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GIORGIO STREHLER
SPECIALE
numero 1
Etinforma ricorda Giorgio Strehler l’artista vive qui e oggi: a partire dall’intimo dialogo con Goldoni,
e sceglie la via della riflessione - non formale o celebrativa - di alcuni come ricorda Tanant; Strehler mette in scena se stesso, o per meglio
studiosi e critici che in tempi ed occasioni diverse hanno incontrato la dire la sua tensione, il suo “Streben” faustiano verso una verità la
sua ricerca umana ed artistica. cui ricerca è più importante del possesso”, precisa Tian commen-
Testimonianze certamente importanti sul piano dell’analisi critica, ma tando Elvira o la passione teatrale. E a Poesio il rantolo finale di Firs
anche su quello personale ed emotivo, un coinvolgimento che il con- ne Il Giardino dei Ciliegi pare «avere riverberi beckettiani quasi a
fronto con il lavoro di Strehler sembra rendere inevitabile. simboleggiare la grande avventura dell’uomo in quanto uomo,
In tutti gli interventi è possibile rintracciare un filo rosso, un’eviden- carne umana che passa».
za, artistica e morale, del lavoro del regista che sembra imporsi all’at- È l’attenzione sofferta al suo tempo, la ricerca appassionata e mai
tenzione del critico, non importa quale sia il suo punto di approccio astratta, la «preveggenza culturale», di cui parla Raboni, coniugata
o lo spettacolo di riferimento: la prospettiva internazionale di un con l’esigenza di rendere partecipe un pubblico il più possibile vasto;
uomo europeo, per Banu; l’impegno dell’artista Strehler di fronte la passione per la musica - inferiore solo a quella per il teatro -
all’arroganza del potere, per Quadri; la preferenza per il grande tema descritta da Gregori, e che gli fa rifiutare gli steccati burocratici delle
del rapporto tra arte e società, secondo Tessari; lo sforzo di fondere le programmazioni per generi. E infine è l’Europa, quella delle culture,
ragioni dell’estetica con quelle della politica, per Ippaso; «il teatro è ben più vasta di quella economica o monetaria.
per lui un modo di essere sempre più nella storia», Ricordare, infine, che molti spettacoli strehleriani
osserva Macchia, e Lombardo sottolinea che per sono stati presentati dall’Eti in Italia e all’estero,
Strehler il teatro è strumento di conoscenza, in
sintonia con Molinari che evidenzia lo sforzo del
regista per dare al concetto di realismo un signifi- LA RICERCA vuol dire porre l’accento sull’universalità del suo
teatro, sull’entusiasmo dei molti pubblici che vi
hanno assistito, certamente diversi per storia, cul-
IL TEATRO
cato essenzialmente conoscitivo. tura, lingua, estrazione sociale, ma egualmente
Anche per Strehler il palcoscenico è il mondo, e coinvolti da un teatro che parlava loro di se stessi.
E L’ARTE
di Giovanna Marinelli
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LO STRUMENTO
secoli. Diventò un grande regista perché
cosciente di quelli che sono i limiti della regìa e
dello spettacolo, qualcosa che passa, come
DELLA POESIA
costruito sull’acqua, e in questa coscienza
ritrovò infinite possibilità di realizzazione: non
poesia, ma strumento della poesia.
Nulla è più fantastico della precisione, potreb-
be dirsi anche per Strehler. Ma una precisione
di Giovanni Macchia che non ha nulla a che fare con la petulanza e
l’ossequio pseudo-filologico con cui, ad esem-
egista di fama mondiale, Giorgio Pubblichiamo la argomentata pio, Antoine ricostruiva il palcoscenico francese
PREMIER
AMOUR
di Franco Quadri
PARIGI
Strehler ha messo in scena a Milano il
Coriolano, ha invitato un giovane critico
emergente, Benard Dort che cominciava a
disporre in patria di un ampio credito e la cui
concezione del teatro era vicina a quella del
L’ALTRO
Piccolo. La valutazione dello stratega Grassi
era corretta, non aveva sbagliato invito.
Bisogna rendere omaggio alla sua perspicacia,
perché il testo scritto subito dopo da Dort
fece scoprire con entusiasmo il Piccolo e
CENTRO
di Georges Banu
Strehler, rivelando alla Francia quello che
sarebbe diventato un durevole polo d’attra-
zione. Dort entusiasta dello spettacolo visto,
metteva in azione la “machine à gloire” e sug-
gellava così il felice fidanzamento del Piccolo
con Parigi. Più tardi, le tournées confermava-
no la prima intuizione, ma il matrimonio,
celebrato ufficialmente agli inizi degli anni
Ottanta, è stato meno felice. Forse i fidanzati
erano un poco stanchi del legame che conta-
arigi, parafrasando il bel titolo di una va ormai svariati decenni. influenzato le riserve del potere ufficiale
gioniero della scena: due modi di pensare il seguito il modello dell’impegno brechtiano. che sta per chiudersi. In quello che avrebbe
teatro che il maestro di Milano ha messo Questo spiega senza dubbio l’attrattiva che potuto essere un mero discorso di circo-
sotto la loro cifra. Brecht si è aggiunto dopo ha esercitato sugli uomini di teatro francesi, stanza, possiamo scorgere una confessione
a questa doppia influenza, consentendo a su Patrice Chéreau in particolare. Proprio che conferma l’influenza, mai smentita, di
Strehler di situarsi all’incrocio tra Parigi e quest’ultimo, artista riservato, alla morte di Strehler sullo stesso Chéreau.
Berlino, e di diventarne il principale media- Strehler ha detto le cose più profonde, Sull’alleanza tra Milano e Parigi, attraverso la
tore. Con Copeau e Jouvet si è consacrato facendo dell’uomo di teatro milanese il mediazione del Piccolo, altri due esempi meno
prima ai poteri della scena, per adottare in primo regista europeo della metà del secolo noti attestano la reciproca fecondazione. Il
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pensiero di Strehler e Grassi sull’istituzione tea- Strehler, in un ultimo sussulto, esaltava la sua Un sogno 9
trale portava, agli inizi, l’impronta di Jean Vilar. arte annunciando l’imminente abbandono incompiuto
In seguito tale ascendente passava in second’or- della bacchetta, apparendoci come Prospero,
dine per effetto della scoperta di Brecht (d’altro e d’altra parte egli stesso si presentava come il Dell’istituzione Strehler ha sognato l’utopia.
canto ritroviamo la stessa evoluzione nel per- doppio del personaggio shakespeariano. Una L’ha immaginata, lui un artista egocentrico,
corso della rivista Théâtre Populaire che soste- volta ancora il suo teatro si mescolava, per come una comunità riunita intorno a un mae-
neva il Piccolo ed era attentamente letta dai turbarla, con la riflessione teatrale francese. I stro, per potere legittimamente usare non il
due animatori del teatro milanese). suoi spettacoli hanno suscitato a Parigi un plurale majestatis, ma l’altro noi, quello delle
Se la traccia vilariana restava visibile e identi- effetto teorico incomparabilmente superiore famiglie d’arte. Nel suo ultimo discorso al
ficabile nel programma del Piccolo, a scanso ai suoi scritti e alle esplicite prese di posizio- Vieux-Colombier ha ribadito ancora una
di qualsiasi epigonismo mimetico, essa veniva ne. Cercava troppo il consenso, e a volte volta l’amore che accomuna il lavoro degli atto-
però rimodellata a tal punto da diventare una rinunciava al rigore del pensiero per un abuso ri e degli artigiani al compimento della scena.
variante italiana del “teatro come servizio di teatralità personale. L’utopia strehleriana, come tutto quello che ha
pubblico” di Jean Vilar. Tuttavia Strehler, che trionfava a Parigi, non fatto, portano il sigillo del XVIII° secolo.
Il secondo esempio riguarda la relazione, que- restava estraneo ai suoi artisti e ai suoi saggi Secolo che è stato per lui tanto quello della spe-
sta volta meno visibile, tra Jacques Lecocq e il più raffinati. Anche se fu Grassi all’origine dei ranza, quanto quello della malinconia. Strehler
Piccolo. Lecocq ha scoperto il lavoro sulla primi inviti, non possiamo dimenticare che sapeva che la sua utopia non poteva realizzarsi,
maschera incontrando i maestri italiani e a negli anni Sessanta, sotto gli auspici del ma lavorava abitato dal suo spirito.
sua volta è tornato spesso a Milano mante- Piccolo, Arianne Mnouchkine si imponeva Di questo si è nutrita la sua relazione privilegia-
nendo un dialogo aperto che ha segnato sot- sul piano europeo con il suo celebre 1789 e ta con Jack Lang, anche lui spirito utopico per
terraneamente il paesaggio teatrale francese e Patrice Chéreau trovava rifugio in Italia per eccellenza: la stessa spinta ha animato il loro
internazionale. Questo grande pedagogo ha costruire la sua arte. Più tardi, all’inizio degli incontro. Incontro tra un uomo politico sedot-
esercitato sul piano della formazione lo stesso anni Ottanta, lo stesso Strehler ha invitato to dall’arte e un artista innamorato della politi-
effetto che il capolavoro Arlecchino servitore di Antoine Vitez e Yannis Kokkos che hanno ca. Questa complessità condivisa ha permesso
due padroni, periodicamente rivisitato da firmato a Milano una delle loro più belle rea- loro di elaborare quella che all’inizio degli anni
Strehler, ha prodotto sulla scena. La gloria lizzazioni, Le trionphe de l’amour. Allora lo Ottanta è stata una delle più belle utopie dell’i-
pubblica dello spettacolo e il solco segreto spettacolo ci è apparso per quello che era: la stituzione: il Teatro d’Europa.
tracciato dall’insegnamento hanno insieme sintesi luminosa dell’Italia e della Francia alle Strehler ha posato le fondamenta e ha annun-
contribuito alla riabilitazione della maschera, soglie dell’era moderna che i “lumi” del ciato il suo programma mirato a federare le cul-
tanto quanto la commedia dell’arte, intesa XVIII secolo avevano aperto. Sfortu- ture teatrali europee, attraverso scambi tra gli
come fioritura di una teatralità liberata dagli natamente la collaborazione cominciata con attori, sia nel campo della formazione che della
orpelli di un realismo stilizzato. Strehler ha un tale successo non ha avuto seguito. produzione, e con la creazione di progetti
restituito al teatro uno dei suoi strumenti che Dal canto suo Strehler, in nome della passio- comuni. Sostenitore di un Europa della cultu-
la scena francese ed europea aveva dimenticato. ne per il teatro d’arte francese, di cui si pre- ra, Strehler ha presentato questo teatro come
sentava come l’erede, ha messo in scena, in la sua utopia. Siamo stati in tanti a credergli. Il
Circolazione occasione dell’inaugurazione della sala rispetto per l’artista non ci ha permesso di
Fossati, l’adattamento di Brigitte Jacques dubitare del direttore. A Milano ha aggiunto
a doppio senso delle lezioni di Jouvet sul Dom Juan. Il mae- Parigi come centro istituzionale, e così il
Le tournées cicliche del Piccolo hanno fonda- stro di Milano si è abbandonato allora a uno matrimonio con la Francia è avvenuto sotto lo
to e sostenuto la mitologia strehleriana, per- dei più affascinanti esercizi di teatro: recitare sguardo benevolo di un ministro sedotto.
ché se Le baruffe chizzotte o Il campiello rivela- il suo maestro di Parigi. Milano e Parigi dia- Il direttore non è stato all’altezza dell’artista.
vano questa umanità goldoniana vista senza il logavano, e Strehler serviva da intermediario. Poteva esserlo? Ben presto l’utopia dell’Odéon
minimo sacrificio della teatralità, anzi esal- Il teatro è il mondo, la celebre frase di Teatro d’Europa si è rivelata illusoria. I pro-
tandola (come Strehler sapeva fare meglio di Petronio citata da Shakespeare sul frontespi- getti sono diventati promesse non mantenute.
tutti), altri capolavori hanno segnato gli spiri- zio del Globe, Strehler l’ha ritrovata in se stes- Per fortuna le tournées del Piccolo, invitato a
ti: I giganti della montagna e La grande magia so. Nel paese dello scetticismo di Montaigne Parigi, ci hanno fatto dimenticare la debolezza
di De Filippo. Ogni volta si trattava della e dei dubbi cartesiani egli ha portato un’in- di questa casa, pensata come una speranza
doppia riflessione sugli esseri umani e sulle crollabile fiducia nella scena intesa come della cultura contro la finanza. Noi sapevamo
risorse nascoste della scena. È il caso del esperienza di vita, almeno nella misura in cui Strehler scettico riguardo l’istituzione in
Giardino dei ciliegi, di Re Lear e della essa raggiunge la perfezione artistica. Sì, generale, ma troppo rapidamente, questi
Tempesta, che sono apparsi come la grande Strehler ha riconciliato Parigi con un teatro timori sono stati confermati. Il Teatro
trilogia biografica di Strehler, perché da nes- d’arte dove umanità e perfezione si sposano, d’Europa non ha vissuto e, sin dall’inizio,
sun’altra parte ha imposto con tanta insisten- e, nello stesso tempo, si è nutrito del conte- non ha fatto che sopravvivere ai bei sogni
za la sua presenza di regista. Proprio quando sto culturale della capitale francese: la città, e iniziali. Il matrimonio istituzionale non ha
il regista, assimilato a un “maître à penser”, non un artista in particolare, l’ha segnato. confermato il fidanzamento artistico. Il
subiva costanti aggressioni, Strehler senza esi- Per lui la circolazione tra Milano e Parigi è Teatro d’Europa è la storia di un delusione.
tazioni sviluppava senza riserve la sua arte. stata a doppio senso, mai a senso unico. Strehler, con l’aiuto di Parigi di cui aveva com-
Egli assumeva il ruolo di maestro della scena, preso gli ingranaggi politici, ha convertito la
ma pur non ammettendo nessuna messa in prima crisi in una soluzione di ricambio, crean-
Giorgio Strehler
questione teorica della sua funzione, lasciava do la rete dei Teatri d’Europa. La sua unione si
però emergere i primi segni di disincanto, di presenta oggi come un polo teatrale attivo.
prossimo ritiro, di sparizione immanente. Forse la flessibilità di questa struttura meno
Proponeva allora la sua “trilogia degli addii” identificabile, più malleabile e incerta, conveni-
che incantava una Parigi sedotta più dalla va meglio alla natura esaltata e visionaria del-
messa in scena che dall’uomo. Allorché il pro- l’ultimo Strehler, l’uomo dai mille progetti.
cesso al regista prendeva una piega ideologica,
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«Non cesseremo di esplorare / E alla fine dell’e- può essere, tuttavia, un utile strumento per
splorazione / Saremo al punto di partenza / individuare, per così dire dall’interno, alcuni
Sapremo il luogo per la prima volta». Così T. S. aspetti dell’arte strehleriana, e un metodo di
Eliot nei Quattro Quartetti; e son parole che lavoro che è di per sé una lezione.
paiono singolarmente indicate per affrontare il Metodo che, nel caso di Shakespeare, muove
discorso su quella rappresentazione della proprio dalla traduzione («Nel caso di un testo
Tempesta con cui, nel 1978, Strehler torna all’o- in lingua straniera - scrive in un saggio lo stesso
pera che trent’anni prima aveva visto, insieme Strehler - la prima operazione critica non può
STREHLER
al Riccardo II, cominciare il suo itinerario non essere quella della traduzione... I due atti
shakespeariano. Una rappresentazione, va subi- costituiscono o dovrebbero costituire una unità
to detto, sulla quale non è facile per chi scrive profonda»), per poi passare, anche attraverso il
riferire, e ciò perché, avendo tradotto il testo dibattito col traduttore (come nel caso di chi
per Strehler e con Strehler (vedilo ora nei scrive e, ancora prima, di Cesare Vico
E LA TEMPESTA
di Agostino Lombardo
“Grandi Libri” di Garzanti, Milano 1984), egli
è troppo coinvolto, intellettualmente ed emoti-
vamente, in quella che è stata per lui una
straordinaria avventura per potersene adeguata-
mente distaccare. Questa personale esperienza
Lodovici, Salvatore Quasimodo, Luigi Lunari e
Angelo Dallagiacoma), ad una “esplorazione”
del testo cui si debbono gli straordinari risultati
dello spettacolo (che, messo in scena nel 1978,
ha poi inaugurato, nel 1983, il Théâtre de
Giorgio Strehler
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l’Europe ed è stato rappresentato con enorme l’Inghilterra, è anche il teatro, il palcoscenico alla libertà e al gioco della fantasia si accompa-
successo, nel 1984, in Italia e negli Stati Uniti). (ed è, potremmo dire, il testo teatrale). gna ora la visione del teatro acquistata soprat-
E ciò anche se il lavoro si svolgeva in un perio- Tutto questo Strehler riesce - con le luci e i tutto attraverso l’esperienza del Lear del 1972:
do denso, in Italia e in Europa, di cupe ombre: movimenti, i suoni e i silenzi, le parole e i gesti, del teatro, cioè, come strumento conoscitivo.
“La Tempesta nasce - leggiamo nel programma - con tutti gli strumenti di un mezzo teatrale Un “cammino di conoscenza”, come Strehler
in un momento che a me sembra abbia i con- maneggiato ormai con suprema padronanza e scrive, è veramente quest’opera - un’opera che
notati dell’apocalisse... La storia è arrivata pun- romantica ironia e leggerezza - a estrarre dal vorrei definire baconiana e che solo attraverso
tualmente dentro i muri chiusi di un teatro, in testo e a comunicare al pubblico, componendo l’esperienza raggiunge una qualche conclusio-
cui una piccola collettività stava lavorando sulle un “oggetto”, un’immagine assolutamente uni- ne. La quale è ben lontana da quella inizial-
parole di un grande poeta per inventare sogni”. taria e compatta (così come lo è la lignea isola mente suggerita dall’occasione celebrativa. La
Non “sogni gratuiti”, aggiunge però Strehler, e disegnata da Luciano Damiani) che mostra sola verità certa è quella della umana fragilità, il
invece alla base della sua Tempesta c’è anche la però le sue varie stratificazioni; presentando solo futuro certo quello della solitudine di
volontà di compiere “un gesto attivo di rifiuto uno spettacolo che, nella sua linearità e insieme Calibano (grande immagine dello spettacolo
del nulla, un tentativo violento di opporsi a molteplicità e polivalenza, risulta anche in una strehleriano, vigorosamente resa prima da
questo dissolvimento della ragione”. E il gesto concreta, plastica immagine della creazione Michele Placido poi da Massimo Foschi) nell’i-
era tanto più significativo e pregnante in quan- poetica. E ciò avviene, io credo, perché il regista sola di cui non comprenderà più il linguaggio
to compiuto attraverso un’opera di estrema dif- fa del teatro il perno, il centro dello spettacolo. che la civiltà gli ha sottratto - e quello di
ficoltà e complessità, di una densità di significa- Di qui la “spettacolarità”, appunto, di molte Prospero, avviato verso una Milano dove “un
ti che poteva ben giustificare lo sgomento scene - e anzitutto di quella iniziale, grandissi- pensiero su tre / sarà per la mia morte”. Se lo
espresso da Strehler nella prima lettera (agosto mo Coup de Théâtre, con la tempesta quasi spettacolo è un supremo esempio di teatro
1977) a chi scrive: «Dove sono, io, per ora? tangibilmente messa in scena, con la platea che come gioco, come favola, come inesauribile
Quasi nel vuoto. Con un tale cumulo di inter- sembra sommersa dalle onde, le luci, i suoni, le creatività, esso è anche un cammino di cono-
rogativi, di perplessità di fondo, davanti ad un urla, gli schianti da cui spettatori e attori sono scenza dei personaggi, e cioè di uomini appar-
testo che mi appare sempre più insondabile... travolti come da un autentico, apocalittico ura- tenenti a quella crisi epocale, di passaggio dal
Tutta la sua realtà oltrepassa non solo le mie gano. O di quella finale, con il teatro di Medio Evo all’Età Moderna, che era già espres-
forze, i miei mezzi, ma proprio, (vorrei non Prospero che va materialmente in pezzi per poi sa dal Lear. Ma anche del pubblico, di chi allo
dirlo!) “il teatro”». prodigiosamente ricomporsi e rinascere, così spettacolo assiste e che nella fine delle utopie
Rappresentata per la prima volta a Corte nel- come ogni giorno nasce e muore e rinasce la rinascimentali e delle false certezze, nella sco-
l’estate del 1611 e poi nell’inverno del 1612- rappresentazione teatrale. Di qui l’uso conti- perta del contrasto tra la realtà e l’illusione (l’i-
13, La Tempesta era certo destinata non tanto nuo di oggetti del teatro; la funzione “autoriale” sola che all’utopista Gonzalo appariva “meravi-
al pubblico popolare del Globe quanto e e registica che Prospero - un grande Tino gliosa” gli appare, alla conclusione del percorso,
soprattutto a quello aristocratico del teatro di Carraro - assume, peraltro intrecciandola agli “una terra maledetta”), non vede solo la rappre-
corte o “privato”: di qui l’insistita allusività altri lineamenti del suo poliedrico volto; la tra- sentazione di un preciso momento di storia
intellettuale e culturale del linguaggio: l’uso sformazione di Stefano e Trinculo (come nella della cultura e della società ma il destino del-
dei masques e delle “macchine” teatrali; l’im- Tempesta del 1948, messa in scena nel giardino l’uomo, la condizione umana.
piego raffinato della musica - elementi, tutti, di Boboli) in personaggi della Commedia E cammino di Strehler sia attraverso il testo -
intesi a mettere in scena una favola elegante e dell’Arte. Di qui, soprattutto, la stupenda per comprenderlo, penetrarlo, possederlo e
fastosa, che celebrasse l’amore e i suoi riti. E invenzione, stupendamente realizzata da Giulia comunicarne agli altri i significati - sia attraver-
tuttavia sotto questo livello altri motivi fervo- Lazzarini (ancora un Ariel-donna, come nella so il teatro. Come per Shakespeare il palcosce-
no e premono, e la vicenda di Prospero con- prima Tempesta; e ancora una donna, come nico non è solo metafora del mondo, ma è il
sente a Shakespeare di affrontare alcuni dei Ottavia Piccolo nel Lear del 1972, che diventa mondo, sì che il metateatro perde ogni caratte-
nodi cruciali della situazione del primo emblema del teatro), di un Ariel quale lievissi- re virtuosistico o narcisistico per diventare stru-
Seicento. Prospero è padre ma anche Duca, e mo spirito che percorre con inarrivabile, ambi- mento di una ricerca esistenziale, altrettanto,
ciò fa sì che attraverso di lui il drammaturgo gua grazia la terra e il cielo, identificandosi attraverso Shakespeare, avviene per Strehler.
rifletta sul problema del governo e del gover- appunto con la vita - sospesa tra realtà e finzio- Mettendo in scena la Tempesta («nodo, cuore
nante; Prospero è mago e scienziato; Prospero ne - del teatro, con la sua inafferrabilità, e imperituro della teatralità europea») al culmine
è colonizzatore. E Prospero è anche teatrante, mutevolezza, e immortale precarietà. della sua «lunga indagine su Shakespeare», nel
come il Cotrone di Pirandello, drammaturgo, Il fatto è che come in Shakespeare la qualità pieno della sua maturità di uomo e di artista,
regista: la sua azione magica s’identifica con metateatrale trova nella Tempesta la sua massi- Strehler (e qui è la forza, e il fascino, del suo
l’allestimento di spettacoli teatrali: è lui a ma espressione, lo stesso avviene in Strehler spettacolo) ha visto, lucidamente e appassiona-
“inventare” la tempesta, è lui a scrivere il che, fedelmente interpretando il suo autore, tamente, che anche per lui il palcoscenico è il
copione secondo il quale si muovono i vari ritrova e approfondisce le disposizioni che vive- mondo, e che indagare sul teatro, sui suoi stru-
personaggi, è lui a “produrre” i masques che vano già nelle sue prime rappresentazioni menti, sulla sua essenza, sul basilare conflitto
scandiscono l’opera. L’isola, allora, se è la natu- shakespeariane. Con la differenza, rispetto a che lo sostanzia e dilania tra realtà e illusione,
ra, il mondo, l’America da poco scoperta, quelle e in particolare alla prima Tempesta, che significa indagare sull’uomo, cercare gli assoluti.
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La Tempesta, 1978,
nella foto
Giulia Lazzatini
Giorgio Strehler
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I CILIEGI
DI CECHOV
di Paolo Emilio Poesio
FOTO DI LUIGI CIMINAGHI
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una scala di sfumature sottili, quasi impercet- esordiente Monica Guerritore, Piero
tibili, che andavano dal bianco-rosa al bian- Sammataro come Trofimov e via elencando.
co-ghiaccio rendendo così più perentorio il Su tutti prevalse la sovrana presenza di Renzo
contrasto con gli abiti neri della servitù. Ricci, l’umile Firs il cui rantolo finale parve
Sopra tutto questo immacolato universo, un avere riverberi bekettiani quasi a simboleggia-
immenso velario si stendeva, appeso dall’ar- re “la grande avventura dell’uomo in quanto
coscenico al fondo della platea, candido uomo, carne umana che passa”.
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Giorgio Strehler
e Giulia Lazzarini
in Elvira o la passione
Teatrale 1985/6
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allusione: che non si trattava di uno spettacolo mine di un percorso emozionante come
nel senso corrente, e che Strehler sotterranea- un’avventura di esplorazione e nitido come la
mente metteva in scena se stesso, o per meglio visualizzazione di un flusso di coscienza, la
dire la sua tensione, il suo “Streben” faustiano metafora del teatro come luogo di verità si
verso una verità la cui ricerca era più impor- congiungeva con la parabola del viaggio di
tante del possesso. La domanda di accesso discesa-ascesi dell’attore che ne rivelava tutta
poteva essere questa: esiste una, e una soltan- la fragilità e la forza.
to, possibile interpretazione di un personaggio Elvira, oggi, non è uno degli spettacoli strehle-
messo in situazione? La logica dell’ovvietà ci riani di culto. La mitografia del regista si affi-
porterebbe a rispondere di no. Ma fermiamo- da spesso all’aneddotica fiorita intorno alle
ci a riflettere, lungo il percorso di Elvira. prove in palcoscenico. Ma se oggi cerchiamo
Esiste certamente una ricerca della “verità” un ritratto veritiero, disegnato in profondità,
che un personaggio o una situazione conten- di uno Strehler interiore, allora dobbiamo tor-
gono, che procede come se quella verità fosse nare a quelle immagini dove, nel maestro che
l’unica, nel momento in cui la ricerca si svolge traccia per sé e per l’attrice lo stretto sentiero
sul palcoscenico. Il campo di questa ricerca è dell’interpretazione di Molière, sentiamo
simile a un cono rovesciato: dall’orlo largo anche il timore e il tremore che accompagna-
dell’imbuto l’attore e la sua guida si avventu- no maestro e allievo nel percorso di conoscen-
LA VOCAZIONE
rano in una discesa che ha per traguardo il za che si snoda sulla scena, quello che Aragon
restringimento finale, dove il senso è univo- chiamava il “mentire vero”.
co. Ma quel traguardo è raggiungibile solo Quel ritratto-confessione in azione che è
ESTREMA
scartando le soluzioni facili, perforando la l’Elvira, Strehler lo ha completato con una
superficie apparente del testo, rischiando a lettera ideale indirizzata al suo antico mae-
ogni passo errori e smarrimenti, tenendo stro Jouvet. Gli dice: “Solo adesso, nella
l’occhio fermo a quel “vero” teatrale che si angoscia estrema, nella nausea estrema, nel
raggiunge, non senza ferite e naufragi, quan- rifiuto estremo del teatro, non potendolo
di Renzo Tian do si varca il punto più stretto dell’imbuto. rifiutare perché più forte di me, più forte di
La sena del Don Giovanni molieriano (atto tutto, adesso so che cos’è non la ‘passione
IV, scena VI) nella quale Jouvet spingeva, nel teatralÈ (quella era così facile, così calda,
n mezzo secolo di spettacoli strehleriani, ’40, a cimentarsi la giovane Claudia, alla così immemore e felice), ma la “vocazione
gurale del teatro Studio del Piccolo Teatro. mentare come in realtà quella fosse una gran-
Per misteriosi sentieri alcune lezioni sul Don de scena d’amore, e come la chiave che apriva
Giovanni di Molière tenute al conservatorio e scioglieva il personaggio di Elvira dalla sua
di Parigi da Louis Jouvet nel 1940, passando rigidità, fosse quella di una “tenerezza infini-
attraverso un adattamento teatrale di Brigitte ta”, un sentimento irrefrenabile che rendeva
Jacques erano giunte nelle mani di Strehler Elvira protagonista e al tempo stesso apriva
che ne aveva tratto uno spettacolo-testimo- una imprevista prospettiva mistico-religiosa
nianza nel quale si metteva a nudo, con tutta nel dramma del libertino.
la tensione di una vera storia drammatica, il Così lo spettacolo, col suo procedere incal-
percorso impervio e segreto attraverso il quale zante di indagine, mostrava la sua duplice
gli sforzi affiancati di un attore e di un mae- motivazione. Da un lato, il difficile cammi-
stro possono condurre al cuore nascosto di no dell’attrice verso il “vero” teatrale mostra-
un personaggio messo in situazione. Mostrare va quale potesse essere la solitudine e la soffe-
nella finzione del palcoscenico un regista o renza dell’attore (per usare le parole di
un maestro che guida un attore verso un Jouvet) per giungere al cuore del personag-
obiettivo può essere un normale episodio di gio; dall’altro esso offriva una confessione-
metateatro. E spesso questi episodi hanno il rappresentazione che Strehler inscenava fon-
semplice scopo di trasformare lo spettatore in dendo la propria immagine con quella di
Giorgio Strehler
“voyeur”, di dargli licenza di spiare dal buco Jouvet e accomunandosi a lui nell’ansia, nel
della serratura i “segreti” del teatro. fervore, nella solitudine della scena.
Nulla di tutto questo in Elvira. Ricordo che Quella stessa solitudine nella quale Giulia
nella locandina non compariva la parola Lazzarini, confinata nel cono di luce azzurri-
“regia”: sotto al titolo figurava la dizione “rap- na del “suo” riflettore, giungeva finalmente
presentazione di Giorgio Strehler”. Dizione alla folgorante rivelazione, a se stessa ed agli
ambigua, che forse conteneva una duplice altri, della verità lungamente cercata. Al ter-
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L’ANIMA BUONA
DEL SEZUAN
di Cesare Molinari
FOTO DI LUIGI CIMINAGHI
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e si parla del rapporto fra il testo dram- qualche misura riprende gli elementi strutturali 19
STREHLER
cluso sull’immagine dell’attrice morta, lenta-
mente trascinata dai compagni sull’eterna “car-
retta di Tespi” del teatro: attraverso la platea, tra
il pubblico. Quasi a indicare, sì, l’inevitabile
E I GIGANTI
destino di capro espiatorio cui soggiace l’auten-
tico artista; ma anche la speranza d’una comu-
nione di pathos che unisca - nel culto della
Poesia - vittima sacrificale e società. Nel 1966,
di Roberto Tessari con una scelta destinata a far clamore, decide di
separare il cadavere della protagonista dalla car-
retta, che viene lasciata sul palco, e che viene
schiantata e stritolata dalla lenta e inesorabile
proposito della sua ultima edizione del discesa del sipario di ferro. Sono mutati i
EL NOST MILAN
IL LINGUAGGIO
DELLA POESIA
di Giovanni Raboni
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a succedere di lì a qualche anno con effetti pro- Insomma, accanto e oserei dire persino a pre- tura d’artista (e d’intellettuale) che trascende
gressivi, a cerchi concentrici sempre più larghi scindere dall’esito strettamente espressivo dello qualsiasi settorialità -, sullo sfondo d’una storia
(ossia, fra l’altro, con un formidabile impulso spettacolo (che pure fu di grande impatto e generale della sensibilità estetica che su quello
non soltanto alla produzione letteraria dialetta- proprio, a mio modo di sentire, a causa di quel- specifico della pratica teatrale. A uscire, dall’e-
le in senso stretto, ma anche a ogni possibile la capacità di risolvere il pathos e il bozzettismo sperienza “dialettale” di Strehler, modificato e
forma di complessità plurilinguistica, di conta- del testo di Bertolazzi in “melodramma epico” potentemente vivificato non fu tanto, voglio
minazione macheronico-espressionistica e via che la maggior parte della critica francese - ma dire, il linguaggio del palcoscenico, sul quale
discorrendo, non esclusi i risultati più credibili non uno spettatore d’eccezione come il filosofo agirono certamente più a fondo, prima e dopo,
Giorgio Strehler
di Dario Fo e sino alla lingua radicalmente Louis Althusser - avrebbe poi con particolare altre sue creazioni, dalla Trilogia della villeggia-
inaudita dell’ultimo e penultimo Testori), allo- stolidità, in occasione d’una tournée parigina, tura al Galileo o ai Giganti della montagna o
ra, all’altezza di quel remoto ’55, era davvero e rimproverata al regista), furono e rimangono all’Illusion comique, quanto il linguaggio tout
totalmente in mente Dei, e non ci voleva meno memorabili, in prospettiva, il suo significato e court, il linguaggio (come a lui sarebbe piaciuto
d’un rabdomante - o, appunto, d’un poeta - oserei dire la sua preveggenza d’ordine cultura- dire) “della poesia”, e davvero non credo sia
per intuirlo e insieme per farlo entrare in car- le: nettamente più avvertibili, si noti - e la cosa possibile avanzare, parlando d’uno spettacolo,
reggiata, per contribuire a metterlo in moto. va sottolineata come ulteriore prova d’una sta- ipotesi più grandiosa e inattesa.
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L’AMICO
GOLDONI
di Myriam Tanant
FOTO DI LUIGI CIMINAGHI
elle note di regia per Il Campiello, che che, in qualche modo, facilitano il tran- ziano, quelli che lasciano più largo spazio alla
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allude al freddo ma anche alla passione nasco- loro giochi, uno specchio nostalgico sul quale svelarne le differenti sfaccettature e per esal-
sta che cova nel cuore dei protagonisti. Se la danzano delle barchette di carta abbandonate tarne le zone d’ombra, ma anche una certa
Villeggiatura è associata al fuoco, Le baruffe e che produce inoltre una rottura nell’unifor- luminosità della scrittura e mettere in rilie-
chiozzotte lo sono all’aria: un colpo di vento mità che la neve conferisce allo spazio scenico. vo l’evoluzione di questo autore molto più
accompagna l’apertura del sipario, questa raf- [...] La presenza dei 4 elementi naturali crea complesso di quello che normalmente si
fica, nella concezione di Strehler, e un respiro un legame tra le differenti messe in scene gol- crede. È per questo che ciascun spettacolo
nello spazio, un’allusione all’autunno (sulla doniane, e insieme a certe costanti, certe ricavato dall’opera di Goldoni deve essere
scena cadono delle foglie morte) e un segno immagini poetiche, certi accenti di questi considerato come un caso particolare nella
Giorgio Strehler
del pericolo che i pescatori possono correre. Il quattro testi ha fatto in modo che Strehler sia produzione di Strehler.
Campiello invece è associato all’acqua: una stato scelto da loro piuttosto che da altri, e
pozzanghera d’acqua vera nella neve finta tuttavia bisogna riconoscere che il regista non da: Myriam Tanant, Strehler e Goldoni: le
occupa il centro della scena. Di questa pozza, ha mai cercato di rendere uniforme la sua miroir e la métaphore tratto dal volume miscel-
da alcuni intesa come la metonimia dei cana- visione di Goldoni. laneo della collana del CNRF “Les Voix de la
li di Venezia, ha anche la funzione di specchio Al contrario ha messo in evidenza le parti- creation théâtrale” dedicato all’opera di Strehler.
intorno al quale i personaggi organizzano i colarità del drammaturgo veneziano per Per gentile concessione dell’Autrice.
numero 1
26 guagli sulla serata, e in particolar modo sul- cedente, con Claude Maritz nel ruolo del pro-
IL CALIGOLA
l’opera, ai più sconosciuta. La tensione intel- tagonista, ma la versione italiana si attirò le
lettuale si riversava infatti sul testo, su questa maggiori attenzioni, tanto da passare quasi
ennesima variazione di un “teatro a porte come un debutto. Anche in virtù dell’adesio-
chiuse” verso il quale gli scrittori italiani ne sentimentale di Renzo Ricci, impegnato a
DELLA RIVOLTA
di Katia Ippaso
mai stato fermo)» (su “La Nazione del
Popolo” del 6/1/46). L’attenzione del recen-
sore, e non solo di Montale, si concentrò così
sul discorso letterario. Allora il nome di
Strehler diceva ancora poco, come dimostra
muoiono e non sono felici” destinato a con-
vertirsi in intelligenza criminale e alla fine sui-
cida. L’attore fiorentino, che nel ’46 aveva già
trent’anni di attività teatrale alle spalle - aven-
do debuttato diciassettenne nella Compagnia
quell’aggettivo “giovane” preposto al termine Borelli-Piperno - dimostrò una tale apertura e
“regista”. Non sfuggirono, però, anche al cri- concentrazione nei confronti dello spettacolo
veva appena venticinque anni, Giorgio tico non specializzato, la cura e la potenza da fargli guadagnare gran parte del successo,
STREHLER
on un po’ di civetteria ma con un
LIRICA
cornista e un lungimirante impresario del tea- De Sabata - era “uno da Mozart”.
tro Verdi di Trieste e che la madre Alberta era Il vero debutto di una carriera inimitabile che
conosciuta come un’apprezzata violinista. Del conta 44 regie liriche, dopo la “prova genera-
suo orecchio e della sua predisposizione le” di una Giovanna d’Arco al rogo di
musicale, del resto, raccontava anche la Honegger non avviene, però, sotto il segno
madre ricordando che, fin da piccolo, sapeva del divino salisburghese, ma sotto l’ala di
di Maria Grazia Gregori riconoscere immediatamente i compositori Verdi, alla Scala, con una Traviata (1947)
sui quali lei si esercitava al violino nella stanza destinata a far discutere. Perché se la sontuo-
accanto alla sua cameretta di bambino. sità delle scene di Gianni Ratto tranquillizza-
Questa propensione alla musica, unita a una va i benpensanti, la regia del ventiseienne
cultura musicale veramente fuori dal comune Strehler non rinuncia alla zampata iconocla-
per un uomo di teatro, ha fatto di lui un sta del sigaro dato da fumare, in scena, a Tito
compagno di strada non facile per i direttori Gobbi-Germont. Anni dopo, lo stesso regista
d’orchestra, spesso famosissimi, con i quali si ripenserà a quella soluzione come nata da un
è trovato a collaborare. È stato l’amore per la bisogno di verità, di naturalismo necessario
musica, unito al desiderio mai confessato, di sulle scene dell’opera del dopoguerra. «Oggi
riuscire a realizzare un teatro totale, magari invece - dice nel 1978 - la verosimiglianza dei
dirigendo attraverso interposta persona con personaggi la cerchiamo nella loro verità
un direttore scelto da lui, a spingerlo all’ope- come la partitura ci insegna con i suoi ritmi
razione forse più difficile ma anche più corag- drammaturgici e psicologici dettati dalla
giosa di tutta la sua vita di teatrante al quale musica. È questione di psicologia non solo
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Le nozze di Figaro,
Teatro alla Scala, 1981.
Nella pagina
successiva una scena
de Il flauto magico,
1974, Salisburgo
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FOTO DI LUIGI CIMINAGHI
Venezia del 1955, crea l’inconfondibile scena miliari nell’approccio registico all’opera di però, che pure se fa il dramma Mozart “non
della diabolica follia nel convento sotto un Verdi: Simon Boccanegra (1974) con le scene avverte nessuno e tutto sembra scorrere lieve.
arco di luce che spalanca il varco al cielo e Ezio Frigerio e il ferrigno Macbeth con le Anche se dentro c’è l’abisso la musica resta
all’inferno. La regia lirica, dunque, ci pone di scene di Luciano Damiani, entrambi con la “facile”, “chiara” e il suo travaglio, la sua feli-
fronte a un inaspettato Strehler sperimentale direzione di Claudio Abbado. Nella prima cità, stanno dentro la sua musica come nasco-
che cerca strade nuove nel rispetto della opera Strehler spalanca il tormento del doge sti nel profondo di una partitura che si svolge
musica, in presa diretta con il mondo di oggi genovese sulla sconfinata distesa di un mare quasi frivola all’apparenza”.
e con le avanguardie storiche del Novecento. abitato da vele appena mosse dal vento, men- Verdi come Shakespeare e Mozart come
Ma il confronto con la grande tradizione, con tre nel Macbeth cupo, barbarico e rossastro del Goldoni? Forse, ma è indubbio che questi
quelli che potremmo chiamare i classici del 1975 cita i film dell’amatissimo Ejzenstejn, due grandi ritornino nel lavoro strehleriano
melodramma è come un fiume sotterraneo negli strascichi neri dei protagonisti che si nei momenti di svolta o di crisi. E se con
pronto a riaffiorare nell’ammirazione per la muovono per la scena come draghi sanguina- Mozart è andato vicino alla realizzazione del
grandezza di Verdi e per la tenerezza smemo- ri. Dopo questa immersione nel grande mec- suo sogno grazie a Così fan tutte pensato per
rata, la sensualità lieve, l’inquieta incapacità canismo della storia e negli abissi degli animi inaugurare il Nuovo Teatro atteso per diciot-
d’amore che gli si rivela nelle grandi opere dei personaggi, Falstaff è l’apparentemente to anni, con prove esaltanti e feroci per
mozartiane. È sintomatico, del resto, che tranquillo porto della vecchiaia, del gioco determinazione durate poco più di dieci
dopo l’andata in scena, nel 1963, del mirabi- della vita fine a se stesso, della burla, del rim- giorni come se presagisse che il tempo non
le Vita di Galileo, forse il punto più alto della pianto di una giovinezza che non c’è più. gli sarebbe bastato e avesse l’ansia di lasciare,
sua ricerca su Brecht, Strehler incontri L’itinerario mozartiano di Strehler segue un perlomeno, il segno della sua presenza, del
Mozart per la prima volta con Il ratto del ser- tragitto più linearmente necessario. Strehler suo furore creativo, per Aida di Verdi,
raglio a Salisburgo (1965). E’ qui che inventa infatti firma tutte le opere maggiori del sali- un’Aida intima, cupa e disperata fra sabbia e
un gioco senza respiro, con le silhouette dei sburghese con il rimpianto, mai sopito, per dolore, che sembra germinare dalla terra per
personaggi stagliate come ombre cinesi alla quello che considera un suo scacco: l’andata poi esserne ringhiottita non ci sarà possibilità
ribalta. Un universo fiabesco in movimento in scena a Salisburgo di un Flauto magico che di realizzazione. Mettere in scena un’opera -
evocato attraverso i chiaroscuri di un libro segna la sua rottura con von Karajan per insu- ha detto - è un lavoro molto complesso e per
meraviglioso, nel quale immergersi. Due perabili divergenze nel modo di vedere l’ope- un regista è più facile lavorare con gli attori
mondi diversissimi dialogano dunque fra di ra. Di Mozart, tuttavia, accanto alla magnifi- che hanno problemi di parola che sul canto.
loro da palcoscenico a palcoscenico, mentre cenza del Ratto più e più volte proposto, ci Il che ci fa capire come i suoi spettacoli lirici
all’orizzonte stanno per nascere Le baruffe restano alcuni gioielli tutti nati dalla collabo- nascano sempre da riflessioni ponderate e da
chiozzotte di Goldoni: il segno di un ecletti- razione con Frigerio e con Riccardo Muti: un lungo e serio lavoro di meditazione per
smo creativo che non è debolezza ma, al con- dalle Nozze di Figaro del 1981 (ma c’era stata approdare a una visione meno contingente,
trario, uno dei punti di forza del magistero anche un’edizione a Versailles con Georg meno datata e il più universale possibile.
registico di Strehler. Solti), in cui, nella scena di un abbagliante Forse è stato per volere di quelli che Strehler
Nel nome di Giuseppe Verdi Strehler compie color crema, i cambiamenti sociali vanno di ha sempre chiamato gli dei del teatro se il
un vero e proprio itinerario dalla Traviata al pari passo con l’intrecciarsi degli intrighi, suo straordinario cammino di regista lirico si
Falstaff padano (1980) messo in scena, dopo come un minuetto dalle perfette geometrie, è interrotto nel giorno incantato di Così fan
aver acquistato con il Prospero della Tempesta alle cupe tenebre mortuarie del Don Giovanni, tutte con quel cielo estivo, quella luna che
di Shakespeare la coscienza che la maturità è inquieto, disperato eroe della notte che, sfi- occhieggia fra gli alberi ombreggiati dalla
tutto. Ma fra i due estremi ci sono quelle che dando il cielo e l’inferno, marcia verso il suo luce, nel luccicare della superficie del mare,
giustamente sono considerate come due pietre inesorabile destino. Sempre tenendo presente, fra i giochi dell’amore e del caso.
IN QUESTO NUMERO
EDITORIALE
La ricerca il teatro e l’arte
di Giovanna Marinelli
GIORGIO STREHLER
Lo strumento della poesia di Giovanni Macchia
Pemier amour di Franco Quadri
Parigi l’altro centro di Georges Banu
Strehler e la Tempesta di Agostino Lombardo
I ciliegi di Cechov di Paolo Emilio Poesio
La vocazione estrema di Renzo Tian
L’anima buona del Sezuan di Cesare Molinari
Strehler e i Giganti di Roberto Tessari
El nost Milan: il linguaggio della poesia di Giovanni Raboni
L’amico Goldoni di Myriam Tanant
Il Caligola ovvero la filosofia della rivolta di Katia Ippaso
Strehler e la regia lirica di Maria Grazia Gregori
INSERTO
Le quattro città del teatro d’arte di Giorgio Strehler
MENSILE DI INFORMAZIONE
DELLO SPETTACOLO
anno IV • numero 1
DIRETTORE RESPONSABILE
Renzo Tian
VICEDIRETTORE
Andrea Porcheddu
COMITATO DI REDAZIONE
Giovanna Marinelli
Ilaria Fabbri
Ninni Cutaia
Donatella Ferrante
Katia Ippaso
COORDINAMENTO ORGANIZZATIVO
REDAZIONALE E MARKETING
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COLLABORAZIONE ALLA REDAZIONE
Giuseppe Commentucci
UFFICIO STAMPA
Andreina Sirolesi
FOTO DI COPERTINA
Luigi Ciminaghi
PROGETTO GRAFICO
Fausta Orecchio
IMPAGINAZIONE
Silvana Amato, Sara Verdone
STAMPA
Futura Grafica
FINITO DI STAMPARE
Gennaio '99
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Georges Banu, Guido di Palma, Maria Grazia Gregori, Katia Ippaso
Agostino Lombardo, Giovanni Macchia, Cesare Molinari, Paolo Emilio Poesio
Franco Quadri, Giovanni Raboni, Myriam Tanant, Roberto Tessari, Renzo Tian
ETINFORMA, DIREZIONE E REDAZIONE
Eti • via in Arcione 98, 00187 Roma
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