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PIA DE TOLOMEI

LE DONNE NEL TEMPO

Federico Daniel | Pietro Minotto | Andrea Oliver | Riccardo Sartoretto


Matteo Bandello, Novella 12
Pia de Tolomei, giovane donna originaria di Siena, proveniente da nobile famiglia, all’età di
19 anni fu costretta a sposarsi con Nello de la Pietra, gentiluomo più ricco di Siena e più
potente della Maremma. Dopo il matrimonio la sua vita procedeva nella scontentezza, poiché
costretta nel castello del marito, vittima della sua oppressione.
Capitò che, per problemi di confine, il consorte dovette spostarsi a Siena con la moglie; era il
momento perfetto, per Pia, di far ciò che il marito, per lungo tempo, le aveva vietato: la
socialità, l’amore, l’affetto. Durante la sua permanenza a Siena la sua attenzione cadde su di
un giovane, Agostino Ghisi, il quale in breve tempo cadde anch'esso prigioniero della morsa
di Amore; vi fu dunque uno scambio epistolare, ma la passione ardeva arrogante: i due
giovani dovevano incontrarsi. Ciò risultava tuttavia assai complicato: l’abitazione di Nello era
sorvegliata da gran quantità di inservienti, e Pia, al di fuori dell’abitazione, veniva sempre
accompagnata.
Il momento opportuno per incontrarsi giunse quando Nello, volendo soggiornare l’inverno,
fece portare gran quantità di grano per l'approvvigionamento del castello. Pia organizzò
l’incontro: fece travestire Agostino da facchino con l’incaricato di trasportare il grano nel
granaio. Riuscirono così ad incontrarsi e a soddisfare il loro desiderio, ma
contemporaneamente alimentarono l’ardente passione, che stimolava loro a ricongiungersi
nuovamente e nuovamente.
Per agevolare gli incontri il Ghisi propose di usufruire della fedeltà di una damigella; Pia era
restia a tale proposta, ma il desiderio ardeva violentemente, tanto da venir considerato più
prezioso della sua stessa vita. Quando l’amante se ne andò, il malcontento invase Pia, la quale
però gioiva, conscia di aver goduto assai più piacere che non aveva fatto in tutto il tempo
della sua vita.
Grazie all’aiuto della damigella, i due si poterono incontrare molteplici volte, e molteplici
erano i travestimenti adottati dal Ghisi per entrare nel castello: talvolta da facchino, talora da
furfante, altre da donna. Capitò però che un vecchio si accorse di tale inganno e riferì il tutto
all’amico Nello, il quale, conscio della sua scarsa autorità a Siena, subito tornò nel suo
castello nella Maremma, estorse con la forza la verità dalla damigella, quindi la fece
strangolare. Successivamente, fece uccidere la moglie, la quale, in fin di morte, chiese pietà al
marito, e perdono a Dio dei suoi peccati.

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Francesca da Rimini
Francesca si colloca in un preciso spazio culturale, quello della civiltà cortese-cavalleresca;
infatti nasce e vive in una corte ed è inserita nel suo tempo storico seguendo i modelli
comportamentali che il suo ambiente le offre, inoltre il linguaggio che adopera la dimostra
partecipe di un ceto molto raffinato e colto. Si trova nell’Inferno per aver peccato di lussuria,
ma nonostante ciò la cortesia, la cultura e la sensibilità permangono, lasciando trasparire la
dolcezza e l’umiltà, caratteristiche essenziali della sua persona.

Alcuni scritti storici ci raccontano che era una donna bellissima e di animo puro, infatti, come
era consuetudine nel Medioevo, trascorse la sua giovinezza lontana dai divertimenti e molto
dedita alle pratiche religiose. Dovette andare sposa, con matrimonio combinato, all’età di
quindici o sedici anni, a Gianciotto Malatesta, e al quale diede due figli, Concordia e
Francesco.

Della relazione adulterina, considerata, secondo i canoni dell’epoca, anche incestuosa (poiché
il cognato era visto come un fratello), non vi sono testimonianze, e non vi è nemmeno alcun
documento che parli dell'uccisione da parte di Giovanni, però è certo che il marito si risposò
nel 1286, ovvero un anno dopo la morte di Francesca.

La fonte storica e letteraria principale della vicenda è Dante, dal quale apprendiamo che
Francesca era cognata di Paolo, l’anima che l’accompagna nel turbine infernale, e che i due
erano stati amanti non platonici e che ad ucciderli era stato un parente ancora in vita,
riconducibile al marito Gianciotto. Anche Boccaccio scrisse una sua versione dell’accaduto,
secondo la quale Francesca sarebbe stata ingannata, infatti le fu fatto credere che lo sposo
sarebbe stato Paolo e non Giovanni, e solo la prima notte di nozze la giovane si rese conto di
aver sposato Gianciotto. Tuttavia tale vicenda è molto probabilmente un’invenzione, perché è
assai improbabile che Francesca non conoscesse i due fratelli, dal momento che le due
famiglie, essendo entrambe guelfe, erano in stretto contatto, e che non si fosse accorta
dell’inganno dello scambio di persona. L’unica parte accreditata alla versione di Boccaccio è
quella dell’uccisione in flagranza di reato, trasformando Francesca in una provocatrice e
peccatrice e Gianciotto in un marito modello, esempio di rassegnazione e sopportazione, fino
alla scoperta del tradimento che lo trasformò in un assassino.

Nel Medioevo le donne che seguivano le proprie passioni erano condannabili e peccatrici,
perché hanno messo al primo posto l’istinto piuttosto che la razionalità; tale visione ai giorni
nostri, nel nostro paese, non è concepibile, infatti seguire ciò che si ama veramente è un
diritto se non un dovere che chiunque dovrebbe perseguire assiduamente. Dobbiamo
comunque considerare che dal periodo storico di Dante la società è cambiata profondamente e
ha attraversato rinnovamenti di ogni genere, che hanno portato all’affermarsi di ideali molto
ampi, fondati sulla libertà, e che considerano la donna non come un oggetto senza diritti,
specialmente rispetto al marito, ma come un soggetto con diritti personali e inalienabili.

Le due figure femminili, incontrate nei medesimi canti di due cantiche differenti, hanno
attirato l’attenzione e l’interesse di molti critici e studiosi. Le prime somiglianze e dissonanze,
visibili a primo impatto, sono la causa della morte, infatti entrambe sono perite violentemente
per mano del marito, e mentre la condizione ultraterrena di Francesca è la dannazione eterna,
quella di Pia è l’espiazione. La più grande differenza tra le due donne riguarda la volontà di
voler raccontare la propria storia; infatti, Francesca narra apertamente la propria vicenda,
senza tralasciare nulla, per far conoscere tutti i particolari a Dante; Pia invece comunica tutto
il suo dolore in due semplici versi, dolore causato osservando suo marito condannarla a morte
senza pietà. Inoltre Pia sembra serena quando parla della sua città natale, Siena, rimpiangendo
il suo trasferimento in Maremma, luogo che l’ha condotta alla morte, mentre la giovane

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Francesca non ha più alcun legame con la propria esistenza terrena, poiché non le era
permesso vivere con il suo amato; in quella ultraterrena, nonostante le pene e la sofferenza,
può stare con Paolo.

La protagonista del canto V dell’Inferno, presenta rancore e rabbia nei confronti del proprio
assassino; nonostante ammetta le proprie colpe, in particolare di aver peccato di lussuria,
attende impazientemente che il marito cada nella zona Caina, luogo in cui i traditori dei
parenti sono conficcati nel ghiaccio fino alla testa; la giovane senese, invece, non odia il
proprio omicida. Ella ricorda, tramite la perifrasi che occupa gli ultimi due versi del canto, il
marito, tuttavia il significato delle sue parole è ancora ignoto, si pensa che possa indicare una
nostalgia d’amore, ma anche un atto di carità e di perdono per chi l’ha tradita, facendola
morire.

Le parole di Francesca occupano la parte centrale del canto e contengono numerose figure
retoriche con inversioni sintattiche e parole rimate contenenti diverse allitterazioni
consonantiche, che le conferiscono l’aspetto carnale tipico dei versi dell’inferno, da cui si
sprigiona la drammaticità della vicenda.

“Amore, ch’al con gentil ratto s’apprende, /prese costui de la bella persona/che mi fu tolta;
e‘l modo ancor m’offende. /Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer
sì forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona.” In questi versi la tematica della fisicità
viene nobilita dal poeta, che la inserisce nel contesto stilnovista della nobiltà d’animo.

L’emblematicità del discorso di Pia si contrappone a quello di Francesca, completo, logico e


argomentato; infatti, Pia risulta essere un ribaltamento della figura di Francesca, in quanto la
sua relazione amorosa è tragica e infelice, non parla di amore ma di morte, seppur da un tono
da cui traspare la delicatezza. La sua figura è appena accennata, mentre i connotati di suo
marito lo spogliano di qualsiasi maschera di innocenza.

L’entrata in scena di Pia dopo due figure maschili esemplifica l’eleganza e l’idea di
femminilità per eccellenza; inoltre, per questo motivo risulta psicologicamente più complicata
rispetto a Francesca, in quanto non ci dice nulla della sua storia, particolare che la rende molto
apprezzabile.

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La Monaca di Monza
Gertrude è la monaca del convento di Monza dove si rifugiano Agnese e Lucia in seguito alla
fuga dal paese e al fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo; viene
introdotta nel cap. IX dei Promessi Sposi ed è presentata come la figlia di un ricco ed
influente principe di Milano; grazie a ciò gode di eccezionali libertà all'interno del convento.
Il personaggio è ispirato alla figura di Marianna de Leyva, figlia di Martino conte di Monza,
costretta a farsi monaca dal padre contro la sua volontà: entrata in convento esercitò l'autorità
feudale come contessa e fu chiamata la "Signora". Negli anni seguenti intrecciò una relazione
con Gian Paolo Osio (l'Egidio), dal quale ebbe due figli. Per tenere segreta la relazione l'Osio
si macchiò di tre nuovi delitti; una volta scoperti, egli fu condannato a morte, mentre
Marianna venne rinchiusa nella casa delle penitenti in Santa Valeria a Milano dove vi rimase
fino alla morte.

Una delle caratteristiche che accomuna maggiormente Gertrude a Pia De Tolomei è la ricerca
di un amore sincero causato dalla solitudine e dall’affetto negato da parte dei propri cari.
Già Aristotele nel IV secolo a.C. ha affermato la tendenza dell’essere umano alla socialità con
la frase "L'uomo è un'animale sociale". Siamo per natura portati a stare in contatto con l’altro,
che addirittura è parte essenziale del definirsi della nostra identità. Talmente essenziale che
privato di ciò, l'uomo cerca ovunque una fonte di conforto, un sostegno che possa soddisfare
questo bisogno naturale.
Ciò che ha maggiormente spinto sia Gertrude che Pia de Tolomei a ricercare un amore
all’esterno è stata l’assenza di ciò nella loro vita quotidiana; entrambe sono trattate con
disprezzo, odio e brutalità rispettivamente dal padre e dal marito. Tutte queste caratteristiche,
unite all’oppressione femminile del tempo, hanno spinto queste donne a ricercare altrove il
vero amore, che entrambe hanno ritrovato rispettivamente in Egidio e Ghisi (si può notare
come nella novella 12 Pia affermi di aver goduto più dell’amore in quella serata con Ghisi che
in tutta la propria vita affianco di suo marito).
La loro vita è priva di valore. Vengono trattate come animali domestici, tutte le loro pulsioni
vengono soppresse, non possono desiderare, aspirare, amare e per di più pensare. La ricerca di
qualcosa di profondo, di vero viene visto quasi come un capriccio; Gertrude nonostante cerchi
di far valere la sua posizione, viene ostracizzata, e alla fine soccombe. Pia è persino disposta a
morire per quello in cui crede, perché per la prima volta la scelta è sua.
Cosa in cui Gertrude diverge, poiché a causa dei continui soprusi subiti, ha paura di ciò che
dirà la gente, degli effetti che avrà sull'onore suo e della famiglia, quindi finisce per compiere
atti atroci per nascondere i suoi desideri.
Queste donne non sono inferiori, non fragili, ma semplicemente esseri umani, con una mente
colma di sogni, desideri. Gertrude e Pia rappresentano due facce della stessa medaglia, di
come l'oppressione della società patriarcale influisca sulla loro vita e su come affrontino e
compiano azioni col fine di acquistare la propria libertà.

PATRIARCATO
Il patriarcato indica un sistema socio-economico e di potere che favorisce gli uomini,
ponendoli in cima alla gerarchia sociale e mettendo nella posizione subordinata la
popolazione femminile.
Fin dall'origine dei tempi, la nostra società, si è sempre basata su un principio patriarcale che
pone il genere maschile in un grado superiore a quello femminile. Essere donna ha significato
sapere e credere nella disuguaglianza e perpetuarla nelle generazioni seguenti. Ha significato
non lottare contro gli ostacoli posti dal sistema patriarcale e rimanere in una posizione
subordinata. Questo concetto è stato particolarmente sentito nei secoli passati, dove non solo
la donna era come sempre esclusa da ogni tipologia di coinvolgimento nelle decisioni sociali,
ma perdeva anche ogni forma di controllo sulla propria vita. La donna medioevale è una

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donna priva del libero arbitrio; a prescindere dalla classe sociale, essa doveva soddisfare le
aspettative della società maschilista, di essere quasi una creatura mistica, perfetta; doveva "
essere vista, non sentita" e compiere il destino che le era stato designato, il quale era nel più
comune dei casi preimpostato prima ancora della nascita. La donna non aveva alcun potere
decisionale riguardante la propria vita, tutte le scelte erano affidate esclusivamente alla figura
paterna, il quale plasmava la sua vita affinché portasse onore e benefici economico-sociali alla
famiglia.
Questo concetto è riscontrabile anche a grandi distanze nella storia, possiamo ad esempio
prendere in paragone la vita della Monaca di Monza, che si trova in un periodo temporale
notevolmente differente, quasi 400 anni di differenza, eppure in modo analogo a Pia de
Tolomei e a tantissime donne nel corso della storia, è stata obbligata a compiere la “scelta”
che favorisse la famiglia, cioè entrare in convento. Allo stesso modo possiamo osservare
come Pia de Tolomei, nonostante di nobili origini come Gertrude, si trovi costretta in un
matrimonio di convenienza a soli diciannove anni con un uomo benestante molto più anziano,
il quale legame avrebbe portato a tanto prestigio.

Madame Bovary
Ad accomunare la figura di Pia de Tolomei a quella di Madame Bovary vi è innanzitutto il
tema dell’adulterio. Emma Bovary è un personaggio ricco, caratterizzato da un’interiorità
complessa e travagliata, desiderosa di una vita elegante ed alto-borghese. Tale cupida
speranza è enfatizzata dalle letture sentimentali e romantiche giovanili, rappresentanti una vita
fatta di danze, salotti, amori ardenti, ma irrealizzabile per la giovane, poiché vincolata al
marito Charles, umile medico di provincia, onesto e concreto, ma al contempo poco
intelligente e di scarsa ambizione. I suoi sogni romantici l'avevano convinta a sposare
Charles, le avevano fatto credere di aver trovato il vero amore; sogni che ben presto vengono
disillusi dalla grigia monotonia della vita che le spetta. Dipendenza economica dal marito,
assenza di identità sociale al di fuori del matrimonio, nessuna possibilità di indipendenza ed
emancipazione personale, ed una grande ambizione ad una vita per lei irrealizzabile: sono
questi gli elementi che determinano ed alimentano le proprie relazioni extraconiugali. A
muovere l’animo di Pia, nel cercare il desiderio passionale, è la costrizione aspra del marito
Nello; Madame Bovary, invece, è mossa dalla molesta insoddisfazione, dal rodente fastidio
per la propria condizione. Charles, a differenza di Nello, è un marito buono, sinceramente
innamorato di Emma, ma analogamente al coniuge di Pia, risulta essere la causa delle
insoddisfazioni della moglie. Quanto più Emma è insofferente della sua vita di provincia e
dello stesso marito, tanto più Charles risulta soddisfatto e ottusamente felice delle scelte che
ha compiuto, a partire dal suo matrimonio con lei. Con i suoi comportamenti, i suoi gusti, con
la sua grezza semplicità è l’esatto opposto di ciò che Emma si aspetta e desidera in un uomo.

Così la disillusione si accompagna prima ad una vita dissoluta, quindi alla ricerca della
passione e dei propri desideri in altri uomini. È il caso di Rodolphe e Leon, rispettivamente un
ricco dongiovanni incallito, affascinante, bello, con un lungo carnè di conquiste femminili, ed
un giovane studente con il quale Emma condivide gli ideali romantici. Analogamente alla
Novella di Pia, le relazioni sono caratterizzate da un forte desiderio carnale, e dalla messa in
atto di piani atti all'incontro tra gli amanti; tuttavia, a differenza della novella, la passione tra
Bovary e gli amanti è destinata ad affievolirsi, sino a scomparire. Rodolphe, ad esempio, nota
acutamente la debolezza di Emma, dà sazio alle pulsioni sentimentali e carnali della donna,
fino a farla sua schiava, e soprattutto, fino a che la relazione non lo annoi; poi, come tante
altre, la donna verrà dimenticata ed abbandonata. Rodolphe non considera Emma come

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un’amante, bensì come un mero oggetto, del quale approfittarsene sino a che non diventi
tedioso.

La meschinità dei due uomini porta loro a disinteressarsi progressivamente della giovane, così
che, quando Madame Bovary chiede a loro di aiutarla a risanare i propri debiti, derivanti dagli
acquisti costosi fatti per avvicinarsi quanto più poteva al mondo tanto ambito, essi rifiutano.

La morte della giovane caratterizza il finale di questa vicenda, come per la novella. Non si
tratta però di un omicidio, bensì di un suicidio: Emma, conscia ormai di non poter variare il
proprio destino, immersa nei debiti, si avvelena. Il marito non è quindi, come per la novella,
fautore attivo della morte della consorte, bensì causa implicita, assieme a tutti gli uomini che
la donna aveva intorno, gli amanti, il farmacista, l’usuraio, etc. Per giunta, Charles scopre solo
in seguito dell'adulterio della moglie, e sconvolto, ben presto muore, lasciando orfana la figlia
che i due avevano avuto.

Bisogna sottolineare come, a differenza di Pia, che ancora giovane viene costretta dalla
famiglia a sposare Nello, più che cinquantenne, per motivi prettamente politici (condizione
più che comune nel periodo storico), Emma si ritrova padrona del proprio destino, libera di
scegliere se accettare o meno la proposta di matrimonio di Charles. La scelta della giovane
deriva sicuramente dall’inesperienza, dalle turbolente emozioni e dai sogni che animavano il
suo animo, e dall’influenza del padre. Tuttavia la sua condizione sociale non le avrebbe
comunque garantito la vita tanto sognata, caratterizzata dal lusso e dall’eleganza.

Gaetano Donizetti, Pia de Tolomei

PERSONAGGI PRINCIPALI
NELLO della Pietra
PIA moglie di Nello
RODRIGO de’ Tolomei, fratello di Pia
GHINO degli Armieri, cugino di Nello
UBALDO, familiare di Nello

PARTE PRIMA

Dopo esser stato rifiutato da Pia, moglie del ghibellino Nello, Ghino, cugino del marito,
pianifica vendetta. Nel mentre Ubaldo, suo servitore, intercetta una lettera, indirizzata a Pia,
in cui un presunto e misterioso amante la invitava a ritrovarsi, e avvisa di ciò il suo padrone.
Ghino e Nello, quindi, si appostano, nascosti, nel luogo dell’incontro. L’uomo si rivela essere
Rodrigo, il fratello guelfo di Pia, che è riuscito a fuggire dalle carceri di Nello grazie all’aiuto
della sorella. I due cugini irrompono, ma Rodrigo riesce a fuggire mentre Pia, ritenuta
colpevole di adulterio, viene imprigionata.

PARTE SECONDA

A Pia viene promessa da Ghino la libertà in cambio del suo amore; risoluta tuttavia non cede
e rivela lui l’identità di Rodrigo. Ghino, colpito dalla virtù della donna, prossimo alla morte a

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causa di una ferita riportata in una battaglia tra guelfi e ghibellini, confessa la verità a Nello, il
quale aveva tuttavia già ordinato ad Ubaldo di avvelenare l’adultera. Il marito si precipita
dalla moglie per impedire l’uccisione, ma Pia è già stata avvelenata e muore riappacificando
tutti e perdonando il marito.

ANALISI

Tra la visione dei personaggi maschili e quella di Pia si apre un ampio e simbolico contrasto
che percorre tutta l’opera di Donizetti: affetti soavi e teneri per la protagonista, violenza
passionale e malvagità per gli altri. I due poli opposti si rivelano, così, estremamente
incompatibili e ogni tentativo di incontro e di convergenza viene sempre represso dagli eventi.
Tutta l’opera è percorsa da limpide simmetrie all’interno di una solida struttura
drammaturgica, che conferisce forti significati espressivi alle forme musicali convenzionali.
Ghino esprime la sua passione per Pia secondo le corde del tipico tenore romantico ma che si
trasforma, in seguito al rifiuto della donna, in una furente esplosione che sale all’acuto e
culmina in un’impetuosa cabaletta. Quando egli svela a Nello il presunto tradimento della
moglie, l’andatura della declamazione viene arricchita da una cellula ritmica ostinata, che
incita allo scambio di battute. L’invettiva di Nello prorompe, così, con violenza, per poi
ripiegare sull’immagine malinconica di Pia (“Parea celeste spirito”); ma Ghino convince
Nello della necessità di punire Pia per il torto che gli ha causato. La svolta tragica del destino
di Pia rimane in sospeso mentre Donizetti ritrae con efficaci dettagli espressivi il chiaro
mutare degli umori di Nello, che fatica a credere all’adulterio. Quando Nello infine si decide,
un motivo sinistro cresce a tutta forza e il marito supera i dubbi accumulati fino a quel
momento chiudendo la scena con una impetuosa e decisa cabaletta assieme a Ghino (“Del ciel
che non punisce”). Al castello in Maremma le suppliche della donna inducono Ghino al
pentimento, che aderisce musicalmente all’intonazione elegiaca del canto di Pia e, mentre sta
per morire nella battaglia, egli implora perdono al cugino Nello con una lenta declamazione
singhiozzante, soffocata nel silenzio. Nello, vittima della sua cieca gelosia, quando conosce la
verità oscilla tra violenta rabbia e moti d’affetto in una cabaletta tesa e sovraeccitata (“Dio
pietoso”). L’afflizione inconsolabile di Pia nei suoi ultimi momenti di vita si manifesta in
recitativi affannati e inquieti tra pause, sospensioni e tremolii che spezzano il fraseggio e
sottolineano la sua intima sofferenza, ma le fioriture del suo belcanto rimangono sempre
estremamente eleganti, morbide, senza accenti di forza, come purificate. Nella scena finale di
morte, Pia declama dolorosamente, tra sofferti e lancinanti acuti e amplissimi salti, mentre
una struggente melodia viene affidata all’orchestra. L’eremita Piero apre una parentesi
spirituale sulla vicenda, convincendo alla pietà Nello. Al contrario Ubaldo è una sorta di
infido parassita; è lui che istiga Ghino alla calunnia, provocando il precipitare degli eventi.
Nella sua parte il baritono malvagio ha una realizzazione esemplare.

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