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Un diritto incalcolabile

N. Irti
Giappichelli, Torino 2016

“Un diritto incalcolabile”, l'ultimo lavoro di Natalino Irti edito da Giappichelli, accompagna il
lettore in un percorso ambivalente, sia storico che concettuale. La capacità dell'A. a presagire le
direttive di sviluppo del magma giuridico trova qui massima espressione e riporta alla mente le
sensazioni di profetico straniamento di “L'età della decodificazione”.
Nelle ultime righe della prefazione si coglie un fertile suggerimento, quello di compiere il cammino
al contrario partendo dal capitolo finale per giungere al primo; da un luogo conosciuto spingersi
verso lidi inesplorati.
Così si è fatto e la familiarità di quelle pagine la si è colta immediatamente nel leggere la
celebrazione di un normativismo maturo e meditato: una lezione mirabile di teoria generale
leggibile a più livelli.
Le norme descrivono fatti ma questa descrizione non può dirsi vera è o falsa, non è un descrivere
controllabile nel raffronto con la realtà esterna. Il descrivere delle norme è un descrivere costitutivo
nel senso di porre figure di accadimenti, di azioni, di eventi senza nome e senza volto, in tal senso
generali ed astratte che superano in sé l'istantaneità del singolo evento che descrivono, vivendo ben
oltre l'esaurirsi di quello.
La dinamica della normazione, quindi, consiste in un procedimento che si mostra come selezione e
raccolta di fatti “nella tipicità di uno schema” (p.172).
In tal senso la norma si scopre propriamente quale “forma di un processo che si impone all'evento”
(p. 177), non forma vuota “che attenda dall'esterno il proprio contenuto” (p.178) bensì artificiale
capacità di significazione e garanzia di stabilità dei significati, un vero e proprio congegno
epistemologico che permette e garantisce la “calcolabilità” del divenire riducendolo ad
“ordine”(p.180). Il cerchio si chiude approdando alla tesi per cui “l'ordine delle azioni riposa
sempre su un sistema di norme: si direbbe, su un ordinamento.”
La teorica proposta prende chiaramente partito contro le soluzioni della naturalità e della fattualità
giuridica, del diritto e delle norme, componendo virtuosamente in sé le garanzie di “normalità,
uniformità e regolarità” logiche del normativismo kelseniano e le intuizioni schmittiane sulla
genesi decisionistico-politica del diritto.

Gli studi di M. Weber del sistema liberale individuano nella calcolabilità il presupposto necessario
per la propulsione capitalistica. Il diritto per l'imprenditore è, e deve essere, una variabile
controllabile al fine di orientare con sicurezza l'agire economico. Sulla base di ciò l'istanza
capitalista mira al governo dell'imprevedibile farsi del divenire concreto.
Il diritto diventa garante di questo risultato attraverso l'opera della legge che accoglie l'imprevisto
rendendolo riconoscibile. Il fatto incalcolabile viene riconosciuto come caso di un tipo a cui si
riconnette stabilmente un certo effetto giuridico: è l'operare di quel meccanismo di chirurgica
certezza che è la fattispecie come species facti.
Traslando il meccanismo statico della fattispecie sul piano dinamico della decisione giurisdizionale
si assiste al compiersi dell'opera di quello che può compiutamente definirsi “giudizio giuridico”,
quale raffronto del fatto bruto, nella sua irripetibile concretezza, con la previsione generale ed
astratta della legge. “Il diritto è il mondo della decisione. Al fine di concludere, bisogna tagliare fra
le diverse soluzioni, ridurre la pluralità di unicità” (pag. 117). La decisione, legislativa o
giudiziale, è imprescindibile in quanto scioglie il dubbio e permette l'azione ma “la decisione,
qualsiasi decisione, implica un criterio sicché una possibilità sia preferita alle altre (…) La legge si
è impadronita di tale perché, lo orienta e dirige, lo vincola e controlla, con le proprie norme. La
decisione della causa è assunta ad applicazione della legge” (pag. 128).
In tal senso il giudizio si mostra come applicazione della legge ad opera del giudice, il quale,
percorrendo la retta e sicura via del sillogismo giudiziale, determina la riconduzione del fatto nei
riconoscibili contorni di un caso dell'ipotesi di legge.
Il cerchio si chiude: dalla decisione genetica dell'ipotesi di legge generale ed astratta si arriva con
una dinamica circolare alla decisione del magistrato/interprete come opera di giudizio, quale
attribuzione di un predicato di giuridicità ad un fatto della vita. Certezza sicurezza e calcolabilità del
divenire creano le condizioni perfette per lo sviluppo del capitalismo liberale: “lo Lo Stato moderno
riposa, a ben vedere, sulla circolarità logica tra decidere, giudicare e applicare la legge” (pag. 6).

Ciò di cui si discorre non è però l'immagine dell'oggi piuttosto la conformazione di quel che era ieri.
La contemporaneità sembra mostrarsi nel segno del dominio del divenire incalcolabile. Non vi sono
più strumenti per anticipare le linee di sviluppo della realtà odierna e tipizzarla, nel suo concreto
farsi. Ogni prognosi viene continuamente smentita dalla diagnosi. E ciò, segnala l'A., per almeno
due ordini di ragioni che cristallizzano, ormai irrecuperabile, quella che può definirsi “crisi della
fattispecie”: da un lato la “decodificazione”, un certo movimento delle fonti che si registra come
trasformazione quantitativa (aumento quantitativo degli atti e fatti capaci di produrre diritto) e
qualitativa (diretta applicabilità di norme e principi senza fattispecie); dall'altro l'ascendere
dell'interprete dalla legge al diritto e dal diritto ai valori, quel movimento che dalla fattispecie si
sposta ai principi costituzionali e, per la diretta scienza di questi, arriva direttamente al cospetto dei
valori.
Le conseguenze sono di tutto punto e ci consegnano un quadro totalmente nuovo dai contorni
incerti e difficilmente misurabili.
Si assiste in sostanza al presentarsi di fronte l'interprete/giudice del nudo e crudo interesse di parte,
della “situazione di vita” che chiede tutela, se non in ragione dalla mutevole e mai risolutiva
volontà del singolo legislatore, in ragione dell'insieme dei principi e dei valori del ordinamento
sociale. Il giurista, allora, viene incaricato di una funzione più delicata: la ricerca del giusto rimedio
alla stregua del valore giuridicamente rilevante di riferimento. Dall'ordine artificiale dei casi al
disordine vitalistico della casistica, il peso della risposta giuridica grava, ora, totalmente sul
giudicante e sulla sua decisione: la decisione “si distacca da applicazione della legge e logica
sussuntiva, si appoggia su criteri costruiti o intuiti dallo stesso giudicante” (pag. 9). La decisione
per valori perde ogni riferimento esterno – quello della legge nel passato metodo per fattispecie – e
trova le sue ragioni tutte nell'espansività tirannica del valore stesso, rivelandosi come pura
realizzazione e presa di posizione esistenziale.
Tirando le somme si assiste ad un passaggio nel segno della complessità: il passaggio da “un volere
creativo di calcolabile oggettività” ad “un valore immerso nell'immediato soggettivismo”.
L'esito, però, non è disperante né tanto meno remissivo di fronte alla perdita di uno strumento di
razionalità e sicura tradizione come la fattispecie. “Le società umane sempre hanno bisogno del
giudizio, ossia di quelle decisioni che, troncando il conflitto, in uno o altro modo.Il nostro lavoro
non si interrompe, ma continua in un nuovo orizzonte” (pag. 31).

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