava. Io lo adoravo. Sapeva quanto
era duro per me essere tagliato e ci stava veramente malissimo. Hu
un punto debole nel cuore, anche se la cosa mi sconvolgeva. Ciò che
è successo era inevitabile e lui si comportò da perfetto gentiluomo.
Era la dimostrazione che avevamo un legame. Non avrei potuto chie-
dere di essere trattato meglio di cosÌ>>.
505
<<Sono sempre stato affascinato dal regista, ma di persona penso che
sia molto piLt affettuoso di quel che avevo sentito dire. Il modo in
cui lo caratterizzano lo trovo semplicemente insensato. Con me era
affettuoso, divertente, davvero una presenza calda. Con tutta la follia
del lato tecnico della lavorazione, era sempre lì con un luccichio
negli occhi. Proprio adorava quella roba. Era come un ragazzino.
Quella sensazione che aveva nel sangue lo rendeva felice>>.
I giovani attori di Kubrick funzionavano come una squadra mili-
tare. Svegliati all'alba per fare il lungo viaggio in autobus fino alla
location, avevano sviluppato un certo spirito cameratesco che nasce-
va dalla comune sopravvivenza ai turni di servizio durante la lavo-
razione di Full Meta! Jac-ket. Le riprese erano molto pesanti dal
punto di vista fisico, le scene di battaglia così realistiche che l'atto-
re Dorian Harewood temette che il continuo e intenso suono di
esplosioni e sparatorie avesse danneggiato il suo udito, e andò due
volte a farsi visitare da un dottore, preoccupato di essersi perforato i
timpani. «Spero di non trovarmi mai più vicino di così a una guer-
ra>>, dichiarò Harewood ad «American Film>>: «Tutto il tempo,
tutte quelle attese, ci avevano trasformato in una "unità", proprio
come nel film. Eravamo lì in divisa, con i fucili in grembo, al
caldo, seduti nello sporco e nei detriti e aspettavamo e aspettava-
mo, fumando, giocando a carte e restando per mesi lontani da casa e
dalle nostre mogi i. Erct l'esercito!>>. Le riprese si trascinarono dalla
calda estate del 1985, che inflisse all'Inghilterra un caldo soffocante
che aiutava a riprodurre l'atmosfera del Vietnam, e si conclusero nel
settembre 1986. Proprio nel mezzo del programma di riprese,
l'auto di Ermey aveva avuto un incidente nella foresta di Epping
scivolando fuori strada all'una di notte, e l'attore si era fratturato
tutte le costole di un fianco. L'incidente, che per poco non era stato
fatale a Ermey, aveva costretto Kubrick a chiudere la produzione
. .
per cmque mesi.
513
i mezzi di comunicazione>>. Le scene che si svolgono durante le riu-
nioni di redazione del giornale dei marines furono pensate in modo
da dare l'impressione che <<avessero apparecchiato le loro notizie sul
modello dei film hollywoodiani degli anni Quaranta>>.
Platoon, il film che segnò la svolta nella carriera di Oliver Stone,
era uscito nel 1986 e aveva vinto I'Oscar come miglior film, miglio-
re regia, miglior montaggio e miglior suono, appena qualche mese
prima che uscisse Full Meta! Jacket. Critici e spettatori misero a con-
fronto i due film e i loro diversi punti di vista. Platoon era un film di
guerra più tradizionale e si concentrava sui soldati, gli aspetti fisici
del combattimento e una descrizione realistica dell'esperienza del
Vietnam. I precedenti film sul Vietnam, come Tornando a ca.ra e
Apocalyp.re Now, erano nati come diretta reazione alla guerra.
Tornando a casa ne descriveva gli effetti negli Stati Uniti e Apocalyp.re
Now ne proponeva una interpretazione espressionistica. I berretti verdi
di John Wayne aveva scelto la strada dell'apologia, ed era macho e
propagandistico, mentre Vittorie perdute di Ted Post, del 1978, era
forse stato il primo tentativo di affrontare con onestà la guerra e gli
uomini che l'avevano combattuta. La guerra del Vietnam secondo
Kubrick era legata alla sua percezione della guerra in generale: come
Orizzonti di gloria, Full Meta! Jacket penetra la mentalità militare e
sottolinea la futilità e l'inevitabilità del conflitto. Kubrick espresse
pubblicamente il suo rispetto per Oliver Stone, ma assunse la posi-
zione estrema che, con tutta la sua brutale onestà, anche quel film si
accattivasse il pubblico usando elementi narrativi tradizionali del
genere. Kubrick era spesso accusato di alienarsi il pubblico, e con
Full Meta! Jacket realizzò un film che si distaccava dal tema con un
approccio freddo e notarile. La prima parte era un agghiacciante
sguardo alla creazione di un soldato come macchina per uccidere, la
seconda era l'ineluttabile effetto. «Piatoon è un buon film - il nostro
è meglio>>, disse Adam Baldwin ad «American Film>>: «Ii nostro è
una sorta di prequel. Ti fa vedere come dei giovani americani sono
trasformati in individui distrutti, sono ridotti a stracci, sono degra-
dati e disumanizzati>>. Il Vietnam era stato considerato un argomen-
to da non toccare dal mondo del cinema, poi, una volta avviato il
ciclo, i cineasti si erano avvicendati nell'esplorare i mille volti della
guerra. Ma Full Meta! Jacket era prima di tutto un film di Stanley
Kubrick. Ancora una volta, il regista usava un genere - in questo
caso il film bellico- per esplorare la base malvagia dell'uomo e sod-
disfare la sua ossessione per le possibilità cinematografiche all'inter-
no delle convenzioni della forma.
Kubrick prese la decisione di eliminare da Full Meta! Jacket il
discorso sull'uso di stupefacenti, che pure aveva costituito un ele-
514
mento importante di Platoon e di Apocalyjm Now. A Tim Cahill di
<<Rolling Stone>> spiegò che l'uso di droghe avrebbe implicato che i
soldati fossero privi di controllo. Le sue ricerche mostravano che i
marines avevano le giacche da artigliere abbottonate, il che significa-
va che erano sempre ben preparati.
A Lloyd Grave del «Washington Post>>, Michael Herr dichiarò:
«So che questo film scatenerà un sacco di reazioni scandalizzate e
offese. La sinistra politica lo chiamerà fascista, e la destra, beh, chi lo
sa? Non so immaginare cosa penseranno le donne di questo film>>.
«Puntiamo semplicemente a come è in realtà>>, disse Kubrick a
Grave. «Di certo non credo che il film sia antiamericano. Penso che
cerchi di dare un senso della guerra e della gente, e degli effetti della
prima sulla seconda. Penso che con qualsiasi opera d'arte, se posso
chiamarla così, che stia attorno alla verità e sia efficace, sia molto
difficile scrivere una bella microspiegazione di quale sia l'argomento.
Penso che Platoon cercasse maggiormente di accattivarsi il pubblico.
Ma io ho abbastanza fiducia nel pubblico da pensare che sia in grado
di apprezzare qualcosa che non lo faccia. Almeno non ti annoi>>.
Com'era prevedibile, la sicurezza sul set di Full Meta! jm·ket era
stata rigida. Quando si arrivò a ridosso dell'uscita del film, Kubrick
concesse alcune interviste, che si tennero negli uffici vuoti dei diri-
genti ai Pinewood Studios: sempre restio a farsi intervistare,
Kubrick le rilasciava solo per aiutare a promuovere i suoi film. Era
un maestro a evitare di discutere i significati delle sue opere: preferi-
va che il pubblico vivesse i suoi film come esperienze viscerali e sen-
soriali. Le sue interviste erano spesso discorsi su una moltitudine di
argomenti lontani dal film, di solito fondati sui suoi attuali interessi
o fissazioni.
Una serie di interviste legate all'occasione dell'uscita di Full Meta!
}acket fornì un parziale aggiornamento su Stanley Kubrick, che si
avvicinava a completare il suo sesto decennio di vita e si trovava nel
suo terzo decennio da americano in Inghilterra. Francis X. Clines del
<<New York Times>> definì Kubrick all'epoca di Full Meta! ]acket
spiegazzato «Come un guardiano notturno>>. Clines riconobbe che
parlare con il regista era un'esperienza intensa: «Barbuto e con lo
sguardo attento quando gli si fa una domanda, il signor Kubrick
parla con una mano che si sfrega la fronte, spesso guardando in
basso, come un uomo che recita il Confiteor o calcola le quote della
prossima corsa>>. Il cronista avvertì un casuale accento di New York
nella voce di Kubrick, ma anche una «terribile determinazione>>.
Quando Lloyd Grave intervistò il regista in una sala riunioni di
Pinewood per un articolo del «Washington Post>> su Full Meta!
}acket, ne descrisse l'aspetto disordinato- con addosso una giacca di
515
velluto a coste ocra che aveva una macchia blu scura sul petto, panta-
loni kaki tenuti bassi e scarpe da jogging consunte, sicuramente non
usate per correre. Grove notò anche che dalla incipiente calvizie di
Kubrick spuntavano capelli neri e che la sua barba - che cominciava
a ingrigire- ricordava più <da vegetazione di una giungla>>. Durante
la conversazione, Kubrick consultava spesso il suo orologio digitale.
Tim Cahill, che gli fece un'intervista per <<Rolling Stone>>, riportò
che Kubrick ci aveva messo venti minuti a trovare l'ufficio di
Pinewood in cui dovevano parlare. Aveva gli stessi abiti descritti da
Lloyd Grove. Cahill ipotizzava che la chiazza blu sulla giacca del
regista fosse stata provocata dall'esplosione di una penna biro. Il
giornalista trovò Kubrick privo di pretese nonostante la sua abituale
evasività, e gli dedicò un superbo profilo.
A Cahill, Kubrick raccontò che oltre ai suoi tre Golden retriever
ora la famiglia aveva un bastardino che aveva trovato per strada.
All'aperto il regista indossava ancora occhiali da aviatore e un giac-
cone informe. Disse a Penelope Gilliatt di sentirsi ancora americano,
<<con la distanza, che offre una prospettiva migliore>>. La giornalista
trovò Kubrick impregnato di cultura pop americana.
Kubrick continuò a lavorare su Full Meta/ ]acket fino all'ultimo
momento, mettendo a punto il montaggio e il missaggio sonoro. I
suoi aggiustamenti dell'ultima ora costrinsero la Warner a ritardare
le proiezioni per critici e esercenti.
L' <<Hollywood Reporter>> scrisse che Kubrick aveva rimandato al
laboratorio una tale quantità di copie del film che si dovette rivedere
il programma originale di aprire a tappeto in dodici mercati chiave.
F111! Meta/ Jacket uscì il 26 giugno 1987, con alcune ottime recen-
sioni e un rispettabile incasso di 5.655.225 nei primi dieci giorni.
La strategia era di far uscire il film in tre fasi. Kubrick consegnò la
sua versione definitiva all'ultimo minuto, così la Warner Bros. non
ebbe la possibilità di fare molte anteprime; fu necessario affidarsi al
passaparola per spingere il film oltre le più tipiche produzioni estive
di azione o commedia. Dopo una prima fase in 215 sale, la program-
mazione si estese ad altri 635 schermi, e infine ad altri 570 per una
distribuzione nazionale completa. Pur continuando a fare film icono-
clasti, Kubrick puntava a un ampio successo commerciale. Il traino
di Jack Nicholson aveva aiutato a vendere Shining, ma F11ll Meta!
Jacket, che pure aveva un ottimo cast maschile, non dava le sicurezze
garantite da un divo di primo piano.
Le recensioni furono diseguali, anche se l'accoglienza fu migliore
di quella disastrosa riservata a Shining. David Steritt del <<Christian
Science Monitor>> lo definì <<il film più artistico sulla guerra del
Vietnam>>. F11!1 Meta/ Jacket fu recensito positivamente sul «L05
516
Angeles Time>>, <<Newsday>>, <<Newsweeb>, <<Time>> e <<Women's
Wear Daily>>, con riserve da <<Films in Review>> e <<]ump Cut>> e
negativamente da J. Hoberman del <<Village Voice», <<Cineaste»,
<<Monthly Film Bulletin>> e <<New York Magazine>>.
Kubrick sostiene che la sua enfasi sul realismo e quel tipo di coin-
cidenza che in Shining gli aveva portato attori con gli stessi nomi dei
personaggi fossero responsabili di quello che sembrava un riferimen-
to a 2001 in vistosa evidenza in Full MetaljaL"ket. Dopo che Cowboy
è stato colpito e sta morendo, dietro a lui e agli uomini che cercano
di confortarlo si vede una lastra di cemento che somiglia a un mano-
tito. Kubrick disse ad Alexander Walker che era il risultato dei lavo-
ri che avevano fatto per creare le macerie e che si trovava là per puro
caso. È possibile che la struttura sia nata casualmente, ma il simbolo
resta in campo a lungo ed è in bella vista per tutta la scena. In una
inquadratura gli uomini sono sistemati in modo da essere perfetta-
mente allineati, in una posizione che ricorda le scimmie di 2001
davanti al monolito. Quando Walker disse a Kubrick che l'immagi-
ne poteva incoraggiare ipotesi di critici e cinefili, Kubrick lo guardò
male e disse: <<Vuoi dire, irrilevanza critica!>>.
Kubrick continuò a preoccuparsi degli standard tecnici delle sale
che proiettavano il suo film. Applicava sempre la "legge di Peter": se
qualcosa può andare male, ci andrà. Lo disturbava essere etichettato
come un maniaco ossessivo mentre vedeva le sue preoccupazioni
come semplice pragmatismo. <<C'è chi si meraviglia quando mi
preoccupo delle sale dove si proietta il film», disse a Tim Cahill.
<<Pensano che sia una forma di ansia demente. Ma la Lucas-films ha
un Programma di allineamento sale. Sono andati in giro e hanno
controllato un sacco di sale e pubblicato i risultati in un rapporto
che conferma tutti i peggiori sospetti. Ad esempio, nell'arco di un
giorno, il cinquanta per cento delle copie sono graffiate. Di solito c'è
qualcosa di rotto. Gli altoparlanti non sono buoni e il suono fa
schifo, le luci sono sbilanciate ... Beh, certi cinema cercano di mette-
re il film su uno schermo più grande della sorgente di luce che
hanno pagato. Se compri un proiettore da 2.000 watt puoi ottenere
un'immagine decente larga fino a sei metri. E diciamo che quel cine-
ma proietta invece su una larghezza di dodici metri, mettendo una
lente più ampia. In effetti, a questo punto hai il 200 per cento di
luce in meno. Ma loro vogliono un'immagine più grande, così viene
-scura. Molti esercenti sono terribilmente colpevoli di ignoranza
degli standard minimi di qualità dell'immagine. Per esempio, ora ci
sono sale dove tutti i rulli sono proiettati in un unico anello conti-
nuo. E non puliscono mai l'otturatore. Basta che ci finisca un bricio-
lina di polvere dura, che questa aumenta con lo scorrere del film.
517
Dopo un paio di giorni comincia a graffiare la pellicola. Il graffio va
dall'inizio alla fine del film. Ora, è una preoccupazione eccessiva se
voglio assicurarmi che nelle proiezioni per la stampa o alle prime
nelle città chiave tutto nella sala funzioni al meglio? Basta mandare
qualcuno a controllare il posto tre o quattro giorni in anticipo.
Assicurarsi che non ci sia niente di rotto. Si tratta veramente solo di
fare una o due telefonate, facendo un po' di pressione perché certa
gente metta a posto le cose. Voglio dire, è una preoccupazione legit-
tima o è un'ansia insensata?>>.
Fttll Meta! jac·ket era costato 17 milioni di dollari e ne incassò 38
nei primi cinquanta giorni di programmazione. Kubrick continuò a
seguire il film nella distribuzione, facendo un nuovo missaggio per
l'uscita europea. Gli incassi all'estero furono particolarmente alti in
Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Svezia.
Lee Ermey fu mandato a fare un tour promozionale per il film.
Come sempre, Kubrick manteneva uno stretto controllo sulle infor-
mazioni rivelate. Una volta che Ermey doveva essere intervistato da
Jack Kelly per la rivista «People>>, un memo da Edward S. Crane, un
responsabile della pubblicità, suggerì <<che ci sono certe aree della
conversazione che sarebbe preferibile non riportare>>. Crane segnala-
va che qualsiasi commento negativo su Kubrick facesse parte della
categoria. Ad Ermey, Crane scriveva: <<Mi piace molto la tua battuta
sul fatto che non si aspetta dalla gente che lo circonda niente più di
quanto non imponga a se stesso, nel massimo sforzo e nell'attenzione
al dettaglio ... che permette grandi film. Se Kelly vuole il numero di
telefono di Stanley, non ce l'hai>>.
Full Meta! jaL"ket fu nominato per la miglior sceneggiatura non ori-
ginale nell'anno dominato da L'ultimo imperatore di Bernardo
Bertolucci. Prima della scadenza per i voti, le autorità di Sacramento
e San Luis Obispo, California, annunciarono di essere alla ricerca di
Gustav Hasford, sospettando che lo scrittore e alfine accreditato sce-
neggiatore avesse rubato centinaia di libri dalle biblioteche - una
possibile spiegazione dell'ampiezza dei suoi misteriosi archivi. Da
San Clemente, California, Hasford fece sapere che non sarebbe anda-
to alla cerimonia perché non gli andava di mettersi lo smoking.
Un'agenzia di polizia privata stava considerando l'idea di presentare
un mandato d'arresto ad Hasford nella hall dello Shrine Auditorium,
dove si sarebbe tenuta la cerimonia.
Il ciclo dei film sul Vietnam proseguì: uscì Hamburger Hil!-
Collina 937, Apo,alyp.re Now fu rieditato in una copia 70mm con i!
Dolby e Oliver Stone annunciò di stare scrivendo un seguito dJ
Platoon. Per Kubrick, la guerra del Vietnam era stata una piattafor-
ma su cui montare le sue idee e sensazioni sul mondo militare e sulla
518
guerra; per Oliver Stone era un'ossessione. Il seguito di Platoon
sarebbe poi diventato una trilogia sulla guerra; a Nato il q11attro
l11glio, una libera e potente biografia del reduce dal Vietnam Ron
Kovic, seguì il più riflessivo Tra cielo e terra, uno dei pochi film a
presentare la guerra attraverso gli occhi di una donna vietnamita.
Kubrick aveva la sua personale trilogia della guerra: Fear and Desire,
Orizzonti di gloria e F11ll Metal }acket, realizzati nell'arco di quasi
rrentacinque anni. L'ossessione del regista per l'argomento veniva da
decenni di fascinazione per i conflitti militari. Il generale Kubrick
aveva instillato nei suoi film il suo codice di comportamento orga-
nizzativo e la minuziosa programmazione. La guerra parlava al regi-
sta, che non credeva alla convinzione di Anna Frank che l'umanità
sia fondamentalmente buona: Kubrick era convinto che il male fosse
vivo e in ottima salute. Era un pessimista attratto dal lato oscuro
dell'esperienza umana, che prosperava nel conflitto armato. Lo vede-
va nelle !ance e nei tronchi fiammeggianti di Spm-taCNs, nella bomba
atomica di Il dottor Stranamore, nell'osso- utensile ma anche arma-
di 200 l, negli stivali e nella scultura fallica di Arancia mea·anùa, nei
moschetti e nelle pistole di Barry Lyndon e nelia scure di Shining. Tl
tema della vera natura, violenta e malvagia, dell'uomo attraversa
quarant'anni di cinema di Stanley Kubrick.
Nel giugno 1988 Kubrick ricevette per Full Metal}acket il premio
Luchino Visconti, attribuitogli per il suo contributo al cinema alla
cerimonia di premiazione dei David di Donatello in Italia.
Una volta finito il film, Kubrick cominciò a recuperare i film usci-
ti nei diciotto mesi in cui era stato assorbito profondamente da Full
Metal Jacket. Per il regista era essenziale tenersi al corrente del cine-
ma internazionale e dell'industria cinematografica americana. Pur
restando in Inghilterra, non girava a vuoto e continuava a raccogliere
informazioni per nutrire il suo risoluto appetito intellettuale.
Ricominciò anche a leggere, in cerca della sua prossima ossessione.
Kubrick i film li faceva per sé e per il pubblico, prestando poca
attenzione ai recensori. La disastrosa accoglienza critica di 200 l e il
successo che il film aveva poi avuto al botteghino gli avevano inse-
gnato ad aver fiducia nel pubblico. <<La gente che non aveva la
responsabilità di doverlo spiegare o di formulare una posizione chia-
ra nei confronti del film due ore dopo averlo visto non aveva avuto
problemi>>, disse Kubrick a Francis X. Clines.
Il fatto che Kubrick restasse a Londra continuava a suscitare per-
plessità: il pubblico e l'ambiente cinematografico lo vedevano come
un eremita perché non viaggiava e si era sepolto nella sua proprietà
londinese. Ma il modo in cui viveva il regista si basava su una logica
solida e non emotiva: esistevano solo tre posti al mondo dove potesse
519
fare film: New York, Los Angeles e l'Inghilterra. New York gli aveva
fornito un ambiente amichevole quando era un giovane cineasta, ma
non aveva le strutture tecniche ed esigeva uno stile di vita frenetico.
Los Angeles aveva le strutture ma era un posto che detestava intensa-
mente: Kubrick non aveva mai fatto parte della scena sociale o poli-
tica di Hollywood e non rientrava nello schema. L'Inghilterra aveva
le strutture richieste, oltre alla civiltà e alla privacy di cui lui aveva
bisogno. Poteva girare i suoi film a costi ridotti, senza i budget ele-
fantiaci con cui Hollywood sovraccaricava un film, indebolendone la
forza sullo schermo.
«Poiché dirigo film, devo per forza abitare in un importante centro
di produzione dove si parli inglese», disse Kubrick a Tim Cahill.
«Questo restringe le scelte a tre luoghi: Los Angeles, New York e
Londra. Mi piace New York, ma è inferiore a Londra come centro di
produzione. Hollywood è il migliore, ma non mi piace abitarci».
<<Mi piace anche stare lontano dalla falsità di Hollywood>>, disse a
Jack Kroll. «Quando abitavo là, la gente ti chiedeva come va e sape-
vi che speravano di sentire che eri in ritardo sul programma o avevi
problemi con il divo».
A Cahìll, Kubrìck spiegò: <<Avrà letto libri o visto film che descri-
vono gente corrotta da Hollywood, ma non è quello. È questo terri-
bile senso dì insicurezza. Un sacco di competitività distruttiva. Al
confronto, l'Inghilterra sembra molto distante. Cerco di tenermi al
passo, leggo le riviste specializzate, ma è bello averle su carta e non
essere costretto a sentire quelle notizie dovunque tu vada. Penso che
sia meglio limitarsi a lavorare e isolarsi dalle correnti sotterranee di
una malevolenza di basso livello».
520
Parte sesta
Infinito
Capitolo 19
Progetti e un film, l'ultimo
<<Ogni mese che passa senza che Stanley Kubrick faccia un film è
una perdita per tutti>>.
Sidney Lumet
Una volta che ebbe finito di seguire Full Meta/ }ctcket attraverso
tutte le fasi della distribuzione negli Stati Uniti e sul mercato inter-
nazionale, Stanley Kubrick ritornò alla sua normale routine. La
maggior parte dei registi si prendono una lunga vacanza dopo aver
finito un film, ma Kubrick in vacanza non ci andava mai: dopo
l'austerità imposta dalla produzione di un film avviava una procedu-
ra operativa standard che restava costante. Cominciava a controllare
le nuove uscite recuperando i film che aveva perso negli anni di
lavoro a tempo pieno sul suo ultimo progetto. Kubrick cercava di
vedere ogni film che usciva per soddisfare il suo profondo amore per
il cinema: guardava i film sia come fan che per raccogliere informa-
zioni e tecniche e per studiare tecnici e attori che avrebbe potuto
usare in eventuali progetti. Quando non era direttamente impegna-
to a lavorare su un film, Kubrick dedicava molto del suo tempo a
leggere riviste, giornali e libri alla ricerca di idee per i prossimi
film. Continuava a essere affascinato dagli scacchi e ordinò alla
Chess & Bridge Ltd. di Londra il software Fritz and M-Chess per
mettere alla prova le sue abilità contro un computer. Ma Kubrick
era sempre al lavoro, sempre impegnato a sviluppare nuovi piani,
spesso senza che il pubblico e la stampa fossero informati.
Stanley Kubrick fa uscire film a lunghi intervalli e procede caura-
mente con i suoi affari, lontano dall'occhio inquisitore della pubbli-
cità e dalla frenesia della notizia. Può darsi che qualcuno fraintenda
questo silenzio per quello di un uomo che ha perso ogni contatro ed
è ormai in una parabola discendente ma, come bene di consumo, il
regista Stanley Kubrick ha una vitalità costante e non ha mai perso
l'apprezzamento dell'industria. Se molti registi della sua generazio-
ne hanno ormai difficoltà a farsi richiamare quando fanno una
523
telefonata, Kubrick rimane una solida forza generatrice di film: atto-
ri, direttori di studios, agenti e tecnici sognano di essere chiamati da
Stanley Kubrick. Dopo venticinque anni, la Warner Bros. continua a
essere il suo studio preferito, e la concorrenza coglierebbe al volo
l'occasione di finanziare e distribuire un film di Stanley Kubrick.
Nei tre decenni passati in Inghilterra, è divenuta una costante che
ci sia un intervallo fra la conoscenza pubblica di un progetto di
Kubrick e un lungo periodo di lavoro in privato. Il regista è spinto
da una ricerca sincera del materiale che innescherà lo stato di osses-
sione che gli è necessario raggiungere per dedicarsi ad un nuovo
film. Negli anni fra un film e l'altro, Kubrick sottopone a questo
esame un incalcolabile numero di proposte. Ogni decisione è presa
sulla base di ricerche, piani, test e incessanti discussioni con esperti.
Molti progetti sono presi in esame, alcuni ci vanno vicino, ma solo
quelli che soddisfano le esigenze letterarie, cinematografiche, filoso-
fiche e psicologiche di Kubrick riescono ad avvicinarsi allo stato di
film in preparazione.
Nel 1993, dopo molti anni di ricerche ed esami delle opzioni
disponibili, Kubrick cominciò a muoversi verso la produzione di un
nuovo film. Nell'aprile di quell'anno, «Variety>> riportò che il regi-
sta stava pianificando un film da girare nell'Europa dell'Est. Le fonti
affermavano che il film si sarebbe svolto nel periodo successivo alla
caduta del Muro di Berlino e che sarebbe stato centrato su un ragaz-
zo e una giovane donna in viaggio nell'Europa orientale. L'ufficio di
Kubrick e la Warner Bros. tacevano e, come sempre, non conferma-
vano o smentivano le voci. Scott Henderson, agente della William
Morris, confermò che al suo cliente Joseph Mazzello- il bravo e gio-
vane interprete di Il grande volo e del blockbuster di Spielberg
Jura.r.rù· Park- era stato chiesto di tenersi libero per l'estate. Il titolo
del progetto e la fonte letteraria su cui era basato erano segreti. Né
Mazzello né il suo agente avevano visto un copione. L'attore apparve
nel programma televisivo "Live with Regis and Kathie Lee" e con-
fermò che stava per lavorare con Stanley Kubrick. L'unica persona
che si sapeva avesse letto la sceneggiatura era il copresidente della
Warner Bros., Terry Semel. Kubrick non era disposto a spedire il
copione in California, per paura che potessero trapelare informazioni
sulla fonte del materiale facendogli correre il rischio che la storia gli
fosse rubata o fosse data in pasto alla concorrenza: a Semel era stato
chiesto dì andare in Inghilterra, era andato a casa di Kubrick e lì
aveva letto il copione. Le notizie indicavano l'interesse di Kubrick
per J ulia Roberts e per Urna Thurman per la parte della giovane
donna. Alcuni ricercatori erano stati mandati in Polonia, Ungheria e
Slovacchia per fare indagini sulle location e sulle strutture. Si preve-
524
deva una lavorazione di cento giorni, facendo probabilmente base a
Bratislava, in Slovacchia. Il progetto era stato inserito nei program-
mi dello studio per il Natale del 1994.
Nel maggio 1993, fu rivelato che il nuovo film di Kubrick era
tratto dal romanzo Wartiwe Lies, di Louis Begley, uscito nel 1991. Il
film doveva svolgersi nel 1944 e seguire un ragazzino, un ebreo
polacco, nelle peregrinazioni con sua zia per la campagna bombarda-
ta. L'inizio delle riprese era stato rinviato a settembre o ottobre.
L'agente di Urna Thurman riferì che non aveva ricevuto dall'ufficio
di Kubrick telefonate relative al progetto. Fonti vicine a Julia
Roberts confermarono che l'attrice era stata contattata da Kubrick
ma che non avrebbe preso una decisione finché non le fosse stato
dato un copione. Un'attrice già vincitrice di Oscar, il cui nome non è
noto, avviò una campagna per ottenere la parte contattando l'ufficio
di Kubrick così spesso che i membri dello staff l'avevano ribattezzata
«Attila la gallina>> l.
A lungo interessato all'argomento, Kubrick cercava da oltre dieci
anni un romanzo sull'era nazista. Quello di Louis Begley si svolgeva
nel 1939 in Polonia. Quando il Terzo Reich invade il Paese, il picco-
lo protagonista Maciek si ritrova orfano e viene affidato alla volitiva
zia Tania. I due si fingono polacchi cattolici e assistono alle persecu-
zioni perpetrate dalla Gestapo sulla comunità ebraica. Sono testimo-
ni della distruzione di Varsavia e fuggono dalla città devastata su un
treno diretto ad Auschwitz. Trovano rifugio in una fattoria e soprav-
vivono alla fine della guerra, ma Maciek non ha avuto un'infanzia
che possa aiutarlo ad affrontare l'età adulta.
Wartiwe Lies è un progetto di Stanley Kubrick per antonomasia. Il
romanzo è scritto dal punto di vista di Maciek e offre al regista
l'opportunità di raccontare la storia e di mostrare il terrore della
seconda guerra mondiale dagli occhi del ragazzino. L'asciutta ma
poetica prosa di Begley permetterebbe a Kubrick di creare le
impressionanti immagini del terrore reale e senza fine imposto dai
nazisti.
Nell'ottobre 1993 !'«Hollywood Reporter>> rivelò che Wartime Lies
sarebbe stato girato in esterni ad Aarhus, la seconda città della
Danimarca, e dintorni. Le riprese dovevano cominciare a febbraio
1994. Il genero di Kubrick, Philip Hobbs, lo scenografo Roy Walker
e la regista danese Eva Bjerregaard effettuarono ricerche per indivi-
duare ambiemi adarri a rappresentare la Varsavia della guerra e ie
l Nella traduzione si perde il gioco di parole fra ··1-ltm·· ('"Un no··) e "Hen" ('"gallina").
<N.d.T.)
525
foreste polacche. All'approvazione di Kubrick furono sottoposte più
di duemila fotografie della zona. Il regista aveva fondato la Hobby
Films per produrre il progetto, finanziato dalla Warner Brothers che
lo avrebbe distribuito in tutto il mondo. Il Danish Film Institute
riferì di aver fornito a Kubrick «casse di video di film danesi>>, forse
richiesti a fini di ricerca e di casting. La troupe avrebbe dovuto essere
composta da cinquanta persone e avrebbe impiegato anche tecnici
danesi. Kubrick scrisse una lettera personale al sindaco di Aarhus,
Thorkild Simonsen, esprimendo <<gratitudine e sollievo>> per aver
trovato una location e le strutture per realizzare il suo progetto.
L'azione centrale del film si doveva svolgere nel ghetto di Varsavia e
la città di Aarhus avrebbe fornito a Kubrick baracche abbandonate e
fabbriche, oltre alle strutture per accogliere la produzione.
Il progetto subì un cambiamento di titolo: Kubrick lo ribattezzò
Aryan Papers. Come Nato per uccidere, Wartinte Lies non era un titolo
commercialmente identificabile come Lolita, Arancia mea·anica e
Shining, così il regista si era preso la libertà di cambiarlo.
Nel novembre 1993, la Warner Bros. annunciò che il film succes-
sivo di Stanley Kubrick sarebbe stato AI, l'abbreviazione di
"Artificial Intelligem·e". Si diceva che fosse un progetto che Kubrick
aveva abbandonato nel 1991, dopo due anni di ricerche: a
quell'epoca il regista aveva determinato che le immagini di questo
progetto di fantascienza fossero al di là della tecnologia degli effetti
speciali del tempo; le recenti conquiste nelle immagini al computer
e nell'animazione digitale viste in Jurassù- Park avevano riacceso
l'interesse di Kubrick nell'impresa. Sul progetto proposto furono
diffuse poche informazioni: il film si sarebbe ambientato in un futu-
ro in cui robot intelligenti erano utilizzati per molti compiti. L'effet-
to serra aveva sciolto le calotte polari e molte città erano sott'acqua. I
grattacieli di Manhattan erano diventati monumenti che emergeva-
no dall'Oceano Atlantico. Per quanto concerneva Aryan Papers, la
Warner disse che Kubrick avrebbe potuto limitarsi a produrre e non
dirigere la riduzione di Wartinte Lie.r di Begley, o dirigerlo lui stesso
dopo aver completato AI. L'inizio delle riprese di A1·yan Papers era
stato programmato per febbraio 1994, in Danimarca, su sceneggia-
tura di Kubrick. Ora i piani erano slittati. Quando <<Variety>> riportò
la notizia, affermava che AI fosse ambientato in una New Jersey
Shore postapocalittica.
Nel luglio 1994 la rivista <<Premiere>> chiese a Cheryl Lee Terry, la
numerologa di <<Elle>>, di analizzare la firma manoscritta di Kubrick.
La Terry trovò che Kubrick era un perfezionista, con paure e ansie.
L'evidenza della S e della K della sua firma rivelavano che era tenace
e ossessivo. Il numero del destino di Kubrick era otto, che secondo la
526
spiegazione della Terry rappresentava l'infinito e dotava il regista di
un lato spirituale e mistico. Le intuizioni della numerologa seguiva-
no da vicino la personalità di Kubrick, ma la Terry si sbilanciò apre-
vedere che la numerologia indicava che nel 1994 il regista avrebbe
completato un progetto che sarebbe stato considerato un capolavoro.
Il 1994 passò e il mondo rimase in attesa del prossimo film di
Stanley Kubrick.
Prima di rutto devo ringraziare Sranley Kubrick per la sua opera e i suoi film, e per
aver vissuto con fantasia, genialità arrisrica e tecnica e intensità. Come oggetto di stu-
dio, per decenni ha accresciuto la mia ammirazione e la mia fiducia nelle illimitate
potenzialità del cinema.
Questa biografia non è né ufficialmente autorizzata né ufficialmente smentita. A
Kubrick è srara inviata una lettera in cui gli si chiedeva di consentire l'incontro con per-
sone che intendevano chiedere il suo permesso prima di essere intervistare, e la coopera-
zione del suo ufficio su questioni di farro. Questa lerrera e copie dei miei libri sulle arri e
i mestieri del cinema gli sono stare recapitare in Inghilterra grazie alla cortesia di un suo
amico e collega di lunga data, Roger Caras, arrualmente presidente dell'Associazione
Americana per la Prevenzione delle Crudeltà contro gli Animali. Ringrazio Roger Caras
per la sua gentilezza nell'inoltrare la mia corrispondenza a Sranley Kubrick. Alle mie
richieste non è mai stata farra pervenire alcuna risposta, né di consenso né di diniego;
Kubrick non ha né aiuwro né osracohl[o i miei sforzi per realizzare questo progetto.
Desidero ringraziarlo per non aver reso ancora più difficile un compito già impegnativo.
Le ricerche per quesro volume hanno richiesto la consultazione di fonti primarie e
secondarie in molti archivi e biblioteche, di ritagli e articoli scritti durante il corso
della carriera di Kubrick. Tali fonti primarie e secondarie, così come l'apporto origina-
l"', sono indicare nelle note ai capitoli. Le interviste originali sono stare realizzare (di
persona, al telefono, o rramire corrispondenza) con persone che hanno conosciuro e
hanno lavorato con Kubrick. La generosità di coloro che altruisticamente hanno con-
cesso parre del loro tempo per p;trlare con me di Sranlc:y Kubrick è stata di inestimabile
valore per la comprensione di un uomo e di un regista che è diventato un miro per il
pubblico e per la comunità cinematografica internazionale. Attraverso queste conversa-
zioni, durare pochi minuti, ore, talvolta anche giorni, è emerso l'uomo dietro la leggen-
da. Per la fiducia dimostrata nell'avermi confidato le esperienze personali, privare e
professionali da loro vissute insiem"' con Sranley Kubrick ringrazio: Claire Abriss, Ken
Adam, Richard Anderson, Louis Begley, Sreven Berkoff, Simon Bourgin, Alice Brewer
Brown, Tony Burron, Vincent Carrier, Wendy Carlos, Jonarhan Ceci!, Bernard
Cooperman, Harrier Daniels, Jane de Rochemont, Ed Di Giulio, Keir Dullea, Gerald
Fried, Bob Gaffney, Berry Garbus, Lou Garbus, Sranley Gerzler, Max Glenn, Gay
Hamilron, James B. Harris, Anthony Harvey, Perer Hollander, Faith Hubley, Anne
Jackson, Gerald Jacobson, Loren Janes, Joseph Lairin, Roberr Lawrence, John Lee,
Norman Lloyd, Richard May, Roberr Sandelman, G. Warren Schloar, Jr., Valda
Serrerfield, Howard Silver, Donald Silverman, Alexander Singer, Rose Spano, Tony
Spiridakis, Harry Srernberg, Philip Srone, Richard Sylberr, Marvin Traub, Daniel
Traister, Clifford Vogel, David Vaughan e Marie Windsor.
le -if:rer•:isre u -Ken Adam, John Bonner, Garrerr Brown, Don Roge1's e frank
Warner, realizzare per il mio libro sui mestieri del cinema, sono swre fonti di preziose
informazioni per il prog"'tro.
Sono debirore di quegli scrirrori che si sono occupati prima di m"' dell'opera di
Sranley Kubrick. I seguenti volumi hanno alimentato la mia insazi;tbile sere di norizi"'
sul regista durante ~li ultimi venticinque anni, e sono stati essenziali nel fornire dari,
53.'>
fomi e una solida base per la realizzazione di questa biografia: Stanley K11brick Directs di
Alexander Walker; K11brick di Miche! Cimcnr; Sttmley K11brick: A Film Ot!issq di Gene
D. Phillips; Tbe Cine111a o{ Stanley K11brick di Norman Kagan; K11brick: lnsitle A Film
Artist's Maze di Thomas Allen N cison; Tbe Film Direaor As S11perstar di Joseph Gelmis;
Tbe Making o/ K11brick's 2001 di )e rome Age l; 2001: Filming tbe F11111re di Piers Bizony e
Stanley K11brick: A Narratit'e ant! Stylistic Analysis di Mario Falsetto. Li ringrazio rutti per
la loro erudizione, acume e competenza.
Archivi, biblioteche e depositi di documenti, negli Stati Uniti e in Inghilterra, con
rutto il loro personale, sono srari essenziali nel fornire preziose informazioni alla mia
ricerca. Desidero ricordare tra questi: Sam Gill, Barbara Hall c !"intero personale della
Margarcr Herrick Library di Las Angeles; Charlcs Silvcr e Ron Magliozzi del Film
Srudy Center del Museum of Modern Art di New York; i dipendenti della New York
Public Library far rhe Performing Arts Research Collecrion presso il Lincoln Center;
Sruarr Ng, archivista della Warner Bros. Collccrion alla Universiry of Sourhern
California e !"intero personale della Doheny Library; Bevcrly Brannen, conservatore
fotografico alla Library of Congress; Madeline F. Marz, Film and Television Research
Library; la Morion Picrure Broadcasring and Recorded Sound Division della Library of
Congress e i suoi dipendenti; Alan Dein della Bbc Radio; Ella Abney, bibliotecaria; la
Medica! Sociery dello Stato di New York; Lmra Tosi, bibliotecaria; The Bronx County
Hisrorical Sociery; James Gerlich, aiuro archivista; il New York Hospiral/Cornell
Medica! Center; la Art and Architecture Library della Yale Universiry; Judy Myers; la
Rare Books Collecrion; la Medicai Scicnces Library del New York Medicai College;
Lawrencc Campbell, archivista della Art Srudents League di New York; Jill Abraham,
tecnico archivista; la Morion Picrure, Sound and Video Branch dei N ariana! Archivcs di
College Park, Maryland; Richard Sydenham delle Nazioni Unire; il professar Shawn
Rosenheim del Williams College; Nan Farinkoff del California State Pharmacy Board;
Karen Mix, della Boston Universiry Library; Rick Ewig, manager, Rcfcrence Services
dell"American Herirage Center dcll'Universiry of Wyoming; Karhy Crawford della
LaRue County Public Library; la American Society of Media Photographers; Carhy
Wcbb, dcll'lnterlibrary Loan Program; Elizaberh Cornely, Sharon Cohen e Linda
Armsrrong, bibliotecarie della Mount Vcrnon public Library; Bill Schilling, del reparto
consultazione della Albany Public Library; la Easrchester Public Library; la Greenwich
Library in Connecticut; la Sarah Lawrcnce College Library; la Ncw York Public Library
della Quarantaduesima Strada.
l miei ringraziamenti alle redazioni dei molti periodici che hanno fornito informazio-
ni riguardanti Sranley Kubrick e la sua opera: Stephcn Pizzello, caporedarrore di
«American Cinematographer Magazine» cd esperto di effetti speciali; Ron Magid; Roy
Frumkes, direttore di «Films In Review»; Malcolm Peio, editore della rivista «Chess
Magazine•• di Londra; il «Courier-Journa(, nella contea di LaRuc; Charles McGrarh e la
«New York Times Books Review" per il loro prezioso aiuto nel pubblicare le mie
richieste e le mie domande; Martin Singerman, editore del «New York Post», per aver-
mi presentato a persone che potessi intervistare; gli editori e i direttori di «Back in rhe
Bronx», Srephen M. Samrur e Susan H. Samrur, per aver realizzato una pubblicazione
così ricca di informazioni sul quartiere di nascita e sulla casa del giovane Kubrick.
Molte persone hanno fornito un appoggio incondizionato a questo libro e al suo auro-
re, contribuendo con informazioni essenziali. Voglio ringraziare sinceramente: Everctt
Aison per la sua guida, !"amicizia, le informazioni utili, c per avermi messo in contatto
con soggetti chiave da intervistare; Michael Brashinsky; Roberta Burrows; Pau!
Clcmcns per la sua conoscenza approfondita di Kubrick e per aver proiettato per me '{be
Mtlking o( The Shining, di Vivian Kubrick; !"operatore Ala n Daviau per avermi reso
partecipe della sua sterminata conoscenza della storia del cinema e di Sranley Kubrick;
5.14
la signora Falkenberg; Dana Fishkin per la sua professionalità e per il suo saldo appog-
gio; Morton Gorrlieb per avermi raccontato delle sfide di sciarada nelle quali Diane
Arbus aveva coinvolto Sranley Kubrick; Mani! Gunawardene, segretario personale di
Arrhur C. Clarke, e lo stesso Arrhur C. Clarke, per le informazioni e l'interesse dimo-
strato; John Joyce per il sostegno e la consulenza in materia militare; Lames D. LaRue;
Edward Lewis; Nora Linn; Shelby Lyman per avere condiviso con me la sua immensa
conoscenza relativa al mondo degli scacchi; Joel Miller Esq.; Nihal del Fox Limousine
Service per l'impeccabile e cortese servizio di aurisra e per le informazioni fornire sul
dottor Arrhur C. Clarke e lo Sri Lanka; Marilyn Perlman; Bob Phillips; Charles
Reynolds per avermi rivelato parre della sua estesa conoscenza sulla fotografia di scena;
Joe Rosner per la sua preziosa cultura bibliografica e per le informazioni relative a Il
dottor Strana111ore; il regista Michael Rirchie per le informazioni sulla partecipazione di
Kubrick al programma "Omnibus", sulla vira di Lincoln; Grace Rothstein; Roberr
Saudek; Ltrry Schwartz per la sua asrura tecnica e competenza nell'archiviazione delle
fotografie; Le See del Gfi Computer Service; Fanchon Scheier; Jonarhan Srern; Roseanne
Spano Swider, straordinaria storica del cinema; Gene Sravis per la sua cultura enciclope-
dica su tutto ciò che concerne il cinema; Ed Tassinari per le dettagliate informazioni
sulla preparazione di Kubrick nel gioco degli scacchi; Tony Walton; Freda Welsh (pre-
sidente) ed Evi Allen (vicepresidente) della Westport Film Society per il loro costante
sostegno e l'aiuto relativo ai soggetti da intervistare; Jay Harris; Max Wild; Joseph
Winsron; Sreve Siegel per i suoi generosi consigli sulla genealogia.
Molti alrri hanno fornito un contributo di grande valore: Nina Lesser per avere sco-
perto una rara registrazione di una discussione di gruppo di Arancia 1/Jeccanim; il mio
collega e amico Ed Bowes per l'assistenza video; il Cinema Bookshop di Londra per aver
reperiro libri rari; il dorror Manhinderjir Singh per la sua saggezza; Amos Vogel per i
ricordi della sua pionierisrica sala di proiezione, il leggendario Cinema 16.
Grazie anche alla comunità di scrittori che continuamente mi forniscono ispirazione,
e specialmente a Jerome Age!, non solo per la sua pietra miliare T be Making of K11brick's
200 l: A Space Odissey, ma anche per il sostegno e le preziose ricerche e interviste; a
Patricia Bosworth per le notizie riguardanti Kubrick e Diane Arbus; a John Andrew
Gallagher per l'incoraggiamento, l'appoggio e il contatto con soggetti da intervistare; a
Patrick McGilligan per i suoi messaggi, telefonici e scrirri, di sostegno e fiducia e per
avermi accolto nell'albergo; a David Weddle per avermi dato accesso a preziose infor-
mazioni relative al regista e al suo lavoro per la serie "Omnibus", e per una vivace
discussione su Stanley Kubrick e Sam Peckinpah; a Gary Carey, antico maestro, per la
sua pazienza e ispirazione.
In turro il mondo è sraro pubblicato materiale su Sranley Kubrick. Vorrei ringraziare
diversi traduttori per il loro preciso lavoro: David Abunaw e Joseph K. Bannauti per
aver tradotto in francese numerose opere su Kubrick; Simone Olmsted per la sua perizia
nel rendere il piacevolissimo francese contenuto in interviste personali; mia figlia
Rcbecca Morrison per aver decifrato lo pseudo-russo parlato in 2001: Odissea nello spazio.
È con grande tristezza che mi trovo a segnalare la scomparsa di Saul Bass, John
Banner, Vince Edwards e Herman Gerrer durante la stesura di questo libro; li ringrazio
per avermi reso partecipe dei loro ricordi su Sranley Kubrick.
Numerosi ricercatori hanno scoperto dari e articoli molto utili per il mio lavoro. Sono
grato ad Amanda Donnellan per le sue ricerche sul lavoro di Kubrick a «Look»; a
Michael Pisani per aver scoperto molti saggi critici; a John Sawyer e Jeffrey Roenning
per avermi assistito nel corso delle ricerche in biblioteca. La genealogista e ricercatrice
Esrelle Guzik ha contribuito fornendo informazioni preziose sul passato della famiglia
Kubrick, essenziali per la stesura della prima parte del libro: la ringrazio per la consu-
lenza su rutta la materia genealogica del progetto.
535
Il mio impegno di docente e di assistente alle tesi per il Department of Film, Video
and Animation della School of Visual Arrs di New York continua ad alimentare la mia
passione per la storia e l'insegnamento del cinema. Ringrazio il mio direttore di diparti-
mento Reeves Lehmann, per il costante e incondizionato appoggio al mio lavoro e per
avermi aperto molte porte; Salvatore Petrosino per la sua amicizia, le innumerevoli e
animare discussioni, e per avermi presemam soggetti da intervistare; ringrazio inoltre
tutti i miei studenti della Scuola, passati e presenti, che continuano a darmi ispirazione
con il loro entusiasmo e le loro idee: il loro sostegno e interesse mi ha aiutato a capire
l'importanza di questo libro. Molti dei miei studenti hanno fornito un valido contributo
al volume, ascoltando e scambiando opinioni su Stanley Kubrick: voglio ringraziare in
modo speciale Shiho Karaoka, Adii Mohammed, Dixie Serrano e Randy Wilcox per le
informazioni e il materiale rrovam.
Per la capace e attenta rappresentanza ringrazio Ellen Levine e l'intero personale clelia
Ellen Levine Lirerary Agency, specialmente il mio agente personale Anne Dubuisson,
che ha creduto in me e in questo progetto finché questo ha trovato casa, e il mio agente
attuale Diana Finch per la sua scrupolosità e per aver guidato il manoscritto attraverso
le maglie del processo produttivo. Un grazie anche al suo assistente Jay Rogers per
l'aiuto.
Desidero ringraziare il mio editore Donale! l. Fine per la sua fiducia verso questo pro-
getto e il suo aurore. La mia riconoscenza all'intero personale della Donale!!. Fine, !ne.,
al mio editor personale Jason Poston per la sua perizia in ambito editoriale durante i
primi passi del manoscritto, e al mio attuale editor Tom Burke per l'abile gestione del
manoscritto finale e per averlo accompagnato durame il processo produttivo. Ringrazio
anche i dipendenti della Penguin Usa per l'interessamento e la competenza che hanno
dimostrato riguardo a questo progetto.
Sono grato ai miei genitori Rose e Anthony LoBrutto per il loro affetto e per l'appog-
gio assoluto; a mia figlia Rebecca Morrison per avermi costantemente ricordato la defi-
nizione di determinazione; a mio figlio Alexander Morrison per aver condiviso con me
una conoscenza culturale e artistica fuori dal comune per la sua età.
Nel ringraziare mia moglie, Harriet Morrison, cercherò di essere breve, un compito
difficile, riconoscendo l'incredibile forza d'urto che ba avuto nella mia vita personale e
professionale. È stata di grande aiuto nel fornire ricerche, notizie, percorsi possibili,
soggetti da intervistare, grandi quantità di dati e, soprattutto, buon gusto in qualsiasi
cosa di cui si sia occupata relativamente a questo progetto. Harriet è stata la prima let-
trice del libro e ba dovuto ascoltare teorie, discussioni, idee, principi narrativi e psicolo-
gici concernenti la vira e le opere di Stanley Kubrick (e il cinema in generale), più di
quanto può essere umanamente tollerato da coloro che non sono totalmente ossessionati
(come me) da tale materia. È stata lei a mantenere l'ordine nelle nostre vite e a dare a
me la possibilità di dedicarmi al progetto. A Harrier devo gratitudine per il suo contri-
buto letterario e umano, e amore per la generosità dimostrata nel mio ultimo viaggio
attraverso la Porta delle Stelle.
536
Filmografia
537
taggio: lletry Steinberg; 111/IJÙ"tl m111po.r1t1 e diretta da Gerald I'ried; m.r111111i: Jack Masters;
el/etti .rpeàali: Dave Koehlcr; operttlore di IJJaccbina: Dick Tower; (({po.rquadra elettricùti:
Bobby Jones; (({po.rquadra 1/Ja(t·biniJti: Cari Gibson; .regrelttria di edizione: Mary Gibsone;
!!moro: Earl Snyder; ai11to capo.rq11adra elettriciJti: Lou Cortese; .remndo tt.r.riJtente operatore:
Robert Hosler; cttJw.rqumh·a m.rtmttori: Bud Pine; ""·pentiere capo: Chrisrophcr E bse n; dem-
ratore capo: Robert L Stephen; tmcm: Roberr Litdefìeld; arredatore: Harry Reif; a.r.ri.rtente
a1·redatore: Cari Brainard; 111ontatore colonntt 11111.ricale: Gilbcrt Marchant; 111ontatore effetti
.rrmori: Rex Lipron, M.P.S.E.; aiuto regia: Milton Carter; .rmmdo ai11to regitt: Pau! Feiner,
Howard Joslin; .regrelttria di produzione: Margucrite Olson; attrezzi.rta: Ray Zambel; tra-
.rporti: Dave Lesser; to.rtu111i fe111111inili: Rudy Harrington; ammàature: Lillian Shore; opera-
tore effetti .rpeàali: Pau! Eagler; a.r.riJtente del regiJta: Joyce Hartman; m.r111111i di .rcena di
Mary Wind.ror: Beaumellc; effe/li fotogmfiti: Jack Rabin, Louis De Witt; mono: Rea
Sound System; inte•·preti: Sterling Hayden <Johnny Clay), Coleen Gray (Fay), Vince
Edwards (Val Cannon), Jay C. Flippen (Marvin Unger), T ed DeCorsia (Randy Kennan),
Marie Windsor (Sherry Peatty), Elisha Cook Jr. (George Peatty), Joe Sawyer (Mike
O'Reilly), Timothy Carey (Nikki Arane), Kola Kwariani (Maurice Oboukhoff), Jay
Adler (Leo), Joseph Turkel (Tiny), James Edwards (guardiano del parcheggio), Tiro
Vuolo, Dorothy Adams, Herberr Ellis, James Griffìth, Ceci l Ellior, Sreve Mirchell,
Mary Carroll, William Benedicr, Charles R. Cane, Roberr B. Williams; produllore:
James B. Harris per la Harris-Kubrick Productions; produllore a.r.roàato: Alexander
Singer; diJtribuzione: United Arrists; durata: 83'.
538
(Crisso), Herbert Lom (Tipane), John Dali (Glabro), Charles McGraw (Marcello),
Joanna Barnes (Claudia), Harold J. Srone (David), Woody Strade (Draba), Peter llrocco
(Ramon), Pau! Lambcrt (Giannico), Robcrc J. Wilke (capitano della ~uarclia), Nicholas
Dennis (Dionisio), John Hoyt (ufficiale romano), Fredcric Worlock (Le! io), Tony Curcis
(Antonino), Dayron Lummis (Simmaco), Jill Jarmyn, Jo Summers; prod111tore: Edward
Lcwis; prod111tore esemtit,o: Kirk Douglas per la llryna Productions; diJtriiJIIzione:
Universallnternational; d11rata: 184'; t'ersirme mta!lratcl ( 1')')2): 196'.
539
Muffley - dottor Stranamore), George C. Scocc (generale "Buck" Turgidson), Sterling
Hayden (generale Jack D. Ripper), Keenan Wynn (colonnello ''Bat'' Guano), Slim
Pickens (maggiore T.J. "King" Kong), Perer Bull (ambasciatore de Sadcsky), James Ear!
Jones (tenente Lothar Zogg), Tracy Reed (Miss Scocc), Jack Crcley (Mr. Staines), Frank
Berry (tenente H.R. Dierrich), Robert O'Neil (ammiraglio Randolf), Roy Stephens
(Frank), Glen Beck (tenente W.D. Kival), Shane Rimmer (capitano G.A. "Ace"
Owens), Pau! T amari n (tenente B. Go!Jberg), Gordon Tanner (generale Faceman), John
McCarrhy, Laurence Herder, Hai Galili (membri del Corpo di Difesa della base di
Burpelson); Jm~tlllttore: Stanley Kubrick; prod11ttore associato: Victor Lyndon; distrib11zione:
Columbia Pictures; d11rata: 93'.
540
na111ento sttmt-111an: Roy Scammell; dipinti e sml111re speciali: Herman Makkink, Cornclius
Makkink, Liz Moore, Chrisriane Kubrick; selezione attori: Jimmy Lit-:gar; mpomabile di
produzione: Tercnce Clegg; sujlert'Ùore dettrirùti: Frank Wardale; aiuto regia: Derek
Cracknell, Dusry Symonds; mposq11adra ,-o.rtmttrwi: Bill Welch; ,-apo attrezzùta: Frank
Bruron; aiuto 111ontaggio: Gary Shepherd, Percr Burgess, David Bceslcy; operatori di 11/ac-
rhina: Ernie Day, Mike Molloy; addetto alla 11/eSStl a_{ttom: Ron -Drinkwarcr; aiuto ope•·ato-
ri: Laurie Frosr, David Lenham; 111imifonùta: Perer Glossop; lllac,-hinùti: Don Budge,
Tony Cridlin; elettricisti: Louis Bogue, Derek Garrell; attrezzisti: Perer Hancock, Tommy
Jbberson, John Oliver; mordinatrwe pm111ozione: Mike Kaplan; a111111inistratore di produzione:
Len Barnard; segretaria di edizione: June Randall; armnciature: Olga Angelinerra; trttcm:
Fred W illiamson, George Parrleron, Barbara Daly; segretaria di produzione: Lorerra
Ordewer; segretaria del regista: Kay Johnson; segretario di produzione: Andros
Epaminondas; coordina111ento dei set: Arrhur Mort-:an; mmulenza tecnica: John Marshall; un
ringrazia111ento speciale a: Braun AG Francofone, Dolby Laborarories lnc., Konrakr
Werksraerren, Ryman Conran Limired, Sreinheimer Leuchrenindusrrie, Temde AG.
Girato nei Pinewood Srudios, Londra, lnghilrerra, negli Emi-Mgm Srudios, Boreham
Wood, Herrs., lnghilrerra, e in esrerni in lnghilrerra dalla Hawk Films, Limired; inter-
preti: Malcolm McDowell (Alex), Parrick Magee (signor Alexander), Michael Bares
(capo guardiano), Warren Clarke (Dim), John Clive (arrore della prova di guarigione),
Adrienne Corri (signora Alexander), Cari Duering (dorror Brodsky), Pau! Farrell (vaga-
bondo), Clive Francis (giovane a pensione dai genirori di Alex), Michael Gover (gover-
narore della prigione), Miriam Karlin (la signora dei garri), James Marcus (Georgie),
Aubrey Morris (Delroid), Godfrey Quigley (cappellano della prigione), Sheila Raynor
(madre di Alex), Madge Ryan (dorror Branom), John Savidenr (cospirarore), Anrhony
Sharp (minisrro), Philip Srone (padre di Alex), Pauline Taylor (psichiarra), Margarer
Tyzack (cospirarrice), Sreven Berkoff (poliziorro), Lindsay Campbell (isperrore), Michael
Tarn (Pere), David Prowse ()ulian), Jan Adair, Vivienne Chandler, Prudence Drage
(odalische del sogno), Richard Connaut-:hr (Billyboy), John J- Carney (uomo del CIO),
Caro! Drinkwarer (infermiera Feeley), Virginia Werherell (arrrice della prova di guari-
t-:ione), Gillian Hills (Sonierra), Karya Wyerh (ragazza), Barbara Scorr (Marry), Barrie
Cookson, Gaye Brown, Perer Burron, Lee Fox, Shirley Jaffe, Nei! Wilson, Craig
Hunrer, Cheryl Grunwald; produttore: Sranley Kubrick; prod11ttori esemtivi: Max L Raab,
Si Lirvinoff; produttore aJsoàato: Bernard Williams; assùtente del produttore: Jan Harlan;
distribuzione: Warner Bros.; d11rata: 137'.
541
grafia per !et Ger111anict: Jan Schlubach; capo atlrezzista: Mike Fowlie; atlrezzista: Terry
Wells; trot•m·obe: Ken Dolbear; .-aprJJqllat!.·a crJJ/rttllori: Joe Lee; pittore di Jt"ena: Bill
Beechman; taPfJezzeria: Richard Dicker, Clco Nethersole, Chris Seddon; sarto: Ron Beck;
realizzazione mstmni: Gary Dahms, Yvonne Dahms, Jack Edwards, Judy Lloyd-Rogers,
Willy Rothery; t"tfpjJe//i: Francis Wilson; ai111o sartoria: Gloria Barnes, Norman Dickens,
Colin Wilson; tmcm: Ann Brode, Alan Boyle, Barbara Daly, Jill Carpenrer, Yvonne
Coppard; parmc.-hieri: Susie H ili, Joyce James, Maud Onslow, Daphne Vollmer; segreta-
ria del prod1111ore: Margaret Adams; selezione allori: James Liggat; mreografie: Geraldine
Stephenson; allllllinistralore di prod11zùme: John Trehy; segretarie di prod11zione: Loretta
Ordewer, Pat Pennelegion; ai111o am111inistratori: Ron Bareham, Carolyn Hall; segretaria
rli edizione: J une Randall; comlllenza m/ giom d'azzardo: Davi d Berglas; conm/enzct storit"tf:
John Mollo; istmi/ore di scher111a: Bob Andcrson; morrlina111ento slllni-1Jlan: Roy Scammell;
IJJaes/rtJ rli eq11itazione: George Mossman; addetlo agli animali di scena: Peter Munr; ar111iere:
Bill Aylmore; tm ringrazia111ento speciale a: Corsham Court, Glastonbury Rural Life
Museum, Stourhead House, National Trust, Casrle Howard; obielliz•i per la fotografia a
l11ce di candela realizzati da Cari Zeiss, Germania Ovest; adallcmlenlo per il cine111a di Ed Di
Giulio; assistenza a11dio speciale: laboratori Dolby. Girato in esterni in Inghilterra, Irlanda
e Germania da Hawk Films, Ltd. e registrato pres.ro gli smdi Emi di Elsrree, Inghilterra;
inte1preti: Ryan O'Neal (Barry Lyndon), Marisa Berenson (Lady Lyndon), Patrick Magee
(Chevalier de Bali bari), Hardy Kruger (capitano Potzdorf), Steven Berkoff (Lord Ludd),
Gay Hamilron (Nora), Marie Kcan (madre di Barry), Diana Koerner (ragazza tedesca),
Murray Melvin (reverendo Runr), Frank Middlemass (Sir Charles Lyndon), Andre
Morell (Lord Wendover), Arrhur O'Sullivan (bandito), Godfrey Quiglcy (capitano
Grogan), Leonard Rossiter (capitano Quin), Philip Srone (Graham), Leon Vitali (Lord
Bullingdon), Dominic Savage (Lord Bullingdon bambino), David Morley (il piccolo
Brian), Roger Booth (Giorgio III), Norman Mitchell (Brock), Pat Roach (Toole),
Anrhony Sharp (Lord Harlan), Michael Horden (m~tratore), John Dindon, Billy Boyle,
Jonathan Ceci!, Peter Cellier, Geoffrey Chater, Anrhony Dawes, Parrick Dawson,
Bcrnard Hepron, Anrhony Herrick, Barry Jackson, Wolf Kahler, Parrick Laffan, Hans
Meyer, Ferdy Mayne, Liam Redmond, Frederick Schiller, George Scwell, Roy Spencer,
John Sullivan, Harry Towb, John Sharp; pmd1111ore: Stanley Kubrick; prod1111ore esemtiw:
)an Harlan; pmd11t1ore msociato: Bernard Williams; prod11zirme: Hawk Films/Peregrine per
la Warner Bros.; distrih11zione: Warner Bros.; dt~rala: 183'.
542
taria del P'"'""'l/ore: Margaret Adams; aJSistente di prod11zione: Emilio D'Alessandro; stmt-
l!tre temù·he: Norank of Elstrce; sarti: Ken Lawron, Ron Beck; progellisti: John Fenner,
Michael Lamom, Michael Boone; tromrobe: Edward Rodrigo, Karen Brookes; operatore
t'ideo: Dan Grimmel; microfonisti: Ken Weston, Michael Charman; tappezzerÙI: Barry
Wilson; s/1/tca/ore: Tom Tarry; coslmllore capo: Jim Kelly; carpemiere capo: Fred Gunning;
pillore di scena: Del Smirh; al/rezzisti: Barry Arnold, Philip McDonald, Peter Spencer; 11n
ringraziamento speciale a: Timberline Lodge, Moum Hood National Forest, Oregon;
Continemal Airlines; Commissione Cinematografica dello Stato del Colorado; Kbrv
Channel D. Denver, Wplg Channel 10 Miami, Khow Radio Denver, Harrods di
Londra, American Motor Company, Cari Zeiss (Germania Ovest), National Vendors,
Music H ire Group Ltd., Cherry Leisure (GB) Ltd;filmato mn 111acchine da presa Arreiflex;
girato dalla Hawk Films agli Emi Elsrree Srudios, Inghilterra; interpreti: Jack Nicholson
(Jack Torrance), Shelley Duvall (Wendy Torrance), Danny Lloyd (Danny), Scatman
Crothers (Halloran), Barry Nelson (Ullman), Philip Stone (Grady), Joe Turkel (Lloyd),
Anne Jackson (pediatra), Tony Burton (Durkin), Lia Beldam (giovane donna nel
bagno), Billie Gibson (anziana donna nel bagno), Barry Dennen (Watson), David Baxt
(prima guardia forestale), Manning Redwood (seconda guardia forestale), Lisa Burns
(figlia di Grady), Louise Burns (figlia di Grady), Allison Coleridge (segretaria), Burnell
Tucker (poliziotto), Jana Sheldon (hostess), Kate Phelps (addetta alla reception),
Norman Gay (cliente ferito); prod11zione: Stanley Kubrick, in associazione con The
Producers Circle Company, Robert Fryer, Marrin Richards, Mary John; prod1111ore em·llti-
vo: )an Harlan; distrib11zione: Warner Bros.; d11rata: 142'.
543
The Locarion Carerers, Lrd.; trasporti: D&D lnrernarional, Daven Croucher, Ron
Digweed, Chalky Whire; fabbisogno temim: WiJJies Wheels, Ron Lowe; trasporto della
trrJI/pe: Focus Cars; ingegnere del z•eicolo di scena: Nick Johns; allrezzista cbargeband: Pau!
Turner; allrezzisti a disposizione: Danny Hunrer, Sreven AJJert, Terry WeJJs; attrezzisti:
R. Dave FaveJJ Clarke, Frank BiJJingron-Marks; accessori di demrazione di Hena: Mare
Dillon, Michael Wheeler, Winsron Depper; s11pm•isore pillori di scena: )oh n Chapple; pit-
tori di Hena: Leonard Chubb, Tom Roberts, Leslie Evans Pearce; mstmllori: Perer
Wilkinson, Les Pipps; <"tlrpentieri: Mark Wilkinson, A.R. Carrer, T.R. Carter; st11cmtori:
Dominic Farrugia, Michael Quinn; macdJinisti: David Gruer, Michael Marrin, Srephen
Marrin, Ronald Boyd; mstmllori a disposizione: George Reynolds, Brian Morris, Jim
Cowan, Colin McDonagh, John MarseJJa; 1111/Sica: l-/ello Vietncllll, eseguita da Johnny
Wrighr (per concessione di Mca Records), scrirra da Tom T. HaJJ, UnichappeJJ Music
!ne., Morris Music !ne.; Tbe Mcrrines Hymn, eseguita da The Goldman Band (per conces-
sione di M ca Records); Tbese Brillts Are Ma de f,r Walking, eseguita da Nancy Si narra (per
concessione di 13oors Enrerprises, !ne.), scrirta da Lee Hazelwood, Crirerion Music
Corp.; Cbapel of Loz•e, eseguita da The Dixie Cups, arrangiamento di Shelby Singleron
Enrerprises c/o Origina! Sound Enrerrainmenr, seri rea da Jeff Barry, EJJie Greenwich e
Phil Specror, Trio Music Co., !ne., Morher Berrha Music, !ne.; \Vooly Bttlly, eseguita da
Sam rhe Sham and rhe Pharaohs (per concessione di Polygram, Division of Polygram
Records l ne.), scrirra da Domingo Samudio, Beckle Publishing Co., lnc.; Paintlt Black,
scrirra da Mick Jagger e Keirh Richards, eseguita dai RoJJing Srones, prodorra da
Andrew Loog Oldham (per concessione di Abkco Music and Records, Inc.); maccbine da
presa Arri Munich. Fairlighr Digiral Audio-Posr Music Sysrem; 11n ringraziamento speria-
te c1: deposito Queens Division Bassingbourn, PSA Bassingbourn Barracks, Brirish Gas
PLC Norrh Thames, la comunità viernamira, Narional Trusr di Norfolk; girato in ester-
ni e nei Pinewood Srudios, lver, Bucks; interpreti: Marrhew Modine (soldaro Joker),
Adam Baldwin (Anima!), Vincenr D"Onofrio (soldaro Pyle), Lee Ermey (sergente isrrur-
rore Harrman), Dorian Harewood (EighrbalJ), Arliss Howard (soldaro Cowboy), Kevyn
Major Howard (Rafrerman), Ed O"Ross (renenre Touchdown), John Terry (renenre
Lockharr), Kieron Jecchinis (Crazy Earl), Bruce Boa (colonneJJo Poge), Kirk Taylor
(Payback), John Srafford (Doc Jay), Tim Colceri (il mitragliere deJJ"elicorrero), Ian
Tyler (renenre Cleves), Gary Lanon (Donlon), Sal Lopez (T.H.E. Rock), PapiJJon Soo
Soo (prima prosrirura), Ngoc Le (ragazza cecchino), Perer Edmund (SnowbaJJ), Tan
Hung Francione (il mezzano), Leanne Hong (seconda prosrirura), Marcus D'Amico
(Hand Job), Cosras Dino Chimona (Chili), Gil Kopel (Srork), Keirh Hodiak (Daddy
Da), Perer MerriJJ (giornalista rv), Herberr NorviJJe (Dayrona Dave), Nguyen Hue
Pong (ladro), Due Hu Ta (N.V.A. morro); reclute di Parris Island e plotone in
Viernam: Marrin Adams, Kevin Aldridge, Del Anclerson; Philip Bailey, Louis Barlorri,
John Beddows, Parrick Benn, Sreve Boucher, Adrian Bush, Tony Carey, Gary
Cheeseman, Wayne Clark, Chris Corniberr, Danny Corniberr, John Curris, Harry
Davies, John Davis, Kevin Day, Gordon Duncan, Phil Elmer, Colin Elvis, Hadrian
FolJerr, Sean Frank, David George, Laurie Gomes, Brian Goodwin, Nigel Goulding,
Tony Hague, Sreve Hands, Chris Harris, Bob Harr, Derek Harr, Barry Hayes, Tony
Hayes, Robin Hedgeland, Duncan Henry, Kennerh Head, Liam Hogan, Trevor Hogan,
Luke Hogdal, Sreve Hudson, Tony Howard, Sean Lamming, Dan Landin, Tony Leere,
Nigel Lough, Terry Lowe, Frank McCardle, Gary Meyer, Brerr Middleron, David
Milner, Sean Minmagh, Tony Minmagh, John Morrison, RusseJJ Morr, John Ness,
Roberr Nichols, David Perry, Perer Rommely, Par Sands, Chris Schmidr-Maybach, Al
Simpson, RusseJJ Slarer, Gary Smirh, Roger Smirh, Tony Smirh, Anrhony Sryliano, BilJ
Thompson, Mike Turyansky, Dan Weldon, Dennis WeJJs, Michael WiJJiams, John
Wilson, John Wonderling; prod111tore: Sranley Kubrick per Warner Bros.; protl1111ore ese-
mtiz•o: )an Harlan; coprod111tore: Philip Hobbs; prod111tore assoàato: Michael Herr; distribll-
zirme: Warner Bros.; d11rata: 116'.
544
Note
Nei cinquant'anni trascorsi dall'inizio della carriera di Sranley Kubrick, il nome 'e
1 lavori del regista sono stati menzionati in centinaia di quotidiani, riviste e libri;
purtroppo lo spazio a mia disposizione nori mi consente di elencarli tutti. Sono rico-
noscente a quanti prima di me hanno scritto di Sranley Kubrick: la loro opera mi è
stata di grande aiuto e ha illuminato il lavoro che ho svolto per creare la sua biogra-
fia. A quei lettori che desiderassero approfondire ulteriormente la conoscenza di
Kubrick consiglio l'eccellente opera di Wallace Coyle dal titolo Stanley K11brick: A
G11ùle to Re/erenceJ and RmmrceJ. Ringrazio inoltre i molti critici e teorici che hanno
espresso i loro commenti sui film di Sranley Kubrick: i loro scritti hanno contribuito
allo sviluppo delle mie personali opinioni sull'argomento e mi hanno aperto la strada
verso altre vie da esplorare. Qui di seguito elencherò le fonti principali alle quali ho
attinto per approfondire gli elementi presenti in quest'opera. Mi scuso per eventuali
omissioni o errori. Secondo quanto è stato più volte affermato, un biografo beneficia
della cortesia degli sconosciuti: dunque il mio ringraziamento va a tutti gli scono-
sciuti che si sono trasformati in amici grazie al conrribuw .appor.raro alla s.t.es.uca di
questo resto.
Prologo
Lettera da Jim Coleman a W alter Scott, Walter S(f)tt'J Pemmality Parade, «Parade»,
«Newsday••, 25 febbraio 1996, p. 2.
Le informazioni genealogiche sulle famiglie Kubrick, Perveler e Metz sono srate rac-
colte dalle seguenti fonti: United States Petitions far Naruralizarion, State of New
York, New York City Hall of Records, Social Securiry Death lndexes, 1920 Census
Records, NYC, Birrh Cerrificates, New York City Hall of Records, Healrh
Departement/Ciry Clerk, NYC Hall of Records, New Jersey State Departemenc of
Health e U.S. Peririon far Cirizenship.
Le informazioni riguardanti la carriera medica di Jacques Kubrick provengono dalle
seguenti fonti: Rare Books Collecrion, Medicai Sciences Library ofNew York Medicai
College, Medicai Directory of New York, New Jersey and Connecticut 1935-1936,
1963-1964.
La storia del Lying-ln Hospital è stata ricavata dai New York Hospiral Archives.
Le notizie riportare dai quotidiani del 26 luglio 1928 sono del «New York Times».
Le informazioni sul2160 di Clincon Avenue, il1131 e il 1135 di Grane Avenue, il
1414 di Shakespeare Avenue e il 1873 di Harrison Avenue sono frutto della ricerca e
delle fotografie scattate sul posto il 23 marzo 1996., e ar.tingono ai .dati .riportati nelle
seguenti fonti: Bronx Address Directory e Bronx Councy Historical Sociery.
Le informazioni riguardanti l'iter scolastico di Sranley Kubrick provengono dalle
seguenti fonti: gli archivi scolastici, gli annuari del W.H. Tafr High School, le intervi-
ste rilasciare all'autore da Bernard Cooperman, Lou Garbus, Betty Garbus, Herman
Gerter, Robert Sandelman, Alexander Singer, Rose Spano e Daniel Traister.
La storia di Martin Perveler è srata ricavata dalle seguenti fonti: California Stare
545
Pharmacy Board, Las Angeles Coumy Superior Courr Divorce Records, l'intervista rila-
sciata da Harriet Morrison a David Niemerow del Cal-Oaks Pharmacy.
Le informazioni sulla macchina fotografica Graflex provengono da Life Library of
Photography.
Le informazioni sulla Grand Concourse e il 2715 di Grand Concourse provengono
dalle interviste rilasciate all'autore da Donald Silverman, Cliff Vogel e Stanlcy Getzler.
Le informazioni riguardami l'amicizia rra Sranley Kubrick e Marvin Traub provengo-
no dalle conversazioni telefoniche avure dall'aurore con Marvin Traub, dalle interviste
rilasciare all'aurore da Donald Silverman, Cliff Vogel e Harriet Daniels.
La storia del Loew's Paradise è srata ricavara dalle seguemi fonti: Thearer Files, Bronx
County Hisrorical Society.
La fotografia che Scanley Kubrick ha scattato al giornalaio dopo la morte di Franklin
Delano Roosevelr è apparsa sul numero del 26 giugno 1945 di <<Loob.
Le informazioni riguardami la relazione di Stanley Kubrick con Aaron Traisrer pro-
vengono dalle interviste rilasciate all'autore da Lou Garbus, Berry Garbus e Daniel
Traister.
Le fotografie che Sranley Kubrick ha scattato ad Aaron Traisrer sono apparse sul
numero del 2 aprile 1946 di <<Looh.
I ricordi legati all'amicizia era Gertrude Kubrick e Rose Florio provengono da
un'imervisra rilasciata all'autore da Rose Spano.
L'articolo fotografico di Stanley Kubrick Un bret'e corto nella galleria di 11n cinema è
comparso sul numero del 16 aprile 1946 di <<Looh. La storia a esso relativa proviene da
un'imervisra rilasciata all'aurore da Bernard Cooperman.
Le informazioni relarive alle fotografie scartare da Sranley Kubrick alle cheerleadm del
Tafr High School provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Claire Abriss.
Le informazioni relative al rapporto era Stanley Kubrick e Alexander Singer al Tafr
High School provengono da un'imervisra rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni relative a Howard O. Sackler al Tafr provengono dagli archivi scola-
stici e dagli annuari del Tafr High School.
Le informazioni relative al rapporto tra Sranley Kubrick ed Herman Gerrer al Tafr
provengono da un'imervisra rilasciata all'aurore da Herman Gerter.
Le informazioni relative all'iter scolastico di Toba Metz provengono dagli archivi sco-
lastici e dagli annuari del Taft.
James Monaco, Why Stili PhotographerJ Make Great Directrm, << Village Voice», 22
dicembre 1975 ha cosriruiro un'utile base per la discussione sui focografi che sono
diventati regisri.
Le informazioni relative a Gardner Cowles e alla creazione della rivista <<Look» pro-
vengono da The Look Book.
Il lavoro di fotografo svolto in quel periodo da Stanley Kubrick per la rivisra <<Looko>
è apparso nei seguemi numeri; 8 gennaio 1946, 11 giugno 1946, 23 luglio 1946, 20
agosto 1946, 3 sertembre 1946, 17 sertembre 1946, l O ortobre 1946, 28 novembre
1946, 10 dicembre 1946, 4 marzo 1947, 18 marzo 1947, 5 agosto 1947, 6 gennaio
1948, 20 gennaio 1948, 2 marzo 1948, 16 marzo 1948, 30 marzo 1948, 27 aprile
1948, 11 maggio 1948, 25 maggio 1948.
Le informazioni relative alla collezione di libri di cinema di Arrhur Rorhsrein pro-
vengono da una conversazione telefonica avura dall'aurore con Grace Rothstein e
Beverly Brannen.
La tecnica utilizzata da Sranley Kubrick per focografare di nascosto i passeggeri della
meeropolirana di New York e il lavoro alla rivista <<Look» sono srati discussi in
un'imervista rilasciata all'aurore da G. Warren Schloar Jr.
546
dagli archivi dei certificati matrimoniali della cirrà di New York e dalla Commissioner
ofDeeds, Mount Vernon, New York.
Le informazioni sull'iter scolastico di Barbara Kubrick provengono dall'Adelphi
College.
Il lavoro di fotografo svolto in quel periodo da Stanley Kubrick per la rivista «Loobo
comparve nei seguenti numeri: 8 giugno 1948, 3 agosto 1948, 17 agosto 1948, 12
orrobre 1948, 18 gennaio 1949, 26 aprile 1949, IO maggio 1949, edizione uscita in
occasione della festa del papà del 1949, 14 luglio 1949, 2 agosto 1949, 16 agosto 1949,
13 settembre 1949, 27 serrembre 1949, 25 ottobre 1949, 8 novembre 1949, 6 dicem-
bre 1949, 3 gennaio 1950, 17 gennaio 1950, 14 febbraio 1950, 14 marzo 1950, Il
aprile 1950,9 maggio 1950, 23 maggio 1950, 20 giugno 1950, 18 luglio 1950, l ago-
sco 1950, 15 agosto 1950.
Le informazioni riguardanti Stanley Kubrick e Diane Arbus sono trarre da Patricia
Bosworch, Diane Arb11s e da una lettera seri era da Patricia Bosworth all'aurore.
«Niente è mai cosÌ...» citazione tratta da Diane Arb11s, Aperture Monograph.
«A quell'età mi divertivo enormemente ... » citazione cratta da Miche! Ciment,
l01brick.
Epigrafe: <<Stanley arriva preparato ... » da un'intervista dell'autore con Vincent Cartier.
Le informazioni sul diploma di Alexander Singer provengono dall'annuario del Taft
del 1945.
Le informazioni riguardanti Alexander Singer e le ambizioni artistiche e registiche;
appunti e produzione di The I!iad, Mgm; Dory Schary; le esplorazioni in coppia con
Stanley Kubrick della scena cinematografica newyorkese; l'obierrivo di diventare un
regista; l'obierrivo di Scanley Kubrick di diventare un operatore cinematografico; il
lavoro alla Time !ne.; la decisione di realizzare un cortometraggio insieme a Stanley
Kubrick; la progerrazione del corro; i cosci del documentario per "The March ofTime";
la scelta di Stanley Kubrick di scegliere Pugile profmionista come base per il suo corto-
metraggio; le riprese efferruate con la seconda macchina da presa in Day of the Fight; il
desiderio di Stanley Kubrick di avere una colonna sonora originale per Day of the Fight e
l'incontro con Gerald Fried; il finanziamento e il costo di Day of the Fight; le fotografie
del matrimonio scattate da Stanley Kubrick provengono da un'intervista rilasciata
all'aurore da Alexander Singer.
<<A diciassette anni decisi ... >>; <<Fu molto gentile ... »; <<Non lo dimenticherò mai ... »;
<<Pensavamo che se ne sarebbero ... »: intervista rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni riguardanti la produzione di The I!iad di Singer e Kubrick, la lerrura
dei classici da parre di Scanley Kubrick provengono dall'intervista rilasciata all'aurore
da Faith Hubley.
La storia di "The March ofTime" è trana da Ephraim Kacz, The Fil111 Encydopedia.
Le informazioni relative alla scelta di Stanley Kubrick di utilizzare P11gile professionista
come base per il suo cortometraggio; Stanley Kubrick e Walter Cartier; la morte di
W alter Cartier; il film sul combarrimento di Roland LaSrarza; i fratelli Cartier; la carriera
nel pugilato di W alter Carrier; il lavoro di Scanley Kubrick e Walcer Cartier in Day of the
Fight; Stanley Kubrick al lavoro con i fratelli Cartier nel loro appartamento; lo Steak
Joint; le pratiche religiose di W alter Carcier; la medaglia di San Giuda; i fratelli che gio-
cano a scacchi; Scanley Kubrick membro di un club degli scacchi e le partite di scacchi
giocate a Washingcon Square Park; data e luogo dell'incontro Cartier-James; Montgomery
Clifc preso in considerazione come narratore di Day of the Fight; il k.o. di W alter Cartier
per opera di Joe Rindone dopo quarantaserre secondi dall'inizio dell'incontro; la carriera
di intrattenicore di Walct"r Cartier; i consigli di Stanley Kubrick sulla carriera de! figlio di
W alter Carrier provengono dall'intervista rilasciata all'autore da Vincent Carrier.
L'articolo fotografico di Stanley Kubrick Pugile profmionista è apparso nel numero del
18 gennaio 1949 di <<Loobo.
L'articolo fotografico di Scanley Kubrick The Day of the Fight IJ a LongOne è apparso
sul numero del 14 febbraio 1950 di <<Loob>.
547
Le notizie relative alla richiesta avanzata a Bernard Cooperman di creare la colonna
sonora per Day o/ the Fight derivano dall"inrervisra rilasciata all'aurore da Bernard
Cooperman.
«W alter aveva un'alca considerazione ... »; «Walrer diceva: ... »; «Voleva sapere ... » sono
citazioni trarre dall'intervista rilasciata all'aurore da Vincent Canier.
«facevo l'operatore ... »: citazione trana da Joseph Gelmis, The Film Director as
Superstar.
«feci di cucco: ... »: citazione trana da Gene D. Phillips, Stanley K11brick: A Film
Odyssey.
I risulrari degli incontri di pugilato D'Amico/Canier e Mangia!Carcier provengono
dall'arcicolo intitolato P11gile professionista pubblicato sul numero del 18 gennaio 1949
di «Look».
La sinossi di Day o/ the Fight è stata scrirca dall'aurore dopo aver visco il cortometrag-
gio. Le informazioni riguardanti Gerald Fried e il desiderio di Stanley Kubrick di uti-
lizzare una colonna sonora originale per Day o/ the Fight; l'incontro con Stanley
Kubrick; la ricerca e la registrazione della musica per Day of the Fight provengono
dall'intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
«Giocavo a pallamuro ... », «Fu una decisione unanime ... ••: intervista rilasciata
all'autore da Gerald Fried.
Informazioni generali su W alter Canier: necrologi vari.
"Prima" e distribuzione di Day of the Fight: «New York Times» del 26 aprile 1951.
La sinossi di Flying Padre è stata scritta dall'autore dopo la visione del conometrag-
gw.
«fu a quel punto ... »: Joseph Gel mis, The Film Director as S11perstar.
Le informazioni riguardanti Richard Sylberr provengono da Vincent LoBrutro, By
Design: lnterz,ieu·s u-ith Film Prod11ction Designers.
«Arriva un ragazzo che vuole vedermi ... »: intervista rilasciata all'autore da Richard
Sylbert.
«Era come una spugna»: intervista rilasciata all'autore da Faith Hubley.
Le informazioni riguardanti la produzione di The Seafarers sono tratte da Gene D.
Phillips, Stanley K11brick: A Film Odyssey.
La sinossi di The SM/arers è stata scritta dall'aurore dopo aver preso visione del corto-
metraggio presso la Library of Congress.
Capitolo 5. «Ecco ciò che ci serviva: Stanley Kubrick, era lui che ci serviva>>
548
Le informazioni relative all'accordo del 26 febbraio 1951 tra Stanley Kubrick e
Martin Perveler riguardo a The Trap (successivamente Fear and Desire); "Una troupe
composta ... » e le informazioni su Virginia Leith; le informazioni dettagliate sul costo
per la realizzazione di Fear ancl Desire presentati nel "Kubrick-Financial Resume"; il
coinvolgimento di Richard de Rochemont con il sindacato musicisti; la serie su Lincoln
di "Omnibus"; Marcel Rebière incaricato della fotografia di Linmln; il materiale della
seconda unità diretto da Sranley Kubrick; Stanley Kubrick a Hodgenville; la storia del
titolo The Trap; la dichiarazione su Shape of Fear (Fear and Desire); Perveler, Stanley
Kubrick e l'accordo con Richard de Rochemont; Joseph Burstyn e Stanley Kubrick; la
relazione di Richard de Rochemont su Stanley Kubrick provengono dai documenti di
de Rochemont conservati presso la University of Wyoming.
«L'intera squadra di Fwr and Desire ... »: Alexander Walker, Stanley K11hrirk Direrts.
La descrizione di Toba Metz ai tempi di Fettr and Desire si basa sulle fotografie che si
trovano in Michel Ciment, Kubrirk e Gene D. Phillips, Stanley Kubrirk: A Film Odissey.
La descrizione dei lavoratori messi cani che collaborano a Fwr and Desire si basa sulle
fotografie in Michel Ciment, K11brirk.
<<l~ prima volta ... »: Joseph Gel mis, The Film Director as Superstar.
Le informazioni relative a Gerald Fried, la registrazione e la sonorizzazione di Fettr
and Desire provengono da un'intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
«La musica doveva piangere ... »: intervista rilasciata all'autore da Gerald Fried.
Le informazioni relative a Stanley Kubrick e alla serie su Lincoln di "Omnibus" sono
tratte da: David Weddle, 1/ They Move ... Ki/1 'E m.' The Li/e and Ti11tes rif Sam Perkinpah;
una conversazione telefonica con David Weddle; Norman Lloyd, Stages; intervista
dell'autore con Norman Lloyd; Library of Congress; corrispondenza dell'autore con
Michael Ritchie e una lettera inviata all'autore da Robert Saudek.
Le informazioni relative a Norman Lloyd e Marcel Rebière impegnati nella fotografia
di Linmln; il materiale della seconda unità diretto da Stanley Kubrick; il casring dei
bambini fatto da Sranley Kubrick a Hodgenville; la selezione degli attori per Lincoln;
l'invio di ritagli di giornale da parte di Marian Seldes provengono da Stages e da
un'intervista rilasciata all'autore da Norman Lloyd.
Le informazioni riguardanti Stanley Kubrick a Hodgenville, nel Kentucky, durante
le riprese di Linmln sono tratte da «Courier-Journal» di LaRue County nel Kentucky e
dalle conversazioni telefoniche con James D. LaRue e Kathy Crawford, LaRue County
Public Library.
Le informazioni relative al casting dei bambini a Hodgenville per la serie su Lincoln
sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Alice Brewer Brown.
«Un paio di persone ... »: intervista rilasciata all'autore da Alice Brewer Brown.
Le informazioni sui progetti di Stanley Kubrick dopo Fettr and Desire provengono dal
«NewYork Times».
Le informazioni relative a Stanley Kubrick e a Joseph Burstyn provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Fai rh Hubley; Leonard J. Leffe; Jerold L. Simmons,
Dame in the Kilmmo; Gerald Gardner, The Cemorship Papers.
«È un genio ... »: intervista rilasciata all'aurore da Faith Hubley.
«Un'artistica opera cinematografica americana ... »: dichiarazione tratta dai documenti
di de Rochemont conservati alla University ofWyoming.
Le informazioni relative alla concessione a Fear and Desire del consenso della Legion of
Decency, l'anteprima del film e la recensione di «Variety» provengono dagli archivi del
Mpaa conservati presso la Margaret Herrick Library.
Le informazioni riguardanti Fear and Desire al Guild Theater di New Y ork e le foto-
grafie pubblicitarie di Stanley Kubrick sono tratte da un'intervista rilasciata all'aurore
da Alexander Singer.
La recensione di Fear and Desire di Wallace Markfield è apparsa su «New Leader».
«Ci sono troppi elementi ..... : James Agee, Film Forrmt2.
La sinossi di Fear and Desire è stata scritta dall'autore dopo aver visto il film al Film
Forum e sulla base dei comunicati stampa del film.
La lettera di Stanley Kubrick diretta a Joseph Burstyn è tratta da Norman Kagan,
The Cinema rif Stanley K11brid:.
549
Le informazioni riguardanri Fear ami Desire scomparse per quarant'anni sono tratte da
Thelma Adams, A "Lost'' Kt~brick Umpooù, «New York Post», 14 gennaio 1994, Janet
Maslin, A Yotmg ami Prm11ùing K"brick, «New York Times» e John Powers, «New York
.. , 24 gennaio 1994.
«La sofferenza è una ... »: Joanne Stang, «New York Times Magazine», 12 ottobre
1958.
«Non avevo abbastanza ... »: Joseph Gelmis, The Film Directttr as S"perstar.
Le informazioni riguardanti il positivo di Fear and Desire al Eastman House e la
proiezione del film al Telluride Film Festival sono state tratte da Thelma Adams, A
"Lost" K"brick Umpooù, citato.
Le informazioni riguardanti la ridistribuzione di Fear and Desire al Film Forum sono
stare ricavare dalla programmazione del Film Forum.
«Il regista non lo considera... ••: Thelma Adams, A "Lost" K"brick Umpooù, citato.
550
Alan Silver ed Elizaberh Ward, Film Noir e da Pau! Schrader, Notes on Film Noir, «Film
Comment s,, n. l (primavera 1972).
Le informazioni relative alla colonna sonora di Il baào dell'assassino provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
Le informazioni relative al Marshall Chess Club e alla scena scacchisrica newyorkese
provengono da un'intervisra rilasciata all'aurore da Gerald Jacobson e Shelby Lyman.
Sranley Kubrick membro del Marshall Chess Club, «Giocammo insieme alcune
volte ... ,; «C'erano cavoli ... ": intervista rilasciata all'aurore da Gerald Jacobson.
Capitolo 7. La Harris-Kubrick
Le informazioni relative all'incontro rra Alexander Singer e James B. Harris nel
Genio Radiorelegrafisri e Segnalarori, Singer e Harris che realizzano un film; Lucien
Ballarci che prende visione dei film di Kubrick; la decisione di mandare Lucien Ballarci
al Bay Meadows Racerrack e i risultati orrenuri; Alexander Singer al Bay Meadows,
risulrari, metodi; Alexander Singer che telefona a Sranley Kubrick dal Bay Meadows; la
proiezione del montaggio ripreso da Alexander Singer; l'utilizzo da parre di Sranley
Kubrick di un obierrivo 25mm per carrellate; le carrellate derivano da un'intervista
rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni relative all'incontro di Alexander Singer e James B. Harris nel
Genio Radiorelegrafisri e Segnalarori; la Flamingo Films; Singer e Harris che fanno un
film insieme; Stanley Kubrick e James B. Harris che si incontrano una seconda volra;
Sranley Kubrick e James B. Harris che si incontrano alla Flamingo Films; cosriruzione
della Harris-Kubrick Picrures; James B. Harris che si informa sui diritti di Rapina a
mano armata; la Jaffe Agency; l'acquisizione dei dirirri di Rapina a 111ano armata; James
B. Harris che incontra Bob Benjamin; Sranley Kubrick che parla a James B. Harris di
Jim Thompson; la Harris-Kubrick che ingaggia Jim Thompson; il formato della sce-
neggiarura adorraro da Jim Thompson per Rapina a mano armata; il credito di Jim
Thompson per Rapina a 111ano armata; l'adarramento di Clean Break; James B. Harris e
Sranley Kubrick che parrano Rapina a mano armata alla Unired Arrisrs; Sranley
Kubrick e James B. Harris che mandano la sceneggiarura alla Jaffe Agency insieme a
un elenco di arrori; James B. Harris che porra la sceneggiarura a Jack Palance; Bill
Shiffren che telefona a James B. Harris; Sranley Kubrick e James B. Harris che comuni-
cano alla Unired Arrisrs di essersi assicuraci la parrecipazione di Srerling Hayden; la
ricerca dei luoghi dove effettuare le riprese; la decisione di girare il film a Las Angeles;
i Chaplin Srudios; il budget e il finanziamento di Rapina a mano armata, anteprima di
Rapina a mano armata; il tentativo di rimontare il film; Rapina a mano armata che viene
mostrato a Max Youngsrein; Sranley Kubrick e James B. Harris che si procurano un
agente; ideazione della pubblicità del film; Sranley Kubrick che scarra le fotografie per
la pubblicità al film, crea la pubblicità, la mosrra a Max Youngsrein; pubblicazione
della pubblicità; la reazione di Youngsrein, l'uscita di Rapina a mano armata; la distri-
buzione della Unired Arrisrs derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da James B.
Harris.
«Mi sentivo un po' nervoso ... "; «Rimasi molto colpito ... >>; «Mi disse: "In realtà ... ">>;
«Dissi: "La prima cosa ... ",; «Andai immediatamente allo Scribner's Bookstore ... ";
«Chiamai Sranley ... »; «Al momento sono disponibili ... >>; «È impossibile, stiamo
per ... >>; «Eravamo così eccitati ... "; «Lo richiamai ... "; <do rappresento Srerling
Hayden ... "; <<Dicemmo: "Indovini un po' ... ",; <<Sapevo ancor prima... >>; <<Bill Shiffren,
l'agente di Sterling Hayden ... »; <<Il libro era serino ... »; <<Non riuscivamo a rassegnar-
ci ... >>; <<Glielo mostrammo con orgoglio ... >>; <<Siete impazziti ... »; <<"Urlava" ricorda ... >>:
intervista rilasciata all'autore daJames B. Harris.
Le informazioni su Sranley Kubrick che incontra Bob Gaffney derivano da un'intervi-
sta rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.
<<Mio fratello Jimmy si persuase ... »: intervista rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.
551
Informazioni riguardanti Louis de Rochemont: Ephraim Katz, The Fil111 Emydopedia e
un'intervista rilasciata all'autore da Bob Gaffney.
«Capii che Jimmy ... »; «Nel 1956 Stanley ... »; «Stanley e Jimmy guardarono ... »;
«Preparai l'esposizione ... »; «Ho le riprese ... »; «Stanley preparÒ ... »; «<l mirino della
Mitchell...»: intervista rilasciara all'aurore da Alexander Singer.
«Questa è probabilmente .. »: le parole scarabocchiate sulla copia di The Killer lnside
Me di Jim Thompson (Vintage Crime, 1991).
Le informazioni relative a Jim Thompson che riceve il credito di Additùmal Dialogue,
collaboratore di dialoghi aggiunti, per Rapina a 111ano amtata; la reazione della famiglia
Thompson; l'adattamento di Clean Break; l Stole $16.000.000 sono trani da Roberr
Poliro, Savage Art.
Le informazioni riguardanti la compagnia di balletto di Rurh Sobotka e la sua carrie-
ra di scenografa; i nomi degli uomini agli sportelli della sala scommesse presi dai nomi
di amici; la rottura del matrimonio di Stanley Kubrick con Ruth Soborka; l'amicizia di
Ruth Sobotka con David Vaughan dopo il matrimonio con Stanley Kubrick derivano da
un'intervista rilasciata all'aurore da David Vaughan.
Le informazioni riguardanti Lucien Ballard, «Faceva parte del mio stile ... » sono tratte
da Leonard Maltin, Behind The Camera.
Le informazioni relative ai fratelli Hughes e a Rapina a mano amtata sono tratte da
Vincent LoBrutto, Three MoodJ Prevail in Dead PreJidentJ, «American
Cinematographer>•, settembre 1995; intervista rilasciata all'autore da Albert Hughes;
intervista rilasciata all'autore da Lisa Rinzler.
Le informazioni relative alle riprese con la macchina a mano effettuate da Stanley
Kubrick; Kola Kwariani; Vince Edwards che ottiene la parte provengono da un'intervi-
sta rilasciata all'autore da Vince Edwards.
«Ho conosciuto J immy Harris ... ,: intervista rilasciata all'autore da Vince Edwards.
Le informazioni relative a Marie Windsor sono tratte da Ephraim Katz, The Film
Encydopedia, e da un'intervista rilasciata all'autore da Marie Windsor.
«Stanley vide ... »; «Mi risultava molto difficile ... »: intervista rilasciata all'aurore da
Marie Windsor.
Le informazioni relative agli story board di Rapina a mano armata provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Marie Windsor.
Le informazioni relative alla colonna sonora di Rapina a mano armata sono tratte da
un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
«L'abbiamo definito ... »: intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
«A ventisene anni ... »: The Neu• PictureJ, «Time».
«Siamo tutti abimati ... »: Joanne Stang, «New York Times Magazine», 12 ottobre
1958.
«Seppi da lei ... »; «Non sei costretto ... »: intervista rilasciata all'autore da David
Vaughan.
Epigrafi: « L'inizio pareva... »: intervista rilasciata all'autore da Keir Dullea; «La defi-
nizione che darei di Stanley ... »: intervista rilasciata all'autore da Richard Anderson.
Le informazioni suDore Schary sono tratte da Ephraim Katz, The Film Encydopedia.
Le informazioni relative all'interesse mostraro da Schary nell'acquisto di Rapina a
111ano armata da parte della U nited Arrists; Schary che conclude un accordo con la
Harris-Kubrick a nome della Mgm; Sranley Kubrick e James B. Harris alla ricerca di un
progetro che parli di guerra; Stanley Kubrick che rilegge PathJ of Glory e lo invia a
James B. Harris; Stanley Kubrick e James B. Harris che acconsentono a inviare PathJ o/
Glmy a Schary; Dore Schary che non si mostra interessato al progetto; la Harris-Kubrick
che si interessa ad AdoleJCenza; l'accordo tra la Mgm e la Harris-Kubrick; Stanley
Kubrick che coinvolge Calder Willingham; la vendira a Schary dell'idea di utilizzare
Willingham;·Calder Willingham che lavora a Il ponte Jfll fiume Kll'ai; la mentalità
dell'orario impiegatizio dalle nove alle cinque della Mgm; Calder Willingham che lavo~
ra alla sceneggiamra di AdoleJCenza; J im Thompson che lavora alla sceneggiatura di
552
Orizzonti di gloria; il mancaro rispetto dei termini imposti dalla Mgm; il licenziamento
di Schary; lo scioglimento del conerarro era la Mgm e la Harris-Kubrick; la relefonara di
Harris a Schary a New York; la Harris-Kubrick che passa a occuparsi di Orizzonti di glo-
ria; la conclusione della sceneggiarura; Sranley Kubrick che fa delle fotografie per la
coperrina della sceneggiarura; James B. Harris che contatta la Unired Arrisrs per
Orizzonti di gloria; la Unired Arrisrs che respinge la sceneggiarura; la Harris-Kubrick che
cerca una star; la Harris-Kubrick che conrarra Kirk Douglas per Orizzonti di gloria; la
Harris-Kubrick che conrarra Gregory Peck; Gregory Peck che respinge Orizzonti di glo-
ria; la difficolrà della Harris-Kubrick a erovare una star per Orizzonti di gloria; il rirorno
di Kirk Douglas; le informazioni su Ray Srark; l'incomro era la Harris-Kubrick, Lubin,
Douglas e Srark; dettagli del contratto; la Harris-Kubrick si sposta negli uffici della
Bryna; budget, onorari e percentuali di Orizzonti di gloria; decisione di girare Orizzonti di
gloria in Germania; conrrarro con la Bryna che lega la Harris-Kubrick per più produzio-
ni cinemarografiche; firma della Harris-Kubrick; l'ammirazione di Sranley Kubrick per
Max Ophuls; Sranley Kubrick che incontra Adolphe Menjou dopo aver efferruaro diver-
se riprese; le difficoltà a girare la scena dell'ultimo pasco; accori morri all'inizio del film
che sono utilizzati in sequenze successive; la Harris-Kubrick che conrarra gli arrori per
nuovi progeni; sviluppo di una serie Tv con Ernie Kovacs; The German Lie11tenant; I Stole
$ [(),000.000 provengono da un'inrervisra rilasciata all'aurore da James B. Harris.
«Vorrei che quesro film ... »; «Disse che dopo ... »; «Mi ricordo che una volra ... »; «Non
pensiamo ... »; «Lo feci chiamare durame ... >>; «Ma quello che avevamo ... »; <<Non è esar-
ramenre ... >>, <<Ma la vera ... »; inrervisra rilasciata all'aurore da James B. Harris.
Le informazioni su Kirk Douglas e la Bryna Company; la Harris-Kubrick che conrar-'
ta Kirk Douglas per Orizzonti di glt1ria; Kirk Douglas che non è disponibile; Kirk
Douglas che porra Orizzonti di gloria alla Unired Arrisrs; budget, onorari e percentuali
di Orizzonti di gloria; la reazione di Kirk Douglas alla nuova sceneggiarura di Orizzonti
di gloria sono rrarre da Kirk Douglas, Destino nel/a polvere.
<<Stanley, non penso ... »; <<Sranley l'aveva ... »; <<Come avevo previsto ... >>: Kirk
Douglas, De.~tino nel/a polvere.
Le informazioni riguardanti la ricerca di Sranley Kubrick delle forografie della prima
guerra mondiale negli archivi della Los Angeles Library e Simon Gourgin provengono
da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Simon Bourgin.
Le informazioni su Richard Anderson provengono da un'intervista di Richard
Anderson conrenura in Ephraim Karz, The Film Encydopedia.
<<Venne nel mio apparramemo ... ••; <<Leggeva molro ... >>; «Sranley intervenne: "Asperra
un minuro ... "••; <<Max Ophuls è morro oggi ... >>; «Disse: "È qui ... "••; <<La rrincea era rac-
capricciante ... »; <<Stanley disse: "Dick ... " .. ; <<Stanley mi disse ... »; <<Mi interessa
molro ... >>: imervisra concessa all'aurore da Richard Anderson.
Le informazioni riguardanti la voracirà nella lerrura di Sranley Kubrick; Richard
Anderson che chiede di fare il dialoghisra in Orizzonti di gloria; la regisrrazione del
suono di Orizzonti di gloria; le riprese della scena d'aperrura; il ,rribmo a Max Ophuls; il
primo giorno di Richard Anderson nei panni di Sainr-Auban; la-preparazione delle rrin-
cee per Orizzonti di gloria; la reazione di Auban alle esplosioni; la ripresa della scena
dell'esecuzione; la collaborazione di Adolphe Menjou con Charlie Chaplin; Richard
Anderson che inconrra Adolphe Menjou dopo l'uscira di Orizzonti di gloria; la difficoltà
di riprendere i ere prigionieri che discurono del loro destino; Sranley Kubrick che perde
la pazienza provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Richard Anderson.
Le informazioni sull'ammirazione nmrira da Sranley Kubrick nei confronti di Max
Ophuls sono erarre da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Alexander Singer.
Le informazioni sui Bavaria Film Smdios; l'impiego dei poliziotti tedeschi nel ruolo
di atrori; Stanley Kubrick che lavora con una rroupe tedesca; la localizzazione di una
terra di nessuno~ Ludwig Reiver; il barone Orro Waldenfels; la erasformazione di un
campo coltivaro in un campo di barraglia; gli effetti speciali; Erwin Lange; le tecniche
per emulare le esplosioni sono srare ricavare dai comunicaci stampa di Orizzonti di gloria.
<d tedeschi erano ... »; <<Avevamo sei macchine da presa ... >>: Alexander Walker, Stanley
K11brit'k Dire<'ls.
Le informazioni relative al direrrore della forografia George Krause sono srate erarrc
553
da Elia Kazan, Elia !Gzan: A Li/e; Michael Ciment, Kazan on !Gzan. «Il cinema di
Kubrick è ... », James Monaco, Why Stili Photographers Make Great Directors, "Village
Voice», 22 dicembre 1975.
«Lavorammo per un mese ... », «fai in modo che il personaggio ... », «L'intuizione è la
base ... » sono tratte dall'intervista rilasciata da Scanley Kubrick a Simon 13ourgin, pub-
blicata senza firma su «Newsweeb•.
«Nello stesso modo risoluto con il quale si impugna un'arma» è un'affermazione fatta
da Pecer Cowie.
Le informazioni relative ad Adophe Menjou e a George Macready sono stare tratte da
Ephraim Kacz, The Fib1r Encydopedia.
Le informazioni su Chrisciane Kubrick sono tratte da Christiane Kuhrick Paintings
introduzione di Marina Vaizey (Warner Books, 1990), Ann Morrow, Christiane Kubrick:
Flou•ers and Violent lmages, «London Times», 5 febbraio 1973 e Valerie Jenkins, The
Flou•er-Filled World o/ the Other Kubrick, «Evening Srandard», lO settembre 1972.
«Ricordo che avevamo ... ••; <<Nel periodo passato a Salem ... »: Ann Morrow, Christiane
Kuhrit"k: Floll'ers and Violent lmages, citato.
<<Era la visione che un bambino ... »: Valerie Jenkins, The Flou•er-Filled World of the
Other Kuhrick, c icaro.
Le informazioni relative alla creazione della colonna sonora di Orizzonti di gloria sono
tratte da un'intervista rilasciata all'aurore da Gerald Fried.
<<Ci sono alcune parti ... »; <<O io ero talmente bravo ... »: intervista rilasciata all'aurore
da Gerald Fried.
<<Un film pressoché perfetto ... »: intervista rilasciata all'aurore da Simon Bourgin.
Le informazioni su Joseph Laicin; <<Scrissi e narrai ... »; Joseph Laicin che incontra e
intervista Scanley Kubrick; <<finalmente arrivò ... »; Joseph Laici n che non riesce a ven-
dere l'articolo su Scanley Kubrick; l'incervisca radiofonica a Sranley Kubrick; la descri-
zione del programma radiofonico provengono dalle lettere inviare all'aurore da Joseph
Laicin e dall'intervista rilasciata all'aurore daJoseph Laicin.
La descrizione della voce di Stanley Kubrick si basa sull'ascolto di una cassetta della
trasmissione radiofonica di Joseph Laici n per la Cbs.
<<Negli ultimi anni alcuni giovani ... »; <<Sono Scanley Kubrick ... »: brani tratti dalla
trasmissione radiofonica della Cbs.
La lettera inviata a Joseph Lairin da Scanley Kubrick proviene dalla corrispondenza
privata di Joseph Lairin.
Le informazioni relative al trasferimento di Gertrude e Jacques Kubrick a Englewood
Cliffs nel New Jersey, i guadagni di Jacques e la sua automobile sono stati ricavati dai
documenti depositari presso la Bronx Councy Courc.
La reazione dell'Europa a Orizzonti di gloria; la frase incroducciva al film; i commenti
di Truffauc; la decisione di non portare Orizzonti di gloria dinanzi alla censura francese;
Orizzonti di gloria a 13erlino; la reazione del generale Geze; la reazione dei soldati france-
si; la messa al bando in Europa; le critiche italiane; la reazione di Churchill; l'uscita di
Orizzonti di gloria in Francia sono trarre da diversi articoli apparsi su << Variety».
Lettere: da A. Joseph Handel a Scanley Kubrick datata 7 gennaio 1958; da Scanley
Kubrick ad A. Joseph Handel datata 8 gennaio 1958; da A. Joseph Handel a Scanley
Kubrick datata 15 gennaio 1958; da Scanley Kubrick a Richard de Rochemonr datata lO
agosto 1958; da Richard de Rochemont a Sranley Kubrick datata 18 agosto 1958 si crova-
no era i documenti di Richard de Rochemont conservaci presso la Universicy of Wyoming.
L'interesse mostrato da de Rochemont verso il romanzo Lolita; <<A Dick il romanzo piaceva
molto ... » sono elementi tratti da un'intervista rihL~ciaca all'aurore daJane de Rochemont.
<<Stanley mi scrisse ... »: intervista rilasciata all'aurore da David Vaughan.
554
Perer Manso, Brando; Gary Carey, Brando; Marlon Brando e Roberr Lindsey, Brando:
Srmgs My Moth<r Ta1fght Me; Davi d Weddle, "l/ they Move... Kill 'Em": The Li/e and Times
ofSam PeckinJitlh; Marshall Fine, Bloody Sam: The Lifo ami Films rifSam Peckinpah.
Le informazioni riguardanti la relazione tra la Harris-Kubrick e Marlon Brando;
l'afferra farra a Sranley Kubrick da Marlon Brando di dirigere l dm volti della vendetta;
James B. Harris che cerca di rivedere l'accordo con la Bryna; James B. Harris che scopre
il romanzo Lolita; Vladimir Nabokov; i contarti con Purnam; Calder Willingham che
parla a Sranley Kubrick di Lolita; Stanley Kubrick e James B. Harris che leggono Lolita;
l'acquisizione dei diritti per l'adattamento cinematografico di Lolita; l'interesse di
lrving Lazar per l'idea della Harris-Kubrick di trarre un film da Lolita; le uattarive tra
Harris e Lazar; il finanziamento di Lolita provengono da un'intervista rilasciata all'auto-
re daJames B. Harris.
«Stanley è insolitamente percettivo ... >>: Joanne Stang, «New York Times Magazine»,
12 ottobre 1958.
"Una sera eravamo ... »: Davi d Weddle, "1/They Move... Kill 'Em.'": The Lifo and Times
rifSmll Peckinpah.
«Marlon l'aveva stravolta ... »; «Marlon mi ha insegnato ... »: Marshall Fine, Bloody
Sane: The Li/e ami Films rifSam Peckinpah.
«Ruppi il libro ... »: intervista rilasciata all'aurore daJames B. Harris.
Le informazioni sull'offerta di Lewis M. Allen di acquistare i diritti per l'adanamenro
cinematografico di Lolita provengono da Richard Corliss, BFI Film Classics: Lolita.
«Dovere aver fiducia ... »; «Non sa recitare ... »; «Dobbiamo sbarazzarci di Kubrick ... »;
«Con profondo rammarico ... »; «Se avesse ingaggiato ... »: Perer Manso, Brando.
Le informazioni su Lolita sono stare trarre da Brian Boyd, Vladimir Nabokov: The
American Years; Richard Corliss, BFI Film Classics: Lolita.
Le notizie riguardanti l'abitazione di Kubrick e famiglia sulla South Camden Drive
in California provengono dal Regisrrar-Recorder/Counry Clerk, Binh, Dearh an
Marriage Records, Las Angeles, California.
La Mercedes nera di Kubrick è citata in Hollis Alpen, Te/l Me, Who fs K1fhrick?,
«Esquire», luglio 1958.
Capitolo 10: «Non avrebbe mai condiviso l'idea che questo era il suo Him»
Epigrafi: «Stanley è davvero austero ... »: intervista rilasciata all'amore da Saul Bass;
"Un giorno sarà un bravo regisra ... »: Kirk Douglas, The Ragman's Son.
The Ragman's Son, la superba aurobiografìa di Kirk Douglas, ha svolto un ruolo di
primaria importanza per il reperimento di informazioni, opinioni e dettagli della pro-
duzione sulla realizzazione di Spartams e sulla relazione del produttore/arrore con
Sranley Kubrick.
Tony Curris e Barry Paris, Tony C1frtis: The A1ftobiography è una magnifica fonte di
ricordi che ha rivesriro un ruolo fondamentale per il reperimento di informazioni sulla
realizzazione di Spartams e sul lavoro svolto nel film da Sranley Kubrick.
Anche le esaustive informazioni destinare alla stampa prodotte dalla Universal si sono
rivelare di grande aiuto.
Le informazioni sul lavoro della Harris-Kubrick in Lolita; la Harris-Kubrick che
decide che il lavoro di regia di Spartams può avere delle ripercussioni positive sulla
società; James B. Harris che rema di rivedere i rermini dell'accordo con Kirk Douglas;
James B. Harris e Sranley Kubrick che lavorano a Lolita nel bungalow affidato al regisra
durame la produzione di Spartams provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da
James B. Harris.
Le informazioni su Dalron Trumbo e Spartams sono srare trarre da Dalron Trumbo,
Additional Dialog1fe.
Le informazioni relative al periodo della lisra nera a Hollywood provengono da Vicror
Navasky, Nmuing Names; Nancy Lynn Schwarrz, compleraro da Shelia Schwarrz, The
Hol!yll'ood Writer's \Var; Larry Ceplair e Sreven Englund, The lnq11isition in Hollywood:
Politics in the Film Crmmmnity l')]0-1')()().
Le informazioni su Saul Bass; la relazione rra Sranley Kubrick, Kirk Douglas ed
555
Edward Lewis; la ricerca dei luoghi nei quali effenuare le riprese in esterni; la scena-
grafia della scuola dei gladiatori; i sec costruici prima di Scanley Kubrick; i licenzia-
menti; gli story board della banaglia finale; il budget; la rivisicazione delle scene
della banaglia; la consultazione di scene di barraglia di film classici; il credito di
Scanley Kubrick per il film; gli incontri con Edward Muhl e Scanley Kubrick; il
primo incontro con Scanley Kubrick; la preproduzione; Scanley Kubrick ed Elaine
Dass che creano la sequenza dei titoli provengono da un'intervista rilasciata all'autore
da Saul Bass.
Le informazioni sul modo in cui Sranley Kubrick apprese di essere stato ingaggiato
per dirigere SpartamJ e «Comincio domani ... » provengono da un'intervista rilasciata
all'aurore da Richard Anderson.
«Per quanto ricordo ... »; «Una volca assodato ... »; «Senti, Golitzen ... »; «Parlai con lui
dopo ... »; «Saul, cinque minuti?»: intervista rilasciata all'aurore da Saul Bass.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Anthony Mann nella scena d'apertura di
Spartarm, che non fu girata di nuovo, provengono da un'intervista rilasciata all'aurore
da Robert Lawrence.
Le informazioni relative alla squadra di stuntman e al lavoro svolto dagli stuntman in
SpartamJ provengono da un'intervista rilasciata all'autore da Loren Janes.
Le informazioni sulla nascita di Anya Kubrick sono state reperite presso il Registrar-
Recorder/County Clerk, Birth, Death an Marriage Records, Los Angeles, California.
Le informazioni relative al lavoro di Stanley Kubrick con Charles Laughton e
Laurence Olivier e le riviste scientifiche nel bungalow di Kubrick provengono da
un'intervista rilasciata all'aurore da Norman Lloyd.
I ricordi di Alexander Golitzen delle riprese di SpartamJ realizzate in Spagna proven-
gono dalla Ora! History Collection conservata presso la Margaret Herrick Library.
Le informazioni relative al metodo adonato da Stanley Kubrick di assegnare dei
numeri ai figuranti sono state trane da un articolo su Spartaau pubblicato su «Life••.
Le osservazioni di Alexander Singer a proposito del set di SpartamJ sono trane da
un'intervista rilasciata all'autore da Alexander Singer.
«Stanley, non ti sentiresti ... »; «Nei trent'anni ... »; «Una persona di grande talen-
to ... »: Kirk Douglas, The Ragman'J Son.
Le informazioni sulla postproduzione di SpartaaiJ, Howard Fast nella sala di montag-
gio, la relazione di Sranley Kubrick con Russell Meny, la scelta della musica, Sranley
Kubrick nella sala di montaggio provengono da un'intervista rilasciata all'autore da
Robert Lawrence.
«Se ti capitasse ... »: intervista rilasciata all'aurore da Faith Hubley.
«C'era molta pellicola ... »; «Ero arrivato a dormire ... »; «Sai cosa sarebbe bello ... »:
intervista rilasciata all'aurore da Robert Lawrence.
"Uomo turbolento con la faccia rossa ... »: Tony Curcis e Barry Paris, Trmy CurtiJ: The
Autobiography.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Alex Norrh per la colonna sonora di SpartamJ
ed «Ebbi la grande fortuna ... »: lrwin Bazelon, Knml'ing theSmre: NoteJ on Film Mmic.
Le informazioni relative al lavoro svolto da Frank Warner nella squadra del sonoro di
Spartacm e «Stanley Kubrick fu ... »: intervista rilasciata all'autore da Frank Warner per
Srmnd-On-Film.
Le informazioni sul lavoro svolto da John Bonner nel team del sonoro; il lavoro di
Murray Spivak come tecnico del missaggio; «Cominciavamo alle sei di sera ... »: intervi-
sta rilasciata all'autore da John Banner per Vincent LoBrurto, Sound-On-Film: lntervieu'J
uùh Creatori of Film Srmnd.
Le informazioni riguardanti lo stato del missaggio del sonoro nel 1960 sono stare
trane da Vincent LoBruno, Srmnd-On-Fil11r: /nterviell'J u•ith Creatori of Film Sormd.
Le informazioni sul lavoro svolto da Murray Spivak, il tecnico del missag.gio., e il
lavoro di Don Rogers nella squadra del sonoro sono tratte da un'intervista rilasciata
all'autore da Don Rogers per Vincent LoBrutto, Srmnd-On-Film: lntert•ieu•J ll'ith Creatori
of Film S011nd.
Le informazioni sulla nascita di Vivian Kubrick provengono dal Regisrwr-
Recorder/County Clerk, Birth, Death an Marriage Records, Los Angeles, California.
556
Le informazioni relative alle nomination agli Oscar e ai riconoscimenti per Spartams
sono state trarre da Mason Wiley e Damien Bona, lnside Oscar.
«Spartams è l'unico film ..... Gene D. Phillips, Stanley K11hrick: A Film Odyssey.
557
Le informazioni riguardami il lavoro svolto da Bob Gaffney nella seconda unirà per
Lo/ila e l'episodio nel quale Bob Gaffney raccoma a Sranley Kubrick del libro The Magie
Christian di Terry Sourhern provengono da un'imervisra rilasciata all'autore da Bob
Gaffney.
I dari relativi ad Amhony Harvey sono srari ricavati da John Andrew Gallagher,
Directors on Directing e da un'imervisra rilasciata all'aurore da Amhony Harvey.
-.Avevo apprezzato moltissimo ... »; -.A ogni modo ... »; -.Queste cose non vengono
fuori ... »: imervisra rilasciata all'autore da Amhony Harvey.
-.Mi sorropose ... »: John Andrew Gallagher, Directors on Directing.
Le informazioni riguardami il lavoro di Scanley Kubrick e Amhony Harvey nella sala
di momaggio, la disponibilità di Amhony Harvey e di un assisreme a fermarsi a New
York per lavorare a Lolita se il Codice di Protezione lo avesse reso necessario, la supervi-
sione di Amhony Harvey alla qualità della scampa della pellicola e i comrolli ai borre-
ghini derivano da un'imervisra rilasciata all'aurore da Amhony Harvey.
L'episodio della proposta farra a Bernard Herrmann di comporre la colonna sonora di
Lo/ila è sraro ricavato da Sreven C. Smirh, A Hearl al Fire's Center: The Li/e and Mmic of
Bernard Herr111ann.
Ca non John Collins che chiede al Brirish Board of Censors di non concedere l'appro-
vazione a Lo/ila è un'informazione reana da <<Variery».
Le informazioni riguardanti le nominarion agli Oscar assegnare a Lolita sono srare
ricavare da Mason Wiley e Damien Bona, lnside Oscar.
-.Nel film non porei ... »: Sranley Kubrick a Gene D. Phillips.
-.Ciò che ci sorprende ... »: di Pauline Kael.
-.Gli inizi di Sranley Kubrick ... »: Jean-Luc Godard, Godard on Godard rradorto da
Tom Milne (Viking 1972).
Le informazioni riguardanri le reazioni del pubblico alla proiezione di Lolita proven-
gono dal numero del -.New York Herald Tribune» di domenica 15 luglio 1962.
Le informazioni relative all'abitazione della famiglia Kubrick al 239 di Cemral Park
Wesr, i corsi frequemari da Chrisriane Kubrick presso la Art Srudems League proven-
gono dagli archivi della Arr Srudems League.
-.Era una delle donne ... »; -.Non mi piacevano gli acquerelli ... » e le informazioni rela-
tive alle lezioni renure da Srernberg e frequenrare da Chrisriane sono srare ricavare da
un'imervisra rilasciata all'autore da Harry Srernberg.
-.Se mi fossi reso como ... », -.Newsweeb•, 1972.
-.Se uno dei nuovi giovani registi ... »: daJames Mason, Be/ore l Forge/.
Le informazioni relative al remake di Lolita realizzato da Adrian Lyne provengono da
-.Hollywood Reporter», 6 luglio 1995 e dalla rubrica della giornalista Liz Smirh.
Alexander Walker, Peter Sellers: The A111horized Biography; Perer Evans, Peter Sellers:
Tbe Mask behind tbe Mask sono srari di grande urilirà ai fini delle ricerche riportare in
questo capitolo.
Le informazioni relative all'accordo rra la Harris-Kubrick, Ray Srark e la Seven Arts;
la posrproduzione efferruara da Sranley Kubrick in Inghilterra; il lavoro di Sranley
Kubrick e James B. Harris alla sceneggiacura di Ree/ Alert; lo scioglimenro della Harris-
Kubrick Piccures; James B. Harris sulla cosca pacifica degli Srari Uniri; Tbe Passion
Floll'er Hotel; la carriera regisrica di James B. Harris provengono da un'imervisca rila-
sciata all'autore da James B. Harris.
L'imeresse di Sranley Kubrick per la guerra rermonucleare proviene da alcune imer-
viste rilasciare all'aurore da David Vaughan e James B. Harris.
-.Cominciammo a scherzarci ... »; -.Secondo me l'unico modo ... ••: imervisra rilasciata
all'autore da James B. Harris.
La descrizione che Sranley Kubrick fa di Il dottor Strana111ore proviene dall'articolo
serino da A. H. Weiler su -.New York Times» del 31 dicembre 1962.
Le informazioni relative a Terry Sourhern provengono da: Ephraim Karz, Tbe Film
F.nqdopeditt; Jeff MacGregor, Tbe Hot Day Terry Sl}f(tbern. Cool antl Fatalistit'. Strode /n,
558
«New York Times», 12 novembre 1995, «Hollywood Reporter•• 31 ottobre 1995 e dal
necrologio di Terry Southern su «New York Times», 31 ottobre 1995.
«Stanley è talmente immerso ... »; «La mia mente lavora ... »; «Si versava un drink ... »;
la troupe inglese che rimane colpita da Stanley Kubrick; il regista che cambia numero
di telefono: Elaine Dundy, «Glamour», aprile 1964.
Le informazioni riguardanti Richard Sylbert; il progetto di Stanley Kubrick di re-aliz-
zare la scenografia di Il dottor Strana111ore a New York; «Ho una sceneggiatura grandio-
sa ... » provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da Richard Sylbert.
Le informazioni relative alla carriera di Richard Sylbert provengono da Vincent
LoBrutto, By DeJign: lntervieu•J u•ith Fil111 Prod11ction DeJignm.
Le informazioni riguardanti la Mpaa e Il dottor Stranamore e le lettere tra Stanley
Kubrick e Geoffrey Shurlock provengono dagli archivi della Mpaa conservati presso la
Margaret Herrick Library.
Le informazioni relative a Ken Adam e alla scenografia di Il dottor Strana111ore; Peter
Sellers che indossa un naso fimo per interpretare Mandrake; l'ingaggio di Slim Pickens;
Adam che crea una nuova scenografia del set della War Room; la cosrruzione dei set
agli Shepperton Studios; l'aeroporto di Londra e gli uffici dell'Ibm; la cooperazione
negata dell'esercito Usa; la tecnologia realistica; i pannelli delle strumenrazioni; i
modellini del bombardiere B-52; le cartine e il pavimento della War Room; il disegno
dei missili; il presidente Reagan che domanda dove sia la War Room nella Casa Bianca;
«Stanley mi disse: ... »; «Santo cielo, Ken, è grandioso ... ••; «Stanley è un brillante came-
raman ... n; «Conosco un cowboy ... )); (<Ero disperato ... »; «Era veramente incredibile ... >>;
«Non avevo assolutamente idea ... »; «Stai scherzando!» provengono da Vincent
LoBrutto, By De.rign: lntervieu·J uoith Film Production DeJignerJ e da un'intervista rilasciata
all'autore da Ken Adam.
Le informazioni relative a James Earl Jones e Il dottor Stranamore; l'ingaggio di
George C. Scou; il luogotenente Zogg che mette in dubbio la natura patriottica della
missione; le battute tolte a Jones; James Earl Jones che non riceve risposta da Sranley
Kubrick; «Prendo anche quello di colore» provengono da James Earl Jones e Penelope
Niven, VoiceJ ami SilenceJ.
«Mi trovavo nella mia fattoria ... » e l'arrivo di Pickens all'aeroporto sono informazioni
tratte da «New York Times».
Le informazioni riguardanti Slim Pickens provengono da Ephraim Katz, The Film
En('ydopedict.
Le informazioni relative a Wally Veevers provengono daJohn Brosnan, Movie Magie .
.. 11 primo giorno ... »; «Stanley è molto meticoloso ... »; «Trovavo che i suoi film ... »
sono tratte da David Shipman, Mwie Talk.
Le informazioni su Georgc C. Scott sono state ricavate da Ephraim Katz, The Film
Ent)'dopedia.
«Le uniche cose che ... »: da un articolo scritto daJack Piler per «Variety».
«È il piit accanito lavoratore ... »: Peter Evans, The Mmk hehind The MaJk.
«Nel corso delle riprese ... »; «È troppo farsesca ... »; «L'idea di realizzarla ... » sono rrat-
te da un'intervista rilasciata a Gene D. Phillips da Stanley Kubrick.
Le informazioni relative a Il dottor Stranamore, Rerl Alert e A prova di errore provengono
dall'articolo di David E. Scherman Et•eryhorly Blou·J Up!
Le informazioni relative al montaggio di Il dottor Stranamore; la filosofia della
commedia; la scomparsa del montaggio della sequenza della bomba e il rimonrag-
gio; la cancellazione della prima del film a causa dell'assassinio di JFK; «Sedevamo
insieme sul pavimento ... »; .. Senza ombra di dubbio Stranamore ... »; «1 fratelli
Boulting ... ».
Le informazioni relative a Winston Ryder provengono da Vincent LoBrutto, Sotmd-
On-Film: lntert•ieu·J uùh Creatori of Film Sounrl.
Stanley Kubrick agli uffici pubblicitari della Columbia e «basso, scuro, tozzo ... » pro-
vengono da un'intervista rilasciata all'autore daJohn Lee.
L'opinione espressa da Stanley Kubrick che l'assassinio di Kennedy non avrebbe
avuto alcuna influenza su Il dottor Strancn11ore e «Non c'è assolutclmcnte ... » provengono
dalla colonna di Eugcnc Art·her.
559
Le informazioni relative alle riprese delle torte in faccia e «l primi giorni ... ., sono tratte da
Perer Bull, The Ending Yo11 Never Scru· in Strcmgelwe, «New York Times», 9 gennaio 1966.
Le informazioni relative all'idea di Sranley Kubrick di inserire come sorrofondo musi-
cale alla sequenza della bomba i versi della canzone We'l! Meet Aga in provengono da Lyn
Tornabene, The Bo/1/b and Stan!ey K11brick, «Cosmopoli ran.,, novembre 196 3.
Sranley Kubrick che invita degli amici alla prima; «Dissi a me stesso che non sapeva-
no ... » provengono da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Bob Gaffney.
Bosley Crowrher che stronca il film e la reazione di Lewis Mumford provengono da
«New York Times».
Le notizie riguardanti le reazioni a Il doltor Strana111ore di Elvis Presley, Sreven
Spielberg e Oliver Srone provengono da Eric Lefcowirz, Dr. Srrangelove T11rns 30. Can
/t Sti!! Be Tmsted?, «New York Times», 30 gennaio 1994.
Le notizie riguardanri l'Oscar di Il doltor Strana111ore provengono da Mason Wiley e
Dami en Bona, lnside Osmr.
Le informazioni relative alle reazioni di Sranley Kubrick alla pubblicità per Il mm
estinto provengono da Lee Mishkin, K11brick Threatens S11it on Strangelove \flriter, «New
York Morning Telegraph», 12 agosto 1964.
Le informazioni relative ai corsi frequenrati da Christiane Kubrick presso la Arr
Srudenrs League provengono dagli archivi della Art Srudenrs League.
Le informazioni riguardanri il progetto delle Nazioni Unire di fare un film con
Sranley Kubrick provengono da «New York Times» e dall'intervista rilasciata a Harrier
Morrison da Richard Sydenham.
«Avevo sempre desiderato ... »: da un'inrervisra rilasciata all'aurore da Perer Hollander.
Le informazioni relative al positivo disrribuiro in occasione del trentesimo anniversario
dell'uscita di Il do1torStrana111ore provengono dalle note di programmazione di Film Forum.
La trasmissione Dr. Strangelove Ret•isited andò in onda all'inrerno del programma
"Nighrline" sulla Abc il 10 novembre 1995.
I commenri di Russell Baker su Il dottor Stranai/IOI'e sono comparsi sul «New York
Times» del 14 novembre 1995.
Il tirolo di questo capitolo è stato ispirato dalla campagna pubblicitaria di Mike Kaplan
per 2001. Epigrafi: <<Fra le giovani generazioni ... »: Orson Welles e Perer Bogdanovich,
lo, Orson W e!!es; «Si è rrapianraro ... »: inrervisra rilasciata all'aurore da Fai rh Hubley.
Parecchi libri mi sono serviti a capire la creazione e la produzione di 2001 e hanno
fornito materiale prezioso per questo capitolo: Jerome Age!, The Alaking of Stanley
K11brick's 2001, Piers Bizony, 2001: Fil111ing tbe F11t11re; il romanzo 2001: Odissea nello
spazio; il racconro La sentine!!a, The Lost Wor!ds o/2001 e Reporton Piane/ Three di Arrhur
C. Clarke; Carolyn Geduld, Fi/111 G11ide to «200/: A Spa.-e Odysser, e Nei l McAleer,
Odyssey: The A11thorized Biogr·aphy rf Arth11r C. Clarke. L'articolo Fil111ing 20lll: A Space
Oclyssey di Herb Lighrman, apparso su <<American Cinemarographer» 49 (giugno
1968), conreneva imporrami informazioni tecniche ed estetiche. Il meraviglioso profilo
di Sranley Kubrick e della lavorazione di 200 l: Jeremy Bernsrein, How Abolii a Li11/e
Ga111e, <<New Yorker», 12 novembre 1966, conriene preziosi dettagli e informazioni che
hanno dato forma alla scrittura di questo capitolo.
Le informazioni su Alexander Walker nell'appartamento di Kubrick nel 1957 e <<Sta
per fare ... •• sono state fornite da Alexander Walker.
<<Perché perdere tempo? ... »; <<Questo puntava a un bersaglio ... »; <<Aveva fin
dall'inizio ... »; <<Arthur e Sranley .. :»; <do dissi che sarebbe stato un disastro ... »; <<Presi
il loro rrarramenro .. ,»; <<Gli dissi: "Ehi, Arrhur ... ".,; <<Sranley mi chiese ... »; <<Sran e io
avevamo usato ... »; <d l più lungo flashforward ... »; <<C'era molta ... »; <<Okay, lo com-
pro ... »; <<Feci a pezzi uno ... » sono rratte da Nei! McAleer, Odyssey: The A11thorized
Biography rf Arth11r C. C!m-ke.
560
La descrizione fisica di Sranley Kubrick nel 1964 si basa su svariate fotografie del
regista scattate in quel periodo.
«Aveva l'aria vagamente distratta ... ••; «Uno scrinore inglese di fantascienza ... »;
«Con uno staff di quelle dimensioni ... »; «In questa fase ... »; «<l problema è trovare ... »;
«Forse la società ... »; «Mi avvantaggio ... »; «Stiamo cercando ... , sono tratte da Jeremy
Bernstein, HoU' Aho111 a Little Ga111e, «New Yorker», 12 novembre 1966.
«La maggioranza degli astronomi e di altri ... », «È sotto gli occhi di ... » sono dichia-
razioni di Stanley Kubrick a William Kloman, del <<New York Times».
<<Una srrunura luccicante che aveva press'a poco la forma di una piramide ... ••: dal
racconto La sentinella, di Archur C. Clarke.
Le informazioni sui film alla Fiera Mondiale del 1964 a New York si basano su quel-
lo che l'autore·ricorda dell'evento.
Le informazioni su Christiane Kubrick che parla di Stanley Kubrick a Harry
Sternberg, <<Non vedevo l'ora ... , e <<L'inventiva di quest'uomo ... , sono fruno di
un 'intervista rilasciata all'autore da Harry Sternberg.
Le informazioni su Ha! e lbm; Ernest Shacklecon; il lavoro di Bob Gaffney in 2001;
Stanley Kubrick che riprende l'osso e Moon- Watcher che frantuma ossa; le decisioni di
Sranley Kubrick sul formato; le domande di Sranley Kubrick a Bob Gaffney; gli effeni
speciali utilizzati sul materiale del terreno; le riprese del terreno; il motivo del rifiuto di
volare da parte di Stanley Kubrick; Bob Gaffney nel ruolo di direnore della pubblicità
di Stanley Kubrick; Stanley Kubrick che dà a Bob Gaffney la recensione di Q11arto potere
di Bosley Crowther per Orson Welles; «Ricordo che c'era un ... »; <<Era un ottimo opera-
tore ... »; «Gli dissi: "Devi ... ",; «C'è mancato poco che mi ammazzassi ... »; <<Stanley
scavò furiosamente ... , sono fruno di un'intervista dell'aurore con Bob Gaffney.
<<Fu una sorprendente ... »: Stanley Kubrick ad Alexander Walker.
<<Abitavamo a ... »: Ann Morrow, Christiane K11brick: Floll'ers ami Violent l111ages,
«London Times», 5 febbraio 1973.
Le informazioni sul trasferimento sulla W est Coast di Jacques e Gertrude Kubrick, la
licenza medica californiana del dottor Kubrick e il fatto che fosse membro
dell'American College of Gastroenterology vengono dalla Medica! Sociery dello Stato di
New York.
Le informazioni su Ken Adam conrarraro da Stanley Kubrick per le scenografie di
2001 e il suo declinare l'offerta si basano su un'intervista rilasciata all'aurore da Ken
Adam.
Le informazioni su Wally Veevers e Tom Howard sono tratte daJohn Brosnan, Mwie
Magir.
Le informazioni su Douglas Trumbull sono trarre da «American Cinematographer>•,
onobre 1969.
Le informazioni su Geoffrey Unsworrh sono tratte da Vincent LoBrutto, By Design,
interviste rilasciate all'autore da Tony W al con e Katz.
<<Il finale fu alteraco ... »; «Non mi piace ... » e <<Magari la prossima volta ... »: Jerome
Age!, The Making of Staniq K11hrick's 200 l.
Le informazioni sui personaggi di Poole e Bowman; Keir Dullea; i dati forniti a Keir
Dullea e Gary Lockwood; N igel Davenport in 2001; Derek Cracknell che legge la bat-
tuta di Ha!; il modo di dirigere di Sranley Kubrick; l'intensità di Stanley Kubrick sul
set; Keir Dullea che fa lo stunt attraverso il portello e lavora nella centrifuga; Keir
Dullea e Gary Lockwood che avviano la macchina da presa dall'interno della centrifuga;
i set rotanti; le riprese di Poole che mangia; i miglioramenti al copione; Bowman e
Poole attorno al nucleo; le scarpe munite di Velcro; il nuovo design delle scarpe; il lavo-
ro con gli attori; le cene di Stanley Kubrick; il gioco della Parker Brothers studiato per
2001; le riprese delle scene con Ha!; la reazione della troupe inglese a Sranley Kubrick;
le riprese degli sruntmen con i cavi; le riprese di Keir Dullea nella capsula; la musica di
Antarrtica S11ite; Keir Dullea che trema; le riprese dei primi piani dell'occhio di Keir
Dullea; il trucco; la stesura originale della scena nella stanza vittoriana; Sranley Kubrick
che non ha mai discusso il significato di 200/; Dullea alla prima di Washington; Keir
Dullca che guarda Nei! Armstrong camminare sulla luna con Arrhur C. Clarke proven-
gono da un'intervista rilasciata all'aurore da Keir Dullea.
561
«Quest'uomo mi guardò ... »; «Nel leggere la sceneggiatura ... »; «Avevamo la
nostra ... >>; «Questa era buona, proviamone un'alrra ... »; «Adoravo Stanley ... »;
«Basrava che sul set arrivasse gualcuno ... »; «Quando stavamo girando ... »; «È un uomo
molto tranquillo ... »; «Stanley è un amenrico ... »; «Era un po' come ... »; «La stanza del
cervello ... »; «Ma sai ... »; «Mi proierravano delle luci ... »; «Faceva un po' paura ... »;
«Mai! Non parlava mai ... " e «Fui annientato ... " sono tratte da un'intervista dell'autore
con Keir Dullea.
Le informazioni su Gary Lockwood e Nigel Davenport provengono da Katz .
.. Ci sono certe ... »: «New York Times».
«Eta come guardare ... »; «Per me era una novità ... » e «C'erano praticamente ... »
sono tratte da Herb A. Lightman, Fil111ing 2001: A Space Odyssey, «American
Cinematographer» 49 (giugno 1968) .
.. Star lontano ... »: Arthur C. Clarke .
.. La prossima volta ... »; «Ti trasporta ... »; «Stanley ùpira la geme ... »; «Stanley è
un genio ... »; «Stanley rimase su ... »; «Ero presente ... »; «Arthur ha un ego pazze-
sco ... » e •<2001. lo vedo rutte le settimane» sono tratte da Piers Bizony, 20(}]:
Filming the F11t11re.
Le informazioni sul video conrrol sono tratte da un libro di prossima pubblicazione
che raccoglie interviste dell'amore a direttori della fotografia.
Le informazioni sulla morte di Rurh Sobotka derivano da un'intervista rilasciata
all'amore da David Vaughan e dal necrologio di .. Variety», 21 giugno 1967.
Le informazioni sulla retroproiezione sono trarre da Vincent LoBrutto, By Design.
Le informazioni sulla tecnica Fairchild-Hansard sono trarre da King Vidor, King
Vidor on Filmmaking.
«Qualcuno ha detto che l'uomo ... »: Sranley Kubrick a Gene D. Phillips.
Le riprese della sequenza e «Avevo incontrato ... » provengono da «Sight & Sound»,
maggio 1995.
Le informazioni sulla colonna sonora originale e Alex North derivano dalle note
<di'incisione della prima mondiale di Alex North's 2001: T be Le.~entla•y O•·iginal Smre,
National Philharmonic Orchesrra, diretta da Jerry Goldsmith, Varese Sarabande,
1993.
Ray Lovejoy promosso al montaggio di 2001 e il passaggio di Anrhony Harvey alla
regia vengono da un'intervista rilasciata all"amore da Anrhony Harvey.
Informazioni su un altro musicista chiamato originariamenre a comporre la colonna
sonora per 2001 e «Poi Stanley mi chiamò a New York ... » sono rratte da lrwin
Bazelon, Knoll"ing the Score: Notes on Film M11sic .
.. Mi ricordo di aver visto ... »: Tony Thomas, Film Smre: The Art ant! C:rafi of Mm•ie
M mie·.
«Non considero ... »: Sranley Kubrick a Henry T. Simon per «Newsweeb• .
..... un film così noioso ... »: Stanley Kaufman, «New Republic».
«È moralmente pretenzioso ... »: Arthur Schlesinger Jr., "Vogue» .
.. 2(}(}} non è il pcggior ... »: Pctcr Davis Dibble, «Women's Wear Daily» .
.. 11 film è a tal punto assorto nei suoi problemi ... »: Renata Adlcr, «New York
Times•> .
.. È divertente pensare ... »: Pauline Kacl.
.. AI più profondo ... »: Sranley Kubrick a «Rolling Srone» .
..... capace di farmi ... »: Charlotte Chandler, l. Fellini.
"Vede ... ,; Charles Thomas Samuels, Enm11ntering Directors.
.. Col declino del western ... »: John Boorman, 11Je Ememld Forest Dimy.
La reazione della lbm a 2001 è trana da un'intervista rilasciata all'aurore da Faith
Hublcy.
Le informazioni sugli Oscar per 2001 sono tratte da Masnn Wi.ley e Damien Bona,
Insi<le Oscar.
Le informazioni su].()()} al Festival di Mosca del 1969 e «Terrò gli occhi aperti ... »
sono tratte daJoyce Habc-r, 1"/1 Be Watching . .. , «Los Angeles Times».
Jacgues Kubrick in platea per la conferenza di Jcrome Age l al college sperimentale di
Sherwood Oaks è tratto eia "Variety», 21 marzo 197 3.
562
.-Non appena lo ... »: James Camerona Syd Field . .-2001 è il morivo ... ••, Ray Lovejoy
a Syd Field .
.-Scoprii che esisteva ... »: Alexandra Brouwer e Thomas Lee W righe, Working in
Hollyu·,md.
Le informazioni sulla parodia a 2001 in Minnie e MoJkiJ/I'itz sono tratte da Raymond
Carney, Ameriron Dreaming: The Fiilm o(}olm CnHm,eteJ ami the Ameriran Experience.
Le informazioni sulla parodia di 2001 in L'11omo dallo rrm,otta di moio sono tratte da
Manny Farber, Negative Space.
L'influenza di 2001 su Space Oddity di David Bowie deriva da Perer e Leni Gilman,
Alim Dat'ùl Bou-ie: A Biography.
L'influenza di Jordan Belson e dei fratelli Whirney su 2001, •.·.. ricordava fortemen-
te ..... e <<Diventa un vertiginoso ..... sono rratte da Gene Youngblood, Expanded
Cinm1a.
<<Perché continuiamo a tornare ... »: Ray Bradbury.
563
sono servir i a capire i retroscena relativi allo straordinario romanzo Un'arancia a orologe-
ria di Anthony Burgess e alla riduzione fatta da Kubrick per il grande schermo:
Anthony Burgess, Un'arancia a orolo.~eria; Anthony Burgess, Yo11'r•e Hatl Yo11r Time: The
Semnd Pari of the Confossiom; il profilo di Malcolm McDowell in Tom Burke, B11rke's
Steerage; Stanley Stanley Kubrick, K11brick's A Clockuwk Grange Baset! on the Nwel by
Anthony B11rgess; Andrew Bailey, A Clockll'ork Utopia: Semi-Scmtable Stanley K11britk
Dismsses His Nell'Film, «Rolling Stone», n. 100, 20 gennaio 1972.
Per le informazioni su Christiane Kubrick, la sua vita in casa in Inghilterra e il
suo lavoro di pittrice, mi sono ampiamente valso di Christiane K11hrick Paintings,
introduzione di Marina Vaizey (Warner Books, 1990); Ann Morrow, Christiane
K11brirk: Floll'ers ami Violent lmage.<; «London Times», 5 febbraio 1973; Valerie
Jenkins, The Floll'er-Filled Wrw/d of tbe Otber K11brick, «Evening Standard», lO set-
tembre 197 2.
«Quel maledetto libro è stata la cosa più dolorosa ... »: Anthony Burgess a Sheila
Wellcr sul "Village Voice».
«Il libro ebbe ... »; «Qui si sra molto bene ... »; «Il laboratorio è capacissimo ... »:
Stanley Kubrick a Bernard Weintraub, «New York Timcs».
«LI storia ha due livelli ... »; «Volevo trovare un modo ..... ; «Il libro descrive stilisti-
camente ... »: Stanley Kubrick aJoseph Gelmis .
.. 11 mio problema, naturalmente ... »; «Attori di simile genio ... »; «Mentre parlia-
mo ... »: Sranley Kubrick a Penclope Houston.
«Anche se in proposito esiste una certa ... »; «Chiedermi di prendere una vacanza ... »;
,<J maestri di scacchi a volte ... ••; «Ha avuto un bel po' ... »; «Raccontare una storia in
modo realistico ... »; «LI violenza non è necessariamente ... »: Stanlcy Kubrick a Paul D.
Zimmerman, «Ne,vs\veek,,.
Le informazioni sullo stile della sceneggiarura di Kubrick per Arancia mea'tlnica deri-
vano dall'esame dell'autore della prima stesura originale presso la Margaret Herrick
Libmry.
«Amncia me<'t'anica utilizzava ..... : John Akott ad «Amcrican Cinematographer».
Le informazioni sulle innovazioni tecniche e sulLntrezzatura usata da Sranley
Kubrick in Arancia mect'cmica. e «Smnley si limita a telefonare .. ·" derivano da un'inter-
vista rilasciata all'autore da Ed Di Giulio.
Le informazioni su Liz Moore che disegna i tavoli del Korova Milkbar vengono da
Bizony.
«Mi ero graffiato la cornea ... , è tratto da Kirk Douglas, Destino nella poii•ere.
Le informazioni su Steven Berkoff e sul ser di Aranàa 1/Je<'<<tnica, «Stanlcy Kubrick era
incredibilmente gentile ... »; «Mi offrì l'opportunità ... " derivano da un'intervista rila-
sciata all'autore da Steven Berkoff.
Le informazioni su Philip Stone; «All'improvviso Sranley mi chiese ... » sono tratti da
una lettera di Philip Stone all'aurore.
«L'attrezzatura base che utilizzo ... »: Alexander Walker, Stanley K11brick Directs.
Le informazioni su W alter Carlos e Wendy Elkind e la colonna sonora diAranciamec-
canica, e «Stanley era affascinato ... » derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da
Wendy Carlos.
«Quando andai a casa ... '': <(Newsweek''·
Le impressioni di Vietar Davis su Stanley Kubrick all'epoca di Arancia 111emmica, e
.. Lt cultura sembra non avere ... » provengono dal «Daily Express».
Le informazioni sulle anteprime di Arancia 1/Jecccmica provengono da «Variety».
Le informazioni sul mascherino dipinto sul muro del Cinema One di New York pro-
vengono daJulia Phillips, Yo11'll Nwer Eat Ltmrb in This ToU'n Again.
«Brillante, un tour de force ... » è tratto dalla recensione di Arancia mecmnica di
Vincent Canby sul «New York Times».
«Non fidatevi di quello che dico ... » è tratto dalla recensione di Arancia mecctrni((J di
Andrew Sarris sul "Villagc Voice».
John Simon che indica Arancia meccanira come uno dei dieci peggiori film dell'anno
nel "Dick Cavett Show" è tratto da un articolo di Arthur Bell sul "Village Voice».
«Un'opera stupefacente ... »: Rex Reed per il «New York Daily News ...
564
Le informazioni sulla campagna pubbliciraria per Aranàa lllec(tlnica sono ricavate
dagli archivi Warner alla Usc.
«Sono volato a Londra ... ,. è tratto da Stephen Farber e Mare Green, Hollywood on the
Crwrh.
Le informazioni sul certificato dato ad Aranàa mercanim dal British Board of Film
Censors, e su Steven Murphy, sono tratte da Alexander Walker, Natirmal Hmlf!s.
Le informazioni su Aranàa meccanica e gli Oscar sono tratte da Mason Wiley e
Damien Bona, /nsùle Oscar, e Nat Segaloff, H11rrifane Billy.
Le informazioni sulla posizione del «Detroit News» sui film x-rated sono tratte dal
«Detroit News».
Le informazioni sui film mainstream classificati con la X sono tratte da Leonard J.
Leffe Jerold L. Siinmons, Dame in the Kimono, e da Gerald Gardner, The Censorship
Papm.
La lettera di Stanley Kubrick al direttore del «Detroit News» è stata pubblicata il 9
aprile 1972.
Le informazioni su Stanley Kubrick e la Warner Bros sono tratte da "Variety••.
«Appunto. Ho venduto i diritti ... » è muro da «Time», 17 gennaio 1977.
«Avevamo fatto le prove ... ,. è tratto dalla trasmissione radio "Sound an Film". aprile
1972, Erwin Frankel Productions.
Stanley Kubrick che ritira Amnàa meccanica per ottenere una nuova classificazione
deriva dal «New York Times": 25 agosto 1972.
«Comincio a essere ... » e «E possibile che questo non sia ... »: «Variety», 22 agosto
1973.
Emmanuel K. Schwartz, «A Psychiatric Analysis of Kubrick's 'Clockwork Orange» è
apparso su «Hollywood Reporter» il 31 gennaio 1972.
Le informazioni sul decreto di Roeder in Arizona sono tratte da un articolo di Nick
DiSpoldo sul «New York Times», 20 giugno 1974.
Le informazioni sulla violenza degli imitatori e Aranàa 1maanica sono tratte da
Vietar Davis, «Daily Express», gennaio 1972; Tony Parsons, «Times Saturday
Rcview», 30 gennaio 1993; e Edward Laxton, The Clockll'ork Killer, «Daily Mirror», 4
luglio 1973.
Artlmr Bremmer e Arancia meccanica, «Milwaukee, 24 aprile .. ·" è rratto da Joseph
Gelmis in «Ncwsday».
La reazione di Miriam Karlin ai delitti commessi in Inghilterra da imitatori di
Aranàa 111eccanùu è rratta da un articolo di Edward Laxron, «Daily Mirror». 4 luglio
1973.
Stanley Kubrick che ritira Arancia meccanica dalla circoht7.ione in Inghilterra è rratto
da William E. Schmidt, «New York Times», 6 febbraio 1993.
Le cifre degli incassi di Aranàa meccanica in Inghilterra sono tratte dal «London
Times», 18 gennaio 197 3.
Arancia meccanit'tl proiettato in Argenrina: « Variety», 14 agosto 1985.
Le informazioni sulla causa Warner contro Channel 4 in Inghilterra sono tratte da
"Variety». Stanley Kubrick e la Warner contro Jane Giles, da William E. Schmidt,
•New York Times», 6 febbraio 1993 e Kathy Marks, •<lndependent», 5 febbraio
1993.
565
gennaio l 976. Ho anche animo all'approfondita intervista di Miche! Cime m a John
Alcorr, pubblicata in Kubrick.
Le informazioni su William Makepeace Thackeray sono trarre dall'introduzione di
Andrew Sanders all"edizione World"s Classics di Barry Lyndon, pubblicata dalla Oxford
U niversity Press (1984).
Le informazioni sul metodo tenuto da Stanley Kubrick nell'adarrare il romanzo Barry
Lyndon derivano da un'intervista rilasciata ali" aurore da Gay Hamilron e Jonathan Ceci!.
Le informazioni su Ed Di Giulio e il contributo della Cinema Products per Barry
Lyndrm; Stanley Kubrick e !"uso dello zoom; Ed Di Giulio che controlla la proiezione di
Barry Lyndon nella sala Cinerama Dome; «Stanley mi chiamò e disse ... » sono trarre da
un'intervista rilasciata ali" autore da Ed Di Giulio.
Le informazioni sul lavoro di Ken Adam in Barry Lyndon sono trarre da Vincent
LoBrurro, By Design, e da un'intervista rilasciata all'aurore da Ken Adam.
« ... come un artista medievale ... »: Alexander Walker.
Le informazioni su Stanley Kubrick e il direrrore di produzione e «Chiedi agli scena-
grafi ... » sono trani da John Boorman, The Emerald Forest Diary.
Ciò che la Warner sapeva di Barry Lyndon durante la produzione e il progerro di
Stanley Kubrick da Doppio sogno sono tratti da« Variety».
Le informazioni su Ryan O'Neal e Marisa Berenson provengono da Katz.
La sospensione della lavorazione di Barry Lyndon è tratta dal «Daily Express» e da
«Variety••. 28 novembre 1973.
Le informazioni sulla revisione di Barry Lymlon durante la sospensione, la scelta per il
film di attori inglesi e irlandesi, derivano da interviste rilasciate all'autore da Gay
Hamilron, Steven Berkoff e Jonathan Ceci!.
«Quando un regista muore ... » fu detto originariamente da John Grierson. Nella sua
autobiografia, Ftm in a Cbinese Laundry, ii regista Josef von Sternberg confuta questa
teoria ed enuncia una filosofia che si può ben applicare all"opcra di Stanley Kubrick:
«Con poche eccezioni la forza centrale del film, il regisra, non è un maestro della foto-
grafia, che è !"elemento principale nel trasferire la sua visione sullo schermo. Il regista è
alla mercè della macchina da presa. Essa scrive il proprio linguaggio, traslittcra tutto
ciò che vi viene inserito, e quando il regista non ha il controllo sul suo principale stru-
mento del mestiere ha rinunciato alla sua funzione principale».
«Pochissimi sanno usare ... » è tratto da Mi/limeter.
Le informazioni su Jonathan Ceci! che lavora in Barry Lyndon; che recita Potzdorf per
tre settimane prima di essere rimandato a casa; «Un giovane ufficiale ... »; «Fu un'espe-
rienza straordinaria ... »; «Ci fu una giornata disastrosa ... »; «Cercava di farci inventa-
re ... » derivano da un'intervista rilasciata all"aurore daJonathan Ceci!.
Le informazioni sul lavoro di Gay Hamilron in Barry Lyndrm; «Sranley Kubrick non
incontra nessuno ... » sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Gay Hamilton.
Stanley Kubrick che manovra la macchina da presa e lavora con Luke Quigley; Bob
Gaffney che controlla la messa a fuoco della proiezione di Barry l-yndon a New York
derivano da un'intervista rilasciata all"autore da Bob Gaffney.
Le informazioni su Steven Berkoff che lavora in Bm·ry Lyndon; «Sul set si parlava
parecchio ... » provengono da un'intervista rilasciara all"aurore da Steven Berkoff.
Philip Stone che in Barry Lyndon interpreta Graham; «Nel bellissimo Barry Lymlon,
Graham ... » sono trarre da una lettera di Philip Sto ne ali" autore.
Il lavoro di Leonard Rosenman sulle musiche di Barry Lyndon, «Stanley mi
chiamò ... » derivano dalla sua intervista in Film Makers on Film Making: The Amerimn
Filmlnstitute Seminm·s on Motion Pictures ami Television, vol. l, a cura di Joseph Mc Bride,
J.P. Tarcher ]ne., Los Angeles, 1983.
«Si rimane lì ... »: Jerry Oster, «New York Daily News», 21 dicembre 1975.
«[È] una serie ... »: Michael Billington, «London lllustrated».
« ... si trasforma scena dopo scena ... »: Vincent Canby, «New York Times».
Le candidature agli Oscar c le informazioni sui premi a Barry Lyndon sono tratte da
Mason Wiley e Damien Bona, lnside Osmr.
«Stanley Kubrick vince il David di Donatello»: Gregg Kieslay, «Los Angeles
Times», I 3 giugno 1977.
566
Stanley Kubrick e Miroslav Ondricek, «Mi rispose scrivendo ... »: da un'intervista
con Miroslav Ondricek tratta dall'imminente libro dell'aurore con interviste ai direttori
della fotografia.
Epigrafi: «È una specie di cineasta dispeptico»: David Shipman, Movie Talk; «Stanley
è bravo sul sonoro ... »: Chamhers Film Q11otes, compilato da e a cura di Tony Crawley.
Il penetrante documentario di Vivian Kubrick The Making o(The Shining, andato in
onda sulla Bbc il 4 ottobre 1980, è una occasione rara e senza precedenti per vedere
Stanley Kubrick all'opera. Dura trentatré minuti e ventotto secondi ed è stato fonda-
mentale nel fornire il tessuto, lo sfondo e molti dettagli sulla produzione di Shining e
sul nucleo interno dei metodi di lavoro di Kubrick. L'articolo di Garrett Brown The
Steadicam ami The Shining, apparso su «American Cinematographer» nell'agosto 1980,
è staro estremamente prezioso per capire l'importanza del ruolo della steadicam in
Shining e il contributo di Brown al film. Ulteriore materiale su Garrett Brown e la stea-
dicam è tratto da una mia intervista con lui per un imminente libro di interviste con
operatori e direttori della fotografia. Photograpbing Stanley Kuhrick's The Shining,
un'intervista a John Alcott di Herb Lightman su «American Cinematographer»
dell'agosto 1980, è stato un elemento chiave nel fornire dettagli e notizie generali sul
contributo di Alcott al film.
«È molto difficile dire ... "• «Avevo deciso molto presto ... " sono trarre da John
Hofsess, «New York Times», l giugno 1980.
Le informazioni su Stanley Kubrick e il filmato dimostrativo della sreadicam deriva-
no da un'intervista rilasciata all'aurore da Garrett Brown ed Ed Di Giulio.
Le informazioni su Quinto potere e Stanley Kubrick sono tratte da Mad as He/1: The L((e
and Work of Paddy Cbayefsky.
John Calley che spedisce a Sranley Kubrick le bozze di Shining; Sranley Kubrick e
Jack Nicholson; Jack Nicholson che intercede per Scarman Crothers; Jack Nicholson e
Danny Lloyd; Jack Nicholson attratto dalla crisi familiare in Sbining; Jack Nicholson
sceneggiatore; «L'interpretazione di Jack ... »; «Il libro iniziava con quel presagio ... >> è
materiale tratto da Patrick McGilligan,Ja,.k's Li(e.
Le informazioni sulle riprese dali" elicottero in Shining; «Trovai che fosse una ... »;
«Con Shining ... »; "Penso che Jack ... »: Miche! Ciment, Kubrick.
Le informazioni su Stephen King e Shining; «Tourneur con grande sensibilità ... »
sono tratte da Danse Mambre.
Sranley Kubrick duro con Shelley Duvall; la reazione di Robert Alrman a Shelley
Duvall; la sala di montaggio di Shining; • Primo esempio di horror epico ... »; uCè qual-
cosa di intrinsecamente sbagliato ... ~~; <<Lui mi ispirava ... ,,; <<In una.scena ... ••; «lo sono
famoso per brontolare dietro le quinte ... » è materiale tratto da Jack Kroll,
uNewsweek>>, 26 maggio 1980.
Sranley Kubrick che legge Sbining; «Fui così lusingato ... »; «È un uomo con cui puoi
uscire .. ·" sono tratte da Harlan Kennedy in «American Film>>.
"Deve essere plausibile ... » è tratta da Diane Johnson sul «New York Times».
Sranley Kubrick che legge Tbe Shadou· Knou·s di Diane Johnson; Stanley Kubrick che
sente parlare di Diane Johnson; Stanley Kubrick e Diane Johnson che lavorano insieme;
«Lui è il tipo di persona ... »: Denis Barbie r.
La descrizione del primo trattamento di Kubrick per Sbining è basata sulla lettura del
trattamento negli archivi Warner presso la Usc.
Sranley Kubrick che prende in considerazione l'idea di tornare negli Usa per girare
Shining deriva da un "intervista rilasciata all'aurore da Bob Gaffney; il «Los Angeles
Herald Examincr», 5 giugno 1977 e da Army Archerd, «Just for Variety», 6 giugno
1977.
Le informazioni su Garrctt Brown ed Ed Di Giulio in visita da Stanlcy Kubrick per
mosrrargli le potenzialità della steadicam derivano da un'intervista rilasciata all'aurore
da Ed Di Giulio.
Le informazioni su Hoy Walker derivano da ricerche fimc dall'aurore per Hy Design.
567
Le informazioni sulle fotografie usare sui muri dell'Overlook provengono dall'arcicolo
di Alexander Walker sul «Los Angeles Herald Examiner».
Le informazioni su Shelley Duvall, prima e unica scelta per Wendy; Scacman
Crochers; reazione di Roberc Alcman a Shelley Duvall; •<lndiscucibilmence il più grande
arcore ... »; «Non avevo letto .. ·" è materiale erano dalla documentazione su Shining per
la scampa.
La rigida segretezza su Shining, «Come si conviene a ogni albergo ... » sono rracci da
.. variery», 14 giugno 1978.
Le informazioni su Scanley Kubrick che lavora con Anne Jackson, «Alla fine della
conversazione ... » provengono da un'intervista rilasciata all'aurore da An ne J ackson.
Le informazioni sull'idea kubrickiana di Momenco Critico della Prova; la visita di
Alexander Walker sul sec di Shining; «Una versione standardizzata ... » provengono dal
«Los Angeles Herald Examiner••, 23 maggio 1980, e da Alexander Walker.
«A Kubrick piace fare molti ciak ... »: John Boorman, The Emerald Foresl Diary.
Tony Burcon in Shining; la ripresa dell'ultima inquadratura; la scena cagliata; «Il
primo film ... »; «Sranley mi mandava ... »; «Un giorno scavano girando ... »; «Non
dovette dare molte indicazioni ... » derivano da un'intervista rilasciata all'aurore da
Tony Burron.
L'improvvisazione della baccura «Here's Johnny» da parre di Jack Nicholson viene da
Jamie Wolf, «American Film», gennaio-febbraio 1984.
L'incendio sul set di Shining è tratto da" Variety», 3 gennaio 1979.
Stanley Kubrick che cerca nuove tecnologie per il moncaggio è rratto da un'intervista
rilasciata all'aucore da Bob Gaffney.
Le informazioni su Philip Stone e Shining; «Quella lunga scena ... » derivano da una
lettera di Philip Scone all'aurore .
.. sranley è esigente ... »: Janet Huck.
Le origini dell'immagine delle sorelline Grady è tratta da Patricia Bosworth, Siane
Arbus, e dalla foto di Kubrick sulla rivista «Look», 25 maggio 1948.
Le informazioni su Jack Nicholson come sceneggiatore; «LI primo horror s11l blocco
dello scrittore»; «Quella è la singola scena ... » sono tracce da Ron Rosenbaum, The
Creative Mine/ o(}ack Nicholson, «New York Times», 13 luglio 1986.
Le informazioni su Jack Nicholson; Jack Nicholson scrittore: Christopher Fryer e
Robert Da v id Crane,Jack Nicholson: Felce to Fate.
Sistemi di montaggio video utilizzati in Shining tracci da Vincent LoBrurto, Selerted
Takes.
Colonna sonora di Shining; «Così la prima cosa ... » sono crani da un'incervista rila-
sciata all'aurore da Wendy Carlos.
La strategia di distribuzione per Shining è tratta da «Variety», dal «New York
Times», l giugno 1980 e dal «Los Angeles Times», l giugno 1980.
La Mpaa e Shining sono rracci da Todd McCarthy, 14 giugno 1980.
Il lavoro di Saul Bass sullogo di Shining; •Fu un'esperienza infernale ... » è materiale
rratto da un'intervista rilasciata all'aurore da Saul Bass.
Il rinvio delle anteprime è una notizia rracca dal «New York Times», 23 maggio
1980.
Taglio dell'epilogo, incasso dei primi giorni: Aljean Harmerz, .. New York Times».
«Non le suona curioso ... »: Alexander Walker, lt's Only a Mm,ie. lngrùl.
Le informazioni sulle recensioni a Shining sono tracce da «Film Review Annual».
•d n pratica dissi agli srudenci ... »:intervista dell'aurore a Ed Di Giulio.
La reazione di Srephen King a Shining è trana da «American Film», 1986.
Le informazioni su John Alcocc derivano da necrologi su .. Hollywood Reporcer» e
«New York Times».
Capitolo 18. <<Sono stati sette anni? Non ricordo mai gli anni>•
«Sono Stati secce anni ... » ed epigrafi, «Non so che cosa abbiate letto ... », .. Per quan-
to mistica ... »: intervista dell'autore con Tony Spiridakis.
Molti <trticoli e libri mi sono stati utili alla comprensione di questo capirolo su Full
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Meta! }acket, versione cinematografica di Kubrick del romanzo Nato per uccidere di
Guscav Hasford: Full Meta! Jacket: Cynic's Choice, di Ron Magid, che include
un'approfondita intervista con Douglas Milsome, è apparso su «American
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1988; Tim Cahill, The Rolling St1me lnterz,iefl' uùh Stan!ey K11hrick, «Rolling Stone,, 27
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Lloyd Grove, K11hrick Does Vietnam his Way, .. Washington Post», nella versione apparsa
sul «Boston Globe»; Caryn James, Matthell' Modine Plots tbe Co11rse lo Charctt"ler, <<New
York Times••, 27 settembre 1987; Aljean Harmerz, Jacket Actor lnvents His Dialog11e,
<<New York Times», 30 giugno 1987; Martin Burden, Lee Ermey: Marine Right lo tbe
Corps, <<New York Post», 2 luglio 1987; Alexander Walker, Stanley K11hrick's War
Realities, <<Los Angeles Times», 21 giugno 1987; Aly Sujo, Was Full MetalJacket Even
Bleaker bifore Trùm?; Leslie Bennetts, The Trauma of Being a K11hrick Marine, <<New York
Times», 10 luglio 1987; Martin Kasindorf, Finding Their Way lo Oscars' Shrine,
<<Newsday», Il aprile 1988; Stanley K11hrick Wants Yo11, <<Video», maggio 1984; Mare
Cooper, Light al the Ewd of the Tttnwel, «American Film», giugno 1987; Grover Lewis,
The Sweral Batt!es of Gustav Hasford, «Los Angeles Times Magazine», 28 giugno 1997;
il romanzo Nato per 11ccidere, di Gustav Hasford; Penelope Gilliarr, Heavy Meta!,
«American Film», settembre 1987; Susan Linfield, The Gospel Ammliwg to MattheU",
«American Film», ottobre 1987; Robert Koehler, Controversy Dogs "}acket" Score As lt's
Barred from Ost"ar Race, <<Los Angeles Times», 28 gennaio 1988; e la sceneggiarura di
F11!1 Metal}acket, di Sranley Kubrick, Michael Herr e Gusrav Hasford, con una prefazio-
ne di Michael Herr, pubblicata da Knopf, 1987.
Le informazioni su 2010 - L'awno del contatto e Perer Hyams sono trarre da Nei!
McAieer, Odyssey: The Authorized Biograpby of Arth11r C. Clarke, e Arthur C. Clarke e
Perer Hyams, The Odyssey File.
Le informazioni sul matrimonio di Philip Hobbs e Karharine Kubrick provengono
dal certificato di matrimonio, Generai Regisrer Office, County of Hertfordshire,
D istrice of St. Albans, Inghilterra.
Le informazioni su Michael Herr provengono dal cartellone di Apoca!ypse Noli', 1979.
Le informazioni su Bob Gaffney che gira per Sranley Kubrick materiale di ricerca per
gli sfondi di F11!1 Meta! jat"ket sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Bob
Gaffney.
«All'inizio fui colpito dalla sua ... »; «Un perfezionista fuori di resta ... »; <<Un sacco
di attori ... »; morivi per cui Sranley Kubrick viveva in Inghilterra; «Mi piace anche
stare ... » è materiale proveniente daJack Kroll.
Le informazioni su Adam Baldwin; ,.JJ farro che ti portava via ... »; «La cosa che vera-
mente ... »: <<New York Times», 4 settembre 1987.
Le informazioni su Dorian Harewood, Arliss Howard, Ed O'Ross e Kevyn Major
Howard sono tratte dalle note per la stampa su F11!1 Metaljacket.
Le informazioni su Anton Furst derivano da ricerche fatte dall'autore per By Desigw.
Le informazioni su Tony Spiridakis; il suo lavoro in F11ll Meta!Jacket; «Lo beccai ... »
sono tratte da un'intervista rilasciata all'autore da Tony Spiridakis.
Le informazioni sulla morte e il testamento di Jacques Kubrick sono tratte dalla Los
Angeles County Superior Court-Probate Records.
Le informazioni sulla nascita di Alexander Hobbs provengono dal Generai Register
Office, Inghilterra.
Le informazioni suii'Oscar, PlatrHm e Full Meta! Jacket sono tratte da Mason Wiley e
Damien Bona, /nside Oscar.
Il rinvio delle proiezioni di F11!1 Meta! Jacket è riportato su "Variety», 10 giugno
1987.
La modifica alla strategia di distribuzione per F111l Meta! }acket è riportata da
"Hollywood Reporter».
Le informazioni sul piano di distribuzione e sugli incassi di Full Meta!Jadet, le auto-
rità che cercano Hasford provengono da Martin Kasindorf, «Newsday», 8 luglio 1987.
Le informazioni sulle recensioni a Full Meta! }acket provengono da «Film Review
Annua!».
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Le informazioni sul tour promozionale di Lee Ermey per F111/ Meta/ ja.-ket e « ... che ci
sono certe aree.··" sono tratte dall'Archivio Warner presso la Usc.
Stanley Kubrick che riceve il premio Luchino Visconti è tratro dall'" Hollywood
Reporter», 6 giugno 1988.
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Gli Imprevisti
Régis Debray, Vita e morte dell'immagi11e. Una storia dello sg11ardo 111
Occidente, 1999.
Aldo Firrante, Questa è la storia ... Celmtano mila 1111/sica, 11el cimma e in
televisione, 1997.
Antonello Sarno, l/mio 110111e è Bond. Viaggio nel 111011do di 007, 1996.