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LA DUCHESSA DI AMALFI

La Duchessa di Amalfi (titolo originale inglese: The Tragedy of the Dutchesse of Malfy) è
una tragedia del drammaturgo inglese John Webster (1580 circa – 1634 circa), rappresentata
nel 1614 nel Blackfriars Theatre e pubblicata nel 1623.

La tragedia prende spunto da un fatto storico accaduto ad Amalfi ai primi del XVI
secolo riguardante Giovanna d'Aragona, figlia dello sfortunato Enrico d'Aragona a sua volta figlio naturale
del re di Napoli Ferrante I. Giovanna nel 1497 aveva sposato il duca d'Amalfidon Alfonso Todeschini
Piccolomini, di cui rimase però vedova poco dopo il matrimonio. L'aiuto nell'amministrazione dei suoi beni,
prestatole dal maggiordomo di corte, il patrizio napoletano Antonio Beccadelli di Bologna, si trasformò in
un legame affettivo: i due si sposarono clandestinamente ed ebbero due figli. La notizia del matrimonio
venne tuttavia conosciuta dal fratello di Giovanna, il cardinale Luigi d'Aragona, il quale, disapprovando il
legame per motivi di rango sociale, si ritiene abbia fatto uccidere la sorella, i suoi tre figli, e lo sposo
morganatico che era riuscito a espatriare nel Ducato di Milano. Nel 1510, al momento dei tragici eventi,
l'unico fratello vivente di Giovanna era il cardinale Luigi: l'altro fratello Carlo, marchese di Gerace, nato
dopo la morte del padre, era deceduto nel 1501.
La vicenda della sventurata duchessa d'Amalfi era stata narrata da Matteo Bandello (Novelle, Novella
XXVI, Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati). Webster l'aveva
tuttavia conosciuta attraverso Il Palazzo del piacere(titolo originale The Palace of Pleasure), di William
Painter.

Trama

L'azione si svolge nei primi anni dei XVI secolo ad Amalfi, Roma e Milano.
Ferdinando, duca di Calabria, e il fratello cardinale non vogliono che la loro sorella duchessa d'Amalfi,
vedova, passi a nuove nozze perché — come sarà spiegato alla fine — sono gli unici eredi delle sue
ricchezze; inoltre il duca nutre per la sorella una morbosa gelosia. La sorella, tuttavia, ama Antonio, il
maggiordomo di corte, e lo sposa in segreto.
I fratelli, che vivono a Roma, apprendono la notizia del matrimonio della duchessa e della nascita di un
erede, da Daniele Bosola, sovrintendente ad Amalfi alle scuderie della duchessa e spia di Ferdinando. Irato,
il duca dapprima vorrebbe far uccidere la sorella, poi decide di rimandare il delitto per conoscere il nome
del marito: si reca ad Amalfi, insulta la sorella e le dona un pugnale perché si uccida. La duchessa decide di
fuggire col marito ad Ancona. Si era confidata tuttavia ingenuamente con la spia Bosola, rivelandogli che
Antonio è suo marito; grazie alla delazione di Bosola la duchessa e il marito sono raggiunti a Loreto, e
mentre Antonio riesce a mettersi in salvo dirigendosi verso Milano, la duchessa viene catturata, per ordine
dei fratelli, e rinchiusa in una cella del castello dove Bosola la strangola.
Dopo il delitto, il duca impazzisce. Bosola, incaricato dal cardinale di uccidere Antonio, si reca a Milano;
tormentato dal rimorso, per riabilitarsi decide di salvare la vita ad Antonio, ma per un errore uccide proprio
colui che voleva salvare. Disperato e furioso Bosola allora uccide il cardinale; viene a sua volta pugnalato dal
duca, che tuttavia riesce a uccidere prima di morire egli stesso per le ferite.
TRAMA

ATTO I Scena I: la scena è ambientata in una sala del palazzo della Duchessa ad Amalfi. Antonio Bologna,
tornato in Italia dopo un soggiorno presso la corte francese, viene accolto dall'amico Delio, al quale
descrive, in termini quanto mai positivi, le sagge strategie del re di Francia per mantenere in ordine e in
armonia il proprio regno. Entra Bosola, sospettato di aver commesso un omicidio per conto del Cardinale,
che esprime un'amara riflessione nei confronti del Cardinale e del fratello (tema della CORRUZIONE) e poi
esce. Dai discorsi di Antonio si intuisce che egli abbia una bassa opinione del Cardinale e del fratello
Ferdinando, il Duca di Calabria, ma che altrettanto animatamente ammiri la sorella di questi: la duchessa di
Amalfi. La corruttibilità e la malignità dei due fratelli appare quando essi complottano con Bosola per far
spiare la sorella: essi infatti temono che la donna, essendo una giovane e bella vedova, voglia risposarsi. A
conferma di ciò fanno anche un discorso alla sorella, mostrandole come sarebbe assolutamente
sconveniente un ulteriore matrimonio. La donna acconsente davanti a loro, ma appena usciti confida alla
fidata Cariola ("..affido al tuo noto riserbo più che la vita - la fama.") di aspettare la visita di Antonio, e le
chiede di ascolare il colloquio nascosta dietro un arazzo. Arrivato l'uomo, la duchessa usa uno scaltro
stratagemma per farsi prendere in sposa: gli offre il suo anello nuziale con la trasparente finzione di voler
curare il suo occhio arrossato (all'epoca certi metalli preziosi e le gemme erano ritenute capaci di influire
benignamente sulla salute).------> la duchessa rompe definitivamente gli indugi e adotta un registro
linguistico meno formale, quasi incalzante. con ciò, la nobile duchessa si offre schiettamente in sposa al
giovane ("O infelici noi nati grandi dobbiamo offrire amore a chi offrirlo non osa..." v.441-2) che accetta,
poichè era già da tempo innamorato segretamente della dama. Viene fatta uscire Cariola, che fa da
testimone alle promesse di matrimonio che i due si scambiano ( e che pertanto hanno valore ufficiale).

ATTO II: Scena I: Bosola, tenendo d'occhio la duchessa, nota alcuni segnali tipici delle donne in gravidanza
(nausee, occhiaie, fianchi più rotondi..). Decide allora di usare uno stratagemma per scoprire se i suoi
sospetti sono effettivamente fondati e dona alla dama delle albicocche (se gustate avidamente le
albicocche erano considerate un segno di gravidanza nelle donne) che ella mangia voracemente (neppure
l'insinuazione che potessero essere sporche di sterco di cavallo la ferma). La scena viene vista da Antonio,
che intuisce anch'egli la gravidanza. Decide di tenere segreta la cosa incolpando le albicocche e inventando
una fantomatica intossicazione alimentare per tenere tutti lontano durante il parto. ---> la prima entrata in
scena dopo il suo matrimonio rivela che una profonda metamorfosi è avvenuta in lei: non osserva più la
moda italiana del corpetto avvitato, indossa ampie vesti, e della sua bellezza non è rimasto molto. Scena II:
Il giorno del parto Antonio e Delio organizzano un gran trambusto per distrarre i funzionari: raccontano che
una spia svizzera è stata vista aggirarsi nel quartiere della duchessa per rubare dell'argenteria. La duchessa,
ancora dolorante è stata così chiusa nelle sue stanze per la sua incolumità . La storia risulta così
convincente che anche Bosola teme che le sue albicocche potessero essere avvelenate. Usciti tutti entra
Cariola che annuncia ad Antonio che la duchessa ha partorito un maschietto. Scena III: Bosola ha però
sentito le urla del travaglio della duchessa e intuisce la messinscena. Si imbatte in Antonio, che stava
interrogando gli astri per conoscere la fortuna del neonato. Messo alle strette dalle velate insinuazioni di
Bosola, Antonio lo accusa di aver avvelenato la duchessa, e gli intima di non avvicinarsi alle sue stanze.
Uscendo dalla stanza però perde il foglio con l'oroscopo del bambino (che preannuncia morte violenta), che
viene prontamente raccolto da Bosola. I sospetti che trovano conferma e la scoperta dell'idientità del padre
riempiono di esaltazione l'uomo, che decide di informarne il prima possibile Ferdinando e il Cardinale.
Scena IV: Il Cardinale si trova a casa del cortigiano Castruccio, dove si sta "intrattenendo" con la moglie di
questi. Vengono interrotti dall'annuncio dell'arrivo di Delio, antico pretendente ancora infatuato della
dama, che porta notizie del marito. Il Cardinale si ritira, mentre Delio tenta di corteggiare Julia. Nel mentre
però arriva un'altra notizia:Castruccio è stato mandato a consegnare una lettera al Duca di Calabria, e pare
che questa lo abbia fatto infuriare. Delio sospetta che il segreto di Antonio sia stato rivelato. Scena V:
Ferdinando e il Cardinale, grazie alla lettera di Bosola, vengono a sapere dell'imminente nascita (ma non
viene detto il nome del padre). Ferdinando è furioso, quasi folle dall'ira, mentre il Cardinale, sebbene
arrabbiato, mantiene contegno, e si mostra spaventato dalla reazione violenta del fratello.
ATTO III: Scena I: Dopo tre anni si ritrovano Delio e Antonio, in occasione della visita di Ferdinando alla
sorella, e dai discorsi si scopre che la duchessa ha avuto (sempre in segreto) altri due figli (un maschio e una
femmina). Nel suo colloquio con il fratello, la duchessa accenna alle dicerie che circolano sul suo conto, e il
fratello, segretamente furioso, le afferma che se anche fossero vere la perdonerebbe. La duchessa viene
così tranquillizzata, mentre Ferdinando nella sua testa brama solo di darle un'adeguata punizione. In un
colloquio privato con Bosola viene inoltre a sapere anche della nascita di altri due figli bastardi, ma non gli
viene ancora rivelato il nome del padre. Si rallegra però della fedeltà e della schiettezza di Bosola, che non
cerca di adularlo con le lusinghe. Prima di congedarsi il servo gli consegna le chiavi delle stanze della
duchessa, per coglierla nel peccato. Scena II: Antonio supplica la duchessa di poter dormire con lei, ma lei
affettuosamente rifiuta. Al colloquio partecipa anche Cariola, che afferma di non volersi mai sposare, e
iniziano insieme a dibattere degli svantaggi nel rimanere zitelle. Mentre la duchessa si pettina, continuando
a parlare loro, Antonio e Cariola, per farle uno scherzo, escono dalla stanza silenziosamente lasciandola a
conversare da sola. Mentre ella continua a parlare e avvisa Antonio di stare lontano durante la permanenza
dei fratelli, entra Ferdinando che sente tutto. Voltandosi e vedendo il fratello furioso la duchessa rimane
calma e agisce con dignità: "Ben venga; sappi che, debba vivere o morire, so farlo da sovrana." (3,2,v.68-
71). Ferdinando aggredisce verbalmente la sorella, che gli rivela di essere sposata. Il fratello s'infuria
ulteriormente, e la avverte di fare in modo che il nome del marito non gli arrivi alle orecchie, perchè è suo
desiderio ucciderlo "Per non tradirlo mozzati la lingua, se l'ami". La duchessa cerca di calmarlo ribadendo
che la propria reputazione è stata preservata (essendo legalmente sposata), ma il fratello con una breve
"morality play" le ribadisce che la reputazione una volta persa è persa per sempre. Uscendo dalla stanza,
lascia alla duchessa un pugnale, a mo' di consiglio. Rientra Antonio, che dietro la porta aveva ascoltato
tutto, e accusa subito Cariola con una pistola, perchè crede che da custode del segreto li abbia tradito. La
fanciulla giura la sua innocenza, e in quel mentre vengono interrotti da Bosola che bussa alla porte. Antonio
si nasconde, mentre la duchessa con astuzia rigira le domande di Bosola sulla furia del conte, inventando
una menzogna (Bosola infatti afferma che il conte la avesse definita "rovinata" undone, lei afferma di
essere in effetti "rovinata" finanziariamente per dei debiti scaduti per colpa di Antonio), chiedendogli anzi
di chiamare i funzionari. Mentre il servo, suo malgrado, va a chiamare i funzionari, la duchessa suggerisce
ad Antonio di scappare ad Ancona, dove lei gli avrebbe poi spedito soldi e beni. Una volta giunti i funzionari
poi, recitano la " magnanima menzogna" ( la bugia a fin di bene) della duchessa furiosa che caccia via
l'amministratore incapace. Finge poi di chiedere il consiglio dei suoi funzionari e di Bosola sul da farsi.
Mentre i primi spargono ogni malignità, il secondo si mostra invece molto solidale e gentile verso Antonio,
tanto che la duchessa si spinge a rivelargli il suo segreto matrimonio e il piano di fuga dell'uomo
(incaricandolo di raggiungelo ad Ancona per portargli soldi e gioielli), chiedendogli discrezione. Bosola,
mellifluo, si congratula e le suggerisce di andare in pellegrinaggio a Loreto (città che guardacaso è sotto la
giurisdizione dei fratelli Aragonesi), che dista poca distanza da Ancona. Uscita la duchessa Bosola si rallegra
per la fotuna di essere preso come confidente da lei, e decide di metterne subito a conoscenza Ferdinando.
Scena III: Bosola raggiunge a Roma Ferdinando e il Cardinale, che ha appena ricevuto un'onorificenza
militare (e si accinge perciò a svestire l'abito religioso). I due fratelli hanno reazioni diverse alla notizia: il
duca ride, l'altro arriccia il naso "come un lurido delfino prima della bufera". Stabiliscono di chiedere subito
alla città di Ancona di bandirli, e di avvertire il loro nipote. Scena IV: A Loreto si svolge la cerimonia
dell'investitura a soldato del Cardinale. Antonio, la duchessa e i loro figli, che si sono presentati al santuario,
vengono banditi con un bando reso in forma di pantomima dal cardinale e dalla città di Ancona). Tutto ciò
viene osservato dagli occhi di due pellegrini presenti alla cerimonia, mantre un'annotazione dell'autore
dichiara che questi versi non sono suoi (probabilmente i versi furono aggiunti dagli attori dell Compagnia
del Re per enfatizzare la scena) (boh!!! NDL). Scena V: La duchessa e Antonio sono sconvolti per essere stati
banditi da Ancona, e si rendono conto di essere stati abbandonati quasi da tutti. La duchessa racconta di
aver fatto un sogno in cui i diamanti della sua corona si tramutano in perle ( simbolo di lacrime). Entra
Bosola con una lettera in cui Ferdinando le chiede di mandargli Antonio a Napoli perchè necessita "della
sua testa per un affare". Ovviamente la richiesta è una velata minaccia, e la duchessa, temendo un agguato,
lo scongiura di fuggire a Milano con il loro primogenito. Il saluto tra i due amanti è struggente, così come
l'addio della madre al suo figlio maggiore. Appena usciti, la duchessa e Cariola vedono avvicinarsi un
drappello di soldati mascherati guidati da Bosola. A quella vista la duchessa capisce di essere stata tradita e
ingannata ("Fossi un uomo ti schiaccerei questa maschera sull'altra" duchessa v.117-8). Agli scherni che
Bosola rivolge alle umili origini di suo marito, la fiera duchessa risponde con una parabola (un salmone
viene rimproverato da uno squalo per aver osato nuotargli accanto. Il salmone gli risponde che quando un
giorno verranno pescati, il loro valore sarà invertito, e il salmone sarà considerato più pregiato e di maggior
valore rispetto allo squalo).

ATTO IV Scena I: Ad Amalfi la duchessa viene tenuta segregata nelle prigioni, ma nonostante ciò la sua
dignità e la sua fierezza rimangono inalterate. Ferdinando, che ha giurato di non guardarla mai più in faccia,
manda a chiederle un colloquio di riconciliazione al buio, con i lumi spenti. I due si chiedono scusa e si
perdonano a vicenda, ma quando Ferdinando le porge la mano con l'anello da baciare, essa è fredda, come
quella di un morto. Alla luce si rende conto che la mano che le era stata data non era quella del fratello, ma
quella del cadavere di Antonio, accanto a quelli dei figli (in realtà si tratta di una statua di cera, ma la
duchessa non se ne accorge). La duchessa, rimasta sola con Bosola, mantiene la sua fierezza, e annuncia
che si lascerà morir di fame. L'uomo arriva a provare pena per la donna, ma lei gli intima di non sprecare la
sua compassione "..su un'infelice che non ne ha per sè.". La duchessa conclude lanciando maledizioni di
morte e devastazione ("It is some mercy, when men kill with speed" v.110). Ferdinando intanto si mostra
fiero del macabro scherzo fatto alla sorella, e decide di continuare fino a farla impazzire. Bosola lo
raggiunge chiedendogli di non esagerare, di trattarla come una qualunque adultera, ma di non giocare con
la sua salute mentale, ma Ferdinando non vuole fermarsi prima di aver compiuto la sua vendetta. Scena II:
Ferdinando manda un cumulo di pazzi direttamente dal manicomio a cantare e ballare sotto le finestre
della sorella, ma essa al contrario lo trova benefico, perchè il silenzio di quella prigione la portano quasi alla
pazzia.; accetta addirittura di farli entrare nelle proprie stanze. Dopo di essi entra Bosola, travestito da
vecchio, che dice alla duchessa di essere venuto per farle la tomba. Inizialmente lei è turbata ("Io sono
sempre la duchessa di Amalfi!"), poi sta al gioco e chiede con curiosità i particolari del suo lugubre lavoro.
Anche l'ingresso dei boia non turba la spavalda duchessa, che con indifferenza da l'addio alla fedele Cariola,
ricordandole di dare ogni sera lo sciroppo per la tosse al figlio più piccolo. Viene fatta uscire l'ancella per
procedere all'uccisione della nobile dama, e ancora essa non mostra nessuna paura, anzi, la anela "Dite ai
miei fratelli che, ormai desta, accetto la morte come il loro miglior dono." (v.222-4). Dopo averla
strangolata i boia vengono mandati a uccidere anche Cariola (che al contrario della fiera duchessa tenta con
ogni scusa di evitare la morte) e i bambini. Terminato il suo compito Bosola mostra i cadaveri a Ferdinando,
che si mostra turbato nel vedere il corpo della sorella ("Coprile il viso; m'abbaglia; è morta giovane (...) Lei e
io eravamo gemelli: se morissi ora, sarei vissuto giusto quanto lei" v.262ss) e, mosso dal rimorso,
rimprovera a Bosola di non essersi impietosito e non averla salvata ("Ti odio: per amor mio hai fatto bene il
male."). Bosola ribatte seccamente chiedendo la ricompensa che gli spetta, ma il massimo premio che
Ferdinando gli concede è di condonargli questo assassinio e se ne va. Il servitore rimane solo col suo
rimorso; la duchessa per un attimo si rianima chiamando Antonio, e poi spira definitivamente. Bosola
esaudisce l'ultimo desiderio della dama (aveva chiesto di affidare il suo corpo alle sue donne di fiducia) e si
prepara ad andare a Milano, dove si nasconde Antonio.

ATTO V Scena I: Antonio a Milano pensa a come poter fare pace con i fratelli aragonesi, ma Delio lo mette
in guardia al proposito. Tenta però di convincere il marchese Pescara, suo amico, a concedergli i territori
dell'amico, ma questi vengono concessi a Julia, grazie alla raccomandazione del Cardinale. Il marchese si
scusa dicendo che quelle terre, frutto di un'ingiustizia, vanno bene giusto per una sgualdrina, "Impara, caro
Delio, a chieder cose nobili, e mi avrai nobile donatore" (v.52-54). Antonio decide di tentare il tutto per
tutto entrando di nascosto negli appartamenti di Ferdinando (che si trova lì a Milano), per potergli parlare
in privato e provare a muoverlo a compassione. Se poi il suo piano non dovesse funzionare "...meglio
cadere, che stare in sospeso" Scena II: negli appartamenti di Ferdinando intanto un "Doctor" gli diagnostica
un problema di licantopia ("Chi ne soffre trabocca tanto di umori biliosi che s'immagina trasformato in lupo,
e nel cuore della notte al cimitero va a tirar fuori i morti; l'altra notte hanno incontrato il duca in un
sentiero dietro la chiesa di sanMarco, all'ora di mezzanotte: aveva su una spalla la gamba di un cadavere, e
ululava; era un lupo, diceva, con la sola differenza che il lupo ha il pelo fuori, e lui dentro..." v.8-19).
Ferdinando continua a sentirsi perseguitato da un'ombra, che i suoi cortigiani non riescono a capire ( non
conoscendo gli avvenimenti riguardanti la duchessa); inoltre da sempre più segni di pazzia e di squilibrio. il
Dottore decide di assecondarlo comportandosi anche lui da matto, sperando di spaventarlo e riportarlo così
alla normalità. In mezzo a questa follia generale, il Cardinale decide di inventarsi una storia che giustifichi il
crollo mentale del fratello, per evitare che le crudeltà verso la sorella diventino note. Racconta di un
fantomatico spettro che apparirebbe tradizionalmente ai membri della sua famiglia in punto di morte, e
che pertanto questa follia è segno che anche Ferdinando è sul punto di morire. Rimasto poi solo con
Bosola, il Cardinale finge di non essere a conoscenza della morte della sorella, e dai suoi pensieri si scopre
che proprio lui aveva in realtà suggerito l'omicidio a Ferdinando, rimanendo però nell'ombra, in modo che
sembrasse solo opera del fratello. Chiede a Bosola di lavorare per lui, e come primo compito gli ordina di
scovare dove si nasconda Antonio, pedinando Delio, che sa essere suo fedele amico. Rimasto solo, il
servitore medita sull'atteggiamento del Cardinale, non credendo alla sua estraneità nell'omicidio della
duchessa ("costui negli occhi alleva basilischi, non è fatto che d'assassinio" v.145-6). I pensieri di Bosola
però vengono interrotti dall'improvviso arrivo di Julia armata di una pistola, convinta che lui le abbia fatto
mettere un filtro d'amore nel vino, per farla innamorare di lui. La sfrontata fanciulla gli rivela così di essere
attratta da lui, e lui decide di servirsi di lei, e le chiede come favore di scoprire che cosa turba il Cardinale.
Ella accetta l'incarico, sperando in questo modo di dimostrare il suo amore. Raggiunge così il Cardinale e
inizia a spingerlo affettuosamente a rivelargli cosa lo turba, fingendo di voler alleviare le sue pene. Egli
inizialmente si rifiuta di parlare, ma le lusinghe e i giuramenti di fedeltà della donna lo portano infine a
rivelargli di aver ordinato l'omicidio della duchessa di Amalfi. Le impone però di giurare di mantenere il
segreto baciando una Bibbia; il libro in questione era però avvelenato, e in questo modo il Cardinale viole
assicurare il silenzio della donna per sempre. Bosola però era rimasto in ascolto, ed irrompe nella stanza.
Morta la fanciulla, i due si accordano per l'omicidio di Antonio e l'occultamento del cadavere della donna.
Scena III: Delio e Antonio si accingono a penetrare negli appartamenti del duca, con sè hanno portato
anche il figlio primogenito, per commuovere maggiormente Ferdinando. I loro discorsi vengono interrotti
da un eco che ricorda la voce della duchessa, e che, ripetendo le ultime parole delle loro frasi, sembra
supplicarli di non entrare. Antonio però decide di non dare retta all'eco, certo che la moglie sia a casa al
sicuro. Scena IV: Il Cardinale annuncia ai cortigiani di Ferdinando che questa nessuno dovrà badare al duca,
poichè la sua malattia è molto migliorata, ed è sua espressa richiesta di rimanere solo. Neppure se
dovessero sentire urla o lamenti devono intervenire, e Neppure se fosse il cardinale stesso a chiedere aiuto,
perchè sarebbe solo per metterli alla prova. In realtà il piano del Cardinale è quello di trasferire nottetempo
il cadavere di Julia negli appartamenti del fratello. Il compito di ciò è affidato a Bosola, che una volta svolto
il compito sarà fatto uccidere. Mentre il Cardinale parla fra sè e sè, viene udito proprio da Bosola, che
capisce di non potersi fidare di lui. Intanto Antonio si intrufola nelle camere di Ferdinando, sperando di
trovarlo immerso nella preghiera, più incline al perdono. ----> richiamo a HAMLET (atto III, scena III). Il
desiderio di trovare Ferdinando assorto in preghiera alimenta la speranza di Antonio di un perdono
cristiano, piuttosto che in una vendetta. Bosola avverte la sua presenza, e scambiandolo per il Cardinale, lo
pugnala a morte. Appena si rende conto di avere colpito proprio Antonio ("l'uomo che più della mia stessa
vita avrei voluto salvare!" v.52-3), viene preso dal rimorso, e confessa all'uomo morente che sua moglie e i
suoi figli sono stati uccisi. Antonio capisce così di non aver più nulla per cui vivere, e non chiede neppure a
Bosola chi sia l'assassino della sua famiglia. Come unico favore chiede di salutare per lui Delio, e di far
fuggire suo figlio. Morto l'uomo, Bosola ordina al servo che lo accompagnava di trasportare il corpo nelle
abitazioni di Julia. Scena V: Portando il cadavere di Antonio, Bosola e il servo si imbattono nel cardinale.
Bosola gli annuncia di volerlo uccidere, e che lo lascerà scappare al massimo fino agli appartamenti di Julia.
Il Cardinale cerca di corromperlo e di gridare aiuto. I cortigiani di Ferdinando sentendo le urla, pensano che
stia solo cercando di metterli alla prova, ma Pescara decide comunque di andare a vedere cosa succede; gli
altri lo seguono per deriderlo. Intanto Bosola ha ucciso il servo (per evitare che faccia entrare aiuti) e inizia
a pugnalare il Cardinale. In quel momento entra nella stanza Ferdinando, che in preda alla follia colpisce il
fratello. Nella mischia sferra inoltre a Bosola una ferita mortale, e viene ucciso dallo stesso. Nei suoi ultimi
attimi il duca sembra riaquistare lucidità, e capisce che la causa delle sue visioni è la sorella ("Mia sorella! O,
mia sorella! Ecco la causa: come la propria polvere il diamante incide, ambizione, o lusssuria, o sangue, noi
uccide." v.70-73) ----> il verso inglese "Whether we fall by ambition, blood, or lust, / like diamonds, we are
cut with our own dust" gioca sull'assonanza tra lust (brama, lussuria) e dust (polvere), sottolineando come
Ferdinando sia così devastato dal desiderio incestuoso per la sorella, da incorporarla anche nello
slittamento dall'"io" al "noi". Quando i cortigiani entrano nella stanza Bosola spiega loro la tragedia
"Vendetta, per la duchessa d'Amalfi, assassinata dai due Aragonesi; Antonio, ucciso da questa mano; e
Julia, avvelenata da costui; per me infine, che mio malgrado ho preso parte a tutto, per ritrovarmi infine
disprezzato" (v.81-87). Il cardinale muore dopo pochi istanti, seguito da Bosola. Entrano infine Delio, con
Federico, il figlio di Antonio, e insieme ai cortigiani decide di usare questa rovina per fare del bene,
rivendicando i diritti della duchessa di Amalfi per il figlio. Con questo monologo, che conclude l'opera, Delio
da la morale della tragedia: "L'integrità di vita è amica della fama, che nobilmente i meriti dopo la morte
proclama".

PERSONAGGI:

la DUCHESSA DI AMALFI: giovane vedova, in seguito moglie di Antonio. E' la sorella del Cardinale e gemella
di Ferdinando. Viene descritta come una donna fiera e poco incline alla sottomissione. "un contegno così
nobile da rendere maestosa la sventura."(4,1,v.56). Anche in punto di morte la Duchessa si impone come
personaggio intensamente fiero ("Io sono sempre duchessa di Amalfi" dirà infatti a Bosola), pronta ad
affrontare la morte che la attende e rivolta solo a proteggere la vita dei bambini nati dal suo osteggiato
matrimonio. In un momento di tragicità assoluta, di fronte ai sicari del fratello che stanno per strangolarla,
e non dimentica dell'intenso amore materno che la connota, pregherà infatti la fedele governante Cariola di
non scordare di dare un po' di sciroppo per il raffreddore al figlio più piccolo e di far dire le preghiere alla
bimba prima del sonno. Per sè, solo il desiderio che il suo corpo, finalmente libero nella morte, sia affidato
unicamente a mani pietose di donna. Non viene mai chiamata per nome (Giovanna D'Aragona), ma con
quello del ruolo che ricopre. ----> corpo politico

FERDINANDO d'ARAGONA: Duca di Calabria e fratello gemello della Duchessa. "Che indole perversa e
turbolenta! Se appare allegro, è soltanto apparenza. Se poi ride di cuore, è per deridere ogni onestà.(...)
Parla con lingue d'altri, e ascolta suppliche con orecchi altrui; finge sonno alle assise per far cadere in fallo
gli imputati; condanna a morte in base a delazioni, e premia per sentito dire." (1,1,v.169- 176) Nell'opera
egli riveste (molto più del Cardinale) il ruolo del villain perverso e malvagio che articolerà (spinto da un
forte desiderio incestuoso)le prescrizioni di una Legge repressiva e patriarcale fin dall'inizio del dramma.

DANIEL DE BOSOLA: viene descritto come "unico malcontento a corte - ma non credo che inveisca solo per
amore di virtù; lui inveisce contro ciò che desidera, e sarebbe avido, lascivo o superbo, invidioso o crudele
quanto ogni altro, se ne avesse i mezzi ."(1,1,v.23-28) Ha passato due anni in prigione dopo aver servito il
Cardinale, diventerà in seguito Sovrintendente delle Scuderie della Duchessa, al servizio di Ferdinando. Nel
dramma riveste una molteplicità di ruoli ampiamente funzionali alla dinamica dell'azione: sovrintendente
alle scuderie, spia, informatore, becchino, sicario... Ma Bosola (come Iago e Flaminio prima di lui) è
sopratutto l'incarnazione del malcontento, una figura contradditoria molto nota nel teatro dell'epoca, in cui
si concentrano la simulazione, la malvagità, l'emarginazione, il fascino (ma contemporaneamente l'orrore)
per la corruzione, uniti ad un desiderio spasmodico i elevazione a ruoli superiori a quelli ricevuti per nascita.
In Bosola appare un cambiamento quando, dopo lo strangolamento da parte del boia, la duchessa sembra
per un attimo rianimarsi E' un passo di grande intensità emotiva, che segna il cambiamento
comportamentale e linguistico del "malcontento". Il suo procedimento discorsivo infatti che era stato
sprezzante e insolente verso Ferdinando, sconvolto per la morte della sorella, diventa più affettivo ed
emozionato nei confronti della duchessa.

IL CARDINALE: fratello di Ferdinando e della Duchessa. " La sua fronte è una fronte in cui nascono solo
rospi: se qualcuno lo muove a gelosia, gli tende tranelli peggiori di quelli che furono imposti a Ercole:
perchè gli mette sulla strada adulatori, ruffiani, spioni, atei, e mille altri machiavellici di quello stampo.
Avrebbe dovuto diventare Papa: ma invece di arrivarci nella maniera decorosa della Chiesa primitiva, ha
corrotto col denaro tanta gente e con tale impudenza che sembrava volesse arrivarci all'insaputa del cielo."
(1,1,v.158-167). "Quel cardinale con le sue prevaricazioni ha causato più facce storte di quante ne ha
dipinte belle Michelangelo...." (3,3, v.51-2)
ANTONIO BOLOGNA: maestro di palazzo della Duchessa; in seguito diventerà suo marito, nonostante il
diverso ceto sociale.

JULIA: amante del Cardinale e moglie del cortigiano Castruccio. S'incapriccia di Bosola, che la usa per
scoprire i segreti del Cardinale, che per questo la ucciderà con una Bibbia avvelenata.

CARIOLA: cameriera e governante della Duchessa e dei suoi figli. Resterà accanto alla sua padrona fino alla
morte, ma al contrario di lei non accetterà la morte dignitosamente e con fierezza, ma anzi tenta in ogni
modo di sottrarsi ai sicari: essa dichiara , infatti, in successione, di volere un processo, di essere promessa a
un gentiluomo, di avere un segreto da rivelare al duca riguardante una congiura contro di lui, di essere
incinta. Ovviamente senza risultato: infatti sia Cariola che i bambini subiranno la stessa morte della
duchessa per strangolamento.

DELIO: amico di Antonio e cortigiano del Duca

RIFERIMENTI CULTURALI E LETTERARI: - moltissimi riferimenti alla mitologia greca - " I account this world a
tedious theatre, For I do play a part in 't 'gainst my will."(4,1,v.83-4) nelle parole pronunciate dalla duchessa
riecheggiano i versi di Thomas Heywood nella dedicatoria "An Apology for Actors"del 1612, in cui si
condensa la visione elisabettiana del mondo come un teatro dove ognuno è costretto suo malgrado a
recitare una parte , compresi i re, quando fanno il loro ingresso con il seguito.

TEMI AFFRONTATI:

CORRUZIONE PAZZIA: viene causata in ferdinando dal rimorso per aver (indirettamente) ucciso la sorella.
Essa lo porta a vagare per i cimiteri disseppellendo i corpi, come per cercare le spoglie della gemella morta.
Paragone con King Lear: sia Lear che Ferdinand impazziscono a causa di errori da loro commessi (per il
primo l'esilio della figlia Cordelia, per il secondo l'omicidio commissionato della sorella) che li hanno portati
a perdere le persone a loro più care. In entrambi la pazzia si manifesta con atti e discorsi senza senso e alla
fine culmineranno con la loro morte.

INGANNO: ricorrono per tutto il dramma, a partire proprio dal matrimonio della Duchessa con Antonio
Bologna, che viene tenuto segreto per eludere sia i cortigiani del Ducato, sia l'ira e la vendetta dei fratelli,
che si scatenerebbero immediatamente contro di lei per aver sposato un uomo non all'altezza del suo (e del
loro) stato.

PASSIONE: la "gemellarità" di Ferdinando e della duchessa contribuisce ad enfatizzare il tipo di legame


tormentato che lo lega a lei. E' dal momento della notizia della maternità della donna, infatti, che l'ostilità
di Fernando e quella della sua passione indicibile esplodono in maniera ellittica, in un crescendo eccitato e
febbrile in cui l'uomo crea ripetutamente scenari crudeli per anninentare quel corpo di donna (nato dal suo
stesso ventre e, simultaneamente, dal suo stesso seme) che ha osato sottrarsi al suo. L'accanimento di
Ferdinando che, come tutti gli eroi negativi elisabettiani, non conosce e non prevede sosta, contempla un
ulteriore stato vendicativo: quello della purificazione del corpo della Duchessa attraverso la morte, che può
restituirgli simbolicamente il potere su di lei.
NOTE:

CORPO POLITICO/CORPO NATURALE: Ferdinando e il Cardinale nella loro perversità si sentono minacciati
non tanto dal corpo politico della sorella (che come vedova reggente ha dimostrato di saper guidare
saggiamente il Ducato), quanto dal corpo naturale, quello sessuato e riproduttivo che, come contenitore di
desiderio e di lussuria costituisce un rischio per la conservazione della stirpe e dei beni patrimoniali. E' la
sua sessualità ad essere percepita come "mostruosa" dai fratelli, ed è il suo corpo di "carne e sangue"
(come viene definito da lei durante la scena del corteggiamento ad Antonio "Questa è carne e sangue, non
l'effige d'alabastro in ginocchio alla tomba di mio marito." 1,1v.453-455) ad essere avvertito come
pericoloso. Per questo il Cardinale e il Duca si affrettano ad ammonirla severamente con una serie di
precetti e di divieti volti alla negazione di quel corpo come soggetto ed oggetto di desiderio.

FIGURA DELLA DONNA: oltre all'affascinante e fiera figura della duchessa, appare molto interessante anche
la figura di Julia, che sembra essere una sorta di alter-ego della protagonista. Entrambe sono donne
indipendenti, che fanno una scelta "pericolosa" guidate dall'amore: la prima va contro la volontà dei fratelli
amando un uomo di ceto inferiore, arrivando a morire a causa di questa scelta; la seconda invece arriva a
mettersi contro al potente Cardinale per l'uomo che ama (Bosola), ma che in realtà non la ricambia. Anche
lei verrà uccisa a causa (indiretta) di questo amore "sbagliato". Un altro importante punto che queste due
donne hanno in comune è la "dichiarazione d'amore": entrambe infatti stravolgono ogni normale regola di
corteggiamento (che vuole che sia l'uomo a dichiararsi alla donna), esponendosi loro in prima persona con
la dichiarazione d'amore. Appare nel dramma solo una terza figura femminile in tutto, Cariola, che è però
un personaggio completamente diverso: fedele, gentile, ma passiva e incapace della fierezza, della
determinazione e della follia che caratterizza le altre due.
COSI' VA IL MONDO.
WILLIAM CONGREVE E LA “COMMEDIA DI COSTUME”
Nato nel 1670 a Bardsey, un villaggio dello Yorkshire, William Congreve è noto soprattutto per le sue
“Comedies of Manners”, termine traducibile all’incirca con “commedie di maniera”, ossia di costume, satire
degli atteggiamenti e delle mode, tanto consolidate da divenire fisse, rigide, comicamente ingessate in
rituali che si eternano fino a perdere il senso, conservando solo la valenza esteriore. La più nota di tali
commedie in cui Congreve eccelleva è senza dubbio THE WAY OF THE WORLD, titolo reso spesso tramite la
formula, libera in parte, ma efficace e onnicomprensiva, di COSÌ VA IL MONDO.
Nella Prefazione all’opera, pubblicata per la prima volta nel 1700, Congreve esprime sincera sorpresa per
l’ottima accoglienza riservata dal pubblico al suo testo. Riteneva infatti che la sua “audience” non fosse
preparata a recepire nel migliore dei modi i temi e le situazioni proposte nella pièce. Ancora una volta, con
un procedimento un po’ arbitrario, ma a cui, a dire il vero, non è agevole resistere, almeno per me, mi viene
fatto di immaginare cosa avrebbe scritto Congreve se si fosse trovato a vivere nell’epoca attuale, come
avrebbe interagito, il brillante autore britannico, con i suoi potenziali spettatori, con gli attori dei
palcoscenici, e con quelli, non meno funambolici e a tratti “macchiettistici”, della vita reale.

Ho scritto reale, comprendendo però in questo ambito anche ciò che strettamente reale non è, ma con
esso si interseca, influenzandolo, manipolandolo, condizionandolo: il fittizio. In particolare, per forza di
cose, l’etere mediatico. Avrebbe avuto un bel po’ da fare, e da dire, Congreve, seduto, volente o nolente, a
casa sua, o magari in qualche ristorante, di fronte alle infinite variazioni sul tema dei “Grandi Fratelli” e alla
schiera dei parenti e affini dei cosiddetti “reality shows”. Non meno infervorato, divertito, magari con un
gusto agrodolce nella bocca e nella mente, sarebbe risultato, il drammaturgo, dovendo assistere ai duelli
rusticani (e in alcuni casi semplicemente rustici) di politici disposti anche a ballare il tip-tap pur di
conquistare una telecamera (antipasto di una Camera tout court) e qualche punto in più del famigerato
share.

Si sarebbe divertito, forse. Di sicuro avrebbe rispolverato i personaggi a suo tempo creati per COSÌ VA IL
MONDO, trovandoli ancora adatti, consoni, magnificamente calzanti. Nulla di nuovo sotto il sole. Appunto.
Si tratta solo di assegnare immutabili e immarcescibili ruoli a facce nuove. Nuove nel senso che continuano
a proporsi, periodicamente, ciclicamente. Non certo nuove nel senso di un’auspicabile e in parte utopica
metamorfosi. Come faceva notare Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”, tutto cambia affinché tutto resti
uguale. La citazione non è esattissima nella forma. Ma la sostanza, ahimè, è corretta, ineluttabile.

Di sicuro si divertirà lo spettatore, e il lettore, andando a cercare in qualche teatro una riedizione della
commedia di Congreve, oppure attingendo direttamente dal testo scritto, magari tramite un’adeguata
traduzione. Il gioco nel gioco, forma ludica di metateatro, potrebbe essere quello di abbinare a ciascun
ruolo un personaggio moderno che dimostra di incarnarne in modo adeguato vizi e virtù. Confrontando poi
gli abbinamenti.

In COSÌ VA IL MONDO di Congreve, operano e tramano, tra gli altri, un certo Fainall, nome che corrisponde
più o meno a “Fingitutto”. Si tratta di un cinico, il quale ritiene che l’inganno sia normale, e considera il
matrimonio una farsa.

C’è, poi, un epiteto ancora più gustoso, Witwoud. Qui necessita una parafrasi per rendere bene il gusto del
nome: “colui che vorrebbe essere arguto”. E quel “vorrebbe” è di per sé fonte di ironia. Lo colloca
sarcasticamente nella terra di confine tra atteggiarsi e valere, apparire ed essere. Personalmente per
questa categoria considero perfetti candidati molti politici ipersorridenti e generosi di aneddoti e
barzellette, non di rado fuori luogo e fuori contesto. Tuttavia, pur non essendo un esperto, credo che anche
diversi personaggi dei “reality” non sfigurerebbero nei panni di Witwoud. E, in ultima analisi, con un atto di
autoironica onestà, credo che tutti noi, presto o tardi, e almeno una volta nella vita, siamo afflitti dal morbo
di Witwoud.
Altro “character” degno di nota, anche se magari non altrettanto di simpatia, è Petulant. Stavolta il nome
non necessita traduzione, e neppure particolari postille. Se non forse per specificare che questo
personaggio è grande amico di Witwoud. Vanno spesso in coppia, ma, mentre Witwoud benché ciarliero e
vanitoso ha un buon carattere, Petulant è acido, irritabile e irritante. Anche in questo caso la caccia al
tesoro è aperta. Nella fauna dei politici, in particolare, la convivenza tra il buono e il cattivo è frequente. Si
tratta solo di aggiungere il brutto di turno per completare il mirabile trio di ispirazione cinematografica. Ma
l’impresa non appare affatto improba.

Tra i personaggi femminili spicca Millamant. Ogni commento sul nome è superfluo. La signora, bella e per di
più brillante, non disprezza affatto la compagnia maschile, diciamo così. Dimostra interesse soprattutto per
il protagonista della commedia, Mirabell. Tuttavia, essendo anche molto realista e con i piedi ben piantati a
terra, affianca all’amore romantico la ragione. Sotto forma di eventuali alternative, quasi una sorta di
panchina lunga, per dirla in termini calcistici. Nel caso in cui Mirabell non dovesse rivelarsi all’altezza, da
qualche fondamentale punto di vista. E’, tuttavia, almeno nella visione di Congreve, un personaggio
positivo. Il ricorso alla panchina lo fa malvolentieri. Attende piuttosto che l’amore cresca e con esso la
fiducia reciproca. Alcune soubrette televisive, di recente notorietà, non sfigurerebbero nei panni, a dire il
vero succinti, dell’eroina di Congreve.

C’è, ultimo ma non ultimo, Waitwell. Un ottimo servitore. Ha le sue idee, le sue convinzioni, ma, di fronte al
padrone, si piega docile come un giunco. E’ pronto, a seconda delle esigenze dei personaggi principali che
occupano la scena, a fare da spalla, interpretando i ruoli più disparati. Comici, tragici, tragicomici. Sa essere
frivolo e accondiscendente. Inoltre, qualità molto apprezzata dai suoi rispettivi padroni, sa sparire, sa
togliersi di mezzo al momento giusto, lasciando campo libero ai monologhi degli altri, di qualunque colore e
genere essi siano. Mi viene fatto di pensare che a molti politici odierni non dispiacerebbe affatto un
Waitwell. Ma chissà che, su qualche canale pubblico o privato, non possano trovare qualche omologo.
Oppure, sempre restando nel campo delle ipotesi, chissà che non lo abbiano già trovato. Misteri, più o
meno buffi.

Non è mistero invece, e necessità ribadirlo anche correndo il rischio di ripetersi, che il teatro, quello
autentico, sia esso tragico o comico, impegnato o leggero, sa individuare percorsi di universalità. Sa essere
fresco e vitale. Attuale, proprio perché non ammica a nessun presente che non possa essere degno di
rappresentare il passato e pronto per rispecchiare qualsiasi futuro. Perché così va il mondo, così è andato,
e, prevedibilmente, che ci piaccia o meno, andrà. Si ride, vedendo o leggendo la commedia di Congreve, di
un riso particolare, mai vuoto, mai fine a se stesso. Carico di quel “wit”, di quell’arguzia che è allo stesso
tempo prova dell’esistenza in vita dell’intelligenza, e, in misura non minore, forma di resistenza estrema
contro l’imbruttimento dei costumi, la violenza del grottesco e dell’assurdo. Una commedia solare, quella di
William Congreve, ricca di verve ed esuberante. Non resta che sperare, nella situazione attuale, sul
palcoscenico della vita di oggi, in una qualche forma comparabile di lieto fine, non forzato né intimamente
amaro. Sperando cioè che si possa dire anche noi “Così va il mondo”, conservando un sorriso. Ironico ma
tenace.

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