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stimolati dall’allenamento e supportano il sistema immunitario dell’atleta,

contribuendo a mantenere il peso e la percentuale del tessuto adiposo.

Un’alimentazione corretta si dovrebbe basare sui seguenti cinque principi

(Berardi e Andrews 2009):

Principio 1: mangiare ogni due-quattro ore

La ricerca dimostra che mangiare a intervalli regolari stimola il

metabolismo, equilibra il glucosio ematico, aiuta a prevenire gli eccessi

dovuti alla fame e contribuisce a bruciare più grasso mantenendo la massa

magra. Questo principio assicura che le persone attive, che hanno un

bisogno calorico maggiore, possano soddisfare queste esigenze senza

mangiare cibi eccessivamente calorici che promuovono l’aumento della

massa grassa.

Principio 2: assumere proteine magre complete a ogni

pasto

Delle buone fonti di proteine sono la carne rossa magra, il salmone, le uova,

lo yogurt bianco magro e gli integratori proteici come le proteine isolate del

latte e del siero. Alcuni esperti affermano che un apporto alto di proteine sia

inutile o addiritura dannoso. La ricerca, invece, è piuttosto chiara: una dieta

ad alto contenuto di proteine è sicura e può essere importante per

raggiungere il miglior stato di salute, una composizione corporea ottimale e

la migliore prestazione atletica. Seguendo questo principio, gli atleti si

assicurano un apporto proteico adeguato stimolando il metabolismo,

migliorando la massa muscolare magra, il recupero e la riduzione del grasso

corporeo.

Principio 3: mangiare verdure a ogni pasto

La scienza ha dimostrato che le verdure contengono numerosi

micronutrienti (vitamine e minerali). Sono anche una fonte importante di

principi fitochimici (molecole di origine vegetale), essenziali per il

funzionamento fisiologico ottimale. Inoltre, le verdure e la frutta forniscono


al sangue il carico alcalino che equilibra il carico acido delle proteine e dei

cereali. Un equilibrio acido determina la perdita di calcio delle ossa e la

riduzione della massa muscolare. Un buon equilibrio può essere assicurato

dal consumo di due porzioni di frutta o verdura a ogni pasto.

Principio 4: per la perdita di peso, assumere fonti di

carboidrati diverse dalla frutta e dalla verdura soltanto

dopo l’esercizio

Questa strategia funziona bene per le persone che hanno depositi di grasso

difficili da smaltire. Essa funziona altrettanto bene anche per minimizzare

l’aumento del grasso per coloro che sono interessati a guadagnare massa

muscolare.

Principio 5: assumere grassi sani giornalmente

I grassi sani includono i grassi monoinsaturi (che si trovano nell’olio extra-

vergine d’oliva, nelle noci e nell’avocado) e polinsaturi (che si trovano nelle

noci, in alcuni oli vegetali, nel grasso dei pesci e negli integratori di olio di

pesce).

Ovviamente queste raccomandazioni devono essere modificate in base al

fenotipo dell’atleta (ectomorfo, mesomorfo o endomorfo), ai suoi obiettivi

in termini di composizione corporea, all’ergogenesi dello sport e alla fase

attuale del piano annuale (più avanti nel capitolo verrà spiegata la

periodizzazione dell’alimentazione).

Un ectomorfo, ossia un atleta che ha bisogno di costruire massa muscolare,

può assumere carboidrati semplici e proteine ad alta digeribilità prima,

durante e dopo la sessione di allenamento. Egli può anche mangiare cibo ad

alta densità di carboidrati a ogni pasto, come la pasta e i cereali integrali. Un

mesomorfo può usare i carboidrati semplici e le proteine ad alta digeribilità

durante e dopo la sessione di allenamento e mangiare cibo ad alta densità di

carboidrati nel pasto principale dopo l’allenamento. Un endomorfo, ossia un

atleta che ha bisogno di ridurre il grasso corporeo, può consumare una

bevanda durante l’allenamento che contenga aminoacidi glucogenetici

(BCAA, glutamina, glicina e alanina) e posporre di un’ora il pasto


principale dopo l’allenamento, per massimizzare l’effetto lipolitico

dell’ormone della crescita rilasciato durante l’allenamento.


Migliorare la composizione corporea dell’atleta

Il cambiamento della composizione corporea è definito come positivo

quando la massa magra aumenta e la massa grassa diminuisce. Bisogna

tenere a mente i seguenti principi di base:

◊ la dieta è il fattore più importante nella variazione della

composizione corporea;

◊ la riduzione e l’aumento di peso sono funzioni del bilancio

energetico, ossia la differenza tra le calorie assunte e le calorie

consumate. La sola perdita di peso non garantisce che la

composizione corporea sia migliorata;

◊ il rapporto tra i macronutrienti assunti determina la qualità

(definita come la differenza tra massa magra e massa grassa)

dell’aumento o della perdita di peso. Eventuali cambiamenti

nell’introito di carboidrati e grassi dovrebbero essere

inversamente proporzionali tra loro;

◊ a parità di deficit calorico, la combinazione di dieta ed esercizio

fisico con sovraccarico determina sempre un miglioramento della

percentuale di massa magra (con tutti i benefici che ne derivano),

rispetto alla sola dieta;

◊ è possibile incrementare contemporaneamente la massa magra e

ridurre la massa grassa. Questo, infatti, avviene normalmente con

i soggetti ben allenati – ossia quegli atleti i cui allenatori usano

concetti metodologici quali l’alternanza dei sistemi energetici e la

periodizzazione della forza – che seguono una dieta adeguata per

migliorare la propria composizione corporea.

5.2 LINEE GUIDA PER I CARBOIDRATI, LE

PROTEINE E L’IDRATAZIONE

La famosa “piramide alimentare” fu creata nel 1992 dal Dipartimento

dell’agricoltura degli Stati Uniti e rispecchia la filosofia della vecchia

dietologia che basava il controllo del peso sulla riduzione delle calorie,

soprattutto attraverso la diminuzione del consumo dei grassi. Da quella


piramide si evinceva che i carboidrati contenuti in pane, pasta, riso e

prodotti cerealicoli in genere costituivano un nutrimento di buona qualità e

che i grassi, indistintamente di origine animale o vegetale, saturi o insaturi,

erano una cattiva scelta. Quella piramide fu modificata nel 2005 ma,

rinominata MyPiramid, fu criticata poiché troppo influenzata dagli interessi

dell’industria alimentare. Ciò spinse, nello stesso anno, Walter Willet e

Patrick Skerrett della Harvard School of Public Health a pubblicarne una

versione migliorata, che venne definita Harvard Healthy Eating Pyramid.

La piramide migliorata mostrava le seguenti modifiche: riduzione del

consumo di prodotti derivanti dalla lavorazione di cereali, maggior consumo

di cereali integrali, incremento del consumo di frutta e verdura, incremento

del consumo di carne e fagioli e inclusione del consumo di grassi “buoni”

(insaturi, per lo più di origine vegetale) distinti dai grassi saturi (che

dovevano essere limitati). Restava comunque la mancanza di indicazioni

nella selezione degli alimenti, non distinguendo tra carboidrati a basso e alto

indice glicemico, tra carni grasse e carni magre, tra olii ricchi in omega 3 e

in omega 6; e la mancanza di indicazioni sul momento della giornata in cui

mangiare determinati alimenti (Berardi e Andrews 2009).

I seguenti paragrafi si occupano delle linee guida relative all’apporto di

carboidrati, proteine e sull’idratazione da noi consigliate.

Carboidrati

Durante la digestione i carboidrati sono scomposti e assorbiti come

monosaccaridi e disaccaridi, per lo più glucosio, la fonte primaria di energia

della maggior parte delle cellule umane. È consigliabile concentrare la più

alta percentuale di apporto giornaliero di carboidrati intorno alla sessione di

allenamento e mantenere le proporzioni tra i macro nutrienti al 55% di

carboidrati, 30% di proteine e 15% di grassi. Possono esserci periodi nel

piano annuale nei quali questo rapporto può essere modificato per favorire

gli adattamenti all’allenamento. Si discuterà questo argomento nella sezione

che riguarda la periodizzazione dell’alimentazione. Questo rapporto tra

macronutrienti dovrebbe essere utilizzato sia dagli atleti di sport di potenza,

sia da quelli di sport di resistenza che, tradizionalmente, impiegano invece

un rapporto molto più alto con il 70% di carboidrati, 15% di proteine e 15%

di grassi. Il rapporto qui suggerito migliora la sensibilità insulinica rispetto a


un apporto con carboidrati cronicamente alti. Una maggiore sensibilità

all’insulina, oltre ad avere effetti benefici sulla salute dell’atleta così come

sulla sua composizione corporea, di fato amplifica gli effetti della carica di

carboidrati che avviene cambiando il rapporto a 70% carboidrati, 15%

proteine e 15% grassi per tre o quattro giorni prima della gara.

Questa strategia è raccomandata per aumentare il glicogeno stoccato nei

muscoli per la maggior parte degli sport aerobici e glicolitici, ma non per gli

sport anaerobici alattacidi di potenza e velocità, poiché non utilizzano il

glicogeno come fonte primaria di energia e questo approccio potrebbe

portare a dei cambiamenti sfavorevoli nella composizione corporea.

Si ricordi che non tutte le fonti di carboidrati sono uguali. I carboidrati

semplici, spesso chiamati zuccheri, sono digeriti più velocemente e

raggiungono il flusso sanguigno sotto forma di glucosio più rapidamente

rispetto ai carboidrati complessi, costituiti da catene più lunghe di saccaridi

e, quindi, digeriti più lentamente. Il grado di complessità di un carboidrato

presente in un alimento ne determina l’indice glicemico, cioè la sua capacità

di elevare il livello di glucosio nel sangue. Un indicatore più preciso di

questa capacità è il carico glicemico, cioè l’indice glicemico moltiplicato

per la frazione di carboidrati presente in una porzione di un dato alimento.

Le tabelle 5.1 e 5.2 mostrano la differenza tra l’indice glicemico e il carico

glicemico di vari alimenti. La tabella 5.3 suggerisce il momento giusto per il

consumo durante la giornata, un fattore importante per un’alimentazione

adeguata. Infatti, un rapido incremento di glucosio nel sangue, causato

dall’ingestione di carboidrati semplici, stimola il pancreas a rilasciare più

insulina, che possiamo definire come un ormone di stoccaggio. Il suo

rilascio subito dopo una sessione di allenamento comporta una serie di

effetti positivi per l’adattamento, mentre una serie di picchi insulinici

durante la giornata influenzerebbe in maniera negativa la composizione

corporea dell’atleta e la sua salute. Per questo un atleta dovrebbe consumare

per lo più carboidrati complessi.


Tabella 5.1

Indice glicemico e carico glicemico di alcuni alimenti comuni

Tabella 5.2

Classificazione dell’indice glicemico e del carico glicemico


Tabella 5.3

Linee guida per il consumo dei carboidrati in base al carico glicemico

Legenda:

* = consigliato a dosaggio molto basso (50 milligrammi per chilogrammo di massa magra

[LBM]),

** = consigliato a dosaggio basso (250 milligrammi per chilogrammo di massa magra),

*** = consigliato a dosaggio moderato (400 milligrammi per chilogrammo di massa

magra),

**** = consigliato a dosaggio alto (800 milligrammi per chilogrammo di massa magra).

Proteine

Le proteine, che consistono in catene di aminoacidi, sono estremamente

importanti per la costruzione del tessuto muscolare e per sostenere una

grande quantità di funzioni fisiologiche. Un apporto proteico ottimale varia

da atleta ad atleta e dipende in parte dal volume dell’allenamento eseguito

con i sovraccarichi e dagli obiettivi della fase di allenamento. Generalmente,

però, la maggior parte degli atleti dovrebbe assumere da 1,2 a 2 grammi di

proteine al giorno per kilogrammo di massa magra nelle fasi di adattamento

anatomico, di conversione e di mantenimento. Per essere più precisi, un

atleta di resistenza dovrebbe solitamente consumare un quantitativo di


proteine orientato verso il limite inferiore, mentre un atleta di potenza

dovrebbe consumare un quantitativo che si avvicina a quello superiore.

Durante le fasi di ipertrofia e forza massima, gli atleti dovrebbero

considerare un apporto proteico tra i 2 e i 3 grammi per kilogrammo di

massa magra, poiché queste fasi presuppongono un allenamento della forza

ad alta intensità (Tipton e Wolfe 2004). Come discusso precedentemente in

questo capitolo, l’apporto proteico dovrebbe derivare da una varietà di fonti:

carne rossa magra, uova, yogurt bianco magro o formaggio, pollame, pesce,

frullati proteici e, occasionalmente, barrette proteiche.

L’idratazione

L’acqua rappresenta circa il 60% del peso del corpo umano. Perdendo dall’1

al 2% del peso corporeo a causa della perdita di liquidi, una persona sente la

sete, ma ciò implica già una diminuzione della prestazione negli sport di

resistenza. Una disidratazione del 4% causa crampi, preceduti da una

riduzione della forza e della coordinazione. Per questo la sensazione di sete

non è un buon indicatore dello stato di idratazione dell’atleta e, quindi, è

meglio prevenirla.

Per fare questo gli atleti devono bere acqua abbondantemente, prima,

durante e dopo l’allenamento e la gara. Un corpo ben idratato è in grado di

gestire meglio sia la fatica muscolare, sia quella cardiovascolare. Come linea

generale si ha bisogno di introdurre circa 3 l di liquidi al giorno, uno dei

quali è solitamente acquisito con il cibo. Un ulteriore mezzo litro è

necessario se ci si trova in un clima caldo; se ci si allena in tale clima, il

fabbisogno giornaliero può raddoppiarsi. La strategia di idratazione da

adottare è la seguente: 500 ml di fluidi 30 minuti prima dell’allenamento

più 250 ml ogni 15 minuti. Se si vogliono aggiungere carboidrati, la

soluzione non deve eccedere una concentrazione del 10%, per evitare un

ritardo nell’assorbimento e per prevenire problemi gastrointestinali (la

percentuale dovrebbe essere ridotta al 4% in un clima molto caldo). Gli

elettroliti possono essere aggiunti in una proporzione di 2:1:1 tra sodio,

potassio e magnesio, per un totale massimo di 500 mg (250, 125 e 125 mg,

rispettivamente). Per quegli atleti che competono in eventi che durano più di

45 minuti, può essere utile l’utilizzo di bevande sportive che ripristinino


l’equilibrio elettrolitico. La ricerca mostra che sorseggiare circa 150 ml di

una bevanda sportiva, a intervalli di 20 minuti, può aiutare a ridurre

l’utilizzo delle scorte di glicogeno muscolare e quindi ritardare l’insorgere

della fatica (Davis, Jackson et al. 1997; Davis, Welsh et al. 1999).

Alcune aziende produttrici di bevande sportive sul mercato, però, fanno

affermazioni che non sono validate dalla scienza (Coombes e Hamilton

2000); quindi gli atleti farebbero bene a fare acquisti ragionati. Inoltre, le

bevande sportive non sono generalmente di alcuna utilità agli atleti degli

sport che richiedono brevi scatti in velocità e potenza, come gli sprint, i

lanci e i salti, dato che essi non sudano quanto gli atleti di resistenza e non

utilizzano la stessa quantità di glicogeno (Powers et al. 1990). D’altro canto,

gli atleti che eseguono attività intermittenti ad alta intensità, come succede

in molti sport di squadra, possono beneficiare del consumo di bevande

sportive che offrono un mix di carboidrati ed elettroliti (Welsh et al. 2002).


Per combattere la fatica da disidratazione, un atleta dovrebbe bere prima,

durante e dopo la gara

La disidratazione solitamente deriva dall’allenamento intenso o dalla

competizione in un ambiente moderatamente caldo o caldo. Gli atleti che si

esercitano intensamente in un clima caldo perdono liquidi sotto forma di

sudore a un ritmo di 2-3 litri ogni ora. Per questo l’idratazione è importante

per il recupero dopo l’allenamento. Quando un atleta è disidratato, però,


l’acqua da sola è insufficiente per riportare il corpo allo stato di idratazione

pre-esercizio. Infatti, bere solamente acqua inganna il corpo a pensare di

essere super-idratato e quindi stimola i reni per incrementare la produzione

di urina, causando però un’ulteriore perdita di liquidi. La ricerca mostra che

se la concentrazione di sodio è più alta, come suggerito precedentemente,

l’ammontare di urina prodotta nelle ore successive all’allenamento è

inferiore (Maughan et al. 1993).

Dopo l’allenamento un atleta dovrebbe bere un volume di liquidi simile o

anche maggiore rispetto a quello perduto attraverso la traspirazione. Questa

quantità varia a seconda degli atleti; essa può essere calcolata pesando

l’atleta prima e dopo l’allenamento o la gara. Come regola generale, un

atleta dovrebbe bere circa 1,5 litri per ogni kilogrammo di peso perso.

Pianificando un’idratazione e un’alimentazione adeguate (in forma liquida o

solida, con i giusti integratori alimentari), l’atleta inizia il processo di

recupero e si prepara al carico di lavoro dell’allenamento o della gara che lo

aspettano.

PERIODIZZAZIONE DELLA NUTRIZIONE

La tabella 5.4 mostra una possibile periodizzazione della nutrizione per

un atleta di velocità e di potenza. Durante la fase di forza massima, le

proteine e le calorie sono aumentate per favorire uno stimolo anabolico,

mentre i carboidrati sono incrementati durante la preparazione specifica

che stressa pesantemente il sistema anaerobico lattacido. Durante la

fase competitiva, l’introito calorico viene ridotto, poiché la riduzione

del carico d’allenamento diminuisce il consumo di energia da parte

dell’atleta.
*introito proteico giornaliero di 2 g per chilogrammo di massa magra (LBM).

Proporzioni tra i macronutrienti:

3:2:1 (carboidrati:proteine:grassi). Per esempio, per un atleta di potenza di 80 kg di

LBM: 2320 kilocalorie tramite 240 g di carboidrati, 160 g di proteine e 80 g di

grassi.

** Proteine a 2,5 g per chilogrammo di LBM. Proporzioni macronutrienti: 3:2:1

(carboidrati:proteine:grassi). Per esempio, per un atleta di 80 kg, 2900 kilocalorie

derivate da: 2,5 grammi di proteine × 80 kg = 200 grammi di proteine × 4 kilocalorie

per grammo di proteine = 800 kilocalorie dalle proteine; 200 grammi di proteine ×

1,5 (con rapporto 3:2:1) = 300 grammi di carboidrati × 4 kilocalorie per grammo di

carboidrati = 1200 kilocalorie dai carboidrati; 200 grammi di proteine : 2 = 100

grammi di grassi × 9 kilocalorie per grammo di grassi = 900 kilocalorie dai grassi;

perciò un totale di 800 (proteine) + 1200 (carboidrati) + 900 (grassi) = 2900

kilocalorie.

*** Proteine a 2 grammi per chilogrammo di LBM. Proporzioni macronutrienti:

4:2:0,5 (carboidrati:proteine:grassi). Per esempio, per un atleta di 80 kg, 2280

kilocalorie derivate da 320 grammi di carboidrati, 160 grammi di proteine e 40

grammi di grassi. Le calorie vengono ridotte durante la fase di taper, principalmente

attraverso una riduzione dei grassi, in linea con la minor spesa energetica, così da

mantenere una composizione corporea ottimale per la prestazione specifica.

5.3 LA NUTRIZIONE PERI-ALLENAMENTO


Nel mondo sportivo si dice spesso che un allenamento è buono quanto il

recupero che lo segue. Questo detto si applica anche alla nutrizione.

L’allenamento ad alta intensità di forza, velocità e resistenza intacca le

riserve energetiche del corpo, consumando le riserve di glicogeno e

causando il catabolismo muscolare. Tuttavia, con un’alimentazione

adeguata immediatamente dopo l’esercizio, è possibile velocizzare il

recupero.

Negli ultimi anni ha ricevuto sempre più attenzione, da parte dei ricercatori,

degli allenatori, dei preparatori e dei medici sportivi, la cosiddetta

“nutrizione peri-allenamento”, ossia l’alimentazione nelle ore

immediatamente precedenti e immediatamente successive all’allenamento,

nonché in concomitanza con l’esercizio fisico stesso (Hawley J. A.-Tipton

K. D.-Millard-Stafford M. L. 2006, Hoffman et al. 2010, Kramer et al.

2006). Questa attenzione, ad esempio, è scaturita in una position statement

dell’International Society of Sports Nutrition (Kerskick 2008) e in un

documento congiunto dei medici sportivi e dei dietologi nord-americani

(American College of Sport Medicine, American Dietetic Association e

Dietitians of Canada 2000), che suggeriscono la nutrizione post-

allenamento come mezzo di incremento del recupero muscolare e

dell’adattamento dell’organismo.

Poiché l’allenamento comporta un forte disturbo all’omeostasi, con

conseguenti e importanti alterazioni fisiologiche, è parso sempre più

evidente che l’approccio nutrizionale allo sport dovesse tenere conto di tali

alterazioni per sfruttarle a favore di una maggiore qualità della prestazione e

di un accelerato e amplificato adattamento all’allenamento. Per esempio, nel

ciclo giornaliero i muscoli passano da uno stato di produzione di energia a

uno di recupero delle energie spese e a uno di adattamento; quest’ultimo

può determinare la crescita dei muscoli stessi, se è stato applicato uno

stimolo allenante in quella direzione.

Si capisce come ogni differente stato muscolare necessiti di un apporto di

macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) in misura diversa. Questo

significa che l’apporto nutrizionale corretto al momento giusto può


velocizzare il recupero e migliorare gli adattamenti in forza, potenza e

crescita dei muscoli.

Adottiamo, modificandone appena la terminologia, la distinzione di tre fasi

dello stato muscolare: energetico, anabolico e di adattamento, proposta da

Ivy e Portman (2004). Il primo stato coincide con l’allenamento, il secondo

con i 45 minuti immediatamente successivi a esso e il terzo con il periodo di

tempo che intercorre tra un allenamento e il successivo.

Le ricerche indicano che consumare un mix di carboidrati semplici nella

misura di 300-400 mg per chilogrammo di massa corporea magra (o metà

dosaggio o nessun carboidrato per le sessioni alattacide, a seconda

dell’obiettivo dell’allenamento) e proteine “veloci” (siero isolato o, ancor

meglio, idrolizzato), in rapporto 4-5:1 durante l’allenamento, apporta

benefici. Infatti, così facendo si riduce l’utilizzo del glicogeno muscolare del

50% (Haff et al. 2000) e il catabolismo muscolare (minore secrezione di

cortisolo), si limita la soppressione del sistema immunitario (che avviene

perlopiù attraverso la deplezione della glutammina, sempre mediata dai

livelli di cortisolo; Bishop, Blannin, Walsh et al. 2001), si riduce il danno

muscolare (marker infiammatori inferiori del 50%; Bishop, Blannin, Rande

et al. 1999; Ready, Seifert e Burke 1999), si incrementa la resistenza

muscolare e si velocizza il recupero post-allenamento (Ivy et al. 2003).

Questi effetti positivi possono essere estesi alla fase anabolica, momento in

cui la nutrizione ha un impatto determinante sugli effetti dello stimolo

allenante (Tipton e Wolfe 2001), assumendo lo stesso mix, ma in maggior

dosaggio (600-800 mg di carboidrati per kg di massa magra) e in rapporto

3:1 con le proteine. Per una seduta che ha l’obiettivo di stimolare il

meccanisno anaerobico alattacido, è consigliata una dose dimezzata. In

questo modo si sostiene al meglio il ripristino del glicogeno (+70%

nell’attività dell’enzima glicogeno sintetasi a seguito di uno spike insulinico

post-allenamento; Zawadzki, Yaspelkis e Ivy 1992) in un momento di

aumentata sensibilità cellulare all’insulina. Tale sensibilità inizia a ridursi

già dopo 30 minuti dalla cessazione dell’allenamento, fino a divenire

“resistenza all’insulina” dopo le due ore. Così facendo si ottimizza la sintesi

proteica: +200% dell’uptake aminoacidico cellulare e +25% della sintesi

proteica con integrazione carbo-proteica immediatamente post-allenamento


(Biolo, Tipton et al. 1997; Okamura et al. 1997; Biolo, Fleming e Wolfe

1995; Tipton et al. 1999; Biolo, Williams et al. 1999).

Bisogna sottolineare come il post-allenamento sia l’unico momento nel

quale uno spike nella secrezione di insulina non comporta una riduzione dei

livelli dell’ormone della crescita (mentre al contempo riduce i livelli di

cortisolo e di catabolismo muscolare; Grizard et al. 1999, Bennet e Rennie

1991, Rennie e Millward 1983). Questo sta indicare come l’organismo sia

teso a compensare il prima possibile sia i substrati energetici utilizzati, sia le

alterazioni di tipo strutturale indotte dall’allenamento. Inoltre, una meno

nota caratteristica del picco insulinico è la capacità di incrementare il flusso

sanguigno muscolare del 100%, favorendo la rimozione dei metaboliti e

l’apporto di nutrienti e di ossigeno, per un più rapido recupero e un miglior

adattamento. Ivy e Portman (2004) hanno diviso la fase di adattamento in

“segmento rapido” e “segmento prolungato”. Il primo segmento dura fino

alle 4 ore post-allenamento e prevede un ulteriore apporto di carboidrati

(60-80 mg/kg di massa magra) e proteine (200-300 mg/kg di massa magra)

a due e quattro ore dall’allenamento. Il secondo segmento, invece, prevede

un ritorno alle proporzioni di macronutrienti tipiche della dieta seguita. Per

gli atleti di potenza è consigliato un apporto proteico di circa 1,8-2,5 gr/kg

di massa magra. Questo dosaggio proteico è stato dimostrato essere

necessario nelle fasi di lavoro a intensità particolarmente elevata (Lemon et

al. 1997, Forslund et al. 2000). Ivy e Portman hanno commentato: “molti

nutrizionisti di tipo tradizionale […] evitano di considerare nei loro

programmi alcuni studi scientifici di base che negli ultimi due decenni

hanno dimostrato come la nutrizione potrebbe migliorare la prestazione

sportiva. […]

Questo abisso di informazione rappresenta una vera sfida per l’atleta di

forza serio, nel momento in cui egli prova a navigare tra le inesattezze e i

modi di pensare datati” (p. 83).

Il digiuno o il ritardo di alcune ore nel pasto post-allenamento esaurisce

ulteriormente l’organismo, ritarda la compensazione e rende l’atleta

impreparato alla sessione d’allenamento seguente eventualmente pianificata

entro le 24 ore successive. Sebbene a molti atleti, specialmente quelli delle


discipline di resistenza, piaccia assumere carboidrati invece di proteine dopo

l’allenamento di forza, questa consuetudine non sostiene l’elevato tasso

della sintesi proteica che segue l’allenamento (Borsheim et al. 2004).

Inoltre, l’allenamento a elevato volume e ad alta intensità talvolta eseguito

dagli atleti di resistenza non solo intacca le scorte di glicogeno, ma stimola

anche il catabolismo muscolare. Per questo motivo è importante che anche

questi atleti integrino la loro dieta con le proteine subito dopo l’esercizio.

Dopo l’allenamento, gli atleti più avanzati possono utilizzare un mix di

carboidrati (ad esempio, il Vitargo S2) e proteine a rapido assorbimento

(proteine del siero isolate o, ancor meglio, idrolizzate, poiché i di- e

tripeptidi delle proteine del siero idrolizzate sono assorbiti ancor più

velocemente degli aminoacidi in forma libera). Il recupero e l’adattamento

possono essere ulteriormente sostenuti con l’aggiunta di aminoacidi (ad

esempio, L-glutamina, taurina e L-leucina) e peptidi (creatina monoidrato).

LINEE GUIDA PER I PASTI PRE-GARA

Gli atleti dovrebbero consumare un pasto completo da tre a quattro ore

prima della competizione; mangiare in prossimità della gara può

causare problemi gastrointenstinali. Per stabilire cosa e come mangiare

in queste situazioni è possibile seguire le seguenti linee guida:

◊ il pasto dovrebbe essere composto almeno per il 50% di

carboidrati complessi, per fornire all’atleta le energie per la gara.

Egli dovrebbe evitare i carboidrati semplici, spesso contenuti, per

esempio, negli alimenti trasformati. Le bevande dolci (come la

cola) non dovrebbero essere consumate. Questo è un esempio di

un buon pasto pre-competizione: un piatto piccolo o medio di

pasta al pomodoro, un petto di pollo o un filetto di pesce magro

(fonti di proteine con pochi grassi) e un contorno di insalata con

un misto di verdure fresche;

◊ gli atleti che sono affamati una-tre ore prima della gara non

dovrebbero mangiare barrette di cioccolato o caramelle. Gli

zuccheri contenuti in questi alimenti sono digeriti velocemente,

ma il livello di energia dell’atleta calerà velocemente subito dopo.

Infatti, tali alimenti, classificati come cibi ad alto indice glicemico


(si faccia riferimento alla tabella 5.1) sono assorbiti dal flusso

sanguigno tanto velocemente quanto vi entrano e lasciano l’atleta

in uno stato di deficit energetico. La sonnolenza non è una buona

sensazione prima della competizione! Dopo una gara, tuttavia, i

cibi ad alto indice glicemico possono essere consumati per

ripristinare le riserve di glicogeno (Burkes, Collier e Hargreaves

1998);

◊ durante la gara è possibile ingerire una bevanda ipotonica o

isotonica (a seconda della temperatura esterna) ricca di

carboidrati digeribili velocemente, con proteine a rapido

assorbimento o amminoacidi (come suggerito precedentemente),

per favorire uno stato di idratazione e mantenere elevati i livelli di

glucosio nel sangue, aiutando così l’atleta a mantenere

l’espressione di potenza durante tutta la competizione (Fritzsche e

al. 2000). Nel corso dell’esercizio le cellule muscolari possono

ricevere glucosio dal flusso ematico indipendentemente dai livelli

di insulina; pertanto, anche se assume dei carboidrati ad alto

indice glicemico, l’atleta non è a rischio di ipoglicemia reattiva

(calo del glucosio nel sangue a causa di un innalzamento

repentino dell’insulina). Per le competizioni di lunga durata (oltre

i 45 minuti) si possono anche aggiungere carboidrati a basso

indice glicemico, come l’isomaltulosio e l’amido ceroso (waxy

maize);

◊ sia l’alcool, sia la caffeina possono disidratare il corpo. L’alcool,

inoltre, attiva il sistema di disintossicazione del corpo fino a 48

ore dalla sua digestione. Per questo motivo, gli atleti dovrebbero

evitare il consumo di alcool nelle 48 ore precedenti l’inizio della

gara. Se la temperatura ambientale è particolarmente alta e

l’evento è di media o lunga durata, la caffeina dovrebbe anch’essa

essere limitata nel giorno precedente la competizione;

◊ i cibi molto grassi e con molto olio sono digeriti lentamente e con

uno sforzo maggiore da parte dell’apparato digerente. Per questo

motivoi cibi tipici dei fast food dovrebbero essere esclusi dai piani

nutrizionali degli atleti, i quali dovrebbero prestare attenzione

anche ad assumere alimenti a cui il loro organismo è abituato. Il


pasto pre-gara non è il momento opportuno per provare nuove

ricette o alimenti a cui non si è abituati.

5.4 INTEGRATORI ALIMENTARI

Fitonutrienti, vitamine, aminoacidi essenziali e acidi grassi essenziali sono

necessari per il normale funzionamento fisiologico del corpo, ma non

possono essere prodotti dall’organismo: per questo è necessario apportarli

attraverso il normale regime alimentare o attraverso la sua integrazione.

Alcuni aminoacidi si definiscono “condizionalmente essenziali” poiché il

loro fabbisogno è fortemente incrementato in talune situazioni (ad esempio

la glutammina in periodi di allenamento intenso).

Nessun campo con il quale un professionista legato allo sport abbia a che

fare ha subito campagne di disinformazione e mistificazione come quello

degli integratori alimentari. Questo significa che la maggior parte delle

informazioni che “si sentono dire” sono scorrete o addirittura

completamente false. La disinformazione è disinformazione, da chiunque

provenga, quindi bisogna diffidare e verificare tramite gli studi scientifici.

Non solo: una volta letta una ricerca, bisogna considerare chi ha finanziato

lo studio (talvolta sono le stesse dite produttrici di integratori), il tipo di

soggetti studiati (esseri umani o animali), il loro numero (maggiore è,

meglio è), le loro caratteristiche (uomini o donne, età, grado di allenamento,

patologie eventuali), se è stato fato in doppio cieco (ossia i soggetti non

sapevano cosa stavano assumendo e il gruppo di controllo è stato invertito a

metà studio), i dosaggi impiegati, la forma di somministrazione impiegata e

così via.

Si possono trovare gli studi scientifici sui principi attivi degli integratori sul

sito PubMed, gestito dallo US National Institute of Health

(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). In questo sito eccezionale, archivio

della conoscenza scientifica mondiale, è possibile anche trovare tutti gli

studi sull’allenamento. La tabella 5.5 mostra una lista di integratori di

nutrienti essenziali e non essenziali che si possono utilizzare per migliorare

la qualità dell’allenamento, la prestazione di gara o accelerare il recupero e

l’adattamento.
Tabella 5.5

Integratori di nutrienti essenziali e non essenziali

INTEGRATORI E SPORT

Nel 2001 è stato condotto uno studio su 634 integratori alimentari

presenti sul mercato americano; di questi, 94 contenevano ingredienti

presenti nella lista delle sostanze proibite della WADA (Agenzia

Mondiale Anti-Doping - www.wada-ama.org), mentre altri 66

contenevano sostanze “dubbie” (Schanzer 2002). Se a questo si

aggiungono le notizie di alcuni atleti risultati positivi ai test antidoping

a causa di integratori contaminati da pro-ormoni, prodotti venduti negli

Stati Uniti come “integratori” fin dai primi anni 2000, si capirà

l’avversione di tante federazioni sportive verso gli integratori in genere.

Fortunatamente in Italia non esiste quel tipo di prodotti. Infatti, sempre

secondo lo stesso studio, i prodotti acquistati in Italia, Francia,

Svizzera, Belgio, Spagna e Norvegia avevano la probabilità più bassa di

contaminazione o di ingredienti non riportati in etichetta.

Questo non significa che si debbano escludere del tutto gli integratori di

origine americana; tra la fine degli anni 90 e i primi anni 2000 i fratelli

Bill e Shawn Phillips hanno pubblicato diverse review di prodotti

presenti sul mercato americano, facendoli analizzare e fornendo una

fotografia piuttosto precisa di come operino le ditte su quel mercato e di

quali, quindi, ci si possa fidare. Se non si riuscono a trovare queste

Supplement Review, si possono consultare i seguenti siti che si

occupano di analizzare gli integratori alimentari: NSF (www.nsf.org) e

ConsumerLab (www.consumerlab.com).

In genere le ditte affidabili sono quelle che nel business da più tempo,

che non commercializzano pro-ormoni, che hanno una reputazione di

qualità del prodotto, che non spendono soldi per un marketing fatto di

affermazioni “estreme” e che hanno prodotti con pochi ingredienti

(ditte come NOW Food, Prolab, Isatori, Met-Rx ed EAS).

Nell’analizzare la composizione degli integratori, bisogna ricordare che

gli ingredienti sono in ordine di quantità presente e che le proprietary


blend sono un trucco per far “saltare la fila” a uno o più ingredienti

importanti e/o costosi che sono presenti in scarsa quantità. Più che per

proteggere un mix di ingredienti in rapporti precisi, è un modo per far

sembrare il prodotto migliore, contenendone il costo.


PERIODIZZAZIONE COME

PIANIFICAZIONE E

PROGRAMMAZIONE

DELL’ALLENAMENTO

SPORTIVO

Sesto capitolo
Il termine periodizzazione si riferisce a due aspetti importanti: la

periodizzazione del piano annuale e la periodizzazione delle abilità

biomotorie.

La periodizzazione del piano annuale implica la suddivisione temporale

del programma in unità più piccole, al fine di una migliore gestione del

processo di allenamento e di adattamento, nonché del raggiungimento del

picco di forma nelle gare più importanti dell’anno, qualora necessario.

La periodizzazione del piano annuale è particolarmente utile per le seguenti

ragioni:

◊ aiuta gli allenatori a creare sistemi di allenamento strutturati

razionalmente;

◊ rende gli allenatori più consapevoli riguardo al tempo disponibile per

ogni fase e alla necessità dell’alternanza del carico di lavoro per

permettere gli adattamenti morfo-funzionali positivi;

◊ integra, al momento giusto, i mezzi tecnico-tattici, i mezzi per lo

sviluppo delle abilità biomotorie, la strategia nutrizionale, le tecniche

psicologiche per il miglioramento ottimale del potenziale motorio

dell’atleta e il raggiungimento della sua prestazione di picco;

◊ permette la gestione della fatica e l’esposizione a un maggior volume

di lavoro di elevata qualità;

◊ aiuta gli allenatori a pianificare una razionale alternanza di periodi di

carico e scarico nelle fasi di allenamento, massimizzando così

l’adattamento e la prestazione, ed evitando l’accumulo della fatica a

livelli critici e l’overtraining.

La periodizzazione delle abilità biomotorie permette di sviluppare a un

livello ottimale la forza, la velocità e la resistenza, come fondamento per

prestazioni sportive più elevate. Questa forma di periodizzazione si basa

sulle seguenti premesse:

◊ il miglioramento della prestazione è fondato sull’incremento del

potenziale motorio di un atleta (specie se di alto livello);

◊ gli adattamenti morfo-funzionali (cioè gli adattamenti positivi in

termini di struttura e funzioni dell’organismo) necessitano di un certo


tempo, nonché di alternanza tra lavoro e recupero per manifestarsi;

◊ lo sviluppo delle abilità biomotorie e il miglioramento della tecnica e

della tattica richiedono un approccio progressivo, in cui l’intensità

degli stimoli è incrementata gradualmente e sulla base di adattamenti

morfologici e funzionali indotti precedentemente;

◊ l’atleta non può mantenere il picco di forma per un tempo prolungato,

tantomeno indefinito.

6.1 PIANIFICAZIONE, PROGRAMMAZIONE E

PERIODIZZAZIONE

I termini pianificazione, programmazione e periodizzazione vengono spesso

impiegati come sinonimi. In realtà non è così: la pianificazione è il processo

di organizzazione di un programma d’allenamento in fasi lunghe e brevi per

raggiungere gli obiettivi d’allenamento e di gara, mentre la programmazione

è l’atto di riempire tale struttura con il contenuto nella forma di metodi e

mezzi di allenamento.

La periodizzazione incorpora sia la pianificazione, sia la programmazione,

in altre parole la struttura del piano annuale e il suo contenuto (consistente

in metodi e mezzi d’allenamento) che cambia nel tempo. Quindi, la

periodizzazione del piano annuale rappresenta la definizione della struttura

del processo di allenamento, e la periodizzazione delle abilità biomotorie la

definizione del contenuto. In altre parole, tutte le volte che si divide l’anno

in fasi e si stabilisce una sequenza di sviluppo delle abilità biomotorie, si

stila un piano periodizzato.

Alcuni critici della periodizzazione affermano che non è applicabile agli

sport di squadra, poiché è stata creata per quelli individuali, caratterizzati da

poche gare e quindi da periodi preparatori molto lunghi, con l’obiettivo del

raggiungimento del picco di forma in uno o più momenti dell’anno ben

definiti. Queste caratteristiche, periodo preparatorio lungo e stagione

competitiva breve, vengono a mancare in taluni sport di squadra, in

particolare dopo l’avvento del professionismo e delle stagioni competitive

particolarmente lunghe. Questa critica avrebbe ragion d’essere se gli

elementi che compongono un piano periodizzato potessero essere messi


assieme in una sola combinazione. In realtà, si possono progettare tanti

piani periodizzati quanti sono necessari e per tutto lo spettro delle possibili

situazioni che si possono incontrare nel processo dell’allenamento sportivo.

Inoltre, se si dovesse analizzare cosa questi critici fanno o suggeriscono di

fare, si vedrebbe che la loro pianificazione mantiene ancora la divisione

dell’anno in periodi più brevi e una periodizzazione delle abilità biomotorie,

qualificandola, quindi, come piano periodizzato. Infatti, ciò che

generalmente cambia per uno sport con una stagione competitiva lunga con

gare frequenti (come nel caso degli sport di squadra) è la durata delle fasi, la

periodizzazione delle abilità biomotorie e il rapporto tra lavoro generale e

lavoro specifico.

La figura 6.1 illustra gli elementi che compongono ogni teoria sulla

pianificazione dell’allenamento. La stessa periodizzazione, d’altra parte, è

un’ampia dottrina metodologica che include una molteplicità di concetti

teorici e metodologici. Prima di discutere di quale metodo di pianificazione

e di programmazione sia migliore per un determinato sport, è necessario

trovare un consenso sulla terminologia e, ancor più importante, sui concetti

che formano la teoria della periodizzazione dell’allenamento.


Figura 6.1

Schema di tutte le componenti di ogni teoria della pianificazione e della

programmazione dell’allenamento

6.2 TERMINOLOGIA DELLA PERIODIZZAZIONE

Il libro di Lev Matveyev Il problema della periodizzazione del processo

d’allenamento, edito nel 1964, nacque dall’analisi dei diari di allenamento

degli olimpionici sovietici che presero parte ai Giochi del 1952. Non deve

meravigliare, quindi, che negli stessi anni Tudor Bompa stesse già
applicando la periodizzazione dell’allenamento ai suoi atleti, tra i quali

Mihaela Penes (oro alle olimpiadi di Tokyo 1964 nel giavellotto), in

particolare sviluppando quello che sarà poi il suo concetto di

periodizzazione della forza. È però solo nel 1983 che egli inizia la sua opera

divulgativa, che porterà la periodizzazione alla popolarità, in particolare in

Nord America, grazie al libro “Periodizzazione. Teoria e metodologia

dell’allenamento”.

La terminologia di Bompa diferisce da quella dei sovietici, i quali parlano di

microciclo, mesociclo e macrociclo, quest’ultimo di varie durate:

semestrale, annuale, quadriennale (ciclo olimpico). I concetti impiegati da

Bompa utilizzano, invece, la seguente terminologia (tabella 6.1):

◊ piano annuale (il macrociclo annuale degli autori sovietici):

suddivisione dell’anno in fasi, sub-fasi, macrocicli e microcicli, al fine

di gestire meglio il processo d’allenamento. I piani annuali sono

caratterizzati dal numero delle fasi competitive e sono di conseguenza

definiti monociclici, biciclici o triciclici;

◊ fasi (macrociclo degli autori sovietici): preparatoria, competitiva e

transitoria;

◊ sub-fasi: l’ulteriore specificazione delle fasi, che prendono il nome di

preparazione generale, preparazione specifica, pre-competitiva,

competitiva propriamente detta e transitoria. Sono gruppi di macrocicli

che rispettano la direzione dell’allenamento definita dalla sub-fase, la

cui durata può variare da una settimana (una breve fase transitoria) a

ventiquattro settimane (una lunga fase di preparazione generale);

◊ macrociclo (mesociclo degli autori sovietici): gruppo di microcicli con

lo stesso obiettivo d’allenamento, in accordo con il macrociclo, la cui

durata può variare da due settimane (un macrociclo di scarico pre-

competitivo, detto taper) a sei settimane (un lungo macrociclo

introduttivo in preparazione generale), ma più frequentemente tre o

quattro settimane;

◊ microciclo: sequenza ciclica di unità d’allenamento che perseguono lo

stesso obiettivo d’allenamento del macrociclo, di durata che varia da

cinque a quattordici giorni, ma più frequentemente di una settimana;


◊ unità d’allenamento: è la singola sessione di allenamento con pause al

suo interno inferiori a 45 minuti.

Qui va fatta una distinzione: gli strumenti per la pianificazione sono il piano

annuale, le fasi e le sub-fasi, mentre il macrociclo, il microciclo e le unità

d’allenamento sono gli strumenti per la programmazione. Il primo gruppo

permette all’allenatore di stendere un piano d’azione a lungo termine,

mentre il secondo permette di definire nel dettaglio il contenuto del

processo d’allenamento. Generalmente, il processo di pianificazione e

programmazione inizia dallo strumento a lungo termine (il piano annuale) e

termina con quello a breve termine (l’unità d’allenamento). Il piano annuale

completo include, quindi, sia gli elementi della pianificazione (fasi e sub-

fasi), sia gli elementi della programmazione (macrocicli e microcicli, che

rappresentano la periodizzazione delle abilità biomotorie); esso descrive,

pertanto, l’intero processo d’allenamento (tabella 6.2). Si noti che il valore

dell’intensità dei microcicli è riferito ai mezzi e ai metodi in generale e non

al sistema energetico dominante.

La programmazione del processo di allenamento prende forma nel

microciclo, attraverso l’impiego di concetti metodologici come l’alternanza

del carico e dei sistemi energetici. Gli allenatori e i preparatori fisici

dovrebbero utilizzare le sessioni di allenamento e i test come elementi di

feedback e di previsione per modificare prontamente il programma

d’allenamento ai fini dell’individualizzazione e dell’ottimizzazione

dell’intero processo.
Tabella 6.1

Divisione del piano annuale nelle fasi e nei cicli di allenamento


Tabella 6.2

Piano annuale completo di uno sprinter in preprazione delle Olimpiadi del

2004

6.4 PERIODIZZAZIONE DELLE ABILITÀ

BIOMOTORIE

L’obiettivo dell’allenamento delle abilità biomotorie è migliorare le

prestazioni dell’atleta sulla base degli adattamenti morfologici e funzionali

specifici. La caratteristica più importante nell’allenamento delle abilità

biomotorie è la progressività del carico. Sebbene il potenziale motorio di un

atleta sia scritto nel suo codice genetico, la sua piena espressione richiede

che il processo d’allenamento sia composto da mezzi generali e specifici,

non solo per il principio della varietà dell’allenamento, ma anche per

rispettare l’allenabilità delle abilità biomotorie stesse. Per esempio,

l’allenabilità determina che l’allenamento della resistenza negli sport di

lunga durata debba essere per lo più specifico, fino a raggiungere il 90% del

tempo totale di allenamento annuale. Diversamente, la minore allenabilità

della velocità richiede una maggiore concentrazione sui mezzi generali

(come la forza nelle sue varie espressioni).


Quattro elementi differenziano le varie metodologie di pianificazione e

programmazione dell’allenamento nella periodizzazione della forza, della

velocità e della resistenza:

1. l’integrazione tra le varie abilità biomotorie;

2. lo sviluppo di ciascuna abilità biomotoria nel piano annuale;

3. il grado di specificità dei mezzi di allenamento impiegati nel piano

annuale;

4. la progressione del carico negli elementi della programmazione a

breve termine (microciclo e macrociclo).

L’integrazione delle abilità biomotorie

Per integrazione tra le abilità biomotorie nel processo d’allenamento si

intende il modo in cui forza, velocità e resistenza siano allenate in rapporto

l’una con l’altra. All’atto della programmazione, il preparatore atletico

dovrà considerare le dinamiche per le quali l’allenamento di ognuna delle

capacità influisce sull’allenamento delle altre e come la sommatoria degli

stimoli influisca sull’adattamento strutturale e funzionale dell’atleta. Dalla

sezione del piano annuale dedicata alla periodizzazione delle abilità

biomotorie, è possibile capire come le abilità motorie siano integrate tra di

loro, osservando il contenuto dell’allenamento della forza, della velocità e

della resistenza in ciascun macrociclo (tabella 6.3). A seconda di come le

capacità motorie sono integrate tra loro, è possibile individuare due schemi:

integrazione complessa e integrazione sequenziale.

Tabella 6.3
La lettura verticale del piano annuale illustra l’integrazione tra le abilità

biomotorie (in questo caso adattamento anatomico, velocità e resistenza

generale nel ciclo di preparazione generale)

Integrazione complessa

Con questo approccio forza, velocità e resistenza sono allenate tutte

contemporaneamente, durante tutto l’anno. Il carico di ciascuna abilità è

distribuito per la durata del piano annuale. Questo tipo di integrazione è

indicata per qualsiasi tipo di sport, inclusi quelli (come quelli di squadra) in

cui la fase preparatoria è breve e quella competitiva è lunga, senza necessità

di particolari picchi di forma. Questo è anche l’unico modo di integrazione

indicato per gli atleti giovani, che necessitano di un approccio multilaterale,

e per gli atleti con poca esperienza sportiva in genere.

Integrazione sequenziale

Con questo approccio, spesso definito come “periodizzazione a blocchi”, i

carichi per la forza, la velocità e la resistenza sono concentrati in blocchi

che si susseguono nel piano annuale. Poiché, ad esempio, il blocco di forza è

dedicato quasi esclusivamente allo sviluppo di questa abilità, ilproblema

principale dell’integrazione sequenziale risiede nella difficoltà del

mantenimento sia delle abilità tecniche, sia delle altre abilità motorie

specifiche. Per questa ragione, questa soluzione è di più facile applicazione

per atleti di potenza e velocità (non necessariamente di alto livello) con

esperienza, che possono mantenere con più facilità le altre abilità. Un altro

possibile limite di questo metodo di pianificazione è che, durante il blocco

di velocità o di resistenza, non è previsto un mantenimento della forza, cosa

che potrebbe portare alla riduzione della potenza se la fase competitiva è

lunga. Una versione più breve di integrazione sequenziale è indicata per gli

sport con racchetta e per gli sport da combattimento, nei quali le

competizioni sono concentrate in diversi e brevi periodi dell’anno.

In alcune discipline, durante la fase preparatoria, gli allenatori perseguono

lo sviluppo di molti aspetti della preparazione fisica, come la potenza

aerobica, la forza massima, la resistenza muscolare, lo sviluppo

dell’accelerazione e la resistenza specifica. Ognuno di questi elementi

implica adattamenti morfo-funzionali e psicologici che talvolta sono in

conflitto tra loro. Per esempio, gli adattamenti ricercati con l’allenamento
per l’ipertrofia (sia a livello di struttura muscolo scheletrica, sia a livello

neurale) sono limitati dal dispendio metabolico e neurale dell’allenamento

di resistenza. Quindi, è consigliabile stabilire il contributo di questi due

elementi al potenziale motorio dell’atleta, in accordo con lo sport praticato e

con le caratteristiche individuali. In questo modo è possibile dare la priorità

a un elemento rispetto all’altro e sviluppare le abilità biomotorie secondo le

caratteristiche specifiche di uno sport, senza dover per forza separare

l’allenamento di un’abilità motoria da quello dell’altra, rischiando di

deallenare la prima.

Sviluppo delle abilità biomotorie

Per sviluppo si intende la modalità con la quale si vuole allenare, o

sviluppare, un‘abilità biomotoria nel piano annuale.

Nella parte del piano annuale dedicata alla periodizzazione delle abilità

biomotorie, lo sviluppo è rappresentato dalla riga orizzontale dedicata a

ciascuna di esse (tabella 6.4).

Tabella 6.4

Sviluppo sequenziale della forza nel piano annuale

Lo sviluppo delle abilità biomotorie può essere complesso, sequenziale o

pendolare. Ognuna di queste opzioni è spiegata nei seguenti paragrafi.

Sviluppo complesso
Nello sviluppo complesso di un‘abilità biomotoria, due espressioni della

medesima sono allenate contemporaneamente (per esempio forza massima e

potenza o forza resistente). I mezzi allenanti impiegati sono sia di natura

generale sia di natura specifica. Questo approccio può essere utilizzato a

diversi livelli della programmazione:

• unità d’allenamento: la forza massima e la potenza o la resistenza

muscolare sono allenate nella singola unità d’allenamento;

• microciclo: la forza massima e la potenza o la resistenza muscolare

sono allenate nello stesso microciclo, ma in unità d’allenamento

diverse;

• macrociclo: la forza massima e la potenza o la resistenza muscolare

sono allenate nello stesso macrociclo, ma in microcicli diversi;

• se due qualità vengono allenate in maniera alternata nel macrociclo (ad

esempio, un microciclo di forza massima, seguito da uno di potenza,

seguito a sua volta nuovamente da uno di forza massima, per terminare

con un altro microciclo di potenza), si ha quello che viene chiamato un

macrociclo “a pendolo”.

Si vedrà più avanti com’è possibile organizzare in modo razionale una

programmazione di tipo complesso, sia nel microciclo, sia nell’unità di

allenamento, sebbene quest’ultima opzione abbia applicazioni piuttosto

limitate (nell’allenamento giovanile e in quello di alcuni sport di squadra a

livello diletantistico, o per il mantenimento della forza massima e della forza

specifica in fase competitiva: tutte situazioni nelle quali il numero di unità

d’allenamento settimanali è molto ridotto).

Si noti che quando la durata del periodo in cui si applica uno sviluppo

complesso di un’abilità biomotoria è breve (da quattro a sei settimane), gli

effeti positivi a livello funzionale sono molto marcati, mentre la loro durata

è piuttosto ridotta per la mancanza di tempo per l’adattamento morfologico.

Ad esempio, si consideri una squadra di calcio dilettantistico il cui

allenatore pensa che la preparazione fisica termini con l’inizio del

campionato. Durante la preparazione, la squadra si allena secondo

un’integrazione e uno sviluppo complessi delle abilità biomotorie. In altre

parole, tutte le abilità sono allenate contemporaneamente in tutti i loro

aspetti: potenza, resistenza muscolare, resistenza aerobica, potenza lattacida


breve e velocità. Al termine di questa fase, però, l’allenatore si affida

soltanto all’allenamento specifico e la squadra lentamente perde gli

adattamenti ottenuti a inizio stagione.

Sviluppo sequenziale

Nello sviluppo sequenziale, come implica la definizione, gli aspetti di

un’abilità biomotoria sono allenate una dopo l’altra, in maniera sequenziale.

Per esempio, l’adattamento anatomico è seguito dalla forza massimale,

seguita a sua volta dalla potenza. La sequenza è tale per cui ogni elemento è

propedeutico allo sviluppo di quello successivo, come ad esempio la forza

massimale come base per la potenza e la potenza come base per la velocità.

La durata di ogni stimolo allenante è determinata dal tempo necessario

all’adattamento morfo-funzionale a tale stimolo.

La tabella 6.5 mostra come ciascuna abilità biomotoria venga sviluppata per

stimolare il massimo sviluppo del potenziale motorio di un velocista. Per un

velocista che corre i 100 metri, la forza specifica è la potenza resistente e il

mix specifico di velocità e resistenza è la velocità resistente (potenza

lattacida).

Tabella 6.5

Continuum degli adattamenti morfo-funzionali per un velocista dei 100 m

Legenda: M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza

resistente.

Una volta terminato il macrociclo di adattamento anatomico, viene allenata

la forza massima per poi massimizzare la potenza. L’accelerazione è la base

tecnica e di output di potenza per la velocità e un basso volume di lavoro di


potenza aerobica aiuta l’atleta nel recupero tra le sessioni di lavoro

anaerobico. Nella fase successiva la potenza è allenata come base neurale

della potenza resistente e della velocità e l’allenamento di resistenza diviene

capacità lattacida per creare gli adattamenti metabolici necessari per la

massimizzazione della resistenza specifica: la potenza lattacida. In seguito,

la velocità massima e successivamente la potenza resistente sono allenate

per creare gli adattamenti fisiologici per massimizzare la velocità resistente.

Questo esempio mostra come lo sviluppo e l’integrazione delle abilità

biomotorie possano essere pianificati razionalmente per incrementare la

prestazione.

Realizzazione immediata e ritardata

Per quanto concerne la periodizzazione sequenziale, i parametri di carico

possono essere manipolati per produrre una realizzazione immediata o

ritardata. Con la realizzazione immediata si persegue il massimo

miglioramento dell’abilità biomotoria in questione in concomitanza con la

fine del macrociclo. Più specificamente, il volume di lavoro di un‘abilità

biomotoria è tale da permettere un miglioramento della qualità allenata già

dopo un periodo di scarico limitato (solitamente una settimana). Con questo

approccio è possibile allenare la velocità e gli elementi tecnico-tattici in

contemporanea con l’allenamento della forza.

Con l’approccio a realizzazione ritardata, invece, l’entità della

concentrazione del carico sarà tale da decrementare temporaneamente gli

indici utilizzati per valutare l’abilità biomotoria allenata o l’abilità

biomotoria specifica al termine del macrociclo (chiamato anche

“overreaching pianificato”). Solo successivamente essi miglioreranno in

concomitanza con un macrociclo successivo caratterizzato da un lavoro

maggiormente specifico in funzione della disciplina sportiva praticata. Per

questo motivo è necessario che le esercitazioni tecniche, di velocità o di gara

siano temporalmente successive al periodo di concentrazione di carico, per

poi sfruttarne l’effetto di allenamento a lungo termine (periodizzazione a

blocchi).

Sviluppo pendolare

Nello sviluppo pendolare due qualità sono allenate in alternanza. Per

esempio, un macrociclo di forza massima è seguito da un macrociclo di


potenza, seguito a sua volta da un altro macrociclo di forza massima,

seguito da un altro macrociclo di potenza. Questo approccio è

particolarmente indicato per gli sport con racchetta e gli sport da

combattimento, per i quali una fase troppo lunga di forza massima potrebbe

influenzare negativamente l’espressione di potenza negli esercizi specifici e

il cui calendario delle gare, talvolta imprevedibile, richiede che l’atleta non

riduca troppo la propria prontezza a competere.

Specificità dei mezzi di allenamento

Anche per l’utilizzo dei mezzi di allenamento si può distinguere tra un

approccio complesso e uno sequenziale. Nel primo caso si osserva un

utilizzo simultaneo e immediato di mezzi generali, specifici, di intensità

moderata e di intensità alta. Data la breve preparazione e la lunga stagione

competitiva, questo approccio è oggi comune negli sport di squadra.

Nell’approccio sequenziale, invece, sia la specificità, sia l’intensità degli

stimoli sono progressivamente maggiori. Questo perché il potenziale

allenante dei diversi mezzi diminuisce nel tempo, ossia all’aumentare della

preparazione dell’atleta che con essi è stato allenato. Utilizzando i mezzi

maggiormente specifici e intensi, applicati successivamente sulle tracce

degli adattamenti morfo-funzionali indotti dai mezzi generali, si riesce ad

aumentare costantemente le abilità biomotorie nel lungo periodo

(Verkhoshansky 2008).

Questo approccio è particolarmente indicato per sviluppare il potenziale

motorio degli atleti negli sport individuali con una fase di preparazione

lunga.

Andamento del carico

Diversi allenatori utilizzano un carico di allenamento costante durante

l’anno, definito come carico “standard”. Alcune squadre si allenano 6-12

ore alla settimana per tutto l’anno, mantenendo i contenuti dell’allenamento

pressoché invariati.
Il carico standard porta miglioramenti iniziali che stallano precocemente e

vengono persi durante la fase competitiva. D’altra parte, è stato dimostrato,

sia scientificamente, sia empiricamente, che una progressione lineare del

carico, sebbene sia un modo efficace di incrementare gli stimoli per i

principianti, non è un metodo ottimale per gli atleti intermedi e avanzati.

È piuttosto improbabile, infatti, che un sistema biologico progredisca in

maniera meccanica o matematica nel tempo. Per stimolare degli adattamenti

morfo-funzionali continui e positivi, invece, un approccio migliore è

rappresentato dall’utilizzo di un modello ciclico, ondulatorio, che si auto-

regola. Tali caratteristiche possono, anzi devono essere prese in

considerazione nella realizzazione di un piano periodizzato.

Ondulazione a livello del macrociclo

L’ondulazione del carico può avvenire sia a livello del macrociclo, sia a

livello del microciclo. Come mostrato nella figura 6.2, l’andamento

ondulatorio del carico all’interno del macrociclo si ottiene in seguito

all’alternanza di microcicli con carico diverso. Il primo esempio in figura

mostra una sequenza di carico medio-alto, medio, alto e basso, utilizzata

talvolta dalla nazionale di sollevamento pesi cubana. Il secondo esempio

mostra una sequenza di carico alto, medio, medio-alto e basso. Il carico nel

macrociclo può ondulare anche in seguito a un microciclo di scarico alla

fine del macrociclo stesso. L’esempio n° 3 mostra questo approccio in un

macrociclo tipico della preparazione generale, con un andamento del carico

“a step” (medio, medio-alto, alto e basso), mentre il quarto esempio mostra

questo approccio in un macrociclo tipico della preparazione specifica, con

un andamento del carico “flat” (alto, alto, basso). Il microciclo di scarico

posto alla fine del macrociclo determina un andamento ondulatorio del

carico da un macrociclo all’altro (figura 6.3).


Figura 6.2

Quattro modi per ottenere un macrociclo ondulatorio

Figura 6.3

La programmazione di un microciclo di scarico al termine del macrociclo

massimizza gli adattamenti e dà un carattere ondulatorio alla progressione

del carico

Ondulazione a livello del microciclo

L’ondulazione del carico all’interno del microciclo segue i concetti

metodologici fondamentali dell’alternanza dei sistemi energetici e

dell’alternanza del carico (figure 6.4 e 6.5). Nel pianificare i microcicli


competitivi, dobbiamo considerare anche la necessità dello scarico pre-gara

e del recupero post-gara (figura 6.6).

Figura 6.4

Alternanza dei carichi all’interno del microciclo in un programma per il

powerlifting ad alta frequenza

Figura 6.5

Alternanza dei carichi all’interno del microciclo in un programma per la

forza massima per uno sport individuale


L’autoregolazione del carico d’allenamento è ottenuta attraverso molteplici

mezzi: controllo costante dell’attività motoria, dati oggettivi raccolti durante

le sessioni, prontezza a cambiare il programma giornaliero in base al

feedback degli atleti e test di controllo nel microciclo di scarico posto al

termine del macrociclo. La periodizzazione non è scolpita nella pietra. La

rigidità meccanicistica spesso associata al concetto di periodizzazione è

forse derivata dalla periodizzazione lineare della forza resa popolare in Nord

America negli anni 80 e che richiedeva fasi di allenamento molto lunghe,

durante le quali l’organismo era sottoposto a una progressione praticamente

aritmetica.

Tale approccio ha poco a che fare con le più sofisticate e intelligenti

strategie dei migliori allenatori, che basano la regolazione del carico

d’allenamento su un processo continuo di feedback, feedforward e

regolazione, proprio come dovrebbe essere. La periodizzazione è, infatti, un

insieme di concetti metodologici applicati di volta in volta in funzione del

contesto specifico. Per questa ragione essa può assumere diverse forme. I

preparatori atletici dovrebbero essere consapevoli dell’esistenza di diversi

modelli di pianificazione, ognuno dei quali è più indicato per certi sport o

per un dato livello di sviluppo sportivo dell’atleta.

Dal punto di vista della programmazione, la conoscenza della metodologia

dell’allenamento e della fisiologia dell’esercizio dovrebbe permettere loro di

prevedere come l’organismo dei propri atleti risponda agli stimoli di

allenamento, in modo da realizzare gli adattamenti morfo-funzionali

desiderati. In ogni caso, l’ottenimento dei migliori risultati richiede un

controllo costante, l’uso dei test e l’adattamento del programma.


LEGGI E PRINCIPI

DELL’ALLENAMENTO DELLA

FORZA PER LO SPORT

Settimo capitolo
L’applicazione corretta delle leggi e dei principi dell’allenamento assicura

una migliore organizzazione del lavoro, con una probabilità d’errore

inferiore. Le sete leggi descritte nella sezione successiva costituiscono la

base per qualsiasi programma d’allenamento della forza. I principi

dell’allenamento (affrontati verso la fine del capitolo) rappresentano

l’applicazione pratica delle leggi all’interno dei programmi di forza.

Una casa è forte quanto le sue fondamenta. Le sette leggi dell’allenamento

della forza collaborano alla costruzione di un atleta forte, flessibile e stabile,

che può sostenere lo stress indotto dall’attività sportiva. Questo risultato

passa attraverso il rinforzo dei tendini, dei legamenti e delle ossa, il

rafforzamento del “core” e l’adattamento progressivo dell’organismo alle

azioni specifiche dello sport. Le leggi sono valide per tutti gli atleti,

indipendentemente dalle caratteristiche fisiologiche di ogni sport.

I principi dell’allenamento favoriscono un incremento continuo della forza e

delle altre abilità attraverso l’adattamento del programma alle esigenze

specifiche della disciplina e, soprattutto, alle caratteristiche dell’atleta. Le

leggi e i principi funzionano in maniera sinergica al fine di sviluppare il

miglior programma di forza. Questi principi, assieme alla periodizzazione

della forza e all’integrazione dell’allenamento della forza con l’allenamento

dei sistemi energetici, sono essenziali per ottenere risultati di successo.

7.1 LE SETTE LEGGI DELL’ALLENAMENTO

DELLA FORZA

Qualsiasi programma di allenamento della forza dovrebbe essere progettato

partendo dalle sette leggi, in modo da assicurare sia l’adattamento positivo,

sia la prevenzione degli infortuni. Queste nozioni sono particolarmente

importanti per gli atleti giovani o, in genere, per i principianti, poiché

assicurano una buona base sulla quale costruire un allenamento più

specifico nelle tappe successive dello sviluppo atletico.

Legge n°1: sviluppo della mobilità articolare

Per lo sviluppo simultaneo della forza e della mobilità, gran parte degli

esercizi per il potenziamento muscolare dovrebbero essere eseguiti


utilizzando un range di movimento completo per tutte le articolazioni

principali, specialmente le caviglie, le ginocchia e le anche. Una buona

mobilità articolare previene le distorsioni e i dolori alle articolazioni, così

come gli infortuni da sovraccarico. Dovrebbe essere posta particolare

attenzione alla mobilità della caviglia, alla flessione dorsale e a quella

plantare (movimento del dorso del piede verso la tibia e movimento in

allontanamento da essa) da parte di tutti gli atleti, specie i principianti. Essi

dovrebbero sviluppare la flessibilità della caviglia in fase di prepubertà e

durante la pubertà, in modo che nel periodo successivo sia sufficiente

mantenerla.

Due ottimi metodi per migliorare la flessibilità sono lo stretching passivo e

lo stretching PNF. Nel caso di presenza di aderenze miofasciali (la miofascia

rappresenta il 41% della resistenza passiva al movimento di

un’articolazione; Johns e Wright 1962), alcuni metodi efficaci sono

l’utilizzo di foam roller, gli esercizi di Kelly Starrett con gli elastici per il

rilascio della miofascia e le sedute di rilascio miofasciale con un operatore

certificato.

Il rilascio miofasciale incrementa la flessibilità muscolare e la mobilità

articolare senza influenzare negativamente la prestazione (Sullivan et al.

2013, McDonald et al. 2013, Healey et al. 2014). Infatti, per raggiungere la

massima prestazione, la miofascia deve essere rilasciata prima di una gara,

specie negli sport di velocità e potenza.

Legge n°2: rinforzo dei tendini e dei legamenti

La forza muscolare migliora più rapidamente rispetto a quella dei tendini e

dei legamenti. Un uso improprio del principio di specificità o la mancanza

di una pianificazione a lungo termine inducono molti allenatori e preparatori

a trascurare il rafforzamento di tendini e legamenti, nonostante sia ben noto

come la maggior parte degli infortuni muscolari avvenga non nel ventre del

muscolo, ma alla giunzione miotendinea. Le cause vanno ricercate nel fatto

che, in assenza di un adattamento anatomico adeguato, un allenamento

intenso potrebbe provocare danni proprio a livello di queste strutture. Una

sollecitazione corretta, invece, determina un aumento del diametro del


tessuto connettivo che costituisce tendini e legamenti, elevandone la

capacità di resistenza alla tensione e agli strappi.

I legamenti, che sono costituiti da filamenti proteici di collagene, hanno

l’importante ruolo di collegare le estremità delle ossa che formano

un’articolazione. Le fibre di collagene sono distribuite secondo diverse

angolazioni, per resistere agli incrementi di carico. La forza di un legamento

dipende direttamente dalla sua sezione trasversa. Esso si può lesionare a

causa di un eccesso di forza su una particolare articolazione, specie ad

angolazioni estreme o con rotazioni non fisiologiche. Durante una normale

attività, i legamenti si allungano facilmente per permettere il movimento

articolare. Quando invece il carico sull’articolazione incrementa, come in

un’attività ad alta intensità o di gara, lo stesso accade alla stiffness dei

legamenti, al fine di evitare un’eccessiva mobilità dei capi ossei. Se il carico

è eccessivo, il legamento si può danneggiare.

Il miglior modo di prevenire questo tipo di infortunio è quello di preparare

gradualmente l’organismo a sopportare questo tipo di stress. Per adattare i

tendini e i legamenti a sopportare stimoli elevati, gli atleti devono

incrementare progressivamente il carico e alternarlo a periodi di scarico,

così come avviene nella fase di adattamento anatomico. La progressività

migliora le caratteristiche viscoelastiche dei legamenti e permette di

sopportare le grandi forze in trazione generate durante i movimenti

dinamici, nel corso dell’allenamento per la forza massima e nell’esecuzione

degli esercizi pliometrici.

I tendini, d’altra parte, uniscono i muscoli alle ossa e trasmetono la forza dai

primi alla struttura scheletrica, in modo da permettere il movimento. I

tendini immagazzinano anche l’energia elastica, una caratteristica essenziale

per i movimenti balistici, come quelli usati nella pliometria. Più resistente è

il tendine, maggiore è la sua capacità di immagazzinare energia elastica. I

tendini forti sono quindi una caratteristica dei velocisti e dei saltatori.

Sia i legamenti, sia i tendini sono allenabili. La loro composizione e le loro

proprietà strutturali cambiano in risposta all’allenamento, diventando più

spessi, più forti e con una stiffness maggiore, fino al 20% in più (Frank
1996). Inoltre, i legamenti e i tendini sono capaci di ripararsi, anche se

talvolta non possono tornare allo stato pre-infortunio. Tenendo a mente tutto

ciò, l’esercizio, in particolare quello eseguito durante la fase di adattamento

anatomico, può essere considerato un metodo di prevenzione degli infortuni.

Se il rafforzamento di legamenti e tendini è trascurato, i primi non

assicurano più l’integrità delle articolazioni e i secondi non potranno

garantire una trasmissione ottimale della forza. Ad esempio, coloro che

usano gli steroidi incrementano la forza del ventre muscolare, a scapito delle

proprietà dei tendini e dei legamenti (Woo et al. 1994). Più in generale,

l’aumento della forza senza il contemporaneo rafforzamento dei legamenti e

dei tendini può portare all’infortunio di queste strutture, come succede

spesso ai giocatori di football americano.


© AP Photo/Danny Moloshok
Durante la schiacciata i muscoli del core si contraggono per stabilizzare il

tronco, in modo che le gambe possano eseguire uno stacco potente, e le

braccia colpire la palla

Legge n°3: sviluppo della forza del core

Gli arti superiori e quelli inferiori sono tanto forti quanto forte è il core. In

altre parole, muscoli del tronco poco sviluppati non costituiscono un

supporto adeguato per sostenere il lavoro molto intenso di braccia e gambe.

Un programma di allenamento della forza a lungo termine dovrebbe

innanzitutto sviluppare i muscoli del tronco, prima di dedicarsi agli arti

inferiori e a quelli superiori. I muscoli del tronco sono attivati in particolar

modo durante le attività come salti e balzi. Essi stabilizzano il corpo e

fungono da collegamento tra gambe e braccia. Muscoli del tronco deboli

non possono svolgere questi ruoli essenziali, limitando così la prestazione.

La maggior parte di questi gruppi muscolari è costituita da fibre a

contrazione lenta, dato il loro ruolo nel mantenimento della postura e la loro

continua attivazione durante le azioni degli arti. Essi si contraggono

continuamente, ma non necessariamente in maniera dinamica, per creare

una solida base di supporto per le azioni degli altri gruppi muscolari.

Molte persone, inclusi alcuni atleti, si lamentano di problemi alla regione

lombare, ma nonostante questo non fanno molto per risolverli. La migliore

protezione contro il mal di schiena sono muscoli della schiena e addominali

forti. Questa zona del corpo non dovrebbe essere trascurata dai preparatori e

dagli atleti. Allo stesso tempo, l’allenamento per i muscoli del tronco, o core

training, rappresenta una nuova moda i cui “nuovi esercizi” non sono tutti

utili o privi di rischi. In questa sezione viene illustrato il nostro punto di

vista riguardo il potenziamento del core. Si ritiene, infatti, che un eccesso di

enfasi sull’allenamento di questa regione anatomica e funzionale (anche

nelle sue forme “ibride” di “forza propriocettiva”) non dia alcun risultato in

termini di prestazione ma, di fato, distragga l’atleta dall’esecuzione di una

serie di esercizi fondamentali ai fini della performance sportiva: quelli che

sollecitano i gruppi motori principali.

Muscoli addominali
I muscoli dorsali, i lombari e gli addominali circondano la parte centrale del

corpo come una stretta e potente struttura di supporto, composta da fasci

muscolari che si diramano in diverse direzioni. Se gli addominali sono

deboli, il bacino subisce una antiversione, causando un’iperlordosi della

colonna lombare. Il retto addominale è disposto verticalmente e ha un ruolo

anti-estensorio della colonna, al fine di mantenere la postura: ad esempio

quando l’anca si flette con le gambe fissate, come succede durante un sit-up.

Gli addominali obliqui interni ed esterni aiutano il retto addominale a

flettere il tronco in avanti (flessione della colonna – piano sagittale) e a

eseguire tutti i movimenti di rotazione (piano trasverso) e di flessione

laterale (piano frontale). Questi muscoli aiutano l’atleta a evitare le cadute e

sono fondamentali in molte azioni della lotta, del pugilato e delle arti

marziali. I muscoli addominali anteriori e laterali eseguono i movimenti del

tronco con grande precisione. Essi sono sviluppati verticalmente,

diagonalmente e orizzontalmente e hanno grandi dimensioni. Poiché molti

atleti presentano uno sviluppo inferiore degli addominali rispetto ai muscoli

del dorso, è consigliato sia un allenamento generale, sia un allenamento

specifico per questi distretti.

Per lavorare con precisione sui muscoli addominali occorrono esercizi che li

coinvolgano senza interessare il movimento delle anche. Gli esercizi che

flettono le anche, infatti, sono eseguiti con l’intervento dell’ileopsoas (un

potente flessore dell’anca) e solo in misura minore degli addominali (che in

questi casi lavorano perlopiù isometricamente, per prevenire l’estensione

della colonna sul piano sagittale).

Muscoli dorsali

I muscoli dorsali, inclusi i profondi gruppi localizzati ai lati della colonna,

sono responsabili di vari movimenti, come l’estensione e la rotazione del

tronco. Il tronco agisce da tramite e da supporto per la maggior parte dei

movimenti effettuati dagli arti. La colonna vertebrale svolge, inoltre, un

ruolo protettivo essenziale del midollo spinale e assorbe gli urti durante

l’atterraggio e lo stacco dal suolo. Uno sforzo eccessivo o irregolare del

rachide o un movimento improvviso da una posizione scorretta potrebbero

causare problemi nella zona lombare. I dolori lombari negli atleti sono in

genere dovuti a un eccesso, nel tempo, di movimenti scorretti. La pressione


esercitata sui dischi intervertebrali varia a seconda della posizione del corpo

rispetto al carico da sollevare. Per esempio, essa aumenta in posizione

seduta o, in piedi, se si estende la colonna durante un curl con i bicipiti o

una tirata al mento. La posizione seduta provoca una pressione maggiore sui

dischi intervertebrali, mentre il livello più basso si registra quando il corpo è

sdraiato, prono o supino (come nelle distensioni o nelle tirate, su panca

piana). In molti esercizi che impegnano i muscoli dorsali, gli addominali si

contraggono isometricamente, stabilizzando il corpo.

I flessori dell’anca

L’ileopsoas è un muscolo essenziale per la flessione delle anche e nella

corsa. Sebbene non sia di grosse dimensioni, è il flessore dell’anca più

potente (gli altri sono il retto femorale, il sartorio e il tensore della fascia

lata) ed è il responsabile dell’innalzamento del ginocchio nella corsa e nel

salto. Flessori dell’anca ben sviluppati sono necessari per gli sport eseguiti

sul suolo o sul ghiaccio. Questi importanti muscoli possono essere allenati

con esercizi di sollevamento degli arti inferiori con sovraccarico, sia a

ginocchio flesso, sia a ginocchio steso. L’ileopsoas è un muscolo essenziale

per la stabilizzazione del bacino e per la flessione delle anche, e quindi

fondamentale per la corsa.

IRRADIAZIONE

Quando un atleta esegue un esercizio di forza, molti muscoli del tronco

vengono attivati e si contraggono sinergicamente per stabilizzare il

corpo e agire da supporto, in modo che l’articolazione interessata possa

eseguire il movimento. Questa contrazione sinergica è chiamata, con la

terminologia anglosassone, activation overflow o irradiazione (Enoka

2002; Zijdewind e Kernell 2001). Il processo è illustrato negli esempi

seguenti.

Tirate al mento

Il movimento delle tirate al mento prevede la posizione eretta con i

piedi divaricati alla larghezza delle anche, mentre le braccia, che

sostengono il bilanciere, sono abbassate sulle cosce. Quando gli arti


superiori si flettono per sollevare il peso verso il mento, per poi

distendersi successivamente verso il basso, i muscoli addominali e del

dorso (muscoli del core), inclusi gli erettori spinali, si contraggono per

stabilizzare il tronco (un’azione di antiflessione sul piano sagittale),

cosicché le braccia possano eseguire il movimento in modo fluido.

Senza il supporto dei muscoli del core per stabilizzare il tronco, i

muscoli motori primari non potrebbero eseguire il movimento in modo

efficace. Mentre viene eseguito l’esercizio, tutti i muscoli del core sono

attivati (specialmente quelli del dorso), si contraggono per irradiazione

e, come risultato, diventano più forti. Infatti, il livello di contrazione

muscolare può essere più alto durante questo esercizio rispetto a molti

altri eseguiti a corpo libero per lo sviluppo della forza del core. Perciò,

usare questo esercizio permette di rinforzare al meglio i muscoli del

core (Hamlyn e al. 2007; Nuzzo 2008; Colado e al. 2011; Martuscello

2012).

Squat e stacco da terra

Durante ogni movimento contro resistenza delle gambe eseguito in

posizione eretta, tutti i muscoli del core sono fortemente attivati per

stabilizzare il tronco e usarlo come supporto (Martuscello 2012).

Questa attivazione rinforza i muscoli coinvolti. In particolare,

l’esecuzione di 1/4 di squat con carichi elevati (gli atleti d’élite sono in

grado di utilizzare un sovraccarico pari a tre-quattro volte il peso

corporeo), per esempio, genera tensioni particolarmente elevate nei

muscoli del core.

Schiacciata

Uno dei gesti atletici più dinamici, la schiacciata della pallavolo, non

potrebbe essere eseguita correttamente senza il supporto diretto dei

muscoli del core. Durante la schiacciata, i muscoli del core si

contraggono per stabilizzare il tronco, cosicché le gambe possano

eseguire uno stacco esplosivo e le braccia possano colpire la palla.

I muscoli del core fissano e stabilizzano il tronco in altre situazioni in

cui le braccia e le gambe hanno bisogno di eseguire un gesto atletico:

alcuni esempi includono la corsa, il salto, il lancio, gli esercizi con la

palla medica e vari movimenti di agilità e rapidità coi piedi. Di certo il


core è coinvolto in qualsiasi esercizio sport-specifico o di forza in cui

debba contrarsi per frenare la flessione o l’estensione della colonna

vertebrale. Come risultato, il volume complessivo degli esercizi

specifici per il rinforzo del core può essere ridotto a poche serie di

movimenti essenziali per sessione di allenamento.


Legge n°4: sviluppo degli stabilizzatori

I muscoli motori primari lavorano con maggior efficacia se coadiuvati da

muscoli stabilizzatori, o fissatori, forti. Gli stabilizzatori si contraggono

soprattutto in modo isometrico per stabilizzare un’articolazione, in modo da

permettere il corretto movimento di un’altra parte del corpo. La spalla viene

stabilizzata, ad esempio, durante la flessione del gomito, mentre durante il

lancio di una palla sono gli addominali a fungere da fissatori. Nel

canottaggio sono invece i muscoli del tronco ad agire da stabilizzatori,

trasmettendo la potenza delle gambe alle braccia, che a loro volta esercitano

forza sull’acqua attraverso il remo. Uno stabilizzatore debole, quindi,

inibisce la capacità di contrarre i muscoli motori primari.

Muscoli stabilizzatori non adeguatamente sviluppati potrebbero dunque

ostacolare l’attività di quelli motori primari. Sottoposti a uno stress

prolungato, gli stabilizzatori possono subire uno spasmo involontario,

frenando l’azione dei muscoli motori primari, con conseguente diminuzione

della prestazione atletica. Questa condizione è frequente fra i giocatori di

pallavolo che si infortunano a seguito della debolezza e dello squilibrio

muscolare dei muscoli della spalla (Kugler et al. 1996). I muscoli

sovraspinato e sottospinato ruotano la spalla. Il modo più semplice ed

efficace per rinforzare questi muscoli è l’extrarotazione della spalla con i

manubri. La resistenza esercitata dal carico rinforza questi due muscoli. A

livello dell’anca, sono i muscoli piriforme e gluteo medio a permettere

l’extra rotazione. Per rinforzare questi muscoli (e il tensore della fascia lata),

l’atleta deve sollevare lateralmente la gamba, alla poliercolina. L’esercizio si

esegue in posizione eretta e con il ginocchio bloccato.

Gli stabilizzatori si contraggono isometricamente anche per immobilizzare

una parte di un arto e permettere il movimento di un’altra. Inoltre, essi sono

utili per monitorare l’interazione delle ossa lunghe nelle articolazioni e

percepire i rischi di un potenziale infortunio a causa di una tecnica scorretta,

di un’applicazione della forza non adeguata, o da spasmi causati

dall’affaticamento. Se si verifica una di queste condizioni, gli stabilizzatori

frenano l’attività dei muscoli motori primari per evitarne stiramenti o

strappi. Per questi motivi i muscoli fissatori giocano un ruolo fondamentale


nella prestazione atletica. Diversi studi hanno mostrato che l’allenamento

con le tavolette propriocettive aiuta davvero a ripristinare la stabilità di una

caviglia instabile o infortunata (Caraffa et al. 1996, Westers et al. 1996,

Willems et al. 2002). Alcuni studi hanno dimostrato che l’allenamento

propriocettivo può diminuire l’incidenza degli infortuni al ginocchio (Carafa

et al. 1996), mentre altri ancora ne hanno negato l’efficacia nella

prevenzione degli infortuni (Soderman et al. 2000). Una recente review, in

particolare, ha evidenziato diversi errori nella strutturazione degli studi

sull’allenamento propriocettivo (Thacker et al. 2003). La teoria ipotizza che,

se l’allenamento sulle superfici instabili determina un miglioramento della

propriocezione e della forza dei muscoli fissatori di una struttura anatomica

con problemi di stabilità, a maggior ragione potrebbe potenziare

ulteriormente e prevenire gli infortuni a livello di una struttura già di per sé

solida.

Queste ipotesi dovrebbero però essere dimostrate e, in ogni caso, la

domanda più concreta è: quanto tempo dovrebbe essere dedicato

all’alleamento dei muscoli stabilizzatori? Ultimamente alcuni preparatori

atletici hanno esagerato nell’allenamento degli stabilizzatori, perlopiù

attraverso l’utilizzo dell’allenamento su superfici instabili. Infatti,

l’allenamento su superfici instabili causa una maggiore attivazione di unità

motorie dovuta alla co-contrazione (contrazione simultanea) dei muscoli

agonisti e antagonisti, al fine di stabilizzare un’articolazione; un’eccessiva

co-contrazione non porta agli adattamenti necessari a un atleta di sport di

potenza e velocità, che ha bisogno di antagonisti “silenti” (cioè inattivi)

durante l’applicazione della forza da parte dei muscoli agonisti. Inoltre,

negli ultimi 10 anni, i preparatori fisici che hanno completamente

abbandonato questa metodica di allenamento negli sport di squadra (calcio e

pallavolo) non hanno osservato alcun incremento degli infortuni di caviglia

e di ginocchio.

L’allenamento con le pedane propriocettive o con la swiss ball può

comunque essere utile durante la prima parte della preparazione generale (la

fase di adattamento anatomico). Gli esercizi unilaterali sono certamente la

scelta più adatta per migliorare la stabilità articolare mentre si allenano i

gruppi motori principali. In ogni caso, se l’allenamento propriocettivo può


essere previsto durante la fase di adattamento anatomico, le pedane instabili

e le swiss ball dovrebbero essere messe da parte nella fase successiva, per

dedicare più tempo all’allenamento con metodi che migliorino il potenziale

motorio dell’atleta in forma specifica, promuovendo l’incremento della

forza, della velocità e della resistenza sport-specifiche. Dopotutto, anche se

questi esercizi funzionano per migliorare la propriocezione dell’atleta, la

loro caratteristica di bassa o, al limite, moderata velocità di esecuzione non

proteggerà mai le articolazioni nei movimenti veloci e potenti dello sport

(Ashton-Miller et al. 2001). Preparare i muscoli stabilizzatori al movimento

è importante; nello specifico, prepararli ai movimenti tipici dell’attività

sportiva con velocità, potenza e resistenza adeguate è vitale per la

prestazione e l’integrità dell’atleta.

La tabella 7.1 mostra un programma di tre settimane per il macrociclo di

adattamento anatomico di un giovane calciatore. Risulta evidente il vasto

impiego di esercizi unilaterali, il volume di lavoro uguale tra agonisti e

antagonisti, il tempo sotto tensione per serie che è specifico della zona di

capacità lattacida (da 48 a 80 secondi per serie). Inoltre, l’incremento

progressivo del carico e la durata breve del macrociclo sono caratteristiche

tipiche per i giovani atleti e i master. I punti seguenti descrivono ciascuna

colonna della tabella:

◊ Serie - Le serie per esercizio eseguite in una data settimana. Per

esempio, 2-3-2 significa che la prima settimana sono eseguite due

serie, la seconda tre e la terza ancora due serie.

◊ Ripetizioni - Le ripetizioni per serie eseguite in una data settimana.

Per esempio, 20-15-12 significa che la prima settimana sono eseguite

20 ripetizioni per serie, la seconda 15 e la terza 12.

◊ Tempo di recupero - Il tempo di recupero tra le serie di uno stesso

esercizio in una data settimana. Per esempio, 1-1-1.5 significa che la

prima e la seconda settimana il tempo di recupero tra le serie di uno

stesso esercizio è di un minuto, mentre nella terza è di un minuto e

mezzo.

◊ Tempo - Il primo numero indica la durata in secondi della fase

eccentrica, il secondo indica i secondi di pausa tra la fase eccentrica e

la fase concentrica, mentre il terzo indica la durata in secondi della

fase concentrica (la “X” significa “esplosiva”).


◊ Carico - Queste colonne dovrebbero essere usate per registrare il

carico impiegato di settimana in settimana per ogni serie di ciascun

esercizio.

Tabella 7.1

Macrociclo di adattamento anatomico di tre settimane utilizzando una split

routine per un calciatore del settore giovanile

* Per ogni terzina di numeri in questa colonna: il primo si riferisce alla prima settimana, il

secondo alla seconda settimana e il terzo alla terza settimana.

** Per ogni terzina di numeri in questa colonna, il primo si riferisce alla durata in secondi

della fase eccentrica, il secondo alla pausa tra eccentrica e concentrica e il terzo alla

durata della fase concentrica (una “X” significa “esplosiva”).


ALLENAMENTO PROPRIOCETTIVO CON LA

PALLA

Come ogni cosa nell’allenamento specifico, la stability ball (nota anche

come swiss ball) non è nuova. Comparve negli anni ‘60 ed è divenuta

molto popolare, specialmente nel mondo della riabilitazione. Dagli anni

‘90 in poi si è diffusa prima nel fitness e poi anche in ambito sportivo.

La sua diffusione nel campo del fitness è comprensibile, data la varietà

e la frenesia che caratterizzano quell’ambiente.

Molti esercizi eseguiti sulla stability ball permettono di allenare la

forza e la flessibilità per la parte superiore e inferiore del corpo e,

naturalmente, di rinforzare il core. Tuttavia, alcuni preparatori fisici

tendono a sovrasti mare i benefici di questi esercizi, asserendo che i

miglioramenti propriocettivi e dell’equilibrio si traducono in

miglioramenti nella performance atletica. In realtà, l’equilibrio non è

un fattore limitante per la performance; questo, pertanto, non è

annoverabile nella stessa categoria delle capacità biomotorie quali la

velocità, la forza e la resistenza. Infatti, il corpo si adatterà all’ambiente

instabile dello sport praticato attraverso lo stimolo fornito dalla pratica

della disciplina stessa, così come attraverso la pratica di azioni tecniche

e tattiche. Alcuni esercizi possono essere eseguiti sulla palla, ma

dovrebbero limitarsi alla fase di adattamento anatomico o alle fasi di

transizione, quando l’adattamento generale ha la priorità

sull’adattamento fisiologico specifico.

Oltre a questi dettagli, gli atleti e gli allenatori dovrebbero essere

consapevoli che utilizzare la stability ball nell’allenamento della forza

massima può limitarne i benefici. Infatti, la palla limita la quantità di

peso che l’atleta può sollevare, perché una parte dell’impegno nervoso

è diretta a stabilizzare il corpo, così come le articolazioni coinvolte nel

movimento, riducendo in questo modo l’attivazione delle unità motorie

a contrazione rapida dei muscoli motori primari. Perciò, gli unici

esercizi consigliati con la swiss ball sono quelli mirati al rinforzo dei

muscoli addominali, che permettono all’atleta di allungarli

completamente prima della fase concentrica dell’esercizio. Gli altri

gruppi muscolari, invece, possono essere allenati con altri mezzi.


La stability ball può essere utilizzata nel modo e al momento debiti.

L’irradiazione spiega come tutti i muscoli siano coinvolti in un

movimento per supportarsi l’un l’altro. Il corpo umano è estremamente

plastico e ha una capacità di adattamento straordinaria nei confronti dei

metodi di allenamento classici. La cosa più importante nello sport,

infine, è il fatto che un atleta ha una prestazione migliore quando i suoi

adattamenti funzionali sono specifici: in questo modo migliora anche la

propria stabilità in modo spontaneo, senza l’uso di attrezzi specifici.

Legge n°5: allenare i movimenti, non i singoli muscoli

Lo scopo dell’allenamento della forza per uno sport è utilizzare i

sovraccarichi per allenare i muscoli motori primari nei movimenti che

avvengono durante il gesto specifico. Gli atleti dovrebbero evitare di allenare

i muscoli in isolamento, come avviene ad esempio nel bodybuilding. Dai

suoi albori il bodybuilding ha promosso l’allenamento dei muscoli in

isolamento, un conceto che si è mostrato efficace per generazioni. Gli

esercizi di isolamento, però, non si applicano alla preparazione atletica,

poiché i gesti atletici sono nella quasi totalità movimenti multiarticolari

eseguiti in un certo ordine, formando quella che viene chiamata “catena

cinetica”.

Un salto per afferrare una palla, ad esempio, impiega la seguente catena

cinetica nella parte inferiore del corpo, al fine di applicare la forza a terra

necessaria per sollevare il corpo: estensione delle anche, estensione delle

ginocchia e, infine, estensione delle caviglie. Questa potente sequenza,

tipica di molti gesti atletici, è chiamata “tripla estensione”.

In accordo con il principio di specificità, specialmente nella fase di

conversione (a forza specifica), la posizione del corpo e gli angoli degli arti

dovrebbero essere simili a quelli richiesti nei movimenti tecnici della

disciplina. Quando un atleta si allena in un movimento specifico, i muscoli

coinvolti sono integrati e rafforzati in modo da eseguire l’azione con

maggiore potenza. Per questo motivo gli atleti non dovrebbero far ricorso

soltanto all’allenamento con i pesi, ma ampliare i mezzi e i metodi di

allenamento includendo le palle mediche, gli elastici (per gli sport acquatici

o per adattare la resistenza nell’allenamento della potenza con il bilanciere),


i pesi del getto del peso, i plinti e gli ostacoli per la pliometria. Gli esercizi

eseguiti con il supporto di tali attrezzi permettono di potenziare le abilità

specifiche. Il capitolo 14 fornisce ulteriori esempi di come questi attrezzi

debbano essere usati per migliorare il rendimento specifico nelle varie

discipline.

© Berc/Dreamstime.com

Quello dell’accelerazione è uno schema motorio complesso. Gli estensori di

ginocchia e anche, e i flessori plantari spingono il corpo in concerto con

un’azione vigorosa della muscolatura degli arti superiori

Gli esercizi multiarticolari come lo squat, lo stacco, la panca piana, il lento

avanti, le trazioni, le alzate olimpiche, così come i lanci e i salti, sono stati

impiegati nell’allenamento sportivo da quando si è iniziato a usarli nei primi

anni ‘30 in atletica leggera, prima dei Giochi Olimpici del 1936. La maggior

parte degli atleti segue ancora questa tradizione. Tali esercizi sono

fondamentali per l’efficacia dell’allenamento della forza. Alcuni esercizi di

isolamento (chiamati anche “accessori”) possono però essere impiegati per

migliorare la trofìa di una serie di gruppi muscolari il cui sviluppo è in


ritardo, per incrementare l’apporto di sangue (necessario per la salute dei

tendini) e per sostenere il contenuto proteico dei muscoli motori primari

durante i periodi in cui si utilizzano basse ripetizioni.

In ultima analisi, non bisogna chiedersi “dov’è l’esercizio per i bicipiti

all’interno di questo programma”. Piuttosto è necessario domandarsi se la

flessione del gomito è parte del gesto specifico richiesto nello sport in esame

e, se così è, con quale altro movimento è integrata.

Legge n°6 non concentratevi su ciò che è nuovo, ma su

ciò che è necessario

Negli ultimi anni il mercato dello sport e del fitness in nord America è stato

invaso da molti prodotti che si suppone servano a migliorare la prestazione

atletica. Spesso, però, non è così. Infatti, la conoscenza della biomeccanica e

della fisiologia dell’esercizio rivela che molti prodotti promossi a tale scopo

possono avere l’effetto contrario. Due metodi che hanno catturato

l’attenzione di allenatori, preparatori e atleti sono l’allenamento sulle

superfici instabili e l’overspeed. L’allenamento sulle superfici instabili è

sicuro perché non prevede né permette l’utilizzo di grossi sovracccarichi,

ma è anche abusato nel campo dell’allenamento sportivo. L’overspeed,

invece, assieme ad altri attrezzi utilizzati al fine di migliorare velocità e

potenza, altera la tecnica di corsa dell’atleta e ne diminuisce il tasso di

espressione della forza.

In molti casi, il mezzo promozionale prediletto per queste nuove idee è il

seminario. Il relatore spesso mostra nuovi esercizi e promette miglioramenti

miracolosi. Non molto spesso, però, il relatore affronta il tema degli

adattamenti neuromuscolari, che sono il nocciolo del miglioramento della

prestazione atletica e che dovrebbero essere il fondamento di ogni

programma d’allenamento sport-specifico.

Certamente, è importante conoscere un vasto numero di esercizi; però un

esercizio è essenziale solo se coinvolge i muscoli motori primari utilizzati

nei gesti atletici specifici, né più, né meno. Non fa alcuna differenza, ad

esempio, se un atleta fa le distensioni su una panca o su una swiss ball. È

molto più importante che la fase concentrica sia eseguita con la maggiore
esplosività possibile. All’inizio del movimento vengono reclutate le unità

motorie a contrazione rapida per superare l’inerzia del carico del bilanciere.

Come l’atleta continua a spingere il bilanciere verso l’alto, dovrebbe cercare

di generare la maggiore accelerazione possibile. In questo modo la

frequenza di scarica incrementa. Nel caso di un esercizio balistico, la

massima velocità viene raggiunta proprio alla fine dell’azione, prima del

rilascio dell’attrezzo o della proiezione del corpo dell’atleta.

Allo stesso modo, se è necessario raggiungere un alto livello di forza degli

arti inferiori, un atleta dovrebbe fare squat, squat e squat. L’idea è creare il

più alto livello di forza e di adattamento: in altre parole, fare ciò che è

necessario. Incrementare la varietà dell’allenamento utilizzando esercizi

diversi può andar bene, purché i muscoli motori primari lavorino in modo

specifico.

Legge n°7: periodizzare la forza nel lungo termine

Anziché concentrarsi nei guadagni immediati di forza massimale, i

preparatori atletici dovrebbero pianificare la progressione dell’allenamento

della forza in modo da massimizzare il potenziale motorio dell’atleta a

lungo termine. Questo si traduce nel fatto di non utilizzare immediatamente

sovraccarichi elevati, soprattutto in esercizi tecnicamente complessi non

pienamente acquisiti. Come detto nel capitolo 2, la base per il

miglioramento della forza generale nel lungo termine dovrebbe essere

costituita dall’allenamento della coordinazione intermuscolare: un lavoro

tecnico ed esplosivo con pesi da leggeri a submassimali, mai a esaurimento,

pianificato al termine della fase di adattamento anatomico o di quella per

l’ipertrofia quando presente.

Diversamente, l’allenamento sulla coordinazione intramuscolare, con pesi

submassimali e massimali, ancora possibilmente non a esaurimento, a meno

che non si desiderino dei guadagni in forza assoluta, aiuta a raggiungere il

picco di forza massimale, ma non può essere impiegato per lunghi periodi

(non più di sei settimane consecutivamente).

La forza specifica, che sia potenza, potenza resistente o resistenza

muscolare, può essere massimizzata soltanto sulla base di una precedente

fase di forza massima ben pianificata. Questo concetto si applica sia al piano
annuale, sia al piano pluriennale. La tabella 7.2 mostra un esempio di

sequenza di macrocicli per lo sviluppo della coordinazione intermuscolare e

della coordinazione intramuscolare per l’incremento della forza massima

all’interno del piano annuale; essi sono pianificati prima dei macrocicli di

forza specifica (potenza). La tabella 7.3 mostra la progressione del lavoro di

forza di un atleta principiante per un periodo di quattro anni.

Tabella 7.2

Progressione dell’allenamento della forza nel piano annuale per uno sport

individuale, per il quale la potenza rappresenta l’espressione di forza

specifica

Legenda: AA = adattamento anatomico, M×S (coordinazione intermuscolare) = forza

massima (con carichi dal 70 all’80% dell’1RM), M×S (coordinazione intramuscolare) =

forza massima (con carichi dall’85 al 90% dell’1RM), P = potenza, 3+1 = struttura del

macrociclo con 3 settimane di carico e 1 settimana di scarico, 2+1 = struttura del

macrociclo con 2 settimane di carico e 1 settimana di scarico.

Tabella 7.3

Distribuzione e progressione dell’allenamento della forza in un piano

pluriennale

Legenda: AA = adattamento anatomico, M×S = forza massima (coordinazione

intermuscolare con carichi dal 70 all’80% dell’1RM o coordinazione intramuscolare con

carichi dall’80 al 90% dell’1RM).


7.2 I PRINCIPI DELL’ALLENAMENTO DELLA

FORZA

Lo scopo di qualsiasi programma di allenamento della forza è produrre un

incremento continuo della capacità fisica dell’atleta. I principi

dell’allenamento della forza forniscono le linee guida su come

individualizzare il programma d’allenamento in base alle caratteristiche

dell’atleta e della disciplina sportiva che egli pratica. Per questo motivo

qualsiasi programma dovrebbe essere progettato in accordo con questi

principi.

Principio dell’incremento progressivo del carico

Secondo la mitologia greca, la prima persona che applicò il principio

dell’aumento progressivo del carico fu Milone di Crotone. Per diventare

l’uomo più forte al mondo, fin da ragazzo Milone si caricò sulle spalle un

vitello. Man mano che il vitello cresceva, Milone diventava più forte;

quando il vitello divenne un toro adulto, Milone era l’uomo più forte al

mondo, secondo il principio della progressione del carico a lungo termine.

Detto in termini più scientifici, l’allenamento stimola progressivamente gli

adattamenti strutturali e funzionali del corpo dell’atleta, incrementandone il

potenziale motorio e, di conseguenza, la prestazione. L’organismo reagisce

fisiologicamente e psicologicamente all’incremento del carico di lavoro

(cioè alla sommatoria del volume e dell’intensità di tutti gli stimoli

allenanti). Analogamente, le funzioni e le reazioni nervose, la coordinazione

neuromuscolare e la capacità psicologica per far fronte allo stress vengono

acquisite altrettanto gradualmente.

L’intero processo richiede tempo e una competente direzione tecnica. Come

detto nel capitolo 6, alcuni allenatori impiegano un carico di lavoro sempre

uguale durante tutto l’anno, metodo definito “del carico standard”. Questo

approccio può causare un decremento della prestazione verso la parte finale

della fase competitiva, poiché le basi fisiologiche della prestazione sono

ridotte (figura 7.1). Adattamenti positivi e, di conseguenza, prestazioni

superiori, sono possibili soltanto applicando costanti variazioni del carico.


Un altro approccio tradizionale nell’allenamento della forza applica il

principio del “sovraccarico continuo”. I primi sostenitori di questo principio

asserivano che la forza e l’ipertrofia sarebbero aumentate soltanto se i

muscoli avessero sostenuto più ripetizioni con carichi di lavoro più elevati di

quelli normalmente utilizzati (Lange 1919; Hellebrand & Houtz 1956). I

sostenitori contemporanei di questa teoria, invece, asseriscono che è il

carico a dover essere aumentato ogni volta, per tutta la durata del

programma (Fox, Bowes e Foss, 1989). Quindi, la curva del carico di lavoro

dovrebbe incrementare costantemente (figura 7.2).

Figura 7.1

Un carico standard consente il realizzararsi di miglioramenti soltanto nella

prima parte del piano annuale


Figura 7.2

Incrementi di carico continui in accordo con il principio del sovraccarico

Adattato da Phys Ther Rev 1956; 36(6): 371-383. Copyright © 1956 American Physucak

Therapy Association.

I sostenitori del sovraccarico continuo suggeriscono due strade per

incrementare la forza:

1. carichi massimali a esaurimento per incrementare direttamente la

forza;

2. carichi submassimali a esaurimento per incrementare l’ipertrofia.

Quest’ultimo approccio è popolare tra i bodybuilder, ma è

assolutamente inadatto alla preparazione atletica.

Non ci si può aspettare che gli atleti sollevino pesi fino all’esaurimento ogni

volta che si allenano in palestra. Questo è particolarmente vero a partire

dalla fase di preparazione specifica in poi, quando la maggior parte delle

energie degli atleti deve essere dedicata alle attività specifiche e l’organismo

deve recuperare al meglio per eseguire le esercitazioni in modo ottimale.


Una tale tensione psicologica e fisiologica determinerebbe infatti rigidità

muscolare, peggioramento della tecnica e affaticamento generale e

incrementerebbe il rischio di infortuni e di overtraining.

Per essere veramente efficace, un allenamento della forza applicato allo

sport dovrebbe seguire il concetto di periodizzazione, secondo il quale

vengono fissati degli obiettivi per ogni fase, in modo da condurre l’atleta al

massimo della forma in corrispondenza delle gare annuali più importanti o,

nel caso di lunghi periodi competitivi, in modo da fargli ottenere la migliore

prestazione possibile per l’intera durata del campionato. Per raggiungere

questi obiettivi un approccio più efficace è quello del “carico a gradini”

(figura 7.3).

La capacità dell’atleta di tollerare carichi di lavoro migliora come risultato

dell’adattamento alle sollecitazioni prodotte dall’allenamento della forza

(Councilman 1968, Harre 1982). Il metodo a gradini richiede un aumento

graduale delle richieste del carico, seguito da uno scarico durante il quale il

corpo si adatta, si rigenera e si prepara a un successivo ulteriore incremento.

Figura 7.3

Illustrazione di un macrociclo nel quale ogni colonna rappresenta il carico

settimanale, che aumenta a gradini

La frequenza di questi microcicli di scarico è determinata dai bisogni

individuali di ogni atleta, dal suo tasso di adattamento e dal calendario

competitivo. Gli aumenti del carico di allenamento sono determinati dal


tasso di miglioramento dell’atleta; più in generale, però, gli incrementi di

intensità tra i gradini (settimane) di un macrociclo sono normalmente pari al

2-5%. Un incremento repentino potrebbe superare la capacità di

adattamento dell’atleta e, quindi, influenzare negativamente il suo equilibrio

fisiologico.

L’approccio a gradini non implica necessariamente un incremento lineare

del carico per ogni sessione. Inoltre, una singola sessione di allenamento

non è sufficiente per produrre degli adattamenti apprezzabili nell’organismo.

Per ottenere un adattamento, uno stesso esercizio deve essere ripetuto più

volte durante la settimana, ma con intensità diverse, seguite da un

incremento nella settimana successiva.

Nella figura 7.3 ciascuna linea orizzontale rappresenta una settimana, o

microciclo di allenamento. Ipotizziamo che il carico sia applicato nella

giornata di lunedì. Questo carico affatica l’organismo, ma entro le capacità

dell’atleta. L’organismo ha recuperato al mercoledì e si adatta al carico nei

due giorni successivi, cosicché al venerdì l’atleta si sentirà più forte e in

grado di sollevare un carico ancora maggiore. Quindi, la fatica è seguita

dall’adattamento e con esso da un rimbalzo che rappresenta il

miglioramento fisiologico. Questo nuovo livello può essere definito un

nuovo limite di adattamento. Il lunedì successivo l’atleta è fisiologicamente

e psicologicamente a suo agio. Questo processo spiega le ragioni per le quali

è possibile incrementare il carico di allenamento della forza in maniera

lineare durante il microciclo (se i parametri all’inizio del macrociclo erano

al di sotto delle potenzialità del soggetto) o in forma ondulata (elevato al

lunedì, leggero al mercoledì e medio-alto al venerdì).

Il terzo gradino nella figura 7.3 è seguito da uno più basso, il microciclo di

scarico. Una riduzione generale dell’impegno fisico permette all’organismo

di rigenerarsi e adattarsi pienamente agli stimoli dell’allenamento. Durante

la settimana di scarico l’atleta recupera quasi completamente dalla fatica

accumulata nelle prime tre, ricarica le riserve di energia e si rilassa

psicologicamente. Il corpo accumula così nuove energie in previsione di

ulteriori aumenti del carico di lavoro. Normalmente la prestazione migliora

dopo lo scarico, per cui i test di valutazione vengono eseguiti alla fine di

questa settimana.
Più breve è il macrociclo (ad esempio, una struttura 2+1, che prevede due

settimane di carico seguite da una di scarico), minore sarà l’incremento di

volume e/o intensità rispetto al carico iniziale. Perciò, un macrociclo più

lungo può permettere un incremento maggiore, anche se generalmente inizia

a un’intensità inferiore. I macrocicli più lunghi (3+1 o addirittura 4+1

settimane) sono impiegati nella fase di preparazione generale, quando

l’intensità all’inizio del macrociclo è bassa, mentre quelli più brevi dalla

fase di preparazione specifica in poi, all’intensificarsi dell’allenamento.

È più difficile, infatti, sostenere un incremento prolungato dell’intensità

quando questa è già alta all’inizio del macrociclo. Sebbene il carico aumenti

a scalini, la curva che descrive l’andamento annuale ha una forma

ondulatoria che rappresenta il continuo incremento e decremento per

stimolare e realizzare gli adattamenti (figura 7.4).

Figura 7.4

La curva del carico d’allenamento è ondulatoria, mentre il grado

d’allenamento (preparedness) aumenta e la forma atletica (readiness)

ondula in senso opposto al carico. All’avvicinarsi della fase competitiva la

linea della forma atletica si avvicina sempre di più alla linea del grado

d’allenamento, a indicare la prontezza dell’atleta a esprimere il potenziale

motorio sviluppato fino a quel momento

Sebbene questo metodo sia applicabile per ogni atleta e a ogni sport, sono

possibili due varianti: gradini inversi e ”flat”. Questi due metodi devono
essere applicati con discrezione. Con i gradini inversi (figura 7.5) il carico

decresce anziché incrementare tra un microciclo e l’altro. Alcuni sollevatori

di peso dell’Europa dell’Est ritengono che questa forma di progressione

(pianificare i carichi più alti immediatamente dopo il microciclo di scarico)

sia più efficace per il loro sport dal punto di vista fisiologico.

Il metodo a gradini inversi è in uso nel sollevamento pesi sin dalla fine degli

anni 60, ma non è stato utilizzato in nessun altro sport. La ragione è molto

semplice: l’obiettivo dell’allenamento della forza per lo sport è un

adattamento progressivo e aumentando in maniera graduale le capacità di un

atleta anche la prestazione specifica migliora. Questo metodo dovrebbe

essere usato solo durante il ciclo di picco precedente una competizione,

come sistema di tapering (capitolo 15).

I miglioramenti nella resistenza sono raggiunti molto meglio con i

macrocicli a gradini, dato che il fattore principale è rappresentato dal

volume, che può essere aumentato per step durante tutto l’anno.

Figura 7.5

La struttura del macrociclo “a gradini inversi” utilizzata da alcune scuole

di sollevamento pesi

Lo schema “flat” (figura 7.6), invece, è appropriato per gli atleti avanzati

con un solido background di allenamento della forza, per quelli che non

tollerano un’esposizione prolungata all’alta intensità e, generalmente, negli

sport di potenza durante la fase di preparazione specifica. Questo schema

prevede la realizzazione di due microcicli di carico elevato, perlopiù dello

stesso livello, seguiti da una settimana di recupero con carico ridotto (tre
microcicli consecutivi di carico alto non sono raccomandabili, dato l’elevato

livello di fatica accumulata). I due microcicli devono prevedere un alto

livello di sollecitazione di uno o più elementi: tecnica, tattica, forza,

velocità, resistenza. Nella pianificazione del microciclo di scarico tutti gli

elementi devono prevedere un carico basso per facilitare il recupero e il

rilassamento.

Figura 7.6

Lo schema di carico “flat” è solitamente impiegato durante la preparazione

specifica e la fase competitiva negli sport di potenza

Le dinamiche dello schema di carico per un atleta ben allenato sono stabilite

in funzione della fase di allenamento e del tipo di adattamenti desiderati.

Durante la prima parte della fase preparatoria, il metodo a gradini prevale in

tutti gli sport, poiché assicura una progressione migliore (figura 7.7). Lo

schema di carico “flat” è, invece, più adatto per la tarda fase preparatoria,

specialmente per gli sport di potenza e per gli atleti che competono a livello

nazionale e internazionale. Lo schema di carico a gradini resta comunque il

preferito per gli sport di resistenza, nei quali lo sviluppo dell’“endurance”

(cardiorespiratoria e muscolare) è particolarmente adatto ad aumenti di

carico progressivi e di lunga durata


Figura 7.7

Esempio di progressione dello schema di carico durante la fase

preparatoria. Lo schema a gradini è utilizzato nella prima parte della fase

preparatoria, nella quale volume e intensità sono incrementati

progressivamente. Dopo le prime cinque-sei settimane, viene impiegato lo

schema “flat” per fare in modo che l’allenamento sia più intenso e risulti

negli adattamenti specifici necessari per il miglioramento della prestazione


DEFINIZIONE E APPROFONDIMENTO DELLA

PROGRESSIONE DEL CARICO

NELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Il sovraccarico progressivo è la modalità d’elezione per indurre gli

adattamenti morfo-funzionali attraverso un costante incremento nel

tempo dello stress muscolare, metabolico e neurale. Ci sono molti modi

per aumentare in modo razionale il carico di lavoro e, quindi, per


indurre gli adattamenti ricercati, come più elevati livelli di ipertrofia, di

resistenza muscolare, di forza massima o di potenza. Per comprendere

queste opzioni, è necessario analizzare le variabili del carico e come

queste influiscano sull’effetto di allenamento complessivo.

Nel caso dell’allenamento della forza, i parametri sono illustrati nella

figura 7.8.

Durante un macrociclo, uno o più parametri vengono manipolati in base

agli effetti (adattamenti) che si vogliono indurre. I parametri sono

descritti in dettaglio nei paragrafi seguenti.

Figura 7.8

Parametri dell’allenamento di forza

Ripetizioni

Il numero di ripetizioni per serie è strettamente legato alla percentuale

del massimale (1RM) usata e al differenziale (buffer) tra il numero


programmato (in una serie) e le ripetizioni che potrebbero essere

eseguite a esaurimento, per quella percentuale di 1RM.

Se si prende ad esempio un’intensità del 90%, con la quale un atleta di

potenza normalmente esegue 3 ripetizioni a esaurimento, si potranno

fare serie da 3 a esaurimento (buffer 0) per aumentare la forza assoluta

(con recuperi brevi) o la forza relativa (con recuperi lunghi), serie da 2

(il carico a esaurimento per 2 ripetizioni è il 95%, poiché si effettuano

2 ripetizioni con il 90%, e il differenziale corrisponde al 5%) per

aumentare la forza relativa, o serie da 1 (100-90= 10% di buffer) per

aumentare la forza massima o allenare la potenza con carichi alti. Nella

tabella 7.4 è mostrato come, data una percentuale di 1RM, il buffer

influenzi l’effetto dell’allenamento.

In un macrociclo, è possibile incrementare le ripetizioni per migliorare

la resistenza (più volume), mantenere lo stesso numero di ripetizioni

cambiando altri parametri o ridurre il numero di ripetizioni per

aumentare l’intensità (percentuale di 1RM) o scaricare il volume,

mantenendo o riducendo leggermente l’intensità (nel microciclo di

scarico o nei microcicli di taper), per ridurre la fatica residua e

incrementare la prontezza alla prestazione. In questi due ultimi casi, si

scarica aumentando il buffer.

Durante un macrociclo è possibile diminuire il buffer mantenendo lo

stesso numero di ripetizioni. In questo modo l’allenamento sarà sempre

più impegnativo, mantenendo lo stesso numero di serie e di ripetizioni

(un metodo molto usato dai powerlifter, ma utilizzabile anche in altri

sport). È possibile anche mantenere il buffer aumentando o diminuendo

uno degli altri parametri. Di solito non si incrementa il buffer durante il

macrociclo, a meno che non si stia passando dal macrociclo di sviluppo

della forza massima a un macrociclo di mantenimento, oppure a un

macrociclo di potenza.

Le due opzioni più applicate durante un macrociclo, quindi, sono il

mantenimento del buffer con l’incremento dell’intensità (diminuendo le

ripetizioni per serie) o la riduzione del buffer (mantenendo le

ripetizioni per serie).


Un buffer elevato permette di eseguire le ripetizioni con una tecnica

migliore e, poiché il carico non è estremamente sollecitante, la fase

concentrica può essere più esplosiva, mentre la fatica residua sarà

minore.

Le serie con buffer elevato, quindi, sono utilizzate per migliorare la

coordinazione intermuscolare, per lo sviluppo della potenza e nei

microcicli di scarico (tabella 7.4). Un buffer pari a 0 significa eseguire

una serie a esaurimento, modalità tipica per lo sviluppo dell’ipertrofia o

della forza assoluta. Eseguire 1-3 ripetizioni per serie a esaurimento o

quasi (5% di buffer) induce guadagni di forza relativa, ossia un

incremento della forza senza un aumento del peso corporeo.

Eseguire serie a esaurimento o quasi con un tempo sotto tensione per

serie leggermente maggiore, eseguendo da 3 a 6 ripetizioni, induce

guadagni di forza assoluta, ossia incrementi di forza accompagnati

anche da aumenti del peso corporeo (dimensione dei muscoli). Eseguire

serie da 1 fino a 3 ripetizioni con un buffer del 10-20% permette di

aumentare la forza relativa e la potenza (metodo definito a volte come

“metodo per la forza esplosiva”). Si ritiene che i termini quali “forza

esplosiva” e “forza rapida” dovrebbero essere sostituiti da allenamento

della potenza con carichi elevati e allenamento della potenza con

carichi ridotti, poiché in fisica si parla di potenza e non di aggettivi per

descrivere la forza.

Serie

In tutto il macrociclo è possibile aumentare il numero di serie per

accrescere la capacità di lavoro e la resistenza muscolare (maggior

volume). È possibile anche mantenere lo stesso numero di serie e

incrementare uno degli altri parametri, oppure decrementare il numero

di serie per scaricare o per raggiungere il picco di prestazione. Il

numero di serie (volume) per sessione è la variabile che più di tutte le

altre influisce sulla fatica residua accumulata con l’allenamento.

Tempo

Concetto introdotto a metà degli anni ‘90 dal preparatore atletico

australiano Ian King, il “tempo” rappresenta la durata di una ripetizione

completa; esso influisce, quindi, sulla durata della serie. A loro volta,
sia la durata della singola ripetizione, sia la durata di una serie

(descritta anche come tempo sotto tensione di una serie, Time Under

Tension), influenzano direttamente l’effetto allenante complessivo. Per

questo motivo, una volta definiti l’effetto allenante desiderato, il

“tempo” corrispondente e la durata della serie, è consigliabile

mantenere stabili questi parametri per tutto il macrociclo (per un

approfondimento, si vedano le tabelle 8.9, 8.10 e 8.11). Cambiando

questi parametri – per esempio, eseguendo una ripetizione più

velocemente – si potrebbe avere l’illusione di un miglioramento,

quando in realtà è l’effetto dell’allenamento a essere variato. Il “tempo”

viene indicato con tre o quattro numeri. Il primo indica la durata in

secondi della fase eccentrica; il secondo la pausa tra la fase eccentrica e

la fase concentrica; il terzo numero indica la durata della fase

concentrica (la X indica la massima accelerazione/esplosività); il quarto

numero la pausa tra la fase concentrica e la fase eccentrica. 3.1.X.0

riferito a uno squat indica, ad esempio, una discesa in tre secondi,

seguita da una pausa di un secondo, seguita a sua volta da una salita

esplosiva e senza alcuna pausa prima di scendere nuovamente.

Tempo di recupero

Come il “tempo” e la durata della serie, il tempo di recupero influenza

direttamente l’effetto finale di una seduta. L’intervallo di recupero

viene aumentato se il macrociclo prevede un decremento delle

ripetizioni e un incremento dell’intensità (percentuale di 1RM). È

possibile ridurre il tempo di recupero per aumentare la resistenza

(maggiore densità del lavoro). Oppure, è possibile mantenere la stessa

pausa, cambiando una o più delle altre variabili. Quando si eseguono le

“serie di serie” per l’allenamento della potenza resistente o della

resistenza muscolare, ridurre il tempo di recupero tra le serie

(mantenendo costante l’espressione di potenza) permette di

incrementare la densità, che poi si traduce in un’espressione media di

potenza più alta per una durata maggiore. È importante prestare

attenzione alla tecnica, che non dovrebbe mai essere compromessa a

favore di miglioramenti illusori. Come ha detto Paul Check, cambiare la

tecnica solo per eseguire più ripetizioni o per completarne una pesante
equivale a eseguire “la superserie più veloce del mondo”: un’azione a

rischio di infortuni e ingannevole.

Per un esempio di progressione dei suddetti parametri, è possibile fare

riferimento al programma di allenamento per un calciatore del settore

giovanile descritto nella tabella 7.4.


Tabella 7.4

La relazione tra carico (percentuale di 1RM), ripetizioni, buffer ed

effetto allenante

Principio della varietà

L’allenamento moderno richiede che l’atleta si alleni molte ore. Talvolta sia

il volume, sia l’intensità aumentano di anno in anno e gli esercizi sono

ripetuti numerose volte. Per raggiungere un alto livello di prestazione,

qualsiasi atleta che prenda sul serio l’allenamento deve dedicare da due a

quattro ore ogni settimana all’allenamento della forza, in aggiunta

all’allenamento tecnico, tattico e dei sistemi energetici.

Date queste condizioni, la noia e la monotonia possono divenire ostacoli per

la motivazione e il miglioramento. Il miglior modo per superarli è

incorporare delle variazioni nelle routine di allenamento. La varietà migliora

la risposta all’allenamento e influisce positivamente sul benessere

psicologico dell’atleta. Per applicare efficacemente il principio di varietà,

però, gli allenatori e i preparatori devono conoscere bene l’allenamento

della forza. Un preparatore atletico non dovrebbe, infatti, applicare la varietà

fine a se stessa. Il concetto di periodizzazione della forza include

naturalmente delle variazioni razionali dei metodi e dei mezzi di

allenamento per tuta la durata del piano annuale, al fine di stimolare i

migliori adattamenti neuromuscolari.

Le seguenti linee guida aiuteranno a progettare dei programmi di

allenamento della forza con variazioni logiche durante il corso del piano

annuale.

◊ Progredire da movimenti a range articolare completo, nella fase di

preparazione generale, a movimenti nel range articolare sport-

specifico, durante la fase avanzata della preparazione specifica e

durante la fase competitiva. Bisogna tenere a mente il fatto che gli

esercizi a range articolare completo producono una tensione muscolare

maggiore rispetto alle varianti con range parziale; quindi, un basso

volume di tali esercizi dovrebbe essere sempre impiegato per


mantenere la forza massima (Bloomquist et al. 2013, Hartmann et al.

2012, Bazyler et al 2014).

◊ Variare i mezzi usando un maggior numero di esercizi unilaterali o che

impiegano manubri durante i macrocicli di adattamento anatomico e di

compensazione.

◊ Variare il carico usando il principio dell’incremento progressivo.

◊ Variare il tipo e la velocità delle contrazioni muscolari. Lo schema

usuale va da eccentriche lente (da tre a cinque secondi) e concentriche

controllate (da uno a due secondi) nell’adattamento anatomico, a

eccentriche lente e concentriche veloci (un secondo o meno) nei

macrocicli di ipertrofia e forza massima, a eccentriche veloci e

concentriche esplosive nei macrocicli di potenza, di potenza resistente

e di resistenza muscolare di breve durata.

◊ Variare il metodo. È necessario progredire da esercizi a corpo libero,

con i manubri e con le macchine durante i macrocicli di adattamento

anatomico e ipertrofia, all’utilizzo quasi esclusivo dei bilancieri nei

macrocicli per la forza massima, la conversione a forza specifica e il

mantenimento.

La varietà nella scelta degli esercizi mantiene l’atleta motivato e stimola

nuovi adattamenti. Si possono, tuttavia, creare dei problemi quando il

preparatore fisico o l’atleta sostituiscono un esercizio o cambiano un

metodo solamente con il fine di fare qualcosa di nuovo. Il principio della

varietà dovrebbe essere usato solamente se il cambiamento o la sostituzione

mantiene l’atleta sulla via del miglioramento.

Inoltre, quando gli atleti raggiungono un certo livello di prestazione e di

forma fisica, certi esercizi non dovrebbero mai essere eliminati dal loro

programma. Il preparatore può modificare il carico o impiegare un metodo

diverso, ma deve continuare a usare gli esercizi che sollecitano al meglio la

catena cinetica utilizzata nello sport o che permettono di raggiungere la

soglia di stimolo necessaria per il massimo miglioramento. Per esempio,

sebbene la leg press sia un esercizio efficace per lo sviluppo della

muscolatura delle gambe, non richiede lo stesso impegno neuromuscolare

dello squat. Infatti, lo squat è probabilmente uno dei migliori esercizi per lo

sviluppo della forza massima per la parte inferiore del corpo e non dovrebbe

mai essere sostuito solo per evitare la noia.


Gli allenatori e gli atleti dovrebbero ricordare anche che l’allenamento

sportivo è diverso dall’allenamento per il fitness e che le idee che

funzionano nel fitness non sempre funzionano nell’allenamento sportivo.

Per esempio, molti preparatori della forza dicono che gli esercizi dovrebbero

essere cambiati ogni settimana. Questo approccio, che può essere efficace

quando si allenano clienti di personal training che richiedono una varietà

costante per mantenere la propria motivazione, non è appropriato per gli

atleti. Cambiare gli esercizi per la forza nella preparazione per un

determinato sport può essere un’opzione solamente se i nuovi esercizi

stimolano anch’essi i muscoli motori primari. Inoltre, introdurre nuovi

esercizi (o un nuovo metodo d’allenamento) causa rigidità e dolori

muscolari, che a loro volta producono una transitoria riduzione della

prestazione (da due a sete giorni) nell’allenamento tecnico-tattico specifico.

Bisogna pianificare l’allenamento, quindi, tenendo a mente questa

eventualità.

Poiché l’adattamento è un requisito fisiologico per il miglioramento atletico,

lo stesso tipo di allenamento deve essere ripetuto e gli stessi gruppi

muscolari devono essere sollecitati più volte per produrre il massimo

adattamento possibile. Senza un costante incremento dell’adattamento dei

sistemi corporei, gli atleti non possono esperire un miglioramento della loro

prestazione. È pur vero, in ogni caso, che ripetere lo stesso tipo di esercizi di

settimana in settimana è molto noioso. Ma allo stesso modo lo è il ripetere i

gesti tecnici della corsa, del nuoto, del ciclismo e del canottaggio, solo per

citarne alcuni. Nonostante ciò nessuno suggerisce ai corridori, ai nuotatori,

ai ciclisti e ai canottieri di alterare l’allenamento dei propri gesti tecnici

specifici perché è noioso. I preparatori atletici, quindi, dovrebbero scegliere

un certo numero di esercizi che condividano lo stesso scopo funzionale ma

che, allo stesso tempo, aggiungano varietà all’allenamento. In questo modo

possono rendere più interessante il programma di lavoro, senza perdere di

vista l’obiettivo principale: il livello di adattamento fisiologico dell’atleta.

Principio dell’individualizzazione

L’allenamento moderno richiede un’analisi sul piano individuale. Ciascun

atleta dovrebbe essere allenato a seconda delle proprie capacità individuali,

del proprio potenziale e della propria esperienza nell’allenamento della


forza. Spesso gli allenatori seguono i programmi di allenamento degli atleti

di successo trascurando i bisogni, l’esperienza e le capacità del loro atleti.

La situazione peggiora ulteriormente se tali programmi vengono incorporati

nell’allenamento di atleti giovani: questi ultimi, infatti, non sono pronti né

fisicamente, né psicologicamente per questo tipo di approccio.

Prima di progettare un programma di allenamento, il preparatore fisico

dovrebbe sempre testare un atleta. Soggetti che raggiungono le stesse

prestazioni non hanno necessariamente la stessa capacità di lavoro. La

capacità di lavoro individuale è determinata, infatti, da fattori biologici e

psicologici, che devono quindi essere presi in seria considerazione per

determinare la quantità di lavoro (volume), la sua intensità e il tipo di

allenamento della forza da proporre a un atleta. Essa è influenzata anche

dall’esperienza di allenamento. Il carico di lavoro dovrebbe basarsi, quindi,

sulle esperienze passate. Anche quando gli atleti mostrano miglioramenti

sostanziali, i preparatori dovrebbero comunque fare attenzione al carico di

lavoro da utilizzare. Quando si inseriscono nello stesso gruppo di

allenamento atleti con vissuti ed esperienze diverse, dovrebbero essere

sempre prese in considerazione le caratteristiche e le potenzialità di ciascun

soggetto.

Un altro fattore da analizzare nella stesura di un programma d’allenamento

è la capacità di recupero di un atleta. Nel valutare e pianificare il contenuto

e l’impegno dell’allenamento, sarà necessario considerare anche le altre

attività che eventualmente egli realizza, il suo stile di vita e i suoi

coinvolgimenti emotivi. La capacità di recupero, infatti, può essere

influenzata anche dagli impegni scolastici o da altre attività. Come aiuto per

monitorare lo stato di recupero dell’atleta, i preparatori possono usare, per

esempio, uno strumento per il controllo della variabilità cardiaca.

Anche le differenze tra sessi hanno la loro importanza. Generalmente la

forza nelle donne è pari al 63,5% di quella degli uomini. La forza della parte

superiore del corpo in un’atleta di sesso femminile è in media pari al 55,8%

di quella maschile. Per la parte inferiore del corpo, invece, la differenza è

minore: mediamente la forza della donna in questa zona del corpo equivale

al 71,9% di quella maschile (Launach 1976). Le donne tendono ad avere

una minore ipertrofia e una capacità di lavoro più bassa rispetto agli uomini,
soprattutto perché il livello del loro testosterone è fino a 20 volte inferiore

(Wright 1980). Le atlete possono seguire lo stesso programma di

allenamento degli uomini senza preoccuparsi di sviluppare eccessivamente i

muscoli. Possono persino applicare lo stesso schema di carico e usare gli

stessi metodi di allenamento degli uomini senza preoccupazioni, ad

eccezione del monitoraggio del loro stato di recupero.

Uno studio ha indagato la differenza in termini di guadagni della forza forza

e dell’ipertrofia tra i sessi a seguito di un programma d’allenamento con i

pesi. Sia per gli uomini, sia per le donne, 12 settimane di allenamento con i

pesi per tutto il corpo hanno portato a una maggiore ipertrofia per la parte

superiore del corpo rispetto a quella inferiore; il programma ha anche

prodoto dei guadagni di forza e di ipertrofia con un decorso e con

proporzioni simili fra gli uomini e le donne (Eversten et al. 1999). In altre

parole l’allenamento della forza è vantaggioso per le donne quanto per gli

uomini. Infatti i guadagni di forza per le donne avvengono alla stessa

velocità che per gli uomini (Wilmore at al. 1978).

L’allenamento della forza per le donne dovrebbe essere costante e

sistematico, programmato rigorosamente e senza interruzioni prolungate.

L’allenamento pliometrico dovrà essere svolto con una progressione

conservativa e su di un lungo periodo perché si abbiano gli adattamenti

efficaci. Poiché le donne sono fisicamente più deboli degli uomini, un

allenamento della forza efficace può produrre miglioramenti della

prestazione atletica maggiormente visibili (Lephart et al. 2002). Inoltre,

l’allenamento pliometrico favorisce una maggiore capacità di espressione

della potenza. Per quanto riguarda l’allenamento dei sistemi energetici, le

donne possono usare gli stessi metodi di allenamento degli uomini.

Una delle questioni più importanti riguardanti la differenza fra i sessi nello

sport è relativa agli infortuni. Le atlete spesso hanno una maggiore

incidenza di infortuni alla parte inferiore del corpo, in particolare

all’articolazione del ginocchio. Sono stati compiuti diversi studi per spiegare

questo fato dal punto di vista fisiologico e anatomico. Per esempio, con

un’analisi cinematica ed elettromiografica dello squat monopodalico, è stato

riscontrato in un gruppo di atlete universitarie una flessione laterale del


tronco e una flessione dorsale della caviglia inferiori rispetto ai maschi, una

pronazione della caviglia, un’adduzione dell’anca, una flessione e una

rotazione esterna dell’anca superiori rispetto alla loro controparte maschile

(Zeller et al. 2003). Inoltre, le atlete che eseguono esercizi di salto e di

agilità mostrano una stiffness a protezione dell’articolazione del ginocchio

inferiore rispetto ai maschi (Wojtys et al. 2003). Le ragazze presentano un

valgismo del ginocchio maggiore, un elemento che causa stress

all’articolazione e che può lesionare il legamento crociato anteriore.

Sebbene una pianificazione specifica in funzione del genere non sia

propriamente richiesta, queste differenze indicano che con le atlete si deve

dedicare del tempo al miglioramento della forza massima, in particolare a

livello della parte inferiore del corpo. Più specificamente, l’obiettivo di un

aumento della forza dei quadricipiti e degli ischiocrurali al termine della

prima fase preparatoria può preparare le atlete alla realizzazione degli

esercizi sport-specifici e per l’allenamento della potenza, che causano

maggiore stress all’articolazione del ginocchio e che possono determinare

l’infortunio.

Il principio della specificità

L’allenamento, per essere efficace e raggiungere adattamenti maggiori,

dovrebbe essere rivolto allo sviluppo della forza specifica richiesta da una

data disciplina. Per ottenere questo obiettivo, un preparatore atletico deve

fare una semplice analisi del modello prestativo dello sport per il quale

viene creato il programma di allenamento della forza. L’analisi dovrebbe

tenere conto dell’ergogenesi (cioè del contributo di ciascuno dei tre sistemi

energetici all’attività sportiva in esame), del range articolare specifico, dei

piani del movimento e dei muscoli motori primari, nonché le loro azioni

(eccentrica, isometrica, concentrica). La specificità dell’allenamento è il

meccanismo più importante per gli adattamenti neuromuscolari utili.

La specificità e il sistema energetico dominante

Un allenatore dovrebbe considerare attentamente il sistema energetico

dominante nel suo sport. Per esempio, l’allenamento della resistenza

muscolare è più appropriato per gli sport di resistenza come il canottaggio,


il nuoto sulle lunghe distanze, la canoa e il pattinaggio sul ghiaccio (capitoli

3 e 14). L’allenatore deve anche prendere in considerazione i gruppi

muscolari specifici coinvolti (muscoli motori primari) e gli schemi motori

caratteristici dello sport. Gli esercizi scelti dovrebbero replicare gli schemi

motori dello sport. Essi dovrebbero anche migliorare la forza specifica dei

muscoli motori primari. Normalmente, i miglioramenti nella forza specifica

si trasferiscono ai gesti tecnici.

Solo specificità o un approccio metodico?

L’idea che l’allenamento ottimale della forza debba essere massimamente

legato alle richieste delle diverse discipline è stato postulato da alcuni

studiosi dell’apprendimento motorio. Mathews e Fox (1976) tradussero la

teoria in un principio d’allenamento. Secondo questo principio, un esercizio

o una tipologia di allenamento che siano specifici rispetto al gesto atletico

determinano un transfer maggiore e quindi un miglioramento superiore della

prestazione. Il principio di specificità applicato all’allenamento della forza,

però, dovrebbe essere utilizzato solamente per gli atleti esperti nella fase

preparatoria avanzata e/o nella fase competitiva. Questi atleti, infatti,

dedicano molte delle ore di allenamento del piano annuale per lavorare sulla

forza specifica del loro sport.

L’uso scorretto della specificità porta a uno sviluppo asimmetrico e non

armonioso del corpo e a trascurare i muscoli antagonisti e quelli

stabilizzatori, ostacolando il miglioramento della forza di quelli motori

primari e causando degli infortuni. Assegnare troppa importanza alla

specificità nell’allenamento può provocare limitazioni nello sviluppo e nelle

capacità funzionali della muscolatura. Per questo motivo nell’allenamento

dovrebbero essere inclusi sempre alcuni esercizi di compensazione,

specialmente durante la prima fase preparatoria e durante la fase transitoria

del piano annuale. Tali esercizi servono a riequilibrare la forza dei muscoli

agonisti e antagonisti.

Sebbene quello della specificità sia un principio molto importante, la sua

applicazione a lungo termine può determinare programmi stressanti, noiosi,

che conducono all’overtraining, a lesioni da sovraccarico e talvolta

all’esaurimento. La specificità è applicata al meglio in alcuni momenti


particolari e all’interno di un programma basato sull’approccio metodico a

lungo termine. Un tale programma dovrebbe prevedere tre fasi principali: la

fase generale e multilaterale, la fase specifica di allenamento specializzato e

la fase dell’alta prestazione (tabella 7.3).

Durante la fase generale multilaterale, l’allenamento della forza è

programmato per sviluppare tutti i gruppi muscolari, i legamenti e i tendini

in previsione dei carichi di lavoro maggiori e di un allenamento più

specifico. Questo periodo permette di prevenire le lesioni durante l’intera

carriera sportiva. La fase generale e multilaterale, a seconda dell’età e delle

capacità dell’atleta, può durare da uno a tre anni.

Gli allenatori devono essere pazienti: lo sviluppo multilaterale è un requisito

fondamentale per raggiungere un alto livello di specializzazione. In questa

fase la gran parte dell’allenamento per la forza massima è dedicata

all’allenamento della coordinazione intermuscolare (lavoro tecnico con

carichi al di sotto dell’80% dell’1RM).

Dopo aver posto delle solide basi, l’atleta inizia la fase di specializzazione,

che continuerà nel corso di tutta la sua carriera. Durante questo periodo il

programma di allenamento della forza non deve essere specifico in tutte le

fasi del piano annuale, bensì dovrebbe prevedere la periodizzazione, che

inizia sempre con una fase introduttiva di adattamento anatomico (legge n°

7 di questo capitolo). In questa fase viene introdotto l’allenamento della

forza massima con carichi al di sopra dell’80%.

La fase dell’alta prestazione si addice ad atleti di livello nazionale e

internazionale. In questo stadio dello sviluppo atletico, la specificità prevale

dall’ultima parte del periodo preparatorio continuando nel periodo

agonistico della stagione. Viene dedicato più tempo alla fase di conversione

in forza specifica rispetto agli anni precedenti.

La specificità degli esercizi per l’allenamento della forza

Per quanto concerne la scelta degli esercizi di forza, specialmente nella

seconda parte della fase preparatoria, gli allenatori devono cercare di

simulare la struttura dinamica del gesto atletico, così come l’orientamento

spaziale o la posizione del corpo in relazione all’ambiente circostante. In


altre parole, si dovrebbero scegliere quegli esercizi che posizionano il corpo

e gli arti in maniera simile a ciò che avviene nell’esecuzione del gesto

atletico specifico. L’angolo tra gli arti e il busto o tra le altre parti del corpo

determina come i gruppi muscolari si contraggono per eseguire i gesti

specifici.

Per esempio, l’estensione delle braccia eseguita dai lanciatori di peso e dai

linemen del football americano utilizza i muscoli tricipiti. Un esercizio del

bodybuilding che sviluppa i tricipiti è l’estensione del gomito con i manubri

eseguita con il busto inclinato e il braccio lungo il corpo o con il busto eretto

e il braccio sopra la spalla. In qualunque modo venga eseguito, questo

esercizio isola i tricipiti dagli altri muscoli coinvolti nei gesti del lancio del

peso o del placcaggio e, di conseguenza, non è molto efficace per questi

atleti. Un’opzione migliore per loro sono le distensioni su panca inclinata a

un angolo di 30-35 gradi, che fanno esprimere forza all’intera catena di

spinta della parte superiore del corpo, che include anche i muscoli pettorali

e i deltoidi, con un angolo tra arti e busto simile a quello dei gesti atletici

specifici.
SPECIFICITÀ E ALLENAMENTO FUNZIONALE

La forza specifica viene spesso confusa con la forza funzionale. Il

termine forza funzionale è piuttosto recente. Esso si riferisce agli

esercizi realizzati con vari attrezzi, come le palle mediche, le sandbag,

le piattaforme propriocetive, che sono stati progettati per aumentare la

difficoltà di esecuzione e per favorire l’uso dei muscoli stabilizzatori,

più piccoli e profondi (Staley, 2005). È possibile, tuttavia, pensare che


eventi come le Olimpiadi e i mondiali di specialità siano stati vinti e

che i record siano stati stabiliti senza che gli atleti abbiano lavorato

sulla forza specifica, o che non lo abbiano fatto in modo ottimale fino al

2000?

Infatti, forza specifica e forza funzionale non sono sinonimi.

L’allenamento per la forza specifica necessaria in una data disciplina

richiede che vengano replicate le modalità sport-specifiche con cui

viene utilizzata la forza nei gesti che la compongono, sia dal punto di

vista neurale, sia da quello metabolico. Questo allenamento è svolto

utilizzando esercizi che mimano l’azione delle catene cinetiche nelle

abilità motorie specifiche (incluso l’arco di movimento delle

articolazioni e i vettori di forza). Un’enfasi particolare è posta sui

muscoli motori primari, senza alterare lo schema motorio richiesto

dalla tecnica dello sport praticato. Il termine forza funzionale, al

contrario, piuttosto che riferirsi ai parametri fisiologici e biomeccanici

di un evento o di un’abilità biomotoria specifici, è più comunemente

utilizzato per indicare il modo in cui la forza è allenata – ossia, i mezzi

di allenamento: pesi liberi o cavi, allenamento unilaterale e

possibilmente l’uso di esercizi che implichino l’uso di più piani di

movimento (delle eccezioni a questa definizione sono riscontrabili negli

esercizi propedeutici e in alcuni esercizi di stabilizzazione del core). In

altre parole, per parlare di allenamento della forza specifica, gli

elementi fondamentali sono la biomeccanica e la fisiologia dello sport

considerato. L’allenamento funzionale al contrario, è semplicemente

definito dall’uso di esercizi con le caratteristiche sopraelencate. Dire

che la selezione degli esercizi definisce completamente il grado di

funzionalità di un programma di allenamento della forza è, ovviamente,

metodologicamente sbagliato, ma è anche vero che i migliori allenatori

che propongono la forza funzionale applicano il concetto di

periodizzazione ai loro allenamenti. Inoltre, non solo essi tengono

conto della biomeccanica quando selezionano gli esercizi, ma

considerano anche la fisiologia quando scelgono i parametri di carico,

senza badare alle preferenze personali di certi esercizi e metodi.

Bisognerebbe chiedersi, tuttavia, fino a che punto i metodi di

allenamento funzionale sono adeguati per lo sviluppo della forza

massima necessaria in alcuni sport di potenza (come per esempio


eseguire lo squat monopodalico afferrando una cintura in sospensione).

A questo punto, dovrebbe essere chiaro che la periodizzazione della

forza è un concetto molto più ampio dell’allenamento funzionale e che

la forza specifica affonda le sue radici nella biomeccanica e nella

fisiologia, piuttosto che sugli esercizi innovativi e all’ultima moda.


PARTE

PROGRAMMAZIONE
MANIPOLAZIONE DELLE

VARIABILI DI ALLENAMENTO

Ottavo capitolo
Per creare dei programmi di allenamento della forza di successo, i

preparatori fisici manipolano diverse variabili dell’allenamento, di cui le

principali sono il volume e l’intensità. Sia il volume, sia l’intensità

dell’allenamento, così come la sua frequenza, cambiano a seconda del

calendario competitivo e degli obiettivi dell’allenamento. I fattori che le

determinano e che qualificano in maniera più specifica le caratteristiche del

programma di allenamento della forza (dette “variabili acute”) sono: il

sovraccarico, che è generalmente espresso come una percentuale della

singola ripetizione massimale (1RM), il “buffer”, le ripetizioni, le serie, il

ritmo di esecuzione e il tempo di recupero tra le serie. Manipolare queste

variabili specifiche altera il volume, l’intensità, il grado di sforzo e la

densità dell’allenamento: in definitiva l’effetto allenante.

I programmi di allenamento dovrebbero includere un mix di esercizi

generali e sport-specifici. Come regola fondamentale, la prima parte del

programma annuale, che può essere costituita da una fase preparatoria della

durata di 1-6 mesi, dovrebbe prevedere un volume di allenamento maggiore

con una bassa proporzione di esercizi specifici. All’avvicinarsi della

stagione competitiva, tuttavia, l’intensità diviene più importante, il volume

decresce e gli esercizi sport-specifici costituiranno la maggior parte del

programma di allenamento.

8.1 VOLUME DI ALLENAMENTO

Il volume, ossia la quantità di lavoro effettuata, può essere misurato in

termini di peso totale sollevato, oppure in termini di serie o ripetizioni totali

eseguite per sessione di allenamento, per microciclo o per macrociclo. I

preparatori dovrebbero registrare il tonnellaggio o il numero di serie e di

ripetizioni eseguite per sessione o per ciclo, perché questo li aiuta a

pianificare il volume futuro.

Il volume di allenamento varia a seconda dei requisiti fisici specifici per uno

sport, del background nell’allenamento di forza di un atleta e del tipo di

allenamento da lui eseguito. Per esempio, per migliorare la resistenza

muscolare degli atleti si utilizza un elevato volume, a seguito delle molte

ripetizioni impiegate. L’allenamento della forza massima, invece, implica un

tonnellaggio e una densità più bassi, nonostante gli alti carichi impiegati, a
causa del minor numero di ripetizioni totali e dei tempi di recupero più

ampi. Un volume medio, invece, si addice a chi voglia sviluppare la potenza

nei suoi diversi aspetti; in questo caso, il carico sarà medio-basso e gli

intervalli di recupero da brevi a lunghi a seconda dell’intensità.

Il volume complessivo diventa più importante quando gli atleti raggiungono

alti livelli di prestazione. Non esistono scorciatoie. La prestazione atletica

richiede un’alta frequenza settimanale di allenamento che, a sua volta,

determina un maggiore volume di allenamento. Man mano che gli atleti si

abituano a una maggiore frequenza di allenamento, la loro capacità di

recupero e il livello dei loro adattamenti strutturali e neurali migliorano.

Questo aumento della capacità di lavoro può tradursi successivamente in

una maggiore facilità di adattamento alle fasi di intensificazione, così come

in un miglioramento generale della prestazione.

Come visto nella tabella 7.3 del precedente capitolo, che mostra la

pianificazione pluriennale dell’allenamento della forza, una volta raggiunto

un volume di allenamento ottimale, lo stressor più importante per gli atleti

maturi dovrebbe essere l’intensità. La capacità di lavoro è acquisita con il

tempo; quindi, per incrementare il volume attraverso un incremento della

frequenza d’allenamento, è necessario ridurre inizialmente il volume per

unità d’allenamento.

Questa riduzione è possibile dividendo il volume totale per microciclo

precedente per il nuovo, più alto numero di unità d’allenamento. Aumentare

il numero di unità di allenamento mantenendo lo stesso volume settimanale

permette un’intensificazione del lavoro grazie a una maggiore possibilità di

recupero derivante dalla riduzione della durata e del volume per unità. Il

risultato è una maggiore risposta adattativa (Bompa e Haff 2009).


La capacità di sopportare carichi di allenamento sempre più elevati,

permette ai sollevatori di peso di raggiungere il livello di forza necessario

per la loro disciplina

Successivamente il volume per sessione può essere incrementato, se

necessario. Per esempio, supponiamo che l’obiettivo sia incrementare le


unità di allenamento settimanali da tre a quattro e che il punto di partenza

sia un microciclo con tre sessioni di allenamento della forza, ognuna delle

quali di 8 tonnellate di volume (quindi 24 tonnellate di volume totale per

microciclo). Per questa situazione si mostrano un metodo sbagliato e uno

corretto.

◊ Metodo sbagliato: aggiungere un’unità d’allenamento di 8 tonnellate,

in modo da incrementare bruscamente il volume totale del microciclo

da 24 a 32 tonnellate (incremento del 25%).

◊ Metodo corretto: dividere il volume totale di 24 tonnellate per il nuovo

numero totale di unità d’allenamento, cioè quattro. Il volume totale per

microciclo rimane immutato a 24 tonnellate, ma quello delle singole

sessioni è ridotto a 6 tonnellate ciascuna (decremento del 25%),

permettendo così un’intensità media più alta e un miglior recupero. Il

volume per sessione può essere incrementato più avanti, se necessario.

Il volume dell’allenamento di forza dipende dalle caratteristiche fisiologiche

dell’atleta, dai requisiti specifici dello sport e dall’importanza della forza

per quella disciplina. Gli atleti più maturi, con un background di

allenamento della forza importante, possono tollerare volumi più alti, ma

l’incremento del volume dell’allenamento di forza non dovrebbe essere fine

a se stesso. Piuttosto dovrebbe essere aumentato se la situazione lo richiede

e mai a spese dell’allenamento specifico.

Poiché l’allenamento delle abilità biomotorie (incremento del potenziale

motorio dell’atleta) deve essere integrato con l’allenamento sport-specifico

(la prestazione specifica), il punto di partenza dovrebbe essere il volume

minimo efficace (VME) nel migliorare gli indici che descrivono una

determinata abilità biomotoria. In linea di principio, durante la preparazione

generale, il volume dell’allenamento delle abilità biomotorie può essere tale

da influenzare temporaneamente in maniera negativa la prestazione

specifica. Durante la preparazione specifica, invece, ci dovrebbe essere una

correlazione tra l’aumento degli indici delle abilità biomotorie e la

prestazione di gara. Durante la fase competitiva l’allenamento delle abilità

biomotorie dovrebbe essere tale da permetterne il mantenimento, un leggero

miglioramento o il raggiungimento del picco nella prestazione specifica.


Un incremento improvviso e sostanziale nel volume d’allenamento ha un

effetto negativo indifferentemente da quali siano lo sport e il livello

dell’atleta, portando all’affaticamento, a un lavoro muscolare inefficace e a

un’alta probabilità di infortunio.

Una pianificazione progressiva con un metodo adatto di monitoraggio degli

incrementi del carico potrà prevenire l’insorgere di tali inconvenienti. Di

seguito alcune linee guida:

a) La durata di una sessione d’allenamento della forza non dovrebbe

superare i 75 minuti, a meno che non sia una sessione di volume

elevato per la forza massima con tempi di recupero lunghi tra le serie,

oppure una sessione di resistenza muscolare di lunga durata per un

atleta di ultra-resistenza.

b) Il volume di una sessione di adattamento anatomico dovrebbe

rientrare tra le 16 e le 32 serie totali; il volume di una sessione per

l’ipertrofia tra le 16 e le 24 serie totali con una durata inferiore all’ora;

una sessione per la forza massima tra le 16 e le 24 serie totali; una

sessione per la potenza tra le 10 e le 16 serie totali; e una sessione per

la potenza resistente o la resistenza muscolare di breve durata tra le 4

e le 12 serie totali.

c) Una volta stabilito il volume delle serie, esso non dovrebbe variare più

del 50% all’interno di un macrociclo. Per esempio, 2 serie per

esercizio nel primo microciclo, 3 serie per esercizio nel secondo e nel

terzo microciclo, 2 serie per esercizio nel quarto microciclo (di

scarico).

Il volume totale per microciclo o macrociclo dipende da diversi fattori, il più

importante dei quali è il ruolo della forza nella disciplina in questione. Per

esempio, un sollevatore di pesi di livello internazionale spesso programma

sessioni di allenamento di 30 tonnellate e approssimativamente 19.000

tonnellate per anno. Queste cifre cambiano drasticamente per quanto

riguarda altri sport (tabella 8.1). Gli sport in cui si manifesta una forte

dominanza della potenza e della velocità richiedono un volume molto più

elevato di quello impiegato per esempio nella boxe, mentre le discipline che

si basano sulla resistenza muscolare, come il canottaggio o la canoa,

prevedono un volume annuo di allenamento della forza anch’esso molto

elevato.
Tabella 8.1

Linee guida per il volume (in tonnellate) dell’allenamento della forza nelle

diverse fasi

8.2 L’INTENSITÀ DELL’ALLENAMENTO

Nell’ambito dell’allenamento della forza, l’intensità viene espressa come

percentuale del carico massimale che può essere sollevato in una singola

ripetizione (1RM). L’intensità, una funzione della forza degli stimoli

nervosi attivati durante l’allenamento, indica il grado di utilizzo del sistema


nervoso centrale (SNC). La forza degli stimoli dipende dal carico, dalla

velocità del movimento e dalle eventuali pause di recupero tra le ripetizioni.

Il carico impiegato, espresso come una percentuale di 1RM, fa riferimento

alla massa sollevata, ossia il peso. Nell’allenamento della forza si utilizzano

le zone di intensità indicate nella tabella 8.2.

Tabella 8.2

Classificazione dell’intensità e carico impiegato nell’allenamento della

forza

Un carico sovramassimale supera la forza massima dell’atleta (1RM).

Generalmente i carichi tra il 100 e il 120% di 1RM sono impiegati

applicando il metodo eccentrico (allungamento del muscolo sotto controllo)

o isometrico (contrazione massimale senza movimento articolare). Solo

pochi atleti con un solido background di allenamento della forza dovrebbero

usare i carichi sovramassimali. Tali sollecitazioni dovrebbero essere

impiegate per periodi di tempo limitati e solamente per alcuni gruppi

muscolari, in particolare quelli in cui il cui carico eccentrico è alto durante

l’attività specifica in gara (per esempio, i muscoli ischiocrurali nello sprint o

i quadricipiti durante l’atterraggio o il cambio di direzione). Tutti gli altri

atleti dovrebbero limitarsi ai carichi non superiori al 100% di 1RM.

I carichi massimali vanno dal 90 al 100% di 1RM, i carichi pesanti dall’80

al 90%, i carichi medi dal 50 all’80% e i carichi bassi dal 30 al 50%. Ogni

zona di intensità stimola adattamenti neuromuscolari leggermente diversi

(capitolo 2) e necessita di una progressione precisa. Le intensità superiori al


90% dovrebbero essere impiegate con parsimonia, specialmente se portate a

esaurimento concentrico, dato il loro effetto di abbassamento del

testosterone (Hakkinen e Pakarinen 1993, Izquierdo et al. 2006) e

nonostante il loro effetto positivo addizionale sugli adattamenti

neuromuscolari. Le uniche scuole di sollevamento pesi che supportavano un

uso frequente di carichi superiori al 90% erano la bulgara, la turca e la

greca, squadre che, non sorprendentemente, sono state colpite da

un’incidenza eccezionalmente alta di risultati positivi ai test antidoping (la

Bulgaria ebbe tre positivi alle Olimpiadi del 2000, 3 prima delle Olimpiadi

del 2004 e 11 prima delle Olimpiadi del 2008; la Grecia ebbe 11 positivi

prima delle Olimpiadi del 2008; entrambe le squadre non vinsero alcuna

medaglia alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e alle Olimpiadi di Londra del

2012; la Turchia ha avuto 48 positivi nel 2013). Il test di 1RM ogni tre o

quattro settimane, alla fine del macrociclo, è solitamente sufficiente per

ottenere gli eventuali benefici nella zona di intensità tra il 90 e il 100%.

Negli anni gli autori del mondo occidentale che hanno scritto

sull’allenamento della forza hanno spesso supportato l’utilizzo

dell’esaurimento concentrico (allenamento senza buffer) come una

condizione essenziale per i guadagni di forza. In realtà, come si evince dalle

informazioni presentate nel capitolo 2 (Adattamenti neuromuscolari

all’allenamento della forza), tutti gli adattamenti neuromuscolari che

migliorano la prestazione (tranne l’effetto di ipertrofia maggiore; Burd et al.

2010) avvengono senza il bisogno dell’esaurimento concentrico.

Questa posizione è ulteriormente supportata dalla distribuzione del carico e

delle ripetizioni nell’allenamento della forza dei sollevatori di peso e

powerlifter di élite: la maggior parte del loro allenamento per la forza è fato

impiegando carichi tra il 70 e il 90%, con ripetizioni basse, mai portate

all’esaurimento concentrico (figure 8.1 e 8.2, tabelle 8.3 e 8.4).


Figura 8.1

La distribuzione dei carichi sollevati dai membri della nazionale sovietica

di sollevamento pesi durante la preparazione per i Giochi Olimpici del 1988

(un anno di osservazione diretta)

Adattato da “Preparation of National Olympic Team in Weight Lifting to the 1988 Olympic

Games in Seoul”, Technical report #1988-67, All-Union Research Institute of Physical

Culture, Moscow, 1989


Figura 8.2

Numero di ripetizioni per serie in percentuale nell’allenamento di atleti di

potenza d’élite

Da V. M. Zatsiorsky, “Intensity of strength training facts and theory: Russian and Eastern

European approach”, National Strength and Conditioning Association Journal, 1992,

14(5), pp. 46-57.


La tabella 8.3, in particolare, fornisce un esempio della distribuzione del

carico tra le zone di allenamento impiegate dall’ex allenatore della

nazionale russa di powerlifting Boris Sheiko, uno degli allenatori di maggior

successo nella storia di quello sport. La tabella 8.4 mostra le linee guida per

il numero di ripetizioni per serie nelle varie zone di intensità per i

sollevatori di peso delle nazionali junior (1975-1980) e senior (1980-1985)

dell’Unione Sovietica sotto l’allenatore Alexander Prilepin (1979). Gli atleti

di Prilepin hanno vinto 85 medaglie internazionali, incluse molte medaglie

olimpiche, stabilendo 27 record mondiali.


Tabella 8.3

Variazioni di intensità e volume dello squat e dello stacco nel macrociclo di

Sheiko

Da P. Evangelista, “La programmazione della forza: criteri di scelta e analisi degli schemi

di allenamento”, presentazione per l’International Strength & Conditioning Institute, 2010


Tabella 8.4

Linee guida relative alle ripetizioni per serie della Nazionale Sovietica di

sollevamento pesi junior (1975-1980) e senior (1980-1985)

Adattato da A. S. Vorobyev e M. S. Prilepin, “Comparative effectiveness of the different

types of loadings applied in the weightlifters training”, International Weightlifting Journal,

Sofia, Bulgaria, 1979, Vol. 1, pp. 7-9.

Inoltre, quando un atleta diviene oggettivamente forte (quindi

neuromuscolarmente efficiente), la sua capacità di tollerare un’esposizione a

carichi massimali diminuisce (figura 8.3).

Figura 8.3

Percentuale di 1RM e percezione dello sforzo (RPE) in base al livello

dell’atleta

Da P. Evangelista, “La programmazione della forza: criteri di scelta e analisi degli schemi

di allenamento”, presentazione per l’International Strength & Conditioning Institute, 2010.

Il carico dovrebbe essere programmato in base al tipo di forza che deve

essere sviluppata e, in particolar modo, alla combinazione sport-specifica

risultante dal rapporto della forza con la velocità o della forza con la

resistenza. Nel capitolo 14 vengono forniti dettagli riguardo all’allenamento

di queste combinazioni specifiche per le diverse discipline. Nella tabella 8.5

sono indicate le intensità a cui vengono allenate queste combinazioni. Il


carico impiegato nell’allenamento della forza non rimane immutato in tutte

le fasi del piano annuale. Infatti, la periodizzazione prevede la modifica del

carico in base agli obiettivi di ciascuna fase. Come si può vedere nella

tabella, il carico oscilla dal 30% a oltre il 100% di 1RM; nella seconda riga

viene indicata l’intensità corrispondente. Le righe successive indicano le

combinazioni sport-specifiche e la percentuale del carico indicata per

ciascuna di esse.

Tabella 8.5

Relazione tra carico, diverse tipologie e combinazioni di forza

La periodizzazione incorpora una pianificazione adeguata per tutte le abilità

necessarie in una data disciplina sportiva. Per esempio, il programma di

allenamento di un corridore di mezzo fondo considera la distanza totale

coperta in una settimana, il numero di sessioni settimanali e, ovviamente, il

volume (serie e ripetizioni) di lavoro eseguito in ogni sessione

d’allenamento della forza. Così come per la maggior parte dei sistemi
dell’organismo umano, esiste una relazione dose-effetto tra il volume totale

di lavoro e il livello di adattamento. Gli atleti principianti inizialmente

traggono beneficio da un volume basso, come una o due serie per esercizio,

ma con il tempo raggiungono un plateau e necessitano di uno stimolo

maggiore per ottenere ulteriori adattamenti. Quindi, non è raro avere atleti

che eseguono, ad esempio, serie multiple di squat (per esempio da sei a otto)

oppure oltre 50 ripetizioni in una serie, a seconda dell’effetto fisiologico

desiderato. Bisogna ricordare che il termine intensità, così come usato in

ambito sportivo, in senso stretto è una percentuale del carico o del power

output massimi. In altre parole, l’unico modo per aumentare veramente

l’intensità è incrementare il carico.

Per esempio, si immagini che un atleta faccia due ripetizioni per la prima

serie di un esercizio al 90% di 1RM e poi, dopo quattro minuti di recupero,

completi tre ripetizioni a esaurimento concentrico con lo stesso carico.

Dalla prima alla seconda serie l’atleta non ha aumentato l’intensità. È il

volume che è aumentato, così come lo stress inflitto ai muscoli, ma il carico

è rimasto al 90%; quindi l’intensità non è cambiata. I preparatori devono

stare attenti a non correlare l’intensità con le sensazioni muscolari a seguito

di una serie.

In linea generale, maggiore è il numero di serie che un atleta esegue, più

basso è il numero delle ripetizioni e viceversa. Per esempio, durante una

fase di allenamento della forza massima, un atleta può eseguire 6 serie di 3

ripetizioni di un esercizio con un carico incrementale dal 70 all’80% di

1RM, ma solamente 3 serie di 10 ripetizioni al 65% di 1 RM dello stesso

esercizio durante la fase di ipertrofia.

Il programma d’allenamento degli atleti dovrebbe essere sempre

individualizzato e i preparatori dovrebbero osservare i sintomi

dell’affaticamento. Uno dei più grandi problemi nell’ambito

dell’allenamento sportivo è l’uso smodato della quantità a discapito della

qualità. La pianificazione dovrebbe essere usata solamente come linea guida

per la progettazione dei programmi di allenamento e non essere considerata

come scritta nella roccia; piuttosto l’allenatore dovrebbe annotare i

miglioramenti e le difficoltà incontrate da ciascun atleta, sessione dopo


sessione, e considerarli nella revisione del programma. Egli deve stare

attento a riconoscere il momento nel quale l’atleta non è più capace di

eseguire il numero di ripetizioni richieste con un certo carico o in maniera

esplosiva e con una tecnica adeguata.

Questa capacità è fondamentale, specialmente nelle fasi di allenamento della

forza massima e della potenza, quando l’obiettivo primario è il

raggiungimento degli adattamenti di tipo neurale.

La tabella 8.6 mostra un ipotetico diario d’allenamento di un atleta che

esegue lo squat per la forza massima senza buffer (un metodo che stimola

simultaneamente i guadagni di forza e ipertrofia, conosciuto anche come

metodo per la forza assoluta). In questo caso l’atleta ha deciso di completare

il programma che l’allenatore gli ha consegnato, registrando il numero di

ripetizioni per serie. Nonostante si sia riposato per un tempo superiore

rispetto a quello prescritto dopo la terza serie, l’atleta non è riuscito a

completare il numero desiderato di ripetizioni nella quarta serie. Per questo,

al fine di eseguire il numero di ripetizioni richieste, egli ha ridotto il carico

per la quinta e la sesta serie.

Riducendo il carico per terminare il programma, l’atleta ha in sostanza

eseguito varie serie con una tecnica deteriorata, che influenzerà

negativamente il recupero, l’effetto allenante e le sedute di allenamento

sport-specifico successive. Anziché fare in questo modo, egli avrebbe dovuto

terminare l’allenamento dopo la prestazione inferiore alle aspettative della

quarta serie.
Tabella 8.6

Comparazione tra programmazione e realizzazione di un allenamento di

squat per la forza assoluta

*Diversamente dal programma originale

** L’esercizio si sarebbe dovuto arrestare dopo la quarta serie

8.3 NUMERO DI ESERCIZI

La chiave di un programma di allenamento efficace si trova nella corretta

scelta degli esercizi. È difficile stabilire un numero ottimale e, desiderando

sviluppare molti gruppi muscolari, alcuni preparatori fisici ne scelgono

troppi, con il risultato che il programma diventa eccessivo e faticoso. La

quantità e il tipo di esercizi devono essere selezionati a seconda dell’età

dell’atleta, del suo livello di prestazione, delle esigenze specifiche della

disciplina sportiva e del periodo della stagione.

Età e livello di prestazione

Uno dei principali traguardi di un programma di allenamento per atleti

junior è l’acquisizione di una solida base anatomica e fisiologica. A tal fine

il preparatore fisico dovrebbe selezionare molti esercizi (da nove a dodici)

che coinvolgano tutti i gruppi muscolari primari. Tale programma avrà una

durata di 1-3 anni, a seconda dell’età attuale e dell’età prevista per il

raggiungimento della fase di alta prestazione.

L’obiettivo principale dell’allenamento per atleti avanzati è quello di

ottenere il massimo livello possibile di prestazione. Per questo motivo i loro

programmi di allenamento della forza, soprattutto nel periodo agonistico,

devono essere specifici, devono cioè comprendere un numero limitato di

esercizi (da due a sei) indirizzati ai muscoli motori primari.

Esigenze specifiche della disciplina sportiva

Gli esercizi per l’allenamento della forza, specie per gli atleti avanzati,

dovrebbero assecondare le caratteristiche specifiche della disciplina sportiva

e coinvolgerne i muscoli motori primari. Per esempio, un saltatore in alto di

livello d’élite può aver bisogno di eseguire solamente da tre a quattro


esercizi per rinforzare in maniera adeguata tutti i muscoli motori primari per

la sua disciplina. Un lottatore o un giocatore di football americano, invece,

possono aver bisogno di eseguire da sei a nove esercizi per raggiungere lo

stesso obiettivo. Tutti gli atleti il cui sport richieda la corsa dovrebbero

eseguire un esercizio per l’estensione dell’anca con il ginocchio disteso

(ischiocrurali), un esercizio per l’estensione dell’anca con il ginocchio flesso

(glutei), un esercizio per l’estensione del ginocchio (quadricipiti) e un

esercizio per la flessione plantare (polpacci). Quindi, maggiore è il numero

di muscoli motori primari impiegati in uno sport, maggiore è il numero di

esercizi di cui c’è bisogno. È comunque possibile ridurre questo numero

scegliendo accuratamente degli esercizi mulitaritcolari.

Fase dell’allenamento

Dopo la fase di transizione, una nuova pianificazione annuale assicurerà una

solida base per l’allenamento futuro. Nella prima parte del periodo di

preparazione, il programma di allenamento della forza generale inizia con la

fase di adattamento anatomico. Esso dovrebbe coinvolgere la maggior parte

dei gruppi muscolari attraverso un grande numero di esercizi (da 9 a 12), a

prescindere dalle esigenze specifiche della disciplina sportiva. Col

progredire del programma si ridurrà la quantità degli esercizi, fino ad

arrivare al periodo agonistico in cui saranno eseguiti soltanto quegli esercizi

specifici (da 2 a 6) che sono essenziali per lo sport in questione. Per

esempio, un giocatore di football americano, di hockey, di basket o di

pallavolo eseguirà forse nove o dieci esercizi durante la fase preparatoria,

ma solo quattro-sei durante la fase competitiva. Selezionando gli esercizi

fondamentali, il preparatore fisico può incrementare l’efficienza

dell’allenamento e ridurre la fatica residua dell’atleta.

L’allenamento della forza è effettuato in aggiunta all’allenamento tecnico e

tattico. In breve, esiste una relazione inversa tra il carico usato e il numero

degli esercizi impiegati nella sessione. Una riduzione nel numero degli

esercizi indica che l’atleta si sta allenando in maniera più specifica. Al

diminuire degli esercizi, incrementa il numero di serie per ciascun esercizio.

In questo modo viene incrementato il carico sui muscoli motori primari,

così da ottimizzare i livelli di forza e di potenza utili per la competizione.


Una volta che la stagione competitiva è iniziata, l’obiettivo diviene il

mantenimento degli adattamenti fisiologici raggiunti nelle fasi precedenti,

attraverso un numero ridotto di esercizi eseguiti per un numero di serie

moderato.

Sebbene la parte superiore del corpo sia coinvolta solamente in maniera

minima in alcuni sport (come il calcio, molti eventi dell’atletica leggera e il

ciclismo), molti programmi d’allenamento della forza per questi stessi sport

enfatizzano erroneamente gli esercizi per questa regione. Inoltre, molti

preparatori fisici, ancora influenzati dalle teorie del bodybuilding,

prescrivono veramente troppi esercizi. Di fatto, incrementare

eccessivamente il numero degli esercizi porta a diminuire le serie orientate a

sollecitare i muscoli motori primari. Questo approccio porta ad adattamenti

molto limitati e quindi ha un effetto allenante altrettanto limitato.

L’effetto desiderato, cioè un elevato transfer che si traduca in un

miglioramento della performance, è possibile solamente quando gli atleti

eseguono più serie per la catena cinetica specifica. Il preparatore ha la

possibilità di spalmare tutte le serie necessarie per gli esercizi fondamentali

su più sessioni durante il microciclo, oppure di concentrarle in poche

sessioni. La prima opzione permette all’atleta di affrontare sessioni più

brevi, che includono un numero maggiore di esercizi accessori, mentre la

seconda può richiedere delle sessioni più lunghe con una presenza minore di

esercizi accessori.

8.4 ORDINE DEGLI ESERCIZI

La caratteristica principale che determina l’ordine degli esercizi è la loro

complessità motoria. Infatti gli esercizi complessi, multiarticolari, quelli che

normalmente sollecitano i muscoli motori primari in una sequenza cinetica

simile ai gesti atletici specifici, dovrebbero essere eseguiti sempre per primi

in un allenamento, quando il sistema nervoso è fresco. Pertanto, nella scelta

del numero degli esercizi, i preparatori atletici dovrebbero considerare i

muscoli motori primari coinvolti nei gesti atletici dello sport e ordinare gli

esercizi secondo la loro complessità motoria.


Ribadiamo che l’allenamento della forza per le diverse discipline sportive è

stato influenzato in maniera ingiustificata dalle metodiche d’allenamento del

bodybuilding. Si legge infatti in molti articoli e in vari libri sull’allenamento

della forza che si dovrebbero allenare prima i gruppi muscolari più piccoli e

dopo quelli più grandi. Con questo approccio, però, l’affaticamento dei

gruppi muscolari minori non permette di allenare efficacemente quelli più

grandi. Questi ultimi rappresentano solitamente i muscoli motori primari di

uno sport e per questo è estremamente importante allenarli in uno stato di

freschezza.

Analogamente, un altro metodo troppo usato che proviene dal mondo del

bodybuilding è il pre-affaticamento. Utilizzando questo approccio, si

raggiunge l’esaurimento concentrico con esercizi monoarticolari (come, ad

esempio, la leg extension) prima di eseguire gli esercizi multiarticolari

(come, ad esempio, lo squat). Sebbene questa metodologia possa essere utile

ai bodybuilder, gli studi attuali ne mettono in dubbio l’efficacia

nell’allenamento sportivo (Augustsson et al. 2003). Quindi gli allenatori

dovrebbero evitare di usare questo metodo anche durante la fase di

ipertrofia. Piuttosto gli esercizi principali in un programma di allenamento

della forza per lo sport dovrebbero essere quelli multiarticolari, nei quali i

muscoli motori primari lavorano in sinergia. Gli esercizi monoarticolari

possono essere usati durante la prima fase preparatoria, ad esempio durante

i macrocicli di adattamento anatomico, ma dovrebbero essere via via

eliminati nelle fasi successive. L’allenamento sportivo si concentra

sull’ottimizzazione dei livelli di forza, potenza e resistenza, non sul

miglioramento dell’aspetto estetico dell’atleta.

Gli esercizi di forza che riprendono gli schemi motori sport-specifici

implicano una componente di apprendimento. Questa imitazione della

tecnica specifica coinvolge le catene cinetiche in uno schema simile a quello

tipico dello sport. Per un giocatore di pallavolo può aver senso, per esempio,

eseguire i mezzi squat terminandoli con la salita sulle punte dei piedi,

poiché la schiacciata e il muro richiedono lo stesso coinvolgimento della

catena estensoria caviglia-ginocchio-anca, ossia la catena del salto. Egli,

quindi, non si deve preoccupare se il primo gruppo muscolare a essere

coinvolto sia quello piccolo o quello grande; deve invece cercare di imitare
il movimento sport-specifico, sollecitando la catena cinetica allo stesso

modo che nell’esecuzione dei fondamentali in questione.

Ci sono due sequenze con cui è possibile eseguire gli esercizi del

programma: verticale e orizzontale. Nel primo caso l’atleta segue l’ordine

degli esercizi così come sono scritti nel programma, dall’alto verso il basso,

una sequenza verticale detta anche circuito di forza. Con questo metodo si

avrà un maggior recupero tra le serie per i gruppi muscolari allenati. Infatti,

nel momento in cui un esercizio è eseguito nuovamente, i muscoli hanno

recuperato completamente.

Per assicurare un recupero ancora migliore, gli esercizi dovrebbero essere

alternati tra gruppi muscolari agonisti e antagonisti o tra esercizi per la parte

superiore e per la parte inferiore del corpo. Nel caso in cui si alleni tutto il

corpo, si suggerisce il seguente ordine: esercizio di spinta per la parte

inferiore del corpo, esercizio di spinta per la parte superiore del corpo,

esercizio di trazione per la parte inferiore del corpo, esercizio di trazione

per la parte superiore del corpo e così via.

Nella seconda opzione, quella normalmente più utilizzata, l’atleta esegue

tutte le serie del primo esercizio per poi passare al successivo: una sequenza

orizzontale. Se viene usato un buffer ridotto o non viene usato affatto (cioè

se ciascuna serie viene portata all’esaurimento concentrico o vicina a esso)

o se i tempi di recupero sono insufficienti, questa sequenza può causare un

grande affaticamento locale, una volta che sono state eseguite tutte le serie

di un esercizio previste.

Come effetto allenante si potrebbe concretizzare l’ipertrofia anziché la forza

massima o la potenza oppure, nel caso di una sessione per la forza massima

con tempi di recupero lunghi, la durata totale della sessione potrebbe

divenire eccessiva.

Una soluzione interessante è accoppiare gli esercizi per i gruppi muscolari

antagonisti ed eseguire una serie ciascuno alternandole; questo metodo,

chiamato dei “jump set”, è un ibrido tra la sequenza verticale e quella

orizzontale. Dimezza la durata della sessione e raddoppia il tempo di

recupero tra le serie di uno stesso esercizio. La tabella 8.7 mostra come il
metodo dei “jump set” risulti in un allenamento più breve a parità di

volume.

Tabella 8.7

Comparazione tra sequenze di esercizi differenti

8.5 NUMERO DI RIPETIZIONI E TEMPO DI

ESECUZIONE

La velocità d’esecuzione delle ripetizioni, ossia il tempo, è un parametro del

carico importante nell’allenamento della forza; nonostante questo, non è

sempre ben compresa. Per esempio, nel mondo del bodybuilding è

comunemente accettato che carichi superiori all’85% dell’1RM siano

sollevati lentamente, ma non è necessariamente così. Gli atleti degli sport di

potenza allenati a sollevare in maniera esplosiva possono essere veloci con

carichi fino al 95% di 1RM ed esprimere alti livelli di power output anche

con carichi di tale entità.


Alla fine tutto si riduce ad allenare il sistema nervoso ad attivare tutte le

unità motorie nel più breve tempo possibile. Questo effetto può essere

raggiunto periodizzando il programma d’allenamento della forza, passando

dall’allenamento per la coordinazione intermuscolare (carichi da moderati

ad alti sollevati in maniera esplosiva) all’allenamento della coordinazione

intramuscolare (carichi massimali sollevati in maniera esplosiva o almeno

con l’intento di muoverli in questo modo; Behm e Sale 1993). Se il concetto

non fosse chiaro è possibile ritornare a fare riferimento alla tabella 2.2.

Per lo sviluppo della forza massima (utilizzando, cioè, carichi tra il 70 e il

100% di 1RM), il numero di ripetizioni per ciascuna serie è molto basso (da

1 a 5 - tabella 7.1). Per lo sviluppo della potenza (utilizzando carichi tra il

40 e l’80% di 1RM), è necessario un numero di ripetizioni basso o

moderato (da 1 a 10, eseguite in maniera dinamica). Per la potenza

resistente saranno necessarie da 10 a 30 ripetizioni, la resistenza muscolare

di breve durata richiede 30-60 ripetizioni senza pause e la resistenza

muscolare di lunga durata ne richiede un numero ancora più alto, fino a 200.

I preparatori che considerano 20 ripetizioni come adeguate per migliorare la

resistenza muscolare potrebbero trovare scioccante questo numero da noi

consigliato. Ma eseguirne solo 20 può essere del tutto insufficiente per

migliorare la prestazione negli sport che richiedono una resistenza

muscolare di media o lunga durata, come il canottaggio, il kayak, la canoa,

il nuoto sulle lunghe distanze e lo sci di fondo.

La tabella 8.8 mostra la relazione tra il carico e le ripetizioni possibili a

esaurimento per due diverse tipologie di atleti. In essa è illustrato anche

come le tavole di conversione di 1RM siano virtualmente inutili, poiché non

tengono in conto delle caratteristiche individuali dell’atleta, il quale

potrebbe trovarsi a una delle estremità del continuum neurale-metabolico.

La velocità è fondamentale nell’allenamento della forza. Per ottenere i

migliori risultati, il ritmo di esecuzione delle ripetizioni, almeno nella fase

concentrica, dovrebbe essere veloce ed esplosivo per la maggior parte dei

tipi di lavoro. La chiave sta comunque nella modalità con cui l’atleta applica

la forza contro la resistenza. Ad esempio, quando un giocatore di football

americano, un lanciatore o un velocista sollevano un carico elevato


(superiore al 90% di 1RM), il movimento può sembrare lento, ma la forza

contro la resistenza è applicata il più velocemente possibile, altrimenti il

sistema nervoso non recluta e non attiva ad alta frequenza tutte le unità

motorie necessarie per sollevare il carico con la massima accelerazione

possibile. Solamente un’applicazione della forza veloce e vigorosa stimola il

reclutamento volontario delle unità motorie veloci.

Tabella 8.8

Relazione tra percentuale di 1RM e ripetizioni possibili a esaurimento per

un atleta neurologicamente efficiente rispetto a un atleta metabolicamente

efficiente

Uno studio recente ha infatti dimostrato che eseguire l’azione concentrica di

un esercizio alla massima velocità, anziché a un valore che sia la metà di

quella massimale, produce un guadagno di forza massima in sei settimane

doppio rispetto al sollevamento eseguito con ritmo lento, nonché un

incremento nella velocità d’esecuzione con tutti i carichi (Gonzalez-Badillo

et al. 2014).
Per questa ragione la velocità di contrazione gioca un ruolo determinante

nell’allenamento della forza per lo sport. Per ottenere un miglioramento

nella forza esplosiva, l’atleta si deve concentrare sull’attivazione della

muscolatura coinvolta in maniera rapida, anche quando il bilanciere si

muove lentamente. La maggior parte delle volte, però, il bilanciere si deve

muovere velocemente. Solamente una contrazione ad alta velocità eseguita

contro una resistenza elevata (oltre il 70% dell’1RM) recluta rapidamente le

unità motorie veloci, portando a un incremento sia di forza massima, sia di

potenza.

La risposta fisiologica all’allenamento della forza è influenzata dalla

cadenza di esecuzione delle ripetizioni, che è correlata direttamente col

tempo sotto tensione dei muscoli coinvolti (tabella 8.9). Per questa ragione

la velocità del movimento dovrebbe variare di fase in fase. Nella tabella 8.10

è indicato il ritmo di esecuzione appropriato per ogni fase del programma di

allenamento della forza. Un’esecuzione più lenta nella fase concentrica

dell’esercizio incrementa lo stress metabolico e l’impegno per tutto il range

articolare; perciò può essere usato per incrementare la risposta ipertrofica

all’allenamento. Esecuzioni più lente possono essere impiegate durante la

fase di adattamento anatomico, dato che permettono un maggior controllo

motorio e tempi sotto tensione più alti. L’atleta può eseguire la fase

eccentrica dell’esercizio in tre o quattro secondi, fare una pausa di un

secondo nel punto di inversione tra la fase eccentrica e quella concentrica e

poi eseguire la fase concentrica in due secondi. Per il resto del piano

annuale, però, gli atleti dovrebbero eseguire le azioni concentriche degli

esercizi di forza velocemente o in modo esplosivo, dato che la grande

maggioranza dei gesti atletici richiedono contrazioni concentriche veloci.


Tabella 8.9

Effetti allenanti in base alle variazioni di tempo

*Esercizio di spinta

Tabella 8.10
Tempo consigliato per le diverse fasi del piano annuale

Legenda: AA = adattamento anatomico, HYP = ipertrofia, MEL = resistenza muscolare

lunga, MEM = resistenza muscolare media, MES = resistenza muscolare breve, M×S =

forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente.

La velocità di contrazione ricercata dovrebbe essere la più veloce possibile

durante le fasi in cui ci si concentra sullo sviluppo della forza massima,

della potenza, della potenza resistente e della resistenza muscolare di breve

durata. Durante la fase di forza massima, gli atleti dovrebbero eseguire

l’azione eccentrica lentamente, in tre-quattro secondi, facendola seguire da

un’azione concentrica esplosiva. Durante questa fase è possibile manipolare

la transizione dall’azione eccentrica a quella concentrica. Il miglior modo

per massimizzare la forza concentrica è, infatti, la rimozione di qualsiasi

componente riflessiva o elastica sviluppata durante la fase eccentrica

dell’alzata, facendo una pausa di uno o due secondi prima di eseguire il

sollevamento concentrico. Tale metodo dovrebbe essere impiegato nella

prima parte della fase dedicata alla forza massima.

Un esempio con la panca piana è il seguente: nell’esecuzione dell’esercizio

la distensione delle braccia rappresenta la porzione concentrica dell’alzata,

mentre il ritorno del bilanciere all’altezza del petto, con i muscoli pettorali

che si allungano contraendosi, rappresenta la porzione eccentrica.

Generalmente, un atleta dovrebbe flettere le braccia in maniera lenta per

portare il bilanciere al peto prima di spingerlo velocemente verso la

posizione di partenza e iniziare nuovamente il ciclo.

Diversamente, la fase eccentrica potrebbe incrementare la forza della fase

concentrica che la segue se la prima è eseguita rapidamente, grazie al

riflesso miotatico (SSC, ciclo di allungamento e accorciamento). Questo

riflesso è la ragione per la quale l’allenamento pliometrico è così popolare

nell’allenamento sportivo. Essenzialmente, l’allenamento pliometrico

migliora la prestazione sportiva migliorando le proprietà fisiologiche dei

muscoli motori primari nell’esecuzione di azioni concentriche rapide ed

esplosive.

Nell’abbassare rapidamente il bilanciere verso il peto, la successiva fase

concentrica è potenziata sia dai meccanismi neurali, sia dall’energia elastica


accumulata nei tendini. Per questo motivo un incremento della capacità di

generare forza concentrica pura può essere raggiunto fermandosi

brevemente dopo la fase eccentrica, eliminando così il vantaggio derivante

dal riutilizzo di energia elastica. Questo approccio permette anche una

standardizzazione del range articolare di ogni ripetizione, evitando, sempre

nel caso della panca piana, che l’atleta faccia rimbalzare il bilanciere sul

peto. Inoltre, poiché incoraggia una tecnica più corretta, migliora la

coordinazione intermuscolare. Questo approccio può essere utilizzato anche

per far superare un plateau di forza. Il preparatore fisico dovrà decidere se

l’obiettivo principale è la massimizzazione della forza concentrica

volontaria o l’imitazione dello schema neuromuscolare sport-specifico

(solitamente un’azione eccentrica-concentrica). Eventualmente è possibile

concentrarsi innanzitutto sul primo aspetto e poi sul secondo durante la fase

di forza massima.

Il tempo di esecuzione è strettamente collegato alla durata della serie; esso

rappresenta il tempo sotto tensione per ripetizione, il quale, quando

moltiplicato per il numero di ripetizioni in una serie, determina la durata

della serie stessa. Ogni fase del processo di allenamento ha una modalità

ideale di esecuzione di ogni ripetizione in base all’effetto allenante ricercato

in quella fase. Questa specificità si applica ugualmente alla durata della

serie, la quale è legata al sistema energetico dominante. Nella tavola 8.11 è

rappresentato l’effetto allenante a seguito della diversa durata delle serie.

Durata della serie Effetti allenanti

Miglioramenti della forza senza guadagni


2-12 secondi
di massa muscolare (forza relativa) e potenza

Miglioramenti della forza con guadagni


15-25 secondi
di massa muscolare (forza assoluta)

30-60 secondi Ipertrofia

6-15 secondi (serie di serie)


Potenza resistente
15-30 secondi (serie)

15-60 secondi (serie di serie)


Resistenza muscolare di breve durata
30-120 secondi (serie)

1-4 minuti (serie di serie)


Resistenza muscolare di media durata
2-8 minuti (serie)

Oltre 8 minuti Resistenza muscolare di lunga durata


Tabella 8.11

Durata della serie ed effetti allenanti

Da E. M. Gorostiaga, I. Navarro-Amézqueta, J.A. Calbet, et al., 2012. “Energy metabolism

during repeatedsets of leg press excercise leading to failure or not, “PLO One 7(7): doi

10.1371/journal.pone.0040621. © Gorostiaga et al.

8.6 NUMERO DI SERIE


Una serie è costituita da un certo numero di ripetizioni di un esercizio,

seguite da un intervallo di recupero. Il numero di serie dipende dal numero

di esercizi e dal tipo di forza che si intende allenare. Esso diminuisce

all’aumentare del numero di esercizi poiché, altrimenti, la sessione

d’allenamento diverrebbe troppo voluminosa. Esiste anche una relazione

inversa tra il numero di ripetizioni per ciascuna serie e il numero di serie per

ogni esercizio. Per esempio, per un canottiere, un canoista o uno sciatore di

fondo, che perseguano lo sviluppo della resistenza muscolare di lunga

durata, l’elemento chiave è il numero delle ripetizioni nella serie. Poiché il

numero di ripetizioni è alto, questi atleti avranno difficoltà a eseguire più di

tre serie per esercizio.

Il numero di serie dipende anche dall’esperienza dell’atleta, dalla sua

capacità di lavoro, dal numero dei gruppi muscolari che devono essere

allenati e dalla fase dell’allenamento. Per esempio, un saltatore in alto o un

tuffatore, durante una fase di allenamento speciale, possono usare da tre a

cinque esercizi per quattro-sei serie ciascuno. Un numero maggiore di

esercizi richiederebbe un numero inferiore di serie, il che comporterebbe

degli ovvi svantaggi. Consideriamo l’ipotetico saltatore in alto che utilizzi

otto esercizi per i gruppi muscolari degli arti inferiori e della parte superiore

del corpo, inclusi gli arti superiori. Per ogni esercizio l’atleta esegue un

lavoro di circa 400 chilogrammi. Poiché egli può eseguire solamente tre

serie, l’ammontare totale del lavoro per ciascun gruppo muscolare è di circa

1200 chilogrammi. Se, per ipotesi, si riducesse il numero totale di esercizi a

quattro, l’atleta potrebbe eseguire, per esempio, sei serie per un totale di

2400 chilogrammi per gruppo muscolare. Quindi si può raddoppiare il

lavoro complessivo sui muscoli motori primari diminuendo il numero totale

degli esercizi e incrementando il numero delle serie. Il numero delle serie

eseguite in una sessione d’allenamento dipende anche dal periodo dell’anno.

Nella fase preparatoria e in particolare durante la fase di adattamento

anatomico, in cui viene allenata la maggior parte dei gruppi muscolari,

vengono eseguiti più esercizi per un minor numero di serie. All’avvicinarsi

della fase competitiva, però, l’allenamento diviene più specifico, il numero

degli esercizi diminuisce mentre il numero delle serie incrementa.

Finalmente, durante la fase competitiva, quando lo scopo dell’allenamento è

mantenere un certo livello di forza e una data combinazione di forza (forza


specifica), tutto viene ridotto, incluso il numero delle serie, cosicché l’atleta

possa concentrare le sue energie sul lavoro tecnico-tattico specifico.

Negli sport di squadra, per i quali la stagione competitiva è molto lunga,

l’atleta esegue solo poche serie per esercizio (due, tre, al massimo quattro),

in modo da ridurre l’affaticamento residuo e la possibilità di un’influenza

negativa sul recupero e sulla prestazione specifica. Inoltre, essendo questi

sport multiplanari, richiedono un numero più alto di esercizi. Un atleta ben

allenato di uno sport individuale, invece, può eseguire tre, sei, o anche otto

serie di un esercizio. In questo caso ha senso eseguire un elevato numero di

serie per ciascun esercizio. Più serie di un esercizio fondamentale per i

muscoli motori primari un atleta esegue, maggiore è il lavoro, maggiori

sono i guadagni di forza e il miglioramento della prestazione.

8.7 TEMPO DI RECUPERO

Ovviamente l’allenamento della forza richiede energia. Durante il lavoro, un

atleta usa principalmente il substrato di un certo sistema energetico in base

al carico impiegato e la durata dell’attività. Durante l’allenamento della

forza le riserve energetiche possono ridursi di molto, fino anche ad esaurirsi.

Per questo motivo, per completare il lavoro assegnato nelle modalità

prescritte, gli atleti devono seguire un tempo di recupero tra le serie mirato a

ripristinare i substrati energetici, prima di eseguire l’impegno successivo.

Infatti, il tempo di recupero tra le serie (così come tra le sessioni di

allenamento) ha un impatto tanto importante quanto l’allenamento stesso. Il

tempo prescritto tra le serie determina, in gran parte, quanta energia può

essere recuperata prima di una serie successiva. Per questo motivo

un’attenta programmazione dei tempi di recupero è fondamentale per

evitare un inutile stress fisiologico e psicologico durante l’allenamento.

La durata dei tempi di recupero dipende da diversi fattori, inclusi il tipo di

forza allenata, il carico impiegato, il tempo di esecuzione, la durata delle

serie, il numero di gruppi muscolari coinvolti e il livello di condizione

metabolica dell’atleta. Anche il peso corporeo deve essere tenuto in

considerazione, poiché gli atleti più pesanti e con grosse masse muscolari

tendono a recuperare più lentamente rispetto agli atleti più leggeri.


Tempo di recupero tra le serie

Il tempo di recupero è stabilito in funzione del carico impiegato

nell’allenamento e del tipo di forza che deve essere sviluppato, specialmente

in rapporto al buffer (tabella 8.12).

Tabella 8.12

Linee guida per i tempi di recupero tra le serie

Durante il tempo di recupero i composti altamente energetici adenosin-

trifosfato (ATP) e fosfocreatina (PC) sono ripristinati in proporzione alla

durata del tempo di recupero stesso. Quando il tempo di recupero è

programmato in maniera appropriata, la fosfocreatina può essere ripristinata

interamente o quasi, in modo che l’acido lattico si accumuli più lentamente,

permettendo all’atleta di mantenere un’elevata espressione di potenza per

l’intera sessione.

Se il tempo di recupero è breve, diciamo meno di un minuto, la

concentrazione di acido lattico diviene alta; quando il tempo di recupero è

inferiore ai 30 secondi, i livelli di lattato possono essere così alti che anche

gli atleti meglio allenati hanno difficoltà a tollerarli. Un tempo di recupero

adeguato, invece, riduce l’accumulo dell’acido lattico e ne facilita la

rimozione dai muscoli.


Alcuni sport richiedono che gli atleti siano in grado di tollerare alti livelli di

acido lattico; tra questi le corse su brevi distanze, il nuoto, il canottaggio, la

canoa, alcuni sport di squadra, la boxe e la lotta. I preparatori atletici

dovrebbero, quindi, tenere in considerazione i seguenti fattori:

◊ una pausa di 30 secondi consente di ripristinare circa il 50% dell’ATP-

PC depleto;

◊ usare un tempo di recupero di un minuto in caso di più serie di 15-20

ripetizioni è insufficiente per ripristinare i substrati energetici

muscolari e permettere un’espressione di potenza elevata (tabella

8.13);

◊ l’affaticamento accumulato durante l’esecuzione di esercizi per la

forza massima intervallati da tempi di recupero troppo brevi porta a

una riduzione della frequenza di scarica dei motoneuroni, con

conseguente rallentamento della velocità di contrazione. Questo effetto

non si verifica con un tempo di recupero di almeno tre minuti

(Bigland-Ritchie et al, 1983); infatti, una pausa di questa ampiezza

permette un ripristino quasi completo dell’ATP-PC;

◊ un tempo di recupero maggiore (oltre tre minuti) consente maggiori

incrementi della forza degli ischiocrurali (Pincivero, Lephart e

Karunakara 1997);

◊ le serie portate all’esaurimento concentrico richiedono molto più

tempo di recupero rispetto alle serie con buffer. Per esempio, una serie

di 5 ripetizioni con il 70% dell’1RM (15% buffer) può richiedere da

uno a due minuti per ripeterla con lo stesso output di potenza, mentre

lo stesso carico portato a esaurimento con 12-15 ripetizioni può

richiedere più di cinque minuti perché la serie successiva abbia la

stessa espressione di potenza media, che sarà sicuramente inferiore

rispetto alla serie da 5 ripetizioni (figura 8.4). Inoltre, dopo che un

atleta ha lavorato a esaurimento, una pausa di recupero di quattro

minuti è insufficiente per eliminare l’acido lattico dai muscoli

sollecitati o per ripristinare tutti i substrati energetici, come il

glicogeno.

L’output di potenza e la risposta metabolica differiscono in maniera

considerevole tra le due seguenti opzioni: 5 serie di 10 ripetizioni portate a

esaurimento concentrico rispetto a 10 serie di 5 ripetizioni non portate a


esaurimento concentrico impiegando lo stesso carico come percentuale

dell’1RM (Gorostiaga et al. 2012). Non arrivare all’esaurimento consente

un output di potenza medio più alto, livelli di ATP dopo l’ultima serie più

alti (6 millimoli contro 4,9), livelli superiori di PC (14,5 millimoli contro

3,1) e una concentrazione di lattato inferiore (5,8 millimoli contro 25);

figura 8.4 e tabella 8. 13.

Figura 8.4

Comparazione del power output per ciascuna ripetizione di cinque serie di

10 ripetizioni a esaurimento rispetto a dieci serie di 5 ripetizioni non a

esaurimento
Tabella 8.13

Risposta metabolica nei confronti di uno schema di 5 serie di 10 ripetizioni

a esaurimento rispetto a uno di 10 serie di 5 ripetizioni.

Legenda: ATP = adenosina trifosfato; ADP = adenosina difosfato; AMP = adenosina

monofosfato; TAN = adenin-nucleotide totale; IMP = inosina monofosfato; PCr =

fosfocreatina; Cr = creatina; La = lattato

Da E. M. Gorostiaga-I. Navarro-Amézqueta-J.A. Calbet et al., “Energy metabolism during

repeated sets of leg press exercise leading to failure or not”, PLOS One 7(7): doi

10.1371/journal.pone.0040621, 2012

Il livello di ripristino dell’ATP-PC tra le serie dipende dalla durata del

tempo di recupero: più è breve, minore è il ripristino di ATP-PC e, di

conseguenza, l’energia disponibile per la serie successiva. Quindi una delle

conseguenze di un tempo di recupero tra le serie inadeguato è un sempre

maggiore affidamento sul sistema anaerobico lattacido per la produzione di

energia. L’utilizzo di questo sistema energetico determina un’espressione di

potenza minore rispetto all’utilizzo del sistema anaerobico alattacido e un

accumulo maggiore di acido lattico nei muscoli coinvolti, causando dolore e

fatica e limitando in definitiva la capacità dell’atleta di allenarsi in maniera

efficace. Quindi, a meno che l’atleta non si stia allenando per l’ipertrofia

muscolare o per la tolleranza al lattato, è necessario un tempo di recupero


più lungo per mantenere un output di potenza costante e per evitare un

accumulo eccessivo di acido lattico.

Ulteriori conseguenze di un tempo di recupero inadeguato sono

l’affaticamento del SNC (sistema nervoso centrale) e l’affaticamento

muscolare locale.

La maggior parte della ricerca indica le seguenti possibili cause e siti

dell’affaticamento.

Il motoneurone

Il sistema nervoso trasmette gli impulsi alle fibre muscolari attraverso il

motoneurone. Un impulso nervoso possiede una certa frequenza. Una

frequenza di impulsi nervosi maggiore si traduce in una contrazione

muscolare più forte, che consente di sollevare carichi elevati o applicare

forza rapidamente, ad esempio per uno scato. La frequenza di scarica degli

impulsi nervosi è fortemente influenzata dall’affaticamento; più

specificamente, all’aumentare della fatica, la forza di contrazione decresce a

causa di un abbassamento della frequenza di scarica (Ranieri e Di Lazzaro

2012; Taylor, Todd e Gandevia 2006). Pertanto, al SNC sono necessari

tempi di recupero più lunghi (fino a otto minuti) durante la fase di

allenamento della forza massima.

Giunzione neuromuscolare

La giunzione neuromuscolare è il punto di comunicazione tra il nervo che

porta gli impulsi e la fibra muscolare del muscolo che si contrae. La fatica

in questo sito risulta per lo più da una maggiore secrezione di messaggeri

chimici (cioè i neurotrasmettitori) da parte delle terminazioni nervose

(Tesch 1980). Le proprietà elettriche del nervo ritornano solitamente ai

livelli normali se un atleta recupera 2-3 minuti dopo aver eseguito una serie.

Tuttavia, dopo aver eseguito contrazioni potenti e ripetute, come quelle

tipiche dell’allenamento per la forza massima con carichi elevati o

dell’allenamento della velocità o della velocità resistente, un recupero

sufficiente potrebbe richiedere un intervallo di durata superiore ai cinque

minuti.

Meccanismi contrattili
Anche i meccanismi contrattili del muscolo (actina e miosina) possono

essere siti di affaticamento e di diminuzione della prestazione. In

particolare, l’aumento dell’acidità causata da contrazioni muscolari ripetute,

specialmente quelle ad alta intensità, diminuisce la tensione di picco

(l’abilità di un muscolo di contrarsi in modo massimale) e influisce sulla

capacità del muscolo di reagire agli impulsi nervosi (Fox, Bowes e Foss

1989; Sahlin 1986). Il muscolo che si contrae si affatica anche per la

deplezione delle riserve di glicogeno muscolare, che avviene durante

l’esercizio prolungato (oltre i 30 minuti; Conlee 1987; Karlsson e Saltin

1971; Sahlin 1986). Altre fonti di energia, come il glicogeno epatico, non

possono coprire pienamente le richieste di energia dei muscoli che lavorano.

Il SNC può essere anche influenzato dall’affaticamento muscolare locale;

questo è infatti il risultato tipico delle serie portate a esaurimento. Durante

l’allenamento avvengono delle alterazioni chimiche all’interno dei muscoli,

che ne diminuiscono la capacità di eseguire lavoro (Bigland-Ritchie et al.

1983; Hennig e Lomo 1987). Quando gli effetti di queste alterazioni

chimiche sono segnalati al SNC, il cervello invia impulsi nervosi più deboli

ai muscoli coinvolti, diminuendone la capacità di lavoro nel tentativo di

proteggere il corpo. Con un tempo di recupero adeguato di tre-cinque

minuti, i muscoli riescono a recuperare quasi completamente.

Il cervello, quindi, non percependo pericoli, invia ai muscoli impulsi nervosi

più potenti, che risultano in una prestazione muscolare migliore.

La frequenza dell’allenamento della forza

La durata del recupero tra le sessioni di allenamento della forza dipende dal

condizionamento metabolico dell’atleta e della sua abilità di recuperare,

dalla fase di allenamento e dai substrati energetici impiegati nella sessione

di allenamento. Atleti ben condizionati possono recuperare più velocemente,

specialmente all’avvicinarsi della fase competitiva, quando si suppone che

raggiungano il loro più alto livello di prestazione. Normalmente

l’allenamento della forza segue quello tecnico-tattico. Se gli atleti utilizzano

lo stesso sistema energetico e i medesimi substrati (ad esempio, il

glicogeno) durante gli allenamenti specifici e quelli di forza, la sessione


successiva dello stesso tipo dovrà essere pianificata per due giorni dopo,

poiché sono necessarie 48 ore per un completo ripristino del glicogeno (Fox,

Bowes e Foss 1989; Piehl 1974). Anche con una dieta ricca di carboidrati, i

livelli di glicogeno non ritornano alla normalità in meno di due giorni. Se

gli atleti allenano soltanto la forza, così come accade in certi giorni durante

la fase preparatoria, il ripristino del glicogeno avviene più velocemente:

55% in cinque ore e quasi il 100% in ventiquattro ore. Questo significa che

l’allenamento della forza può essere programmato più frequentemente. Nel

caso di sessioni di allenamento della forza durante le quali vengano eseguite

serie multiple a basso numero di ripetizioni, non giungendo all’esaurimento

e con un adeguato tempo di recupero, il ripristino del glicogeno non è

neppure un fattore da considerare, poiché il sistema energetico

maggiormente coinvolto sarà quello anaerobico alattacido (ATP-PC).

La pianificazione delle sessioni di allenamento della forza dovrebbe sempre

prendere in considerazione il tempo necessario per il recupero delle proteine

muscolari. Soggetti non allenati che prendano parte a un programma con i

pesi, che includa una combinazione di azioni concentriche ed eccentriche,

mostrano un catabolismo proteico che può persistere sino a 48 ore dopo il

termine della sessione (Gibala et al. 1995). La buona notizia è che

l’aumento della sintesi proteica muscolare concomitante è maggiore del

catabolismo. La sintesi proteica o la ricostruzione delle fibre muscolari a

seguito di una sessione di allenamento della forza possono essere

ulteriormente incrementate assumendo un mix di carboidrati e proteine

immediatamente dopo il lavoro. Il recupero delle proteine muscolari sembra

essere più veloce nei soggetti allenati.

In conclusione, probabilmente il fattore più importante da considerare nella

pianificazione delle sessioni di allenamento della forza è l’affaticamento del

sistema nervoso. Programmare due sessioni ad alta intensità l’una vicina

all’altra non consente un tempo adeguato per il recupero neurale. Per

esempio, molti preparatori pianificano un allenamento per la forza massima

al lunedì, seguito da un allenamento pliometrico al martedì. Poiché

entrambe le sessioni sfruttano risorse neurali simili, il tempo di recupero tra

le due è inadeguato e possono apparire segni di sovrallenamento od

occorrere infortuni, a meno che per entrambe le sessioni non venga

utilizzato un volume di allenamento molto basso.


In linea generale, quindi, la ricerca scientifica mostra chiaramente che il

recupero dopo una sessione di allenamento, sia essa di natura

neuromuscolare o metabolica, deve essere adeguato in modo da permettere

a tutti i sistemi fisiologici di rigenerarsi e adattarsi allo stimolo prima di

essere esposti a una sessione d’allenamento simile, o più aggressiva, della

stessa natura. Nel circolo virtuoso dell’adattamento all’allenamento, il

recupero gioca un ruolo tanto vitale quanto quello dello stimolo applicato.

In particolare, i substrati energetici devono essere ripristinati, il sistema

nervoso deve recuperare e l’equilibrio proteico (anabolismo meno

catabolismo) deve restare positivo per ottenere un incremento della forza

muscolare, della potenza, della resistenza o della trofìa.

Questo processo può essere semplificato progettando i programmi di

allenamento sulla base dei sistemi energetici utilizzati. Il capitolo 3 fornisce

una discussione approfondita sul ruolo dei sistemi energetici

nell’allenamento e il tempo necessario per il recupero e la rigenerazione a

seguito di una sessione d’allenamento.

Ripristino dei fosfati altamente energetici

Come si è visto nella discussione sui sistemi energetici del capitolo 3,

l’adenosina trifosfato (ATP) è la moneta energetica del corpo e la

fosfocreatina è utilizzata per formare nuovo ATP dall’ADP che si forma

dalla precedente idrolisi dell’ATP stesso. I substrati energetici

dell’organismo, come i fosfati e il glicogeno, si riducono con il protrarsi

dell’attività, sia essa sollevare pesi o eseguire un allenamento metabolico.

L’organismo poi recupera e ripristina le riserve di energia a un livello uguale

o superiore a quello precedente l’esercizio, ripristinando i fosfati e il

glicogeno. Come si vede dalla tabella 8.14, il ripristino dei fosfati (ATP-PC)

raggiunge il 50% nei primi 30 secondi di recupero e il 100% tra i 3 e i 5

minuti. Questo schema spiega perché un recupero di tale ampiezza è

necessario tra le serie di esercitazioni di forza intense, come il sollevamento

di carichi elevati per tre-otto ripetizioni, o tra ripetizioni di scatti. Per

esempio, durante un allenamento per la velocità, se i tempi di recupero tra le

ripetizioni di 50 metri sono insufficienti (solo uno, due minuti), la sessione


diverrà progressivamente sempre più lattacida, spostando così il risultato da

una sessione per la velocità a una di tolleranza al lattato (Janssen 2001).

Tempo (min.) % di ripristino

0,5 50

1 75

1,5 87,5

2 93,7

2,5 96,8

3 98,3

3,5 99

4 99,4

4,5 99,8

5 100

Tabella 8.14

Tempo di ripristino dell’ATP - PC

Iniziare una serie senza un recupero adeguato dei fosfati non permette

all’atleta di mantenere l’espressione di potenza per tuta la serie o da una

serie all’altra. Quindi, nella fase d’allenamento della forza massima, gli

atleti dovrebbero recuperare da tre a cinque minuti prima di eseguire una

serie ulteriore per lo stesso gruppo muscolare, a meno che non si utilizzi un

buffer alto (il che permette un tempo di recupero più breve senza incorrere

nell’accumulo di acido lattico, o in una perdita di potenza). Per

massimizzare il recupero qualora si utilizzino intensità molto alte con un

buffer basso, gli atleti dovrebbero utilizzare la sequenza verticale, passando

a un esercizio diverso dopo ogni serie. In altre parole, l’atleta completa una

serie di ciascuno degli esercizi programmati prima di ritornare al primo

esercizio per la seconda serie. Questo schema permette un tempo molto

lungo per il recupero dei fosfati nel muscolo.

Attività durante il tempo di recupero

Lo stretching statico non dovrebbe essere eseguito per i muscoli che saranno

coinvolti nell’allenamento di forza o potenza, a meno che non sia posto


all’inizio di una routine di riscaldamento lunga che includa un progressivo

incremento dell’intensità, poiché può inibire in acuto l’espressione di

potenza (Power et al. 2004; Cramer et al. 2005; Nelson et al. 2005;

Yamaguchi et al. 2006; Samuel et al. 2008, La Torre et al. 2010). Lo

stretching statico dei muscoli coinvolti nell’allenamento dovrebbe essere

programmato alla fine della sessione. Lo scopo degli esercizi di stretching è

l’allungamento di quei muscoli i cui filamenti di actina e miosina sono

sovrapposti. Prima i muscoli raggiungono la loro lunghezza anatomica,

prima iniziano il loro processo di recupero e rigenerazione, eliminando più

facilmente i metaboliti accumulati durante l’allenamento.

Per facilitare il recupero tra le serie gli atleti possono eseguire esercizi di

rilassamento (come lo scuotimento di gambe, braccia e spalle) o un

massaggio leggero. Inoltre, essi possono realizzare esercizi che coinvolgano

i muscoli non affaticati in contrazioni leggere, facilitando il recupero dei

muscoli motori primari (Asmussen e Mazin 1978). Quando si eseguono

ripetute intermittenti ad alta intensità (lattacidi), la prestazione in ogni

ripetuta successiva è influenzata positivamente dall’esecuzione di un’attività

aerobica a circa il 20% del VO2max rispetto allo stretching o al recupero

passivo (Dorado, Sanchis-Moysi e Calbet 2004).

8.8 SCHEMI DI CARICO PER L’ALLENAMENTO

DELLA FORZA

Uno degli schemi di carico più popolari nell’allenamento della forza è il

piramidale. La sua struttura, illustrata nella figura 8.5, implica un

incremento progressivo del carico mentre il numero di ripetizioni

diminuisce in modo proporzionale. Il vantaggio fisiologico dell’utilizzo del

piramidale consiste nel fato che esso prepara il sistema nervoso a tensioni

più alte in maniera graduale, stabilizzando così la tecnica e abbassando i

meccanismi inibitori. Per facilitare il più alto livello di adattamento della

forza, gli atleti dovrebbero evitare di raggiungere l’esaurimento concentrico

nelle serie e dovrebbero utilizzare un range di carico del 10-15% dalla

prima all’ultima serie della piramide. Un range maggiore del 15% non

ottimizza i guadagni di forza.


Figura 8.5

Schema di carico a piramide. In questo caso è utilizzato un buffer del 5% in

modo che nessuna della serie sia portata a esaurimento

Un altro schema, il doppio piramidale, consiste in due piramidi sovrapposte,

una capovolta poggiata sulla punta dell’altra. Il numero di ripetizioni

decresce nella prima piramide, per poi incrementare nella seconda. Di

conseguenza, il carico aumenta al diminuire delle ripetizioni, per poi

diminuire all’incrementare di queste (figura 8.6).


Figura 8.6

Schema di carico a doppia piramide. La progressione nel tempo può

prevedere il mantenimento delle serie e delle ripetizioni e l’incremento

dell’intensità del 2,5% dell’1RM in ogni microciclo, abbassando così il

buffer dal 10-15 al 2,5% per la durata del ciclo di forza massima

Sebbene il doppio piramidale abbia i suoi vantaggi, è necessaria della

cautela. La maggior parte dei sostenitori di questo schema suggerisce di

raggiungere l’esaurimento concentrico in tutte le serie. Con quest’approccio,

però, nel momento di affrontare le serie finali, è possibile che sia il SNC, sia

i muscoli coinvolti siano esauriti; in questo caso le serie non produrranno i

benefici sperati. Al contrario, poiché la fatica altererà il reclutamento delle

unità motorie a contrazione rapida, le ultime serie di questo schema di


carico stimoleranno l’ipertrofia muscolare anziché la forza o la potenza. I

miglioramenti in potenza, in particolare, possono essere ottenuti solamente

quando l’atleta è in uno stato di freschezza, situazione nella quale si trova

generalmente all’inizio della sessione, immediatamente dopo il

riscaldamento. Nel caso in cui l’obiettivo della sessione d’allenamento siano

contemporaneamente la forza massima e l’ipertrofia (metodo per la forza

assoluta), il doppio piramidale può essere una soluzione interessante perché

permette un alto tempo sotto tensione totale per le fibre a contrazione

rapida.

Una versione migliorata del doppio piramidale è il piramidale inclinato

(figura 8.7). Con questo approccio il carico è costantemente incrementato,

come nel piramidale normale, tranne che per l’ultima serie, nella quale

viene abbassato (ad esempio, l’80, 85, 90, 95 e 80%). È stato dimostrato che

abbassare il carico nell’ultima serie (detta serie di back-off) portandola a

esaurimento consente di mantenere la trofìa muscolare nel momento in cui

la maggior parte delle serie con poche ripetizioni e alta intensità avrebbero

stimolato solamente incrementi di forza relativa (Goto et al. 2004). Questo

metodo può essere usato durante la fase di mantenimento della forza del

piano annuale.

Figura 8.7

Schema di carico piramidale inclinato

Uno dei migliori schemi di carico per massimizzare i guadagni di forza è il

piramidale piatto (figura 8.8). Esso sviluppa la forza massima e stimola

anche parzialmente l’ipertrofia specifica delle fibre a contrazione veloce,

grazie all’elevato numero di serie totali eseguite con carico alto. Questo
schema prevede di iniziare con una serie di riscaldamento con il 50% di

1RM, seguita da alcune serie intermedie al 60, 70 e 75%; poi il carico si

stabilizza all’80% per il restante numero di serie. Il vantaggio fisiologico del

piramidale piatto è che, usando un carico di una sola intensità, si

raggiungono gli adattamenti neuromuscolari migliori per la forza massima

senza confondere l’organismo con stimoli diversi.

Figura 8.8

Schema di carico piramidale piatto

Nei piramidali tradizionali, invece, il carico spesso varia dal 70 al 100%. Le

variazioni di tale entità spaziano su tre livelli di intensità: medio, pesante e

massimale. Nonostante il fatto che il carico necessario a produrre

incrementi della forza massima sia compreso tra 70 e 100%, ogni zona di

intensità (70-80%, 80-90% e 90-100%) stimola adattamenti neuromuscolari

leggermente diversi (capitolo 2) e necessita di una progressione precisa.

Infatti, il volume di lavoro in ciascuna delle zone determina gli adattamenti

neuromuscolari prevalenti. Quindi, un piramidale tradizionale che utilizzi

carichi dal 70 al 100% può determinare miglioramenti sia in potenza, sia in

forza massima ma, sebbene questo possa essere vantaggioso per gli atleti,

non massimizza i guadagni in nessuna delle due abilità motorie.

Variazioni del piramidale piatto sono certamente possibili e necessarie,

fintanto che il carico resti all’interno del range di intensità richiesto per gli

adattamenti neuromuscolari desiderati in un macrociclo specifico (70-80%

per la coordinazione intermuscolare, 80-90% per la coordinazione


intramuscolare). Una di tali varianti può essere quella nella quale tutte le

serie di lavoro sono eseguite per lo stesso numero di ripetizioni,

incrementando però il carico (e riducendo così il buffer) di serie in serie.

La figura 8.9 mostra la progressione di questo schema di carico su tre

macrocicli di forza massima.

Figura 8.9

Progressione del carico e delle ripetizioni in tre macrocicli di forza massima

2+1, utilizzando il piramidale piatto modificato con un buffer decrescente.

Questo tipo di programmazione può essere utilizzato da atleti di discipline

di potenza, la cui attività specifica impegni già molto il sistema nervoso


Qualora si volesse incrementare la forza massima con atleti di livello

intermedio o avanzato, il carico “a onda” è uno schema eccellente. Poiché la

sua applicazione pratica è un po’ più complessa rispetto ai piramidali, si

tende a non usarlo con i principianti, ma piuttosto per uno stadio di sviluppo

atletico più avanzato. Per una progressione di 14 settimane si veda la figura

8.10.

Figura 8.10

Lo schema di carico a onda è particolarmente indicato per gli atleti di

potenza di livello intermedio e avanzato. Qui è presentata una progressione

di 14 settimane con tre schemi di ripetizioni nei macrocicli


Questo schema implica due o tre onde, solitamente composte da tre serie di

lavoro, nelle quali il carico viene incrementato in maniera progressiva

mentre il numero di ripetizioni decresce. Lo stesso schema di carico e

ripetizioni impiegato per la prima onda è ripetuto in quelle successive.

Il vantaggio dal punto di vista fisiologico di questa soluzione risiede nel

fatto che ogni onda successiva è potenziata dall’ultima serie a carico elevato

dell’onda precedente, incrementando così l’espressione di potenza alla

stessa percentuale di 1RM. Inoltre, questo schema lascia gli atleti di potenza

più freschi per le serie ad alta intensità, poiché non devono eseguire serie

voluminose in precedenza, come avviene per altri schemi di carico. Alcuni

sostenitori del carico a onda hanno suggerito di sfruttare il potenziamento

neurale della prima onda per incrementare il carico nella seconda. Sebbene

quest’approccio possa essere usato per stimolare incrementi sia di forza

massima, sia di ipertrofia, è preferibile aumentare il carico di settimana

(microciclo) in settimana, risparmiando maggiori energie per l’attività

specifica.
8.9 PROGRAMMAZIONE DELL’ALLENAMENTO

Tutti i programmi di allenamento dovrebbero essere pianificati, progettati e

misurati per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti. I passi che

vengono descritti qui di seguito tolgono qualsiasi dubbio sul processo di

pianificazione e programmazione dell’allenamento, nonché di verifica

dell’impatto del programma sul livello di sviluppo delle qualità fisiche.

Analisi del modello di prestazione

Analizzare il contributo di ciascuna delle abilità motorie e determinare le

qualità maggiormente specifiche da allenare.

Resistenza
1. Utilizzare la letteratura scientifica per determinare il contributo di

ciascuno dei sistemi energetici all’attività sportiva (al livello

competitivo della squadra o dell’atleta):

◊ anaerobico alattacido (ATP-PC);

◊ anaerobico lattacido (LA);

◊ aerobico (O2).

2. Valutare se l’attività è continua o intermittente.

3. Determinare le zone di intensità di lavoro per la resistenza e la

progressione da utilizzare nel programma.

4. Scegliere i metodi da usare in ogni macrociclo e la progressione dei

mezzi di allenamento.

Velocità

1. Valutare il numero, l’intensità e la durata degli scatti o delle azioni

rapide.

2. Considerare le differenze e il contributo relativo di ognuna delle

seguenti caratteristiche di velocità: velocità alattacida (accelerazione,

velocità massima), velocità lattacida breve (repeated sprint ability,

RSA), velocità lattacida di lunga durata (velocità resistente). Nota: la

velocità resistente è un’espressione di potenza lattacida nella quale la

massima intensità è mantenuta per più di otto secondi. Al contrario, la

velocità lattacida breve (repeated sprint ability, RSA) è un’espressione

di capacità alattacida nella quale gli scatti della durata inferiore ai sei

secondi sono ripetuti con recuperi parziali, in modo che in seguito

diventa un’espressione di potenza lattacida breve, che coinvolge

fortemente anche la potenza aerobica durante i brevi intervalli di

recupero, al fine di ripristinare i substrati attraverso la fosforilazione

ossidativa.

3. Valutare il tipo (ativo-passivo) e la durata del recupero tra gli scatti o

le azioni veloci.

4. Valutare se la velocità è espressa in forma lineare o non lineare.

5. Scegliere i metodi da utilizzare in ciascun macrociclo e la

progressione dei mezzi alienanti.

Forza
1. Determinare il tipo di forza specifica. Stabilire quale delle seguenti

qualità della forza è specifica per la disciplina: potenza, potenza

resistente, resistenza muscolare di breve durata, resistenza muscolare

di media durata, resistenza muscolare di lunga durata. L’incremento

della o delle qualità prescelte sarà l’obiettivo finale dell’intera

periodizzazione dell’allenamento forza. Bisogna ricordare che per le

espressioni di resistenza muscolare (di natura più metabolica), gli

adattamenti morfo-funzionali richiedono una esposizione più lunga

agli stimoli rispetto agli adattamenti neurali. Questa caratteristica

influenza direttamente la durata della fase di conversione e quindi il

tempo rimanente per le altre fasi, poiché il processo di pianificazione

dipende strettamente del punto di arrivo finale.

2. Determinare la durata appropriata del periodo di adattamento

anatomico, basandosi sulle caratteristiche dell’atleta (incluso il suo

stadio di sviluppo atletico e l’esperienza di allenamento della forza) e

sul tempo disponibile per questa fase introduttiva.

3. Decidere se pianificare o meno un periodo dedicato all’ipertrofia, alla

luce delle caratteristiche dell’atleta e della disciplina sportiva.

4. Selezionare gli esercizi da impiegare nell’allenamento. I preparatori

atletici dovrebbero sceglierli in base alle caratteristiche dello sport, ai

bisogni dell’atleta e alla fase del piano annuale. Ogni abilità tecnica è

espressa attraverso l’azione dei muscoli motori primari, che possono

essere diversi da sport a sport, a seconda dei requisiti specifici.

Quindi, i preparatori dovrebbero prima identificare i muscoli motori

primari, poi scegliere gli esercizi per la forza che meglio li

coinvolgono. Allo stesso tempo bisogna tenere conto delle necessità

individuali di ogni atleta, che dipendono dal suo background, dai suoi

punti di forza e da quelli deboli. Poiché gli anelli più deboli di una

catena si rompono per primi, devono essere scelti anche degli esercizi

di compensazione (accessori) per rinforzare i gruppi muscolari più

deboli. La selezione è anche fase-specifica. Normalmente, durante il

periodo di adattamento anatomico si allenano più gruppi muscolari,

in un approccio multilaterale, al fine di costruire fondamenta più


solide. All’avvicinarsi della fase competitiva, l’allenamento diviene

più specifico e gli esercizi sono scelti per coinvolgere i muscoli motori

primari.

Perciò i preparatori atletici devono analizzare i movimenti tipici dello

sport per determinare quali esercizi e quali parametri di carico

impiegare. Devono essere considerati i seguenti fattori:

◊ i piani sui quali avvengono i movimenti (sagittale, frontale,

trasverso);

◊ il range articolare specifico (cioè il range che deve essere utilizzato

per lo sviluppo della forza specifica);

◊ i gruppi muscolari che producono il movimento (cioè i muscoli

motori primari di cui si dovrà massimizzare la forza specifica);

◊ il tipo di azioni muscolari (concentrica, eccentrica, isometrica).

Scegliere i metodi da utilizzare in ciascun macrociclo e la progressione dei

mezzi di allenamento. Maggiori dettagli riguardo ai metodi e alla

progressione dei mezzi di allenamento sono forniti nei capitoli da 11 a 15.

Analisi della tradizione dell’allenamento di uno sport

Analizzare la tradizione nell’allenamento dello sport scelto. Negli anni gli

allenatori hanno trovato soluzioni prevalentemente basate sulla praticità,

piuttosto che sulla scienza. Equipaggiati con le conoscenze più recenti e con

l’esperienza pratica, sarà possibile trovare il punto di partenza ideale per

superare queste tradizioni.

Analisi dell’atleta

Per determinare lo stato di allenamento attuale di un atleta, bisognerà

testarne il grado di sviluppo di ciascuna abilità biomotoria e delle sue

diverse espressioni, possibilmente in relazione ai mezzi che si utilizzeranno

nel programma di lavoro. Bisogna considerare i risultati dei test e il livello

competitivo al fine di stabilire la progressione del carico e gli obiettivi della

prestazione per ciascuna abilità biomotoria in ognuna delle fasi dell’anno.

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