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Giorgia Abrate

II anno di logopedia

RIASSUNTO DELLE LINEE GUIDA SULLA GESTIONE DEL PAZIENTE DISFAGICO ADULTO
Secondo quanto riportato in tali linee guida, in tutti i pazienti con stroke dovrebbe essere testato il rischio di disfagia
prima di iniziare a somministrare cibi o bevande. In tutti gli individui in cui si sospetta una disfagia deve essere
avviato un percorso di screening e valutazione prima di iniziare la somministrazione di alimenti o bevande.
Le procedure di screening per la deglutizione dovrebbero includere: l’osservazione iniziale del livello di coscienza del
paziente e del grado di controllo posturale. Se il paziente è in grado di collaborare attivamente e se è in grado di
mantenere il tronco eretto, la procedura dovrebbe includere: osservazione dell’igiene orale, del controllo delle
secrezioni orali e, se appropriato, un test del bolo d’acqua.
I protocolli di screening devono prevedere chiare indicazioni di azione relative a tutti i possibili esiti: ad esempio una
visita specialistica ulteriore, il nulla per os o la possibilità di alimentazione per os.
Nella valutazione della disfagia è raccomandata una valutazione clinica standardizzata al letto del paziente (bedside
assestment) in cui devono essere analizzate sempre le abilità comunicative, le funzioni cognitive e le capacità
decisionali. Ogni qualvolta sussista il rischio di complicanze (sospetto di inalazione) è indicato uno studio strumentale
tramite la VFG e/o la FEES.
Il percorso formativo necessario al personale infermieristico per poter eseguire lo screening per disfagia deve
comprendere: l’individuazione dei segnali di rischio e dei segnali precoci, l’osservazione delle abitudini alimentari, il
test del bolo d’acqua, il monitoraggio dell’idratazione e del peso.
La gestione del paziente disfagico dovrebbe essere multidisciplinare. I risultati del bilancio e le raccomandazioni sulla
gestione dovrebbero essere attentamente documentati e comunicati al professionista di riferimento, al caregiver e al
paziente. L’equipe, i caregivers e i pazienti dovrebbero essere formati sulle tecniche di alimentazione, con particolare
attenzione a: modificazioni posturali e dietetiche, scelta degli alimenti, gestione del comportamento e dei fattori
ambientali, esecuzione dell’igiene orale e gestione della preparazione del cibo. La somministrazione dei farmaci deve
essere garantita ai pazienti che non possono assumere nulla per os o che assumono una dieta modificata, con
opportuna informazione al personale preposto. Nei pazienti con disfagia deve essere effettuata regolarmente una
buona igiene orale, particolarmente nei pazienti con SNG o PEG al fine di favorire la cura della bocca e il benessere
del paziente. I pazienti con disfagia dovrebbero essere rivalutati regolarmente e con una frequenza relativa alle
caratteristiche cliniche della disfagia e allo stato nutrizionale, da un professionista competente nella gestione della
disfagia. Al termine di un bilancio completo della deglutizione devono essere date indicazioni relative a modificazioni
dietetiche e a tecniche di compenso (posture e manovre). I cibi di consistenza modificata dovrebbero essere
presentati con cura e resi appetitosi. Inoltre i pazienti dovrebbero avere possibilità di scelta tra diverse portate. I cibi
di consistenza modificata dovrebbero essere arricchiti in base alle esigenze nutrizionali del paziente. In alcuni quadri
di disfagia si dovrebbero utilizzare procedure compensative (posture di compenso, tecniche deglutitorie) per ridurre
sensibilmente il rischio di aspirazione. L’utilizzo di modificazioni dietetiche deve essere incluso nel piano di
trattamento, purché il suo effetto sia controllato con la VFS e/o con la fibroscopia.
Nelle disfagie in fase acuta deve essere preso in considerazione il più precocemente possibile (entro una settimana
dall’evento acuto) il posizionamento del SNG per i pazienti che non sono in grado di assumere per os il fabbisogno
nutrizionale. La decisione sul posizionamento dovrebbe essere presa dall’equipe multidisciplinare, in accordo con il
paziente e i care givers. Nelle disfagie in fase acuta, nella prima fase del ricovero, i pazienti dovrebbero essere
rivalutati settimanalmente dall’equipe, per stabilire se la nutrizione enterale sia necessaria per lunghi periodi. Per i
pazienti che necessitano di un’alimentazione enterale per lunghi periodi (maggiori di 4 settimane) è raccomandata
da PEG. Nelle disfagie progressive (es. SLA) la PEG dovrebbe essere posizionata prima che la capacità vitale diventi <
del 50-60%. Nel caso in cui la capacità vitale sia < del 50-60% il posizionamento della PEG dovrebbe avvenire con
respirazione non invasiva, somministrazione di ossigeno e blanda sedazione oppure tramite la metodica radiologica.
CASO DI DISFAGIA CON COMPONENTE COMPORTAMENTALE

La paziente, D.M, di 66 anni, accede al pronto soccorso in data 27/01/20 per un malessere non specificato.
Vive con badante, paziente in amministrazione di sostegno.

Relativamente all’anamnesi patologica remota, la paziente presenta una storia di psicosi ed epilessia, S.
involutiva senile avanzata, schizofrenia, pregresso etilismo.

In merito all’anamnesi patologica prossima, D. giunge in pronto soccorso in data 27.01 dopo l’apertura
delle porte da parte dei Vigili del Fuoco. Afferma di aver allertato lei stessa i soccorsi per un non meglio
precisato malessere. Il giorno seguente (28.1.20) viene eseguita una TC encefalica con evidenza di
ematoma subdurale cronico emisferico bilaterale con minima componente di sanguinamento recente. Il
28/01/20 avviene il ricovero in Neurologia.

All’esame obiettivo neurologico (28.1.20) la paziente si presenta: vigile e cosciente, parzialmente


collaborante (paziente agitata in relazione all'attuale ricovero, chiede con insistenza di poter tornare a
casa), pupille isocoriche, oculomozione in ordine, motilità attiva presente ai quattro arti, nega cefalea e
nausea.

In conclusione la paziente presenta un ematoma subdurale cronico emisferico bilaterale con una minima
componente di sanguinamento

In data 30.01 viene eseguita una valutazione logopedica per disfagia e disartria. Alla valutazione la paziente
appare vigile e collaborante, anche se affaccendata. Riferisce subito di avere difficoltà con i liquidi. La
valutazione della deglutizione evidenzia prassie orali adeguate, voce sonora e pulita, e soprattutto buona
gestione delle consistenze semi-solide, già impostate dal reparto. Riguardo i liquidi, si coglie un leggero
ritardo nell'innesco del riflesso di deglutizione. Tuttavia la gestione dei liquidi migliora decisamente
proponendo sorsi separati, con il cucchiaio. La disartria non risulta invece essere significativa.

Dalla valutazione emerge un'ASHA NOMS 5, con necessità di assistenza durante i pasti.
La deglutizione è sicura. Il fabbisogno idrico e alimentare è soddisfatto oralmente durante il pasto.
In conclusione, si conferma l'indicazione a proseguire con la dieta DD ed acquagel durante i pasti. Mentre
sarà possibile introdurre alcuni sorsi di acqua lontano dai pasti. La terapia farmacologica può essere
assunta tritata all’interno di alimenti di consistenza semi-solida.

Si prende in carico la paziente con i seguenti obiettivi:

- Monitoraggio della deglutizione con introduzione di ulteriori consistenze


- Attività di counselling con il caregiver (badante) e il personale di reparto (medici, infermieri, oss) al
fine di gestire al meglio l’alimentazione della paziente

Caso di disfagia in cui la paziente mostra un atteggiamento oppositivo/aggressivo


Se la paziente mostra un atteggiamento oppositivo o aggressivo si può ricorrere a una serie di misure volte
a ridurre e contenere l’aggressività, al fine di riuscire a portare a termine i propri obiettivi di trattamento.
Per garantire la sicurezza, un paziente potenzialmente aggressivo dovrebbe sempre essere visto in
presenza di altre persone, personale sanitario o familiari. La stanza scelta per il colloquio dovrebbe essere
silenziosa, ben illuminata e non disturbata, non deve presentare barriere tra il professionista sanitario e
l’uscita (via di fuga) e devono essere rimossi dalla stanza oggetti in vista utilizzabili come arma impropria
tipo forbici, tagliacarte o fermacarte sul tavolo. Per ridurre l’escalation dei comportamenti aggressivi nella
fase acuta sono consigliati interventi di desensibilizzazione basati sulla comunicazione verbale e non
verbale che hanno un razionale nella psicologia cognitivo-comportamentale e seguono il modello del ciclo
dell’aggressività, mirando al contenimento graduale del soggetto grazie al riconoscimento delle sue
esigenze e all’avvio di una negoziazione che recepisca il contenuto emotivo della crisi, ma ne devii il
comportamento.

Postura e linguaggio corporeo:


1. Avvicinarsi alla paziente mostrando un atteggiamento tranquillo e rilassato.
2. Non volgere mai le spalle alla paziente ed evitare di posizionarsi di fronte a lui: darle le spalle può
scatenare manifestazioni di rabbia e rendere l’operatore un facile bersaglio. È consigliata una posizione ad
angolo che comunica più disponibilità al dialogo e favorisce un più rapido allontanamento in caso di
violenza.
3. Mantenere il contatto oculare, senza fissare la paziente e incoraggiare l’utente a sedersi, ma in caso di
rifiuto si raccomanda anche al sanitario di rimanere in piedi.
4. Non sorridere e, soprattutto, non toccare la paziente: questo tipo di comportamenti possono assumere
significati ostili per l’utente. Il contatto fisico potrebbe essere percepito come minaccioso, mentre il sorriso
come derisione.

Il sanitario deve mostrare autocontrollo:


1. Rispondere con la massima calma, dimostrando di avere la situazione sotto controllo.
2. Non rimproverare la paziente: spesso non è cosciente delle sue azioni. La sua rabbia è una
manifestazione del suo disagio e della sua paura.
3. Non simulare indifferenza: la minimizzazione può aumentare l’aggressività della paziente.
4. Essere empatico con i sentimenti ma non con i comportamenti: è necessario fargli capire l’intenzione di
comprendere il suo disagio, offrire aiuto, ma che non sono accettabili comportamenti violenti o minacce.
5. Qualsiasi intervento ponderato deve essere fatto con fermezza, con il coinvolgimento della paziente,
spiegandogli limiti e ruoli in modo autorevole, senza diventare mai aggressivi.
6. Essere molto rispettosi verso la paziente.
7. Non stare sulla difensiva: commenti e insulti, anche se diretti al sanitario, non devono essere
personalizzati. Non serve difendere se stessi o il proprio ruolo dalle accuse.

Comunicazione e linguaggio verbale: parlare chiaramente e lentamente, con tono di voce pacato e
rassicurante.
1. Chiamare sempre per cognome la paziente: è segno di rispetto e di attenzione.
2. Ascoltare tutto ciò che la paziente dice, anche se incoerente, senza polemizzare: facilita un dialogo
produttivo per trovare le ragioni della sua aggressività e le cause scatenanti.
3. Mostrare disponibilità all’ascolto, riutilizzando nella comunicazione le parole della paziente. Questo
dimostra alla paziente che il sanitario lo sta ascoltando con l’intenzione di aiutarlo.
4. Focalizzare il dialogo nel cercare di rispondere all’esigenza immediata della paziente, in modo che lei
comprenda che il sanitario sta cercando veramente di aiutarlo.
5. Rispondere alle domande in modo selettivo: a tutte le domande si deve rispondere con un contenuto di
informazione, senza curarsi di quanto aggressivamente siano state poste. Non rispondere invece a
domande provocatorie e insulti.
6. Cercare di entrare in contatto con la paziente a livello cognitivo: ad esempio, invece di chiedere “mi dica
come si sente” si può usare una formula come “mi aiuti a capire quello che mi vuole dire” in modo da
impegnare la paziente a spiegare ciò che vuole che il sanitario sappia.
Indicazioni al caregiver e al personale di reparto per il contenimento della paziente durante la
somministrazione dei pasti:
- Avvicinarsi in modo tranquillo, parlare chiaramente e lentamente con tono di voce pacato
- Proporre le cose con calma e rispettare i suoi tempi
- Individuare ed eliminare eventuali fonti ambientali di disturbo

La paziente può assumere cibi di consistenza semisolida ed acquagel durante i pasti. È possibile introdurre
alcuni sorsi d’acqua lontano dai pasti e mediante l’utilizzo di un cucchiaio.

Caso di disfagia in cui la paziente mostra un atteggiamento rinunciatario/passivo


Al fine di portare a termine gli obiettivi della presa in carico, risulta necessario far comprendere alla
paziente che è possibile reagire nei confronti dell’ambiente circostante, nei confronti del quale non è
impotente ma ha la possibilità di modellarlo mediante le sue azioni. Fargli capire che le sue opinioni
vengono ascoltate e, quando possibile, coinvolgerla nella ricerca di soluzioni ai problemi. Sollecitare il suo
contributo servirà a smentire le sue convinzioni e a coinvolgerla in maniera funzionale.

Indicazioni al caregiver e al personale di reparto per la stimolazione della paziente durante la


somministrazione dei pasti:
- Avvicinarsi in modo tranquillo, parlare lentamente e con tono di voce pacato
- Proporre le cose con calma e rispettare i suoi tempi

La paziente può assumere cibi di consistenza semisolida ed acquagel durante i pasti. È possibile introdurre
alcuni sorsi d’acqua lontano dai pasti e mediante l’utilizzo di un cucchiaio.

Caso di disfagia in cui la paziente si rivela anosognosica/confusa


Al fine di portare a termine gli obiettivi della presa in carico, risulta necessario provvedere al suo
riorientamento (reality orientation) e comunicargli in modo semplice informazioni circa chi è, dove si trova
e cosa fa. Indicazioni al caregiver e al personale di reparto per la gestione della paziente durante la
somministrazione dei pasti:
- Parlare usando parole semplici e fasi brevi
- Proporre le cose con calma e rispettare i suoi tempi
- Individuare ed eliminare eventuali fonti ambientali di disturbo

La paziente può assumere cibi di consistenza semisolida ed acquagel durante i pasti. È possibile introdurre
alcuni sorsi d’acqua lontano dai pasti e mediante l’utilizzo di un cucchiaio.

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