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5.

LA RELAZIONE DIGITALE
In questa sezione si proporrà una lettura filosofica preliminare dei fenomeni di disintermediazione e
rimediazione delle relazioni che si sta determinando in vari ambiti sociali a causa dell’impatto delle
piattaforme digitali. Alcuni testi di Byung-Chul Han offriranno delle utili suggestioni per discutere il
modo in cui i social media stanno modificando il rapporto fra individui e società, in bilico fra la
tensione a un ideale di trasparenza e accesso universali e il moltiplicarsi di pratiche opache e
problematiche dal punto di vista etico e politico.

Byung-Chul Han - La società della trasparenza (2012)


1. La società del positivo

Il termine “trasparenza” è enfaticamente invocato soprattutto in riferimento alla libertà


d’informazione. La società della negatività cede, oggi, di fronte a una società nella quale la
negatività è costantemente soppressa a vantaggio della positività. Perciò, la società della
trasparenza si manifesta in primo luogo come società del positivo.

Le cose diventano trasparenti quando si liberano da ogni negatività, quando sono spianate e
livellate. Le azioni diventano trasparenti quando si rendono operazionali, quando si sottopongono
a un processo di misurazione, tassazione e controllo. Il tempo trasparente è un tempo senza
destino e senza eventi. Le cose diventano trasparenti quando rinnegano la propria singolarità e si
esprimono interamente attraverso un prezzo. Il denaro, che rende ogni cosa equiparabile
all’altra, abolisce ogni incommensurabilità, ogni singolarità delle cose. La società della
trasparenza è “un inferno dell’Uguale”.

La trasparenza è una coercizione sistemica che coinvolge tutti i processi sociali e li sottopone a una
profonda mutazione. Il sistema sociale espone oggi tutti i suoi processi a un obbligo di trasparenza,
al fine di standardizzarli e di accelerarli. La negatività dell’alterità e dell’estraneità, o la
resistenza dell’Altro, disturba e rallenta la piatta comunicazione dell’Uguale. La trasparenza
stabilizza e accelera il sistema eliminando l’Altro o l’Estraneo. Questa coercizione sistemica rende
la società della trasparenza una società uniformata. In ciò consiste il suo tratto totalitario.

Il linguaggio trasparente è formale, anzi puramente meccanico, operazionale, a cui manca ogni
ambivalenza. L’obbligo di trasparenza riduce l’uomo a un elemento funzionale di un sistema. In ciò
consiste la violenza della trasparenza.

L’anima umana ha palesemente bisogno di sfere nelle quali possa sostare in sé, senza lo sguardo
dell’Altro. Un’illuminazione totale la incendierebbe e provocherebbe una particolare forma di
burnout spirituale. Spontaneità, evenemenzialità e libertà, che caratterizzano generalmente la
vita, non ammettono trasparenza.

L’uomo non è mai trasparente a se stesso. Secondo Freud (1856-1939), l’Io nega proprio ciò che
l’inconscio afferma e desidera illimitatamente. L’”Es” rimane largamente nascosto all’Io. Nella psiche
umana si apre così una crepa. Anche tra le persone si apre una crepa. Proprio la mancanza di
trasparenza dell’Altro è ciò che mantiene in vita la relazione.

All’obbligo di trasparenza manca proprio questa delicatezza del rispetto per quell’alterità che non
può essere completamente eliminata. Bisognerebbe esercitarsi nel pathos della distanza. Distanza
e pudore non si lasciano integrare nei circuiti accelerati del capitale, dell’informazione e della
comunicazione. Così, tutti gli spazi riservati in cui ritirarsi sono eliminati in nome della
trasparenza. Vengono illuminati e sfruttati. Il mondo diviene, in questo modo, nudo.
Un rapporto trasparente, inoltre, è una relazione morta, priva di ogni attrattiva, di ogni vitalità.
Così scrive Nietzsche (1844-1900) sul “nuovo illuminismo”: “Non basta che tu ti renda conto
dell’ignoranza nella quale vivono l’uomo e l’animale; è necessario che tu abbia oltre a ciò la volontà
di ignorare. Senza questo tipo di ignoranza la vita stessa sarebbe impossibile; essa è una delle
condizioni grazie a cui il vivente si conserva e cresce bene”.

Un aumento di informazioni non porta necessariamente a scelte migliori. L’intuizione, per esempio,
trascende le informazioni disponibili e segue una propria logica. Spesso un “meno” di sapere e di
informazioni implica un “più”. Non di rado la negatività dell’omissione e della dimenticanza
agisce in maniera produttiva. La società della trasparenza non tollera lacune né nell’informazione,
né nella visione. Comunque, tanto il pensiero quanto l’ispirazione hanno bisogno di un vuoto. Del
resto, la parola felicità [Gluck] deriva da lacuna [Luck]. Dunque, la società che non ammette più
alcuna negatività della lacuna è una società senza felicità. L’amore senza una lacuna nella
visione è pornografia. E senza lacune nella conoscenza, il pensiero si riduce a calcolo.

La società del positivo si congeda sia dalla dialettica che dall’ermeneutica. La dialettica si fonda sulla
negatività, infatti lo spirito hegeliano non volta le spalle al negativo, ma lo sopporta e si trattiene in
esso. La negatività alimenta la vita dello spirito. Per Hegel (1770-1831), lo spirito è “potenza”
soltanto quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Questo “soggiornare”
è il potere magico che converte il negativo nell’essere. Chi, invece, si aggira soltanto nel positivo,
è privo di spirito. Il sistema della trasparenza abolisce ogni negatività per rendersi più veloce.

La società del positivo non tollera alcun sentimento negativo. Si disimpara, così, a rapportarsi a
sofferenza e dolore, a dar loro una forma. Per Nietzsche, l’anima umana deve la sua profondità,
la sua grandezza e la sua forza proprio al soggiornare presso il negativo.

Nel corso della sua positivizzazione, anche l’amore si riduce a un accordo tra sentimenti piacevoli
e stati di eccitazione privi di complessità e di conseguenze. Lo afferma anche Alain Badiou nel suo
“Elogio dell’amore” (2013). L’amore è addomesticato e positivizzato come forma di consumo e di
comfort. Ogni ferita dev’essere evitata. Sofferenza e passione sono figure della negatività. Vengono
rimpiazzate da disturbi psichici come l’esaurimento, la stanchezza e la depressione.

Anche la teoria è una manifestazione della negatività. È una decisione, che stabilisce che cosa
rientra in essa e cosa no. Come narrazione altamente selettiva, segue il sentiero della
distinzione. A causa di questa negatività, la teoria è violenta. Senza la negatività della distinzione
si arriverebbe inevitabilmente alla proliferazione generalizzata e alla promiscuità delle cose. La
scienza positiva basata sui dati non è la causa, bensì l’effetto dell’imminente fine della teoria in senso
proprio. La teoria non si fa sostituire facilmente dalla scienza positiva. A questa manca la negatività
della decisione.

La politica è un’azione strategica. Già per questo motivo le appartiene una sfera segreta. Una
trasparenza totale paralizza la politica. La fine del segreto sarebbe la fine della politica.

Il Partito-Pirata, come partito della trasparenza, continua l’evoluzione verso la post-politica, che
equivale a una depoliticizzazione. Si tratta di un anti-partito, anzi del primo partito senza colore.
La trasparenza non ha colore, ma soltanto opinioni libere. Le opinioni non comportano
conseguenze. Non sono radicali e penetranti come le ideologie. Alle opinioni manca una
negatività che sia efficace. Così, l’odierna società dell’opinione, con la sua flessibilità della
“liquid democracy”, consiste nel cambiare colore a seconda della situazione.

L’obbligo di trasparenza stabilizza il sistema esistente in modo estremamente efficace. È cieca


verso ciò che è esterno al sistema: conferma e ottimizza solo il già-esistente.
Il giudizio comune della società del positivo dice “mi piace”. La società positiva evita ogni forma
di negatività, poiché provocherebbe l’arresto della comunicazione. La massa di comunicazione ne
incrementa anche il valore economico. I giudizi negativi limitano la comunicazione.
L’informazione in rete segue più velocemente il “like”.

Trasparenza e verità non sono identiche. Più informazione o soltanto un accumulo di informazioni
non producono di per sé una verità. Manca loro la direzione, vale a dire il senso. L’iper-
informazione e l’iper-comunicazione dimostrano proprio la mancanza di verità, anzi la mancanza
d’essere. Più informazione, più comunicazione non eliminano la fondamentale opacità del tutto.
Piuttosto, la accrescono.

2. La società dell’esposizione

Per le cose che stanno al “servizio del culto”, secondo Walter Benjamin (1892-1940), il fatto che
esistano è più importante del fatto che vengano viste. Il loro “valore cultuale” dipende dalla loro
esistenza e non dalla loro esposizione. La prassi di rinchiuderle in un luogo inaccessibile, di
privarle così di ogni visibilità, accresce il loro valore cultuale. La negatività della separazione,
della delimitazione e dell’isolamento è costitutiva per il valore cultuale. Nella società del
positivo, in cui le cose, divenute nient’altro che merci, devono essere esposte per essere, il loro
valore cultuale svanisce a vantaggio del valore di esposizione. Il valore delle cose aumenta
soltanto se vengono viste. L’obbligo di esposizione consegna tutto alla visibilità. Il valore di
esposizione caratterizza il capitalismo compiuto. Il valore di esposizione si fonda unicamente sul
fatto di produrre interesse.

Benjamin fa notare che nella fotografia il valore di esposizione sopprime completamente il valore
cultuale, ma ne occupa un’ultima trincea il “volto umano”. Non a caso, il ritratto sta al centro delle
prime fotografie. Il valore cultuale delle immagini troverebbe l’ultimo rifugio nel culto del ricordo dei
cari lontani o defunti. È questo che ne costituirebbe la malinconica e incomparabile bellezza.

Da molto tempo, oggi, il volto umano con il suo valore cultuale è scomparso dalla fotografia.
L’epoca digitale fa del volto dell’uomo una “faccia”. La faccia è il viso esposto senza alcuna aura
dello sguardo ed è la forma-merce del volto umano. La faccia come superficie è più trasparente
di quel volto che, per Emmanuel Lévinas (1906-1995) rappresenta un luogo eccelso, nel quale
irrompe la trascendenza dell’Altro. La trasparenza è antagonista della trascendenza. La faccia
abita l’immanenza dell’Uguale.

Nella fotografia digitale ogni negatività è cancellata. Nessun negativo la precede: è un puro
positivo. Il divenire, l’invecchiare, il morire sono cancellati. Roland Barthes (1915-1980) associa
alla fotografia una forma di vita, per la quale è costitutiva la negatività del tempo. La fotografia
digitale coincide con una forma di vita totalmente diversa, che si svincola sempre più dalla negatività.
È una fotografia trasparente, priva di destino e di eventi. Alla fotografia trasparente manca la
concentrazione semantica e temporale. In questo modo, non parla.

Il contenuto temporale del così-è-stato è, per Barthes, l’essenza della fotografia. La foto
testimonia ciò che è stato. Per questo la sua disposizione fondamentale è il lutto. La data assegna
alla foto la mortalità, la caducità. L’odierna fotografia evoca una diversa temporalità. Essa non
tollera alcuna tensione narrativa, nessuna drammaticità da romanzo. La sua espressione non è
romantica.

Nella società esposta, ogni soggetto è l’oggetto pubblicitario di se stesso. Tutto è rivolto
all’esterno, svelato, denudato, svestito ed esposto. L’eccesso di esposizione fa di ogni cosa
un prodotto. Le cose visibili svaniscono nel più visibile del visibile: l’oscenità. Oscena è l’iper-
visibilità, a cui manca ogni negatività del nascosto, dell’inaccessibile e del segreto.
Il porno non annienta solo l’eros, ma anche il sesso. L’esposizione pornografica rende
impossibile vivere il piacere. La sessualità si risolve nella performance femminile del piacere e
nell’esibizione della prestazione maschile. Bisogna esporre il corpo e, così, sfruttarlo.
L’esposizione è sfruttamento. Se il mondo stesso diventa uno spazio di esposizione, l’abitare non
è più possibile. Abitare significa “esser contento, avere la pace, rimanere in essa”. L’obbligo continuo
di esposizione e di prestazione minaccia questa pace.

Il valore di esposizione dipende soprattutto dalla piacevolezza dell’aspetto. Così, l’obbligo di


esposizione genera una costrizione alla bellezza e al fitness. I modelli odierni non trasmettono
alcun valore interiore, bensì misure esteriori. L’imperativo dell’esposizione conduce a
un’assolutizzazione del visibile e dell’esteriore. L’invisibile non esiste, perché non produce
alcun valore di esposizione, alcun interesse.

A essere problematica è la costrizione iconica a diventare immagine. L’imperativo della


trasparenza sospetta di tutto ciò che non si sottomette alla visibilità.

A essa manca ogni riflessione estetica. Le immagini sono univoche. A esse manca ogni opacità
che sarebbe prodotta da una riflessione, da una verifica e un pensiero. L’iper-comunicazione
anestetica riduce la complessità. È sostanzialmente più veloce della comunicazione sensata. Il
senso è lento. La massa di informazioni e di comunicazione si origina da un horror vacui.

Ogni distanza appare alla società della trasparenza una negatività da eliminare. In fondo, la
trasparenza è la promiscuità totale. Lo sguardo si abbandona alle irradiazioni permanenti delle cose
e delle immagini. A causa dell’assenza di distanza, non c’è alcuna considerazione estetica, alcun
soggiornare. La perdita di distanza non è prossimità, anzi la annienta. Nella prossimità è iscritta
una lontananza, perciò, essa è lontana. La trasparenza allontana ogni cosa nell’uniforme assenza
di distanza, che non è né vicina né lontana.

3. La società dell’evidenza

La società della trasparenza è una società ostile al piacere. Piacere e trasparenza non si
conciliano all’interno dell’economia del piacere umano. Ciò che accende il desiderio e intensifica
il piacere è proprio la negatività del segreto, del velo e dell’occultamento. Così, il seduttore
gioca con maschere, illusioni e forme d’apparenza. L’obbligo di trasparenza annulla i margini del
piacere. L’evidenza non tollera il sedurre. La seduzione spesso utilizza codici ambigui. Giocare
con l’ambiguità e l’ambivalenza, con il segreto e il mistero, accresce la tensione erotica. La
trasparenza o l’univocità sarebbero la fine dell’eros, ovvero, la pornografia. Non è un caso che
l’odierna società della trasparenza sia al tempo stesso una società pornografica.

Secondo Georg Simmel (1858-1918), la trasparenza sottrae alle cose ogni attrattiva e proibisce
alla fantasia di intesservi le sue possibilità. La fantasia è essenziale all’economia del piacere. Un
oggetto offerto nella sua nudità la disattiva. Il piacere immediato, che non ammette alcuna
deviazione immaginativa e narrativa, è pornografico. Secondo Kant (XVIII secolo), la facoltà
immaginativa si fonda sul gioco. Presuppone margini, nei quali nulla è delimitato in modo netto e
definito. Esige opacità e vaghezza.

Il sacro non è trasparente. Caratterizza, piuttosto, una misteriosa opacità. Il regno della pace che
viene non si chiamerà società della trasparenza. La trasparenza non è una condizione della pace.
Non soltanto lo spazio del sacro non è trasparente, ma neppure quello del desiderio. L’oggetto va
raggiunto solo indirettamente, soltanto per strade tortuose, meandriche. L’oggetto del desiderio
nell’amore cortese è raggiungibile soltanto sulla via di un eterno rinvio. Jacques Lacan (1901-
1981) definisce quest’oggetto anche la “Cosa” (das Ding), della quale non è possibile produrre
alcuna immagine, in conseguenza della sua impenetrabilità e segretezza. Essa sfugge alla
rappresentazione.
La trasparenza è una condizione della simmetria. La società della trasparenza aspira a
cancellare tutte le relazioni asimmetriche, tra le quali rientra anche il potere. Di per sé, il potere non
è diabolico, in molti casi è produttivo e creativo. Il potere prende anche parte, in misura notevole,
alla produzione di piacere. Alla domanda sul perché l’uomo tenda a esercitare il potere, Michel
Foucault (1926-1984) risponde rinviando all’economia del piacere. La non trasparenza e
l’imprevedibilità sono proprie, in buona misura, dei giochi strategici. Anche il potere è un gioco
strategico. Per questo gioca in uno spazio aperto: esercitare un potere sull’altro, in una specie di
gioco strategico aperto, dove le cose potrebbero essere ribaltate, non è il male; fa parte dell’amore,
della passione, del piacere sessuale.

Quel “piacere” nietzschiano, che anela all’eternità, nasce a mezzanotte. Contro lo sguardo
importuno, contro il generale rendere-visibile, Nietzsche difende l’apparenza, la maschera, il
segreto, il mistero, l’astuzia e il gioco.

Il totalmente Altro, il Nuovo, prospera soltanto dietro a una maschera che lo difende dall’Uguale. E
l’astuzia non equivale alla malizia. È più versatile, più flessibile in quanto si guarda intorno ed
esaurisce il potenziale situazionale del momento. Nietzsche evoca qui una forma di vita più libera,
che non sarebbe possibile in una società dell’illuminazione e del controllo. Tale forma di vita
è libera anche nel senso che non si lascia determinare.

Non di rado dal segreto e dall’oscurità promana una fascinazione. Per sant’Agostino (V
secolo), Dio impiegherebbe delle metafore e renderebbe intenzionalmente oscure le sacre
scritture, per suscitare un maggior piacere.

Il mantello figurativo erotizza la parola, la innalza a oggetto del desiderio. La parola agisce
seduttivamente. Lo scoprire e il decifrare si realizzano come un piacevole svelamento.
L’informazione, invece, è nuda. L’ermetismo del segreto non è una diabolicità, è simbolismo, anzi
una speciale tecnica culturale, che genera profondità.

4. La porno-società

La trasparenza non è il medium del bello. Nel segreto è il fondamento divino della bellezza. Lo
svelamento porta alla scomparsa di ciò che è velato. Per questo non esiste una bellezza nuda.
Nel corpo nudo dell’uomo è raggiunto un essere al di là di ogni bellezza: il sublime, e un’opera al di
là di tutte le formazioni dell’arte e della natura: l’opera del Creatore. Il sublime eccede il bello. La
nudità creaturale, però, è tutt’altro che pornografica. Anche per Kant un oggetto è sublime quando
eccede ogni rappresentazione, ogni immaginazione.

Secondo la tesi di Giorgio Agamben (1942-), Adamo ed Eva non erano nudi, ma coperti da una
veste di grazia, una “veste di luce”. Il peccato li privò della loro veste divina. Completamente
spogliati, furono costretti a coprirsi. La nudità significa, perciò, la perdita della veste di grazia.

Tuttavia, è proprio questo disincanto della bellezza nella nudità, questa sublime e miserabile
esibizione dell’apparenza oltre ogni mistero e ogni significato, a disinnescare in qualche modo il
“dispositivo teologico”. Il corpo nudo, pornograficamente offerto alla vista, è certamente
“miserabile”, ma non sublime. È l'esposizione a distruggere la sublimità creaturale. Il corpo
che diventa carne non è sublime, ma osceno.

Soprattutto la grazia cade vittima della nudità pornografica di Agamben. Agamben si riferisce alla
tesi di Jean-Paul Sartre (1905-1980), secondo cui il corpo deve la propria grazia a un movimento
finalizzato, che lo rende strumento. Già per il fatto però di fissarsi a uno scopo, nessuno
strumento è dotato di grazia, anzi, apertamente persegue il suo fine e lo raggiunge. La grazia,
invece, è insita in ciò che è tortuoso o deviante. Presuppone un libero gioco dei gesti e delle
forme. Anche l’esporre se stessi alla vista porta alla sparizione della grazia.
Il volto esposto non nasconde né esprime nulla. È come divenuto trasparente. In ciò, Agamben
coglie una particolare attenzione, un fascino particolare che diventa puro valore di esposizione. È la
sfrontata indifferenza che le mannequins, le pornostars e le altre professioniste dell’esposizione
devono innanzitutto a imparare ad acquisire: non dare a vedere null’altro che un dare a vedere (cioè
la propria assoluta medialità). Il volto nudo privo di mistero, divenuto trasparente e ridotto alla
sua esponibilità, è osceno. La faccia carica di valore di esposizione fino a scoppiarne è pornografica.

L’essenziale differenza tra l’erotico e il pornografico: l’immediato rendere-visibile la nudità non è


erotico; la posizione erotica di un corpo è proprio là dove l’abito si socchiude. La tensione erotica
discende dalla messinscena di un’apparizione-sparizione. È la negatività dell’interruzione che
conferisce uno splendore alla nudità. Il corpo pornografico è continuo. Non è interrotto da nulla.
L’interruzione produce un’ambivalenza, un’ambiguità. È questa opacità a essere erotica. L’erotico
presuppone, inoltre, la negatività del segreto e della segretezza. Non esiste un erotismo della
trasparenza.

L’evidenza priva di segreto del “non c’è nient’altro che questo” è pornografica. Il pornografico non è
attraente né allusivo, ma contagioso e infettante. È privo della distanza, nella quale sarebbe
possibile la seduzione. All’attrazione erotica è necessaria la negatività della privazione.

Barthes distingue due elementi nella fotografia. Definisce il primo “studium”. Questo riguarda il
campo delle informazioni; appartiene al genere del piacere (to like) e non dell’amare; la sua forma
di giudizio è “mi piace / non mi piace”. Allo studium manca ogni intensità o passione. Il secondo
elemento, il “punctum”, spezza lo studium. Il punctum non produce un piacere, ma una ferita, una
commozione, un turbamento. Il punctum interrompe il continuum di informazioni. Si manifesta
come una crepa, come una rottura. È un luogo di altissima intensità e condensazione, abitato
da qualcosa d’indefinibile. Gli manca ogni trasparenza, ogni evidenza, che contraddistinguono
invece lo studium.

La foto erotica è l’immagine di qualcosa d’alterato, intaccato. Nelle immagini pornografiche tutto è
rivolto all’esterno ed esposto. La pornografia è priva di interiorità, di ascosità e di segreto. Tutte le
immagini mediali sono, oggi, più o meno pornografiche. In conseguenza del loro aspetto piacevole,
mancano di ogni punctum.

Stando a Barthes, le immagini cinematografiche non possiedono un punctum. Le immagini che


si susseguono costringono l’osservatore a una voracità continua. Il punctum si sottrae allo sguardo
consumistico, vorace. Spesso, il punctum non si manifesta subito, ma soltanto a posteriori, in un
soffermarsi che ricorda; può adattarsi a una certa qual latenza.

La fotografia, osserva Barthes, deve essere silenziosa. Soltanto nello “sforzo per il silenzio” la
fotografia manifesta il suo punctum. È un luogo del silenzio che rende possibile un soggiornare
contemplativo. Di fronte alle immagini pornografiche, invece, non ci si sofferma. Servono
soltanto all’eccitazione e al soddisfacimento immediati.

Lo studium è una lettura. Le immagini pornografiche, de-culturalizzate, non danno a leggere nulla.
Agiscono come immagini pubblicitarie, in maniera immediata, tattile e contagiosa. Il loro modus
agendi non consiste nella lettura, ma nel contagio e nell’abreazione. Non sono neppure animate da
un punctum. Si svuotano nello spectaculum. La porno-società è una società dello spectaculum.

5. La società dell’accelerazione

Secondo Sartre, il corpo diventa osceno quando è ridotto alla pura fatticità della carne. È osceno il
corpo che non è orientato, non è in azione o in situazione. Sono osceni i movimenti del corpo
eccedenti ed eccessivi. Il loro essere eccessivi ed eccedenti si esprime allora come obesità,
massificazione e proliferazione. Essi proliferano e crescono senza scopo, privi di forma. Questa iper-
accelerazione è oscena nel suo eccesso che sfreccia oltre la propria destinazione.

Rituali e cerimonie sono processi narrativi, che si sottraggono all’accelerazione. Rituali e


cerimonie hanno il proprio tempo, il proprio ritmo e ciclo. La società della trasparenza abolisce tutti
i rituali e le cerimonie perché non si possono rendere operazionali.

Al contrario del calcolo, il pensiero non è trasparente a se stesso. Secondo Hegel, il pensiero
è animato da una negatività, la quale gli fa attraversare esperienze che lo formano. La negatività
del rendersi-altro è costitutiva per il pensiero. In ciò consiste la differenza con il calcolo, che rimane
sempre uguale a se stesso. Questa uguaglianza è la condizione di possibilità dell’accelerazione.
La negatività caratterizza non solo l’esperienza, ma anche la conoscenza. Un’unica
conoscenza può mettere interamente in questione il già-esistente e trasformarlo. All’informazione
manca questa negatività. Anche l’esperienza ha conseguenze, dalle quali si origina la forza del
cambiamento.

La mancanza di narrazione differenzia il processore dalla processione, che è un evento narrativo.


Tanto il termine “processore” quanto “processione” rinviano al verbo “procedere” che significa
“avanzare”. Le processioni rappresentano scenicamente particolari passaggi di una narrazione. Per
via della loro narratività, sono animate da un tempo proprio. Quindi, non è possibile e neppure
sensato accelerare il loro procedere. Al procedere del processore manca, invece, ogni
narrazione. Il suo operare è senza immagine, senza scene. Non racconta nulla. Anche il
“processo”, che pure rinvia al verbo latino “procedere”, è povero di narrazione a causa della sua
funzionalità. Il processo determinato in modo funzionale è soltanto un oggetto del controllo o
della gestione. La società diventa oscena, quando non c’è più scena, quando tutto diventa di una
trasparenza inesorabile.

In un mondo de-narrativizzato, de-ritualizzato, la fine è soltanto una rottura, che causa dolore e
distruzione. Soltanto nella cornice di una narrazione la fine può apparire come compimento.
Senza un’apparenza narrativa, la fine è sempre una perdita assoluta.

Il pellegrinaggio è un evento narrativo. Fondamentalmente, il percorso seguito dai pellegrini non


è un passaggio da compiere il più velocemente possibile, ma è piuttosto una via ricca di semantica.
L’essere in cammino è carico di significati che richiamano penitenza, guarigione, gratitudine. Per
via di questa narrazione, al pellegrino non si può mettere fretta. Il pellegrinaggio, inoltre, è un
transito verso un lì. Dal punto di vista temporale, il pellegrino è in cammino verso un futuro. Il turista
si mantiene nel presente, nel qui e ora. Il turista non è veramente in cammino. Al turista è estranea
la ricca semantica, la narratività del percorso. Il percorso diventa un vuoto passaggio.

L’obbligo di trasparenza cancella tutti i confini e le soglie. Lo spazio diventa trasparente quando
è spianato, livellato e svuotato. I significati si sviluppano solo mediante attraversamenti e soglie,
anzi mediante resistenze. Soglie e attraversamenti sono zone del segreto, dell’incertezza, della
trasformazione, della morte, della paura, ma anche della nostalgia, della speranza e
dell’attesa. La loro negatività determina la “topologia delle passioni”.

La narrazione esercita una selezione. La linea narrativa è sottile, ammette soltanto determinati
avvenimenti, perciò impedisce la proliferazione e la massificazione del positivo. La narratività
della memoria la differenzia dalla memoria informatica, che lavora e accumula in modo meramente
additivo. A causa della loro storicità, le tracce mnestiche sono sottoposte a un riordinamento e
a una riscrittura continui. Al contrario, i dati salvati rimangono uguali a se stessi, in un deposito
pieno fino all’orlo di tutte le immagini possibili. Nella bottega del rigattiere, le cose giacciono
semplicemente l’una accanto all’altra, non sono stratificate. Lì manca, quindi, la storia.
L’obbligo di trasparenza cancella l’odore delle cose, l’odore del tempo. Per Marcel Proust
(1871-1922) il godimento immediato è incapace di bellezza. La bellezza di una cosa appare solo
molto più tardi, come reminiscenza, alla luce di un’altra. È bello il rilucere silenzioso, la
fosforescenza del tempo. La bellezza è una ritardataria. Solo a posteriori le cose svelano la loro
odorosa essenza del bello. Essa consiste nelle stratificazioni temporali e nelle sovrapposizioni,
che emanano fosforescenza. La trasparenza non emana fosforescenza.

L’odierna crisi del tempo non consiste nell’accelerazione, quanto nella dispersione e nella
dissociazione temporale, ma la sua soluzione non sta nella decelerazione.

6. La società dell’intimità

Il mondo del XVIII secolo è un “theatrum mundi”. Lo spazio pubblico è un palcoscenico.


Nell’epoca moderna, si rinuncia progressivamente alla distanza teatrale a vantaggio
dell’intimità. Richard Sennet (1943-) vede in ciò uno sviluppo fatale, che toglie all’uomo la
capacità di giocare con le immagini esterne di se stesso e di ornarle col sentimento. Il teatro è il
luogo in cui espressioni vengono rappresentate e non esposte. Il mondo, oggi, non è un teatro,
sul quale azioni e sentimenti possono essere rappresentati e letti, ma è un mercato nel quale le
intimità vengono esposte, comprate e consumate. Il teatro è un luogo della rappresentazione,
mentre il mercato è un luogo dell’esposizione.

Secondo l’ideologia dell’intimità, le relazioni sociali sono tanto più reali, corrette, degne di fiducia
e autentiche quanto più si avvicinano ai bisogni psichici dei singoli. L’intimità è la formula
psicologica della trasparenza. Palesando i sentimenti intimi e le emozioni, mettendo a nudo
l’anima, si crede di raggiungere la trasparenza dell’anima.

I social media e i motori di ricerca personalizzati edificano nella rete uno spazio di prossimità
assoluto, dal quale l’esterno è eliminato. Lì si ha modo di incontrare soltanto se stessi e i propri
eguali. Non c’è più alcuna negatività, che renderebbe possibile un cambiamento. Questa
prossimità digitale propone al partecipante soltanto quei frammenti di mondo che gli piacciono. La
rete si trasforma in una sfera dell’intimità o una zona di benessere.

Neppure la politica le sfugge. Così, i politici non vengono giudicati in base alle loro azioni, ma
l’interesse generale è indirizzato verso la persona, e ciò produce in essa una costrizione alla
messa in scena. Al posto della dimensione pubblica subentra la pubblicizzazione della persona.
La dimensione pubblica diventa, in questo modo, un luogo di esposizione. Si allontana sempre
più dallo spazio dell’agire comune.

La società della trasparenza lavora contro ogni forma di maschera, contro l’apparenza: svuota la
società delle sue forme d’apparenza. Gli uomini diventano sociali quando mantengono tra loro una
distanza. Invece, l’intimità distrugge la distanza.

La società dell’intimità è una società psicologizzata, de-ritualizzata. È una società della


confessione, dello svelamento e della mancanza pornografica di distanza.

L’intimità annulla i margini oggettivi in favore di sentimenti affettivo-soggettivi. Il narcisismo è


espressione di un’intimità con sé priva di distanza, ossia, di una carente distanza da sé. La società
dell’intimità è abitata sempre più da disturbi narcisistici. Nelle esperienze si incontra l’Altro. Nei
vissuti, invece, si incontra dappertutto se stessi. Il soggetto narcisistico non riesce a delimitare
se stesso. I confini del suo esserci si confondono. Il soggetto narcisista si fonde a tal punto con se
stesso che non gli è più possibile giocare con sé. Il narciso, ormai depresso, annega nella sua
illimitata intimità con sé. Nessun vuoto, nessuna assenza distanziano il narciso da se stesso.
7. La società dell’informazione

La caverna di Platone è stranamente costruita come un teatro. I prigionieri siedono come


spettatori di fronte a un palcoscenico. Tra loro e il fuoco che hanno alle spalle corre un muricciolo,
che assomiglia a quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di
sopra di essi i burattini. Lungo il muricciolo viene portata ogni specie di oggetti, che sporgono dal
muro e gettano le loro ombre sulla parete che i prigionieri guardano fissamente. Poiché i prigionieri
non possono voltarsi, pensano che siano le immagini stesse a parlare. La caverna di Platone, quindi,
è una sorta di teatro delle ombre. Gli oggetti non sono cose reali del mondo, ma sono tutti quanti
accessori di scena e figure teatrali.

Il fuoco è una luce artificiale. I prigionieri sono incatenati da scene, da illusioni sceniche. Si
abbandonano a un gioco, a una narrazione. Nella metafora della caverna, il teatro come mondo
della narrazione viene contrapposto al mondo della conoscenza. Il fuoco nella caverna crea,
come luce artificiale, delle illusioni sceniche, proietta parvenze. Si distingue, così, dalla luce
naturale come medium della verità. Il sole costituisce una trascendenza, collocata addirittura al di
là dell’Essere. Ogni cosa essente deve la sua verità a questa trascendenza. La luce solare di Platone
è gerarchica.

La caverna di Platone è un mondo narrativo. La luce della verità de-narrativizza il mondo. Il sole
annienta l’apparenza. Il gioco della mimesis e delle metamorfosi cede al lavoro per la verità.
Platone vieta ogni rappresentazione scenica e persino al poeta nega l’accesso alla sua città della
verità. Anche la società della trasparenza è una società senza poeti, senza seduzione e
metamorfosi. È proprio il poeta colui che produce le illusioni sceniche, le forme apparenti e che
contrappone ai nudi fatti iper-reali gli arte-fatti e gli ante-fatti.

La metafora della luce, che domina il discorso filosofico e teologico dall’antichità all’Illuminismo,
passando per il Medioevo, implica una referenza rigida. La luce si diffonde da una fonte o da
un’origine. È come Dio o la ragione. Sviluppa, così, una negatività, che agisce polarizzando e che
produce opposizioni. Luce e ombre procedono insieme. Con il Bene, è posto anche il Male. La
luce della ragione e la tenebra dell’irrazionale.

Diversamente dal mondo platonico della verità, all’odierna società della trasparenza manca
quella luce divina che è animata da una tensione metafisica. La trasparenza è priva di
trascendenza. La società della trasparenza è chiaramente priva di luce. Il medium della trasparenza
è un’irradiazione priva di luce che pervade ogni cosa e la rende evidente. Al contrario della luce, la
trasparenza è penetrante e pervasiva. Agisce, inoltre, rendendo tutto omogeneo e livellando,
mentre la luce metafisica produce gerarchie e differenze, e pone ordini e orientamenti.

L’informazione è, in quanto tale, un fenomeno della trasparenza, perché le manca ogni negatività.
Martin Heidegger (1889-1976) lo definirebbe un linguaggio del “dis-positivo” (Ge-stell). Heidegger
pensa il dispositivo dell’informazione a partire dal dominio. L’es-porre e il porre-alla-vista non
servono principalmente a guadagnare potere. Ciò a cui si tende non è il potere, ma l’interesse.
Potere e interesse non coincidono esattamente. Chi ha potere ha ciò che rende superfluo lo sforzo
teso all’interesse. E l’interesse non genera automaticamente potere. Come simulacri privi di
riferimento, le immagini mediali conducono quasi una vita propria. Esse proliferano anche al
di fuori di potere e dominio. Più che un “dis-positivo”, la massa di informazioni e di comunicazione
multimediale è un dis-ordine.

La società della trasparenza non è soltanto priva di verità, ma è anche priva di apparenza. Solo il
vuoto è del tutto trasparente. Per bandire questo vuoto, viene messa in circolo una massa di
informazioni. Un semplice aumento di informazioni e di comunicazione non rischiara il mondo. La
massa di informazioni non produce alcuna verità. Più informazioni vengono liberate, meno
intelligibile diviene il mondo.
8. La società dello svelamento

Il XVIII secolo è stato, sotto un certo aspetto, non del tutto dissimile dal presente. A esso era già
noto il pathos dello svelamento e della trasparenza. Jean-Jacques Rousseau, in “Confessioni”
(1782), vorrebbe mostrare, così si dice già all’inizio dell’opera, un uomo in tutta la sua verità della
natura. Il cuore cristallino è una metafora fondamentale del pensiero rousseauiano: “Il suo
cuore, trasparente come il cristallo, non può nascondere nulla di ciò che vi succede; ogni sentimento
che prova traspare dai suoi occhi e dal suo viso”. Si richiede la “schiettezza di cuore”. Rousseau
esorta il suo prossimo a svelare il suo cuore. In ciò consiste la “dittatura del cuore” in Rousseau.

La pretesa di trasparenza rousseauiana indica un cambiamento di paradigma. Il mondo del XVIII


secolo era ancora un teatro. Era più ricco di scene, maschere e figure. La stessa moda era teatrale.
Anche le maschere divennero di moda. Il volto stesso diventava un palcoscenico, sul quale si
rappresentavano determinate qualità caratteriali con l’aiuto di nei di bellezza. Anche il corpo era un
luogo di rappresentazione scenica. Si trattava di giocare con l’apparenza. Il corpo era un
manichino senza anima, che bisognava drappeggiare, imbellettare, adornare con segni e significati.

Rousseau contrappone a quel gioco di maschere e ruoli il suo discorso sul cuore e sulla
verità. Il teatro sarebbe l’arte di dissimulare, di prendere un carattere diverso dal proprio, di
sembrare differenti da come si è, di dire cose che non si pensano. Il teatro viene condannato come
luogo della finzione, dell’apparenza e della seduzione, al quale manca ogni trasparenza. Il
progetto eroico della trasparenza, che consiste nel voler strappare tutti i veli, nel portare tutto alla
luce, nel dissipare ogni tenebra, conduce alla violenza. Lo stesso divieto del teatro e della mimesis,
che già Platone prescriveva per il suo stato ideale, conferisce dei tratti totalitari alla società della
trasparenza rousseauiana. Rousseau predilige città più piccole, perché lì i privati, sempre sotto
gli occhi dei vicini, nascono con l’istinto di criticarsi gli uni con gli altri e la municipalità può facilmente
ispezionare chiunque. La società della trasparenza rousseauiana si rivela una società del controllo
totale e della sorveglianza.

La pretesa di trasparenza del cuore in Rousseau è un imperativo morale. Il vento digitale della
comunicazione e dell’informazione pervade ogni cosa e rende tutto trasparente. La rete digitale
come medium della trasparenza, però, non è soggetta a un imperativo morale. Essa è, per così
dire, senza cuore. Non tende ad alcuna purificazione morale del cuore, ma al massimo profitto,
al massimo interesse.

9. La società del controllo

Il panottico digitale del XXI secolo è aprospettico, nella misura in cui non è sorvegliato da un
centro unico, dall’onnipotenza dello sguardo dispotico. La distinzione tra centro e periferia
scompare completamente. Questo ne determina l’efficienza, perché si può essere illuminati da
ogni lato, dappertutto e da ciascuno.

Il panottico di Jeremy Bentham (1791) è una manifestazione della società disciplinare. Sono
soggetti al controllo panottico carceri, fabbriche, manicomi, ospedali e scuole. Si tratta di tipiche
istituzioni della società disciplinare. Le celle disposte attorno alla torre di controllo sono
rigorosamente isolate. Lo sguardo del controllore raggiunge ogni angolo delle celle, mentre egli
stesso resta invisibile ai detenuti. Con l’aiuto di una tecnica raffinata si suscita l’illusione di un
controllo permanente. Qui, la trasparenza è data solo in modo unilaterale.

Nell’aprospetticità, invece, non si sviluppa alcun occhio centrale, nessuna soggettività centrale
o sovranità. Mentre i detenuti del panottico benthamiano sono coscienti della presenza costante
dell’ispettore, gli abitanti del panottico digitale si credono liberi. Diversamente dai detenuti isolati
del panottico di Bentham, i suoi abitanti si connettono e comunicano massivamente tra loro. La
particolarità del panottico digitale è, soprattutto, che i suoi stessi abitanti collaborano attivamente
alla sua costruzione e al suo mantenimento, esponendosi loro stessi alla vista e
denudandosi. La società del controllo si realizza là dove il suo soggetto si denuda non in
conseguenza di una costrizione esterna, ma di un bisogno auto-prodotto.

Lo scrittore futurista David Brin (1998) immagina un controllo di tutti da parte di tutti, dunque
una democratizzazione del controllo. In tal senso, egli auspica una “società trasparente”.
Possiamo sopportare di vivere esposti alla sorveglianza, con i nostri segreti svelati, se in cambio
otteniamo noi stessi delle luci con le quali possiamo illuminare chiunque. L’utopia briniana di una
società trasparente si basa su uno sconfinamento del controllo. Deve essere eliminato ogni flusso
di informazioni asimmetrico, che produce una relazione di potere e di dominio. Questa
sorveglianza totale degrada la società trasparente a una disumana società del controllo. Ognuno
controlla l’altro.

La trasparenza e il potere mal si accordano. Il potere si ammanta volentieri del segreto. La prassi
dell’arcano è una delle tecniche del potere. La trasparenza reciproca, però, può realizzarsi solo
attraverso la sorveglianza continua, che assume una forma sempre più eccessiva. Inoltre, il
controllo totale annienta la libertà d’azione e conduce, alla fine, a un livellamento. La fiducia, che
produce liberi spazi d’azione, non può essere rimpiazzata dal controllo. Se non fosse autonomo,
il governante non potrebbe mai fare nulla.

Fidarsi significa costruire una relazione positiva con l’altro, malgrado ciò che di lui non si sa.
Se si sapesse tutto in anticipo, la fiducia sarebbe superflua. La trasparenza è una condizione
nella quale il non-sapere viene eliminato. La trasparenza esclude la fiducia. La domanda di
trasparenza diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. La società della trasparenza è una
società della sfiducia e del sospetto. La forte richiesta di trasparenza rinvia proprio al fatto che il
fondamento morale della società è diventato fragile, che i valori morali come la sincerità o l’onestà
divengono sempre più insignificanti. Al posto dell’istanza morale compare la trasparenza come
nuovo imperativo sociale.

La società della trasparenza segue esattamente la logica della società della prestazione. Il
soggetto di prestazione è libero dall’istanza di dominio esterna. Egli è signore e imprenditore di
se stesso. La scomparsa dell’istanza di dominio, però, non conduce a una libertà reale e a
un’assenza di costrizione, perché il soggetto di prestazione sfrutta se stesso. L’auto-
sfruttamento è più efficace dello sfruttamento da parte di un terzo, perché si accompagna al
sentimento della libertà. Il soggetto di prestazione si sottopone a una costrizione libera, auto-
prodotta. Questa dialettica della libertà sta alla base della stessa società del controllo.

Oggi, chi illumina se stesso, si consegna allo sfruttamento. L’illuminazione è sfruttamento. La


sovraesposizione alla luce di una persona massimizza l’efficienza economica. Il cliente trasparente
è il nuovo detenuto.

Nella società della trasparenza non si costituisce una comunità. Si sviluppano solo
assembramenti o molteplicità casuali di individui isolati, di “ego” che perseguono un interesse
comune o si riuniscono attorno a un marchio. Questi gruppi si distinguono dalle assemblee, che
sarebbero capaci di un noi, di un comune agire politico. I social media non si distinguono più
dalle macchine panottiche. Comunicazione e profitto, libertà e controllo coincidono. Il sociale viene
degradato a elemento funzionale del processo produttivo e reso operazionale.

L’intero globo evolve oggi in un panottico. Non c’è alcun esterno rispetto al panottico, che diventa
totale. Nessun muro separa l’interno dall’esterno. La sorveglianza oggi non si realizza, come si
ritiene normalmente, nella forma di un attacco alla libertà. Si collabora intenzionalmente al
panottico digitale, svelando ed esponendo se stessi. Il detenuto del panottico digitale è, al tempo
stesso, carnefice e vittima. In ciò consiste la dialettica della libertà. La libertà si rivela controllo.

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