Sei sulla pagina 1di 7

Kerstin Ekman (scrittrice Svedese nata nel 1933) è una delle personalità più

influenti nel panorama letterario svedese contemporaneo, ha un percorso


diverso rispetto a Høeg per esempio (lui inizia come il beniamino della critica
“elitaria” Danese e poi perde il loro favore quando sembra svendersi
avvicinandosi a tipologie testuali popolari.)
Ekman fa il percorso inverso, debutta nel 1959 come scrittrice di gialli che si va
ad inserire nella tradizione gialla all’inglese ma verso gli anni ‘70 si avvicina
alla letteratura più “seria”.
I primi testi gialli che compone sono pienamente collocabili all’interno della
tradizione gialla, anche se già dall’inizio si notano dei processi di innovazione
che preludono ai cambiamenti nell’indirizzo letterario che l’autrice farà negli
anni successivi.
Primi testi sono molto schematici concentrandosi sulla trama e lasciando in
secondo piano la caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti.
Col procedere della sua produzione si nota sempre più l’attenzione per questi
dettagli tralasciati (i personaggi iniziano ad essere indagati in maniera più
attenta e approfondita dal punto di vista psicologico. Sono più caratterizzati
come individui e non come “prototipi di personaggi gialli”. Anche
l’esplorazione dell’ambiente sociale diventa un elemento più rilevante nella
costruzione del testo narrativo.)
I suoi testi cominciano a virare in quello che potremmo definire “giallo
psicologico” ovvero incentrato sulle reazioni dei personaggi (l’effetto che il
crimine desta sulla mente dei personaggi) più che sulla soluzione del mistero.
In questo tipo di gialli è difficile catalogare i personaggi “buoni” o “cattivi”
acquistando una ambivalenza e ambiguità morale. La struttura razionale inizia a
incrinarsi.

Un momento di svolta lo troviamo nel 1967 con l’uscita di “Pukehornet” (è il


nome di un quartiere degradato di Uppsala dove si svolge la maggior parte della
trama)
è un testo che potremmo catalogare come “antiromanzo giallo”, il testo viene
proposto e venduto come un discorso sull’arte del morire nei testi gialli.
Diviso in 2 parti:

1) La prima è pienamente un giallo psicologico come quelli che produsse negli


anni precedenti.

2) parte metanarrativa in cui l’autrice della prima parte prende parola facendo
un resoconto della genesi del testo.
Trama prima parte: siamo in questo quartiere degradato di Uppsala, il
protagonista si chiama Pär è uno scrittore fallito che collaborava con una rivista
letteraria che è andata malissimo, è senza soldi e senza risorse, frustratissimo.
Campa facendo da badante a un’anziana invalida che gli dà vitto e alloggio,
questa vecchia ha un immobile in questa zona (Pukehornet) ed è una sorta di
strozzina che impone ai suoi affittuari delle somme assurde per vivere lì.
Il romanzo inizia che il protagonista accompagna la vecchia in una casa di
riposo fuori città per andare a trovare la sorella di lei. Stanno tornando ad
Uppsala e devono attraversare un tratto di bosco (è inverno,c’è la neve e fa
freddo) la vecchia cade si fa male e chiede aiuto a Pär che esita nell’aiutarla
(perché sta vecchia je stava sui cojoni) e la vecchia muore. Il protagonista corre
a cercare aiuto durante la ricerca ha dei ripensamenti, sale sull’autobus e torna a
casa della vecchia senza dire niente a nessuno lasciando il cadavere a coprirsi di
neve. Nei giorni successivi assistiamo al tormento del personaggio che è
indeciso se raccontare quello che è successo o continuare a tacere (sceglie la
seconda). Racconta a tutti che la signora è ancora viva ed è richiusa in camera
sua e rifiuta ogni visita perché le sue situazioni di salute si sono aggravate.

Già dall’inizio vediamo alcune differenze col romanzo giallo tradizionale (non
c’è nessun omicidio, al massimo omissione di soccorso).
Il tormento del personaggio nasce dal progressivo susseguirsi di menzogne che
deve raccontare a tutti per far credere che la signora sia ancora viva. La
suspense non è retrospettiva (perché il lettore non è curioso di sapere come è
morta la vecchia, che nasce dal desiderio di capire cosa è successo in passato)
ma una suspense prospettiva, che guarda in avanti. Che nasce perché il lettore
vuole scoprire che fine farà il protagonista, se verrà smascherato o meno.

Il “protodetective” è un’inquilina del piano di sopra che comincia a fare delle


domande un po' invadenti per capire come stiano davvero le cose. La prima
parte del racconto si interrompe senza che sia successo nulla di risolutivo e
cambia la voce narrante: nella prima parte è la prospettiva di Pär a narrare
mentre nella seconda è quella dell’inquilina del piano di sopra che ci racconta il
lasso di tempo che abbiamo già osservato dagli occhi di Pär da una prospettiva
nuova.
In questo modo abbiamo un’apertura della struttura del racconto giallo che
diventa “duale” mentre nella tradizione gialla c’è un “individualismo” nella
prospettiva narrata (che di solito è solo quella del detective). L’innovazione non
si ferma qui perché verso la fine ci racconta che è lei ad aver scritto il racconto
che abbiamo davanti, questa confessione di essere l’autrice del racconto è
accompagnata da una “metariflessione” su come è avvenuta la stesura e la
costruzione del testo. Questa porzione è ricca di elementi di scarto che hanno
permesso di produrre quel testo finale che abbiamo già letto. (ipotesi alternative
su come sono andati i fatti del primo racconto, ci vengono riportate liste di
appunti e osservazioni) il testo si disfa facendoci vedere gli elementi grezzi a
partire dal quale è stato costruito.
Alla fine del romanzo arriva la polizia a chiedere che fine abbia fatto sta
vecchia e la scrittrice/detective si schiera dalla parte di Pär dicendo di essere
sicura che la signora stia bene→ quello che poteva essere il criminale e la
detective vengono annientati offrendo una soluzione insolita che è quella
dell’alleanza tra due personaggi solitamente nemici.

La svolta definitiva avviene nel 1974 anno in cui Ekman cambia totalmente
indirizzo nella sua produzione letteraria e pubblica la prima parte di una
tetralogia (dal 74 all’83) che appartiene a un altro genere letterario: affronta il
tema della civiltà contadina a civiltà moderna in una piccola cittadina svedese
vista attraverso gli occhi di più generazioni di donne.
Avvicinamento ad una letteratura più seria che le permette addirittura di entrare
nel 1978 nell’accademia svedese (smette di collaborare nell’89 a seguito
dell’affare Rushdie <<https://it.wikipedia.org/wiki/Salman_Rushdie >>).

Il suo romanzo più famoso e importante è del 1993 “il buio scese sull’acqua”
che scatena un vivace dibattito tra i critici a proposito di come catalogarlo:
romanzo giallo o romanzo serio?
Controversia anche nei premi che questo romanzo vince (miglior giallo svedese
e il premio del consiglio nordico che si da soltanto a romanzi “seri” e non a
romanzi di intrattenimento).
C’è il delitto e tutti gli elementi formali del giallo ma sono diluiti all’interno di
un racconto che segue linee narrative totalmente differenti a quelle che sono
tipiche del romanzo giallo. L’omicidio è il motore del racconto ma segue diversi
fili narrativi: la colpa, l’emarginazione,l’omertà e il rapporto centro-periferia.
Il delitto è un pretesto per fare dell’altro anche se è pienamente inserito nella
trama visto che alla fine del racconto il lettore viene a scoprire chi è l’autore del
crimine.

Il testo è diviso in due parti: una negli anni 70 e una negli anni 90 anche se il
testo comincia nel presente per tornare nel passato e ritornare nel presente (90-
70-90).
La narrazione che affrontiamo nel passato ha ovviamente conseguenze sul
presente quindi abbiamo il tipico movimento temporale del romanzo giallo (lo
scavo nel passato per capire il presente) ma in questo caso la prospettiva
temporale è molto ampia (nel romanzo giallo tradizionale questo tempo è molto
ridotto). Questa prospettiva così ampia ci permette da un lato di indagare
meglio le conseguenze emotive e psicologiche del delitto sui personaggi che vi
si sono ritrovati coinvolti, dall’altro permette di inserire nel racconto una
prospettiva “storica”→ studiare i cambiamenti all’interno della società nella
quale il racconto è ambientato.
Il racconto è interrotto da flashback di un passato ancora più remoto rispetto
agli anni 70 quindi la prospettiva si allarga ulteriormente.
Questa prospettiva tra presente e passato crea una suspense nel lettore perché il
piano del presente è il piano su cui avviene la maggior parte del lavoro
investigativo mentre il passato è il “luogo temporale” dei misteri.
L’intreccio dei piani temporali con l’utilizzo di prolessi e analessi produce un
effetto che è quello di una singolare sincronia dei 2 momenti (il passato è
ancora vivo nel presente).

La trama è molto complicata: negli anni 90 in una cittadina della Svezia, una
donna (Annie) riceve la visita della figlia (Mia) che porta con se il suo nuovo
ragazzo. Annie riconosce sto tizio che la fa preoccupare tantissimo e va in
allarme.
Si passa agli anni 70, Annie è un’insegnante che ha lasciato Stoccolma con la
bimba di 6 anni per trasferirsi nel nord della Svezia in una setta che rifiuta
l’utilizzo della modernità,vivendo di agricoltura e allevamento ( vicino alla
quale c’è un peasino) dove si è trasferito il ragazzo che Annie ha incontrato di
recente. Annie arriva vicino a questo posto ma il suo ragazzo che le aveva dato
appuntamento non si presenta e Annie con la bambina si incamminano nei
boschi per provare a raggiungere il paese/setta da sole e mentre vagano si
imbattono in una tenda da campeggio sulle rive di un fiume e all’interno
trovano 2 corpi accoltellati (un uomo e una donna). Nel buio del bosco Annie
intravede una figura che si aggira tra le ombre ed è proprio quello il volto che
riconoscerà nel ragazzo di sua figlia 20 anni più tardi.
Questo ragazzo che Annie vede non è coinvolto nell’omicidio (ma questo solo il
lettore lo sa, non Annie) ed è il secondo “punto di vista” attraverso cui ci viene
raccontata la storia: al momento del delitto Johan (il nome del ragazzo di Mia)
ha 16 anni ed è figlio di una donna sami sposata con un burbero contadinotto
Svedese che ha degli affari loschi, viene trattato male dal padre e dai fratelli e
quella sera (dell’omicidio) viene buttato in un pozzo perché aveva denunciato
alla polizia una lite tra il padre/fratelli e i vicini di casa. Dopo essere riuscito a
scappare dal pozzo Johan se ne va di casa nel tentativo di raggiungere una
comunità di Sami in cui è convinto ci sia il suo vero padre. Non ci arriva ma
trova passaggio da una signora strana dall’accento Finnico che per diversi
giorni lo rinchiude nella stanza di una fattoria e lo trasforma nel suo schiavo
sessuale finché poi non lo libera. Johan contatta la madre che lo porta in
Norvegia (anche la madre è convinta che sia stato lui ad uccidere i due turisti
nel bosco). Nel paesino cominciano ad indagare su questo duplice omicidio e a
incaricarsi delle indagini è un ispettore di polizia arrivato da poco
accompagnato dal medico del paese che si chiama Birger (il medico, sarà il
terzo punto di vista della nostra storia) me nelle indagini brancolano nel buio:
non si capisce l’identià delle 2 vittime, niente armi del delitto, niente sospetti,
indizi che però non sono risolutivi, l’indagine è un lungo insieme di vicoli
ciechi. Annie viene sottoposta a interrogatori riguardo il ritrovamento e viene
rilasciata subito dopo la conclusione degli stessi. Finalmente Annie arriva in sta
cazzo di comunità ma resiste ben poco perché scopre che il suo compagno è
interessato molto poco a lei (sto cojone ha un flirt con un’altra tizia del
villaggio) e ha chiamato Annie li da loro solo per avere un’insegnante che si
prendesse cura dei bambini della comunità. Le condizioni di vita sono tremende
e il capo carismatico di questa setta è tutt’altro che un vecchio saggio ma un
donnaiolo che ci prova con tutte. Annie decide in inverno de dasse da sto posto
demmerda.
Prospettiva anni 90: Annie è rimasta a vivere in sto paesino vicino e nel
frattempo ha avuto una relazione con Birger. Johan invece è rimasto a vivere da
alcuni suoi parenti in Norvegia ancora convinto di non essere figlio di quel
coglione svedese, e nel frattempo Johan è diventato un metereologo, per caso
incontra Mia, si mettono insieme e ritorna a far visita ai suoi parenti nel paesino
in cui è nato e Annie lo riconosce come il ragazzo che ha incontrato nei boschi
quella notte. Annie dà l’allarme, esce di casa nella notte con un fucile e
scompare.
Nella seconda parte del romanzo seguiamo non solo quanto successo 20 anni
prima ma anche una nuova indagine su Annie (il lettore giustamente si chiede:
“ndo cazzo è andata?”) e ovviamente le due cose sono correlate.
Annie viene trovata morta colpita al petto dal suo stesso fucile e annegata nelle
acque dello stesso fiume presso il quale 20 anni prima aveva trovato i 2
cadaveri.
Nelle ultime pagine del libro si scopre che ad aver ucciso i due turisti è stato
uno dei fratelli di Johan che però si era sbagliato (non voleva uccidere loro due
ma pensava che dentro la tenda ci fosse un altro tizio che cacciava una rara
specie di falco) e quindi preso dal panico sto cojone ha ammazzato sti due. La
madre del vero assassino e di Johan è sempre stata convinta che fosse stato
Johan ad aver ucciso i due tizi e quando scopre che Annie è decisa ad indagare
la vecchia storia la uccide per proteggere Johan (senza sapere però che è stato
un altro suo figlio a commettere il duplice omicidio). PORCODDIO.

Per ironia del destino il figlio dell’assassina e la figlia della donna assassinata
rimangono insieme in attesa di un bambino che dovrà convivere col fatto che
una nonna ha ucciso l’altra nonna e inoltre Johan scopre che il suo vero padre
era proprio quel coglione svedese che lo trattava demmerda insieme ai fratelli.

Munkhammar (critico) ipotizza che si può leggere il romanzo in 3 filoni


narrativi diversi:
Birger (il medico) si fa carico di portare avanti le indagini (sia del primo che del
secondo omicidio), la porzione di romanzo a lui dedicata (anche se veniamo a
conoscenza di molti suoi dettagli personali) si fa carico di portare la trama
gialla. Annie e Johan sembrano far parte del tipico romanzo di formazione
(Annie è una giovane donna che è in cerca del suo posto nel mondo→ libertà) e
dall’altra parte Johan racconta la ricerca della propria identità.

Il finale riannoda i 3 fili ma non in modo soddisfacente, non abbiamo un


ristabilimento dell’ordine e gran parte del romanzo evoca molte chiavi di
lettura, fa riferimento ad altri modelli narrativi:
Gran parte dei riferimenti sono riferimenti al mito (di vario genere), tutta la
parte della crescita di Johan è derivata da elementi presi dalla Bibbia ma anche
dalla mitologia di derivazione Sami. Mettendo in scissione la linea ereditaria
materna Sami e la parte occidentale paterna. Allo stesso tempo ci sono
riferimenti a un’ipotetica società matriarcale che regnava in un’Europa
preistorica (questo genere di miti vengono evocati attraverso la figura della
donna che dà il passaggio a Johan e lo porta nella fattoria e gli racconta che li
radunato un gruppo di donne che fanno parte di un’antica setta che venerano
un’entità chiamata “viandante” che è di volta in volta incarnata da varie figure
maschili che vengono poi sacrificate e sostituite dicendo a Johan che sarà lui il
prossimo viandante, si scopre poi che niente di questo è vero e che la donna è
un’antropologa mezza matta che ha studiato questi antichi miti).
Questi miti evocano una sorta di passato lontanissimo e questa sovrabbondanza
di riferimenti risultano quasi destabilizzanti all’interno del testo perché creano
netti contrasti tra di loro, non entrando mai in dialogo fra loro. Sfondando
ulteriormente la prospettiva temporale.

I vari personaggi attraversano diversi gruppi umani che incarnano diversi


atteggiamenti sia nei confronti della società organizzata ma anche nei confronti
del mondo naturale, diversi “esperimenti” di come gli uomini possano
organizzarsi tra di loro e di come possano gestire il rapporto con la natura.
Queste organizzazioni sociali possono essere proiettate tra la città e la
campagna (contrapposizione tra le 2).

Città di Stoccolma di Annie: come capitale da cui si irradia la modernità, le


innovazioni e in cui il legame con la natura è stato più reciso e il rapporto con
l’elemento naturale è diventato meramente utilitaristico.

Il villaggio in cui abitano la maggior parte dei protagonisti che è una riserva di
cultura contadina ancora esistente ma sulla soglia dell’estinzione. Da un lato
minacciata dalla modernità ma anche affascinata dalle comodità che la
modernità offre. L’intero villaggio viene colpito dall’avanzata
dell’industrializzazione (soprattutto industria del legname) e di nuovo questo
elemento è visto come un’azione distruttiva da alcuni elementi più
tradizionalisti del villaggio mentre la maggior parte dei restanti vede questa
modernità come nuova fonte di reddito.

La “setta” di Stjärnberg (il monte della stella) dove chi vi entra sceglie di vivere
a stretto contatto con la natura e Annie che è affascinata da questo stile di vita e
conoscendo la modernità più spinta (venendo da Stoccolma) decide di andare a
vivere li ma anche in questo caso il sogno di vita in armonia tra le persone e la
natura si rivela un’ennesima illusione (come pure il sogno di purezza etnica di
Johan).

Elementi naturali: Acqua e bosco come simboli centrali che cambiano


connotazione continuamente (da una parte l’acqua è l’elemento vitale,
purificatrice ma è anche un elemento distruttivo, è il luogo presso cui
avvengono gli omicidi ed è anche l’elemento che uccide Annie.
Dona fertilità ai campi ma molte zone intorno a questo fiume sono descritte
come paludi marce).
Il bosco è il simbolo della natura che viene distrutta dall’avidità umana ma è
anche il luogo di terrore che viene descritto nella prima parte del romanzo
quando Annie cerca la comune e si imbatte nei cadaveri il bosco viene descritto
come un luogo inospitale, pieno di animali pericolosi e di insetti fastidiosi.

Il romanzo è pieno di animali che vengono controllati/messi in gabbia


dall’uomo ma in un modo o nell’altro vengono liberati o riescono a liberarsi,
simbolo di questa natura che mira alla conservazione della vita, indifferente alla
violenza dell’uomo.

Il territorio disboscato nel romanzo viene chiamato semplicemte “Ytan” che


significa “zona/superficie” perdendo la classificazione di Habitat naturale.
McHale usa il termine “zona” per indicare un luogo in cui luoghi e tempi
diversi convivono (un esempio è la descrizione di Olso in Homo Falsus) che dà
luogo ad una sorta di dissoluzione allo spazio concreto.

Potrebbero piacerti anche