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Tossicologia forense

Capitolo primo
Compiti e finalità della tossicologia forense
La tossicologia forense, si caratterizza per affrontare problemi legati alla lesività di natura chimica.
Disciplina nata nell’ambito della medicina legale, per la necessità di indagine su materiale
cadaverico per la ricerca dei veleni, fu oggetto di miglioramento in seguito allo sviluppo
tecnologico della società moderna e l’esigenza di disciplinare alcuni settori con le leggi. Il compito
più preciso è quello di studiare il rapporto tra uomo e agente tossico, attraverso l’identificazione e
la valutazione delle sostanze tossiche in qualsiasi substrato, biologico o meno, in riferimento a
fattispecie giuridiche. La tossicologia si è orientata verso sostanza assunte a scopo voluttuario
(alcool o stupefacenti), il doping, tossicologia dei farmaci e degli alimenti. Nell’ambito della
disciplina possono essere distinti due momenti ben precisi:
 L’indagine di laboratorio, che porta all’acquisizione sia quantitativa che qualitativa del dato
analitico;
 L’interpretazione e motivazione dello stesso
Per quanto concerne la modalità di esecuzione:
1) Un primo aspetto fa riferimento alla scelta della tecnica analitica, la quale deve possedere
caratteristiche di elezione, deve essere dotata di specificità, sensibilità e affidabilità;
2) Un secondo aspetto la metodologia di esecuzione che deve offrire la possibilità di
confermare il dato ottenuto con una diversa tecnica analitica e di salvaguardare la
ripetibilità dell’indagine medesima mediante una idonea conservazione del materiale.
Un supporto imprescindibile è dato dal laboratorio di chimica tossicologica è fornito di
attrezzature idonee ad effettuare le indagini richieste. Solamente approntandosi ad una struttura
ben organizzata che si potranno approntare nuove metodologie analitiche nel campo delle analisi
tossicologico forensi. Il compito del tossicologo non si esaurisce nell’esecuzione semplice delle
analisi, ma deve valutare, ai fini della rilevanza giuridica, l’eventuale danno prodotto dalla sostanza
tossica. Il tossicologo deve operare in diversi settori, quali la chimica, la farmacologia la biologia, la
medicina e il diritto.
Il principale fondatore della disciplina viene considerato M.J. Orfila, autore, nel 1814, de Trattato
dei veleni o Tossicologia generale, nel quale delinea il primo vero approccio scientifico all’analisi
chimica dei reperti autoptici.

La responsabilità professionale del tossicologo forense


La figura del tossicologo non si identifica in un professionista che abbia acquisito un titolo al
termine di un curriculum di studi o dopo aver superato un esame di abilitazione all’esercizio
professionale. Il tossicologo trova la sua definizione in relazione al tipo di attività che svolge in
laboratori universitari afferenti agli Istituti di Medicina legale. Ogni sua attività viene compiuta per
dare corretta applicazione tecnica ai disposti di legge. La responsabilità del tossicologo negli
accertamenti peritali in sede penale, attiene in ultima analisi alla sua qualifica di perito o di
consulente tecnico. Non avendo il tossicologo altra caratterizzazione se non quella della sua
attività, appare che la natura del consulente tecnico o perito sia l’unico aspetto che debba
delinearne la responsabilità. Interessano al tossicologo, alcuni articoli del codice penale:
 373 (falsa perizia)
 374 (frode processuale)
 374-bis (false dichiarazioni)
 380 (patrocinio o consulenza infedele)
 381 (altre infedeltà)
 371-bis (false informazioni al pubblico)
 366 (rifiuto di uffici legalmente dovuti)
Tutte queste ipotesi di reato riguardano una responsabilità esclusivamente per dolo e non è
prevista l’ipotesi colposa.

Il tossicologo appare l’unico responsabile dell’intera conduzione degli accertamenti sia sulla
acquisizione del dato e sia sulla valutazione dello stesso. Diversa è la situazione se il tossicologo
effettua le indagini, non come perito o consulente tecnico, ma come responsabile di un laboratorio
di tossicologia forense. Un problema riguarda la custodia dei reperti di materiale biologico e in
particolare quello cadaverico, e l’opportunità di intervento sul cadavere, in epoche diverse. Il
tossicologo si trova essere responsabile della custodia dei reperti per tempi non definiti, dovendo
affrontare notevoli difficoltà logistiche. Inoltre appare imprescindibile l’obbligo di riservatezza
dell’incarico stesso.

Capitolo secondo: Veleno ed avvelenamento


Cenni storici
La storia del veleno condiziona da tempo, la storia dell’uomo, poiché la vita delle famiglie primitive
è stata esposta ad avvelenamenti causati da animali e piante. Papiri e tavolette risalenti agli antichi
egizi, menzionano gli effetti tossici di prodotti naturali e di minerali:
 Il papiro di Ebers, datato intorno al 1500, fa riferimento ai veleni quali l’antimonio, il rame,
il piombo, il giusquiamo e l’oppio;
 In altri due papiri custoditi a Louvre e Berlino, sono descritte le proprietà tossiche delle
mandorle amare. Il veleno in esse contenuto, l’acido cianidrico, comportava il castigo ella
“pena del pesco”, il più antico veneficio utilizzato come mezzo di punizione.
Gli antichi greci conobbero l’uso di molti veleni, Platone, testimonia che Socrate, fu una vittima
illustre della cicuta, sostanza scelta nella convinzione che potesse donare una morte indolore.
Presso i Romani, moltissimi sono stati gli avvelenamenti collegati ai veleni usati sia come mezzo
suicidiario che omicidiario o per sostenere incantesimi e superstizioni, tanto che le leggi romane
furono sempre particolarmente severe nei confronti del veneficio. Nell’81, Cornelio Silla emanò la
Lex Cornelia De sicariis et veneficiis, nella quale risulta che è reo non solo l’avvelenatore, ma anche
coloro che preparano, vendono e detengono sostanza venefiche al fine di provocare la morte. I
veleni più conosciuti sono quelli di origine vegetale, quali l’oppio, la cicuta, il giusquiamo,
l’elleboro, l’aconito, la madragora. L’arsenico, il mercurio e il piombo rappresentano i mezzi
venefici del regno minerale più diffusi nel mondo antico. Tra i veleni di origine animali si ricordano
la cantaridina presente in alcuni insetti e il sangue di toro putrefatto. Dalla caduta dell’Impero
Romano fino a tutto il Rinascimento, il veneficio fu praticato in tutta l’Europa e furono attribuiti
alla somministrazione di veleni i decessi di illustri personaggi, tra cui cinque papi. Soprattutto nel
Rinascimento l’avvelenamento riprese vigore con l’acquisto delle droghe in Oriente.
Solamente nel XIX secolo, i progressi della chimica analitica permisero un nuovo criterio
diagnostico, con la ricerca dei tossici nell’organismo: fino ad allora il convincimento
dell’avvelenamento era basato solo sui sintomi e dati circostanziali. Una ricerca nel materiale
cadaverico delle sostanze tossiche fu offerta da Orfila, nel suo trattato, offrendo il primo esempio
di “indagine generica” tossicologica. Per affermare che vi si astato un avvelenamento, il
tossicologo deve dimostrare o verificare l’esistenza di particolari caratteri botanici. Un ulteriore
passo avanti fu quello dato dal chimico Selmi che nel 1872, identificò le ptomaine o basi
putrefattive cadaveriche, sostanze che si formano nel cadavere per fenomeni di degradazione dei
tessuti, ritenute responsabili delle intossicazioni, per via della loro elevata tossicità, conducendo a
morte l’animale da esperimento.  La scoperta del Selmi fu di grande importanza per la tossicologia,
perché insegnò ad evitare che nelle perizie medico-legali si facessero confusioni fra gli alcaloidi
vegetali introdotti nell'organismo a scopo di veneficio e le ptomaine che sempre si formano nella
putrefazione della carne.

Caso Gibbone:
La scoperta avvenne in relazione ad un presunto caso di veneficio che fece scalpore e diede luogo
a tormentate vicende giudiziarie. Nel gennaio del 1870, il generale Gibbone, uomo di 60 anni,
apparentemente sano, prima di andare a lavorare al Ministero prese una tazza di caffè
preparatagli dall’attendente (soldato addetto al personale servizio di un ufficiale) Ricca. Colto quasi
subito da un malore, venne a morte lo stesso giorno. Immediatamente si sospettò che fosse stato
avvelenato, in ordine non solo alle circostanze, ma anche per una serie di fatti che riguardavano
l’attendente, il quale conduceva una vita dedita al gioco, e poteva essere accusato del furto di
cartelle di rendite vitalizie appartenenti al Generale. Inoltre, l’amante del Ricca, secondo alcuni
testimoni, aveva cercato invano di acquistare alcuni veleni e si era saputo che in quei giorni era
stata venduta ad uno sconosciuto una certa quantità di stafisagria. Eseguita l’autopsia, in ritardo,
quando ormai i fenomeni putrefattivi si erano impadroniti del cadavere non si riscontrò nulla che
potesse pensare ad una morte naturale e gli estratti dei visceri della vittima avevano fatto morire
tutte le rane alle quali erano state somministrate. Pertanto conclusero che il Generale era stato
avvelenato con la delfinina, principio attivo della stafisagria. I consulenti della difesa, sostenettero
che la morte fosse dovuta ad una patologia renale, nonostante ciò il Ricca venne condannato a
morte e la sua amante a 15 anni di carcere. In appello del nuovo processo venne incaricato il
professor Selmi, il quale affermò che la sostanza che erroneamente i periti avevano identificato nei
visceri come delfinina altro non era che una ptomaina, cioè un prodotto formatosi dalla
decomposizione del cadavere. Nonostante tale affermazione il Ricca venne comunque condannato
all’ergastolo. Successivamente si venne a sapere, in seguito alla confessione fatta al suo avvocato
che aveva cercato veramente di avvelenare il Generale, usando una polvere che aveva conservato
e poi consegnato. Tale polvere fu un insetticida la polvere di Artemisia, assolutamente innocua per
l’uomo. Dunque la morte dell’uomo era realmente causata da una nefrite anche se il suo
attendente era convinto di averlo avvelenato.
La possibilità che tali sostanze fossero scambiate all’analisi per veleni esogeni, portò, a partire
dalla seconda metà dell’800 a rivedere la validità dell’indagine del giudizio nella diagnosi su
materiale cadaverico.

Il concetto di veleno
E’ a tutti noto che alcune sostanze in particolari condizioni possono produrre danno all’uomo
attraverso un’azione tossica. Secondo alcune scuole medico-legali si può definire veleno “ogni
sostanza che, introdotta nell’organismo, cagiona malattia ed eventualmente la morte con
meccanismo chimico o biochimico”. Altri autori, invece, nel definire un veleno introducono la
limitazione che “debba agire in quantità relativamente piccola o in dosi relativamente piccole”. Il
codice penale considera il veneficio sotto il profilo delle circostanze aggravanti dell’omicidio
doloso, in riferimento alla insidiosità del mezzo: Per poter agire con insidiosità e proditorietà è
certo che il veleno deve esplicare la sua azione lesiva in dosi esigue in modo da essere dissimulato
nel momento in cui viene introdotto nel corpo umano e occultato a reato avvenuto. Al di là del
problema definitorio rimane il fatto che il termine “veleno” non esprime un concetto assoluto non
essendo individuabile alcuna sostanza che possa in ogni circostanza agire come tale. Ossia non
esistono sostanze che abbiano di per sé “ab occulta proprietate”, la capacità di nuocere. In realtà,
la capacità di causare un’azione lesiva di natura chimica è legata a diversi fattori: alcuni sono
propri della sostanza stessa, primo fra tutti la dose che può trasformare un medicamento in una
sostanza altamente lesiva, oppure la solubilità che rende un veleno assimilabile o meno
dall’organismo.
Alcuni fattori sono collegati alle condizioni del soggetto che può rispondere in maniera diversa
all’azione lesiva a seconda dell’età, dello stato di salute, della sensibilità individuale ed anche della
tolleranza acquisita verso una determinata molecola. Per veleno si intendono tutte le sostanze che
siano responsabili di una azione lesiva di natura chimica acquisita, non devono perciò essere presi
in considerazione agenti patogeni che appartengono alla sfera materiale vivente e presuppongono
meccanismi complessi di azione e indagini che esulano dalle realtà della ricerca chimica
tossicologa. Gli avvelenamenti in vasi all’insorgenza e al decorso possono essere classificati in acuti
o cronici: Le intossicazioni acute, legate ad una somministrazione, mostrano le caratteristiche di
manifestarsi rapidamente con la possibilità di condurre a morte in poco tempo; le intossicazioni
croniche sono dovute all’assorbimento lento e ripetuto di una piccola quantità di tossico con un
decorso di mesi o anni.

Il veneficio
Il Codice penale individua il veneficio nel momento in sia stato utilizzato un mezzo veneficio o un
altro mezzo insidioso e considera aggravante il fatto che un omicidio sia stato commesso in questo
modo. La gravità deriva dalle modalità d’uso.

Capitolo terzo: Tossicologia forense post mortem


Diagnosi di avvelenamento
Il momento di incontro principale tra la tossicologia forense e la medicina legale va senza subbio
individuato nella diagnosi di avvelenamento. In realtà è sempre più raro il caso che si indaghi su un
delitto di veneficio, mentre altre forme di intossicazione acuta mortale sono divenute più usuali. In
aumento sono anche gli avvelenamenti accidentali, sia nell’ambiente di lavoro sia in ambito
domestico, da mettere in relazione con lo sviluppo di sostanze potenzialmente pericolose. In
questo contesto, la valutazione ultima deve scaturire da una sintesi di competenze fra il
tossicologo forense ed il medico legale, in altre parole se un determinato risultato può essere
interpretato come un dato indicativo di un’intossicazione potenzialmente letale, la diagnosi di
morte dovrà avvenire attraverso l’integrazione del dato con tutti gli altri elementi acquisiti dai
criteri medico legali. La diagnosi di avvelenamento deve pertanto trovare fondamento nel
convergere in maniera univoca di una serie di elementi di giudizio che scaturiscono
dall’applicazione di più criteri: clinico, circostanziale, anatomo-patologico, biologico e chimico-
tossicologico.

1. Criterio clinico: Attiene alla conoscenza della sintomatologia presentata dal soggetto prima
della morte, in base alla quale si possa desumere uno stato di avvelenamento ed anche
individuare la quantità di veleno. Non sempre si hanno a disposizione gli elementi di
giudizio collegati al criterio clinico, essendo frequente nell’avvelenamento che la morte
sopravvenga prima che qualcuno abbia la possibilità di osservare i fenomeni morbosi che
l’hanno preceduta;
2. Criterio circostanziale: Detto anche delle “circostanze estrinseche” o “storico-
anamnestico”, si fonda sull’acquisizione e sulla valutazione di tutte le notizie collegate
all’evento che ha portato all’avvelenamento, generalmente raccolte dall’autorità
inquirente, In questo criterio confluiscono tutti i dati del sopralluogo che spesso possono
essere di grande utilità;
3. Criterio anatomo-patologico: Esso consiste nell’acquisizione e nel rilievo di tutti gli elementi
di giudizio che provengono dall’esame esterno del cadavere e dall’autopsia completata con
l’esame istologico dei visceri. L’attività di osservazione diretta, di sezione del cadavere e di
valutazione degli esami istologici sono usualmente di competenza medico legale. Vero è
che nella maggior parte dei casi di intossicazioni mortali, prevalente è l’evenienza che i
reperti anatomo-patologici siano negativi, ossia non siano in grado di indicare la causa della
morte, negatività peraltro che può rappresentare un dato favorevole per accreditare
l’ipotesi di decesso per lesività di natura chimica. Deve poi essere sottolineato che
l’autopsia consente i prelievi di visceri e liquidi biologici per le successive indagini chimico
tossicologiche e di laboratorio;
4. Criterio biologico: Attualmente riveste un ruolo secondario nel contribuire alla diagnosi di
avvelenamento, consiste principalmente nel valutare gli effetti provocatori su cavia del
presunto veleno da materiale cadaverico.
5. Criterio chimico-tossicologico: attiene alla ricerca del veleno nel cadavere, attraverso le
opportune indagini di laboratorio. Fu Selmi, nel 1872 che identificò le ptomaine, sostanze
endogene prodotte dalla putrefazione, che potevano essere scambiate con facilità per
alcaloidi naturali di origine esogena e quindi indurre in errore riguardo la presenza d veleni
assunti dalla vittima. Tali sostanze erano in grado di falsare anche le risposte che
provenivano dal criterio biologico, causando con la loro presenza negli estratti di visceri la
morte dell’animale al quale venivano somministrate. Attualmente il riaffermarsi del ruolo
del ruolo fondamentale compete al criterio chimico.
Per concludere è possibile affermare che la diagnosi di avvelenamento deve scaturire dall’insieme
di tutti gli elementi di giudizio emersi dai criteri atti a dimostrare un nesso causale tra l’azione
lesiva di natura chimica e la morte. Soltanto dopo aver verificato la univoca corrispondenza si
potrà giungere ad un’affermazione di certezza o di elevata probabilità, come peraltro richiesto
nelle indagini effettuate ai fini di giustizia.

Metodologia dell’indagine chimico-tossicologica. Raccolta e conservazione del materiale


Raccolta e conservazione del materiale
Il punto di partenza nell’indagine chimico-tossicologa risiede sicuramente nella raccolta e
conservazione del materiale biologico: procedure che rappresentano fasi delicate e importanti
dalle quali può dipendere la correttezza delle successive analisi.
Sui prelievi necessari non si è giunti ad una posizione concorde. Nei decessi per avvelenamento
debbono essere considerati indispensabili i prelievi di sangue, urine, bile e contenuto gastrico, in
aggiunta come ulteriori campioni biologici, il fegato, rene, encefalo, polmoni, ma anche capelli,
umor vitreo, tamponi nasali, liquor, sede di iniezione. Secondo la Raccomandazione europea in
tema di autopsie medico legali adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa il 2
febbraio 1999, il tutto deve essere arricchito a seconda dei gruppi di sostanze tossiche in ipotesi
aggiunte (droghe, varie intossicazioni). La scelta del tipo di prelievi deriva dalle richieste ritenute
necessarie per la risoluzione del caso, provenienti dall’Autorità giudiziaria. Le quantità debbono
essere abbondanti, in quanto potrebbero essere ripetute diverse prove. Considerato che la
concentrazione post mortem di sangue cardiaco può crescere per fenomeni di ridistribuzione
mentre nel sangue periferico tende a rimanere costante, diviene opportuno prelevare campioni
ematici sia dal sangue sai da un vaso periferico. Inoltre il sangue cardiaco può essere contaminato
anche a causa di alcuni traumi, ed è necessario un prelievo da un altro distretto corporeo. Nelle
“morti di droga” i capelli, la cui crescita è di 1 – 1,5 al mese, possono fornire ulteriori informazioni
riguardo le sostanze stupefacenti. L’umore vitreo, oltre ad essere resistente ai fenomeni
putrefattivi rispetto ad altri campioni biologici, può aiutare ad individuare la concentrazione
dell’alcool nel sangue. Il materiale deve essere riposto i materiali separati, mantenuti a -20°C,
senza aggiunta di liquidi che falserebbero le successive indagini tossicologiche. Nel sangue è
opportuno inserire antifermentativo per contrastarne le trasformazioni.

Indagine chimico-tossicologica “specifica” e “generica”


L’indagine chimico – tossicologa, vale a dire la ricerca di sostanze tossiche sul materiale
cadaverico, può avere percorsi differenti. Nel caso in cui gli elementi raccolti inducano il sospetto
che a provocare il decesso sia stata una determinata molecola o una specifica famiglia di composti,
si avvia un’indagine “specifica” o “mirata” a quel determinato obiettivo. Quando non si hanno
indicazioni sulla natura del veleno, si avvia un’indagine “generica”, la messa in atto di un
“protocollo di analisi” per poter escludere il maggior numero possibile di composti. Il fine è quello
di individuare piuttosto che quantificare. La costruzione di una analisi tossicologica sistematica di
reale validità è uno degli obiettivi della chimica tossicologica forense, cercando di ottimizzare i
risultati anche attraverso una adeguata elaborazione statistica. E’ tecnicamente irrealizzabile la
ricerca nel materiale cadaverico di tutte le potenziali sostanze tossiche, in quanto il concetto
stesso di veleno assume caratteristiche di “relatività” che non consentono di coprire con l’analisi
globale quantità delle sostanze conosciute. Il “protocollo di analisi” identifica soltanto la presenza
o meno della sostanza.

Valutazione del dato negativo


E’ possibile che l’indagine generica non conduca alla presenza di alcun composto, di conseguenza il
dato negativo deve essere attentamente giustificato, vagliando alcune ipotesi:
 La sostanza tossica non si stata ricercata in quanto non compresa nel protocollo di analisi;
 Non sia stata raggiunta una sensibilità tale da permettere il ritrovamento della molecola
esogena;
 La sostanza tossica abbia subito processi di trasformazione nel cadavere e non sia più
rintracciabile;
 Il veleno assunto dalla vittima sia stato completamente eliminato.

Valutazione del dato positivo


Una risposta positiva, se avviene nell’ambito di una indagine generica, deve essere seguita da una
corretta determinazione quantitativa, da effettuarsi con metodiche specifiche ed idonee ad
ottimizzare il recupero e che servano anche a confermare il risultato. I tentativi per conoscere la
reale quantità di sostanza assunta quasi mai ottengono risultati, specialmente per l’insufficienza
dei dati a disposizione che non permettono una corretta ricostruzione dei processi farmacocinetici.
Sarà poi compito del medico legale collegare al caso specifico i dati e le notizie anche di carattere
interpretativo emersi attraverso l’indagine chimico-tossicologa. In alcuni casi, lo studio dei processi
metabolici del composto tossico, può essere di notevole aiuto per la ricostruzione della cronologia
della morte.

Classificazione dei veleni


I veleni possono essere classificati in diversi modi ma, nelle indagini su materiale biologico si
preferisce invece catalogare i veleni in categorie che presentino caratteristiche comuni nei riguardi
delle tecniche di analisi chimica. Appartengono agli stessi gruppi i composti che vengono isolati dal
materiale biologico attraverso le medesime procedure. La classificazione è la seguente:
a) Veleni gassosi e veleni volatili;
b) Veleni metallici;
c) Veleni organici non volatili;
d) Anioni tossici;
e) Sostanza diverse che richiedono speciali tecniche estrattive.

Analisi chimico - tossicologica


Lo schema di analisi dell’indagine generica chimico-tossicologica procede attraverso una ricerca
sistematica per gruppi di veleni, separando il veleno dalla matrice biologica ed un successivo
momento di identificazione.

Veleni gassosi e veleni volatili


Appartengono al gruppo veleni gassosi: il monossido di carbonio, l’acido cianidrico ed altri
composti come butano, etano, propano, gas anestetici e fluorocarboni. Alla categoria veleni
volatili appartengono gli alcooli, aldeidi, fenoli, solventi industriali, toluene e acetone. I metodi di
analisi sono generalmente la micro-diffusione in cella Conway e la gascromatografia in spazio di
testa (HS-GC). Tali veleni devono essere riposti in contenitori muniti di setto perforabile, che possa
permettere l’analisi diretta in spazio di testa senza procedere ad una riapertura del vaso,
procedure che può comportare la perdita del composto volatile.

Veleni metallici
I veleni metallici vengono isolati dai tessuti e liquidi attraverso la distribuzione della matrice
biologica che può avvenire a secco mediante incenerimento in muffola o per via umida attraverso
l’azione di acidi forti. Negli ultimi anni si sono sviluppate molte metodiche che consentono le
analisi dei metalli: tecniche elettrochimiche, spettroscopiche e il classico metodo di Reinsch che
rileva soltanto alcuni dei circa venti potenziali metalli tossici in pochi minuti, ma applicabile su ogni
tipo di materiale.

Veleni organici non volatili


Costituiscono il gruppo più numeroso di xenobiotici di interesse tossicologico comprendendo
importanti categorie di sostanze: farmaci, droghe d’abuso, pesticidi etc.
L’analisi procede attraverso una fase di estrazione che rappresenta il momento fondamentale
della ricerca in quanto condiziona la successiva identificazione del veleno. I metodi di isolamento
più comuni si possono ricondurre alle estrazioni liquido/liquido e solido/liquido. Nel primo caso,
l’estrazione può essere diretta, dopo aver aggiustato il PH, per i liquidi biologici e contenuto
gastrico. L’estrazione solido/liquido si fonda sulla possibilità di isolare un composto mettendo a
contatto il materiale biologico, con una fase solida che lo trattiene e dalla quale viene poi eluito
l’analita con opportuno solvente. Tale estrazione, per la semplicità di esecuzione rappresenta un
metodo di grandi potenzialità in tossicologia analitica. I metodi di identificazione per tali composti
sono numerosi, di recente, sta assumendo notevole importanza lo screening sistematico GC/MS
che può permettere la identificazione puntuale attraverso gli spettri di massa di composti isolati in
gascromatografia. Una volta identificato il composto organico, è opportuno procedere attraverso
una successiva indagine mirata.

Anioni tossici
Gli avvelenamenti da anioni tossici non sono frequenti (permanganati, borati, clorati, ioduri etc.) Il
materiale da analizzare è il contenuto gastrico, i test sono applicati dopo una fase di separazione
degli anioni che può essere attuata o attraverso una semplice filtrazione o per mezzo di dialisi, o
tramite precipitazione proteica.

Sostanze che richiedono speciali tecniche estrattive


Vanno ricordate le sostanze costituite da sali di ammonio quaternari. La loro caratteristica è di
essere insolubili in solventi organici e quindi di non essere separabili dalla soluzione acquosa con il
sistema liquido/liquido e di procedere con speciali tecniche estrattive.

Ricerca di xenobiotici nei decessi non causati da avvelenamento


Di fronte a determinati avvenimenti, in cui la morte non è sopravvenuta per avvelenamento, quali
incidenti stradali e ulteriori, il Magistrato richiede accertamenti per verificare l’esistenza di
xenobiotici che possano aver influito sulla condotta.

Monossido di carbonio
Tra le sostanze che mietono più vittime per intossicazione acuta primeggia il monossido di
carbonio (CO), un gas inodore, incolore, non irritante, di densità molto vicina a quella dell’aria, che
brucia con formazione di anidride carbonica (CO2). La pericolosità è data dal fatto che è
inavvertibile qualora si mescoli con l’aria. E’ presente nelle esalazioni vulcaniche, in una
incompleta combustione di sostanze contenenti carbonio, e in ambiente domestico, dove vengono
bruciati derivanti del carbonio, quali stufe, caldaie, scaldabagni. Il monossido di carbonio è anche
un componente in piccolissime percentuali dell’atmosfera, a causa soprattutto del traffico
veicolare. La pericolosità sta nel fatto che il CO possedendo una affinità da 200 a 300 volte
superiore a quella dell’ossigeno per l’emoglobina, si fissa ad essa dando origine alla
carbossiemoglobina ed impedisce la formazione di ossiemoglobina, garante dei processi di
ossigenazione. I sintomi dipendono dalla concentrazione presente nel sangue. Si ritiene fatale,
quando i 2/3 dell’emoglobina sono combinati con il CO (60/70%). Negli anziani per via di una
diminuita capacità respiratoria, il pericolo di morte è minore (50%). Tra i sintomi vi sono:
debolezza, vomito, sincope, coma con convulsioni, pulsazioni deboli…)
Per via della presenza di C= nell’aria, in ognuno di noi è presente l’1%, nei soggetti fumatori, il
3%/10%. E’ presente monossido di carbonio, nel momento in cui il cadavere mostri le ipostasi di
colore rosso vivo e al riscontro con l’autopsia sia il sangue sia i visceri presentino anch’essi la
stessa colorazione con ulteriori accertamenti. L’individuazione viene effettuata con metodi
gascromatografici, spettrofotometrici etc.

Capitolo quarto
Alcool etilico
L’acool etilico è la sostanza psicoattiva d’impiego più frequente e più antica. Questa semplice
importanza si è profondamente radicata nelle società, influendo sulla religione, economia, politica
ed altri aspetti della vita quotidiana, dall’antichità ad oggi. L’alcool è una sostanza che viene
assunta perché ritenuta gradevole e procurano sensazioni diverse dal solito e apparentemente
positive, come il thé, il caffe ed il tabacco. Tale ingerimento divenne un problema per la comunità,
determinando eventi di carattere accidentale. L’alcool etilico o etanolo ingerito come bevanda a
diversa graduazione viene rapidamente assorbito da stomaco e dall’intestino e si distribuisce
uniformemente nei tessuti e nei liquidi corporei. La eliminazione inizia velocemente e si realizza
per il 90/98% attraverso il metabolismo e il restante 2/10% attraverso reni e polmoni.
Esiste un rapporto diretto tra l’incidenza dell’alcool sul comportamento e la concentrazione
ematica.

IMMAGINE

Metodi di accertamento
Per quanto concerne il dosaggio dell’alcool etilico, nel vivente i campioni di elezione sono il sangue
(per via della concentrazione ematica di alcool) e l’aria espirata. I metodi più importanti sono la
gascromatografica ed il metodo enzimatico, basato sulla trasformazione di etanolo ad acetaldeide
attraversi la catalisi dell’alcool deidrogenasi e susseguente lettura spettrofotometrica
dell’accettore specifico. Per misurare la concentrazione di etanolo nell’aria espirata sono
disponibili apparecchi elettrochimici portatili molto accurati. Il risultato ottenuto prevede che la
concentrazione di etanolo nell’aria alveolare sia proporzionale a quella nel sangue. La
concentrazione nelle urine è in genere lievemente superiore rispetto a quella nel sangue ma, per
la sua variabilità, non riesce ad essere un valido indicatore dell’incidenza dell’alcool sul
comportamento. Anche la saliva potrebbe essere una interessante matrice biologica, mostrando
un rapporto con il sangue, pari 1,1. Vi sono metodi basati su biomarcatori per dimostrare l’abuso
cronico e la diagnosi di indipendenza, la più efficace è la “transferina deficitaria in carboidrati
(CDT). Le tecniche per tali marcatori sono l’elettroforesi capillare e la cromatografia liquida ad alta
risoluzione.

Alcool e idoneità alla guida


Ebrezza da alcool
E’ ormai accertato che la disabilità alla guida è in stretta connessione con la concentrazione
ematica di alcool. Molti studi hanno valutato un 0,8g/l come limite indicativo dello stato di
ebbrezza per la guida di veicoli. Anche se tale limite potrebbe assumere valori diversi a seconda
del veicolo condotto a seconda dell’età del conducente.

Articoli 186 e 186 – bis del codice della strada


Nel nostro Paese la legge 29 luglio 2010, n.120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale)
recante cambiamenti al codice della strada ha modificato l’articolo 186 “Guida sotto l’influenza
dell’alcool”, lasciando “è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande
alcooliche”. Per quanto riguarda i mezzi di indagine, gli organi di Polizia stradale, in via preliminare,
possono sottoporre i conducenti ad esame preliminare (etilometro). La positività a tale esame,
comporta la necessità di confermare il dato con strumenti e procedure indicati dal regolamento.
L’accertamento potrebbe essere eseguito accompagnando il soggetto nel più vicino distretto di
Polizia, presentando alcuni rischi, in quanto la eliminazione di alcool si colloca a 20/40 minuti
dall’assunzione, e qualsiasi ritardo porterà ad ottenere un valore inferiore a quello che il
conducente aveva nel momento di controllo. Il legislatore propone l’assetto sanzionatorio per le
condotte legate alla guida in stato di ebbrezza. La collaborazione con la polizia non viene
riconosciuta in quanto il soggetto non è in grado di intendere e di volere.

Articolo 186 Codice della strada


1. È vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche.
2. Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 543 a € 2.170, qualora sia
stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a
0,8 grammi per litro (g/l). All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) con l'ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l'arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato
un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per
litro (g/l). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l'arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato
accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l).
All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea
al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è
sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la
sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata
applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il
quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al
reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224 ter.
2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al
comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell'articolo 186 bissono raddoppiate ed è disposto il
fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona
estranea all'illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato
accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l),
fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente
articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. È fatta
salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 222.
2-ter. Competente a giudicare dei reati di cui al presente articolo è il tribunale in composizione
monocratica.
2-quater. Le disposizioni relative alle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano
anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non
possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato
dall'interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore
di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono
interamente a carico del trasgressore.
2-sexies. l'ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è
commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.
2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al comma 2-sexies non
possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si
operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
2-octies. Una quota pari al venti per cento dell'ammenda irrogata con la sentenza di condanna che
ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui al comma 2-sexies è destinata ad alimentare il Fondo
contro l'incidentalità notturna di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117,
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni.
3. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l'obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui
al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi l e 2, secondo le direttive
fornite dal Ministero dell'interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per
l'integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a
prove, anche attraverso apparecchi portatili.
4. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso
d'incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si
trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante dall'influenza dell'alcool, gli organi di Polizia
stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o
comando, hanno la facoltà di effettuare l'accertamento con strumenti e procedure determinati dal
regolamento.
5. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l'accertamento del
tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12,
commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini
equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione,
estesa alla prognosi delle lesioni accertate, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base
alle vigenti disposizioni di legge. Copia della certificazione di cui al periodo precedente deve essere
tempestivamente trasmessa, a cura dell'organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al
prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. I
fondi necessari per l'espletamento degli accertamenti di cui al presente comma sono reperiti
nell'ambito dei fondi destinati al Piano nazionale della sicurezza stradale di cui all'articolo 32 della
legge 17 maggio 1999, n. 144 Si applicano le disposizioni del comma 5-bis dell'articolo 187.
6. Qualora dall'accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso
alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l'interessato è considerato in stato di ebbrezza
ai fini dell'applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.
7. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi
3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato
di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le
stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a
persona estranea alla violazione. Con l'ordinanza con la quale è disposta la sospensione della
patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni
del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il
medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della
patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.
8. Con l'ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e
2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell'articolo 119,
comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si
sottoponga entro il termine fissato, il prefetto può disporre, in via cautelare, la sospensione della
patente di guida fino all'esito della visita medica.
9. Qualora dall'accertamento di cui ai commi 4 e 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso
alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui ai
commi 2 e 2-bis, il prefetto, in via cautelare, dispone la sospensione della patente fino all'esito
della visita medica di cui al comma 8.
9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e
pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione
da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione
di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della
sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o
organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle
dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione
penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare
l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto dall'articolo 54 del
decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a
quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando
250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo del lavoro di
pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione
alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo
sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a meno
che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli
obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice
dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui
all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle
circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella
sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di
sicurezza della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta.

Articolo 186-bis Codice della strada


1. È vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l'influenza di queste per:
a) i conducenti di età inferiore a ventuno anni e i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento
della patente di guida di categoria B;
b) i conducenti che esercitano l'attività di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87;
c) i conducenti che esercitano l'attività di trasporto di cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90;
d) i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli
trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli
superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di
posti a sedere, escluso quello del conducente, è superiore a otto, nonché di autoarticolati e di
autosnodati.
2. I conducenti di cui al comma 1 che guidino dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto
l'influenza di queste sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €
168 a € 672, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore
a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro (g/l). Nel caso in cui il conducente, nelle
condizioni di cui al periodo precedente, provochi un incidente, le sanzioni di cui al medesimo
periodo sono raddoppiate.
3. Per i conducenti di cui al comma 1 del presente articolo, ove incorrano negli illeciti di cui
all'articolo 186, comma 2, lettera a), le sanzioni ivi previste sono aumentate di un terzo; ove
incorrano negli illeciti di cui all'articolo 186, comma 2, lettere b) e c), le sanzioni ivi previste sono
aumentate da un terzo alla metà.
6. Si applicano le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6, 8 e 9 dell'articolo  186. Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5
dell'articolo 186, il conducente è punito con le pene previste dal comma 2, lettera c), del
medesimo articolo, aumentate da un terzo alla metà. La condanna per il reato di cui al periodo
precedente comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di
guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e
procedure previste dal citato articolo 186, comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a
persona estranea al reato. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della
sospensione della patente di guida è raddoppiata. Con l'ordinanza con la quale è disposta la
sospensione della patente di guida, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita
medica secondo le disposizioni del comma 8 del citato articolo 186. Se il fatto è commesso da
soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la
sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo II, sezione
II, del titolo VI.
7. Il conducente di età inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertato un valore
corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro
(g/1), non può conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del
diciannovesimo anno di età. Il conducente di età inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato
accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l),
non può conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del ventunesimo
anno di età.

Regolamento articolo 379 – Guida sotto l’influenza dell’alcool


1. L'accertamento dello stato di ebbrezza ai sensi dell'articolo 186, comma 4, del Codice, si effettua
mediante l'analisi dell'aria alveolare espirata: qualora, in base al valore della concentrazione di
alcool nell'aria alveolare espirata, la concentrazione alcoolemica corrisponda o superi 0,5 grammi
per litro (g/l), il soggetto viene ritenuto in stato di ebbrezza.
2. La concentrazione di cui al comma 1 dovrà risultare da almeno due determinazioni concordanti
effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti.
3. Nel procedere ai predetti accertamenti, ovvero qualora si provveda a documentare il rifiuto
opposto dall'interessato, resta fermo in ogni caso il compito dei verbalizzanti di indicare nella
notizia di reato, ai sensi dell'articolo 347 del Codice di procedura penale, le circostanze
sintomatiche dell'esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili in particolare dallo stato del
soggetto e dalla condotta di guida.
4. L'apparecchio mediante il quale viene effettuata la misura della concentrazione alcoolica
nell'aria espirata è denominato etilometro. Esso, oltre a visualizzare i risultati delle misurazioni e
dei controlli propri dell'apparecchio stesso, deve anche, mediante apposita stampante, fornire la
corrispondente prova documentale.
5. Gli etilometri devono rispondere ai requisiti stabiliti con disciplinare tecnico approvato con
decreto del ministro dei Trasporti e della Navigazione di concerto con il ministro della Sanità. I
requisiti possono essere aggiornati con provvedimento degli stessi ministri, quando particolari
circostanze o modificazioni di carattere tecnico lo esigano.
6. La Direzione generale della M.C.T.C. provvede all'omologazione del tipo degli etilometri che,
sulla base delle verifiche e prove effettuate dal Centro superiore ricerche e prove autoveicoli e
dispositivi (Csrpad), rispondono ai requisiti prescritti.
7. Prima della loro immissione nell'uso gli etilometri devono essere sottoposti a verifiche e prove
presso il Csrpad (visita preventiva).
8. Gli etilometri in uso devono essere sottoposti a verifiche di prova dal Csrpad secondo i tempi e
le modalità stabilite dal ministero dei Trasporti e della Navigazione, di concerto con il ministero
della Sanità. In caso di esito negativo delle verifiche e prove, l'etilometro è ritirato dall'uso.
9. Il ministero dei Trasporti e della Navigazione determina, aggiornandolo, l'ammontare dei diritti
dovuti dai richiedenti per le operazioni previste nei commi 6, 7 e 8.

Articolo 119 del Codice della strada


La legge 29 luglio 2010, n.120, ha modificato l’articolo 119, “Requisiti fisici e psichici per il
conseguimento della patente di guida”. In conformità alla vigente normativa, gli accertamenti
vengono effettuati dall’Ufficio della sanità locale e territorialmente competente, le Commissioni
mediche locali. E’ loro compito accertare che la patente di guida non deve essere rilasciata o
confermata ai candidati o conducenti che si trovino in stato di dipendenza attuale da alcool,
stupefacenti o sostanze psicotrope né a persone che comunque consumino abitualmente sostanze
capaci di compromettere la loro idoneità a guidare senza pericoli”.

Alcool e sicurezza sul lavoro


La legge 30 marzo 2001, n.125 (Legge quadro in materi di alcool e di problemi alcolcorrelati),
all’articolo 15 prevede il divieto di assumere e somministrare bevande alcoliche e superalcooliche
nelle attività lavorative che comportano elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero la sicurezza,
l’incolumità e la salute dei terzi, a causa della compromissione dell’efficienza psicologica e fisica. Il
16 marzo 2006 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano, ha sancito un atto di intesa che individua le attività lavorative che
comportano un elevato rischi di infortuni.

Articolo 15 – Disposizioni per la sicurezza sul lavoro


1. Nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la
sicurezza, l'incolumità o la salute dei terzi, individuate con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, da emanare entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione
di bevande alcoliche e superalcoliche.
2. Per le finalità previste dal presente articolo i controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro possono
essere effettuati esclusivamente dal medico competente ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera
d), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, ovvero dai medici
del lavoro dei servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro con funzioni di
vigilanza competenti per territorio delle aziende unità sanitarie locali.
3. Ai lavoratori affetti da patologie alcolcorrelate che intendano accedere ai programmi terapeutici
e di riabilitazione presso i servizi di cui all'articolo 9, comma 1, o presso altre strutture riabilitative,
si applica l'articolo 124 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
4. Chiunque contravvenga alle disposizioni di cui al comma 1 è punito con la sanzione
amministrativa consistente nel pagamento di una somma da lire 1 milione a lire 5 milioni.

Ubriachezza da alcool
Nel codice penale sono state individuate diverse tipologie di ubriachezza:
1) Ubriachezza accidentale (articolo 91 c.p.): quella che deriva da un carattere di forza
maggiore, un soggetto che abbia bevuto per errore una bevanda alcoolica ritenendola non
alcoolica o chi si ubriachi perché accidentalmente esposto in una cantina o in una distilleria
ai vapori di alcool diffusi nell’aria ambiente.
2) Ubriachezza volontaria o colposa (articolo 92, comma 1 c.p.): si riferisce ad un soggetto che
nel commettere un reato si trovi in uno stato di ubriachezza che si è procurato
volontariamente o per negligenza o imprudenza.
3) Ubriachezza preordinata (articolo 92, comma 2 c.p.): un soggetto si ubriaca dolosamente al
fine di commettere un reato per invocare poi la incapacità di intendere e di volere.
4) Ubriachezza abituale (articolo 94 c.p.): chi si trovi frequentemente in stato di ubriachezza,
perché dedito all’uso di bevande alcooliche. Si verifica un aumento della pena.
5) Cronica intossicazione da alcool (articolo 95 c.p.): Un soggetto nel quale si sono instaurate
alterazioni mentali profonde e definitive per cui può essere considerato parzialmente o
totalmente malato di mente come tale punibile con pene ridotte o non punibile.
Sono soggetti a sanzioni anche coloro che manifestano i luogo pubblico lo stato di ebbrezza o
somministrano bevande alcooliche ai minori o infermi di mente.

Capitolo quinto
Stupefacenti
L’uomo, fin dai tempi della preistoria, ha sempre cercato di modificare la sua condizione, l’umore,
la capacità di percepire, il senso della fatica, il senso del dolore, attraverso l’suo di sostanze
naturali che permettessero di evadere dalle difficoltà della vita. Alcune droghe quali l’oppio, la
cannabis, le foglie di coca, il peyotl, hanno fatto parte delle tradizioni culturali e religiosi di molte
popolazioni. L’abuso di stupefacenti cominciò a diffondersi nella seconda metà dell’800 legato allo
sviluppo della società industriale, fino a diventare un problema di portata mondiale.

Interventi legislativi
Riferimenti normativi precedenti la legge n.685/1975
In Italia venne emanata la legge 18 febbraio 1923, n.396, sulla repressione di sostanze velenose
aventi azione stupefacente seguita da un regolamento. Si trattava di un elenco contenente
quattordici voci riferite alla cannabis, allo oppio, alle foglie di coca e ai loro derivati. Il Codice
Penale del 1931 prevedeva una serie di pene. Successivamente venne emanata la legge 7 giugno
1934, n.1145 in sostituzione di quella del 1923, introducendo un possibile recupero del
tossicodipendente mediante il ricovero coatto in centri specializzati. Il 22 ottobre 1954 fu emanata
la legge n.1041 contenente la Disciplina della produzione del commercio e dell’impiego degli
stupefacenti.

La legge 685/1975: disciplina delle sostanze stupefacenti e psicotrope


Il legislatore emanò la legge 22 dicembre 1975, n.685 “Disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, che da un lato
inaspriva le sanzioni nei riguardi dei trafficanti e degli spacciatori, dall’altro considerava il
tossicodipendente un soggetto da curare e da reintegrare socialmente. L’articolo 80 considerava
non punibile chi detenesse per uso personale modiche quantità di sostanze stupefacenti,
ritenendo che fosse meglio intervenire sul piano curativo che su quello punitivo. Il tossicologo
forense non solo valutava la quantità di principio attivo presente nella droga, ma esprimeva
valutazioni sulla quantità di uso giornaliero di un consumatore medio abituale.

Testo unico sugli stupefacenti D.P.R. n. 309/1990


Nel 1990 venne emanato un nuovo testo legislativo (Testo Unico, D.P.R., 9 ottobre 1990, n.309), di
modifica della legge del 1975. L’articolo 73 prevedeva una serie di condotte illecite, riconducibili
alla produzione, cessione ed al traffico illecito di stupefacenti. Le pene furono inasprite rispetto al
passato. Vennero potenziate le strutture pubbliche per il recupero del tossicodipendente, inserite
nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e diffuse in tutto il territorio alle quali si poteva
accedere sia volontariamente, che in sostituzione della sanzione amministrativa. Tali servizi
vennero dotati di diverse figure professionali, quali medici, psicologici etc. i quali ricoprivano pure
il compito di rilevazione dei dati statistici sul territorio. La classificazione degli stupefacenti
rimaneva quella della legge n.685/1975.

Il referendum abrogativo
Il referendum del 15 aprile 1993, entrato in vigore il 5 luglio 1993, modificò il T.U. in materia di
stupefacenti. La proibizione dell’uso personale di stupefacenti venne abrogata e venne restituita al
medico ampia libertà di cura del tossicodipendente anche attraverso l’uso di farmaci che invece in
precedenza potevano essere gestiti solo dai servizi pubblici e decadde l’obbligo per il medico di
comunicare le terapie e le generalità del soggetto a tali enti.

La legge n.49/2006 confluita nel Testo Unico aggiornato


La legge 21 febbraio 2006, n.49 confluita nel Testo Unico, ha apportato numerose modifiche
all’assetto sistematico della legge. Per quanto riguarda il regime classificatorio, il completamento e
l’aggiornamento delle tabelle, avviene mediante Decreto del Ministero della salute, sentiti il
Consiglio Superiore della Sanità e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il sistema è strutturato in
due tabelle: la prima comprende tutte le sostanze stupefacenti vietate che non hanno alcun
impiego terapeutico; la seconda, contiene i medicinali ed i prodotti di natura farmaceutica che
possono indurre nel soggetto fenomeni di dipendenza. Venne modificato il panorama
sanzionatorio, non più basato sulla pericolosità della sostanza stupefacente, le “droghe leggere” e
quelle “pesanti” vengono sanzionate allo stesso modo. Un ulteriore importante novità è data
dall’equiparazione a tutti gli effetti di strutture private e servizi pubblici per le tossicodipendenze,
conferendo loro l’accertamento dello stato di tossicodipendente, l’attivazione e la verifica del
programma terapeutico, ai fini curativi e preventivi. Vengono introdotti i “limiti massimi
ministeriali”.

Trattati internazionali
La complessità del fenomeno droga, le sue dimensioni su scala mondiali, hanno ingenerato in
molti Stati, fin dai primi tempi del manifestarsi di questo problema, la convinzione che la lotta al
grande traffico si poteva rafforzare non solo con gli interventi legislativi ma, anche attraverso una
ampia cooperazione a livello internazionale. Gli atti in Italia sono stati influenzati dalla normativa
internazionale. Vi fu la Convenzione Unica di New York del 1961, tuttora vigente, in cui si sanziona
il traffico di stupefacenti se non per fini medici. L’introduzione di nuove sostanze stupefacenti, ha
portato ad un nuovo accordo internazionale, la Convenzione di Vienna del 1971, entrata in vigore
nel 1976 in Italia, che si caratterizza per i criteri dediti all’individuazione degli stupefacenti. Gli
accordi si qualificano per una più intensa collaborazione tra gli Stati aderenti a tale iniziativa e per
ribadire il carattere di reato di ogni tipo di produzione e di commercio degli stupefacenti. Fu
elaborata la “consegna controllata”, il consentire il passaggio sul territorio di uno o più paesi delle
sostanze spedite illecitamente, al fine di individuare le persone coinvolte. Nonostante l’ampia
collaborazione, non si può affermare di aver raggiuto particolari successi.

Difficoltà lessicali
Le sostanze assunte a scopo voluttuario vengono indicate con differenti termini:
 “Droga”: vocabolo ormai entrato nell’uso comune per indicare le sostanze di abuso,
mantenendo i significati originari di aroma e spezia che serve a dar sapore ai cibi e alle
bevande;
 “Sostanza psicotropa”: intesa come composto in grado di agire sulla psiche;
 “Narcotico”: vocabolo che si tende ad abbandonare poiché fa riferimento alle sostanze che
producono un effetto di narcosi;
 “Stupefacente”: termine più usato e accettato nella terminologia giuridica e
amministrativa.

Problema definitorio
Definire che cosa sia uno stupefacente è un problema arduo, e le proprietà con cui una sostanza
viene individuata con tale termine, sono trascritte nella Convenzione internazionale di Vienna del
1971. Il concetto fondamentale è quello di dipendenza che può essere:
1. Psichica: impulso che un soggetto prova a riassumere una determinata sostanza per gli
effetti piacevoli che ne ha ottenuto. La mancanza crea solo disagio di carattere psicologico;
2. Fisica: l’interruzione della periodica assunzione di uno stupefacente provoca una serie di
disturbi fisici dovuti ad un alterato stato fisiologico, la cosiddetta “crisi di astinenza”.

Alcune droghe creano tolleranza, ed a seguito di ripetute assunzioni è necessario aumentare le


dosi dello stupefacente per ottenere gli effetti che venivano indotti da quantità inferiori.
Classificazioni
Secondo il T.U attualmente in vigore, le droghe sono ripartite in due tabelle: la prima comprende
tutte le sostanze stupefacenti vietate che non hanno alcun impiego terapeutico; la seconda,
contiene i medicinali ed i prodotti di natura farmaceutica che possono indurre nel soggetto
fenomeni di dipendenza. Nella tabella I, i criteri di classificazione si basano sull’origine, la struttura
chimica e a volte sugli effetti sull’uomo. La tabella II, relativa ai medicinali, prevede cinque sezioni
dalla lettera A alla lettera E, identificate a seconda della loro diversa capacità di indurre
dipendenza. Esistono altri tipi di classificazioni, quella tra droghe “leggere” e “pesanti” e quella che
le ripartisce secondo gli effetti e le caratteristiche.

Oppiacei e derivati (Eroina e Metadone)


Gli oppiacei sono i prodotti naturali dell’oppio e i loro derivati sintetici, ma anche tutti i composti
ad azione “narcotico analgesica” simile a quella della morfina. L’oppio è il succo che si ricava per
incisione della capsula, non ancora giunta a maturazione, di un fiore, il papavero sonnifero. Il
lattice, lasciato ad essiccare, fino a che non assume una colorazione bruna, viene messo in
commercio confezionato in pani. L’oppio viene fumato in pipe particolari, ma può tuttavia essere
assunto anche per via orale, ad esempio sotto forma di pillole o disciolto in bevande calde. L’oppio
provoca dipendenza fisica e psichica. L’oppio racchiude alcaloidi, composti dal 10 % da morfina e
l’1% da codeina, infine da tebaina.
Originariamente il papavero era legato a pratiche religiose e mediche. Gli Arabi diffusero l’uso in
India e successivamente in Cina. In Cina milioni di persone fumavano l’oppio, la maggior parte
della quale proveniva dall’Inghilterra. L’imperatore cercò di bloccare tale esportazione, ma
inutilmente in quanto l’Inghilterra impose i suoi traffici con la forza e si verificarono le due guerre
dell’oppio, dal 1839 al 1858, che videro la Cina costretta ad importare tale sostanza.
Agli inizi del 1800 venne isolata la morfina, l’alcaloide principale e responsabile dell’azione
stupefacente, ma anche farmaco efficace come antidolorifico. Tale abuso è stato soppiantato
dall’uso dell’eroina.

Eroina
L’eroina o diacetilmorfina, è un derivato semisintetico che si ottiene per acetilazione della morfina,
e trae la sua origine dal papavero dell’oppio. Fu sintetizzata nel 1874 e messa in commercio nel
1898 come rimedio contro il dolore, ma successivamente ci si accorse delle sue elevate capacità di
dare dipendenza. La sostanza del mercato clandestino, la “eroina da strada”, si presenta come una
polvere più o meno addensata, di diversi colori, il cui contenuto in principio attivo, varia in
relazione ai “tagli” che il prodotto ha subito. Usualmente viene assunta con iniezione in vena, ma
si è introdotto l’uso attraverso le mucose nasali. Può creare dipendenza fisica e psichica di
notevole rilievo, cinque volte superiore alla morfina. L’uso comporta sensibili modificazioni agli
organi e agli apparati, alterazioni fisiche e psichiche, patologie dovute a scarsa igiene, per via
dell’uso della siringa (AIDS, epatiti etc.) Inoltre una dose eccessiva può provocare un’intossicazione
acuta e morte per depressione respiratoria. L’eroina, a causa dei suoi effetti negativi non è più
inclusa nella Farmacopea Ufficiale. I paesi nei quali vi è la produzione illecita di tale sostanza sono
il Birmania, Laos e Thailandia (Triangolo d’oro), Iran, Pakistan e Afganistan (La Mezzaluna d’oro),
ma anche Turchia, Indica e Cina.

Metadone
Il farmaco fu introdotto in terapia per la prima volta nel 1941 come analgesico. Inizialmente
considerato antidolorifico, successivamente anche per questa sostanza emerse la sua capacità di
produrre dipendenza e divenne uno stupefacente se non regolata l’assunzione. La sua proprietà di
essere dotato nei confronti dell’eroina di tolleranza crociata, fece sì che potesse essere adoperato
come farmaco sostitutivo per finalità di cura. Negli USA, negli anni 50’, venne introdotta la terapia
di disintossicazione “a scalare” con metadone. Il trattamento consentiva al soggetto di non
manifestare più sintomi da dipendenza fisica da eroina. Nel 1964 Dole e Nyswander si accorsero
che mantenendo pazienti eroinomani in terapia con metadone per un periodo di tempo illimitato
si raggiungeva un miglioramento del loro comportamento, facilitandone il reinserimento sociale
con la possibilità di impiego lavorativo e scolastico. L’uso di stupefacenti provocava alterazioni
fisiche che richiedevano una terapia sostitutiva con un altro narcotico. I vantaggi del metadone,
rispetto ad altri medicinali, sono la somministrazione per via orale, in una lunga durata di azione. Il
Ministero della Sanità ha previsto le linee guida per il trattamento della dipendenza da oppiacei
con farmaci sostitutivi, indicandone le modalità di svolgimento della terapia, gli strumenti etc. Il
fine è la definitiva astensione dall’uso della sostanza, la guarigione. Si cerca di portare il paziente al
distacco da ogni tipo di dipendenza inclusa quella del farmaco sostitutivo. Successivi interventi
riguardarono la terapia del dolore, completando il processo di semplificazione nelle procedure di
accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore consentendo l’utilizzazione del ricettario
del Servizio Sanitario Nazionale.

Cannabis
Per cannabis si intendono tutte le preparazioni ad azione stupefacente ricavate dalla pianta di
canapa. La pianta di canapa è una pianta erbacea, dioica, a ciclo annuale, originaria dell’Asia
centrale, che cresce fino a circa cinque metri e che, per la sua capacità di adattamento, si è presto
diffusa in tutto il mondo. Nel 1968, una lista compilata dalle Nazioni Unite, elenca ben 267 modi
diversi con i quali in tuto il mondo vengono indicate le preparazioni ricavate dalla pianta. I più
importanti usi commerciali sono legati alla fibra, impiegata soprattutto per fabbricare corde, e ai
semi dai quali si ricavava olio per vernici. Le preparazioni ad uso voluttuario collegate alla resina
che la pianta secerne assumono diversi nomi a seconda dell’origine geografica e del tipo di
prodotto (hashish: Libano e Siria; Marihuana: Nord America; KIf: Nord Africa; Grifa: Messico;
Macohna: alcune zone del Sud America; Dagga: Sud Africa; Gania, Charas, Bhang: India). Le
preparazioni contengono come principi attivi i cannabinoidi, tra cui il tetraidrocannabinolo (THC),
dotato di azione stupefacente, il cannabinolo (CBN) e il cannabidiolo (CBD). Dette preparazioni
hanno contenuto variabile del principio attivo stupefacente: l’1% circa le foglie; attorno al 5% la
resina; il 20% l’olio di cannabis. Attualmente i botanici cono concordi nell’individuare una sola
pianta di canapa, la “Cannabis sativa L.”, la quale può differenziarsi in diversi fenotipi chimici. La
differenza tra “canapa da droga” e “canapa da fibra”, va ricercata nella diversa concentrazione del
principio attivo stupefacente.
La cannabis è considerata una droga leggera, induce dipendenza psichica ma non fisica e
tolleranza. I consumatori possono essere classificati in occasionali, saltuari e abituali a seconda se
la consumazione sia mensile, settimanale o quotidiana. Considerata un allucinogeno minore. In un
primo momento la cannabis provoca uno stato di euforia e di benessere con aumentata capacità
di avere rapporti positivi con gli altri, con un acuirsi delle sensazioni, i suoni e i colori possono
apparire modificati con fenomeni anche allucinogeni. Si raggiunge infine uno stato di beata
ebrezza, una condizione a cui fa seguito un sonno naturale.

Cocaina
Il più potente stimolante fisico e psichico di origine naturale, estratto dalle foglie della pianta di
coca (Eritroxylon Coca) che cresce sulla cordigliera delle Ande nel Sud America. Inizialmente
venivano masticate le foglie della pianta, solo nel 1860 venne isolata la cocaina, utilizzata per
molto tempo come anestetico locale. Fu inserita all’interno di alcune bevande, quali la Coca Cola,
per le sue proprietà terapeutiche. Scoperti gli aspetti negativi e la sua capacità di produrre
dipendenza, venne sostituita con la caffeina nelle bevande. In Italia giunse nella seconda metà
dell’80 ed ormai supera l’eroina per diffusione sul mercato. La cocaina è contenuta per 0,5/1%
circa nelle foglie della pianta, la quale raggiunge un’altezza di 2-3 metri ed è in grado di produrre
2-3 raccolti l’anno, soprattutto nei periodi di vita dai 3 ai 6 anni. La “cocaina da strada” si presenta
come polvere bianca spesso diluita con altri ingredienti, assunta normalmente attraverso le
mucose nasali, ma non è infrequente la iniezione per vena. Negli ultimi anni si è sviluppata la
trasformazione della cocaina in crack con la possibilità di essere fumata. La cocaina provoca
dipendenza psichica e fisica. Gli effetti sono collegati alla stimolazione del sistema nervoso,
euforia, loquacità, lucidità mentale, il tutto accompagnato ad uno stato angoscioso, confusione
mentale, allucinazioni. La morte per cocaina è una evenienza abbastanza rara, i casi più frequenti
si collegano al “Body Packer”, cioè colui che, per trasportare clandestinamente notevoli quantità di
droga, la confeziona in appositi contenitori che poi ingerisce o introduce in altre parti del corpo. A
volte avviene che l’imballaggio si rompa diffondendo all’interno dell’organismo un’elevata
quantità di cocaina che provoca la morte del soggetto.

Amfetamine
Sono un gruppo di composti sintetici che agiscono sul sistema nervoso centrale con un effetto
stimolante sia fisico che psichico. Inizialmente utilizzate in campo medico, ritenendo che potessero
curare senza rischio di dipendenza da numerose malattie. Durante la II guerra mondiale, le
amfetamine, sono state ampiamente usate come stimolante dagli eserciti Stati Uniti, Gran
Bretagna, Giappone e Germania, per combattere la fatica, rimanere svegli, e sviluppare il
rendimento in battaglia. In Italia solo nel 1972 entrò negli elenchi degli stupefacenti. Verso la metà
degli anni ottanta, si è diffusa la moda, prima negli Stati Uniti, poi in Europa, di un nuovo tipo di
abuso, quella di una classe di derivati delle amfetamine, indicati come “farmaci entactogeni” così
denominati per la loro capacitò di indurre una serena introspezione. I più diffusi sono l’MDMA,
comunemente denominato “ecstasy”, e gli analoghi MDA e MDEA, in grado di produrre effetti
allucinatori. Al momento tali droghe vengono commercializzate sotto forma di pasticche assunte
per via orale. L’MDMA, scoperto nel 1913, venne inserito nell’elenco degli stupefacenti solo nel
1988 in Italia.

Allucinogeni
Indica un gruppo di composti, alcuni naturali, altri sintetici, che hanno in comune la capacità di
provocare uno stato mentale di alterazione con fenomeni allucinatori dovuti a distorsioni
percettive. I principi attivi sono contenuti in numerose piante diffuse in molti paesi. Tra gli
allucinogeni di origine naturale, il Pejotl, ad esempio, è una delle più antiche droghe, derivanti da
un cactus, utilizzata inizialmente per riti religiosi. Disponibile sotto forma di “bottoni di mescal”,
discoidi di colore marrone e duri, che vengono ammorbiditi in bocca dalla saliva prima di essere
inghiottiti; raramente si trova in polvere.
Tra gli allucinogeni di origine sintetica, il più noto è il LSD (dietilammide dell’acido lisergico),
sintetizzato nìdal chimico Hoffman per la prima volta nel 1943, a seguito di un’accidentale
assunzione. Non vennero mai trovati usi terapeutici. In Italia sempre più presente. Si tratta di uno
dei più potenti allucinogeni che si conosca, facile da occultare e contrabbandare. Di solito è posto
in vendita sul mercato su supporti costituiti da zollette da zucchero, piccoli francobolli, compresse,
che vengono direttamente ingeriti. Tale sostanza provoca alterazioni della psiche, diverse da
soggetto a soggetto, i cui sintomi sono collegati alla sensazione di uno sdoppiamento della propria
personalità. Le percezioni delle distanze e delle forme sono completamente alterate, si perde il
senso del tempo, confondendo il presente, con il passato ed il futuro. IL “viaggio”, chiamato “trip”,
ha una durata dalle 8 alle 12 ore. La sostanza provoca una psicosi tossica. Tra gli allucinogeni
compaiono anche i “farmaci entactogeni” della cannabis, la Feniclidina (PCP), la Ketamina, usato
come farmaco anestetico in veterinaria e in grado di produrre effetti allucinatori.
La MDM, ketamine e GHB (acido gamma idrossibutirico) rappresentano le sostanze stupefacenti di
scelta tra i giovani nei rave.

Barbiturici e psicofarmaci
Sono prodotti derivanti dall’acido barbiturico, usati in terapia perché agiscono sul sistema nervoso
centrale determinando effetti sedativi, ipnotici e anestetici; sono anche adoperati come rimedio
per l’epilessia. Per la loro capacità di dare dipendenza sono stati inseriti nell’elenco degli
stupefacenti. L’abuso di tale sostanza non è un fenomeno molto esteso in Italia, in quanto
soppiantato dall’uso di benzodiazepine, tranquillante minore. La dipendenza è data da
un’assunzione superiore a quella a scopo terapeutico.
Analoghi di sintesi
Negli ultimi tempi si è incrementata la produzione di potenti droghe sintetiche ottenute a partire
da stupefacenti già inseriti negli elenchi di legge. Le molecole che si offrono a tale scopo sono il
fentanile, la meperidina e l’amfetamina. Presentano delle variazioni della struttura chimica in
modo che possano circolare poiché non ancora inclusi nell’elenco di stupefacenti.

Sostanze volatili
Questa tipologia di abuso è iniziata negli Stati Uniti e poi diffusa in tutto il mondo, soprattutto per
via della mancanza di carattere legislativo. Un tipo di abuso diffuso in carcere tra i
tossicodipendenti ed ha per oggetto i gas, contenuti di bombolette etc. Sono presenti in molti
prodotti quali vernici, smacchiatori, collanti, prodotti areosol etc. Hanno in comune la volatilità, la
capacità di potersi trasformare in una forma che possa essere respirata per ottenere effetti
psicotropi. Possono essere inalate direttamente dal contenitore o attraverso un panno imbevuto.
La morte da sniffing, avviene generalmente in maniera accidentale, ad esempio per asfissia da
spazio confinato.

Ricerca di stupefacenti in materiale non biologico


Per una corretta applicazione delle sanzioni, penali o amministrative, previste dagli articoli 73 e 75
del T.U, le sostanze stupefacenti sono di regola sottoposte ad una verifica attraverso analisi di
laboratorio. Le indagini devono condurre non solo al riconoscimento della sostanza, ma anche alla
quantità, in quanto la gradualità della pena è correlata alla quantità di stupefacente sequestrata.
Acquistano importanza anche altri fattori, quali il superamento o meno dei “limiti quantitativi
massimi”, il peso lordo, i modi di rinvenimento, il possesso di attrezzi tipici per la preparazione di
dosi trasportabili e di sostanze da taglio. Si deve tenere conto che i campioni sequestrati si
presentano in differenti forme, spesso in capsule o in diversi colori, non presentando elementi che
consentano una preliminare identificazione. Pertanto di dovrà procedere con test preliminari,
dimostrando un valore indicativo ma non specifico. E’ opportuno che si effettui più di una
metodica per l’identificazione della sostanza. A volte è necessario un esame di carattere botanico,
in quanto materiale potrebbe essere costituito da prodotti vegetali. Inoltre si procede alla ricerca
di tracce di metalli o di solventi per l’individuazione dell’origine geografica.

Ricerca di stupefacenti in materiale biologico da vivente


Profili metodologici
I campioni biologici più idonei nel vivente sui quali è possibile effettuare ricerche di stupefacenti
sono le urine, il sangue, i capelli e si stanno introducendo le indagini anche su materiali biologici
diversi (salvia, sudore, lacrime e unghie). Le urine è il campione più utilizzato, in quanto è
disponibile in grandi quantità e permettono il ritrovamento delle molecole di stupefacente per un
ampio periodo di tempo. La determinazione quantitativa è di difficile lettura poiché non si hanno
quasi mai a disposizione gli elementi che permettono di risalire al processo metabolico. Le
tecniche individuano una positività, la quale rappresenta un “cut-off”, un superamento di un
valore, corrispondente all’assunzione della sostanza. Molte volte i test possono provocare falsi
positivi, dunque occorre effettuare ulteriori indagini. Le tecniche di laboratorio più utilizzate, sono
quelle cromatografiche, precedute da una preliminare estrazione del materiale biologico.

Accertamenti dell’abuso di stupefacenti


Rimangono fondamentali gli accertamenti di carattere medico-legale e tossicologo-forense previsti
dall’articolo 78 del T.U, poiché solo attraverso la documentazione dello stato di tossicodipendenza
certificato dai Centri pubblici per le tossicodipendenze o dalle Strutture private, il soggetto potrà
sottoporsi ad un programma di recupero anche ai fini della sospensione della pena detentiva e
dell’affidamento in prova.

Accertamenti su categorie di lavoro


L’articolo 125 del T.U, prevede accertamenti di “assenza di tossicodipendenze” da effettuarsi
prima dell’assunzione in servizio, poi periodicamente, per gli appartenenti a categorie di lavoratori
destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute dei terzi. Si
trattano di accertamenti obbligatori perché relativi alla salvaguardia della salute come interesse
della collettività nei confronti dei rischi emergenti dallo svolgimento di mansioni pericolose se
effettuate sotto l’uso di stupefacenti. Rientrano i lavoratori suddivisi in tre categorie:
 Attività per le quali è richiesto un certificato di abilitazione per l’espletamento di lavori
pericolosi;
 Mansioni inerenti le attività di trasporto;
 Mansioni relative alla produzione, confezionamento, detenzione, trasporto e vendita di
esplosivi.
I lavoratori che devono sottoporsi a tali accertamenti sono indicati in un elenco che il datore di
lavoro invia al medico competente. L’iter si compone di due livelli: il primo riguarda gli
accertamenti da parte del medico; il secondo, un approfondimento diagnostico accertativo a
carico dei servizi per le tossicodipendenze. Nel primo caso le analisi vengono effettuate sulle urine,
dal medico. Nel secondo caso, anche su matrice cheratina (capelli, peli) da parte dei servizi delle
tossicodipendenze.

Articolo 125 T.U.


1. Gli appartenenti alle categorie di lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la
sicurezza, la incolumità e la salute dei terzi, individuate con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sono sottoposti, a cura di strutture
pubbliche nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e a spese del datore di lavoro, ad
accertamento di assenza di tossicodipendenza prima dell'assunzione in servizio e,
successivamente, ad accertamenti periodici.
2. Il decreto di cui al comma 1 determina anche la periodicità degli accertamenti e le relative
modalità.
3. In caso di accertamento dello stato di tossicodipendenza nel corso del rapporto di lavoro il
datore di lavoro è tenuto a far cessare il lavoratore dall'espletamento della mansione che
comporta rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute dei terzi.
4. In caso di inosservanza delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 3, il datore di lavoro è punito con
l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni.

Accertamenti per la guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti


La legge 29 luglio 2010, ha ulteriormente modificato l’articolo 187 “guida in stato di alterazione
psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti”. Resta comunque confermato il contesto applicativo:
è vietato guidare in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti e
psicotrope”. L’accertamento si basa su un esame preliminare di facoltà della polizia stradale di
procedere in ogni caso in cui si abbia ragionevole motivo di ritenere che il conducente sia in
condizioni di alterazione psicofisica correlata all’uso di stupefacenti. In caso di positività, vengono
effettuati ulteriori controlli da cliniche specializzate. Viene preso come campione biologico la
mucosa del cavo orale. In caso di rifiuto o impossibilità di effettuare il prelievo gli agenti,
accompagnano il soggetto presso strutture sanitarie afferenti agli organi di Polizia o strutture a tali
fini equiparate.

Accertamenti per il conseguimento della patente di guida


La legge 29 luglio 2010, ha apportato modifiche all’articolo 11, “Requisiti fisici e psichici per il
conseguimento della patente di guida”. L’accertamento di tali requisiti è effettuato dall’ufficio di
Unità sanitaria locale territoriale competente cui sono attribuite funzioni in materia medico-legale.
Il loro compito è accertare che la patente di guida non venga rilasciata o confermata ai candidati o
conducenti che si trovino in stato di dipendenza attuale da alcool, stupefacenti o sostanze
psicotrope, capaci di compromettere la loro idoneità a guidare senza pericoli. Tali accertamenti
purtroppo sono lasciati alla discrezionalità delle Commissioni mediche locali. Un’importante novità
riguarda l’esibizione di una apposita certificazione da cui risulti il non abuso di stupefacenti, per chi
esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone e cose.

Accertamenti per il conseguimento della licenza per armo da sparo


Il Decreto Ministeriale del 28 aprile 1998, tratta i “Requisiti psicofisici minimi per il rilascio ed il
rinnovo dell’autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia e al porto d’armi per uso di difesa
personale”, andando a verificare come causa di non idoneità “L’assunzione anche occasionale di
sostanze stupefacenti e l’abuso di alcool e di psicofarmaci”

L’uso di sostanze narcotiche o stupefacenti nei reati di violenza sessuale


I dispositivi previsti al n.2 dell’articolo 4 della legge 15 febbraio, trattano le norme contro la
violenza sessuale. In particolare, l’uso di sostanze stupefacenti e narcotiche per porre la persona
offesa in una condizione di inferiorità fisica e psichica.

Ricerca di stupefacenti in materiale cadaverico


La ricerca di sostanze su materiale cadaverico, appartiene alla tradizione della tossicologia forense.
Le indagini si sviluppano su due diversi settori: il primo riguarda tutti i casi in cui la morte sia dipesa
da una causa diversa ed gli effetti dello stupefacente possono avere inciso sul comportamento in
relazione all’evento (incidenti stradali, infortuni etc). Il secondo settore riguarda le morti nelle
quali lo stupefacente ha svolto un ruolo determinante. La diagnosi viene effettuata sul sangue,
bile, urine, contenuto gastrico ed anche fegato, encefalo, rene e umor vitreo.

Capitolo sesto
Il doping
Con il termine “doping” si intende l’assunzione di sostanze in grado di migliorare artificiosamente
la prestazione fisica. L’uso di tali sostanze risale all’antica Grecia, in cui gli atleti cercavano di
esaltare le proprie energie ai giochi olimpici, assumendo particolari funghi. Solamente negli anni
60’ appaiono i primi divieti relativi al doping, sollecitati anche da eventi clamorosi, primo fra tutti il
decesso nel 1967 del campione del mondo di ciclismo Tom Simpson connesso con l’assunzione di
stimolanti, durante una gara del Tour de France.

Definizioni e riferimenti normativi precedenti la legge n.376/2000


Il doping presenta un duplice aspetto, in quanto, si configura da un lato, come contrarietà all’etica
sportiva in quanto modificazione artificiale delle energie e quindi della prestazione, dall’altro come
pericolosità per la salute e perturbazione dell’equilibrio psicofisico. Sono preminenti, sia l’interesse
dello sport a non usare mezzi fraudolenti per ottenere il risultato e quello dello Stato affinché
nessun cittadino usi mezzi nocivi alla sua salute. La prima legislazione antidoping dello Stato
prende corpo in Italia con la legge 26 ottobre 1971, n.1009 “Tutela sanitaria delle attività
sportive”, rimasta per anni inapplicata a causa di alcune criticità. La situazione si è aggrava quanto
il Servizio Sanitario Nazionale, ha messo in crisi l’organizzazione dei servizi di riferimento previsti
dalla legge, dalla mancanza di incentivi economici e l’incompletezza della legge relativa agli elenchi
delle sostanze dopanti. L’Italia ha ratificato con la legge 29 novembre 1995, n.552 la “Convenzione
europea contro il doping nello sport. La Convenzione si impegna a fornire provvedimenti in gradi
eliminare il fenomeno del doping, istituendo un “gruppo di vigilanza” nel quale sono rappresentati
gli Stati firmatari di tale Convenzione, con il compito di controllarne l’attuazione ma anche di
revisione delle classi farmacologiche di agenti di doping e dei metodi di doping vietati dalle
organizzazioni sportive internazionali. In Italia, prima dell’entrata in vigore della legge n.376/2000
non era effettivamente operante una legislazione statale di lotta al doping e gli unici interventi
provenivano dall’ordinamento sportivo. Nel 2007, venne ratificata la Convenzione internazionale
contro il doping nello sport, con lo scopo di promuovere la prevenzione del doping nello sport e la
lotta a tale fenomeno al fine di eliminarlo, promuovendo una cooperazione internazionale.

L’ordinamento sportivo
Nell’ambito della legislazione dello sport, la regolamentazione riguardante il divieto di doping fa
capo al Codice Mondiale antidoping emanato dalla Agenzia Mondiale antidoping (WADA-AMA),
adottato il 5 marzo 2003, nel quale sono previste la revisione e pubblicazione della lista delle
sostanze vietate, dei metodi proibiti, violazioni del regolamento etc. Il Codice si applica a tutti
coloro che partecipano a competizioni svolte nell’ambito del Movimento Olimpico. In Italia, il
CONI, (Comitato olimpico nazionale italiano), ha istituto organismi ed uffici con il compito di
prevenire, controllare e reprimere il fenomeno del doping. Accoglie le regole del WADA-AMA. Il
doping è proibito anche se l’atleta abbia manifestato un miglioramento della prestazione sportiva
invece di un nocumento alla salute. Nel 2010, venne emanata la lista definitiva riguardante le
sostanze e i metodi proibiti.

Le sostanze e i metodi dopanti


 Agenti anabolizzanti: comprendono gli steroidi anabolizzanti androgeni ovvero il
testosterone e sostanze ad esso affini. Tali sostanze svolgono la funzione di aumentare e
potenziare le masse muscolari, accrescono l’aggressività agonistica e aiutano il recupero
dopo intensi carichi.
 Ormoni peptidici, portano ad un innalzamento degli steroidi anabolizzanti:
1. Corticotropina, che determina un aumento della concentrazione dei corticosteroidi nel
sangue, ricercandone l’effetto euforizzante;
2. L’ormone della crescita usato come agente anabolizzante al fine di sviluppare la massa
muscolare;
3. Fattore crescita insulino simile, che esercita un potente effetto anabolizzante;
4. Insulina, regola il metabolismo glucidico;
5. Eritropoietina, che potenzia le prestazioni atletiche a seguito di un aumento dei globuli
rossi, e di conseguenza una maggiore capacità veicolare di ossigeno da parte del
sangue.
 I farmaci beta-2agonisti, inducono effetto stimolante e anabolizzante
 Gli antagonisti e modulatori degli ormoni, esplicano una azione anabolizzante e alterazione
degli steroidi
 I diuretici, farmaci in grado di favorire l’eliminazione dei liquidi dai tessuti
 Agenti mascheranti, prodotti che hanno la capacità di compromettere l’escrezione di
sostanze vietate o di mascherare la lor presenza nelle urine
 Stimolanti, aumentano il livello di vigilanza, riducono la fatica e incrementano l’agonismo
 I narcotici, farmaci per il trattamento del dolore, per proseguire nella competizione
nonostante crampi muscolari ed eventuali infortuni
 Glucocorticosteroidi, farmaci che producono modificazioni dell’umore e euforia
 Beta-bloccanti, impiegati per ridurre l’ansia, tremore agli arti e pressione arteriosa.
 Doping ematico, consiste nella somministrazione ad un atleta di globuli rossi, di sangue ed
aumentare l’apporto di ossigeno.
 Manipolazione fisica e chimica, consiste nell’uso di sostanze che alterano o tentano di
alterare l’integrità e la validità dei campioni di urina
 Il doping genetico, rappresenta l’uso di geni, per migliorare le prestazioni sportive.

La legge di lotta contro il doping n.376/2000


Nella Gazzetta Ufficiale, il 18 dicembre 2000, è stata pubblicata la legge 14 dicembre 2000, n.376,
dal titolo “Disposizioni della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”. Il
testo diviso in 10 articoli, affronta l’argomento doping dal punto di vista delle definizioni e degli
ambiti applicativi.

Definizioni e ambiti applicativi


Nel comma 1 dell’articolo 1 viene affrontato il problema della duplice valenza del doping, da un
lato in grado di mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti, quindi il diritto alla salute;
dall’altro di alterare la regolarità delle gare. Il legislatore richiama i principi etici e i valori educativi
indicati nella Convenzione contro il doping fatta a Strasburgo. I commi 2 e 3 dell’articolo 1
forniscono la definizione di doping: “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze
biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione di pratiche mediche
non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psico-fisiche o
biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
Il comma 4 dell’articolo 1, pone una questione di giustificazione laddove prevede che il doping non
sussista qualora “alla presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate dal
medico, all’atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento, che dovrà rispettare le
modalità di prescrizione del medico e tenere a disposizione tale documento.
Nel testo normativo viene utilizzato il termine “atleta”, che secondo la definizione data dalla
Convenzione, “per sportivi si intendono le persone di entrambi i sessi che partecipano
regolarmente ad attività sportive organizzate”.

Le classi delle sostanze dopanti


I farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e le pratiche mediche, che
costituiscono doping, secondo l’articolo 1 sono ripartiti in classi approvate con decreto del
Ministero della Salute, d0intesa con i Beni e le Attività culturali, su proposta della Commissione di
vigilanza ed il controllo sul doping, tenendo conto delle disposizioni della Convenzione di
Strasburgo e degli organismi internazionali. La lista è composta da cinque sezioni: 1.Classi vietate;
2.principi attivi appartenenti alle classi vietate; 3.Specialità medicinali contenenti principi attivi
vietati; 4.Elenco in ordine alfabetico dei principi attivi e delle relative specialità medicinali;
5.Pratiche e metodi vietati.

Gli accertamenti di laboratorio


Le norme prevedono una duplice organizzazione per l’esecuzione dei controlli ì, che potranno
essere effettuati in gara o fuori gara. Per alcune competizioni ed attività sportive, le verifiche
saranno sottoposte ai laboratori della WADA-AMA; le attività di controllo su competizioni e attività
sportive diverse dalle precedenti saranno svolte da laboratori i cui requisiti sono stati determinati
con specifico atto normativo. Le linee guida sono state emanate con una Conferenza tra lo Stato,
le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano. Designano un progetto di laboratorio
antidoping ben articolato ed idoneo ad affrontare le difficoltà. Gli standard organizzativi dei
laboratori devono essere omogenei, indipendentemente dal tipo di competizione. Il laboratorio,
adeguatamente fornito di attrezzature, non potrà prescindere da personale esperto e qualificato
con competenza specifica e preparazione scientifica e culturale adeguata. La Commissione,
determina i criteri, i casi e le metodologie dei controlli antidoping. Per accertare l’effettiva azione
della sostanza, potranno essere sottoposte ad analisi, l’urina, il sangue, ed altri campioni per
accertarne l’esistenza. Per quanto riguardano le analisi di conferma, queste ultime, dovranno
essere eseguite da un laboratorio, diverso da quello delle prime analisi.

L’organizzazione
La fase applicativa della legge, è demandata ad una Commissione, composta da dodici membri,
rappresentanti del Ministero della Salute, del Dipartimento delle politiche giovanili e le attività
sportive, del Ministero della Solidarietà, delle Regioni e del CONI. I compiti della Commissione,
oltre a mantenere rapporti con organismi internazionali in Italia e con il Servizio Sanitario, si
occupano dell’organizzazione dei laboratori antidoping, determinando i criteri, le classi di
sostanze.

Le disposizioni penali
L’articolo 9 della legge, prevede le sanzioni penali, su chi somministra, assume o favorisce l’utilizzo
di sostanze di doping. Le sanzioni si possono erogare anche nei confronti dell’atleta. La pena è
aumentata, se sussiste un aggravante:
1. Se dal fatto deriva un danno per la salute;
2. Se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;
3. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, componente del CONI, di
una federazione sportiva nazionale, di una società, ente o associazione riconosciuta dal
CONI.

Articolo 9:
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e
con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque procura ad altri, somministra, assume o
favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente
attive, ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da
condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche
dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a
modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.
2. La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca più grave reato, a chi adotta o
si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, non
giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche
dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare
i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.
3. La pena di cui ai commi 1 e 2 è aumentata:
a) se dal fatto deriva un danno per la salute;
b) se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;
c) se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI ovvero di una
federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal
CONI.
4.  Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue
l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione.
5. Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l’interdizione permanente
dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di
promozione riconosciuti dal CONI.
6. Con la sentenza di condanna è sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze
farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.
7. Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive
ricompresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte
al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che
detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente, è punito con la
reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni.
 
Capitolo settimo
Tossicologia ambientale
Il compito istituzionale della tossicologia forense è quello di studiare il rapporto tra l’uomo e
l’agente tossico in relazione a specifici disposti di legge, dunque l’inquinamento ambientale è di
interesse di tale disciplina. Si tratta anche di valutare, dosare e valutare sostanze tossiche,
pericolose per l’uomo. Il concetto di inquinamento, come fenomeno collegato ai continui
cambiamenti nella composizione e nelle condizioni dell’ambiente tali da turbarne l’equilibrio e da
risultare potenzialmente pericoloso per l’uomo e per gli esseri viventi, va strettamente collegato
all’evolversi dello sviluppo tecnologico ed economico della società, e l’impiego di numerosi
prodotti chimici altamente pericolosi. La tossicologia forense di occupa dei settori dell’aria e
dell’acqua.

Inquinamento dell’acqua
Poiché una fondamentale caratteristica dell’acqua è quella di essere un solvente universale, risulta
problematico affermare che si ha inquinamento quando in essa siano presenti sostanze disciolte in
maggiore o minore quantità tale da alterare la purezza. Gli usi ai quali può essere destinata l’acqua
possono essere così indicati:
 Acque destinate al consumo umano (acque potabili, per uso alimentare), per le quali è
indispensabile l’assenza di sostanze pericolose per la salute dell’uomo;
 Acque per uso industriale, che non devono contenere composti che danneggino l’impianto;
 Acque per l’agricoltura, la cui utilizzazione per l’irrigazione è possibile solo in presenza di
una ridotta salinità per evitare danni alla produttività del terreno;
 Acque compatibili con la vita acquatica che presuppongono come condizione
fondamentale la presenza di sufficiente ossigeno disciolto per garantirne i processi biologici
fondamentali
Gli inquinanti idrici vengono raggruppati in alcune categorie seconda una classificazione
universale.

Sostanze che consumano ossigeno


Un bacino d’acqua per poter garantire la vita delle piante acquatiche e delle specie animali deve
aver sufficiente ossigeno disciolto. Uno dei motivi principali della deossigenazione va ricercato
nelle cosiddette “sostanze che consumano ossigeno”. Tali inquinanti di natura organica,
provenienti da scarichi fognari, rifiuti, immersi nel bacino, vengono decomposti da diverse specie
di microorganismi a spese dell’ossigeno disciolto, rendendo incompatibile l’ambiente acquatico
con la vita.

Agenti patogeni
Gli organismi patogeni (batteri del tifo, colera, tetano) presenti nelle feci e nelle urine di soggetti
malati sono eliminati nel sistema fognario, è di estrema gravità, il rischiato di contaminazione e
l’eventuale inquinamento di scarichi fognari. La ricerca di microorganismi attraverso un campione,
è tuttavia di difficile e complessa attuazione, per via dell’elevato numero di germi da ricercare e
dal fatto che sono presenti in minime quantità.

Sostanze nutritive delle piante


La flora acquatica è condizionata nella sua crescita dalla presenza qualitativa e quantitativa di
sostanze nutritive. Se si verifica un arricchimento naturale di composti necessari per lo sviluppo,
l’aumento di vegetazione acquatica, comporta un lento e progressivo invecchiamento del bacino.
Se invece il processo subisce un’accelerazione causata dall’agire dell’uomo, si verifica un problema
di inquinamento. Le alghe crescono rapidamente e consumano ossigeno nella loro fase di
decomposizione rendendo l’ambiente marino inabitabile ed il rapido trasformarsi in palude.
Le sostanze nutritive sono responsabili di tale inusuale crescita delle alghe, le principali sono
azoto, carbonio ma anche fosforo.

Composti organici di sintesi


I composti organici di sintesi rappresentano una vasta categoria di sostanze quali detersivi,
pesticidi, combustibili, solventi, sostanze plastiche, vernici e prodotti che sotto molti aspetti
rappresentano un pericolo di inquinamento per l’acqua. I pesticidi, sono dei prodotti capaci di
combattere i parassiti animali o vegetali dell’uomo, degli animali e delle piante. Il loro uso primario
è in agricoltura, per la lotta ai parassiti. Il loro impiego, a causa della pioggia e delle acque di
irrigazione, rende possibile la contaminazione dei bacini interni e marini e bacini sotterranei. E’
ormai nota la storia del DDT, insetticida, non molto tossico per l’uomo.

Petrolio
L’inquinamento da petrolio è legato ai disastri che coinvolgono navi da trasporto o pozzi
petroliferi, lo scarico in mare di notevoli quantità di greggio. Il petrolio non è miscelabile con
l’acqua, pertanto rimane sulla superficie, una parte emulsiona, un’altra viene degradata da
microorganismi. Tra gli effetti vi è una riduzione della fotosintesi vegetale marina, diminuzione
dell’ossigeno disciolto, danno agli uccelli marini e distruzione di alghe e licheni.
Sostanze chimiche inorganiche e minerali
Fanno parte di questa categoria gli acidi, sali inorganici e metalli pesanti, che possono essere
immessi nelle acque. Gli acidi possono alterare la situazione di equilibrio con gravi danni alla via
acquatica, ma anche per il raccolto agricolo. Piccole quantità alterano il PH delle acque dolci, ma
un sistema tampone lo ripristina in maniera ottimale. Di grave tossicità sono i metalli pesanti, quali
il mercurio, il piombo, l’arsenico. Il cromo, il nichel etc, che si accumulano negli organismi viventi e
entrano nella catena alimentare, fino a risultare pericolosi per l’uomo.

Sedimenti
Una forma di inquinamento riguarda i sedimenti, causati dal depositarsi sul fondo del corpo idrico
con la conseguenza di ridurre la popolazione di pesci e molluschi e coprire le riserve di cibo. Inoltre
riducono la fotosintesi e la produzione di ossigeno.

Inquinamento da calore
L’inquinamento da calore è provocato dall’aumento improvviso della temperatura del bacino di
solito a causa dell’immissione di una quantità di acqua più calda. Un fenomeno collegato al
raffreddamento di impianti industriali, una volta avvenuto lo scambio di calore, la massa liquida
riscaldata viene immersa nel bacino. Tra gli effetti negativi, vi sono la diminuzione dell’ossigeno
disciolto e la morte di varie specie ittiche. Esiste infatti una temperatura per deporre le uova, per
migrare, per distribuirsi. Tale fenomeno altera il normale sviluppo della vita.

Sostanze radioattive
Le acque possono essere inquinate anche da sostanze radioattive, le cui fonti sono molteplici:
residui di lavorazione di minerali, rifiuti di reattori nucleari, laboratori di ricerca, industrie, ospedali
etc.

Cenni sulla normativa in tema di inquinamento delle acque


Con il Codice dell’ambiente, in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n.308, il legislatore ha
tentato di ridare ordine alla normativa ambientale, comprendendo l’inquinamento delle acque,
dell’aria, la disciplina degli scarichi e di gestione dei rifiuti. Il Testo Unico, prevede nei primi tre
articoli disposizioni comuni di carattere generale sempre applicabili. Il codice penale, agli articoli
439 e 440, prende in considerazione i reati di avvelenamento, adulterazione e contraffazione di
acque destinate all’alimentazione prima che siano attinte o distribuite per il consumo.

Art. 439.
Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari.
Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o
distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.
Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l'ergastolo; 

Art. 440.
Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari.
Chiunque, corrompe o adultera acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano
attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la
reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla
salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio. La pena è aumentata se sono
adulterate o contraffatte sostanze medicinali.
Inquinamento dell’aria
Per aria si intende quel miscuglio di gas che avvolge la terra in uno strato abbastanza sottile. L’aria
è di estrema importanza per gli esseri viventi ed il suo inquinamento è dannoso per la salute
dell’uomo e dell’ambiente. L’uomo emette nei polmoni fino a 18.000 litri di aria la giorno per
garantire i processi vitali. La composizione dell’aria non è costante, in quanto i componenti
presentano una certa variabilità. Qualsiasi modificazione della composizione dell’aria provoca
effetti negativi. Alcuni fenomeni contribuiscono ad inquinare l’aria: la decomposizione vegetale,
l’attività vulcanica, gli incendi etc. Altri fenomeni riguardano i processi industriali, inceneritori etc.
Negli impianti di combustione, un combustibile viene fatto reagire con l’ossigeno presente nell’aria
per produrre calore e trasformarsi in anidride carbonica ed acqua. Lo stesso tipo di inquinamento
proviene dai motori a scoppio, perché il loro funzionamento è legato alla combustione di benzine,
gasolio. Pericoloso per la salute è anche l’emissione di alcuni metalli particolarmente tossici.
L’esposizione prolungata a determinati elementi, quali monossido ci carbonio o ossidi di azoto,
produce danni all’apparato respiratorio dell’uomo. Anche l’ambiente, come i monumenti
risentono delle modificazioni dell’aria, provocando gradazione e corrosione. Per gli inquinanti
dell’aria esistono diversi schemi di classificazione, cinque gruppi: monossido di carbonio, ossidi di
azoto, ossidi di zolfo, idrocarburi, particelle solide o particolari.

Effetto serra
Un fenomeno di inquinamento dell’aria molto importante e di estrema attualità riguarda l’effetto
serra, dovuto alla crescente presenza nell’aria di anidride carbonica o biossido ci carbonio,
molecola che rischia di provocare un aumento costante della temperatura del globo terrestre.
Questo gas presente nell’aria, mentre lascia passare l’energia luminosa ad onde corte inviata dal
sole sulla terra, provocando l’effetto di riscaldarne la superficie, assorbe una parte delle radiazioni
ad onda lunga riflesse dalla stessa, trattenendo così parte del calore emanato, Si forma una specie
di strato di protezione che recupera gran parte dell’energia emessa dalla terra impedendone la
dispersione. Da un lato, l’effetto serra è un fenomeno molto importante per mantenere una
temperatura idonea alle condizioni di vita sulla terra (effetto serra naturale), dall’altro il costante
aumento dell’anidride carbonica presente nell’aria a causa dell’attività dell’uomo può portare ad
un aumento della temperatura tale da alterare il clima terrestre (effetto serra antropico). E’
opinione diffusa che sia in atto un riscaldamento globale e un cambiamento climatico causate dalle
attività umane. In ogni caso, vi sono alcuni rimedi per contrastare la concentrazione di anidride
carbonica nell’aria: riduzione di produzione di energia da combustibili fossili, impedendone gli
sprechi e favorendo l’uso di energia rinnovabile, combattendo la deforestazione e incoraggiando il
rimboscamento. Il 16 febbraio 2015 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto con cui i 141 paesi
aderenti, si sono impegnati a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 5,2% rispetto al
1990. La recente legge, prevede i limiti di emissione, le prescrizioni e metodi di campionamento e
analisi.

Riduzione dell’ozono atmosferico


Nella stratosfera tra i 15 e 60 km di quota, esiste una certa concentrazione di ozono (O3), il cui
compito è quello di assorbire le radiazioni ultraviolette più energetiche, creando uno scudo di
protezione indispensabile per la vita sul nostro pianeta. E’ noto che l’aumento dei tumori della
pelle rappresenta una delle conseguenze legate all’aumento delle radiazioni ultraviolette. Negli
ultimi tempi sono state individuate sostanze che provocano la distruzione dell’ozono, i
clorofluorocarburi e i “freon” gas usati per propellenti per areosol.
Cenni sulla normativa in tema di inquinamento dell’aria
Con il T.U sull’ambiente il legislatore ha racchiuso le norme in materia di tutela dell’aria e di
riduzione delle emissioni in atmosfera. La legge individua sfere di applicabilità e sanzioni penali.
Accanto a tali leggi, ha continuato ad operare l’articolo 674 del codice penale:

“Chiunque getta o versa, in un luogo pubblico transito o in luogo privato ma di comune o altrui
uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero nei casi non consentiti dalla
legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con
l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecento sei euro.”

Capitolo ottavo
Il rischio chimico in ambienti di lavoro
Per ambiente di lavoro si intende tutto il complesso di situazioni e fattori con i quali l’individuo
viene a contatto nel corso della sua attività lavorativa o a causa di questa, e che possono svolgere
un’influenza sul suo equilibrio fisico e chimico. Nei luoghi di lavoro sono presenti molti fattori
ambientali, in grado di compromettere con diverso livello di gravità a seconda delle situazioni e
delle circostanze, la salute dei lavoratori esposti alla loro azione. In particolare, il rischio chimico
nell’attività lavorativa è da intendersi come tutti quei pericoli per la salute connessi con l’impiego
di sostanze o preparati chimici, che coinvolge vaste aree produttive. L’introduzione di agenti
chimici avviene attraverso tre principali vie di accesso:
1. Via respiratoria o polmonare: l’inalazione nei polmoni durante la respirazione è propria dei
prodotti gassosi o volatili. Considerata la principale via di accesso;
2. Via cutanea: il rischio di esposizione per contatto cutaneo si può presentare durante le fasi
di manipolazione delle sostanze chimiche, con contatto diretto o attraverso indumenti
impregnati;
3. Via digestiva: la meno comune ma non trascurabile.
Le sostanze e i preparati chimici sono nocivi su una duplice modalità: da un lato possono
provocare rischi infortunistici, provocando una intossicazione acuta, data una breve esposizione
con il prodotto. Dall’altro, una intossicazione cronica, data da una lunga esposizione con il
prodotto, e provocare gravi rischi alla salute.

Rischi per la salute e la sicurezza derivanti da agenti chimici alla luce del Testo Unico sulla salute e
sicurezza sul lavoro
Il Testo Unico, oltre ad alcune definizioni come quella di agenti chimici pericolosi propone
importanti concetti quali la valutazione del rischio chimico. Con il termine agenti chimici, si
intendono tutti gli elementi o i composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale,
o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, immessi sul mercato. La
ricerca per il riconoscimento di agenti chimici pericolosi, inizia con l’esame delle etichette sulle
confezioni di sostanze e preparati e dall’analisi della Scheda di Sicurezza che accompagna le
confezioni. Sono considerati agenti chimici anche tutti quei prodotti che non sono classificati come
tali, ma comportano rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori. La valutazione del rischio
chimico è l’insieme delle operazioni tecnico-conoscitive che devono essere eseguite per definire la
presenza e l’eventualità dei rischi nelle varie zone lavorative. Tra gli accertamenti previsti, sono
indicati sia il controllo dell’ambiente in cui si svolge l’attività lavorative attraverso il monitoraggio
ambientale, che consiste nella periodica rilevazione delle condizioni di inquinamento dell’aria
dell’ambiente; il monitoraggio biologico che permette di accertare l’esposizione ad una
determinata sostanza tossica e varie misure di prevenzione. La valutazione deve essere aggiornata
“periodicamente”.
Monitoraggio ambientale
Constatato che è impossibile eliminare la produzione e l’uso della stragrande quantità di sostanze
chimiche, è nato il concetto di MAC, massima concentrazione permessa e TLV, valori limite di
soglia, in quanto è necessario definire fino a che punto sopra lo zero possa essere tollerata
nell’ambente di lavoro l’esposizione ad una sostanza tossica. Nel 1977, l’ACGIH (American
Conference of Governmental Industrial Hygienist), ha introdotto tre categorie di TLV:
1. Valore limite di soglia-media ponderata nel tempo: concentrazione media ponderata nel
tempo per una giornata lavorativa di 8 ore per 40 ore lavorative settimanali;
2. Valore limite di soglia-limite per breve tempo di esposizione: concentrazione che può
essere raggiunta per un periodo di tempo massimo di 15 minuti;
3. Valore limite di soglia-Ceiling per le sostanze dotate di tossicità acuta: concentrazione che
non deve essere mai superata durante tutto il turno lavorativo.
I TLV sono considerati numeri guida per orientare la gestione delle problematiche ambientali. Il
Legislatore Italiano ha istituito un Comitato consultivo per la determinazione e l’aggiornamento
dei valori limite di esposizione professionale, composto da nove membri qualificati, il quale ha già
proposto una lista con 97 composti tossici.

Monitoraggio biologico
Il monitoraggio biologico, permette di valutare con maggiore esattezza l’esposizione ad una
determinata sostanza tossica, effettuando campioni organici sul lavoratore (sangue, urine, capelli
etc.). Anche in questo caso si parla di valore limite biologico.

Le misure di prevenzione dei rischi


Le misure di sicurezza da adottare vanno progettate secondo i principi generali della prevenzione
ed in base alle priorità emerse dalla valutazione dei rischi. Le misure di prevenzione, possono
essere indicate in una serie di interventi quali: progettazione e organizzazione dei sistemi di
lavorazione sul luogo di lavoro, fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico, riduzione al
minimo di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti, misure igieniche appropriate etc.

Capitolo nono
Tossicologia degli ambienti
Il problema dell’alimentazione è assai importante, perché da un lato è collegato alla salute
dell’uomo, dall’altro alla necessità di produrre cibo. Molti organismi internazionali si interessano
attivamente per promuovere non solo l’aumento della produzione, ma anche la qualità degli
alimenti in modo che non comportino danni alla salute, proponendo interventi sul versante
normativo e tecnico.

La conservazione dei cibi


La scienza dell’alimentazione ha compiuto passi da gigante, in quanto rappresenta un settore in
continua espansione. Nel corso degli anni vennero elaborate varie tecniche di conservazione degli
alimenti:
 Salagione: consiste nell’aggiungere sale per esempio alle carni da conservare, provocando
la disidratazione dell’alimento rendendo impossibile la crescita e la vita a microorganismi
che possono modificare i caratteri organolettici;
 Affumicazione: capacità di impedire la crescita della flora batterica, responsabile della
decomposizione dell’alimento;
 Concentrazione: adoperata nei succhi di frutta. Diminuendo la quantità di liquido si
diminuisce la capacità di formazione e sopravvivenza di microorganismi di vario tipo;
 Freddo: blocca qualsiasi attività microbica e quindi il cibo viene perfettamente conservato.
Vi è una scissione tra componente liquida e solida, affinché l’alimento non perda le sue
proprietà;
 Calore: ad una certa temperatura i microorganismi responsabili della decomposizione non
sopravvivono;
 Radiazioni ionizzanti: tecnica molto efficace ma messa in discussione in quanto sembra
tolga potere nutritivo all’alimento;
 Liofilizzante: Si toglie la parte liquida all’alimento che viene poi ripristinata al momento del
consumo.

Additivi alimentari
IL settore più interessante riguarda quello degli additivi alimentari, definiti come “qualsiasi
sostanza, non consumata come alimento in quanto tale, aggiunta intenzionalmente ai prodotti
alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione, di preparazione, di
trattamento, di imballaggio, di trasporto o di immagazzinamento degli alimenti, che si possa
presumere diventi, essa stesso o i suoi derivati, un componente di tali alimenti direttamente o
indirettamente”.
L’elenco completo delle categorie di additivi alimentari è previsto dal D.M. n.209/1996:
 Coloranti: sostanze che forniscono un colore ad un alimento o che ne restituiscono la
colorazione originaria;
 Edulcoranti: sostanze utilizzate per conferire sapore dolce ai prodotti alimentari per la loro
edulcorazione spontanea;
 Antiossidanti: l’ossidazione degli alimenti porta alla formazione di sostanze di colore,
sapore o odore sgradevoli;
 Conservanti: sostanze che prolungano il periodo di conservazione degli alimenti;
 Addensati o gelificanti: sostanze che danno consistenza e aumentano la viscosità di un
prodotto.

Tossicità degli alimenti


Il problema più serio resta quello della tossicità, la capacità di alcuni alimenti di produrre danno
alla salute. Gli alimenti riguardano tutte le categorie di persone, anche bambini, anziani, infermi
etc. aggravati dalle loro condizioni. L’O.M.S. tiene conto della dose giornaliera ammissibile, la
quantità massima di un additivo che l’uomo può assumere in un giorno; e il limite di tolleranza,
che indica il contenuto massimo di un additivo in un alimento. I criteri generali per gli additivi
alimentari sono disciplinati dalle direttive dell’Unione Europea.

Additivi accidentali
Si intendono gli additivi che entrano negli alimenti in modo involontario. Un esempio ne sono i
metalli pesanti presenti nelle specie animali, soprattutto i pesci. In mote carni potremmo trovare
gli isetticidi.

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