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INDICE

Introduzione.............................................................................… p. 3

CAPITOLO I – NASCITA ED EVOLUZIONE DEL DUELLO D’ONORE

§. 1.1 Il duello come espressione di una cultura elitaria……… ». 12

§. 1.2 Dalla passione per il torneo alla passione per il “pas

d’armes”........................................................................... » 30

§. 1.3 Le regole dell’onore nel duello moderno………………… » 49

CAPITOLO II – IL XVII SECOLO E IL DUELLO

§. 2.1 La portata sociale del duello europeo.................……..... » 71

§. 2.2 L’epoca d’oro del duello…………………….…………….. » 91

§. 2.3 Il duello come risposta alle inquietudini personali......... » 105

CAPITOLO III -IL DUELLO COME ESPRESSIONE DI ONORE E NOBILTÀ

1
§. 3.1 Il duello tra procedura ed etichetta..……………………… » 114

§. 3.2 L’onore “stereotipato”………..….................................... » 129

§. 3.3 Tra polemiche e contraddizioni, il duello nell’età dei

Lumi................................................................................. » 140

Conclusione.................................................................................. » 163

Bibliografia.............................................................................…. » 168

2
INTRODUZIONE

La definizione di Lévi – Strauss, secondo cui la cultura sarebbe

un sistema di limitazioni imposte al comportamento naturale

dell’uomo, sembra fornire una chiave di lettura alla cosiddetta scienza

cavalleresca, in quanto sistema compiuto di norme che carica le

proprie forme di una segnicità “alta”, dietro alla quale si avverte a

fatica il dato di natura, ovvero la reazione di cui quelle forme

dovrebbero essere l’espressione. Il duello, in tal senso, che

nell’antichità fu utilizzato per scongiurare una sanguinosa battaglia tra

gli eserciti e che nel Medioevo assunse una valenza giuridica, divenne,

dal Cinquecento fino al Settecento uno dei modi in cui una parte della

società poté ribadire la propria entità di ceto omogeneo e chiuso in se

stesso; non a caso le discussioni su chi dovesse essere ammesso a

combattere cominciarono a coincidere con la discussione sui gradi

della nobiltà.

3
In tutta Europa le classi dei nobili tentarono a lungo e in ogni

modo di contrastare le iniziative del potere monarchico ed

ecclesiastico, volte a stroncare il pericoloso fenomeno dei duelli, e

opposero alle legislazioni dello stato il proprio codice d’onore che

ribadiva l’esistenza di un’antitesi noi – loro, e permetteva di

riaffermare l’indipendenza culturale della classe cui gli aristocratici

erano fieri di appartenere.

Il duello, naturalmente, simboleggiò uno tra i tanti elementi di

questo codice cavalleresco che, in realtà, per la sua complessità,

rappresentò un vero e proprio sistema di valori cui i nobili potevano e

dovevano far riferimento in quanto membri appartenenti ad una

collettività che viveva tra gli altri come un qualcosa a parte. Il duello,

infatti, fu sempre legato a gruppi sociali privilegiati - o, comunque, a

coloro che desideravano raggiungere quelle posizioni –che amarono

distinguersi dalla massa, non solo per la nobiltà del sangue, ma anche

per una serie di comportamenti e di virtù che furono ritenute adeguate

alla loro posizione.

4
Fu così che dal XVI al XVII secolo, un periodo travagliato da

continue guerre, il duello s’impose come spartiacque tra la vecchia

aristocrazia e la nuova borghesia, ansiosa di infittire le schiere della

nobiltà europea; in quel periodo di transizione dall’epoca medioevale

a quella moderna, il potere dello stato e quello della legge vennero

affermati dalla monarchia assoluta, ma l’aristocrazia, sua sorellastra,

sopravvisse sotto mentite spoglie come un anacronismo permanente e

spesso come morbo insanabile nella vita europea.

Nato in Italia, e presto diffusosi nel resto del continente, il

duello, inizialmente osteggiato dalle leggi, col passar del tempo andò

raffinandosi e cominciò ad essere ufficiosamente tollerato; in seguito

si affermò proprio in quei paesi più progressisti dove i valori

dell’aristocrazia si trovarono nella condizione di difendersi dalla

pressione di un ordine sociale nuovo e invadente. Come vedremo,

sebbene l’Illuminismo ne minasse le fondamenta e la Rivoluzione

francese lo coinvolgesse nella condanna di tutto ciò che appariva

5
feudale o aristocratico, il duello, tuttavia, riuscì a tornare in auge e a

sopravvivere fino alla metà del XIX secolo.

Lo studio dell’evoluzione storica del duello, quindi, in quanto

appannaggio della nobiltà che lo sostenne, facendosi forte del proprio

ferreo codice d’onore, assume un significato profondo, che permette

una lettura trasversale di quel principio di superiorità che fu la forza

della longeva sopravvivenza delle classi nobili in un periodo della

storia europea tanto tormentato. Il presente lavoro, pertanto, intende

ripercorrere le tappe fondamentali di quest’evoluzione, che affonda le

proprie origini nel medioevo europeo, ma che trova simili in ogni

cultura, e si pone l’obiettivo di ricostruire quella fitta trama di

relazioni che videro la nobiltà e il concetto d’onore come espressione

di un’epoca lontana in cui una minoranza fece del duello uno

strumento nel quale far rifluire tutta la propria irrazionalità e che

utilizzò per affascinare gli altri, in modo che questi ultimi,

desiderando far loro un codice d’onore che non gli apparteneva, ne

sancissero il lungo predominio.

6
Per affrontare in modo organico una materia tanto complessa, il

presente lavoro è stato suddiviso in tre capitoli. Il primo, ponendosi

l’obiettivo di ricostruire la nascita e l’evoluzione del duello d’onore,

apre con una carrellata sulle tipologie di duello nelle varie culture,

soffermandosi, naturalmente, su quello europeo che, a differenza di

qualsiasi altra tipologia di scontro tra due contendenti, fu espressione

di un gruppo elitario e si andò caratterizzando per una serie di

modalità precise e limitate dalla consuetudine. Vedremo come

dall’ordalia feudale, che riponeva fiducia nella risposta dell’arbitrio

divino, si passò al pas d’armes, che affidava all’uomo l’esito dello

scontro, fino al duello d’onore, o duello moderno, che si affermò alla

fine del periodo feudale. La nobiltà europea, per la quale far guerra era

un vero e proprio culto, pose l’onore al di sopra dei beni materiali e

fece del duello lo strumento attraverso cui sostenere questo tipo di

ideologia.

Nel periodo di transizione dall’epoca medievale a quella

moderna, il potere e la legge furono affidati alla monarchia assoluta,

7
ma l’aristocrazia europea continuò le sue guerre private fra famiglie e

fazioni nobiliari, e il duello, nell’ambito delle numerose

manifestazioni disordinate del temperamento nobiliare, rappresentò

una forma minore di trasgressione della legge. Il capitolo, quindi, si

chiude con un approfondimento su quei codici che indicarono le

situazioni in cui un gentiluomo doveva prevedere la possibilità o la

necessità di un duello; codici, per altro, che iniziarono a proliferare

quando, con la fine del feudalesimo, i confini delle classi alte si

andarono riducendo e le aristocrazie furono costrette a ribadire il

proprio status attraverso la cura delle apparenze e le raffinatezze del

comportamento sociale.

Il secondo capitolo, quindi, si sofferma sul XVII secolo, periodo

di profonde trasformazioni sociali ed economiche, che, però, può

essere considerato il periodo d’oro del duello. Alle soglie ormai

dell’era moderna, infatti, le guerre civili e le insurrezioni di massa,

minacciando le classi nobiliari di perdere il controllo sociale, diedero

un motivo più che valido agli aristocratici per rincorrere un metodo di

8
combattimento che avrebbe dovuto ormai essere una memoria del

passato e che invece visse il suo periodo di maggior gloria.

Da parte sua la Chiesa inferse un colpo decisivo ai duellanti con

il concilio di Trento ma, poi, fece sì che il duello cominciasse ad

essere accettato come una valvola di sfogo degli impulsi violenti di

una classe da cui il governo continuava a dipendere e di cui non

voleva smantellare l’etica della spada. Il duello, come vedremo, si

andò talmente radicando al concetto di onore, che la difficoltà

maggiore incontrata dai regnanti fu quella di abolire tale pratica di

combattimento senza toccare il concetto d’onore stesso.

Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, si tenterà di approfondire il

rapporto tra duello onore e nobiltà nell’età dei Lumi, periodo che ne

decretò la condanna. Prima di ciò, comunque, il duello, essendo

prerogativa delle classi alte che avevano perso terreno e si erano

trovate incalzate dai nuovi nobili o borghesi, si era caratterizzato per

un raffinamento e perfezionamento delle maniere. Verrà affrontato,

dunque, il ruolo dei “secondi”, dell’arte della scherma per l’uso dello

9
stocco - successivamente sostituita dalla pistola - della psicologia del

duellante prima e dopo l’introduzione delle armi da fuoco e si

concluderà la presente dissertazione con un’analisi volta a

comprendere il perché una parte dell’élite continuò così a lungo ad

aderire ad un codice di onore ormai stereotipato e anacronistico nei

confronti della modernità incalzante; una nobiltà che, come vedremo,

sarà sempre più dedita al vizio del gioco e dell’alcool e schiacciata

dalla pressione sociale.

I gentiluomini, di fatto, si trovarono spesso costretti ad accettare

uno scontro per non subire il marchio della disapprovazione sociale

ma, nonostante tutto, il duello continuò a lungo a rappresentare un

motivo di forza necessario alla loro sopravvivenza come corpo sociale

in un’Europa che marciava sempre più rapidamente verso la

modernità. I nobili europei, infatti, avevano bisogno della fedeltà dei

loro seguiti e il duello non solo garantiva il rispetto da parte dei loro

sottomessi ma anche quello dei loro pari; quando due gentiluomini si

scontravano a duello, quindi, non combattevano solo per la

10
salvaguardia del proprio onore ma per quello di tutta la loro classe.

Tra polemiche e contraddizioni, dunque, il duello fu bollato come

incivile dall’età dei Lumi, ma il sistema d’onore che ne stava alla base

era ormai talmente radicato nell’immaginario dell’élite aristocratica

che continuò ad esercitare una forte attrazione anche per gli Illuministi

stessi.

11
CAPITOLO I

NASCITA ED EVOLUZIONE DEL DUELLO D’ONORE

§. 1.1 Il duello come espressione di una cultura elitaria

Il nome duello deriva dal latino «duellum», guerra, e cominciò

ad essere utilizzato durante il medioevo per i combattimenti giudiziari,

poi, in seguito, forse erroneamente, venne interpretato come

combattimento tra due uomini1; sua patria di elezione fu l’Italia, anche

se presto venne esportato in Francia e di lì si diffuse in tutta Europa. Il

termine, comunque, sia in Francia che in Inghilterra, si trasformò in

1
Gli studiosi di folklore, tuttavia, hanno rintracciato il motivo del duello nelle favole e
nella letteratura popolare. Citiamo, ad esempio, la storia leggendaria di Gilgamesh ed
Enkidu, re e uomo selvaggio dell’epica mesopotamica, che divennero amici dopo un
incontro di lotta vinto dal primo (G. S. KIRK, Myth, Cambridge, 1970, p. 136 - trad. it. Il
mito, Napoli, Liguori, 1980) e ancora, nelle saghe nordiche, l’orco Hrungir che, avendo
fatto una scommessa con Odino, su chi dei due avesse il cavallo più veloce, finì per
cavalcare col rivale nelle dimore degli dei, dove Thor si adirò nel vedere un intruso che
beveva. L’orco nordico, allora, sfidò il dio e morì durante l’incontro ( H. R. ELLIS
DAVIDSON, Gods and Myth of Northen Europe, Harmondsworth, 1964, p. 41).

12
«duel»2 e se, inizialmente, questa forma di combattimento fu

fortemente disapprovata dalle autorità civili e religiose, finì per essere

ufficiosamente tollerata e iniziò, cambiando il ruolo dei “secondi” –

che smisero di prendere parte attiva nel duello per assumere una

precisa funzione – a rispondere ad una definita e complicata etichetta.

Il duello, di fatto, si affermò soprattutto nei quei paesi più progressisti,

anche se grazie all’espansionismo europeo si diffuse nelle Americhe,

raggiunse il suo apogeo nel XVII secolo e fu condannato prima dal

secolo dei Lumi e, poi, dalla Rivoluzione francese, per tornare in auge

nel secolo seguente3.

Il duello, in alcune occasioni, offrì pure l’opportunità di

risolvere con una lotta “privata” un conflitto che avrebbe potuto

cagionare moltissime vittime e, in tal senso, numerosi studi hanno

2
Fu Shakespeare uno tra i primi drammaturghi a parlare di «duellist» e a portare sulla
scena, con personaggi come Romeo o Tybalt, la rappresentazione di quegli scontri
individuali tanto diffusi anche nella realtà di un’epoca di trasformazione sociale sia da un
punto di vista della mobilità degli individui da una classe all’altra sia in quello del
mutamento della mentalità all’interno delle classi.
3
V. G. KIERNAN, Il duello. Onore e aristocrazia nella storia europea, Venezia, Marsilio
Editori, 1991, p. 10.

13
evidenziato che in diverse parti del mondo sono stati trovati modi

simili di evitare il ricorso alla forza fisica e di convogliare

l’aggressività attraverso canali meno distruttivi. Gli antropologi hanno

utilizzato il termine duello per definire una serie di gare non violente,

come gli scambi di arguzie in versi fra ragazzi turchi e l’abitudine

diffusa di ricorrere a gare musicali e poetiche, e hanno evidenziato che

- come accade nelle società più evolute nelle quali le convenzioni

sociali hanno ridotto e ritualizzato le forme di scontro - anche nelle

comunità più semplici il duello si manifesta secondo «le forme

prescritte». Fra i Nuer della valle del Nilo, ad esempio, gli uomini

dello stesso villaggio o dello stesso gruppo potevano combattere solo

con bastoni di legno, mentre uomini che vivevano in aree fra loro

distanti, anche se appartenenti alla stessa tribù, potevano affrontarsi in

scontri mortali; alla fine del combattimento coloro i quali erano stati

feriti venivano ricompensati con doni in natura la cui entità era

proporzionale all’offesa recata4. Nelle isole Adamane, invece, le

4
L. T. HOBHOUSE, Morals in Evolutions, London, 1915, p. 95.

14
rivalità venivano risolte in modo incruento, nel senso che i due uomini

si lanciavano delle frecce mancando appositamente il bersaglio, così

come avveniva tra quei duellanti europei che facevano fuoco sparando

verso l’alto5. Mentre i duelli tra i Boscimani, da parte loro, si

svolgevano accanto ad un pozzo e iniziavano sempre con vivaci

scontri verbali per concludersi, poi, con una cerimonia di

riconciliazione6, gli aborigeni dell’Australia dissimulavano un duello,

nel senso che i due litiganti venivano tenuti lontano fino a quando non

si calmavano e, poi, la diatriba si concludeva senza rancore7.

Numerosi altri sono gli esempi che indicano l’uso del duello

come modalità per limitare il numero delle perdite, dai guerrieri della

Nuova Guinea, che si affrontavano per mezz’ora lanciandosi terribili

maledizioni, per poi ritirarsi al crepuscolo 8, agli indiani d’America più

coraggiosi che portavano un lungo bastone con il quale, durante la

lotta, colpivano il capo dell’avversario e questo colpo fruttava loro

5
C. S. COON, The Hunting Peoples, Harmondsworth, 1976, p. 274.
6
Ibidem, pp. 286 – 287.
7
D. LOCKWOOD, «I» the Aborigene, London, 1963, pp. 142 – 143.
8
R. T. HITT, Cannibal Valley, London, 1969, p. 25.

15
entusiastici applausi9. Le perdite, d’altra parte, potevano anche essere

limitate delegando la lotta a rappresentanti prescelti, come avveniva

tra i Maori che, nelle episodiche e sporadiche guerre di cui erano

protagonisti, prevedevano di risolvere la disputa con una sola sfida e

un solo scontro, condotto con un certo grado di cavalleria da due

contendenti10. Naturalmente gli scontri, oltre ad essere affidati a due

soli rappresentanti, potevano essere assegnati a gruppi scelti di

paladini: ne derivavano delle battaglie in forma di duello, come tra gli

abitanti degli altopiani scozzesi dove esisteva l’abitudine di affidare le

contese a gruppi eletti di spadaccini o anche a una sola coppia di

rivali. Il grande scrittore inglese Walter Scott sfruttò il tema e,

basandosi sull’episodio dello scontro di trenta uomini di un clan

contro trenta di un altro clan, verificatosi a Perth nel 1396 alla

presenza di re Roberto III, scrisse The Fair Maid of Perth; nel

romanzo l’Autore evidenzia come lo scontro abbia assunto le

9
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 29.
10
A. P. VAYDA, Maori Warfare, in P. BOHANNAN (a cura di), Law and Warfare: Studies in
the Anthropology of Conflict, New York, 1967, pp. 359 e 370 – 371.

16
caratteristiche di un duello di gruppo e come i consiglieri più vicini a

ciascun capogruppo prima della mischia potessero essere equiparati

alle figure dei padrini nel duello11.

Tutti questi esempi di lotta, di fatto, affondano le proprie radici

nell’abitudine umana di organizzare la violenza anche attraverso

combattimenti spettacolari, tra uomini, tra animali, animali e uomini;

citiamo, ad esempio, i combattimenti tra galli, o la lotta fra stalloni

organizzata dai Vichinghi12 e, ancora, le lotte dei gladiatori che

presentavano alcune caratteristiche del duello13. Fu la cultura greco –

romana, di fatto, a trasmettere ai posteri alcuni caratteri che divennero

parte integrante della fisionomia e della psicologia sociale del duello

europeo: tra questi l’alta considerazione di sé che avranno le persone

di nobile nascita, l’importanza dell’immagine e della condotta privata

presso l’opinione pubblica, l’allenamento dei giovani agli sport

competitivi, al pugilato come alla lotta, alla corsa e alla guida dei

11
W. SCOTT, The Fair Maid of Perth, s.l. 1829.
12
M. W. WILLIAMS, Social Scandinavia in the Viking Age, New York, 1920, p. 330.
13
MARZIALE, Tutti gli Epigrammi, a cura di A. Gabrielli, Torino, Utet, 1957, epigrammi
29 e 32.

17
carri. Da qui, infatti, la prontezza stoica con cui ci si sottoponeva al

giudizio di Dio, il preferire la morte al disonore e il ricorrere al

suicidio quando non si poteva continuare a vivere onorevolmente 14;

ma poiché il suicidio non poteva che essere condannato dal

cristianesimo, è proprio all’antichità classica che bisogna guardare per

trovare le origini del duello.

Indipendentemente, comunque, dalla similitudine con le lotte

del periodo romano o con le culture precedenti, la storia europea si

distinse, fin dalle origini, da quella del resto del mondo e l’istituzione

del duello ne è un esempio eclatante. Il duello, infatti, nacque come

prerogativa di una certo tipo di aristocrazia ereditaria, dedita alla

guerra, una classe sociale che al di fuori del vecchio continente si

sviluppò in modo occasionale e del tutto irregolare 15. A differenza,

quindi, di quanto avveniva tra le persone semplici o nelle società

14
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 34.
15
Si possono, tuttavia, rintracciare delle forme analoghe di lotta in Giappone dove, ad
esempio vi era un tipo di lotta tra due uomini che gareggiavano esibendosi in un sapiente
spettacolo di hara – kiri, morte approvata e a volte sollecitata dall’opinione pubblica ( E.
DURKHEIM, Il suicidio, Torino, Utet, 1970, pp. 271 – 272 - tit. or. Le suicide, 1897) e pure
nell’antico Iran (J. S. CRITCHLEY, Feudalism, London, 1978, p. 40).

18
egualitarie, l’uomo di nobili origini, la cui legittimità era garantita

dalla spada, non poteva risolvere un’offesa con una rissa simbolica o

con uno scambio di insulti e, dunque, come sottolinea Kiernan:

Il duellante, nella forma più vicina a noi, costretto a scendere in

campo, anche contro la sua volontà e coscienza, era l’erede di una

cupa maledizione le cui origini risalgono all’epoca della nascita

cruenta dell’aristocrazia16.

Lo studio dell’evoluzione storica del duello europeo, quindi, in

quanto combattimento ritualizzato, distintivo di una certa condizione

sociale, è lo studio del predominio della superiorità di un gruppo

elitario, l’aristocrazia, a discapito di una minoranza, il popolo; in

quanto tale esso rappresentò per le classi alte un elemento affascinante

e fortemente coesivo che concorse a preservare la vitalità interna della

classe dominante. In considerazione del fatto, inoltre, che pochissime

sono le memorie autobiografie di quanti presero parte ad un duello, e

che per la maggior parte delle notizie è necessario affidarsi

16
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 37.

19
all’immaginazione di quegli scrittori che hanno cercato di

immedesimarsi e di riprodurre sensazioni e situazioni vissute dai

duellanti, il duello rappresenta anche uno straordinario soggetto

letterario e un’interessante tematica per capire i rapporti intercorrenti

fra vita e letteratura; la visione letteraria del duello, infatti, offre uno

spaccato di modi, dell’atmosfera sociale e morale dell’immagine che

le classi alte avevano di se stesse.

Della maggior parte dei duelli che sono stati combattuti,

dunque, oggi restano poche memorie e soprattutto di carattere

letterario: Smollet fu uno dei primi romanzieri a trattare il tema del

duello nel suo Humphry Clinker (1771) dove Bramble, un signorotto

della campagna, impedisce di combattere al nipote Jery il quale, a sua

volta, dissuade lo zio ad un successivo scontro. Interessante il fatto

che Bramble sia descritto dal nipote ad un amico come uno di quei

personaggi che sacrificherebbero tutto, la vita e il patrimonio,

piuttosto che vedere macchiati il proprio onore o la propria

20
reputazione17; reputazione per la quale, molto spesso, si era pronti a

rispondere all’insulto con la spada o la pistola.

Tra le più belle pagine di Dickens vi sono quelle dedicate alle

sensazioni provate da uno dei suoi personaggi, Lord Fredrick

Verisopht, durante il suo ultimo viaggio che lo porterà a duellare con

l’amico e gregario Sir Mulberry Hawk nel Nicholas Nickleby; alla fine

i contendenti sparano contemporaneamente e il giovane Hawk

morirà18. Prima di Dickens, comunque, il duello fu oggetto di

approfondimento da parte di autori quali Shakespeare19, divenne con

Corneille tema saliente del dramma francese del XVII secolo, quindi

fece il suo ingresso nel melodramma - tra gli esempi più famosi

l’Eugenio Onegin di Puškin -; inoltre, divenne tema prediletto da

numerosi pensatori che arrivarono a concludere che «in alcuni casi

17
T. SMOLLET, The Expedition of Humphry Clinker, London, 1771 (trad. it. La spedizione
di Humphry Clinker, Torino, Einaudi, 1987, pp. 23 e 281 e ss.).
18
C. DICKENS, Nicholas Nickleby, London, 1838 – 1839 (il racconto si trova nella trad. it.
Tutte le opere narrative, a cura di F. Rota, Milano, Mursia, 1965, cap. 50).
19
Il padre di Amleto, ad esempio, aveva vinto il regno di Norvegia battendosi da solo con
Fortebraccio. Cfr. W. SHAKESPEARE, Amleto, a cura di A. Serpieri, Feltrinelli, Milano,
1982, p. 31 e 33.

21
non c’è altra forma di giustizia possibile sulla terra, se non quella delle

armi»20.

Il duello - così come ci insegna la letteratura – in certi periodi

particolarmente turbolenti della storia dell’uomo, rappresentò

un’efficace valvola di sfogo in grado di ridimensionare a faide

personali tensioni che avrebbero potuto sfociare in vere e proprie

guerre fratricide; esso, infatti, spostando su un piano simbolico la

lotta, la limitò a pochi individui riducendo, di conseguenza, il numero

delle vittime. Il duello, tuttavia, si caratterizzò anche per il fatto di

proporsi come momento risolutivo di una rivalità amorosa, per il

possesso di una donna o per la difesa del suo onore; soprattutto in

Europa, le dame delle classi alte raggiunsero una posizione di

emancipazione sufficiente da poter influenzare un’abitudine come

quello del duello e da condizionare la natura del militarismo stesso.

«Nessuna donna perdonerà mai un codardo», pensa un personaggio di

un romanzo di Lever, mentre medita di insultare l’uomo che odia

20
J. SELDEN, Table Talk, a cura di R. Milward, London, 1689, p. 62.

22
davanti a delle signore21 e, di fatto, è assai raro incontrare nella

letteratura donne che intendano porre fine ad un duello probabilmente

perché, quelle che facevano parte della classe che lo praticava, erano

convinte che il duello rappresentasse un dovere maschile cui non era

possibile sottrarsi22. La maggior parte delle volte si invoca, in difesa

del gentile sesso, la cosiddetta «soddisfazione», nel senso che un

individuo offeso era «soddisfatto» dalla possibilità di battersi,

indipendentemente dalla probabilità di vincere; questo concetto

implicava che l’accusa peggiore che si potesse rivolgere ad un uomo

era quella di codardia, per aver evitato di rispondere alle offese subite

di persona e per mezzo della spada. Adam Smith, a proposito,

scriverà:

…un codardo, un uomo incapace di difendersi o di vendicarsi,

evidentemente manca di una delle componenti essenziali del carattere

virile23.

21
C. LEVER, A Rent in the Cloud, London, 1869, cap. 6.
22
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 18.
23
A. SMITH, The Wealth of Nations, London, 1904 – 1908, vol. II, p. 423 (Ia ed. 1776).

23
Anche al di fuori della letteratura i trattati sul duello,

intrecciando tematiche quali la politica e l’amore, o abitudini sociali

come l’alcool e il gioco, avevano un forte sapore anedottico e,

solitamente, sebbene ripetuti infinite volte, tendevano a non perdere il

loro fascino romanzesco; le memorie sugli scontri, inoltre,

coinvolgendo spesso personaggi noti e presentando un carattere

particolare, drammatico o bizzarro, garantivano la loro citazione

frequente. Tra i londinesi, ad esempio, si raccontava che il demagogo

Wilkes incontrò Lord Talbot, che affermava di essere stato vilipeso, e

i due si scaricarono addosso le loro pistole da sella a una distanza di

sette metri e mezzo, riuscendo, però, a mancarsi24.

Indipendentemente, però, dalla loro risonanza mondana, alcuni

duelli ebbero anche una certa importanza nella vita politica e civile

come nel caso delle scontro fra il duca di Buckingham, figura centrale

della corte di Carlo II, e il conte di Shrewbury, la cui moglie era

24
A. STEINMETZ, The Romance of Duelling in All Times and Countries, London, 1868,
vol. II, p. 174.

24
amante del duca. Il conte di Shrewbury venne ferito a morte e

l’episodio suscitò numerosi commenti tra cui quello di Pepys:

Il mondo penserà che il re è circondato da saggi consiglieri se il

duca di Buckingham, l’uomo più importante fra quanti gli sono vicini,

non esista a scontrarsi a duello per una puttana25.

Ben più grave fu l’episodio collegato al duello fra Warren

Hastings, primo governatore generale in India, e il suo oppositore nel

consiglio, Sir Philip Francis: il governatore ferì mortalmente Sir Philip

ma con tale vittoria egli mise in pericolo le sorti del suo paese in Asia

in quanto, se avesse perso, la corona britannica si sarebbe trovata

privata di un elemento fondamentale, vista la difficile situazione che si

stava prospettando nelle sue colonie. Da parte loro le colonie, in

particolare quelle americane, anche quando conquistarono

l’indipendenza dalla madre patria, ne ereditarono molti usi e costumi

tra cui il duello; nel primi anni del XVII secolo su una rada del fiume

25
S. PEPYS, Diary, a cura di H. B. Wheatley, London, 1949, in data 17 – 18 gennaio 1667
- 1668 (tra. It. Diario (1600 – 1669), Milano, Bompiani, 1982).

25
Hudson di New York il vice presidente americano, colonnello Burr,

uccise in uno scontro privato Alexander Hamilton, uno dei cittadini

più eminenti e padre fondatore della nazione americana26.

In Europa, d’altra, si era verificato un meccanismo per cui la

capacità di combattere era diventato il distintivo di tutta l’élite

nobiliare, o dei gentiluomini, i quali, sguainando la spada,

dimostravano disprezzo della morte e, dunque, di porsi a un livello

superiore rispetto ai comuni mortali. Il duello, per certi, aspetti, era

uno dei prezzi che l’élite si era imposta di pagare in cambio del diritto

di essere considerata superiore; i risentimenti privati, di fatto,

attraverso il rituale del duello venivano sollevati al di sopra del livello

personale della vendetta e nello scontro l’onore del duellante si

mescolava con quello della sua classe alla quale appartenevano

entrambi i contendenti. In ogni duello, insomma, era l’onore di tutta la

corporazione che i membri erano chiamati a difendere ed era per

questo motivo che qualunque duellante non poteva sottrarsi alle

26
Episodi riportati da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 11.

26
sanzioni di quel codice, per salvarsi; farlo avrebbe significato abdicare

a quel ruolo dominante che era convinto gli appartenesse. Rifiutare un

duello, in altre parole, significava macchiare il proprio nome e

rendersi indegno nei confronti di quella classe che era sinonimo di

privilegi e di benefici.

In ogni caso, sebbene il duello fosse l’emblema della classe

aristocratica, alcuni sentimenti che ne stavano alla base erano

ampiamente condivisi anche da membri di altre classi sociali, come ad

esempio, quello dell’onore che permeava tutte le corporazioni di

mestiere della vecchia Europa che avevano il loro codice d’onore 27. In

tal senso il duello, con il suo snobismo e accettazione degli standard di

condotta rappresentati dal codice d’onore, facilitò l’ammissione di

candidati provenienti dalla borghesia e inventò una sorta di «homo

novus» portato ad identificarsi con la «buona società» e con i suoi

modelli ideologici e comportamentali28.

27
J. POWIS, Aristocracy, Oxford, 1984, pp. 11 –12.
28
Lo studente tedesco che entra nelle confraternite è stato indicato come un esempio di
integrazione fra le nuove élites emergenti e i gruppi di potere pre – borghesi; altro
esempio è rappresentato dalla vita nei collegi inglesi. Sul punto si veda: E. HOBSBAWM, in

27
Il duello è un esempio significativo di come la storia morale

dell’umanità sia complessa e intricata e di quali strade tortuose abbia

percorso il riconoscimento dell’esistenza di qualche cosa di più

importante della sopravvivenza e dell’utile individuale29.

Come abbiamo visto, rintracciare le origini del duello è

un’operazione alquanto complessa, considerando che la stessa

vendetta, operata nelle società primitive, può essere considerata una

forma embrionale dello stesso; il duello, tuttavia, in quanto

espressione di un gruppo elitario, a differenza di qualsiasi altra

tipologia di scontro tra due contendenti, si andò caratterizzando per

una serie di modalità precise e limitate dalla consuetudine. Fu

soprattutto nell’Europa feudale, dove gli accusati erano sottoposti ad

una dura prova fisica, molto cruenta – denominata ordalia -, e il cui

risultato era ritenuto un responso divino sull’innocenza o colpevolezza

dei contendenti, che il duello iniziò ad essere considerato uno

strumento di giudizio privilegiato; in seguito, tuttavia, esso assunse la

E. HOBSBAWM – T. RANGER, The Invention of Tradition, Cambridge, 1983, p. 10.


29
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 24.

28
sua forma secolare e si sganciò completamente dall’idea che il suo

esito fosse connesso a qualche forma di giustizia divina diventando,

contemporaneamente, mezzo di lotta per i membri della cavalleria

prima e dell’aristocrazia poi. Come afferma Kiernan:

Lo spirito del duello moderno avrebbe poi oscillato fra l’ordalia per

mezzo di combattimento, tesa a determinare chi avesse ragione e chi

torto, e la giostra, un’esibizione di coraggio e prodezza, ma si sarebbe

avvicinato di più a quest’ultima30.

Certo è che il duello fu sempre e dovunque legato a gruppi

sociali privilegiati, o a coloro che aspiravano ad appartenere a tali

gruppi, e che questa forma di combattimento rappresentò una delle

tante modalità di comportamento con cui l’élite si distingueva dalla

massa. E poiché l’idea del privilegio, di fatto, porta in sé l’idea del

potere, ecco che i duellanti credettero di rappresentare quella stretta

minoranza che aveva il compito di occupare una posizione più alta

degli altri; a tale proposito Borrego, un conservatore spagnolo,

30
Ibidem, p. 4.

29
affermò che le masse ottuse debbono sempre essere assoggettate alle

minoranze illuminate, così come la materia è inferiore allo spirito31.

§. 1.2 Dalla passione per il torneo alla passione per il pas

d’armes.

In seguito alle invasioni barbariche e alla fine dell’Impero

romano d’Occidente (476 d.C.), iniziò in Europa quel fenomeno che

andò sotto il nome di feudalesimo, caratterizzato, tra l’altro, dal fatto

che le popolazioni sottomesse avevano raggiunto nella maggior parte

dei casi un livello culturale superiori di quelle dominanti. Gli invasori,

quindi, si trovarono in qualche modo costretti ad assorbire parte della

religione e della cultura dei propri sottomessi e non restò loro, per

conservare il potere, che ricorrere alle armature e alla forza con le

quali quel potere avevano ottenuto. In breve, intorno a questa classe

31
A. BORREGO, Lo que ha sido, lo que es, y lo que puede ser el Partido Conservador,
Madrid, 1857, pp. 50 – 51.

30
dominante si andò formando un seguito composto da “nobili” a cui

vennero concessi in diritto ereditario i feudi che erano stati loro

assegnati in premio, e il codice della cavalleria, a cui alla fine

aderirono, testimoniava i loro principi ideali di fedeltà e lealtà

mescolati a quelli di indipendenza e di rispetto di sé 32. A differenza

delle masse, dunque, che vennero ridotte in schiavitù, i cavalieri

mantennero lo spirito e i privilegi di uomini liberi; tra i loro diritti e

doveri principali vi era quello di prestare servizio militare, fatto che,

come ha sostenuto Pirenne, contribuiva «a diffondere fra di loro alcuni

atteggiamenti mentali e morali»33 che col passare del tempo avrebbero

acquisito caratteristiche sempre più definite.

Sebbene l’idea di nobiltà venisse mutuata dalla corona, gli

appartenenti a questa casta sociale, facendosi portavoce degli ideali

della cavalleria, finirono per contagiare gli stessi reali che, intorno al

1200, si mostrarono fieri di ottenere l’accollata, o abbraccio

32
Ibidem, p. 40.
33
H. PIRENNE, Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, Firenze, Sansoni, 1985, pp.
156 e 159 (tit. orig. Histoire de l’Europe des invasions au XVI siècle, Paris – Bruxelles,
1939).

31
cerimoniale, con cui si riceveva il titolo di cavaliere 34. Come ebbe a

scrivere Bloch:

Il medioevo […] viveva sotto il segno della vendetta personale – e la

riteneva – il più sacro dei doveri35.

Ed in effetti l’Europa feudale si caratterizzò per essere un

momento di grande competitività e di forte belligeranza non solo tra

popoli ma anche tra le stesse famiglie; il feudalesimo, d’altra parte,

era un sistema fondato soprattutto sul rapporto personale e, ad ogni

livello, era richiesta la capacità di sapersi guadagnare e conservare il

rispetto dei sottoposti come dei superiori. In altre parole, quindi, si

doveva essere in grado di rispondere fieramente a qualunque sfida

che, nel caso della nobiltà, diventava oggetto di canzoni epiche da

parte dei menestrelli dell’epoca36. Ricordiamo, in proposito, un fatto

34
G. DUBY, The Diffusion of Cultural Patterns in Feudal Society, in «Past and Present», n.
39. 1968, p. 7.
35
M. BLOCH, La società feudale, Torino, Einaudi, 1965, pp. 206 – 207 (tit. orig. La société
féodales, 1939 – 1940).
36
Ibidem, p. 209.

32
riportato dal Powis secondo cui una lite nata durante un banchetto di

nozze nel 1464 fra due famiglie dell’Estremadura, i Solis e i Monroy,

fu all’origine di anni e anni di lotte che insanguinarono parte della

Spagna meridionale37.

La rivalità tra grandi famiglie, di fatto, non si esauriva

all’interno degli appartenenti ad esse, ma si estendeva anche alle

persone che vi gravitavano intorno come i vassalli e i parenti, finendo,

in taluni casi, per assumere le proporzioni di una piccola guerra

privata ritenuta, a lungo, un privilegio feudale. L’idea del privilegio

era ben presente anche il giorno del duello, quando il duellante

chiedeva di elevarsi al di sopra della legge nel caso glielo richiedesse

la difesa dell’onore o dell’orgoglio38.

I numerosi tentativi da parte delle autorità civili e religiose per

cercare di impedire la vendetta personale non avevano grande

successo e soprattutto vane risultarono le invocazioni di tregua o di

pace in nome di Dio; fatto, quest’ultimo, per nulla sorprendente se si

37
J. POWIS, Aristocracy, Oxford, 1984, p. 59.
38
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 42.

33
considera che nel Sacro Romano Impero la Bolla Aurea del 1356

aveva confermato ai principi territoriali il diritto di dichiarare guerra

per sbarazzarsi di un potere centrale39. Unica condizione era che gli

sfidanti dessero un preavviso di tre giorni, clausola che presentava

molte analogie con le formalità che precedevano il duello40.

Le faide organizzate, tuttavia, non restarono appannaggio delle

famiglie nobiliari, presto si diffusero presso i ranghi inferiori, più che

altro per un desiderio di emulazione41, e vennero alternate con i

combattimenti giudiziari, ovvero il giudizio offerto dallo scontro

stesso42. Secondo le convenzioni feudali, comunque, a qualunque

giudizio poteva seguire un combattimento, in quanto l’imputato


39
Per quanto riguarda l’atteggiamento della chiesa nei confronti sia dell’ordalia sia del
giudizio per combattimento, va detto che esso cambiò col passare del tempo. Papa Nicola
I nell’858 sanzionò il combattimento giudiziario, tuttavia già prima della fine del IX
secolo la chiesa cominciò a rivedere le sue posizioni. Ibidem, p. 46.
40
Ibidem, p. 42.
41
A tale proposito Balzac riporta che i contadini bretoni all’inizio del XIX secolo
portavano ancora un largo cappello, che i loro antenati erano stati fieri di potere alla fine
indossare, perché in passato era stato concesso solo alle teste nobili. H. DE BALZAC, Gli
scivani, Milano, Igiesse, 1964, cap. 21 (tit. orig. Les Chouans, 1830).
42
I precedenti di questo combattimento sono rintracciabili nell’holmganga e nelle
tradizioni germaniche. Secondo una vecchia legge svedese chi avesse subito un torto
poteva regolare i conti sulla strada maestre e una legge simile esisteva in Danimarca. Cfr.
J. B. BURY, The Invasion of the Europe by the Barbarians, London, 1928, cap. 15.

34
poteva accusare di «falso verdetto» uno dei suoi giudici, che in una

corte di feudatari sarebbe stato suo pari, e di sfidarlo. Non tutti i

giudici, però, erano disposti a sostenere quel tipo di sfida e così, in

taluni casi, sceglievano di emettere un giudizio collettivo; non a caso

il termine inglese «challenge» (sfida), coniato nel XVI secolo, deriva

dal latino «calumnia» che significa “falsa accusa”.

Col passare del tempo, comunque, si cominciarono a stabilire

regole sempre più precise per il giudizio tramite combattimento, che

assunsero l’aspetto di un cerimoniale complesso: c’era un champ clos,

ovvero un recinto tracciato per gli scontri, lo scontro doveva avvenire

pubblicamente e alla presenza di autorità ecclesiastiche e civili, lo

sfidante doveva lanciare un guanto, e in origine aveva la scelta delle

armi che in seguito passò allo sfidato, le donne, gli ecclesiastici e i

vecchi potevano ricorrere ad un sostituto 43. La sconfitta comportava

43
Si racconta che quando il vecchio Fulcher de Waldegrave, arrivato in Inghilterra a
seguito di Guglielmo il Conquistatore, fu chiamato in giudizio, suo figlio primogenito si
rifiutò di sostituirlo e al suo posto accettò di combattere il figlio minore. Questi vinse e
come premio ottenne l’assegnazione dell’eredità paterna; il primogenito, allora, per
l’umiliazione, si suicidò. E. SEARLE, Merchet in Medieval England, in «Past and Present»,
n. 82, 1979, p. 34.

35
una punizione che poteva anche essere la morte, visto che era stata

invocata l’infallibile giustizia divina44.

Dato che la giustizia divina non faceva distinzione di classe,

qualunque individuo, indipendentemente dalla sua situazione sociale,

poteva rivendicare il diritto dell’ordalia anche se, col passare del

tempo, tale diritto divenne una prerogativa della classe nobiliare, se

non altro per il fatto che quest’ultima era certamente più esperta

nell’uso delle armi. Tra le tante cause celebri che riguardarono questo

tipo di scontro, ricordiamo un episodio del 1387 avvenuto a Parigi e

che vide protagonisti la giovane moglie di Jean de Carogne e il loro

vicino Jacques le Gris. A detta della donna, durante l’assenza del

marito, Le Gris l’aveva tratta in inganno e violentata; in seguito il

marito venne messo a conoscenza del fatto e il caso fu portato in

parlamento. Dopo un anno, si decise che la questione sarebbe stata

risolta davanti ad un vasta folla, alla presenza dei re e di molti nobili:

qualora Jean de Carogne avesse perso, lui e sua moglie sarebbero stati

44
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 43.

36
uccisi, tuttavia la faida si risolse a suo vantaggio e come premio

ottenne un incarico presso la corte45. Tra le tante, l’accusa di

tradimento, senza dubbio, era quella che prevedeva, in caso di perdita

di uno dei due duellanti, la pena più severa, ovvero la morte;

diversamente, se si trattava di combattere per dimostrare l’onore o il

valore, al perdente venivano confiscate armi e armatura46.

A differenza di quanto avveniva nel vecchio continente, a

Mosca il combattimento giudiziario assunse delle caratteristiche tutte

sue peculiari: un uomo accusato di omicidio e di rapina, infatti, poteva

appellarsi a quel tipo di giustizia e chiedere il confronto con il suo

accusatore. Sia quest’ultimo che l’accusato, però, potevano chiedere

dei sostituiti e scegliere le loro armi, ad esclusione dell’arco e del

fucile; ciò facilitò lo svilupparsi di una categoria di mercenari che

accettavano di combattere per soldi47.

45
J. FROISSART, Chronicles of England, France, Spain, London, 1849, vol. II, cap. 46.
46
Miscellany of the Spalding Club, vol. II, Aberdeen, 1842, sez. XIV, pp. 381 – 390.
47
S. VON HERBERSTEIN, Description of Moscow and Muscovy 1557, a cura di B. Picard,
London, 1969, p. 51.

37
Quando, comunque, intorno al XII secolo, le norme del codice

romano iniziarono a penetrare nelle scuole, e gli antichi sistemi

cominciarono ad essere screditati, anche il giudizio tramite

combattimento o ordalia cominciò a rappresentare un espediente

anacronistico per risolvere le questioni tra i nuovi cittadini che

detestavano «le superstizioni del barbaro e del guerriero»48; e visto che

i romani facevano ricorso alla tortura, durante il XII secolo si

cominciò ad accertare la verità attraverso la tortura piuttosto che con

l’ordalia49. Fatto che significò l’abbandono della fiducia riposta

nell’arbitrio divino a favore di quella riposta nell’arbitrio umano.

In seguito al IV Concilio Laterano, nel 1215, che proibì al clero

di avere a che fare con le ordalie, queste scomparvero presto ma non

altrettanto avvenne per il combattimento giudiziario al quale,

comunque, cominciarono ad essere preferite procedure legali poste

sotto il controllo dei vari governi. L’Islanda fu la prima, nel 1011, a

48
C. D. DARLINGTON, The Evolution of Man and Society, London, 1969, p. 420.
49
Si veda J. WILLIAMS, voce Torture, in Encyclopaedia Britannica, Cambridge, 1991, vol.
XXVII.

38
proibire ufficialmente tutte le lotte con una legge approvata

dall’assemblea generale, seguì l’Inghilterra con le riforme di Enrico II

e la Francia di Luigi IX, anche se fu solo nel 1547 che si registrò

l’ultimo caso di duello nella storia francese50.

Al posto del giudizio tramite combattimento andò sostituendosi

il torneo, una versione formale della bellicosità feudale anarchica che

offrì alla nobiltà la possibilità di non perdere quel carattere marziale

che le spettava per diritto di nascita e che vedeva minacciato dal

crescente numero di corpi professionali chiamati a combattere nelle

numerose campagne belliche medievali51. I tornei, in altre parole,

permisero alla nobiltà di mantenere tutte le decorazioni di una classe

guerriera, di dar spettacolo di prodezza e di dimostrare di essere una

minoranza di spiriti audaci. Da un punto di vista della strategia

difensiva, di fatto, il torneo non solo era inutile ma addirittura

50
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 47.
51
Il torneo nacque e si sviluppò in Francia. Inizialmente si trattò di una mischia simile ad
una rissa pericolosa e feroce, priva di qualsiasi regola; si pensi che in uno spettacolo del
1240 persero la vita tra i sessanta e gli ottanta cavalieri ( L. GAUTIER, La Chevalerie,
London, 1965, pp. 268 – 269. 272 e ss.); altre volte vi si ricorreva per definire
controversie fatali.

39
controproducente, in quanto riduceva le tattiche belliche a una carica

in massa di uomini a cavallo bardati di tutto punto; come scriveva

Briton, inoltre, «il cavaliere non si identificò mai del tutto con il

soldato e lo spirito cavalleresco continuò ad avere la prevalenza su

quello militare»52. Più che ad un soldato greco o romano duramente

addestrato, quindi, il duellante andò ad assomigliare al cavaliere,

economicamente indipendente, moralmente individualista e ostinato.

La giostra in cui si scontravano i nobili cavalieri e l’arena dove

si scontrava la massa rappresentava un ulteriore elemento di

distinzione sociale; in entrambi i casi, comunque, si trattava di

spettacoli pubblici che offrivano un diversivo e un’occasione di

emozioni e di pettegolezzi. I cavalieri, da parte loro, potevano

combattere per rendere omaggio alla bellezza delle loro dame, così

come i duellanti per difendere la reputazione delle proprie mogli, ma

proprio queste donne, adulate, cantate e difese, non venivano in effetti

52
C. BRINTON, A History of Western Morals, London, 1959, p. 181.

40
guardate con comprensione né tantomeno con vera solidarietà53.

Raramente le donne esprimevano la loro disapprovazione nei

confronti di tanta vanagloriosa parata e più spesso ciò avveniva nel

mondo della letteratura; ricordiamo, ad esempio, un personaggio del

romanzo cavalleresco tardo medioevale Tirant lo Blanc, scritto dal

valenciano Johanot Martorell, dove un personaggio, il conte William,

insistendo perché il figlio vada a combattere il prima possibile, perché

l’arte della guerra s’impara meglio in gioventù, suscita le ire della

nuora la quale inveisce contro «quest’arte della cavalleria» e la

definisce «maledetta, triste e inutile»54.

Nei tornei, naturalmente, non si combatteva solo per difendere il

buon nome di una dama, ma anche per risolvere questioni irrisolte tra

fazioni feudali; fatto che indusse molti sovrani, primo tra tutti quello

inglese, a prendere delle misure ufficiali per limitare questi

divertimenti. La chiesa, da parte sua, si dimostrò più coerentemente

53
D. HUIZINGA, L’autunno del Medioevo, Firenze, Sansoni, 1942, pp. 99 e ss. (Ia ed.
1919).
54
R. BARBER, Il mondo della cavalleria, Milano, SugarCo, 1986, pp. 212 – 215 (tit. orig.
The Knight and Chivalry, London, 1974).

41
contraria a questo fenomeno e considerò la morte in torneo

paragonabile ad un suicidio, quindi punibile con l’inferno55.

Intorno al XIV secolo, comunque, si assistette ad una decisiva

inversione di rotta: dalla passione per la mischia e per il torneo al

combattimento singolo. Uno dei motivi di questa trasformazione del

gusto era la possibilità offerta all’individuo di mettersi in mostra, di

distinguersi: se si trattava di una dimostrazione di destrezza, allora si

ricorreva alle armi cortesi, una spada non affilata, se, invece, era

un’occasione per risolvere controversie private, si faceva uso di armi

affilate e appuntite, definite armes à outrance56.

Come era tipico del mondo feudale, anche il combattimento

singolo, detto pas d’armes, si caratterizzò per una serie di norme e di

forme tutte sue particolari, tanto da farlo considerare «ossessionato

55
Nonostante quanto sottolineato da Clemente V, durante il Concilio di Vienne, tra il
1313 e il 1313, Roma desiderava concentrare tutte le energie belliche contro il mondo
pagano, tuttavia l’istituzione del torneo non fu soppressa, probabilmente a causa della
necessità del bisogno che essa soddisfaceva. M. BLOCH, op. cit., p. 463.
56
A detta del Vale la giostra condivideva alcuni aspetti con il duello giudiziario. M. VALE,
War and Chivalry, London, 1981, p. 76.

42
dalla ritualità del gesto»57. Sebbene inizialmente questo pas d’armes si

differenziasse dal duello dei secoli successivi soprattutto per la

motivazione, ovvero il desiderio di fama, esso, comunque, contribuì a

caratterizzare il «duello d’onore», emerso alla fine del medioevo, e

antenato del duello moderno. Come il giudizio tramite combattimento

o la giostra, esso richiedeva un riconoscimento ufficiale e si svolgeva

secondo regole ben definite; i duelli, di fatto, erano più pericolosi

quando implicavano la proprietà o l’onore, perché in quei casi, dopo

una lotta ad oltranza, al vincitore era concesso di uccidere il vinto

oppure di abbandonarlo ad una fine vergognosa, ovvero darlo in pasto

alla folla degli spettatori.

In questo caso sembrano mescolarsi le premesse del giudizio tramite

combattimento, in cui perdere significava essere colpevoli, con le

convinzioni di un’élite militare, che riteneva la resa un gesto

ignominoso, che rendeva l’uomo indegno del rango di cavaliere e

perfino della vita58.

57
M. KEEN, Chivalry, New Have, Conn, 1984, p. 201 e ss.
58
V. G. KIERNAN, op. cit., pp. 52 – 53.

43
La nascita del duello d’onore, quindi, si fa risalire agli albori del

nazionalismo europeo e, inizialmente, le ragioni e l’onore personale si

intrecciavano con quello collettivo. Si racconta, ad esempio, di un

duello avvenuto tra un cavaliere inglese e uno scozzese, verso la fine

del XVI secolo, come conseguenza delle tante guerre che erano state

combattute dai due paesi. Sir David Lindsay e Lord Welles

incrociarono le spade su di un affollato ponte londinese, ognuno

deciso a dimostrare la superiorità del proprio paese; vinse l’incontro lo

scozzese Sir David Lindsay che offrì alla regina il vinto, la quale, a

sua volta, lo liberò59.

La Chiesa, da parte sua, dimostrò una certa apertura nei

confronti di duelli che si ponevano come scopo la dimostrazione della

superiorità di un paese sull’altro60; e anche nei confronti dell’ideologia

59
C. MILLS, The History of Chivalry, London, 1825, vol. I, pp. 287 – 289.
60
Si racconta, infatti, che per tale motivo intorno al XVI secolo fu combattuto in Italia un
duello tra due fiorentini e due bretoni che ottenne la sanzione cardinalizia. Cfr. A.
STEINMETZ, The Romance of Duelling in All Times and Countries, London, 1868, vol. I,
p. 24.

44
cavalleresca la Chiesa non si dimostrò del tutto ostile, arrivando a

partecipare alla cerimonia dell’investitura del cavaliere, attraverso la

benedizione della spada (benedictio ensis)61, in quanto la cavalleria

veniva vissuta come baluardo della società contro il disordine.

In Europa, insomma, il culto della nobiltà, per la quale far

guerra era l’occupazione primaria, poneva l’onore al di sopra dei beni

materiali e il duello fu lo strumento attraverso cui la cavalleria poté

sostenere questo tipo di ideologia. Fu nella Francia del nord che il

duello trovò la sua terra di elezione, ma a differenza di quanto veniva

riportato dalla letteratura cavalleresca dell’epoca, il XV secolo fu un

secolo per lo più volgare e licenzioso, un secolo in cui l’aristocrazia

subì numerosi colpi da parte, soprattutto, della nuova ascendente

classe borghese. Come sottolineò Huizinga, dunque, riguardo al

medioevo bisogna parlare della «continua illusione di una vita nobile

ed eroica» e del «dolce inganno dell’eroismo o dell’amore»62, tuttavia,

nonostante ciò, nell’immaginario collettivo l’aristocrazia feudale

61
H. O. TAYLOR, The Mediaeval Mind, London, 1827, vol. I, pp. 544 – 545.
62
J. HUIZINGA, op. cit., p. 87.

45
continuò a lungo ad essere ritenuta portavoce di onore personale,

rispetto di sé e lealtà e ciò spiega il perché il libro scritto da Raimondo

Lullo nel XIII secolo, sull’ordine della cavalleria, ancora duecento

anni dopo, nel 1480, veniva considerato «il manuale del lettore inglese

in materia di onore»63.

Senza dubbio, comunque, gli ideali cavallereschi trovarono più

che nella realtà nella letteratura fantastica il luogo dove far meglio

mostra di sé: il pas d’armes, ad esempio, diventava parte integrante

della vita del cavaliere errante, votato a imprese edificanti come

salvare fanciulle in pericolo o liberare il mondo dai malvagi, fossero

essi uomini, orchi o streghe. Gli scrittori francesi attinsero molto

materiale dai miti celtici, mescolarono le leggende dei cavalieri della

Tavola Rotonda con quelle di Carlomagno e, in generale, tesero ad

ingentilire sia il mondo che la figura dei cavalieri; gli scontri singoli

che continuarono ad imperversare nelle guerre riempirono pagine

delle chasons de geste, dove i paladini di Carlomagno combattevano,

63
M. JAMES, English Politics and the Concept of Honour 1485 – 1642, in «Past and
Present», supp. n. 3, 1978, p. 2 e 10.

46
col favore del clero, contro i campioni mori e anche nella vita reale i

monarchi dei vari paesi continuarono a lungo a vedere nel duello un

modo per dimostrare di essere uomini d’onore64.

Quando, però, intorno al XV secolo, a causa di numerose lotte

civili si assistette in molti paesi alla disgregazione del vecchio ordine

feudale, anche il duello di stile antico cominciò ad essere messo in

discussione e le classi alte, reclamando una sua modernizzazione,

concorsero a trasformarlo in qualcosa di più informale, flessibile e

veloce. Il duello moderno, come vedremo, si delineò nel contesto

travagliato delle continue guerre che imperversarono nell’Europa del

XVI e del XVII secolo; in quel periodo di transizione dall’epoca

medievale a quella moderna, il potere e la legge vennero affidati alla

monarchia assoluta, ma l’aristocrazia europea continuò le sue guerre

private fra famiglie e fazioni nobiliari. Il duello, di fatto, nell’ambito

delle numerose manifestazioni disordinate del temperamento

64
Si racconta che un duca di Sassonia del XV secolo, ormai sul letto di morte, continuava
a «giurare che avrebbe combattuto il Gran Turco all’ultimo sangue». Cfr. M. WARNER,
Joan of Arc, London, 1981, p. 178.

47
nobiliare, rappresentò una forma minore di trasgressione della legge e

dell’ordine e, come sostiene Kiernan

…lo si può vedere anche come una forma più civile di

rappresaglia, rispetto all’assassinio o all’avvelenamento dei nemici in

uso nell’Italia dei Borgia65.

§. 1.3. Le regole dell’onore nel duello moderno

Con la fine del feudalesimo, i confini delle classi alte si

andarono riducendo e fu necessario ribadire il proprio status attraverso

la cura delle apparenze; le raffinatezze del comportamento sociale,

quindi, assunsero un’importanza fondamentale e cominciarono a

proliferare in tutta Europa, ma soprattutto in Italia, codici secondo cui

un gentiluomo doveva prevedere la possibilità o la necessità di un

65
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 10.

48
duello. I trattati sul duello, tuttavia, non furono dei capolavori, anzi, a

detta di Erspamer non possono neppure essere considerati delle

discrete opere letterarie66, ma svolsero un’importanza fondamentale

nella diffusione e nell’educazione dell’uomo di corte; tra le opere di

maggior pregio il testo di Girolamo Muzio, Il duello, pubblicato a

Venezia nel 155067.

Il nuovo duello, che si andò imponendo nell’Europa post –

medioevale, si differenziò da quello precedente soprattutto per il fatto

di svolgersi tra uomo e uomo68, venendo così a porsi come pietra


66
F. ERSPAMER, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nella cultura del
Cinquecento, Bulzoni, Roma, 1982, p. 55.
67
Nel corso del Cinquecento l’editoria italiana (e veneziana in particolare) visse uno
straordinario periodo di successi, di esperimenti, di trasformazioni: è proprio in questo
periodo, e non si tratta di mera coincidenza, che il fenomeno della trattatistica sul duello
va collocato. Già il Dionisotti aveva notato che «di libri d’onore e sul duello è pieno il
mercato italiano a partire dal 1550, non prima, ed è pieno soprattutto nel decennio 1550 –
1560m sicché l’inizio della nuova moda può essere colto con assoluta esattezza». Cfr. C.
DIONISOTTI, La letteratura italiana nell’età del concilio di Trento (1965), in Geografia e
storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967, p. 204.
68
La fine del vecchio modello di duello fu decretato dal Concilio di Trento le cui
decisioni contro le giostre e i tornei, a differenza di altri precedenti pronunciamenti papali
in merito, andavano osservate come tassative da tute le autorità secolari cattoliche, cui era
imposto di rifiutare qualunque appoggio attivo al duello. A. BIONDI, Aspetti della cultura
cattolica post – tridentina. Religione e controllo sociale, in AA.VV., Storia d’Italia.
Annali 4: Intellettuali e potere, a cura di C. Vivianti, Einaudi, Torino. , 1981, pp. 253 –
302.

49
miliare nella costruzione di quell’individualismo che avrebbe

caratterizzato le epoche successive. Anche le armi a cui potevano

ricorrere i duellanti subirono una trasformazione, nel senso che quelle

difensive vennero eliminate, mentre gli incontri cominciarono a

svolgersi esclusivamente a piedi e fu limitata la presenza del pubblico

scegliendo come luoghi appartati per la sfida. Secondo Brantôme

sebbene fossero stati gli italiani gli inventori di questo nuovo modo di

duellare, i Francesi, alla fine del XVI secolo, erano quelli che si

dimostravano più abili e che vi ricorrevano con maggiore frequenza 69;

l’Italia, come si è detto, aveva prodotto a proposito una ricca

letteratura tecnica, relativa all’arte del duello, in particolare sulla

scherma e sul codice d’onore, che dettava le norme secondo le quali

un gentiluomo poteva fare o ricevere un oltraggio in maniera

dignitosa.

69
DE BOURDEILLE SEIGNEUR DE BRANTOME P., Mémoires Contenans les anecdotes de la
cour de France…touschant les duels, in Oeuvres Complètes, Paris, 1823, vol. 6, p. 144 e
131.

50
Fatto certo era che l’insulto o l’aggressione erano motivi

sufficienti a spingere la vittima a chiederne soddisfazione, sfidando

l’aggressore e lasciandogli così la scelta delle armi; le due accuse più

gravi erano rappresentate da un colpo, schiaffo o pugno, e dall’accusa

di mentire, che poteva essere diretta o indiretta (ne venivano

individuati fino a 32 tipi) e la risposta poteva essere una ritorsione

cortese o rude, a seconda di quanto suggeriva il codice. Se per alcuni

questo senso dell’onore poteva rappresentare un rifugio dal «disordine

morale del mondo»70, per altri esso non rappresentava altro che la

dipendenza dai pregiudizi di classe71.

Il concetto di onore che andò fiorendo, tuttavia, si caratterizzò

per sua profonda contraddizione interna, considerando che esso si

sviluppò tra quelle classi che si facevano portatrici dei valori della

cristianità e che, contemporaneamente, adottavano atteggiamenti e

70
N. COUNCIL, When Honour’s at the Stake: Ideas of Honour in Shakespeare’s Plays,
London, 1973, p. 29.
71
Montaigne, ad esempio, non vedeva alcun porto sicuro in «queste leggi d’onore che
così spesso si scontrano, turbandole, con quelle della ragione». Cfr. DE MONTAIGNE,
Saggi, 2. voll. Milano, Mondadori, 1904 – 1906, libro II, cap. 27.

51
modalità sociali in contrasto con l’insegnamento cristiano. Ma il

gentiluomo, di fatto, non percepì tale antinomia perché considerò la

religione come qualcosa da riservare alla massa, mentre lo status e

l’opinione del mondo ciò che realmente contava; si trattava, in altre

parole, di una virtù del tutto esteriore e - come sottolinea il Jackson –

simile alla reputazione femminile per cui una dama senza pudore può

tradire il marito e poi parlare della salvaguardia del proprio onore72.

Ma chi furono, in quest’Europa post – medievale, i destinatari

di questi codici?

Il XVI secolo, di fatto, si caratterizzò per la diffusa

consapevolezza della confusione dei ranghi dovuta anche al fatto che

mentre le vecchie famiglie andavano scomparendo le nuove ne

prendevano il posto. Politicamente l’Europa stava vivendo la

transizione dal vecchio feudalesimo e dal potere decentralizzato alle

monarchie più forti e centralizzate e destinate a durare più a lungo in

Francia che in Inghilterra, e in Germania più che in Francia;

72
W. T. H. JACKSON, Medieval Literature, New York, 1966, p. 82.

52
socialmente la nobiltà, sottomettendosi alla sovranità delle monarchie,

riuscì non solo a mantenere ma anche ad allargare i confini dei suoi

diritti e il suo ascendente sociale, relegando ad una posizione

subordinata la borghesia. La monarchia e l’aristocrazia, dunque,

restarono strettamente alleate e il privilegio continuò ad essere il

premio dell’uomo di sangue blu, a patto che questi avesse abbastanza

terre o altre fonti di reddito.

Gran parte della nobiltà, che in Inghilterra venne ritenuta

gentry, ovvero nobiltà di serie B73, si trovava al di fuori dei privilegi

dell’aristocrazia, che oltre a pagare poche tasse o nulla, in quanto forte

proprietaria terriera, divideva col governo i frutti delle imposte

caricate sui contadini; i nobili, infatti, avevano rendite limitate e

spesso come unica risorsa quella del combattimento, che ormai

dovevano dividere con gli eserciti regolari. Essi, inoltre, per le regole

73
Contro questi nuovi nobili si levarono le voci di quanti considerarono tale l’usurpazione
«un disordine che fa gravemente torto a questa grande provincia dove su dieci che
passano per essere nobili e che occupano terre signorili non troverete uno che sia un
autentico gentilhomme de race». N. DU FAIL, Oeuvres facétieuses, 2. Voll. Paris, 1874,
vol. I, p. 269.

53
di classe, non potevano dedicarsi al commercio, considerata

un’occupazione ignobile, ed erano schiavi del fatto che l’essenza della

nobiltà era il potere, il cui migliore sfoggio era quello di poter

condurre una vita lussuosa, senza lavorare, ma facendo lavorare gli

altri. In tempi di grandi cambiamenti, tuttavia, questo tipo di mentalità

rappresentò motivo di estrema insicurezza per i membri di questa

classe sociale i quali trovarono nel duello e nel codice d’onore un

modo per conservare la propria identità74.

Gli albori dell’epoca moderna, sostanzialmente,

rappresentarono un periodo di tensioni, sia psicologiche che materiali,

poiché la caduta dei vincoli delle vecchie strutture feudali, e dei

legami di fedeltà che avevano caratterizzato l’età precedente,

esponeva gli individui al pericolo dell’isolamento. I rapporti tra le

varie classi sociali e all’interno delle stesse, pertanto, apparivano

piuttosto tesi e le tensioni, minando la coesione delle élites,

imponevano la scelta di un’ideologia comune per mantenere

74
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 65.

54
quell’unità che li aveva fino a quel momento tenuti uniti. La capacità

di assumere un’etica rinnovata, ovvero un modello di condotta

rispettato da tutti i suoi diversi strati, permise all’aristocrazia di non

disgregarsi e fu proprio il duello e il suo codice d’onore a

rappresentare un potente collante fra tutti i ranghi della nobiltà e a

«rafforzare il loro senso di appartenenza a una stessa classe

privilegiata»75. Il fatto, tuttavia, che molti nobili di rango più alto

accettassero le sfide lanciate loro da nobili poveri, fu malvisto in

generale dalle monarchie che tentarono di impedirle perché

considerate inaccettabili76.

Il duello, in definitiva, offrì la possibilità di perpetrare

un’educazione di tipo aristocratico che altrimenti sarebbe stata

destinata a scomparire; esso, infatti, conservava a tutta la classe un

75
K. DEMETER, The German Officer – Corps in State and Society 1650 – 1945, London,
1965, p. 119.
76
La regina Elisabetta nel 1579 aveva bandito dalla corte Philip Sidney, che, in qualità di
semplice cavaliere, aveva osato pensare di potersi misurare con il conte di Oxford; il loro
duello fu proibito da un divieto del Consiglio, nel quale si espresse chiaramente il
concetto per cui «la rivoluzione sociale» stava oltrepassando ogni limite. Cfr. C. MORRIS,
Political Thought in England, Tyndale to Hooler, London, 1953, p. 63.

55
carattere militare, certificava la legittima discendenza della nobiltà

della spada di epoca feudale e il suo titolo a riempire i ranghi degli

ufficiali dei nuovi eserciti di massa. Come sottolinea Kiernan:

I duello era di per sé asserzione di un diritto superiore, una

rivendicazione di immunità dalla legge, cosa che le classi dirigenti

cercano sempre di ottenere in qualche modo: sottoporsi alle pastoie e

alle catene della legge era comportamento da comuni mortali, mentre

per l’uomo di nobili natali era più che naturale porsi al di sopra della

legge, poiché lui stesso, in quanto signore, aveva rappresentato la

legge sulle sue terre77.

Paradossalmente, per certi aspetti, la classe nobiliare riuscì a

ribadire la sua solidarietà insistendo sul privilegio del duello che altro

non era se non il privilegio di colpirsi a vicenda. L’adesione a questo

tipo di principi, di fatto, fu espressione della condivisione di una

coscienza di classe secondo la quale se un gentiluomo era pronto a

combattere contro un suo pari allora era anche pronto a combattere

contro un nemico esterno, come nel caso delle sollevazioni contadine


77
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 68.

56
o degli strati più alti della borghesia. Le motivazioni che inducevano

altri strati sociali a voler eliminare la nobiltà trovavano le proprie

motivazioni nel desiderio di trasformazione, di elevazione sociale

tipico delle classi sociali inferiori che vedevano nel raggiungimento

dello status nobiliare un obiettivo latente e prioritario. Il fascino

dell’aristocrazia, d’altra parte, non risiedeva solo nel godere di tutta

una serie di diritti, tra cui quelle di non pagare le tasse, ma anche nel

fatto di caratterizzarsi per un forte rispetto di sé, per il possedere uno

spirito indipendente, per la sicurezza che ostentava nei rapporti col

mondo e per il coraggio che gli spiriti più raffinati potevano

trasformare in valore morale. Il duello e la spada, dunque,

rappresentarono le sue decorazioni più appariscenti e conservarono il

prestigio delle origini più antiche78.

La nobiltà, da parte sua, non gradiva affatto che la schiera dei

suoi appartenenti potesse infoltirsi, soprattutto per il timore che un

numero eccessivo significasse una diminuzione dei privilegi, e

78
Ibidem, p. 70.

57
pertanto si prodigò per moltiplicare le regole necessarie all’ingresso di

uomini nuovi nel suo alveo. Tali regole, generalmente, riguardarono le

caratteristiche degli antenati: tra il XVI e il XVII secolo, quindi, si

assistette ad un proliferare di dettagli araldici e alla nascita di un vero

e proprio mercato di titoli nobiliari. L’iter che s doveva seguire per

entrare nelle schiere nobiliari prevedeva come primo punto l’acquisto

di una proprietà terriera, da cui derivavano diritti come l’acquisizione

del titolo e doveri come il prestare servizio militare o pagare le tasse:

l’obbligo di battersi a duello, in un certo senso, era solo un’appendice

di questo possesso. L’adozione di questo tipo di comportamento, però,

fu una caratteristica di quelli che decisero di adottare lo stile di vita

dei proprietari terrieri, quanti, infatti, si trasferirono in città,

considerando la proprietà terriera come un semplice investimento, si

esonerarono dall’esporsi sia ai pericoli della caccia che a quelli del

codice d’onore. In alcuni casi, invece, i loro figli si sentirono in alcuni

casi spinti a dimostrare la loro appartenenza alle file della nobiltà,

58
esponendosi proprio alla prova più cruciale, ovvero quella del duello 79.

Come sottolinea Huppert, però,

i nuovi nobili, per quanto grandi, non si erano ancora camuffati da

gentilshommes. Il loto modo di parlare, di vestire o le loro abitudini li

separavano dalla vecchia nobiltà di cui volevano condividere o

addirittura superare privilegi e condizione80.

Il trasferimento dei nobili dalle campagne alle città fu un

fenomeno che assunse proporzioni notevoli soprattutto in Francia e le

cui motivazioni vanno ricercate in una serie di ragioni differenti:

alcuni, probabilmente, erano stati letteralmente cacciati dalle proprie

terre da quegli stessi borghesi che le avevano acquistate, altri

79
Non tutti, naturalmente, videro di buon occhio l’entrata di tali parvenus nelle fila della
loro classe sociale e soprattutto, gli avvocati, i nuovi ricchi emergenti, erano considerati
personaggi pericolosi in quanto in ogni disputa relativa alla proprietà la legge era a favore
del ricco, mentre la spada era a favore del forte e dell’ardito. Montaigne, da parte sua,
simpatizzava con i nobili preoccupati della nascita di un «quarto stato di avvocati,
venditori di parole e legulei» (DE MONTAIGNE, op. cit., libro I, cap. 22) e, in generale, i
nobili erano preoccupati del fatto che se uno di loro avesse sopportato l’affronto da parte
di un avvocato sarebbe stato «degradato di onore e nobiltà» mentre uno che avesse
vendicato l’onore avrebbe rischiato la pena capitale. Cfr. H. PIRENNE, op. cit., pp. 394 –
395.
80
G. HUPPERT, Il borghese – gentiluomo, Il Mulino, Bologna, 1978, p. 71 (tit. orig. Les
bourgeois gentilshommes, Chicago and London, 1977).

59
potevano aver sviluppato un cattivo rapporto con i contadini locali e

altri ancora potevano essere stati attirati dalle maggiori possibilità

economiche offerte dall’ambiente cittadino. Non è da escludersi,

inoltre, che molti di loro cominciassero ad essere annoiati dalla vita

campestre e a guardare alla città, ai suoi teatri, alle taverne e alle case

da gioco con vivo interesse.

I nobili di nascita, di fatto, si sentirono particolarmente irritati

da questa schiera di cittadini81, o cits come li definivano gli uomini

della corte londinese, e qualora si presentasse l’occasione di uno

scontro, rifiutavano di dargli soddisfazione per distinguersi da loro;

ciò portò i borghesi, nel XVI secolo, ad ingaggiare dei nobili per

combattere, dietro compenso di denaro, al loro posto. Il fatto che

alcuni gentiluomini di nobili natali arrivassero a vendere la propria

spada a un qualunque mercante fu considerato un atteggiamento

81
Il disprezzo per i gentilshommes si ritrova anche i Molière che fa parlare esplicitamente
di queste faccende il suo personaggio, Georges Dandin, presentato come un personaggio
ridicolo, un borghese che ha sposato la figlia di un gentilhomme e che paga il prezzo della
sua ambizione sociale; la sua nobile moglie, infatti, assistita dai genitori e dal suo amante
di nobile schiatta si fa zimbello del povero marito. Cfr. MOLIÈRE, Oeuvres complètes, 4.
voll. Paris, 1965, vol. III, pp. 279 – 286.

60
altamente offensivo e diffamante per tutto la classe, tanto che Luigi

XVI proibì con un editto di ingaggiare gentiluomini in quel mondo82.

Il duello, insomma, continuò a lungo a rappresentare

un’occasione per l’individuo di distinguersi e brillare, un’occasione

che ormai non veniva più offerta dalla guerra dove, peraltro, il valore

del singolo era posto in secondo piano rispetto alla polvere da sparo e

alla colonne di fanterie; a tale proposito Montaigne scrisse «quante

azioni singole e straordinarie fossero seppellite nella moltitudine di

una battaglia» nella quale anche il pusillanime poteva nascondersi e

non essere visto83. Anche l’esercito, comunque, aveva per il

gentiluomo d’armi un significato di non secondaria importanza: esso,

infatti, - soprattutto nel primo periodo in cui il reggimento veniva

formato e addestrato da un nobile - offriva a quest’ultimo un tetto o

una famiglia animata da legami di fedeltà simili a quelli feudali. Le

uniformi, da parte, loro, in uso fin dal XVII secolo, servivano a

82
N. A. BENETTON, Social Significance of the Duel in Seventeenth – century French
Drama, Baltimore, 1938, p. 79.
83
DE MONTAGINE, op. cit., libro II, cap. 16: «La gloria».

61
infondere un senso di fratellanza e di lealtà affettuosa oltre ad essere

l’espressione esteriore di un unico codice di comportamento. In alcuni

casi, tuttavia, la convivenza del reggimento, con il suo spirito di

corpo, e del duello, espressione di un forte individualismo, causarono

non pochi problemi e sollevarono numerose discussioni: non fu raro,

infatti, vedere due capi ufficiali rivali sfidarsi a duello 84, e neppure

leggere nei codici militari di quel periodo norme che vietassero

all’esercito di battersi con gli ufficiali di grado superiore, così come di

attaccare briga sul campo o nelle città sede di presidi militari85.

L’idea dell’uomo cavalleresco che da solo, come un cavaliere

errante, si trovava di fronte al nemico e che affidava al fato la propria

sorte, continuò a lungo ad esercitare un grande fascino e, permettendo

ai monarchi di battersi tra loro, offrì l’opportunità di evitare qualche

84
Carlyle, ad esempio, riporta che nel 1610, durante l’assedio di Juliers, nei Paesi Bassi,
Sir Hutton Cheek, comandante di un reparto d’assalto, insultò, insultò Sir Thomas Dutton
impartendogli ordini troppo bruschi. Dutton, allora, diede le dimissioni, rientrò in
Inghilterra e lamentò l’accaduto. La ritorsione che ne seguì fu una sfida a battersi e i due
si incontrarono sulla spiaggia di Calais. Secondo Carlyle ciascuno sferrò un attacco
mortale, con entrambe le armi, Dutton fu ferito e Cheek ucciso. Cfr. T. CARLYLE, Scottish
and Other Critical Miscellanies, London, 1915, p. 137.
85
G. G. LANGSAM, Martial Books and Tudor Verse, New York, 1951, pp. 68 – 68.

62
bagno di sangue. Anche i comandanti degli eserciti rivali a volte si

dilettarono dello stesso tipo di eroismi di maniera, ma furono gli

ufficiali comuni e i soldati semplici che riuscirono ad ottenere più

facilmente il permesso di ottenere la gloria in quel modo. Per quanto

riguarda i monarchi, poi, nessuno di loro arrivò a scontrarsi

direttamente e lasciarono che questioni del genere venissero risolte col

duello solo sul palcoscenico o nelle pagine di quei romanzi che

narravano di guerre favolose e di racconti d’avventura; il medioevo,

d’altra parte, con i suoi eroi e le loro imprese impossibili continuava

ad aleggiare come un’ombra su tutta l’Europa e ancora in mezzo alle

guerre croniche del XVI secolo, le imprese di cavalieri leggendari

raggiunsero in Spagna, ma non solo, il loro massimo splendore86.

Come osservò giustamente Huizinga «Il gentiluomo moderno è

ancora legato idealmente a una concezione cavalleresca medievale» 87,

e fu proprio questo legame con la cavalleria a rendere possibile

86
Si veda a proposito A. VALBUENA PRAT, La vida española de la edad de oro, Barcelona,
1943, pp. 59 e 68; C. BRADY, Spenser’s Irish Crisis, in «Past and Present», n. 11, 1986, p.
18.
87
D. HUIZINGA, op. cit., p. 146.

63
l’evolversi del duello moderno, che continuò a verificarsi con estrema

facilità anche per l’abitudine corrente di portare armi, necessarie alla

difesa personale nelle strade spesso animate da tumulti e non

controllate dalla polizia. Voltaire, commentando il periodo di Luigi

XIII (1610 – 1643), lo descrisse come un’epoca di discordia, in cui i

membri del parlamento lottavano per la precedenza, i canonici di

Notre Dame litigavano con quelli di Saint Chapelle, e dove

…in pratica ognuno si sentiva ispirato dalla passione del duello –

una – forma di barbarie gotica – che era divenuta parte del – carattere

nazionale88.

Accanto al duello, naturalmente, continuavano ad imperversare

le faide familiari che travagliavano intere famiglie per diverse

generazioni. A detta di Burckhardt «si estendevano anche agli amici e

ai conoscenti» ed erano diffuse in tutte le classi sociali. Episodi di

violenza e vendetta riempivano le cronache e le novelle, soprattutto


88
VOLTAIRE, Il secolo di Luigi XIV, Torino, Einaudi, 1971, p. 17 (tit. orig. Le siècle de
Louis XIV, Paris, 1751).

64
«le vendette portate a termine per causa di una violenza carnale»; e a

giudicare dai commenti degli autori, i vendicatori «avevano

l’approvazione incondizionata dell’opinione pubblica»89.

Sia il duello, comunque, sia la vendetta esprimevano una

concezione dell’onore; in Italia, ad esempio, dove Machiavelli

sosteneva che la corruzione era tale da far preferire che il tiranno

imprigionasse il padre piuttosto che ne confiscasse i beni 90, la vendetta

poteva essere vista come una forma di rifiuto del materialismo più

bieco. Le motivazioni, invece, che spingevano a battersi in duello

erano le più svariate, a volte anche assurde, come nel caso riportato da

Brantôme di due italiani salottieri che arrivarono a battersi perché uno

sosteneva il primato del Tasso sull’Ariosto e l’altro il contrario: uno

dei due, ferito a morte, confessò di non aver mai letto il poeta di cui

aveva preso le parti91. Non mancarono, certamente, anche motivi meno

89
J. BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1980, p. 401
(ed. orig. 1860).
90
N. MACHIAVELLI, Il Principe, Milano, Mondadori, 1986, cap. 17.
91
BRANTOME, op. cit., pp. 114 – 115.

65
futili, come la difesa della patria, o del suo primato rispetto ad

un’altra, o la difesa del buon nome di una dama.

Il tardo medioevo, senza dubbio, fu un periodo violento della

storia della società e il duello, da parte sua, con i suoi eccessivi

formalismi legati all’etichetta medioevale ebbe il merito di imporre

una disciplina su classi dedite all’auto-affermazione più sfrenata92.

Ben presto, tuttavia, esso fu messo fuori legge e i duellanti

cominciarono ad incontrarsi clandestinamente; questo fatto ebbe delle

conseguenze tra cui l’abitudine dei duellanti di portarsi dietro un

«secondo», o «padrino»93, col ruolo di testimone e di difesa da

eventuali scorrettezze dell’altro.

Se l’uso di combattere a piedi semplificò di molto

l’organizzazione del duello, che poteva avere luogo pressoché

ovunque, quella di battersi con la sola camicia, e il conseguente

92
D. HUIZINGA, op. cit., p. 59 e ss.
93
In un testo anonimo del periodo di Giacomo I, si sosteneva che sarebbe stato meglio
prevedere due secondi per ciascun avversario, i quali avrebbero dovuto essere di rango
sociale adeguato, ovvero almeno «cavalieri o membri della gentry». Cfr. N. A. BENETTON,
op. cit., p. 20, nota 13.

66
abbandono di armature e di scudi, rappresentò un segnale importante

della serietà delle intenzioni che sottendevano il duello 94. Le armi che

venivano utilizzate andavano dallo stocco, un tipo di spada lunga e

pesante, che richiedeva forza e destrezza, ai due stocchi, uno per

mano, allo stocco e al pugnale insieme95. Anche se nella sua forma

classica il duello doveva svolgersi tra due soli uomini, per lungo

tempo i secondi pretesero di partecipare allo scontro; Montaigne, da

parte sua, ritenne che l’abitudine di portare con se aiutanti fosse un

segno di codardia e fu fermo sostenitore del fatto che tali secondi

dovessero esclusivamente assistere all’incontro in qualità di spettatori

e di arbitri96. Non tutti, inoltre, potevano svolgere questa funzione di

secondi, e ben presto fu ritenuto disonorevole scegliere come padrino

un domestico o, comunque, un individuo non appartenente alla propria

94
Nel suo Il Cortigiano, il Castiglione racconta che alcuni vigliacchi dei suoi tempi si
dilettavano di cavillare su questioni d’onore, ma poi preferivano scegliere armi non letali,
ricoprirsi di armature tali da resistere anche alle cannonate e comunque, durante il duello,
mantenersi sulla difensiva (B. CASTIGLIONE, Il Cortigiano, Milano, Garzanti, 1990, libro
II, cap. 80).
95
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 83.
96
DE MONTAIGNE, op. cit., libro II, cap. 27.

67
classe sociale: si arrivò, dunque, a ritenere corretta solo la

partecipazione di un parente stretto e per di più solo in qualità di

delegato, non di assistente. Per tutti questi motivi il duello andò

sempre più raffinandosi e caratterizzandosi come una faccenda privata

che si poteva regolare solo tra gentiluomini.

Brantome, a tale proposito, affrontò tutta una serie di questioni

legate al comportamento migliore da tenere in caso di vittoria, ed

espresse a chiare lettere il fatto di ritenere vergognoso il tornare a case

senza essersi battuti, ovvero avendo accettato un compromesso

dell’ultima ora97. Egli, inoltra, opponendosi a quanti erano soliti

adottare un comportamento scortese se non addirittura arrogante e

feroce nei confronti dei vinti, e lodando gli esempi di condotta

magnanima, mostra un sicuro istinto di classe, in quanto non valuta il

problema dal solo punto di vista della dignità personale98. Un vero

gentiluomo, in altre parole, poteva sì essere ucciso, ma non trattato

barbaramente, né sottoposto all’ignominia e al pubblico ludibrio.

97
BRANTOME, op. cit., p. 189.
98
Ibidem, pp. 131 – 132.

68
In una società in continua trasformazione il duello continuò a

lungo a rappresentare una sorta di catarsi delle pulsioni sociali e, per

tale motivo, a diffondersi in tutti quei paesi dove vi fosse la presenza

di un’aristocrazia logorata dalle tensioni politiche e sociali.

69
CAPITOLO II

IL XVII SECOLO E IL DUELLO

§. 2.1 La portata sociale del duello europeo

A seconda delle zone nelle quali si diffuse, il duello assunse una

terminologia differente: e così, se dall’Inghilterra alla Romania

continuò a chiamarsi duello, in Spagna e in Portogallo si trasformò in

desafío99, mentre in Germania divenne Zweikampf e in Svezia envig e

tvepoyedinok100.

Come si è detto, la sua diffusione in questi paesi fu dovuta alla

presenza di un’aristocrazia percorsa da forti tensioni e contrasti e,

soprattutto, protagonista di numerose infrazioni della legge e

dell’ordine; da un punto di vista sociale, quindi, il duello permise di

99
Per un approfondimento sulla nobiltà spagnola del ‘500, si veda: R. PUDDU, Il soldato
gentiluomo, Il Mulino, Bologna, 1982.
100
Cfr. V. G. KIERNAN, op. cit., p. 87.

70
evitare rischiosi tumulti o pericolose sedizioni, in quanto offrì

l’opportunità di risolvere molti conflitti di cui l’aristocrazia, per

l’appunto, si rendeva colpevole. A differenza degli scontri armati tra

potenti e dei loro seguiti armati101, infatti, il duello risolveva la

controversia con poche perdite e attraverso modalità ben codificate.

Nei confronti di queste “vendette” private, i vari monarchi

adottarono un atteggiamento piuttosto accondiscendente e, sebbene

pubblicamente dovessero disapprovarlo, privatamente simpatizzarono

con il duello se non altro per rispetto a quella classe nobiliare della

quale, in linea generale, condividevano pregi e difetti102; d’altra parte,

anche nei casi in cui i regnanti tentarono di opporvisi in maniera

risoluta, molti nobili, pur consapevoli di disubbidire al proprio

sovrano, scelsero di combattere oltre i confini del proprio paese 103,

101
BRANTOME, op. cit., p. 141.
102
Brantôme porta ad esempio Enrico III, e lo descrive come un monarca sempre pronto a
proclamare bandi e proibizioni ma sempre troppo accondiscendente nei confronti dei suoi
nobili che amava. Ibidem, p. 139.
103
Ibidem, pp. 127 – 129.

71
dimostrando, così, quanto poco «assolute» fossero le monarchie

europee dell’epoca.

Uno dei motivi per cui molti monarchi si dimostrarono tanto

permissivi nei confronti del duello affondava le proprie ragioni nelle

continue guerre in cui gli stessi si trovavano a combattere: non

esistendo, infatti, ancora una netta distinzione fra civili e militari, i

sovrani, da parte loro, non potevano anche permettersi di lottare con i

capi militari, che appartenevano all’élite nobiliare. Conseguenza di ciò

fu la diffusione della tesi secondo la quale il duello serviva a tenere

sveglio lo spirito guerriero104. I motivi, comunque, erano anche altri: la

maggior parte dei militari, infatti, erano dei mercenari stranieri poco

inclini a farsi comandare e a farsi vietare alcunché 105 e, anzi, la

104
L’Alcibiade di Shakespeare fa appello al senato a nome di un compagno condannato
per una rissa, affermando che se si vogliono soldati audaci non ci si può aspettare che in
privato siano docili e tranquilli. SHAKESPEARE, Timon of Athens, atto III, scena V.
105
Nell’esercito francese, ad esempio, si cercò di applicare dei regolamenti che
impedissero, o che comunque evidenziassero, la poca disponibilità ad accettare il duello,
tuttavia non ebbero grande fortuna. FOURQUEVAUX, Instructions sur le faict de la guerre,
a cura di G. Dickinson, London, 1954, pp. LXXV e ss.

72
presenza di questi avventurieri negli eserciti europei facilitò la

diffusione del duello106.

Diversamente da quanto era avvenuto nel resto d’Europa, in

Italia, patria dei primi codici d’onore107, le rivalità nobiliari assunsero

forme molto distanti da qualsiasi etichetta; il paese, d’altra parte, che

tra il 1494 e il 1559, aveva assistito alle Guerre d’Italia, che avevano

portato sul territorio sciami di eserciti stranieri, era mal governato da

una serie di piccole autocrazie, spesso in lotta tra di loro e sempre

pronte a ricorrere alla violenza. La frammentazione politica, la

dominazione straniera e la decadenza economica furono ragioni

sufficienti a spiegare il perché l’assassinio mise solide radici sul suolo

italico. In alcune circostanze, tuttavia, si cercò di limitare il fenomeno:

si racconta, ad esempio, che a Mantova fosse proibito portare la spada

106
La guerra dei Trent’anni (1618 – 1648), che coinvolse la maggior parte dei governi
europei, contribuì moltissimo alla diffusione di questa abitudine. Non tutti i sovrani,
naturalmente, la accettarono di buon grado e si racconta che Gustavo Adolfo di Svezia, da
rigido protestante quale era, classificò il duello come delitto capitale e, in una circostanza
in cui due alti ufficiali stavano per battersi, fece sapere loro che il sopravvissuto sarebbe
stato condannato a morte. Dopo di ciò la disputa venne abbandonata. A. BOSQUETT, The
Young Man of Honour’s «Vade Mecum», London, 1817, pp. 62 – 64.
107
Cfr. Infra, cap. I, p. 24.

73
senza avere una speciale autorizzazione, mentre in altre zone, poste

sotto la sovranità di Venezia, gli stranieri potevano portare la spada,

ma non la pistola108.

Per quanto riguarda Venezia sembra che il duello si affermò nei

suoi territori all’inizio del XVII secolo, quando, iniziato il declino

della Serenissima, l’oligarchia dei mercanti cominciò ad abbandonare

i mari a favore dell’acquisizione di terre; fu un periodo, quello, dove

«I signori si sfidavano per i pretesti più frivoli» e i sicari

approfittavano dell’esistenza di alcuni signori imbelli che si servivano

dei loro uffici109. Nonostante il Senato e il Consiglio dei Dieci, nel

1535 e nel 1541, promulgarono delle leggi che proibirono

severamente il duello, esso sopravviveva ancora nel 1631 e, la

108
Questo, per lo meno, è quanto riporta l’intrepido viaggiatore MORYSON (in Itinerary,
s.l., 1617, parte I, libro II, cap. 3); a Firenze, invece, Benvenuto Cellini racconta come
bastasse che il sangue gli andasse alla testa per gettarsi nella rissa soffiando come un toro
inferocito (B. CELLINI, La vita, a cura di G. Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1973) (Ia ed.
1728, pp. 34 - 35).
109
W. C. HAZLITT, The Venetian Republic, London, 1915, vol. II, pp. 590 e ss.

74
cavalleria, immersa in tutte le formalità dettate dai vari codici d’onore,

fu ridotta, come scrive Molmenti, a «una scienza da casuisti»110.

Mentre in Italia il duello si affermò soprattutto in Piemonte,

probabilmente per la commistione fra cultura italiana e francese 111, e a

Malta, dal 1530 in mano ai Cavalieri di san Giovanni, esso poté

svolgersi senza troppi ostacoli112, in Spagna, diversamente, l’interesse

verso questa forma di combattimento cominciò a scemare forse, come

suggerisce Kiernan,

...per gravità e la dignità di comportamento che portarono a

delineare il particolare modo di essere castigliano; tutto ciò, unito alla

sobrietà spagnola, potrebbe aver ridotto lo spazio della lite e del duello

- e anche perché - il possesso delle colonie e le continue guerre in terre

110
P. MOLMENTI, Storia di Venezia nella vita privata dalle origini alla caduta della
Repubblica, Trieste, Lint, 1978, vol. III; pp. 366 – 367 (Ia ed. 1904).
111
Prima dell’occupazione francese a Torino gli scontri avvenivano sul ponte di un fiume
che attraversava la città, poi, dopo l’arrivo degli invasori, il governatore mise fine a
questa consuetudine e permise che i combattimenti avvenissero solo sul parapetto e proibì
che chi finiva in acqua venisse recuperato. A. STEINMETZ, The Romance od Duelling in
All Times and Countries, London, 1868, vol. I, p. 183.
112
Un viaggiatore del XVIII secolo notò che erano state applicate alcune restrizioni,
tuttavia contò venti croci incise lungo le mura della città che segnalavano il luogo dove
erano caduti altrettanti duellanti. P. BRYDONE, A Tour through Sicily and Malta, London,
1773, vol. I, pp. 332 – 333.

75
lontane – sul Mediterraneo contro i turchi, in Italia contro i francese,

nei Paesi Bassi contro i ribelli, sull’Atlantico contro i corsari inglesi –

assorbivano la maggior parte dell’irrequietezza dello spirito

spagnolo113.

Il duello, in ogni caso, era stato tassativamente proibito da una

legge del 1480, e i manuali di buone maniere – come scrive Bossy –

avevano cominciato ad associare l’onore alla buona educazione e al

«rispetto dovuto agli altri»114. Questo tipo di atteggiamento, tuttavia,

tese a scemare intorno al XVII secolo, periodo in cui iniziò il declino

della società spagnola e, in particolare, dell’aristocrazia 115. Un

particolare curioso che riguarda la cultura spagnola, riferisce che la

stessa corrida, considerato un sport aristocratico, veniva definita

«duello», in quanto il matador doveva essere un cavaliere che «attacca


113
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 92.
114
J. BOSSY, «Postscript», in Disputes, 1983, p. 291.
115
Testimonianza di questa avvenuta decadenza si trova negli scritti teatrali dell’epoca
pieni di mariti intenti a lavare ogni minima macchia dal loro blasone. Il celebre
drammaturgo Calderon, ad esempio, in alcune sue opere esalta senza mezzi termini il
duello (Gil Perez, the Gallician, in E. FITZGERALD (a cura di), The Rubaiyat of Omar
Khayyam and Six Plays of Calderon, London, Everyman, 1928, p. 180, dove, parlando
del duello, afferma che è «cosa che si verifica quasi ogni giorno in Spagna»), mentre in
altre lo condanna (ID., The Mayor of Zalamea, ivi, pp. 270 – 271, dove fa affermare ad un
personaggio «non litigare con nessuno senza una buona ragione»).

76
il toro e lo affronta in un combattimento singolo», poi, dopo che il

toro lo aveva «insultato», ferendo lui o il suo cavallo, il cavaliere

poteva fare uso della spada116.

La Francia, da parte sua, sotto Luigi XII e Francesco I (1498 –

1547), istituì delle corti d’onore per decidere tra due contendenti chi

avesse ragione, e, nel 1560, durante la seduta di Orleans degli Stati

generali, Carlo IX dichiarò il duello come un crimine punibile con la

pena capitale117. In seguito, però, quando con la dinastia dei Valois la

Francia iniziò la sua decadenza, e le guerre religiose e civili tra il 1562

e il 1598 mutilarono il potere reale, il duello si radicò insieme ad

altrettante forme di infrazione della legge. A nulla valsero gli editti

che dal 1566 al 1579 si susseguirono e che sbandierarono la condanna

a morte per i duellanti di qualunque rango; tutti, infatti, restarono

lettera morta e, come scrisse Montaigne, «ormai uccidere era divenuto

116
Mme D’AULNOY, Travels into Spain, London, 1930, p. 259 (Ia ed. 1690).
117
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 94.

77
il desiderio di ogni duellante e la vendetta non prevedeva più

sfumature o gradi diversi»118.

Sully, da parte sua, primo ministro di Enrico IV fondatore della

nuova dinastia dei Borboni - da sempre contrario alla pena di morte

promulgata nel 1609 contro «quella forma di violenza perniciosa e

selvaggia», in quanto temeva che l’eccessiva severità avrebbe reso più

difficile applicare la legge - attribuì «all’irrascibilità» dei re suoi

padroni la responsabilità della diffusione di quel male sociale 119. Il

monarca, d’altra parte, era sembrato più che altro interessato ad

emanare editti tanto severi per impressionare magistrati e cittadini

rispettosi della legge, visto che nella pratica, poi, si dimostrò molto

indulgente nei confronti dei duellanti. Dimostrazione ne è che durante

il suo breve regno - si dice - siano morti quasi ottomila duellanti120.

Appare evidente che il duello in tali proporzioni poteva fornire

un surrogato grazie al quale sfogare le energie che normalmente erano

118
MONTAIGNE, Saggi, cit., p. 344.
119
SULLY, DUC MAXMILIEN, Mémpires du duc de Sully, Paris, Etienne Ledoux, 1822 (in
inglese: Memoirs, London, 1956, vol. I, pp. 110 – 114).
120
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 96.

78
assorbite dalle guerre in terre straniere le quali, ormai, nel 1598, erano

giunte alla fine. Gli Stati generali, comunque, nel 1614, si riunirono

nuovamente e le loro delibere furono accompagnate da una profusione

di pamphlet, fra cui i sermoni del vescovo Jean Camus che denunciava

tra i mali che affliggevano la società proprio il duello; da parte loro, i

nobili, insistevano perché il duello fosse almeno permesso nelle gravi

questioni d’onore121. Quando Richelieu, salì al potere nel 1624, la lotta

contro il duello divenne soprattutto una prova di forza più simbolica

che reale fra il cardinale e i nobili riottosi; il colpo più terribile fu

sferrato nel 1627, un anno dopo l’emanazione dell’editto di Richelieu,

quando il conte de Bouteville, per essersi battuto contro il conte de

Chapelles, fu condannato a morte122.

Nonostante la risolutezza del governo, non tanto del monarca

che tendeva più facilmente a concedere la grazia, la Francia, ben

presto, divenne la patria del duello e, come riporta Lord Herber di

Cherbury, non «c’era quasi uomo degno di essere guardato in faccia in

121
J. M. HAYDENM, France and the Estates General of 1614, Cambridge, 1974, p. 108.
122
J. POWIS, op. cit., pp. 64 – 65.

79
quel paese che non avesse ucciso qualcuno in un duello»123. Il duello,

quindi, sopravvisse anche all’editto del 1643 emanato da Mazzarino, e

l’opinione pubblica si fece sempre più alleata del governo nel

contrastare questa forma di combattimento: da sola, tuttavia, la

borghesia non era ancora in grado di contrastare l’aristocrazia, che

continuava a tenere sotto controllo l’esercito e che dimostrava un vivo

disprezzo nei confronti delle leggi sul duello. Fu così che il monarca

francese dovette diventare nuovamente portavoce della prudenza.

Sebbene in Inghilterra si sostenesse che se era giusta una guerra

«fra due grandi» di cui Dio era il solo arbitro, allora dovesse essere

giusto anche il combattimento giudiziario124, tuttavia, già dal 1571,

alla vendetta pubblica si era sostituito il duello125. Riguardo, poi, alle

discussioni relative al fatto di attribuire la distinzione alla nascita

oppure al merito personale, gli inglesi svilupparono «un’idea di onore

123
LORD HERBERT OF CHERBURY, Autobiography, a cura di Sidney Lee, London, 1906, p.
52.
124
J. SELDEN, Table Talk, a cura di R. Milward, London, 1887, pp. 60 – 61 (Ia ed. 1689).
125
A. L. ROWSE, The Elisabethan Renaissance, London, 1974, p. 229.

80
complessa e articolata»126: termini come «Onorevole» e «Vostro

Onore» entrarono nell’uso cerimonioso, mentre l’ «onore» venne

inteso come ciò che poteva spingere un uomo a battersi in duello, ed

era considerato un attributo, anche se non esclusivo, della nobiltà di

campagna127. In Inghilterra, comunque, come scrive Kiernan:

...è difficile definire cosa sia esattamente un signore. In altri paesi lo

si riconosce per i suoi privilegi ma in Inghilterra questi sono meno

palesi e il blu del sangue può avere tante sfumature. Oltre all’antico

sistema per cui il cittadino acquistava tenute di campagna, c’erano

molte altre possibilità, derivanti dalla professione, dalla cultura e dalle

proprietà, che potevano far rivendicare il diritto di appartenenza ai

ranghi sociali più alti128.

In effetti, in Inghilterra, più che nel resto d’Europa dove bastava

non dover pagare le tasse per dimostrare di appartenere ad un élite, i

contorni dell’aristo-crazia non erano affatto delineati e forse questo

126
N. COUNCIL, When Honour’s at the Stake: Ideas of Honour in Shakespeare’s Palys,
London, 1973, p. 31.
127
C. L. BARBER, The Idea of Honour in the English Drama 1591 – 1700, Göteborg, 1957,
p. 113.
128
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 101.

81
rese indispensabile ai nobili reclamare il diritto al duello, quale

dimostrazione del proprio onore. Uno studio condotto da Stone circa i

rapporti sociali tra i nobili inglesi del XV e XVII secolo mette in

evidenza che «a tutti i livelli, sia gli uomini che le donne, erano

estremamente irascibili»129 e William Harrison racconta che pochi

inglesi erano sprovvisti di un’arma, sia pure solo un pugnale 130. Se la

regina Elisabetta fu sospettata di nutrire una simpatia per il duello,

anche se ufficialmente si era espressa in più situazioni contraria,

Giacomo I fu apertamente a favore delle abitudini e delle imprese

marziali, tra cui il duello; sembra, inoltre, che la parola «duel», al

posto di «duello», sia stata stampata per la prima volta nel 1611 e che

«la furia dei duelli s’impose allora più che in ogni altro periodo

precedente e futuro»131.

129
L. STONE, Family, 1979, p. 100; e anche La crisi dell’aristocrazia, Torino, Einaudi,
1972.
130
L. WITHINGTON, Elizabethan England, in W. HARRISON, A description of England, Lon-
don, 1876, pp. 227 – 228.
131
D. HUME, The History of England, ed. ridotta a cura di R. W. Kilcup, Chicago, 1975, p.
220.

82
Non tutta la vecchia aristocrazia, comunque, era pronta a

sottoscrivere la concezione dell’onore alla moda e, anzi, alcuni di loro

erano fermamente convinti che la loro posizione li sollevasse dal

dover provare alcunché; in generale, tuttavia, a parte la guerra, il

duello restò a lungo la forma di violenza più discussa e i suoi

sostenitori, membri di una classe «minacciata dal punto di vista

economico e dunque anche sociale»132, desiderosi soprattutto di

mantenere il proprio status superiore, cercò di equiparare il duello alla

«guerra giusta» della tradizione religiosa.

La situazione cominciò a dispiacere a Giacomo I il quale arrivò

a sostenere che il Cielo aveva permesso l’assassinio di Enrico IV, non

perché quest’ultimo aveva cambiato religione, ma perché aveva

tollerato il duello133; a seguito di ciò, Sir Edward Coke, il più grande

avvocato dell’epoca, stese un primo documento nel quale si affermava

che uccidere un uomo in duello era omicidio, ma non c’erano sanzioni

132
J. R. HALE, Sixteenth – century Explanations of War and Violence, in «Past and
Present», n. 51, 1971, pp. 11 – 12.
133
J. SELDEN, op. cit., p. 84.

83
nei confronti di chi lanciava una sfida o si prestava a fare da secondo;

in seguito ne venne redatto un altro contro le sfide e i combattimenti

privati. Nel 1615, poi, una corte del tribunale dell’Inquisizione,

presieduta da Bacon, condannò all’unanimità «che si potesse

ammettere per chicchessia il duello privato per ragioni d’onore»134.

Dopo il primo ventennio del secolo, comunque, il numero dei

duelli diminuì drasticamente sotto i colpi combinati del puritanesimo e

della monarchia; esemplare di questa nuova tendenza, ad esempio, la

seconda versione dell’Arcadia (1586), rimasta incompiuta, di Sir

Philip Sidney, nella quale lo stesso autore, in qualità di uomo d’armi,

cerca di sublimare il concetto di onore in un codice di condotta più

nobile e cristiano. I due eroi del racconto combattono, senza

riconoscersi, fieramente corpo a corpo durante una guerra, ma dopo

essersi riconosciuti, dedicano tutto il loro impegno politico a mettere

fine allo spargimento di sangue135. Tra i tanti drammaturghi

134
Riportato da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 106.
135
Anche i drammaturghi del tempo furono attratti dal tema del duello e, a tale proposito,
Baber, che compie un’attenta analisi del dramma del XVII secolo, evidenzia come gli
scrittori vi attingessero ampiamente sia per lavori tragici che per lavori comici,

84
dell’epoca, invece, quello che più degli altri riuscì a diffondere il suo

pensiero critico sul duello fu senza dubbio Shakespeare convinto che

il duello dovesse essere un’ultima risorsa e che l’uomo dovesse

conservare il proprio coraggio per la patria piuttosto che per se stesso:

come primo profeta del nazionalismo, egli pronosticò il passaggio

dall’onore personale a quello pubblico o patriottico136.

In seguito, durante il periodo della decadenza, che caratterizzò il

teatro degli anni che precedettero la guerra civile, il duello tornò alla

ribalta; sebbene molti scrittori continuassero a denunciarne la pratica

nei propri scritti, tuttavia esso rappresentò per un pubblico di giovani

gentiluomini un richiamo invitante. Le nuove produzioni teatrali,

indirizzandosi in senso opposto a quanto aveva auspicato

Shakespeare, cominciarono a portare in scena personaggi caratterizzati

probabilmente perché lo ritenevano, questa la conclusione di Barber, un tratto


profondamente radicato nell’uomo di tutte le epoche e di tutti i luoghi (Cfr. C. L. BARBER,
op. cit., pp. 270 – 274). Tra i lavori drammaturgici che affrontarono criticamente il tema
del duello citiamo, ad esempio, il Riccardo II di Shakespeare dove all’inzio si sta per
tenere un giudizio tramite combattimento e, dopo molte frasi altisonanti da entrambe le
parti, lo scontro viene improvvisamente proibito dal re per ragioni non dichiarate.
136
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 111.

85
da un individualismo tutto concentrato sul rispetto di sé, tipico

dell’aristocrazia, e di cui il duello era una delle manifestazioni più

eclatanti.

A differenza di quanto avveniva in Inghilterra, in Scozia,

nonostante Giacomo I ripetesse continuamente che il duello «non solo

era proibito e vietato dalle leggi» ma anche bandito in ogni «società

ben governata», tuttavia lo stesso non riuscì ad andare oltre i buoni

consigli e permise con il suo atteggiamento lassista la sopravvivenza

delle faide137; nella patria delle Highlands, dunque, una legislazione

contro il duello non comparve che verso la fine della permanenza del

sovrano in quelle terre, ovvero intorno alla fine del XVI secolo.

Tornando all’atteggiamento del sovrano inglese va detto che, di

fatto, era emblematico del clima che si respirava nel resto dell’Europa,

dove l’aristocrazia mostrava al suo interno poca omogeneità di

opinione nei confronti del duello: in Olanda, ad esempio, che

condivideva con la Scozia la stessa fede religiosa, si sentì parlare del

137
J. WORMALD, Bloodfeud: Kindred and Government in Early Modern Scotland, in «Past
and Present», n. 87, 1980, p. 85.

86
duello non prima del 1618 e lo si trattò come un argomento esotico

importato dalla Francia; anche in Germania, il duello restò un prodotto

d’importazione, ma fu accolto con entusiasmo e fece la sua comparsa

verso la metà del XVI secolo grazie ai mercenari che si spostavano da

un’area all’altra. Durante la Guerra dei trent’anni, però, che fece

cadere tutta l’Europa nel caos, il duello fu condannato dai vari

monarchi come contrario a Dio e, particolarmente in Prussia, un

decreto del 1688 decise pene severe anche per le sfide, mentre i duelli,

anche quelli che finivano senza spargimenti di sangue, furono

dichiarati delitti capitali. Vennero addirittura stabiliti del premi per gli

informatori138, ma anche qui la legge non ebbe molto successo.

Riguardo ai paesi dell’Est il duello cominciò a penetrare come uno dei

tanti elementi della cultura occidentale: in Polonia e in Ungheria, in

particolare, fu la nobiltà terriera e subirne maggiormente l’influsso,

mentre nella Russia degli zar la nobiltà militare, che si stava

138
K. DEMETER, The German Officer – Corps in State and Society 1650 – 1945, London,
1965, pp. 120 – 121.

87
sostituendo alla vecchia classe dei boiari, preferì, almeno in un primo

tempo, il combattimento giudiziario139.

Sebbene tutta l’Europa stesse subendo profonde trasformazioni

sociali ed economiche, molte furono le eredità feudali che si portò

dietro e il duello fu una di queste; alle soglie ormai dell’era moderna,

infatti, le guerre civili e le insurrezioni di massa, minacciando le classi

nobiliari di perdere il controllo sociale, diedero un motivo più che

valido agli aristocratici per rincorrere un metodo di combattimento

che avrebbe dovuto ormai essere una memoria del passato. Il

comportamento intransigente dell’aristocrazia fu, forse, influenzato

negativamente dall’arrivo di nuovi membri, desiderosi di fare parte

delle sue fila, e se Scott Fitzgerald scrisse che essa reagì con

«l’appassionata fedeltà del parvenu ad un passato immaginario»140,

Burton aggiunse, riguardo ai parvenu, che apparivano:

molto umiliati e vergognosi perché la loro nascita era inferiore alla

loro condizione sociale presente, [che] comprano titoli, stemmi e che


139
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 116.
140
F. SCOTT FITZGERALD, The Last Tycoon, Harmonsworth, 1941, p. 142.

88
con qualunque mezzo si inseriscono fra le antiche famiglie, falsificando

alberi genealogici, usurpando blasoni141.

Certo è, comunque, che dovunque esistessero gli arrampicatori

sociali, il loro snobismo fu soprattutto debitore al duello e che

nonostante in Occidente si cominciasse a diffondere un’opinione

contraria a questa forma di combattimento, il XVII secolo divenne il

secolo d’oro del duello stesso.

§. 2.2 L’epoca d’oro del duello

Ciò che non era riuscito ai monarchi restò più facile ai papi che,

nel 1563, decretarono col Concilio di Trento la scomunica per i

duellanti, fossero essi governanti o ricoprissero incarichi speciali e,


141
R. BURTON, The Anatomy of Melancholy, London, 1621, parte II, sez. 3, mem. IX,
London, 1923, pp. 157 – 158.

89
nel 1592, la proscrizione dei beni e l’infamia perpetua. Tuttavia la

Controriforma, dal carattere conservatore e neo - feudale, contrastò

l’operato della Chiesa cattolica soprattutto per il fatto di essere alleata

di quella monarchia e di quella aristocrazia terriera che del duello si

era fatta (e continuava a farsi) paladina142.

Nonostante, dunque, all’interno del mondo ecclesiastico non

mancassero le posizioni contrastanti, in generale la condanna della

Chiesa fu unanime e così, se a detta del vescovo anglicano di Exeter,

Joseph Hall, due uomini che si avventassero l’uno sull’altro con la

spada, tornavano all’ordalia pagana e dunque permettevano una

«provocazione fatta a Dio»143, il puritano William Perkins confutò

l’argomento secondo il quale chi non raccoglieva una sfida era

142
Furono soprattutto i gesuiti – come scrive Macaulay - a dimostrare clemenza verso
certi «peccatucci». T. B. MACALUAY, Miscellaneous Essays, London, Collins, s.d., vol. II,
p. 103.
143
J. HALL, Works, a cura di P. Hall, Oxford, 1937 – 1939, vol. XII, pp. 398 – 400 (Ia ed.
1658).

90
«disonorato per sempre» e affermò, invece, che «disubbidiva al

Verbo»144.

Tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, quindi, il duello

si trovò a vivere sorti alterne: mentre, infatti, in alcuni paesi europei

andava perdendo terreno, in altri (più numerosi), dove lo stile di vita

aristocratico era rimasto indenne, si affermava con prepotenza. Furono

principalmente l’Inghilterra e la Francia, dopo un periodo di severa

condanna, a farsi rappresentanti del duello. Mentre in Inghilterra esso

declinò dopo il 1642, in seguito alla guerra civile e alla salita al potere

dei puritani che espressero senza mezzi termini la loro ostilità nei

confronti di quel vizio cortigiano145, in Francia, sulla soglia dell’era di

Luigi XVI, si andò diffondendo un’attitudine contraddittoria nei


144
W. PERKINS, The Whole Treatise of the Cases of Conscience, London, 1636, pp. 294 –
295.
145
A tale proposito, dopo la vittoria di Worcester del 1651, alcuni cittadini proposero dei
rimedi addirittura draconiani per rimediare alle mancanze della legge, come il taglio della
mano destra per i duellanti, la confisca dei beni e l’esilio (Cfr. H. N. BRAILSFORD, The
Levellers and the English Revolution, a cura di C. Hill, London, 1961, pp. 651 – 653).
Anche il filosofo Hobbes nel suo Leviathan, trattò del duello affermando che gli uomini
per lo più vi erano costretti «dalla paura del disonore, in uno o tutti e due gli avversari,
che, impegnatisi per sventatezza, sono trascinati sul terreno per evitare il disonore»,
tuttavia i suoi pensieri non riuscirono minimamente a scalfire la pratica del duello ( T.
HOBBES, Leviathan, cit., cap. 10).

91
confronti del duello magistralmente espressa nelle parole di La

Rochefoucauld, secondo il quale esso offriva la possibilità della:

...gloria di una morte coraggiosa, la speranza di essere rimpianti, il

desiderio di lasciare dietro di sé una buona reputazione, tutto ciò ha il

suo fascino, ma non un fascino inconfutabile146.

Solo grazie al prestigio del Re Sole, deciso a sottomettere tutte

le classi al trono, la Francia ebbe una legislazione che condannava

drasticamente il duello; il monarca, infatti, emanò in totale circa

dodici decreti e un editto del 1679 che codificò la legge precedente,

completò l’istituzione della corte d’onore e definì una graduatoria di

gravità delle offese: colpire un uomo, la più grave delle offese, veniva

punita con la prigione, mentre per i duellanti e i secondi era stabilita la

pena di morte147. Come scrisse più tardi Voltaire, Luigi XIV,

146
LA ROCHEFOUCAULD, Massine, Milano, Rizzoli, 1978, n. 219.
147
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 123.

92
riuscendo a reprimere il duello, aveva reso uno dei più grandi servigi

alla nazioni e dato il buon esempio ai paesi stranieri148.

In effetti la politica repressiva inaugurata dal monarca francese

fu adottata dalle altre nazioni straniere ma, col passare del tempo e

con il perfezionarsi delle regole, fu la pratica stessa del duello a

diventare meno preoccupante per le autorità e per l’ordine pubblico. Il

fatto che fossero due soli uomini a scontrarsi e che una volta terminato

il duello l’onore potesse ritenersi soddisfatto senza il timore di altri

disordini pubblici, fece sì che il duello cominciò ad essere accettato

«come una valvola di sfogo degli impulsi violenti di una classe da cui

il governo continuava a dipendere e di cui non voleva smantellare

l’etica della spada»149.

Ben presto, dunque, il governo francese accettò di far rivivere il

duello entro limiti ben precisi, in quanto cominciò a considerarlo un

modo per far rispettare l’ordine e per le classi sociali alte una forma di

148
VOLTAIRE, Il secolo di Luigi XIV, Torino, Einaudi, 1971, pp. 318, 328 – 329 (Ia ed.
1751).
149
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 125.

93
autodisciplina. Già prima della morte di Luigi XIV, d’altra parte, si

era diffusa una certa rilassatezza giuridica e, infatti, tra il 1700 e il

1725, su quarantaquattro imputati comparsi di fronte al Parlament di

Parigi, dodici erano stati assolti, ventisei si erano salvati grazie a

cavilli giuridici e solo uno era stato condannato a nove anni di lavori

forzati150; dopo la morte del sovrano la legislazione che condannava il

duello restò in vigore ma, nella pratica, non fu mai fatta rispettare.

Con l’avvicinarsi della Rivoluzione, inoltre, il rimescolamento

politico e finanziario dell’aristocrazia e della borghesia si fece più

intenso e cominciarono a venire meno le rigide divisioni in classi

sociali; era vicino il momento, di fatto, che uguaglianza e fraternità

avrebbero permesso ai membri di una classe di battersi liberamente

con quelli dell’altra e ritornò il gran desiderio di cscontrarsi a duello

anche solo per semplice spacconeria.

Diversamente dalla Francia, nell’Inghilterra del XVII secolo il

duello si impose in modo disordinato sotto la tremolante monarchia

150
J. MCMANNERS, Morte e Illuminismo, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 505 – 512.

94
restaurata nel 1660: l’aristocrazia, uscita sconfitta e divisa dalle guerre

civile, era decisa a riaffermarsi e il duello faceva parte della sua

reazione. L’articolista Addison, a tale proposito, parlò della buona

società come di:

Un’associazione malefica, un club di duellisti, il cui presidente era

noto per aver ucciso una mezza dozzina di avversari e i cui membri

prendevano posto a seconda di quanti uomini avevano fatto fuori. Non

durò a lungo, perché molti degli associati furono a loro volta uccisi o

impiccati151.

A seguito di questi fatti, Carlo II fece il suo proclama contro il

duello ma continuò a concedere la grazia ai duellanti. Anche in

seguito alla rivoluzione del 1688, seguita dalle ribellioni del 1715 e

del 1745, che sconvolse la vita politica inglese e oppose in maniera

più netta Whigs e Tories, e l’avvento al trono degli Hannover, la

pratica del duello restò immutata: proibita sulla carta, ma permessa

nella pratica. Sotto Giorgio III (1760 – 1820) furono registrati cento

settantadue duelli di cui novantuno con esito fatale ma, anche in


151
«The Spectator», n. 9. 10 marzo. 1710 – 1711.

95
questo caso, sebbene i morti per duello dessero adito ad un processo

per omicidio, di quei novantuno combattenti solo diciotto furono

processati e la pena capitale fu inflitta a due solo di loro 152. I duellanti,

di fatto, potevano uccidersi senza pagarne le conseguenze, mentre un

poveraccio poteva finire impiccato per aver rubato qualche scellino.

Il rimescolarsi della proprietà, inoltre, rese impossibile che il

duello si svolgesse esclusivamente tra membri della stessa classe e,

dunque, vecchi e nuovi aristocratici dovettero ammettere al duello

anche gli appartenenti alla fiorente borghesia, sebbene potessero, in

talune circostanze, rifiutarsi o dimostrarsi addirittura sconcertati dal

fatto che un uomo qualunque lanciass una sfida ad un pari del regno o

ad un nobile153.

152
A. STEINMETZ, op. cit., vol. I, p. 38.
153
Esemplare in questo senso il romanzo di T. SMOLLETT, La spedizione di Humphry
Clinker, Torino, Einaudi, 1987 (Ia ed. 1771) dove l’autore racconta di due casi
curiosamente contrastanti: uno di un uomo ritenuto troppo umile per poter lanciare una
sfida, l’altro di un uomo che si riteneva troppo importante per accettarla.

96
Quello che stava accadendo in Inghilterra si ripercosse anche in

Scozia e in Irlanda. Riguardo alla Scozia nel 1730, Walter Scott,

scrisse:

...i duelli allora erano molto comuni in Scozia, poiché la gentry era

ad un tempo annoiata, arrogante, violenta e divisa in fazioni – gli

incontri, infatti, si svolgevano nello scenario più consono - la valle

profonda, selvaggia ed erbosa, cosparsa di grandi rocce e massi -,che

attraversava il parco di Holyrood e arrivava a Edimburgo154.

A differenza dello statuto di Giacomo VI del 1600, che aveva

dichiarato che qualsiasi duello privo di autorizzazione reale andasse

ritenuto un crimine capitale, anche se non veniva emessa la condanna

a morte, un secolo dopo, alla fine dell’indipendenza scozzese, un Atto

del 1696 decretò l’esilio e la confisca dei beni mobili di chiunque

fosse coinvolto in una sfida, sia che il duello si verificasse o meno.

Entrambe le leggi, tuttavia, vennero abrogate nel 1819, dimostrando

tutta la loro inadeguatezza, visto che le uccisioni per duello avevano

154
W. SCOTT, The Heart of Midlothian, cap. 11 (citato da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 133).

97
continuato senza interruzione; il problema - come affermò un

commentatore giuridico dell’epoca - stava nel fatto che

Non c’è esempio recente di condanna a morte per un’accusa del

genere se il comportamento dell’accusato è stato irreprensibile dal

punto di vista dell’onore155.

Ma al di là di quello che appariva esteriormente, cosa passava

per la mente di quanti si facevano portavoce del duello? Come

abbiamo accennato nel primo capitolo poche sono le memorie che ci

restano a riguardo, tuttavia poteva accadere che un sopravvissuto,

costretto a fuggire all’estero, e, a volte, a restarci per sempre, lasciasse

dei documenti biografici relativi alla sua vita e ai duelli combattuti; gli

scritti di Boswell, in tal senso, sono esplicativi delle contraddizioni e

delle sensazioni che un uomo provava nell’imminenza di un duello 156.

I suoi diari, infatti, ci mostrano un uomo tormentato e al tempo stesso

intimorito che, in talune circostanze, «dopo tanti giorni di tensione e

155
R. BELL, A Dictionary of the Law in Scotland, Edimburgh, 1807 – 1808, «Duelling».
156
J. BOSWELL, Vita di Samuel Johnson, Milano, Garzanti, 1982, vol. II, p. 1311 e ss. (Ia
ed. 1791, tit. orig. The Life of Samuel Johnson).

98
di agitazione fu invaso da una specie di depressione» 157. Il duello,

comunque - indipendentemente dalle riflessioni personali che poteva

suscitare - faceva parte del codice di comportamento del gentiluomo e

nessuno poteva ritenersi tale fino a quando «non aveva sentito l’odore

della polvere da sparo»158; solo chi poteva vantarsi di un antenato

caduto sul campo dell’onore veniva considerato uomo capace di

conferire un’aura di romanticismo alla propria famiglia.

In Irlanda, in particolare, in seguito alla Restaurazione operata

da Cromwell, il duello divenne una vera e propria occupazione

quotidiana tanto che il proprietario terriero irlandese venne descritto

come incosciente, gran bevitore, intemerato e cacciatore di volpi 159; lo

stereotipo dell’irlandese attaccabrighe era talmente radicato che anche

negli spettacoli di mimi è facile riconoscere una parodia del duello,

mescolata a frammenti di storia patria e di folklore 160. La situazione

157
ID., The Ominous Years, Journal 1774 – 1776, a cura di Ryskamp e Pottle, London,
1963, pp. 11 – 25.
158
C. MAXWELL, Tirant lo Blanc, Valencia, 1940, p. 21.
159
E. MACLYSAGHT, Irish Life in the Seventeenth century: After Cromwell, London, 1939,
pp. 95 – 96.
160
Per un approfondimento :A. GAILEY, Irish Folk Drama, Cork, 1969.

99
dell’India sotto la dominazione inglese fu talmente simile a quella

Irlandese che uno scrittore inglese arrivò a scrivere:

La frode scoperta, la violenza in pieno giorno, la tirannia più

crudele avevano lasciato a tempo debito il posto alla corruzione, al

peculato, al gioco, alle corse dei cavalli, alle bevute e al duello161.

In questo clima di depravazione generalizzata, il duello appariva

come uno dei mali minori, dato che, avendo come presupposto quello

di preservare la società dalla degenerazione totale, gli veniva

riconosciuta una certa forma di nobiltà. In linea generale, comunque,

l’atteggiamento ufficiale dei possedimenti europei d’oltremare mutò a

seconda dei luoghi e, soprattutto, in relazione alla maggiore o minore

facilità di controllo sulle popolazioni locali. Nelle Indie Orientali, ad

esempio, dove le popolazioni delle isole erano molto bellicose,

l’Olanda decretò la pena di morte in caso di duello, mentre a Ceylon,

una guarnigione portoghese allestì un terreno vicino al campo militare

dove era permesso battersi162. In questi territori, comunque,

161
J. CAPPER, The Presidencies of India, London, 1835, p. 467.
162
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 139.

100
l’atteggiamento lassista nei confronti del duello riguardò soprattutto le

classi popolari; nel caso, infatti, di scontri tra membri della classe

dirigente, in relazione agli effetti che questi potevano sortire, maggiori

furono i tentativi per tentare di porvi fine.

In altre zone dell’Europa del XVIII secolo il duello visse sorti

alterne: in Svezia, ad esempio, scomparve molto presto dalla scena, in

Francia, Prussia e Russia continuò a rappresentare un segnale di

vitalità, in Italia e in Spagna attraversò un periodo di decadenza;

nell’Inghilterra degli Hannover, per il massiccio ricorso a truppe

tedesche, la pratica del duello continuò ad avere fortuna. Riguardo

all’Europa Orientale, in Polonia, la nobiltà terriera numerosa,

impoverita e spericolata, ricorse spesso al duello per mantenere ad

ogni costo il proprio status privilegiato, in Russia la nuova gentry di

origine militare, fusasi ormai con la vecchia aristocrazia, adottò il

duello come espressione di una rispettabilità acquisita, e i regolamenti

adottati da Pietro il Grande (1689 – 1725), che fecero del duello un

crimine punibile con l’impiccagione, vennero inficiati dal

101
comportamento di Caterina II (1762 – 1796) che mostrò nei suoi

confronti una tendenza meno rigida163.

Nel corso del XVIII secolo, comunque, l’aristocrazia e i suoi

alleati si posero fermamente al comando dell’Europa piegando

definitivamente la resistenza delle masse; in questo clima rinnovato, il

duello rappresentò un’istituzione che difendeva e preservava la

solidarietà di classe e che accomunava tutti gli ufficiali. Il codice

d’onore arrivò a rappresentare un collante europeo internazionale che

riuscì a far sentire tutti gli aristocratici europei appartenenti ad

un’unica grande classe. Poiché la guerra e il duello andarono di pari

passo, il patriottismo divenne l’espressione dell’audacia del duellante

il quale, se non raccoglieva la sfida di uno straniero, poteva essere

disonorato; i regolamenti relativi al duello erano continuamente

modificati ma, in linea generale, veniva disapprovata l’abitudine degli

ufficiali di battersi durante le campagne militari.

163
Ibidem, p. 144.

102
Dal momento in cui, però, il duello venne considerato la legge

suprema del gentiluomo, esso iniziò ad influenzare la tattica militare,

ritardandone lo sviluppo, questo perché molti combattenti con l’animo

del duellante consideravano la guerra «come un ammasso di

combattimenti individuali, una sorta di duello allargato»164 a discapito,

naturalmente, di qualsiasi tattica. Gli strati militari delle classi alte

europee, dunque, riposero parte della loro fiducia nel carattere, ovvero

nella capacità di affrontare i colpi di fucile o le bombe, o di battersi

senza paura a duello con la sciabola e la pistola; e anche se questo tipo

di mentalità li fece restare indietro sia per preparazione che per

intelligenza, essi conquistarono «una bella fetta di mondo» 165 grazie,

anche, al duello e a quello che aveva insegnato loro.

§. 2.3 Il duello come risposta alle inquietudini personali

164
J. CONRAD, Il duello, Milano, Mursia, 1978, p. 72 (Ia ed. 1908, tit. orig. The Duel).
165
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 148.

103
Sebbene col passar del tempo le sottigliezze del punto d’onore

della “scuola” italiana fossero messe da parte, tuttavia non si fece

largo alcuna dottrina che, in sostituzione, fosse in grado di spiegare

per quale motivo era davvero giustificato battersi a duello. Il fatto che,

in linea generale, gli scontri nascessero per motivi del tutto futili,

potrebbe far pensare all’europeo medio dell’epoca come ad un uomo

che ragionava applicando gli schemi mentali di un bambino, guidati

dall’istinto e non dalla riflessione; non bisogna dimenticare, infatti,

che il duello poteva concludersi con la morte di uno dei due

contendenti, ma anche con la sua mutilazione o con l’esilio 166. A detta

del Burton, però, non era tanto il desiderio di farsi giustizia e di far

valere il proprio onore il motore primo che spingeva i nobili di

campagna europei al duello, quanto una vita vissuta per lo più tra noia

e depressione167. Nelle città le cose andavano meglio – ma sempre a

166
Interessante, in tal senso, il parallelismo proposto da Stendhal fra duello e suicidio nel
caso di un dolore lancinante provocato da un amore disprezzato e sul senso di
autodenigrazione che ne deriva, come prima causa del suicidio: «Tu ti uccidi per
vendicare il tuo onore». Cfr. STENDHAL, L’amore, Milano, Mondadori, 1990, p.125 (Ia ed.
1822, tit. orig. De l’amour).
167
BURTON, The Anatomy of Melancholy, cit., pp. 161 – 162.

104
favore del duello: la vita metropolitana, infatti, offriva molte

opportunità di offendere ed essere offesi in pubblico e, di

conseguenza, di potersi fare (o perdere) una certa reputazione. A

lungo, dunque, per molti giovani cittadini il duello offrì l’opportunità

di mostrare il proprio coraggio a sé e agli altri: per quelli che erano

certi di farla franca il duello divenne una forma di piacere, mentre per

quelli che non erano certi delle proprie abilità divenne una moda

offendere persone paurose e non disposte a vendicarsi.

In Irlanda e in Scozia, dove durarono più a lungo i rapporti

feudali e un’offesa fatta a una persona del seguito era ritenuta fatta al

suo superiore, si arrivò addirittura a ricorrere al duello per difendere i

propri cani: nel 1803, ad esempio, il capitano Macnamara uccise il

tenente – colonnello Montgomery per un regolamento di conti

suscitato da una zuffa fra i loro cani a Hyde Park 168, mentre, in

Francia, due ufficiali della Guardia, dopo la morte di Luigi XIV,

168
R. BALDICK, The Duel: a History of Duelling, London, 1965, pp. 97 – 98.

105
arrivarono a battersi in pieno giorno su un quai parigino per un

gatto169.

Il fatto che l’alcolismo fosse un’abitudine piuttosto diffusa

contribuì non poco alla fortuna del duello; l’ubriachezza, infatti,

rappresentava lo sfogo autorizzato del disagio provocato dai modi

artificiali e ampollosi a cui la classe degli aristocratici era sottoposta.

L’alcool, da parte sua, creò una sorta di finto cameratismo e, come il

duello, acquisì ben presto un suo rituale170; anche il gioco d’azzardo,

unito all’alcool, offrì agli aristocratici numerose occasioni per battersi,

i soldi perduti al gioco, infatti, dovevano essere saldati perché

diventano debiti d’onore. Le contese, però, potevano anche insorgere

per diffamazione, in quanto la legge non la reprimeva in modo

adeguato e, spesso, si preferiva ricorrere al duello piuttosto che alla

legge perché era diffusa l’opinione che un uomo dovesse difendere da

solo il proprio onore.

169
A. STEINMETZ, op. cit., vol. I, p. 250.
170
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 155.

106
Sebbene il duello avesse molti estimatori tra i civili, certo è che

tra gli ufficiali e i militari in genere esso continuò a riscuotere il più

largo successo. Un caso militare che fece molto scalpore si verificò in

Irlanda del Nord nel 1808: all’epoca, dopo una lite svoltasi alla mensa

ufficiali, il maggiore Campbell si batté con l’avversario, Boyd, e lo

ferì a morte. Subito dopo l’uomo si nascose a Chelsea, prima di

consegnarsi ed essere rispedito in Irlanda dove sarebbe stato

condannato da un severo giudice presbiteriano. Per salvarlo furono

fatti molti sforzi e Lord Moira scrisse addirittura una lettera per

presentare il caso al Principe reggente, dove elogiava Campbell per

aver servito onorevolmente l’esercito per ben ventisette lunghi anni. Il

Gabinetto, tuttavia, sentenziò l’assoluta irregolarità del duello,

avvenuto di notte, a sette passi di distanza da Boyd che non aveva

avuto il tempo di trovarsi un secondo, né di sistemare le proprie cose.

A detta della corte, inoltre, il gesto del maggiore, in un periodo in cui

107
il paese era in guerra c e l’Irlanda travagliata dai disordini era un gesto

del tutto irresponsabile e, dunque, punibile con la morte171.

Anche l’ambiente della politica fornì un terreno fertile allo

scontro e in Irlanda, dove le elezioni prevedevano «duelli fra

gentiluomini e zuffe fra i contadini»172, si fece portavoce di questa

nuova inclinazione che venne subito esportata in Inghilterra.

Naturalmente non bisogna dimenticare i duelli per amore o per

difendere onore e reputazione delle proprie donne173: la maggiore

libertà delle donne europee, infatti, offrì agli uomini la possibilità di

avere compagne più intelligenti, come pure quella di godere di un

certo numero di amanti, ma anche di doversi difendere dalla condotta

libertina della propria moglie I mariti, poi, potevano dover ricorrere al

duello anche per difendere le proprie moglie da eventuali diffamazioni

171
Il racconto è riportato da Kiernan, Ibidem, p. 159.
172
C. MAXWELL, op. cit., p. 49.
173
Ricordiamo che a proposito dell’onore delle donne nel Secondo Dialogo tra Orazio e
Cleomene di Mandeville, Orazio afferma che «l’onore delle donne, lo sapete, consiste
nella castità, una vera virtù quale la intendete, che non può essere praticata senza evidente
abnegazione». Cfr. B. MANDEVILLE, Ricerca sull’origine dell’onore e sull’utilità del
cristianesimo in guerra, a cura di A. Branchi, La Nuova Italia, Firenze, 1998, p. 67.

108
e così pure i padri e i parenti delle donne nubili potevano trovarsi

implicati in un duello per lo stesso motivo174.

Non tutti, però, erano pronti a battersi per le proprie consorti e il

conte Gramont, che conosceva gli ambienti dell’alta società inglese,

sostenne che

Ogni uomo che crede che il suo onore dipenda da quello della

moglie è un pazzo, che tormenta se stesso e conduce la moglie alla

disperazione.- Riferendosi poi ai paesi europei aggiunse che – Gli

spagnoli tirannizzano le mogli e le rinchiudono, gli italiani lo fanno

ancora di più, ma con l’intima convinzione che la difesa migliore sia

rappresentata dal coltello di un sicario. Solo le nazioni cortesi e

tolleranti in cui i mariti non danno troppa pena possono godersi la

pace di una vita tranquilla175.

A differenza dell’Inghilterra, dove il divorzio in caso di

tradimento da parte della moglie fu concesso molto presto – e dove si

arrivò, addirittura, a far pagare all’amante un risarcimento al marito

offeso, fatto che contribuì al precoce abbandono del duello - in Italia,

174
V. G. KIERNAN, op. cit., pp. 163 – 165.
175
COMTE DE GRAMONT, Mémoirs, raccolta da A. Hamilton, London, 1902, p. 165, cap. 6.

109
per la presenza della Chiesa, la situazione era disperata e anche in

Francia non era delle migliori; in questi due paesi, quindi, il ricorso al

duello assunse un carattere di maggiore necessità.

Da parte loro le donne, sebbene il duello rappresentasse

un’espressione del profondo maschilismo radicato in Europa, furono

per lo più lusingate dall’idea che due uomini si battessero per loro;

non mancarono nemmeno i casi in cui le donne si facessero istigatrici

vere e proprie di duelli non tanto per motivi legati all’amore quanto

per risentimenti nutriti magari contro qualcuno che le aveva rifiutate.

Solo poche donne impugnarono personalmente le armi e per lo più per

combattere tra loro: le donne inglesi, in particolari, furono viste

battersi per storie di soldi con le spade o le mazze ferrare, mentre di

quelle francesi del XVII secolo si raccontano soprattutto episodi

romantici. Le donne più audaci furono quelle legate al mondo

dell’arte: si racconta, ad esempio, di due attrici francesi che si

batterono in teatro con le spade e di altre due con la pistola e si dice,

110
pure, che Luigi XIV avesse accondisceso a quel duello per puro

divertimento176.

Così come aveva contagiato le donne, la mania del duello si

estese a tutte le classi sociali dove assunse modalità e caratteristiche

proprie; si racconta, ad esempio di duelli con coltelli e, addirittura, di

incontri di pugilato dove era richiesta la presenza dei «secondi». Gli

incolti, da parte loro, dovevano aver sviluppato quella passione

soprattutto grazie agli spettacoli dove si battevano lottatori e

spadaccini professionisti che usavano spade dalle lame non troppo

affilate per correre eccessivi rischi, ma abbastanza pericolose per

procurarsi qualche graffio e far spillare scenograficamente del

sangue177.

Comunque sia, qualsiasi fossero le modalità e le motivazioni,

chiunque fossero i protagonisti, il duello, per tutto il XVII secolo offrì

l’opportunità al gentiluomo come al servitore europeo di salvare il

proprio onore, quello della propria donna e, in alcuni casi, di

176
N. A. BENNETTON, op. cit., p. 107.
177
J. BRAND, Popular Antiquities of Great Britain, London, 1854, vol. II, p. 400.

111
esprimere quel malumore che ormai serpeggiava tra tutte le classi

sociali. Per farlo, però, dovette adeguarsi ad un rigido manuale di

comportamento e, come fece affermare Mandeville al suo personaggio

Cleomene:

Quando il duellare divenne una moda, il punto d’onore divenne

ovviamente un argomento usuale di conversazione tra gli uomini di ceto

elevato. In questo modo le regole per le dispute e le formalità di

comportamento, che dapprima erano molto indefinite e precarie,

cominciarono a essere meglio comprese e perfezionate

progressivamente, finché, all’inizio del secolo scorso, il senso

dell’onore era arrivato a un tale grado di finitezza, in tutta Europa e

specialmente in Francia, che il semplice guardare un uomo era spesso

ritenuto un affronto. La pratica del duello, con ciò, divenne così diffusa

in quel regno, che gli stessi giudici ritenevano disonorevole rifiutare

una sfida178.

Un fatto, dunque, era orami inequivocabile: il duello si era

talmente radicato e connesso al concetto di onore che la difficoltà

178
B. MANDEVILLE, op. cit., p. 77.

112
maggiore che incontrarono i regnanti fu quella di abolire tale pratica

di combattimento senza toccare il concetto d’onore stesso.

113
CAPITOLO III

IL DUELLO COME ESPRESSIONE

DI ONORE E NOBILTÀ

§. 3.1 Il duello tra procedura ed etichetta

Il duello, essendo prerogativa delle classi alte, si caratterizzò per

un raffinamento e perfezionamento delle maniere che andò

accentuandosi via via che le élite perdevano terreno e si trovavano

incalzate dai nuovi nobili. A tale proposito, particolarmente incisive

paiono le riflessioni di St. Simon, il biografo di Corte di Luigi XIV, il

quale – volendo sottolineare l’importanza che assunsero i dettagli

dell’eti-chetta quando il potere reale di un’aristocrazia stava venendo

meno – sostenne che in «una tradizione agli sgoccioli» tutto «è

congelato da una perfezione e da un’alterigia rituali»179.

179
C. BRINTON, A History of Western Morals, London, 1959, p. 283.

114
Anche nei casi in cui si faceva ricorso ad un duello per motivi

del tutto futili, esso veniva inscenato con una formalità che molto

aveva in comune con la ritualità religiosa; il duello, d'altra parte, era

espressione della filosofia della classe dominante e per questo motivo

aveva il potere di nobiliare anche il più rozzo dei duellanti. Non

doveva stupire, dunque, il grande fascino esercitato sulle classi

popolari che, facendovi ricorso, potevano condividere, anche se solo

temporaneamente, quei codici di comportamento che da sempre erano

stati appannaggio della grande nobiltà feudale. Tuttavia, non bastava

certo sfidare chicchessia al duello per essere ritenuto di diritto un

gentiluomo e, anzi, gli aristocratici – proprio per marcare la differenza

tra loro e la rozza plebaglia – estremizzarono modi e manierismi del

duello al fine di distinguersi da quanti volevano imitarli. Il mondo

esterno fu visto come un’anticultura, cioè come il luogo dell’erroneo,

del falso, di ciò che era diverso e

115
il fatto che esso non sia portatore di significati, non implica che sia

vuoto o indistinto; piuttosto è il regno della materia, dunque di ciò che

esiste ma che non ha valore, non ha senso, non “parla” nella medesima

langue del mondo interno. [... ] È per questa ragione che il nobile, che

pure senza macchiarsi faceva uccidere a bastonate il servo ribelle, non

poteva accettare in nessun caso il duello con un plebeo, pena la perdita

del proprio onore. Nel primo caso il contatto avveniva su un piano non

signifcativo, e dunque senza sconfinamento: non è che il nobile si

“abbassasse”, semplicemente compiva un’azione non contemplata dal

codice nei confronti di un’entità non riconosciuta dallo stesso. Nel

secondo caso, invece, si sarebbe permesso all’altro di svolgere, sia pure

momentaneamente, una funzione propria del mondo interno e in esso

dotata di elevata segnicità, sconvolgendo la rigida contrapposizione

culturale e creando un precedente pericolosamente eversivo180.

La pratica del duello, dunque, si raffinò a tal punto che, come

afferma Kiernan, «si potrebbe perfino arrivare a sostenere che [...],

proprio perché così educatamente condotta, svolgesse un’azione

educativa e civilizzatrice nei confronti del complesso dei

comportamenti sociali»181. Stendhal, da parte sua, arrivò a sostenere

che nei paesi dove il duello era di moda erano anche più diffuse le
180
F. ERSPAMER, op. cit., p. 41.
181
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 175.

116
buone maniere e la «gentry più educata e cordiale, i ceti medi più

civili e rispettosi» e i membri delle classi povere «molto più buoni e

trattabili»182.

Il duello che si era venuto affermando nel corso del XVII secolo

vedeva ormai contrapposti due uomini, soli l’uno di fronte all’altro,

costretti a rispettare tutta una serie di regole per non incappare nel

giudizio – nel caso lo scontro si fosse risolto con la morte di uno dei

due contendenti – di omicidio preterintenzionale.

Il duello, d’altra parte, affondando le proprie origini nel passato

medioevale ma continuando a riaffermare la propria longevità in un

mondo ormai distante sia temporalmente che culturalmente da quello,

si trovò a dover conciliare un codice d’onore di derivazione feudale

con la legge borghese (e protestante) della responsabilità individuale.

Per tale motivo, a testimonianza della correttezza della propria

condotta, il duellante portava con sé un secondo che, oltre a

rappresentare l’assistente dell’avversario, era chiamato a certificare

182
STENDHAL, Vita di Napoleone, Milano, Bompiani, 1977, p. 6 (tit. orig. Vie de
Napoleon, 1837).

117
che tutto si svolgesse secondo l’adesione agli standard di

comportamento imposti dalla propria classe sociale. Uno dei primi

doveri dei secondi, infatti, era proprio quello di garantire la correttezza

della procedura, verificando che entrambi i contendenti avessero le

stesse opportunità, mettendosi d’accordo sull’ora, il luogo, l’arma e le

modalità e assicurandosi che nessuno avesse dei vantaggi o

commettesse delle irregolarità: le spade dovevano essere della stessa

lunghezza, le pistole essere caricate allo stesso modo, il sole non

doveva ferire la vista di nessuno dei due 183; in alcuni casi, inoltre,

qualora i duellanti fossero personalità di spicco, ai secondi poteva

anche essere richiesto di stilare un racconto del duello. I secondi, poi,

avevano un ruolo tutt’altro che marginale nei casi in cui il duello si

fosse svolto in modo clandestino; essi, infatti, in qualità di testimoni

accreditati dell’avvenuto incontro, contribuivano a diffondere quanto

accaduto, svolgendo una funzione non secondaria nel mantenimento

della reputazione del proprio “primo”. Per certi aspetti, i secondi,

183
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 177.

118
potevano essere paragonati a degli avvocati che, anche durante lo

scontro, si prendevano delle pause per discutere tra loro, offrendo ai

duellanti la possibilità di riflettere e di riposare, oltre a ciò,

annoveravano tra i propri doveri quello di esaminare i fatti e di

proporre soluzioni alternative allo scontro, compatibili, ovviamente,

con la salvaguardia di entrambe le parti coinvolte. Poiché, inoltre, non

mancarono neppure i casi di secondi che, desiderosi di assistere allo

scontro, incitarono i primi a combattere anche per le ragioni più

assurde, era raccomandabile essere cauti nella loro scelta184.

Riguardo alle armi, va detto che non vi era una grande varietà

tra cui scegliere, dato che l’arma doveva essere sempre «onorevole»;

esclusi l’accetta del falegname perché troppo prosaica, l’arco perché

impediva ai duellanti di vedersi in viso, la spada, nella forma dello

184
Non tutti, naturalmente, erano disposti a battersi a duello e molti erano ben disposti a
tirarsi fuori da una situazione complicata, arrivando ad accogliere «le esili scuse
dell’altro» (Cfr. C. TENNANT, The Radical Laird: A Biography of George Kinloch 1775 –
1833, Kineton, 1970, p. 36). Si racconta anche di casi in cui gli stessi avversari avevano
concordato in precedenza di non mirare dritto, e di altri dove uno dei due, non
mantenendo fede all’accordo, puntò l’avversario con sgradevole precisione (Cfr. J.
GEDDES, Reflections on Duelling, and of the Most Effectual Means For Preventing It,
Edimburgh, 1790, p. 4).

119
stocco, si affermò come l’arma principale dei duelli. Vista, però, la

sua poca maneggevolezza, la scherma si trasformò in qualcosa di

artificiale e complesso, come il codice d’onore cui faceva da

corollario, e i pedanti arrivarono addirittura a tracciarne diagrammi

matematici su grandi e complicate enciclopedie di scarsa o nessuna

utilità nella pratica del combattimento. Col passare del tempo, però, lo

stocco si modificò, soprattutto nel peso, e alleggerendosi divenne

«l’arma esile e leggera che oggi viene riconosciuta par excellence

come lo spadino»185 e come arma della scherma moderna.

La scherma, da parte sua, proprio perché strettamente collegata

al duello fu uno degli sport più praticati dalla nobiltà; per questo

motivo molti borghesi, sperando praticandola di assumere il

portamento dei gentiluomini, vi si appassionarono. Di contropartita, il

fatto che la scherma fosse divenuta un’arte tanto complessa, dissuase

molti novellini a mettersi in situazioni risolvibili in cui certamente

avrebbero perso; l’esagerata raffinatezza di questo sport, però, facilitò

185
A. HUTTON, The Sword and the Centuries, London, 1901, p. 232.

120
in seguito la sostituzione della spada con la pistola anche se

quest’ultima venne a lungo ritenuta uno strumento barbaro186.

Sebbene le pistole fossero già state provate dai tempi di

Brantôme, esse non ebbero diffusione in quanto considerate troppo

imprecise e pericolose per coloro che si trovavano nelle vicinanze del

duello187: la povere da sparo, dunque, subì il pregiudizio aristocratico

di non rispettare l’ordine sociale e di uccidere indiscriminatamente

chiunque. Tuttavia, poiché l’Europa si andava avviando vero l’era

industriale, la pistola, più di qualsiasi arma affilata, era destinata a

diventare simbolo della nascente modernità, una modernità in cui

continuò a lungo a sopravvivere il duello che, sebbene messo al bando

dalla quasi totalità dei paesi, rappresentò uno dei motivi principali per

la produzione e la commercializzate delle pistole stesse. Possedere un

186
La maggior parte dei civili francesi la accettò solo verso la dine del XVIII secolo, gli
ufficiali dell’esercito francese e di altri eserciti europei, sempre più conservatori,
continuarono a preferire l’acciaio della sciabola e della spada; in Russia, diversamente,
dove mancava una tradizione aristocratica collegata alle armi, i racconti di duelli con la
spada non furono frequenti. Cfr. T. SMOLLET, Travels Through France and Italy, London,
1766, p. 140.
187
BRANTOME, op. cit., pp. 62 – 63.

121
bel paio di pistole, magari in un astuccio ben fatto, cominciò a essere

considerato un segno di distinzione e nelle famiglie aristocratiche le

pistole iniziarono ad entrare nei lasciti ereditari anche se questo

comportava – in caso di duello da parte dell’erede - il possedere delle

armi ormai obsolete.

Col passare del tempo, comunque, e col perfezionarsi della

tecnologia applicata alle armi, la maggior parte dei duelli si ispirò

soprattutto al desiderio di ottenere soddisfazione, più che a quello di

uccidere o mutilare l’avversario e, infatti, nonostante le armi utilizzate

fossero via via più sofisticate e anche più pericolose, pochissimi

furono i duelli che si conclusero con la morte di uno dei due

contendenti. La pistola, secondo Smollett, aveva rappresentato una

vera salvezza188 in quanto tutti erano in grado, impugnandola, di poter

duellare; coloro i quali erano particolarmente determinati a non

sbagliare il colpo potevano inoltre scontrarsi secondo la formula del

duello au mouchoir, ovvero disponendosi ad una distanza tale da poter

188
T. SMOLLETT, op. cit., p. 140.

122
entrambi reggere gli angoli opposti dello stesso fazzoletto. Scelta che

equivaleva ad un vero e proprio suicidio.

Le pistole, comunque, nonostante i progressi, erano ancora armi

molto imprecise: per colpire si doveva mirare in basso, tenere in

considerazione il rinculo, e sparare appena fosse stato dato il via. A

differenza della spada, però, che richiedeva ore di allenamento per far

sì che un duellante potesse ritenersi un buon spadaccino, la rivoltella

livellava le capacità e le possibilità di vincita e, in qualche modo,

affidava alla sorte la vittoria o la sconfitta di uno dei due duellanti.

L’assunzione delle pistole, inoltre, rese possibile la scesa in campo

anche di uomini non più giovani e di borghesi non avvezzi a praticare

sport elitari come quello, appunto, dello scherma189.

Nel suo periodo classico, comunque, il duello, a differenza di

quello giudiziario organizzato nel Medioevo dalle autorità e di quello

moderno caratterizzato da una certa anarchia procedurale, si

riappropriò di tutta la sua formalità e ne riversò la responsabilità sui

189
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 185.

123
secondi. Il passaggio dalla spada alla polvere da sparo favorì tale

cambiamento in quanto i gentiluomini, per lo più, non portavano con

sé alcuna pistola e, dunque, in caso di scontro era necessario che

qualcuno per loro si occupasse di procurargliene una. Le rapide

trasformazioni sociali e culturali, tuttavia, fecero sì che non tutti

coloro che si trovarono coinvolti in un duello avessero un secondo a

cui far riferimento e per tale motivo cominciarono a diffondersi dei

manuali contenenti tutte le informazioni utili per affrontare

un’eventualità del genere190.

In linea generale, la codificazione del duello a livello europeo

prese forma parallelamente allo sviluppo delle leggi e delle

convenzioni internazionali: l’etichetta del duello, infatti, e le

convenzioni che regolavano la guerra moderna, contraddistinsero i

corpi degli ufficiali europei, uniti da una certa forma di solidarietà di

classe che oltrepassava i confini nazionali. E così, come le

190
In Irlanda venne pubblicato, intorno al 1777, un codice conosciuto come «I ventisei
comandamenti» compilato dopo aver consultato i regolamenti di diversi paesi stranieri.
Ibidem, p. 186.

124
dichiarazioni di guerra venivano consegnate da un araldo, era il

secondo a recapitare una sfida: tra i tanti compiti del secondo vi era

quello di assicurare la presenza di un medico il quale, in generale,

accettava l’invito pur scegliendo di non assistere personalmente al

duello, onde evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento penale; a

differenza dei medici, i sacerdoti non accettarono mai di presenziare

ad un duello, visto che tutte le chiese lo condannavano

categoricamente.

In ogni caso, quando i duelli erano decisi, avevano luogo quasi

subito: l’alba, generalmente, era il momento prescelto, soprattutto

perché c’era poca gente in giro; i preparativi, a differenza dello

scontro che poteva risolversi in pochi minuti, richiedevano qualche

indugio, se non altro perché i secondi dovevano concordare quale

dovesse essere il segnale del via, oppure perché dovevano decidere chi

dovesse sparare per primo. Su questo punto potevano esserci delle

varianti come quella per cui i due si mettevano schiena contro schiena,

camminavano in direzioni opposte fino a quando, al segnale

125
convenuto, si voltavano e sparavano191. La distanza tra i duellanti

poteva, in alcuni casi, diventare motivo di controversia: la distanza

canonica era di dodici passi, e un passo equivaleva circa a settantasei

centimetri192, se misurato sul movimento di una gamba sola, o a un

metro e mezzo, se misurato sul movimento di entrambe; in questo

caso i dodici passi equivalevano a diciotto metri, ossia circa la

distanza di un campo da cricket e, data l’inesperienza di molti

duellanti con le armi e la poca precisione di queste ultime, la

possibilità che i colpi andassero a segno era molto bassa. La durata del

duello dipendeva dalla decisione dei secondi che potevano essere

contrari o meno al fatto di far riprovare i duellanti, nel caso il primo

tentativo fosse andato a buca; la procedura prevedeva due tiri, ma un

secondo poteva tirar via il suo uomo dal terreno e non permettergli di

andare oltre.

Certo è che la sostituzione delle pistole alle spade cambiò

profondamente non solo la dinamica del duello ma anche lo stato

191
Ibidem, p. 188.
192
A. BOSQUETT, op. cit., note, vol. I.

126
d’animo del duellante: prima, infatti, quando lo scontro era affidato al

combattimento tramite le spade, i contendenti sapevano che il risultato

dello scontro si legava alle loro capacità, con l’avvento della pistola,

invece, tutto sembrò essere affidato al destino e il duellante non

poteva che provare una profondo senso di solitudine quando, all’alba,

si trovava puntata contro la fredda canna di un’arma impersonale.

Oltre a ciò, va ricordato che l’etichetta del gentiluomo imponeva ai

“primi” compostezza e disinvoltura nel comportamento:

l’imperturbabilità, infatti, era una dote richiesta al gentiluomo che

voleva emergere dalla massa. Tra i tanti atteggiamenti che venivano

ritenuti appannaggio di un vero signore, vi era quello di difendere il

proprio avversario, a duello terminato, da eventuali procedimenti

legali; d’altra parte, essendo il duello una sorta di cospirazione contro

la legge, il silenzio era praticamente obbligato e, comunque, richiesto

dall’etichetta. Questa forma di omertà, di fatto, era sinonimo che i

duellanti facessero parte di una stessa grande famiglia che non gradiva

le interferenza di chicchessia. Come scrive Kiernan,

127
L’uomo moribondo chiedeva perdono al Cielo, ma allo stesso tempo

porgeva l’ultimo omaggio alla classe cui era fiero di appartenere, e al

codice d’onore che era il suo pane quotidiano193.

Così come era avvenuto per le tecniche del duello, che aveva

visto la sostituzione delle pistole alle spade, anche il concetto di onore

subì una profonda trasformazione nel corso del Settecento;

l’evoluzione politica ed economica, infatti, fu foriera di cambiamenti

sociali e psicologici e gli uomini, aristocratici o borghesi che fossero,

per quanto cercassero di aggrapparsi ad un passato ormai in

dissoluzione non poterono evitare di fare i conti con il futuro e con

l’anacronismo di certi loro comportamenti.

§. 3.2 L’onore “stereotipato”

193
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 193.

128
In tutta Europa l’aristocrazia stava ormai da tempo perdendo

prestigio e potere; i membri sopravvissuti di una classe che, tuttavia,

continuava a crescere, soprattutto in alcune zone come l’Inghilterra, si

trovarono così costretti a fare i conti con l’invecchiamento della

società a cui facevano riferimento e a dover dare credibilità alle

proprie azioni. Per fare questo fu loro necessario rifarsi al passato

feudale, un passato che offriva indicazioni chiare su quali fossero i

comportamenti e le forme da adottare per continuare a dare, almeno

nell’apparenza, un segno di solidità. Se durante il Medioevo ogni

gentiluomo e ogni gentildonna, per il solo fatto di frequentare certi

ambienti e di riconoscersi in una cultura, era costretto ad assumere nel

linguaggio (e nella mentalità) numerose formule proprie del codice

d’onore, finendo con l’utilizzarle, con intenti di espressività e di

originalità, nel XVII secolo quelle formule e quegli atteggiamenti, che

continuavano ad avere un significato ad esempio nel contesto

letterario, non erano più in uso nelle principali corti e negli ambienti

129
più colpi e vivi, e dunque non era più giustificata una loro

utilizzazione194.

Se limitatamente all’ambito letterario, sul nascere del

Settecento, i libri sul duello erano ancora in circolazione, letti quanto

prima e ricercati come non mai195; man mano che il Settecento

maturava quella scienza, così poco illuministica, necessariamente

entrò in crisi196, crisi registrata da Apostolo Zeno che affermò

194
F. ERSPAMER, La biblioteca di Don Ferrante, cit., p. 17.
195
A tale proposito si legga la testimonianza di un contemporaneo: «Questi sono i famosi
maestri, riputati enciclopedie di sapere, autori di que’ celebrati volumi che tanto si
trovano lineati, postillati e trascritti, e che da’ librai son tenuti a parte come preziose
gioie; non certo a torto, poiché in tanto disertamento de’ libri si sono questi in tal credito
mantenuti che niun degli antichi comprasi a poco prezzo. A due zecchini va l’Urrea, il
Fausto a tre; altrettanto si è veduto vendere la Faustina, libretto di poche carte; e secondo
i diversi paesi, dove più e dove meno, quasi d’ognun di questi facilmente si tratta a
doppie... Dell’opera del Bernardi quattro doppie si stimano modesto prezzo, ed altrettanto
è stata valutata una edizion dell’Ariosto, sol per poche righe che in alcuni luoghi vi si
trovano con il titolo di Pareri in duello». Ibidem, p. 19.
196
Questi testi, tuttavia, torneranno in auge nel corso dell’Ottocento ad opera di quello
spirito romantico impegnato a riesumare i fantasmi della civiltà medioevale e cercare di
adattarne i valori cavalleresco – cortesi alla nuova epopea nazionale e borghese. Il più
classico esempio di questa tendenza fu l’opera di Walter Scott, non a caso un profondo
conoscitore dell’epica cinquecentesca italiana. Sulla scia del romanziere scozzese, invece,
si posero presto numerosi scrittori nostrani come Giovan Battista Bazzoni e Tommaso
Grossi per fare alcuni nomi, ma i risultati più persuasivi furono raggiunti dall’Ettore
Fieramosca (1833) di massimo D’Azeglio, il cui precipuo scopo, lo notò De Sanctis, fu
per l’appunto «presentare agl’Italiani una Italia militarmente fiduciosa in se stessa». Cfr.
F. DE SANCTIS, La scuola cattolico – liberale e il romanticismo a Napoli, a cura di C.

130
Grazie a Dio oggidì sono que’ libri sì fattamente decaduti in

disprezzo che nessuno più li prende per mano, e a grande stento si

vendono, se pur si vendono, per miserabile prezzo di pochi soldi,

divenuti rifiuto dei gabinetti e inutile ingombramento delle botteghe197.

Va detto, però, che questo passato feudale era, di fatto,

conosciuto da pochi in quanto solo una minima parte degli

aristocratici moderni discendeva dalla cavalleria medioevale di cui si

atteggiavano a eredi; il duello non era altro che una pratica presa in

prestito per rendere più reale quella che in effetti non era altro che una

finzione. L’aristocrazia, d’altra parte, amava pensare a se stessa come

ad una classe nobile, coraggiosa, generosa, con uno spiccato senso del

dovere, e per nulla attratta dalla volgare ricerca della ricchezza 198 e il

duello non poteva che contribuire a rafforzare la convinzione che

voleva il nobile aristocratico lasciato solo con se stesso ad affrontare

dignitosamente il proprio destino. Prima che il duello venisse

Muscetta e G. Candeloro, Torino, s.e., 1953, p. 322.


197
G. FONTANINI, Biblioteca dell’eloquenza italiana, con le annotazioni di A. Zeno,
Venezia, 1753, vol. II, p. 361.
198
W. JAMES, The Varieties of Religious Experience, New York, 1902, p. 313.

131
definitivamente bollato come ridicolo o criminale dall’opinione

pubblica, esso fu l’emblema di una vita nobile e affascinante a cui la

nascente borghesia guardava con romantica invidia.

Il fatto che il duello fosse ritenuto illegale contribuì a far

ritenere i contendenti come uomini che si ponevano al di sopra della

legge e che consideravano il rispetto di sé come qualcosa che

oltrepassava qualsiasi decreto civile; i duellanti, in altre parole, erano

dei fuorilegge, che autonomamente decidevano di astrarsi da qualsiasi

patto sociale accettato dai comuni mortali e, così facendo,

rimarcavano la propria appartenenza ad una classe superiore in grado

di farsi le proprie leggi199.

Nonostante il feudalesimo e tutti i suoi orpelli da guerra fossero

ormai niente più che un ricordo, l’aristocrazia moderna continuò a

farvi riferimento con tutto ciò che questo comportava: ovvero il

rischio della vita o di subire delle mutilazioni. I nobili, d’altra parte,

per vincere la noia e per dover dimostrare spregio per la vita, amavano

199
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 196.

132
anche cacciare e sfidarsi a corse di cavalli campestri come pure

giocare d’azzardo200. Ben presto, anzi, la passione del gioco si andò

sostituendo a quella per i duelli, e così se gli antenati dei nobili

moderni si erano sfidati sui campi di battaglia, i giovani aristocratici lo

facevano su un giro di carte; tra gli altri passatempi vi era quello

dell’alcool che poteva trasformarsi, ancora una volta, in un’aperta

competizione: finita la caccia, infatti, non mancava occasione per cui

il nobile, trovandosi davanti ad una bottiglia, fosse costretto a bere

fino allo sfinimento per non poter dare l’impressione di indietreggiare

di fronte nulla.

In qualsiasi situazione, comunque, fosse durante un duello, al

tavolo da gioco o davanti ad una bottiglia, le classi alte erano sorrette

da un codice d’onore201 che forniva loro sicurezza anche se ormai esso


200
La figura del gentiluomo di campagna che si rovinava al tappeto verde era un tema
ricorrente della letteratura satirica inglese.
201
Il concetto di onore deriva, secondo lo studioso del pensiero greco Werner Jaeger, da
timè uno dei concetti più importanti dell’aristocrazia omerica, affiancato all’aretè, che
sottolinea che sono proprio alcune espressioni aristoteliche ad essere poste dai trattatisti
del XVI secolo a fondamento dei loro sistemi e delle loro casistiche: «Le persone evolute
e attive ripongono invece il bene nell’onore»; «Tale è l’onore, il quale è infatti il più
grande dei beni esteriori»; «L’onore è il premio della virtù»; «La ricompensa della virtù e
del beneficio è l’onore»; «L’onore è il segno di una buona fama di benefattore». Riportati

133
si risolveva in un’adesione a regole di condotta stereotipate. Come

scrisse Carlyle, infatti,

lo spirito spontaneo e ubiquitario del valore cavalleresco va

riducendosi sempre più e si mostra oramai solo negli inariditi punti

d’onore202.

I confini, però, entro i quali da sempre era stato racchiuso il

concetto d’onore erano alquanto indefiniti e, così, ad esempio, se era

disonorevole permettere che le proprie mogli o figlie venissero

sedotte, lo era molto meno sedurre quelle di un altro; la morale alla

quale aderiva il gentiluomo, dunque, era una morale per certi aspetti

mutilata in quanto affermatasi all’interno dei limiti di una sola classe e

del suo narcisismo. I duelli, pertanto, molte volte, più che punire il

malfattore, erano combattuti per dimostrare la prontezza nel

rispondere alle offese; ciò che si otteneva, pertanto, non era la

giustizia, quanto il rispetto di una parte della società.

da F. ERSPAMER, op. cit., p. 27.


202
T. CARLYLE, «Characteristics», 1831, in Scottish Miscellany, p. 192.

134
Il duello, senza dubbio, esercitando sull’individuo delle classi

aristocratiche una forma di costrizione sociale, rientrava in quella fitta

schiera di imperativi, che distinguevano un individuo qualsiasi da un

gentiluomo: declinare una sfida, quindi, significava «affrontare il

terribile marchio della disapprovazione della società»203. Quanti di

quelli che, per motivi religiosi o semplicemente per paura, rifiutarono

di battersi se ne dovettero pentire e come scrisse Morley:

Considerate la banalità della vita, della conversazione e degli scopi

della maggior parte di coloro la cui approvazione dovrebbe essere

ritenuta un premio [...] il potere che i pregiudizi, mai toccati dalla luce

della razionalità, esercitano su di loro [...] mai rinfrancati dal benché

minimo lievito di un pensiero diverso204.

Il duello, in ogni caso, continuò a lungo a rappresentare un

motivo di forza per il principio aristocratico: i nobili, dunque, se

volevano sopravvivere come corpo sociale in un’Europa che marciava

sempre più rapidamente verso la modernità, avevano bisogno della

203
A. BOSQUETT, op. cit., p. 23.
204
J. MORLEY, On Comprmise, London, 1933, p. 119 (Ia ed. 1874).

135
fedeltà dei loro seguiti; il duello non solo garantiva il rispetto da parte

dei loro sottomessi ma anche quello dei loro pari. Quando due

gentiluomini si scontravano a duello, quindi, non combattevano solo

per la salvaguardia del proprio onore ma per quello di tutta la loro

classe. Come scrive Kiernan:

il duello poneva la gentry al di sopra di tutti gli altri, poiché

dimostrava un coraggio e una risolutezza che gli altri non potevano

emulare e un codice di condotta di cui nessun’altra classe era

capace205.

I duellanti, in altre parole, appartenevano ormai a un ordine

cavalleresco senza nome, fedele a ideali incomprensibili al mondo che

andava avanzando, dell’egoismo e del materialismo. Ciò che

importava, però, sia che i duellanti vincessero o perdessero, era che,

condividendo lo stesso credo, rafforzassero un mondo ormai

inesistente; per questo era necessario che nessuno desse mostra di

cedimento perché ciò avrebbe minato a fondo tutto il corpo sociale. «Il

205
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 203.

136
distintivo supremo dell’aristocrazia», scrive Kiernan, «era il diritto dei

gentiluomini di uccidersi fra di loro»206; e il fatto che i membri

dell’élite si battessero solo tra di loro, faceva parte del tessuto

psicologico di una classe dove tensioni e antipatie si mescolavano con

solidarietà e fratellanza. Il duello, sostanzialmente, faceva emergere

quelle stesse di ostilità che erano state alla base, ad esempio, della

guerra delle Due Rose e di tutte quelle guerre feudali che avevano

dato l’opportunità all’aristocrazia di sfogare lo spirito di ribellione

latente contro un altro bersaglio (del quale riconoscevano il valore).

La pressione «morale», imponendo all’élite nobiliare di battersi

a duello, anche contro la volontà di uno o di entrambi i contendenti, se

da un lato diventava strumento per eliminare i propri membri,

dall’altro rappresentava un forte collante che teneva uniti i suoi

componenti. A detta di Kiernan ciò che spingeva questa classe sociale

ad accettare le assurde regole del duello era una sorta di senso di colpa

nato dalla consapevolezza, non ammessa, di sfruttare i contadini, gli

206
Ibidem, p. 204.

137
schiavi delle piantagioni delle Indie Occidentali, le donne

abbandonate alla miseria o alla prostituzione207. Il duello, in altre

parole, avrebbe rappresentato una forma di espiazione.

Ma il duello, oltre ad essere espressione di un’autocratica

silenziosa, rispondeva anche ad un’esigenza di autoesaltazione: molti

giovani nobili, infatti, erano soliti vantarsi del numero dei duelli di cui

erano stati protagonisti così come si sarebbero vantati delle loro

conquiste amorose. Il duellante, quindi, se da un lato era schiavo delle

convenzioni e delle opinioni diffuse, dall’altro era un personaggio

solitario al quale era richiesto di sfidare la legge in nome di un diritto

o di un dovere privato ricorrendo unicamente al proprio coraggio

fisico e morale. Ma in una civiltà in continua evoluzione, dove

l’economia borghese e competitiva andava continuamente prendendo

campo, il duello non rappresentò solo un morbo in quanto esso,

aderendo ad un codice invisibile che rifiutava qualsiasi compromesso,

contribuì a costruire ad aprire la strada a quei diritti moderni e

207
Ibidem, p. 205.

138
democratici che sarebbero stati la spina dorsale delle costituzioni

europee. Con l’avvento dell’era borghese, dell’utilitarismo, del denaro

e della lotta per ottenerlo, si arrivò a dare importanza a tutto ciò che

ricordava all’uomo scopi più nobili e che nasceva dalla

preoccupazione per la società nel suo complesso e il duello, e il

concetto d’onore che ne derivava, legandosi ad un antico sentimento

di responsabilità nei confronti della comunità, non poteva non essere

guardato con ammirazione e stima.

William James, parlando della sostanziale riverenza

dell’umanità per l’eroismo, sottoline il fatto che, indipendentemente

dalle debolezze dell’essere umano, se egli rischi o, ancora di più, si

esponga alla morte per la causa che ha prescelto «ciò lo santifica per

sempre»208; ed è per questo motivo che il duellante, al momento delle

scontro, poteva sentire di far parte di qualcosa di più grande di lui,

perché la partecipazione totale delle sue energie e delle sue capacità lo

rendeva diverso dall’uomo mezzo addormentato di tutti i giorni.

208
W. JAMES, op. cit., p. 353.

139
Nonostante tutto, però, è evidente che gli aristocratici vissero in

continua tensione, divisi tra valori sociali, che rispettavano, e i doveri

che quei valori imponevano loro, ai quali avrebbero, forse, voluto

fuggire.

§. 3.3 Tra polemiche e contraddizioni, il duello nell’età dei Lumi

Durante il XVIII secolo, periodo di massimo splendore

dell’aristocrazia, il duello raggiunse il suo apogeo; tale periodo, però,

fu anche il periodo degli illuministi i quali, considerando «gotico»

tutto ciò che si rifaceva al Medioevo, non ebbero alcuna remora a

bollare di incivile il duello stesso. A detta di uno scrittore inglese,

come riporta Bosquett, «i signori feudali erano analfabeti e ignoranti

fino alla stupidità; erano aggressivi, intrattabili e crudeli» 209 e l’idea di

battersi a duello per salvare l’onore dei propri antenati era considerato

209
A. BOSQUETT, op. cit., pp. 44 – 45.

140
del tutto inutile dato che le genealogie erano, in ogni caso, destinate ad

alterarsi210.

Indipendentemente dalle motivazioni che potevano spingere al

duello, l’età dei lumi non poté, dunque, che disapprovarlo; massimi

esponenti di quest’atteggiamento critico furono gli intellettuali riuniti

intorno all’Encyclopédie di D’Alambert e Diderot, anche se non

mancarono quanti continuarono a difendere il duello e l’ideologia che

ne stava alla base. Vi furono molti nobili, infatti, che assorbirono le

idee illuministe, ma anche una parte dei borghesi che cominciarono ad

imitare i modi aristocratici: dal che ne seguì che i duelli continuarono

fra nobili, titolati e non, e fra uomini qualunque 211. D’altra parte lo

stesso Voltaire non riuscì a nascondere del tutto una certa

ammirazione verso le vittorie di Luigi XVI o Caterina la Grande e,

dunque, ancora meno condannabile dovette apparirgli lo scontro tra

due uomini.

210
MONSIUER BASNAGE, Dissertation historique sur les duels et les ordres de chevalerie,
Amsterdam, 1720, pp. 8 e 15.
211
G. A. KELLY, Duelling in Eighteenth – century France, in «The Eigtheenth – century:
Theory and Interpretation», 21/3, 1980, p. 244.

141
Le idee illuministe contro il duello, comunque, non ebbero

grande presa, soprattutto perché, contemporaneamente al loro

diffondersi, andò aumentando l’isolamento degli appartenenti ai

ranghi alti della società: questo allontanamento significò anche un

congelamento di certe sue usanze caratteristiche e portò con sé un

notevole stress psicologico. Uno dei segnali del ritiro dell’élite dalla

massa si ritrova nei famoso verso di Marvell su Carlo I al patibolo,

che recita «Egli non fece né concepì mai niente di comune», dove

“comune” stava a significare qualcosa di dispregiativo e di volgare212.

Le opinioni sul duello erano molto diversificate e intorno al

tema si accese un vivace dibattito, soprattutto in ambienti critici e

letterari. Se Thackeray, parlando di un suo personaggio, soldato di

ventura, che aveva girato a lungo il mondo, lo descrive con l’abitudine

del «vizio, del gioco, del duello e della rissa» 213, Diderot, fa del sul

Chevalier de Morlière un uomo sempre pronto a insultare chiunque

non portasse la spada e ridotto al silenzio dal minimo colpetto sul

212
Riportata da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 212.
213
W. M. THACKERAY, The History of Henry Esmond, London, 1852, libro I, cap. II.

142
naso, ma talmente abituato a fare lo spaccone da non rendersi conto

della propria vigliaccheria214.

Anche la legge continuò a mostrare un atteggiamento

contraddittorio nei confronti del duello: se in Francia, trent’anni dopo

il severo editto del 1723, non era stata ancora emessa una condanna a

morte contro un duellante215, in Spagna solo fra il 1716 e il 1757 le

pene contro il duello si erano fatte più severe, mentre a Venezia, il

Consiglio dei Dieci, intorno al 1739 ne aveva ribadito la condanna. In

Inghilterra, invece, sebbene il sistema delle tre giurie distinte che

dovevano occuparsi dei singoli casi rendesse difficoltoso tutto l’iter

giudiziario, il linea di massima il fatto che i membri della giuria finale,

a cui era affidato il verdetto, appartenessero alla stessa classe che

praticava il duello, rendeva praticamente impossibile che si arrivasse

ad una condanna. Fu solo col trattato di Bentham, Morals and

Legislation, del 1789, che il pensiero utilitarista e progressista

214
D. DIDEROT, La Neveu de Rameau, a cura di A. Adam, Paris, 1967, pp. 92 – 93 (Ia ed.
1762 – 1763).
215
G. A. KELLY, op. cit., p. 24.

143
cominciò a prendere corpo; nel suo scritto l’Autore, parlando di

reputazione, la definisce «una sorta di proprietà fittizia» in quanto

coloro che rispondevano ad un affronto battendosi, per evitare la

vergogna «che si pensasse che subivano pazientemente» sarebbero

stati giudicati da alcuni come ispirati dall’ “onore”, ma da altri come

mossi da una concezione di “falso onore”216.

Il duello, senza dubbio, si era ormai profondamente radicato

nell’imma-ginario collettivo europeo e testimonianza ne era l’uso

“metaforico” che ne avevano fatto molti scrittori; tra tutti citiamo

Milton che ne accenna, parlando della prova di forza tra Cristo e la

Tentazione, prima verso la fine de Il Paradiso Perduto, in cui ad

Adamo viene annunciato che non si tratta di una prova di forza fisica,

e poi al principio de Il Paradiso Ritrovato quando gli angeli cantano

un inno a

216
J. BENTHAM, An Introduction to the Princiles of Morals and Legislation, a cura di J. H.
Burns e H. L. A. Hart, London, 1979, pp. 65, 106 – 107 nota 193 (Ia ed. 1789).

144
Il Figlio di Dio / Che ora si appresta al grande duello, non con le

armi / Ma per sconfiggere con la saggezza le astuzie infernali217.

Il duello, di fatto, era un tema che si prestava ad essere sfruttato

dal punto di vista letterario perché permetteva di rappresentare le

classi sociali e la loro ideologia; oltre a ciò poteva essere osservato da

diversi punti di vista e passare dal tragico al comico. Poteva essere

inserito in una trama per movimentare un episodio, ma anche essere

trattato seriamente e in modo critico e, pure, tornare utile ai

drammaturghi come escamotage per far scomparire un personaggio

come accade in Lo stratagemma dei Bellimbusti di Farquhar in cui il

servo Archer, per giustificare l’assenza del padrone, spiega che

si è battuto a duello a Londra l’altro giorno e ha ferito il rivale così

seriamente che ritiene sia meglio stare lontani fino a che non saprà se

la ferita è stata mortale oppure no218.

217
J. MILTON, Il Paradiso Perduto, Milano, Mondadori, 1990, libro XII, vv. 386 – 387; e
Il Paradiso Ritrovato, ivi, libro I, vv. 173 – 175.
218
G. FARQUHAR, Lo stratagemma dei Bellimbusti, in Teatro inglese della Restaurazione e
del Settecento, a cura di G. Baldini, Firenze, 1955, atto III, scena III (tit. orig. The
Beaux’Stratagem, 1707)

145
Il duello trovò spazio nell’opera ma anche nelle arti visive, così

un’illustrazione di un libro, attribuita ad Hogarth, mostra un uomo in

uniforme, con la spada alzata, sotto un albero, mentre il rivale è

disarmato e la sua spada è visibile a terra 219. Il duello, poi, fece la sua

apparizione anche nei primi esperimenti di «programmi musical»: una

suite italiana di musica da camera continene un movimento agitato

che doveva rappresentare una gara di scherma, seguito da un altro che

rappresentava l’arrivo del medico che cura il ferito220.

Nella Francia del XVIII secolo, comunque, patria

dell’illuminismo e dei Lumi, borghesi e nobili avevano ormai dai

tempo mescolato il proprio sangue e i propri interessi, anche se la

nobiltà, da parte sua, cercava di mantenere le distanze, continuando a

percepirsi come un gruppo composito e a parte. L’equilibrio sociale

che ne derivò fu certamente singolare e molto precario e la letteratura,

ma soprattutto il teatro, in quanto strumento in grado di influenzare

l’opinione pubblica, non si lasciò sfuggire l’occasione di porre un

219
A. P. OPPÉ, The Drawings of William Hogarth, London, 1948, p. 32.
220
Riportato da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 216.

146
argomento tanto alla moda come quello del duello al centro delle

proprie storie. Il modello istituito da Molière, ad esempio, si era fatto

portavoce di una serrata critica nei confronti del duello; il

drammaturgo, infatti, sia per la sua provenienza borghese, sia per la

sua vita professionale, che lo aveva immunizzato dall’influsso che il

lavorare a corte avrebbe potuto avere su di lui, non mostrò mai alcuna

simpatia per questa forma di confronto armato e il suo Don Giovanni,

prima fuggendo ad un duello lanciatogli contro dal fratello di una

fanciulla da lui sedotta, con la scusa di aver deciso di abbracciare la

vita religiosa, poi raccogliendo la sfida, ma continuando ad affermare

che era Dio che non voleva che si battesse, e, alla fine, non

presentandosi all’appuntamento, trasforma il duello in una vera e

propria farsa221.

Tra gli intellettuali dell’epoca, naturalmente, ci fu chi sostenne,

come riporta Kelly, che la natura vuole l’uomo forte e che sfidare la

221
Similmente al personaggio di Molière, anche il cavaliere Danceny di Laclos, costretto
al duello con esito favorevole all’avversario, finisce per scappare all’estero, dove
effettivamente intende prendere i voti. Cfr. C. DE LACLOS, Le amicizie pericolose, Torino,
Einaudi, 1970, lettera 174 (Ia ed. 1782, tit. orig. Les liaisons dangereuses, Paris).

147
morte è un esercizio fortificante222, ma anche chi, facendo risalire il

duello alle invasioni barbariche, lo considerò figlio dei secoli bui e ne

ripudiò il culto in quanto «è un crudele abbaglio dell’uomo far

consistere il merito nell’omicidio di un altro uomo»223. Ma sebbene a

detta di Basnage il vero onore dipendesse dal compimento dei doveri

sociali e non potesse in alcun modo essere macchiato da nessun

insulto, come invece «immaginano i cavalieri duellanti», lo stesso

polemista non riuscì ad evitare di cadere in contraddizione,

affermando che un uomo qualunque ha lo stesso diritto di battersi a

duello di un nobile, poiché «il punto d’onore dev’essere uguale per

tutti»224.

Da parte sua Montesquieu, paragonò il punto d’onore dei

francesi al loro desiderio di gloria, e sottolineò – con non poca ironia –

che un francese poteva trovarsi di fronte al tormentoso dilemma di

rispettare le leggi dell’onore, e morire sul patibolo, o rispettare la

222
G. A. KELLY, op. cit., p. 239.
223
M. BASNAGE, op. cit., pp. 21 – 22.
224
Ibidem, pp. 15 – 16.

148
giustizia, ed essere bandito dalla società degli uomini225; Rousseau,

invece, si espresse a proposito del duello nello stile sentimental –

umanitario di cui era maestro, e ne Le Confessioni racconta di aver

preso lezioni di scherma e di aver scoperto di non essere adatto a

quell’arte226.

Diversamente da quanto stava accadendo in Francia, in

Inghilterra, in seguito alla maggiore mobilità sociale e alla divisione

tra le classi, il dibattito sul duello si fece particolarmente acceso e

fornì agli scrittori satirici non pochi spunti comici. Uno dei bersagli

preferiti fu la figura del proprietario terriero che si sentiva l’obbligo di

vivere all’altezza della propria posizione ma che, sul più bello, non

aveva il coraggio di affrontare la sfida: la morale suggerita,

apparentemente contraddittoria, era che gli uomini non avrebbero

dovuto essere costretti dalla società a trovarsi in una situazione del

genere, ma, neppure, che dovessero aspirare ad una dignità maggiore

225
F. DE MONTESQUIEU, Lettere persiane, Milano, Feltrinelli, 1981, lettera 91 (tit. orig.
Lettres persanes, Paris, 1721).
226
J. J. ROUSSEAU, Le Confessioni, Torino, Einaudi, 1978, libro V.

149
di quella che competeva loro. Tipico esempio di questa “doppia”

morale, la commedia The Comical Revenge di Etherege dove Sir

Nicholas Cully, un finto gentiluomo, fatto cavaliere da Cromwell,

viene costretto da due giocatori imbroglioni ad accettare un duello per

un debito di gioco che uno dei due gli attribuisce. Quando arriva il

momento dello scontro, Sir Cully si pente di non aver fatto sapere la

cosa al suo vicino, il colonnello Hewson, che avrebbe sicuramente

pagato affinché il duello non avvenisse; il suo secondo, allora, uno

degli imbroglioni, lo rimbrotta affermando che «Ciò non vi avrebbe

certo fatto onore. Cosa avrebbe pensato il mondo?» e Cully replica

«Lascia che il mondo pensi quello che vuole». Al momento dell’arrivo

del rivale, Cully, con aria truce, decide di riconoscere il debito e

pagare, fingendo che la sua coscienza non gli avrebbe permesso di

«battersi per una causa ingiusta»227. In un altro lavoro teatrale del

1660, Sir Courtly Nice, un vero gentiluomo, si trova a fare la figura

dello stupido quando, per un nonnulla, sfida a duello Mr Surly e

227
SIR G. ETHEREGE, The Comicla Revenge, London, 1664, atto III, scena V.

150
dichiara «desidero l’onore della sua compagnia, Sir, domani mattina a

Barm – Elms, Sir, la prego di scegliere le armi, Sir» e viene messo a

tacere dalla risposta irrisoria dell’altro «Lo sputo, Sir»228.

Gli eccessi della Restaurazione, tuttavia, con l’ondata di

violenza e di vizio che accompagnò il rientro dei realisti dall’esilio,

provocò una critica più severa nei confronti del duello, che sarebbe

stata accentuata dal puritanesimo. Il clima si fece tanto acceso che

Jeremy Collier, un ecclesiastico antirivoluzionario, denunciò i costumi

profani e immorali degli spettacoli teatrali e si oppose energicamente

al duello. In un suo dialogo fra Filotimo, l’amante dell’onore, e

Filatele, l’amante della verità; quest’ultimo definisce i duellanti

«omicidi per principio», peggio dei banditi, ma il primo teme che, non

raccogliendo la sfida, il nemico «affligga i manifesti in cui mi dichiara

codardo e allora?». Nel caso tale evenienza dovesse presentarsi, fa

228
J. CROWNE, Sir Courtly Nice, s. l., 1660, atto IV, scena I.

151
ribattere l’Autore a Filatele, si dovrà trattare l’altro come fosse

pazzo229.

Se Swift sostenne l’originale tesi secondo cui la cosa migliore

era quella di lasciare i duellanti liberi di uccidersi a vicenda 230, Defoe,

da parte sua, si espresse violentemente a proposito del duello ma

nell’Atlantis Major, la sua satira politica del 1711, accusò il duca di

Argyll di essere stato rude nei confronti di un altro gentiluomo, che in

precedenza aveva sfidato e che si era ritirato «avendo scelto, di

rischiare l’onore piuttosto che la vita»231. La generazione di romanzieri

successiva continuò a mostrare una certa ambiguità a proposito del

duello e, in tal senso, Fielding se da un lato sembrò volerlo mettere al

bando, dall’altro non gli negò una nobile origine in sentimenti sani

come il rispetto di sé e l’onestà232; anche Smollet, che fu uno dei pochi

229
J. COLLIER, Of Duelling, in Essays upon Several Subjects, London, 1698, pp. 155 –
145.
230
Riportato da A. BOSQUETT, op. cit., pp. 74 – 75.
231
Riportato da V. G. KIERNAN, op. cit., p. 220.
232
La stessa ambiguità viene espressa da uno dei suoi personaggi, Jonathan Wild, che con
un discorso filosofico sull’onore, afferma che è un «peccato che una parola di così grande
utilità e virtù debba avere un’applicazione così incerta e diversa». Cfr. H. FIELDING,
Jonathan Wild il Grande, Milano, Bompiani, 1981, cap. 13 (Ia ed. 1743).

152
scrittori ad essere trascinato sul campo d’onore, non mostrò mai

alcuna simpatia per la pratica del duello 233 e nei Travels (Diari di

viaggi) troviamo una delle condanne più radicali ed energiche mai

scritte di «quella follia e quel malanno che sono sanzionati dalla

moderna pratica del duello» per cui «intere famiglie rovinate, donne e

bambini rimasti vedove e orfani» e per la quale l’unico rimedio è

l’istituzione di un tribunale speciale, con ampio potere di condanna,

che stabilisca che lo sfidante sia esiliato, che il corpo di chi muore sia

esposto al pubblico ludibrio, e che l’omicida sia impiccato ed

entrambi i cadaveri subiscano l’autopsia234.

Fu solo in Irlanda, però, che nacquero i primi tentativi di

opposizione organizzata contro il duello: secondo la leggenda,

all’inizio del XVII secolo, ad Athenry, città dell’Irlanda occidentale,

afflitta da continue guerre e disastri, era nato l’ «Ordine della

Compagnia di Mutuo Soccorso dei Fratelli di San Patrizio», che

prevedeva, tra le proprie regole, l’elezione di un «Grande Presidente»

233
T. SMOLLETT, La spedizione di Humphry Clinker, cit., pp. 69 – 72.
234
ID., Travels Through France and Italy, London, 1907, pp. 138 – 140.

153
responsabile del «Governo dell’Ordine diffuso in tutto l’universo» e

che nessuno poteva «presume di risolvere da solo le proprie contese,

secondo le leggi di un malinteso onore e con la pratica barbara del

duello, sconosciuta alle nazioni più civili e più coraggiose» ma doveva

sottoporre la decisione ai fratelli235. A questo ipotetico scritto fece

seguito, nel 1777, il codice irlandese del duello.

In Scozia, Hume, il grande filosofo dell’illuminismo, che aveva

a lungo vissuto in Francia, pur sottolineando gli aspetti grotteschi

della mentalità medioevale, affermò anche che «La grande

indipendenza degli uomini faceva dell’onore personale e della fedeltà

i legami più sentiti» mentre «la solennità del duello» conferiva decoro

alle loro contese. «Queste idee cavalleresche [...] portarono alla

galanteria e al punto d’onore moderni, che ancora esercitano una

certa influenza e che sono i veri discendenti di quei modi antichi» 236.

Le sue idee, inoltre, trovarono grande apprezzamento presso la gentry,

235
MRS. A. M. FRASER, The Friendly Brothers of St. Patrick, in «Dublin Historical Re-
cord», n. 14, 1955 – 1958, pp. 34 e ss.
236
D. HUME, The History of England, cit., p. 40.

154
quando il filosofo, insieme ad Adam Smith e altri, fondarono nel 1754

la Select Society, il circolo culturare dell’intellighenzia; il piccolo

cenacolo di letterati e pensatori progressisti, infatti, divenne

l’elemento trainante della parte più avanzata della gentry237, che era

formata per la maggior parte dalle grandi famiglie di proprietari

terrieri. Gli intellettuali che aderirono alla Select Society, di fatto,

erano ancora molto legati ai valori del passato per potersene affrancare

del tutto e se i membri della gentry diventarono proprietari terrieri

progressisti, gli intellettuali furono ostacolati nel formulare idee

indipendenti. La conclusione fu un loro progressivo isolamento dal

resto della popolazione, che si riflesse nella scelta di adoperare la

lingua inglese; tale isolamento fu facilitato dal diffondersi di una

mentalità deterministica secondo la quale, visto che l’uomo era

psicologicamente e sociologicamente determinato, per lui non aveva

senso dedicarsi volontariamente a un’attività creativa. Influenzati da

queste teorie, gli intellettuali scozzesi si considerarono prigionieri de

237
N. P. PHILLIPSON, Edimburgh andScottish Enlightenment, in The University in Society,
a cura di L. Stone, Pricenton 1974, vol. II, p. 424.

155
proprio ambiente sociale e vittime di una teoria deterministica

secondo cui non esisteva alcuna forza in grado di alterare tale

condizione; il loro contributo al progresso europeo fu, dunque,

alquanto limitato e il suo declino evidente nell’incapacità del paese di

pronunciarsi severamente per l’abolizione del duello238. Il nobile ed

intellettuale Boswell, di cui abbiamo accennato nel secondo

capitolo239, può essere preso ad esempio di questa classe di

aristocratici scozzesi fortemente proiettata al futuro ma

contemporaneamente legata al passato: egli, infatti, pur essendo un

intellettuale estremamente moderno, subì il fascino della carriera

militare e della gloria e, molto probabilmente, amò pensare a se stesso

come ad un duellista ardito. Di fronte alle numerose prospettive di un

duello reale, Boswell, come ci raccontano le pagine dedicate alla vita

del letterato e critico inglese Samuel Johnson, fu tormentato dai dubbi

e dall’interrogativo se il suo rifiuto della violenza non fosse altro che

238
V. G. KIERNAN, op. cit., p. 226.
239
Cfr. Infra, cap. II, p. 52.

156
un sintomo di vigliaccheria240. Una sera del 1772, Boswell racconta di

essersi trovato ospite con Goldsmith e il generale Oglethorpe a casa di

Johnson, e di aver sollevato la questione se il duello fosse compatibile

con la morale cristiana. «Il vecchio e coraggioso generale rispose con

aria altezzosa: “Non c’è dubbio che l’uomo abbia il diritto di

difendere il proprio onore”», ma Goldsmith commentò la frase con

impertinenza e Johnson, a detta di Boswell, affrontò il problema in

«modo magistrale». Il letterato, infatti, affermò che in uno stato

civilizzato «un affronto è ritenuto come un danno serio» e gli uomini

hanno deciso «di allontanare dalla loro società chi accetta di essere

ingiuriato senza battersi a duello. Inoltre, signore, non è mai illegale

battersi per autodifesa»241. In seguito, però, lo stesso Johnson

ridimensionò il proprio pensiero e arrivò ad affermare che «chiunque

riponga l’onore solo nella violenza vittoriosa è un animale pericoloso

in tempo di pace»242. Il fatto che i due intellettuali fossero

240
J. BOSWELL, Vita di Samuel Johnson, cit., vol. I, p. 630.
241
Ibidem, vol. II, p. 1311.
242
S. JOHNSON, Journey to the Western Islands of Scotland, London, a cura di R. W.
Chapman, Oxford, 1924, p. 83 (Ia ed, 1775).

157
profondamente religiosi e che nonostante ciò giustificassero il duello,

mostra lo scarso successo della campagna ecclesiastica contro quella

pratica.

Nel XVIII secolo, comunque, il duello era uno dei pochi temi su

cui religione e illuminismo andavano d’accordo e sul quale potevano

accordarsi protestanti e cattolici; a tale proposito il libro di Scipione

Mafferi, pubblicato nel 1710, e dedicato a Papa Clemente XI è stato

definito «il miglior libro contro il duello»243. La dottrina cattolica

sull’argomento, d’altra parte, era molto severa in proposito e

prevedeva un’unica eccezione, quella del duello approvato dalle

autorità e permesso come alternativa alla guerra. Così scrive il

reverendo Jone:

Battersi a duello senza autorizzazione è peccato mortale, anche nel

caso in cui lo si faccia per evitare di perdere il proprio rango o la

propria posizione. Chiunque vi sia coinvolto o in prima persona, in

quanto sfidante o sfidato, o come secondo, o come spettatore che vede e

non s’intromette, si espone alla scomunica. Così è pure nel caso di un

243
SIR C. CLARK, War and Society in the Secenteenth Century, Cambridge, 1958, p. 39.

158
medico o di un religioso presente, anche se non nel caso in cui vengano

chiamati dopo il duello; sono esclusi dalla scomunica anche i cocchieri

impossibilitati come sono a scegliersi i propri clienti. Sono all’indice

per i fedeli tutti i libri che minimizzano la gravità di suicidio, divorzio e

duello244.

Il sermoni della fine del XVIII secolo spesso accomunarono il

duello e il suicidio come offese a Dio, creatore di tutte le vite 245, ma

non mancarono occasioni, soprattutto tra i pastori anglicani, dove

questi ultimi si trovarono coinvolti in scontri mortali 246. La religione,

comunque, continuò a rivolgere i suoi ammonimenti contro il duello

alle classi alte che avevano sempre creduto che il ruolo della religione

fosse quello di dire alle classi povere cosa fare o non fare, e la sua

posizione contribuì probabilmente a trattenere dal duello un certo

numero di individui senza riuscire, però, a convincere del tutto sulla

sua barbarità. Uomini come Boswell o Scott, che avrebbero voluto

244
REV. H. JONE (a cura di), Moral Theology, Westminster, 1946, p. 403.
245
V. G. KIERNAN, op. cit., p.230, nota 59 dove l’Autore afferma che tale informazione gli
deriva dal dottor Olive Anderson.
246
Si narra, ad esempio, di un certo reverendo Allan che fu assolto dalla giuria, nonostante
le posizioni del giudice, per aver ucciso un uomo ad Hyde Park. Cfr. A. STEINMETZ, op.
cit., vol. II, pp. 17 – 18.

159
sentirsi contemporaneamente cristiani e gentiluomini, continuarono a

lungo a provare grande imbarazzo di fronte al duello.

Le donne, dalla loro, pur non avendo molta voce diretta in

capitolo, furono tra le prime a schierarsi contro una pratica che

associavano per lo più all’alcolismo e al libertinismo, abitudini odiose

alla classe femminile; nonostante ciò, comunque, non emerse alcun

movimento di protesta organizzata fra le donne di ogni ceto sociale, né

contro il duello né contro la guerra. Per le nobildonne, infatti, fiere

della loro appartenenza di classe, il duello era qualcosa da accettare

come conseguenza del loro rango e dunque Leonora, protagonista di

una tragedia di Calderón, quando le viene comunicato che il fratello è

stato ucciso in un duello svoltosi correttamente, e le viene chiesto se

vuole che il rivale venga processato, risponde:

No, signore; poiché anche se le leggi del duello sono

Solo per gli uomini, ne so abbastanza

Per perdonare tutto ciò che è stato fatto onorevolmente247.

247
E. FITZGERALD (a cura di), op. cit., p. 192 (Gil Perez, atto III).

160
La letteratura, specchio della realtà, dimostrava chiaramente che

il duello veniva generalmente perseguito legalmente solo quanto la

famiglia o gli amici del morto mettevano in moto la macchina

giudiziaria o, comunque, avevano modo di influenzarla. Il duello,

comunque, restò a lungo nell’immaginario collettivo come un

avvenimento affascinante e terribile al contempo, uno spettacolo di

abilità e coraggio che impressionava soprattutto le classi più povere e

che dava alla gentry l’illusione di fare qualcosa per cui valesse la pena

essere ammirata. La cultura dell’onore, dalla quale prendeva forza il

duello, continuò, così, ad apparire prevalentemente orientata verso

l’espressione piuttosto che verso il contenuto: tese, cioè, a costituirsi

come un insieme di testi e non come un sistema di regole. Le norme,

che di fatto esistevano, non erano considerate eterne e assolute, e

neppure cercavano di imporre un predeterminato modello di

comportamento, al contrario, proprio da quest’ultimo ebbero origine e

il loro scopo fu di spiegarlo e di divulgarlo. Furono, in altre parole,

una conseguenza e non una sua causa. Non a caso, infatti, i manuali

161
del duello e dell’onore apparivano più che altro come una crestomazia

di citazioni o come una somma di precedenti, in cui le auctoritates

erano da un lato i soliti classici della filosofia e della letteratura, e

dall’altro gli esempi forniti dai grandi protagonisti della storia o,

meglio, dell’alta società contemporanea.

La cultura dell’onore e del duello, pertanto, cercò di impedire

qualsiasi infiltrazione dall’esterno e al tempo stesso si oppose alle

ipotesi di un proprio allargamento nello spazio circostante; anzi, tese a

rafforzare la frontiera che separava da tutto ciò che era altro. In tal

modo si costrinse ad una perenne staticità che rappresentò la sua forza

ma che inevitabilmente ne sancì la condanna e, alla fine,

l’autodistruzione.

162
CONCLUSIONI

Nel corso della presente trattazione abbiamo più volte avuto

modo di sottolineare che sebbene i divieti ufficiali e le sanzioni

religiose non riuscissero il più delle volte a sortire alcun effetto nei

confronti del duello, in realtà molti furono coloro che per paura di

incappare in una condanna se ne tennero lontani. Il timore nei

confronti delle pene fece sì che in breve il numero di coloro che si

sfidavano a duello, o accettavano di battersi, diminuì notevolmente e il

ricorso al duello fu limitato alle situazioni in cui la pressione sociale

era particolarmente insopportabile e non sembrava ci fosse altra

alternativa dignitosa.

Negli ultimi decenni del XVIII secolo anche la letteratura,

esaltando il ritorno alla natura e la figura del buon selvaggio, iniziò a

proporre un tipo di eroe molto lontano da quello che nel secolo

precedente si era armato di spada per difendere l’onore di sé e della

163
propria bella; si trattava, infatti, di un eroe che si faceva spesso

giustizia da solo ma non nei modi convenzionali.

A differenza degli eserciti europei, quindi, che restarono a lungo

le roccaforti di quell’ideologia che si trovava alla base del duello, tra i

civili l’intolleranza nei confronti del duello e di tutto ciò che esso

rappresentava si fece sentire anzitempo, e molte contese cominciarono

ad essere risolte ricorrendo a metodi alternativi, quali, ad esempio, il

compromesso, che testimoniò l’avvenuto passaggio dall’ordine

privato a quello pubblico e al riconoscimento da parte della nobiltà

della sovranità della legge. Tutto, in sostanza, sembrava teso a

decretare la fine di un’era di cui il duello era stato testimone e

protagonista, ma, in effetti, non fu così, perché la Rivoluzione

francese, che avrebbe dovuto significare l’assoluto trionfo

dell’ideologia progressista, e il conseguente abbandono del duello e di

tutte le anticaglie medioevali, gli diede nuovo impulso, visto che il

duello si diffuse tra i soldati comuni e tra i contadini.

164
Durante il lungo periodo di conflitto inaugurato da Napoleone,

che da parte sua considerò il duello una pratica odiosa e pericolosa,

senza però arrivare a metterla fuori legge con i propri Codici, il

continente subì un processo di militarizzazione e le rivalità nazionali,

che prima scoppiavano tra i soldati, cominciarono ad intensificarsi e a

trovare sfogo nei duelli anche tra civili; alla fine delle guerre, poi,

quando i re tornarono alla luce del sole, essi guardarono con simpatia

ad un’usanza tanto cara ai loro predecessori e il duello fu utilizzato

come strumento per rafforzare la morale e riaffermare l’aristocrazia. A

tale proposito Kiernan scrive:

L’Europa, oltre a tornare indietro, marciava in avanti e il passato,

così come il futuro, a differenza dl cupo presente, si prestava ad essere

dipinto con una spessa mano di vernice; in questo senso il

romanticismo poteva divenire l’alleato dell’aristocrazia e

sottoscriverne la pretesa di rappresentare qualcosa di più alto e nobile

dell’interesse per il denaro. L’aristocrazia stava per entrare nella sua

ultima fase, prima di finire sommersa dalla plutocrazia della fine del

XIX secolo (op. cit., p. 249).

165
Il romanticismo, da parte sua, esprimendo un’intima

preoccupazione esistenzialista, relativa all’esperienza, alle sensazioni,

all’interesse per l’intensità delle emozioni, e ad una certa predilezione

per le fantasie notturne e sepolcrali, si fece portavoce di

un’ammirazione per chi si esponeva al pericolo e, dunque, contribuì a

far raccogliere intorno al duello le tendenze romantiche e

conservatrici. La classe media, inoltre, dal momento che gli

aristocratici avevano gradatamente abbandonato tale pratica,

iniziarono ad ammetterlo e a permettere che esso si diffondesse con

estrema rapidità negli strati più umili della popolazione.

La rivoluzione del 1848, comunque, diede una scossa a tutta

l’Europa: industria, scienza, modernità ormai si stavano diffondendo

ovunque, seguite a ruota dall’estinzione del duello o, comunque, dal

renderlo artefatto e irreale. Ogni revival non poteva che essere un

fenomeno superficiale e transitorio. Con la fine del XIX secolo, poi, il

contrasto fra la coscienza morale europea e l’ideologia del duello si

intensificò, e ciò contribuì a radicarlo nell’immaginazione popolare,

166
facendolo diventare un tema preferito da scrittori e da artisti che vi

trovarono una rilevanza archetipa, simbolica della condizione umana.

Il duello - indipendentemente dalle sue sorti alterne, rappresentò un

punto di convergenza del pensiero sociale e politico di un periodo

della storia dell’umanità, e si può pensare ad esso come

ad uno di quei sogni collettivi obbligatori dai quali l’umanità si

risveglia solo gradualmente, incubi generati da una vita collettiva

insana. Per quanto irrazionale, non lo era di più di tante componenti

inesplicabili della natura umana, in cui si mescolano curiosamente

componenti affascinanti e repellenti, la tragedia, l’oscenità e il

sentimentalismo. Fu proprio per questa eterogeneità, che sottendeva la

logica formale, ovvero la lucida follia del duello, che esso riuscì a

trovare corrispondenze o a suscitare echi in così tanti ambiti ella vita

umana (KIERNAN, cit., 411).

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