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Capitolo primo
Compiti e finalità della tossicologia forense
La tossicologia forense, si caratterizza per affrontare problemi legati alla lesività di natura chimica.
Disciplina nata nell’ambito della medicina legale, per la necessità di indagine su materiale
cadaverico per la ricerca dei veleni, fu oggetto di miglioramento in seguito allo sviluppo
tecnologico della società moderna e l’esigenza di disciplinare alcuni settori con le leggi. Il compito
più preciso è quello di studiare il rapporto tra uomo e agente tossico, attraverso l’identificazione e
la valutazione delle sostanze tossiche in qualsiasi substrato, biologico o meno, in riferimento a
fattispecie giuridiche. La tossicologia si è orientata verso sostanza assunte a scopo voluttuario
(alcool o stupefacenti), il doping, tossicologia dei farmaci e degli alimenti. Nell’ambito della
disciplina possono essere distinti due momenti ben precisi:
L’indagine di laboratorio, che porta all’acquisizione sia quantitativa che qualitativa del dato
analitico;
L’interpretazione e motivazione dello stesso
Per quanto concerne la modalità di esecuzione:
1) Un primo aspetto fa riferimento alla scelta della tecnica analitica, la quale deve possedere
caratteristiche di elezione, deve essere dotata di specificità, sensibilità e affidabilità;
2) Un secondo aspetto la metodologia di esecuzione che deve offrire la possibilità di
confermare il dato ottenuto con una diversa tecnica analitica e di salvaguardare la
ripetibilità dell’indagine medesima mediante una idonea conservazione del materiale.
Un supporto imprescindibile è dato dal laboratorio di chimica tossicologica è fornito di
attrezzature idonee ad effettuare le indagini richieste. Solamente approntandosi ad una struttura
ben organizzata che si potranno approntare nuove metodologie analitiche nel campo delle analisi
tossicologico forensi. Il compito del tossicologo non si esaurisce nell’esecuzione semplice delle
analisi, ma deve valutare, ai fini della rilevanza giuridica, l’eventuale danno prodotto dalla sostanza
tossica. Il tossicologo deve operare in diversi settori, quali la chimica, la farmacologia la biologia, la
medicina e il diritto.
Il principale fondatore della disciplina viene considerato M.J. Orfila, autore, nel 1814, de Trattato
dei veleni o Tossicologia generale, nel quale delinea il primo vero approccio scientifico all’analisi
chimica dei reperti autoptici.
Il tossicologo appare l’unico responsabile dell’intera conduzione degli accertamenti sia sulla
acquisizione del dato e sia sulla valutazione dello stesso. Diversa è la situazione se il tossicologo
effettua le indagini, non come perito o consulente tecnico, ma come responsabile di un laboratorio
di tossicologia forense. Un problema riguarda la custodia dei reperti di materiale biologico e in
particolare quello cadaverico, e l’opportunità di intervento sul cadavere, in epoche diverse. Il
tossicologo si trova essere responsabile della custodia dei reperti per tempi non definiti, dovendo
affrontare notevoli difficoltà logistiche. Inoltre appare imprescindibile l’obbligo di riservatezza
dell’incarico stesso.
Caso Gibbone:
La scoperta avvenne in relazione ad un presunto caso di veneficio che fece scalpore e diede luogo
a tormentate vicende giudiziarie. Nel gennaio del 1870, il generale Gibbone, uomo di 60 anni,
apparentemente sano, prima di andare a lavorare al Ministero prese una tazza di caffè
preparatagli dall’attendente (soldato addetto al personale servizio di un ufficiale) Ricca. Colto quasi
subito da un malore, venne a morte lo stesso giorno. Immediatamente si sospettò che fosse stato
avvelenato, in ordine non solo alle circostanze, ma anche per una serie di fatti che riguardavano
l’attendente, il quale conduceva una vita dedita al gioco, e poteva essere accusato del furto di
cartelle di rendite vitalizie appartenenti al Generale. Inoltre, l’amante del Ricca, secondo alcuni
testimoni, aveva cercato invano di acquistare alcuni veleni e si era saputo che in quei giorni era
stata venduta ad uno sconosciuto una certa quantità di stafisagria. Eseguita l’autopsia, in ritardo,
quando ormai i fenomeni putrefattivi si erano impadroniti del cadavere non si riscontrò nulla che
potesse pensare ad una morte naturale e gli estratti dei visceri della vittima avevano fatto morire
tutte le rane alle quali erano state somministrate. Pertanto conclusero che il Generale era stato
avvelenato con la delfinina, principio attivo della stafisagria. I consulenti della difesa, sostenettero
che la morte fosse dovuta ad una patologia renale, nonostante ciò il Ricca venne condannato a
morte e la sua amante a 15 anni di carcere. In appello del nuovo processo venne incaricato il
professor Selmi, il quale affermò che la sostanza che erroneamente i periti avevano identificato nei
visceri come delfinina altro non era che una ptomaina, cioè un prodotto formatosi dalla
decomposizione del cadavere. Nonostante tale affermazione il Ricca venne comunque condannato
all’ergastolo. Successivamente si venne a sapere, in seguito alla confessione fatta al suo avvocato
che aveva cercato veramente di avvelenare il Generale, usando una polvere che aveva conservato
e poi consegnato. Tale polvere fu un insetticida la polvere di Artemisia, assolutamente innocua per
l’uomo. Dunque la morte dell’uomo era realmente causata da una nefrite anche se il suo
attendente era convinto di averlo avvelenato.
La possibilità che tali sostanze fossero scambiate all’analisi per veleni esogeni, portò, a partire
dalla seconda metà dell’800 a rivedere la validità dell’indagine del giudizio nella diagnosi su
materiale cadaverico.
Il concetto di veleno
E’ a tutti noto che alcune sostanze in particolari condizioni possono produrre danno all’uomo
attraverso un’azione tossica. Secondo alcune scuole medico-legali si può definire veleno “ogni
sostanza che, introdotta nell’organismo, cagiona malattia ed eventualmente la morte con
meccanismo chimico o biochimico”. Altri autori, invece, nel definire un veleno introducono la
limitazione che “debba agire in quantità relativamente piccola o in dosi relativamente piccole”. Il
codice penale considera il veneficio sotto il profilo delle circostanze aggravanti dell’omicidio
doloso, in riferimento alla insidiosità del mezzo: Per poter agire con insidiosità e proditorietà è
certo che il veleno deve esplicare la sua azione lesiva in dosi esigue in modo da essere dissimulato
nel momento in cui viene introdotto nel corpo umano e occultato a reato avvenuto. Al di là del
problema definitorio rimane il fatto che il termine “veleno” non esprime un concetto assoluto non
essendo individuabile alcuna sostanza che possa in ogni circostanza agire come tale. Ossia non
esistono sostanze che abbiano di per sé “ab occulta proprietate”, la capacità di nuocere. In realtà,
la capacità di causare un’azione lesiva di natura chimica è legata a diversi fattori: alcuni sono
propri della sostanza stessa, primo fra tutti la dose che può trasformare un medicamento in una
sostanza altamente lesiva, oppure la solubilità che rende un veleno assimilabile o meno
dall’organismo.
Alcuni fattori sono collegati alle condizioni del soggetto che può rispondere in maniera diversa
all’azione lesiva a seconda dell’età, dello stato di salute, della sensibilità individuale ed anche della
tolleranza acquisita verso una determinata molecola. Per veleno si intendono tutte le sostanze che
siano responsabili di una azione lesiva di natura chimica acquisita, non devono perciò essere presi
in considerazione agenti patogeni che appartengono alla sfera materiale vivente e presuppongono
meccanismi complessi di azione e indagini che esulano dalle realtà della ricerca chimica
tossicologa. Gli avvelenamenti in vasi all’insorgenza e al decorso possono essere classificati in acuti
o cronici: Le intossicazioni acute, legate ad una somministrazione, mostrano le caratteristiche di
manifestarsi rapidamente con la possibilità di condurre a morte in poco tempo; le intossicazioni
croniche sono dovute all’assorbimento lento e ripetuto di una piccola quantità di tossico con un
decorso di mesi o anni.
Il veneficio
Il Codice penale individua il veneficio nel momento in sia stato utilizzato un mezzo veneficio o un
altro mezzo insidioso e considera aggravante il fatto che un omicidio sia stato commesso in questo
modo. La gravità deriva dalle modalità d’uso.
1. Criterio clinico: Attiene alla conoscenza della sintomatologia presentata dal soggetto prima
della morte, in base alla quale si possa desumere uno stato di avvelenamento ed anche
individuare la quantità di veleno. Non sempre si hanno a disposizione gli elementi di
giudizio collegati al criterio clinico, essendo frequente nell’avvelenamento che la morte
sopravvenga prima che qualcuno abbia la possibilità di osservare i fenomeni morbosi che
l’hanno preceduta;
2. Criterio circostanziale: Detto anche delle “circostanze estrinseche” o “storico-
anamnestico”, si fonda sull’acquisizione e sulla valutazione di tutte le notizie collegate
all’evento che ha portato all’avvelenamento, generalmente raccolte dall’autorità
inquirente, In questo criterio confluiscono tutti i dati del sopralluogo che spesso possono
essere di grande utilità;
3. Criterio anatomo-patologico: Esso consiste nell’acquisizione e nel rilievo di tutti gli elementi
di giudizio che provengono dall’esame esterno del cadavere e dall’autopsia completata con
l’esame istologico dei visceri. L’attività di osservazione diretta, di sezione del cadavere e di
valutazione degli esami istologici sono usualmente di competenza medico legale. Vero è
che nella maggior parte dei casi di intossicazioni mortali, prevalente è l’evenienza che i
reperti anatomo-patologici siano negativi, ossia non siano in grado di indicare la causa della
morte, negatività peraltro che può rappresentare un dato favorevole per accreditare
l’ipotesi di decesso per lesività di natura chimica. Deve poi essere sottolineato che
l’autopsia consente i prelievi di visceri e liquidi biologici per le successive indagini chimico
tossicologiche e di laboratorio;
4. Criterio biologico: Attualmente riveste un ruolo secondario nel contribuire alla diagnosi di
avvelenamento, consiste principalmente nel valutare gli effetti provocatori su cavia del
presunto veleno da materiale cadaverico.
5. Criterio chimico-tossicologico: attiene alla ricerca del veleno nel cadavere, attraverso le
opportune indagini di laboratorio. Fu Selmi, nel 1872 che identificò le ptomaine, sostanze
endogene prodotte dalla putrefazione, che potevano essere scambiate con facilità per
alcaloidi naturali di origine esogena e quindi indurre in errore riguardo la presenza d veleni
assunti dalla vittima. Tali sostanze erano in grado di falsare anche le risposte che
provenivano dal criterio biologico, causando con la loro presenza negli estratti di visceri la
morte dell’animale al quale venivano somministrate. Attualmente il riaffermarsi del ruolo
del ruolo fondamentale compete al criterio chimico.
Per concludere è possibile affermare che la diagnosi di avvelenamento deve scaturire dall’insieme
di tutti gli elementi di giudizio emersi dai criteri atti a dimostrare un nesso causale tra l’azione
lesiva di natura chimica e la morte. Soltanto dopo aver verificato la univoca corrispondenza si
potrà giungere ad un’affermazione di certezza o di elevata probabilità, come peraltro richiesto
nelle indagini effettuate ai fini di giustizia.
Veleni metallici
I veleni metallici vengono isolati dai tessuti e liquidi attraverso la distribuzione della matrice
biologica che può avvenire a secco mediante incenerimento in muffola o per via umida attraverso
l’azione di acidi forti. Negli ultimi anni si sono sviluppate molte metodiche che consentono le
analisi dei metalli: tecniche elettrochimiche, spettroscopiche e il classico metodo di Reinsch che
rileva soltanto alcuni dei circa venti potenziali metalli tossici in pochi minuti, ma applicabile su ogni
tipo di materiale.
Anioni tossici
Gli avvelenamenti da anioni tossici non sono frequenti (permanganati, borati, clorati, ioduri etc.) Il
materiale da analizzare è il contenuto gastrico, i test sono applicati dopo una fase di separazione
degli anioni che può essere attuata o attraverso una semplice filtrazione o per mezzo di dialisi, o
tramite precipitazione proteica.
Monossido di carbonio
Tra le sostanze che mietono più vittime per intossicazione acuta primeggia il monossido di
carbonio (CO), un gas inodore, incolore, non irritante, di densità molto vicina a quella dell’aria, che
brucia con formazione di anidride carbonica (CO2). La pericolosità è data dal fatto che è
inavvertibile qualora si mescoli con l’aria. E’ presente nelle esalazioni vulcaniche, in una
incompleta combustione di sostanze contenenti carbonio, e in ambiente domestico, dove vengono
bruciati derivanti del carbonio, quali stufe, caldaie, scaldabagni. Il monossido di carbonio è anche
un componente in piccolissime percentuali dell’atmosfera, a causa soprattutto del traffico
veicolare. La pericolosità sta nel fatto che il CO possedendo una affinità da 200 a 300 volte
superiore a quella dell’ossigeno per l’emoglobina, si fissa ad essa dando origine alla
carbossiemoglobina ed impedisce la formazione di ossiemoglobina, garante dei processi di
ossigenazione. I sintomi dipendono dalla concentrazione presente nel sangue. Si ritiene fatale,
quando i 2/3 dell’emoglobina sono combinati con il CO (60/70%). Negli anziani per via di una
diminuita capacità respiratoria, il pericolo di morte è minore (50%). Tra i sintomi vi sono:
debolezza, vomito, sincope, coma con convulsioni, pulsazioni deboli…)
Per via della presenza di C= nell’aria, in ognuno di noi è presente l’1%, nei soggetti fumatori, il
3%/10%. E’ presente monossido di carbonio, nel momento in cui il cadavere mostri le ipostasi di
colore rosso vivo e al riscontro con l’autopsia sia il sangue sia i visceri presentino anch’essi la
stessa colorazione con ulteriori accertamenti. L’individuazione viene effettuata con metodi
gascromatografici, spettrofotometrici etc.
Capitolo quarto
Alcool etilico
L’acool etilico è la sostanza psicoattiva d’impiego più frequente e più antica. Questa semplice
importanza si è profondamente radicata nelle società, influendo sulla religione, economia, politica
ed altri aspetti della vita quotidiana, dall’antichità ad oggi. L’alcool è una sostanza che viene
assunta perché ritenuta gradevole e procurano sensazioni diverse dal solito e apparentemente
positive, come il thé, il caffe ed il tabacco. Tale ingerimento divenne un problema per la comunità,
determinando eventi di carattere accidentale. L’alcool etilico o etanolo ingerito come bevanda a
diversa graduazione viene rapidamente assorbito da stomaco e dall’intestino e si distribuisce
uniformemente nei tessuti e nei liquidi corporei. La eliminazione inizia velocemente e si realizza
per il 90/98% attraverso il metabolismo e il restante 2/10% attraverso reni e polmoni.
Esiste un rapporto diretto tra l’incidenza dell’alcool sul comportamento e la concentrazione
ematica.
IMMAGINE
Metodi di accertamento
Per quanto concerne il dosaggio dell’alcool etilico, nel vivente i campioni di elezione sono il sangue
(per via della concentrazione ematica di alcool) e l’aria espirata. I metodi più importanti sono la
gascromatografica ed il metodo enzimatico, basato sulla trasformazione di etanolo ad acetaldeide
attraversi la catalisi dell’alcool deidrogenasi e susseguente lettura spettrofotometrica
dell’accettore specifico. Per misurare la concentrazione di etanolo nell’aria espirata sono
disponibili apparecchi elettrochimici portatili molto accurati. Il risultato ottenuto prevede che la
concentrazione di etanolo nell’aria alveolare sia proporzionale a quella nel sangue. La
concentrazione nelle urine è in genere lievemente superiore rispetto a quella nel sangue ma, per
la sua variabilità, non riesce ad essere un valido indicatore dell’incidenza dell’alcool sul
comportamento. Anche la saliva potrebbe essere una interessante matrice biologica, mostrando
un rapporto con il sangue, pari 1,1. Vi sono metodi basati su biomarcatori per dimostrare l’abuso
cronico e la diagnosi di indipendenza, la più efficace è la “transferina deficitaria in carboidrati
(CDT). Le tecniche per tali marcatori sono l’elettroforesi capillare e la cromatografia liquida ad alta
risoluzione.
Ubriachezza da alcool
Nel codice penale sono state individuate diverse tipologie di ubriachezza:
1) Ubriachezza accidentale (articolo 91 c.p.): quella che deriva da un carattere di forza
maggiore, un soggetto che abbia bevuto per errore una bevanda alcoolica ritenendola non
alcoolica o chi si ubriachi perché accidentalmente esposto in una cantina o in una distilleria
ai vapori di alcool diffusi nell’aria ambiente.
2) Ubriachezza volontaria o colposa (articolo 92, comma 1 c.p.): si riferisce ad un soggetto che
nel commettere un reato si trovi in uno stato di ubriachezza che si è procurato
volontariamente o per negligenza o imprudenza.
3) Ubriachezza preordinata (articolo 92, comma 2 c.p.): un soggetto si ubriaca dolosamente al
fine di commettere un reato per invocare poi la incapacità di intendere e di volere.
4) Ubriachezza abituale (articolo 94 c.p.): chi si trovi frequentemente in stato di ubriachezza,
perché dedito all’uso di bevande alcooliche. Si verifica un aumento della pena.
5) Cronica intossicazione da alcool (articolo 95 c.p.): Un soggetto nel quale si sono instaurate
alterazioni mentali profonde e definitive per cui può essere considerato parzialmente o
totalmente malato di mente come tale punibile con pene ridotte o non punibile.
Sono soggetti a sanzioni anche coloro che manifestano i luogo pubblico lo stato di ebbrezza o
somministrano bevande alcooliche ai minori o infermi di mente.
Capitolo quinto
Stupefacenti
L’uomo, fin dai tempi della preistoria, ha sempre cercato di modificare la sua condizione, l’umore,
la capacità di percepire, il senso della fatica, il senso del dolore, attraverso l’suo di sostanze
naturali che permettessero di evadere dalle difficoltà della vita. Alcune droghe quali l’oppio, la
cannabis, le foglie di coca, il peyotl, hanno fatto parte delle tradizioni culturali e religiosi di molte
popolazioni. L’abuso di stupefacenti cominciò a diffondersi nella seconda metà dell’800 legato allo
sviluppo della società industriale, fino a diventare un problema di portata mondiale.
Interventi legislativi
Riferimenti normativi precedenti la legge n.685/1975
In Italia venne emanata la legge 18 febbraio 1923, n.396, sulla repressione di sostanze velenose
aventi azione stupefacente seguita da un regolamento. Si trattava di un elenco contenente
quattordici voci riferite alla cannabis, allo oppio, alle foglie di coca e ai loro derivati. Il Codice
Penale del 1931 prevedeva una serie di pene. Successivamente venne emanata la legge 7 giugno
1934, n.1145 in sostituzione di quella del 1923, introducendo un possibile recupero del
tossicodipendente mediante il ricovero coatto in centri specializzati. Il 22 ottobre 1954 fu emanata
la legge n.1041 contenente la Disciplina della produzione del commercio e dell’impiego degli
stupefacenti.
Il referendum abrogativo
Il referendum del 15 aprile 1993, entrato in vigore il 5 luglio 1993, modificò il T.U. in materia di
stupefacenti. La proibizione dell’uso personale di stupefacenti venne abrogata e venne restituita al
medico ampia libertà di cura del tossicodipendente anche attraverso l’uso di farmaci che invece in
precedenza potevano essere gestiti solo dai servizi pubblici e decadde l’obbligo per il medico di
comunicare le terapie e le generalità del soggetto a tali enti.
Trattati internazionali
La complessità del fenomeno droga, le sue dimensioni su scala mondiali, hanno ingenerato in
molti Stati, fin dai primi tempi del manifestarsi di questo problema, la convinzione che la lotta al
grande traffico si poteva rafforzare non solo con gli interventi legislativi ma, anche attraverso una
ampia cooperazione a livello internazionale. Gli atti in Italia sono stati influenzati dalla normativa
internazionale. Vi fu la Convenzione Unica di New York del 1961, tuttora vigente, in cui si sanziona
il traffico di stupefacenti se non per fini medici. L’introduzione di nuove sostanze stupefacenti, ha
portato ad un nuovo accordo internazionale, la Convenzione di Vienna del 1971, entrata in vigore
nel 1976 in Italia, che si caratterizza per i criteri dediti all’individuazione degli stupefacenti. Gli
accordi si qualificano per una più intensa collaborazione tra gli Stati aderenti a tale iniziativa e per
ribadire il carattere di reato di ogni tipo di produzione e di commercio degli stupefacenti. Fu
elaborata la “consegna controllata”, il consentire il passaggio sul territorio di uno o più paesi delle
sostanze spedite illecitamente, al fine di individuare le persone coinvolte. Nonostante l’ampia
collaborazione, non si può affermare di aver raggiuto particolari successi.
Difficoltà lessicali
Le sostanze assunte a scopo voluttuario vengono indicate con differenti termini:
“Droga”: vocabolo ormai entrato nell’uso comune per indicare le sostanze di abuso,
mantenendo i significati originari di aroma e spezia che serve a dar sapore ai cibi e alle
bevande;
“Sostanza psicotropa”: intesa come composto in grado di agire sulla psiche;
“Narcotico”: vocabolo che si tende ad abbandonare poiché fa riferimento alle sostanze che
producono un effetto di narcosi;
“Stupefacente”: termine più usato e accettato nella terminologia giuridica e
amministrativa.
Problema definitorio
Definire che cosa sia uno stupefacente è un problema arduo, e le proprietà con cui una sostanza
viene individuata con tale termine, sono trascritte nella Convenzione internazionale di Vienna del
1971. Il concetto fondamentale è quello di dipendenza che può essere:
1. Psichica: impulso che un soggetto prova a riassumere una determinata sostanza per gli
effetti piacevoli che ne ha ottenuto. La mancanza crea solo disagio di carattere psicologico;
2. Fisica: l’interruzione della periodica assunzione di uno stupefacente provoca una serie di
disturbi fisici dovuti ad un alterato stato fisiologico, la cosiddetta “crisi di astinenza”.
Eroina
L’eroina o diacetilmorfina, è un derivato semisintetico che si ottiene per acetilazione della morfina,
e trae la sua origine dal papavero dell’oppio. Fu sintetizzata nel 1874 e messa in commercio nel
1898 come rimedio contro il dolore, ma successivamente ci si accorse delle sue elevate capacità di
dare dipendenza. La sostanza del mercato clandestino, la “eroina da strada”, si presenta come una
polvere più o meno addensata, di diversi colori, il cui contenuto in principio attivo, varia in
relazione ai “tagli” che il prodotto ha subito. Usualmente viene assunta con iniezione in vena, ma
si è introdotto l’uso attraverso le mucose nasali. Può creare dipendenza fisica e psichica di
notevole rilievo, cinque volte superiore alla morfina. L’uso comporta sensibili modificazioni agli
organi e agli apparati, alterazioni fisiche e psichiche, patologie dovute a scarsa igiene, per via
dell’uso della siringa (AIDS, epatiti etc.) Inoltre una dose eccessiva può provocare un’intossicazione
acuta e morte per depressione respiratoria. L’eroina, a causa dei suoi effetti negativi non è più
inclusa nella Farmacopea Ufficiale. I paesi nei quali vi è la produzione illecita di tale sostanza sono
il Birmania, Laos e Thailandia (Triangolo d’oro), Iran, Pakistan e Afganistan (La Mezzaluna d’oro),
ma anche Turchia, Indica e Cina.
Metadone
Il farmaco fu introdotto in terapia per la prima volta nel 1941 come analgesico. Inizialmente
considerato antidolorifico, successivamente anche per questa sostanza emerse la sua capacità di
produrre dipendenza e divenne uno stupefacente se non regolata l’assunzione. La sua proprietà di
essere dotato nei confronti dell’eroina di tolleranza crociata, fece sì che potesse essere adoperato
come farmaco sostitutivo per finalità di cura. Negli USA, negli anni 50’, venne introdotta la terapia
di disintossicazione “a scalare” con metadone. Il trattamento consentiva al soggetto di non
manifestare più sintomi da dipendenza fisica da eroina. Nel 1964 Dole e Nyswander si accorsero
che mantenendo pazienti eroinomani in terapia con metadone per un periodo di tempo illimitato
si raggiungeva un miglioramento del loro comportamento, facilitandone il reinserimento sociale
con la possibilità di impiego lavorativo e scolastico. L’uso di stupefacenti provocava alterazioni
fisiche che richiedevano una terapia sostitutiva con un altro narcotico. I vantaggi del metadone,
rispetto ad altri medicinali, sono la somministrazione per via orale, in una lunga durata di azione. Il
Ministero della Sanità ha previsto le linee guida per il trattamento della dipendenza da oppiacei
con farmaci sostitutivi, indicandone le modalità di svolgimento della terapia, gli strumenti etc. Il
fine è la definitiva astensione dall’uso della sostanza, la guarigione. Si cerca di portare il paziente al
distacco da ogni tipo di dipendenza inclusa quella del farmaco sostitutivo. Successivi interventi
riguardarono la terapia del dolore, completando il processo di semplificazione nelle procedure di
accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore consentendo l’utilizzazione del ricettario
del Servizio Sanitario Nazionale.
Cannabis
Per cannabis si intendono tutte le preparazioni ad azione stupefacente ricavate dalla pianta di
canapa. La pianta di canapa è una pianta erbacea, dioica, a ciclo annuale, originaria dell’Asia
centrale, che cresce fino a circa cinque metri e che, per la sua capacità di adattamento, si è presto
diffusa in tutto il mondo. Nel 1968, una lista compilata dalle Nazioni Unite, elenca ben 267 modi
diversi con i quali in tuto il mondo vengono indicate le preparazioni ricavate dalla pianta. I più
importanti usi commerciali sono legati alla fibra, impiegata soprattutto per fabbricare corde, e ai
semi dai quali si ricavava olio per vernici. Le preparazioni ad uso voluttuario collegate alla resina
che la pianta secerne assumono diversi nomi a seconda dell’origine geografica e del tipo di
prodotto (hashish: Libano e Siria; Marihuana: Nord America; KIf: Nord Africa; Grifa: Messico;
Macohna: alcune zone del Sud America; Dagga: Sud Africa; Gania, Charas, Bhang: India). Le
preparazioni contengono come principi attivi i cannabinoidi, tra cui il tetraidrocannabinolo (THC),
dotato di azione stupefacente, il cannabinolo (CBN) e il cannabidiolo (CBD). Dette preparazioni
hanno contenuto variabile del principio attivo stupefacente: l’1% circa le foglie; attorno al 5% la
resina; il 20% l’olio di cannabis. Attualmente i botanici cono concordi nell’individuare una sola
pianta di canapa, la “Cannabis sativa L.”, la quale può differenziarsi in diversi fenotipi chimici. La
differenza tra “canapa da droga” e “canapa da fibra”, va ricercata nella diversa concentrazione del
principio attivo stupefacente.
La cannabis è considerata una droga leggera, induce dipendenza psichica ma non fisica e
tolleranza. I consumatori possono essere classificati in occasionali, saltuari e abituali a seconda se
la consumazione sia mensile, settimanale o quotidiana. Considerata un allucinogeno minore. In un
primo momento la cannabis provoca uno stato di euforia e di benessere con aumentata capacità
di avere rapporti positivi con gli altri, con un acuirsi delle sensazioni, i suoni e i colori possono
apparire modificati con fenomeni anche allucinogeni. Si raggiunge infine uno stato di beata
ebrezza, una condizione a cui fa seguito un sonno naturale.
Cocaina
Il più potente stimolante fisico e psichico di origine naturale, estratto dalle foglie della pianta di
coca (Eritroxylon Coca) che cresce sulla cordigliera delle Ande nel Sud America. Inizialmente
venivano masticate le foglie della pianta, solo nel 1860 venne isolata la cocaina, utilizzata per
molto tempo come anestetico locale. Fu inserita all’interno di alcune bevande, quali la Coca Cola,
per le sue proprietà terapeutiche. Scoperti gli aspetti negativi e la sua capacità di produrre
dipendenza, venne sostituita con la caffeina nelle bevande. In Italia giunse nella seconda metà
dell’80 ed ormai supera l’eroina per diffusione sul mercato. La cocaina è contenuta per 0,5/1%
circa nelle foglie della pianta, la quale raggiunge un’altezza di 2-3 metri ed è in grado di produrre
2-3 raccolti l’anno, soprattutto nei periodi di vita dai 3 ai 6 anni. La “cocaina da strada” si presenta
come polvere bianca spesso diluita con altri ingredienti, assunta normalmente attraverso le
mucose nasali, ma non è infrequente la iniezione per vena. Negli ultimi anni si è sviluppata la
trasformazione della cocaina in crack con la possibilità di essere fumata. La cocaina provoca
dipendenza psichica e fisica. Gli effetti sono collegati alla stimolazione del sistema nervoso,
euforia, loquacità, lucidità mentale, il tutto accompagnato ad uno stato angoscioso, confusione
mentale, allucinazioni. La morte per cocaina è una evenienza abbastanza rara, i casi più frequenti
si collegano al “Body Packer”, cioè colui che, per trasportare clandestinamente notevoli quantità di
droga, la confeziona in appositi contenitori che poi ingerisce o introduce in altre parti del corpo. A
volte avviene che l’imballaggio si rompa diffondendo all’interno dell’organismo un’elevata
quantità di cocaina che provoca la morte del soggetto.
Amfetamine
Sono un gruppo di composti sintetici che agiscono sul sistema nervoso centrale con un effetto
stimolante sia fisico che psichico. Inizialmente utilizzate in campo medico, ritenendo che potessero
curare senza rischio di dipendenza da numerose malattie. Durante la II guerra mondiale, le
amfetamine, sono state ampiamente usate come stimolante dagli eserciti Stati Uniti, Gran
Bretagna, Giappone e Germania, per combattere la fatica, rimanere svegli, e sviluppare il
rendimento in battaglia. In Italia solo nel 1972 entrò negli elenchi degli stupefacenti. Verso la metà
degli anni ottanta, si è diffusa la moda, prima negli Stati Uniti, poi in Europa, di un nuovo tipo di
abuso, quella di una classe di derivati delle amfetamine, indicati come “farmaci entactogeni” così
denominati per la loro capacitò di indurre una serena introspezione. I più diffusi sono l’MDMA,
comunemente denominato “ecstasy”, e gli analoghi MDA e MDEA, in grado di produrre effetti
allucinatori. Al momento tali droghe vengono commercializzate sotto forma di pasticche assunte
per via orale. L’MDMA, scoperto nel 1913, venne inserito nell’elenco degli stupefacenti solo nel
1988 in Italia.
Allucinogeni
Indica un gruppo di composti, alcuni naturali, altri sintetici, che hanno in comune la capacità di
provocare uno stato mentale di alterazione con fenomeni allucinatori dovuti a distorsioni
percettive. I principi attivi sono contenuti in numerose piante diffuse in molti paesi. Tra gli
allucinogeni di origine naturale, il Pejotl, ad esempio, è una delle più antiche droghe, derivanti da
un cactus, utilizzata inizialmente per riti religiosi. Disponibile sotto forma di “bottoni di mescal”,
discoidi di colore marrone e duri, che vengono ammorbiditi in bocca dalla saliva prima di essere
inghiottiti; raramente si trova in polvere.
Tra gli allucinogeni di origine sintetica, il più noto è il LSD (dietilammide dell’acido lisergico),
sintetizzato nìdal chimico Hoffman per la prima volta nel 1943, a seguito di un’accidentale
assunzione. Non vennero mai trovati usi terapeutici. In Italia sempre più presente. Si tratta di uno
dei più potenti allucinogeni che si conosca, facile da occultare e contrabbandare. Di solito è posto
in vendita sul mercato su supporti costituiti da zollette da zucchero, piccoli francobolli, compresse,
che vengono direttamente ingeriti. Tale sostanza provoca alterazioni della psiche, diverse da
soggetto a soggetto, i cui sintomi sono collegati alla sensazione di uno sdoppiamento della propria
personalità. Le percezioni delle distanze e delle forme sono completamente alterate, si perde il
senso del tempo, confondendo il presente, con il passato ed il futuro. IL “viaggio”, chiamato “trip”,
ha una durata dalle 8 alle 12 ore. La sostanza provoca una psicosi tossica. Tra gli allucinogeni
compaiono anche i “farmaci entactogeni” della cannabis, la Feniclidina (PCP), la Ketamina, usato
come farmaco anestetico in veterinaria e in grado di produrre effetti allucinatori.
La MDM, ketamine e GHB (acido gamma idrossibutirico) rappresentano le sostanze stupefacenti di
scelta tra i giovani nei rave.
Barbiturici e psicofarmaci
Sono prodotti derivanti dall’acido barbiturico, usati in terapia perché agiscono sul sistema nervoso
centrale determinando effetti sedativi, ipnotici e anestetici; sono anche adoperati come rimedio
per l’epilessia. Per la loro capacità di dare dipendenza sono stati inseriti nell’elenco degli
stupefacenti. L’abuso di tale sostanza non è un fenomeno molto esteso in Italia, in quanto
soppiantato dall’uso di benzodiazepine, tranquillante minore. La dipendenza è data da
un’assunzione superiore a quella a scopo terapeutico.
Analoghi di sintesi
Negli ultimi tempi si è incrementata la produzione di potenti droghe sintetiche ottenute a partire
da stupefacenti già inseriti negli elenchi di legge. Le molecole che si offrono a tale scopo sono il
fentanile, la meperidina e l’amfetamina. Presentano delle variazioni della struttura chimica in
modo che possano circolare poiché non ancora inclusi nell’elenco di stupefacenti.
Sostanze volatili
Questa tipologia di abuso è iniziata negli Stati Uniti e poi diffusa in tutto il mondo, soprattutto per
via della mancanza di carattere legislativo. Un tipo di abuso diffuso in carcere tra i
tossicodipendenti ed ha per oggetto i gas, contenuti di bombolette etc. Sono presenti in molti
prodotti quali vernici, smacchiatori, collanti, prodotti areosol etc. Hanno in comune la volatilità, la
capacità di potersi trasformare in una forma che possa essere respirata per ottenere effetti
psicotropi. Possono essere inalate direttamente dal contenitore o attraverso un panno imbevuto.
La morte da sniffing, avviene generalmente in maniera accidentale, ad esempio per asfissia da
spazio confinato.
Capitolo sesto
Il doping
Con il termine “doping” si intende l’assunzione di sostanze in grado di migliorare artificiosamente
la prestazione fisica. L’uso di tali sostanze risale all’antica Grecia, in cui gli atleti cercavano di
esaltare le proprie energie ai giochi olimpici, assumendo particolari funghi. Solamente negli anni
60’ appaiono i primi divieti relativi al doping, sollecitati anche da eventi clamorosi, primo fra tutti il
decesso nel 1967 del campione del mondo di ciclismo Tom Simpson connesso con l’assunzione di
stimolanti, durante una gara del Tour de France.
L’ordinamento sportivo
Nell’ambito della legislazione dello sport, la regolamentazione riguardante il divieto di doping fa
capo al Codice Mondiale antidoping emanato dalla Agenzia Mondiale antidoping (WADA-AMA),
adottato il 5 marzo 2003, nel quale sono previste la revisione e pubblicazione della lista delle
sostanze vietate, dei metodi proibiti, violazioni del regolamento etc. Il Codice si applica a tutti
coloro che partecipano a competizioni svolte nell’ambito del Movimento Olimpico. In Italia, il
CONI, (Comitato olimpico nazionale italiano), ha istituto organismi ed uffici con il compito di
prevenire, controllare e reprimere il fenomeno del doping. Accoglie le regole del WADA-AMA. Il
doping è proibito anche se l’atleta abbia manifestato un miglioramento della prestazione sportiva
invece di un nocumento alla salute. Nel 2010, venne emanata la lista definitiva riguardante le
sostanze e i metodi proibiti.
L’organizzazione
La fase applicativa della legge, è demandata ad una Commissione, composta da dodici membri,
rappresentanti del Ministero della Salute, del Dipartimento delle politiche giovanili e le attività
sportive, del Ministero della Solidarietà, delle Regioni e del CONI. I compiti della Commissione,
oltre a mantenere rapporti con organismi internazionali in Italia e con il Servizio Sanitario, si
occupano dell’organizzazione dei laboratori antidoping, determinando i criteri, le classi di
sostanze.
Le disposizioni penali
L’articolo 9 della legge, prevede le sanzioni penali, su chi somministra, assume o favorisce l’utilizzo
di sostanze di doping. Le sanzioni si possono erogare anche nei confronti dell’atleta. La pena è
aumentata, se sussiste un aggravante:
1. Se dal fatto deriva un danno per la salute;
2. Se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;
3. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, componente del CONI, di
una federazione sportiva nazionale, di una società, ente o associazione riconosciuta dal
CONI.
Articolo 9:
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e
con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o
favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente
attive, ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da
condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche
dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a
modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.
2. La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a chi adotta o
si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, non
giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche
dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare
i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.
3. La pena di cui ai commi 1 e 2 è aumentata:
a) se dal fatto deriva un danno per la salute;
b) se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;
c) se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI ovvero di una
federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal
CONI.
4. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue
l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione.
5. Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l’interdizione permanente
dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di
promozione riconosciuti dal CONI.
6. Con la sentenza di condanna è sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze
farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.
7. Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive
ricompresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte
al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che
detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente, è punito con la
reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni.
Capitolo settimo
Tossicologia ambientale
Il compito istituzionale della tossicologia forense è quello di studiare il rapporto tra l’uomo e
l’agente tossico in relazione a specifici disposti di legge, dunque l’inquinamento ambientale è di
interesse di tale disciplina. Si tratta anche di valutare, dosare e valutare sostanze tossiche,
pericolose per l’uomo. Il concetto di inquinamento, come fenomeno collegato ai continui
cambiamenti nella composizione e nelle condizioni dell’ambiente tali da turbarne l’equilibrio e da
risultare potenzialmente pericoloso per l’uomo e per gli esseri viventi, va strettamente collegato
all’evolversi dello sviluppo tecnologico ed economico della società, e l’impiego di numerosi
prodotti chimici altamente pericolosi. La tossicologia forense di occupa dei settori dell’aria e
dell’acqua.
Inquinamento dell’acqua
Poiché una fondamentale caratteristica dell’acqua è quella di essere un solvente universale, risulta
problematico affermare che si ha inquinamento quando in essa siano presenti sostanze disciolte in
maggiore o minore quantità tale da alterare la purezza. Gli usi ai quali può essere destinata l’acqua
possono essere così indicati:
Acque destinate al consumo umano (acque potabili, per uso alimentare), per le quali è
indispensabile l’assenza di sostanze pericolose per la salute dell’uomo;
Acque per uso industriale, che non devono contenere composti che danneggino l’impianto;
Acque per l’agricoltura, la cui utilizzazione per l’irrigazione è possibile solo in presenza di
una ridotta salinità per evitare danni alla produttività del terreno;
Acque compatibili con la vita acquatica che presuppongono come condizione
fondamentale la presenza di sufficiente ossigeno disciolto per garantirne i processi biologici
fondamentali
Gli inquinanti idrici vengono raggruppati in alcune categorie seconda una classificazione
universale.
Agenti patogeni
Gli organismi patogeni (batteri del tifo, colera, tetano) presenti nelle feci e nelle urine di soggetti
malati sono eliminati nel sistema fognario, è di estrema gravità, il rischiato di contaminazione e
l’eventuale inquinamento di scarichi fognari. La ricerca di microorganismi attraverso un campione,
è tuttavia di difficile e complessa attuazione, per via dell’elevato numero di germi da ricercare e
dal fatto che sono presenti in minime quantità.
Petrolio
L’inquinamento da petrolio è legato ai disastri che coinvolgono navi da trasporto o pozzi
petroliferi, lo scarico in mare di notevoli quantità di greggio. Il petrolio non è miscelabile con
l’acqua, pertanto rimane sulla superficie, una parte emulsiona, un’altra viene degradata da
microorganismi. Tra gli effetti vi è una riduzione della fotosintesi vegetale marina, diminuzione
dell’ossigeno disciolto, danno agli uccelli marini e distruzione di alghe e licheni.
Sostanze chimiche inorganiche e minerali
Fanno parte di questa categoria gli acidi, sali inorganici e metalli pesanti, che possono essere
immessi nelle acque. Gli acidi possono alterare la situazione di equilibrio con gravi danni alla via
acquatica, ma anche per il raccolto agricolo. Piccole quantità alterano il PH delle acque dolci, ma
un sistema tampone lo ripristina in maniera ottimale. Di grave tossicità sono i metalli pesanti, quali
il mercurio, il piombo, l’arsenico. Il cromo, il nichel etc, che si accumulano negli organismi viventi e
entrano nella catena alimentare, fino a risultare pericolosi per l’uomo.
Sedimenti
Una forma di inquinamento riguarda i sedimenti, causati dal depositarsi sul fondo del corpo idrico
con la conseguenza di ridurre la popolazione di pesci e molluschi e coprire le riserve di cibo. Inoltre
riducono la fotosintesi e la produzione di ossigeno.
Inquinamento da calore
L’inquinamento da calore è provocato dall’aumento improvviso della temperatura del bacino di
solito a causa dell’immissione di una quantità di acqua più calda. Un fenomeno collegato al
raffreddamento di impianti industriali, una volta avvenuto lo scambio di calore, la massa liquida
riscaldata viene immersa nel bacino. Tra gli effetti negativi, vi sono la diminuzione dell’ossigeno
disciolto e la morte di varie specie ittiche. Esiste infatti una temperatura per deporre le uova, per
migrare, per distribuirsi. Tale fenomeno altera il normale sviluppo della vita.
Sostanze radioattive
Le acque possono essere inquinate anche da sostanze radioattive, le cui fonti sono molteplici:
residui di lavorazione di minerali, rifiuti di reattori nucleari, laboratori di ricerca, industrie, ospedali
etc.
Art. 439.
Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari.
Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o
distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.
Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l'ergastolo;
Art. 440.
Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari.
Chiunque, corrompe o adultera acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano
attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la
reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla
salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio. La pena è aumentata se sono
adulterate o contraffatte sostanze medicinali.
Inquinamento dell’aria
Per aria si intende quel miscuglio di gas che avvolge la terra in uno strato abbastanza sottile. L’aria
è di estrema importanza per gli esseri viventi ed il suo inquinamento è dannoso per la salute
dell’uomo e dell’ambiente. L’uomo emette nei polmoni fino a 18.000 litri di aria la giorno per
garantire i processi vitali. La composizione dell’aria non è costante, in quanto i componenti
presentano una certa variabilità. Qualsiasi modificazione della composizione dell’aria provoca
effetti negativi. Alcuni fenomeni contribuiscono ad inquinare l’aria: la decomposizione vegetale,
l’attività vulcanica, gli incendi etc. Altri fenomeni riguardano i processi industriali, inceneritori etc.
Negli impianti di combustione, un combustibile viene fatto reagire con l’ossigeno presente nell’aria
per produrre calore e trasformarsi in anidride carbonica ed acqua. Lo stesso tipo di inquinamento
proviene dai motori a scoppio, perché il loro funzionamento è legato alla combustione di benzine,
gasolio. Pericoloso per la salute è anche l’emissione di alcuni metalli particolarmente tossici.
L’esposizione prolungata a determinati elementi, quali monossido ci carbonio o ossidi di azoto,
produce danni all’apparato respiratorio dell’uomo. Anche l’ambiente, come i monumenti
risentono delle modificazioni dell’aria, provocando gradazione e corrosione. Per gli inquinanti
dell’aria esistono diversi schemi di classificazione, cinque gruppi: monossido di carbonio, ossidi di
azoto, ossidi di zolfo, idrocarburi, particelle solide o particolari.
Effetto serra
Un fenomeno di inquinamento dell’aria molto importante e di estrema attualità riguarda l’effetto
serra, dovuto alla crescente presenza nell’aria di anidride carbonica o biossido ci carbonio,
molecola che rischia di provocare un aumento costante della temperatura del globo terrestre.
Questo gas presente nell’aria, mentre lascia passare l’energia luminosa ad onde corte inviata dal
sole sulla terra, provocando l’effetto di riscaldarne la superficie, assorbe una parte delle radiazioni
ad onda lunga riflesse dalla stessa, trattenendo così parte del calore emanato, Si forma una specie
di strato di protezione che recupera gran parte dell’energia emessa dalla terra impedendone la
dispersione. Da un lato, l’effetto serra è un fenomeno molto importante per mantenere una
temperatura idonea alle condizioni di vita sulla terra (effetto serra naturale), dall’altro il costante
aumento dell’anidride carbonica presente nell’aria a causa dell’attività dell’uomo può portare ad
un aumento della temperatura tale da alterare il clima terrestre (effetto serra antropico). E’
opinione diffusa che sia in atto un riscaldamento globale e un cambiamento climatico causate dalle
attività umane. In ogni caso, vi sono alcuni rimedi per contrastare la concentrazione di anidride
carbonica nell’aria: riduzione di produzione di energia da combustibili fossili, impedendone gli
sprechi e favorendo l’uso di energia rinnovabile, combattendo la deforestazione e incoraggiando il
rimboscamento. Il 16 febbraio 2015 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto con cui i 141 paesi
aderenti, si sono impegnati a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 5,2% rispetto al
1990. La recente legge, prevede i limiti di emissione, le prescrizioni e metodi di campionamento e
analisi.
“Chiunque getta o versa, in un luogo pubblico transito o in luogo privato ma di comune o altrui
uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero nei casi non consentiti dalla
legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con
l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecento sei euro.”
Capitolo ottavo
Il rischio chimico in ambienti di lavoro
Per ambiente di lavoro si intende tutto il complesso di situazioni e fattori con i quali l’individuo
viene a contatto nel corso della sua attività lavorativa o a causa di questa, e che possono svolgere
un’influenza sul suo equilibrio fisico e chimico. Nei luoghi di lavoro sono presenti molti fattori
ambientali, in grado di compromettere con diverso livello di gravità a seconda delle situazioni e
delle circostanze, la salute dei lavoratori esposti alla loro azione. In particolare, il rischio chimico
nell’attività lavorativa è da intendersi come tutti quei pericoli per la salute connessi con l’impiego
di sostanze o preparati chimici, che coinvolge vaste aree produttive. L’introduzione di agenti
chimici avviene attraverso tre principali vie di accesso:
1. Via respiratoria o polmonare: l’inalazione nei polmoni durante la respirazione è propria dei
prodotti gassosi o volatili. Considerata la principale via di accesso;
2. Via cutanea: il rischio di esposizione per contatto cutaneo si può presentare durante le fasi
di manipolazione delle sostanze chimiche, con contatto diretto o attraverso indumenti
impregnati;
3. Via digestiva: la meno comune ma non trascurabile.
Le sostanze e i preparati chimici sono nocivi su una duplice modalità: da un lato possono
provocare rischi infortunistici, provocando una intossicazione acuta, data una breve esposizione
con il prodotto. Dall’altro, una intossicazione cronica, data da una lunga esposizione con il
prodotto, e provocare gravi rischi alla salute.
Rischi per la salute e la sicurezza derivanti da agenti chimici alla luce del Testo Unico sulla salute e
sicurezza sul lavoro
Il Testo Unico, oltre ad alcune definizioni come quella di agenti chimici pericolosi propone
importanti concetti quali la valutazione del rischio chimico. Con il termine agenti chimici, si
intendono tutti gli elementi o i composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale,
o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, immessi sul mercato. La
ricerca per il riconoscimento di agenti chimici pericolosi, inizia con l’esame delle etichette sulle
confezioni di sostanze e preparati e dall’analisi della Scheda di Sicurezza che accompagna le
confezioni. Sono considerati agenti chimici anche tutti quei prodotti che non sono classificati come
tali, ma comportano rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori. La valutazione del rischio
chimico è l’insieme delle operazioni tecnico-conoscitive che devono essere eseguite per definire la
presenza e l’eventualità dei rischi nelle varie zone lavorative. Tra gli accertamenti previsti, sono
indicati sia il controllo dell’ambiente in cui si svolge l’attività lavorative attraverso il monitoraggio
ambientale, che consiste nella periodica rilevazione delle condizioni di inquinamento dell’aria
dell’ambiente; il monitoraggio biologico che permette di accertare l’esposizione ad una
determinata sostanza tossica e varie misure di prevenzione. La valutazione deve essere aggiornata
“periodicamente”.
Monitoraggio ambientale
Constatato che è impossibile eliminare la produzione e l’uso della stragrande quantità di sostanze
chimiche, è nato il concetto di MAC, massima concentrazione permessa e TLV, valori limite di
soglia, in quanto è necessario definire fino a che punto sopra lo zero possa essere tollerata
nell’ambente di lavoro l’esposizione ad una sostanza tossica. Nel 1977, l’ACGIH (American
Conference of Governmental Industrial Hygienist), ha introdotto tre categorie di TLV:
1. Valore limite di soglia-media ponderata nel tempo: concentrazione media ponderata nel
tempo per una giornata lavorativa di 8 ore per 40 ore lavorative settimanali;
2. Valore limite di soglia-limite per breve tempo di esposizione: concentrazione che può
essere raggiunta per un periodo di tempo massimo di 15 minuti;
3. Valore limite di soglia-Ceiling per le sostanze dotate di tossicità acuta: concentrazione che
non deve essere mai superata durante tutto il turno lavorativo.
I TLV sono considerati numeri guida per orientare la gestione delle problematiche ambientali. Il
Legislatore Italiano ha istituito un Comitato consultivo per la determinazione e l’aggiornamento
dei valori limite di esposizione professionale, composto da nove membri qualificati, il quale ha già
proposto una lista con 97 composti tossici.
Monitoraggio biologico
Il monitoraggio biologico, permette di valutare con maggiore esattezza l’esposizione ad una
determinata sostanza tossica, effettuando campioni organici sul lavoratore (sangue, urine, capelli
etc.). Anche in questo caso si parla di valore limite biologico.
Capitolo nono
Tossicologia degli ambienti
Il problema dell’alimentazione è assai importante, perché da un lato è collegato alla salute
dell’uomo, dall’altro alla necessità di produrre cibo. Molti organismi internazionali si interessano
attivamente per promuovere non solo l’aumento della produzione, ma anche la qualità degli
alimenti in modo che non comportino danni alla salute, proponendo interventi sul versante
normativo e tecnico.
Additivi alimentari
IL settore più interessante riguarda quello degli additivi alimentari, definiti come “qualsiasi
sostanza, non consumata come alimento in quanto tale, aggiunta intenzionalmente ai prodotti
alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione, di preparazione, di
trattamento, di imballaggio, di trasporto o di immagazzinamento degli alimenti, che si possa
presumere diventi, essa stesso o i suoi derivati, un componente di tali alimenti direttamente o
indirettamente”.
L’elenco completo delle categorie di additivi alimentari è previsto dal D.M. n.209/1996:
Coloranti: sostanze che forniscono un colore ad un alimento o che ne restituiscono la
colorazione originaria;
Edulcoranti: sostanze utilizzate per conferire sapore dolce ai prodotti alimentari per la loro
edulcorazione spontanea;
Antiossidanti: l’ossidazione degli alimenti porta alla formazione di sostanze di colore,
sapore o odore sgradevoli;
Conservanti: sostanze che prolungano il periodo di conservazione degli alimenti;
Addensati o gelificanti: sostanze che danno consistenza e aumentano la viscosità di un
prodotto.
Additivi accidentali
Si intendono gli additivi che entrano negli alimenti in modo involontario. Un esempio ne sono i
metalli pesanti presenti nelle specie animali, soprattutto i pesci. In mote carni potremmo trovare
gli isetticidi.