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LINEE GUIDA

PER LA CARBON FOOTPRINT


E LA WATER FOOTPRINT
NEL SETTORE VITIVINICOLO

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INDICE

LINEE GUIDA PER LA CARBON FOOTPRINT E LA WATER FOOTPRINT NEL SETTORE VITIVINICOLO ........... 1

1. INTRODUZIONE.............................................................................................................................. 3

2. CARBON FOOTPRINT, WATER FOOTPRINT E CICLO DI VITA DI PRODOTTO ..................... 4

3. PRODOTTI E GAS SERRA ............................................................................................................ 5

4. PRODOTTI E IMPATTI SULL’ACQUA .......................................................................................... 6

5. GLI STANDARD INTERNAZIONALI PER LA CARBON FOOTPRINT E LA WATER


FOOTPRINT DI PRODOTTO .............................................................................................................. 8

5.1 STANDARD PER LA CARBON FOOTPRINT .............................................................................. 8


5.2 STANDARD PER LA WATER FOOTPRINT ............................................................................... 12

6. APPLICAZIONI E OPPORTUNITÀ PER LE AZIENDE VITIVINICOLE ...................................... 15

7. MODALITÀ PER DETERMINARE LA FOOTPRINT .................................................................... 16

8. LA VERIFICA DELLA FOOTPRINT DI PRODOTTO ................................................................... 22

8.1 VERIFICA DELLA CARBON FOOTPRINT DI PRODOTTO ...................................................... 22


8.2 VERIFICA DELLA WATER FOOTPRINT DI PRODOTTO ......................................................... 23

9. L’UTILIZZO E LA COMUNICAZIONE DELLA FOOTPRINT DI PRODOTTO ............................ 24

10. GUIDA PER LE ORGANIZZAZIONI ........................................................................................... 27

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................. 30

GLOSSARIO ...................................................................................................................................... 33

ALLEGATO 1– FATTORI DI CARATTERIZZAZIONE DEI GAS A EFFETTO SERRA ................. 35

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1. INTRODUZIONE

Con il termine “footprint” si identifica l’impatto potenziale di un prodotto, valutato lungo


l’intero ciclo di vita, su una o più componenti ambientali. La presente guida analizza le due
tipologie di footprint attualmente più considerate perché legate agli effetti ambientali più
conosciuti e che hanno maggiore risalto a livello internazionale:
• La Carbon Footprint, che valuta le emissioni di gas serra.

• La Water Footprint, che valuta il consumo e la degradazione delle risorse idriche.

La Carbon e la Water Footprint di prodotto si stanno rapidamente diffondendo nel settore


vitivinicolo come strumenti di conoscenza e miglioramento, ma anche di comunicazione e
marketing.

Le aziende vitivinicole possono trarre utilità da tali strumenti che consentono di aumentare
l’efficienza dei processi produttivi, in termini di risparmio energetico, di risorse idriche e di
mezzi tecnici utilizzati, sia di conquistare nuove fette di mercato, attirando i clienti e i
consumatori più sensibili alla qualità ambientale dei propri vini.

Obiettivo di queste linee guida è fornire alle organizzazioni, operanti nel settore vitivinicolo,
che decidessero di intraprendere questo percorso, uno strumento per comprendere i
contenuti e i campi d’applicazione della Carbon e Water Footprint di prodotto e le modalità
di verifica e certificazione.

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2. CARBON FOOTPRINT, WATER FOOTPRINT E CICLO DI VITA DI
PRODOTTO

Tutti i prodotti quotidianamente utilizzati, incluso il vino, generano impatti ambientali lungo
il loro ciclo di vita, ovvero durante l’estrazione delle materie prime, la produzione, il
trasporto e nella maggior parte dei casi anche durante l’utilizzo e il trattamento del
prodotto a fine vita. La metodologia per la quantificazione degli impatti ambientali dei
prodotti, ormai consolidata a livello internazionale è il Life Cycle Assessment (LCA). Il
metodo è standardizzato dalle norme ISO 14040 e ISO 14044.

Negli ultimi anni il progressivo risvolto internazionale nei confronti del cambiamento
climatico e la crescente consapevolezza del forte impatto che le attività umane hanno sullo
sfruttamento delle risorse idriche, hanno determinato la nascita di metodologie, standard e
iniziative focalizzate specificatamente sulle emissioni di gas serra (in inglese GHG,
Greenhouse Gas) o sugli impatti legati alla risorsa acqua. In entrambi i casi queste
iniziative, che prendono in considerazione il ciclo di vita del prodotto, restringono l’analisi
ai parametri d’interesse per i gas serra e le risorse idriche.

L’insieme delle emissioni di gas serra (CO2, CH4, Ossido nitroso N2O, Idrofluorocarburi
HFCs, Perfluorocarburi PFCs e Esafloruro di zolfo SF, vedi allegato 1) del ciclo vita,
attribuibili a un’ organizzazione o un prodotto sono denominati Carbon Footprint (CF
letteralmente impronta di carbonio) .La CF è un indicatore espresso in kg di potenziale di
riscaldamento globale in un periodo definito, solitamente 100 anni (es. Global Warming
Potential – GWP 100) e viene espresso in kg di CO2 equivalenti.

L’insieme degli impatti sulle risorse idriche generati da un prodotto, o un’organizzazione,


durante il suo ciclo di vita è denominato invece Water Footprint (WF). L’impronta idrica è
un indicatore del consumo di acqua dolce che include sia l’uso diretto che indiretto di
acqua da parte di un’azienda produttrice. L’impronta idrica di un prodotto, processo o
organizzazione è definita come un sistema di misura che quantifica gli impatti ambientali
potenziali legati all’acqua.

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3. PRODOTTI E GAS SERRA

L’attività umana è causa di diverse categorie di carico ambientale e l’emissione di gas in


atmosfera costituisce uno degli aspetti più importanti. I processi produttivi emettono una
miscela di gas climalteranti, molto pericolosi per l’equilibrio climatico, che sono conosciuti
dall’opinione pubblica come “gas ad effetto serra” GHG (GreenHouse Gases). Il gas ad
effetto serra più conosciuto è l’anidride carbonica.

Le emissioni di anidride carbonica (CO2) provengono principalmente dai combustibili fossili


utilizzati come fonte energetica nella produzione di elettricità e calore, nei trasporti e nelle
attività agricole ed industriali. Una quota significativa di emissioni è causata anche dalle
variazioni nell’uso del suolo, legate soprattutto alla progressiva deforestazione causata
dalla richiesta di superfici coltivate per la produzione di materie prime agricole. Le
emissioni di metano in atmosfera (CH4), oltre che connesse all’utilizzo del gas naturale,
sono generate dagli allevamenti e dal trattamento dei rifiuti, in particolare dal rilascio di
biogas nelle discariche. Il protossido di azoto (N2O) è prodotto principalmente dall’uso dei
fertilizzanti azotati in agricoltura mentre altri gas (HFC, PFC, SF6, etc.) derivano da
specifici processi industriali. Le emissioni di metano, N2O e fluorocarburi, per il ciclo di vita
di alcuni prodotti, possono divenire molto significative nel calcolo della Carbon Footprint in
quanto il loro effetto sul cambiamento climatico (GWP - Global Warming Potentials) è
assai maggiore, per unità di massa, di quello della CO2.

Di seguito una tabella realizzata dall‘ IPCC (Gruppo intergovernativo per il cambiamento
climatico) indicante i valori GWP dei gas serra a seconda della loro durata di vita in
atmosfera.

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4. PRODOTTI E IMPATTI SULL’ACQUA

Durante i processi produttivi le attività umane consumano e deteriorano le risorse idriche.

Anche la WF, come la CF, applica un approccio “Life Cycle” concentrando l’attenzione
sulla risorsa acqua come indicatore in grado di valutare le prestazione ambientale dei
processi produttivi e dei prodotti.

Riguardo le questioni ambientali, negli ultimi decenni, oltre alle emissioni in atmosfera che
hanno destato l’attenzione di scienziati e studiosi, prima, e dell’opinione pubblica poi,
anche l’acqua, bene fondamentale per la vita, sta divenendo sempre più oggetto di studio
per il suo uso insostenibile dal punto di vista qualitativo e quantitativo. La risorsa acqua,
quale bene limitato, inizia a scarseggiare in molte aree del mondo causando profondi
squilibri e tensioni internazionali.

Per raggiungere l’obiettivo di una corretta gestione di tale risorsa, una delle strade
percorribili potrebbe essere quella di adottare sistemi, quanto più scientifici possibile, nel
gestire e organizzare le varie operazioni produttive.

Ciò significa, in prima battuta, raccogliere dati, conoscere a fondo la correlazione tra il
proprio sistema produttivo e il volume d’acqua necessario, studiandone le interazioni e
individuandone i punti deboli, così da poterli migliorare, e i punti di forza da valorizzare.

In quest’ottica, esiste uno strumento pratico molto utile a questo scopo, al pari di quanto la
Carbon Footprint fa con le emissioni in atmosfera: la Water Footprint è la tipologia di
approccio analitico che, con la medesima impostazione di tipo “Life Cycle”, garantisce una
solida base metodologica e consente di acquisire tutti i dati e le conoscenze necessarie a
rendere il processo produttivo più efficiente riguardo alle risorse idriche impiegate.
In figura 1 è rappresentata la Water Footprint pro capite dei diversi Paesi del mondo nel
periodo 1996-2005, determinata secondo l’approccio del Water Footprint Assessment
Manual. Durante questo periodo la Water Footprint media globale legata al consumo è
stata di 1385 m3/anno pro capite. Il consumo di prodotti legati al settore agricolo ha
contribuito per il 92%, mentre il consumo di prodotti industriali e l’uso domestico hanno
contribuito rispettivamente per il 4,7% e il 3,8%.

(fonte: www.waterfootprint.org).

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Fig. 1: Water Footprint media pro capite nel periodo 1996-2005 – Fonte: Water Footprint Network
(www.waterfootprint.org

Esistono forti disparità nelle Water Footprint dei diversi paesi. Negli Stati Uniti d’America,
per esempio, la Water Footprint media è stata pari a 2842 m3/anno pro capite, in Cina è
stata pari a 1071 m3/anno pro capite. L’Italia, con un consumo pro capite di 2303
m3/anno, è stato uno dei paesi con la più elevata Water Footprint.

La richiesta d’acqua nel mondo continua ad aumentare e questo ha delle conseguenze


sugli equilibri degli ecosistemi.

Un sempre crescente numero di corsi d’acqua, infatti, scorre con una portata inferiore a
quella minima, vale a dire quella portata che garantisce la salvaguardia delle
caratteristiche fisiche (morfologiche, idrologiche, idrauliche), delle caratteristiche chimico-
fisiche (qualità delle acque), e delle biocenosi (popolazioni animali, vegetali e microbiche)
tipiche delle comunità naturali. Alcuni corsi d’acqua si sono del tutto prosciugati, e spesso
anche le falde acquifere vengono sfruttate in modo insostenibile, andando ad intaccare la
parte di risorse non rinnovabili.

Anche il rilascio di sostanze inquinanti negli scarichi dei processi produttivi genera impatti
significativi sulle risorse idriche, causandone la degradazione dei parametri di qualità
l’eutrofizzazione e l’ecotossicità.

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5. GLI STANDARD INTERNAZIONALI PER LA CARBON FOOTPRINT E
LA WATER FOOTPRINT DI PRODOTTO

I limiti posti alla crescita continua dei consumi dalla limitatezza delle risorse e dalla
necessità di preservare una certa qualità dell’ambiente in cui viviamo ci impongono di
rivedere i nostri modelli di produzione.

Al fine di poter rivedere tali modelli, è però necessario conoscere quali siano gli effetti
ambientali ad essi connessi, onde poter identificare correttamente dove intervenire e poter
portare ad un beneficio.
Le valutazioni delle Carbon Footprint e Water Footprint di prodotto richiedono regole
metodologiche precise, utili per la modellazione dei sistemi produttivi e la raccolta ed
elaborazione dei dati. Nel corso degli anni più recenti, le principali esperienze di
applicazione e ricerca hanno condotto alla definizione di procedure standardizzate con
l’obiettivo di garantire coerenza, oggettività e autorevolezza scientifica agli studi di
footprint.

L’approccio metodologico LCA (ovvero un metodo di valutazione e quantificazione degli


input, degli output e degli impatti ambientali potenziali lungo tutto il ciclo di vita di un
prodotto) su cui si basa l’analisi degli indicatori ambientali come la Carbon e la Water
Footprint è normato a livello internazionale dalla ISO 14044 Environmental management -
Life cycle assessment - Requirements and guidelines. La ISO 14044, per tutti gli indicatori
presi in considerazione, fornisce un’indicazione sia sugli obiettivi e il campo d’applicazione
che sugli aspetti ad essi collegati come ad esempio unità funzionale, confini del sistema,
qualità dei dati, allocazioni.

5.1 STANDARD PER LA CARBON FOOTPRINT


Gli standard considerati in questa guida che trattano nello specifico la Carbon Footprint di
prodotto sono:
• ISO/TS 14067 – Carbon Footprint of products – Requirements and guidelines for
quantification and communication.
• PAS 2050:2011 - Specification for the assessment of the life cycle greenhouse gas
emissions of goods and services.
• WBCSD/WRI GHG Protocol Initiative Product Life Cycle Accounting and Reporting
Standard - November 2011.

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La ISO/TS 14067 è sviluppata all’interno del TC207-SC7, secondo le
procedure stabilite dall’organismo ISO stesso e dai membri partecipanti.
In linea con la definizione della norma possiamo descrivere la Carbon
Footprint di prodotto come la somma delle emissioni, e rimozioni, di gas
serra che un prodotto genera lungo il suo ciclo di vita comprendente
acquisizione delle materie prime, produzione, uso ed eventualmente
operazioni di fine vita. Lo studio della CFP consente di quantificare tali
emissioni in termini di CO2 equivalente.

La norma specifica i principi, i requisiti e le linee guida per la


quantificazione e la comunicazione delle emissioni di anidride carbonica
di un prodotto. E’ basata su standard internazionali per la valutazione
del ciclo di vita e su standard internazionali per la classificazione e
descrizione delle Etichette e Dichiarazioni Ambientali di tipo III(ISO
14025)

La ISO/TS 14067 è suddiviso in due sezioni principali che trattano rispettivamente:

• le regole per la quantificazione delle emissioni,

• gli aspetti di comunicazione al fine di assicurare comparabilità e trasparenza.

La ISO/TS 14067 mira a fornire requisiti chiari e coerenti per quantificare, monitorare,
comunicare e verificare la Carbon Footprint di prodotto, indirizzandosi ad un’ampia gamma
di utilizzatori: organizzazioni, governi e proponenti di progetti. Nello specifico, l’uso della
norma permette di:

• Supportare la creazione di procedure efficienti e coerenti per fornire informazioni


sulla Carbon Footprint alle parti interessate.

• Fornire una migliore comprensione degli aspetti della Carbon Footprint in modo che
possano essere identificate opportunità di riduzione delle emissioni di gas serra.

• Incoraggiare cambiamenti nel comportamento dei consumatori, tali da contribuire a


ridurre le emissioni di gas serra, ad esempio mediante decisioni più consapevoli
sulle scelte delle materie prime.
• Assicurare una comunicazione della Carbon Footprint corretta e comparabile
all’interno di un mercato libero e accessibile.

• Aumentare credibilità, coerenza e trasparenza nella quantificazione e


comunicazione delle emissioni di gas serra dei prodotti.

• Promuovere il miglioramento continuo facilitando la valutazione di prodotti,


processi, materiali e fornitori alternativi sulla base del metodo LCA, utilizzando la
categoria d’impatto del cambiamento climatico.

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• Facilitare lo sviluppo di strategie di gestione dei gas serra lungo il ciclo di vita dei
prodotti, favorendo il monitoraggio delle prestazioni e delle riduzioni ottenute nel
tempo.

La norma riporta anche, nel caso si voglia procedere con la comunicazione attraverso
un’etichetta o una dichiarazione destinate ad essere a disposizione del pubblico,
indicazioni per lo sviluppo delle PCR (Product category rules) da parte di un programme
operator in accordo con la ISO 14025, o per l’adozione di PCR già sviluppate con queste
modalità.

La ISO/TS 14067, in accordo con l’approccio ISO, fornisce principi e


indicazioni applicative, senza fornire una normazione di dettaglio ed
esempi sui singoli casi, come invece viene fatto dagli altri standard e
soprattutto dal GHG Protocol.
Il PAS 2050 (Publicly Available Specification) è stato pubblicato nel
Regno Unito dal BSI (British Standard Institute) con la collaborazione
tecnica di The Carbon Trust e il sostegno del Governo (DEFRA –
Department for Environment, Food and Rural Affairs).

PAS 2050 è una specifica pubblicamente disponibile che fornisce un metodo per la
valutazione del ciclo di vita delle emissioni dei gas a effetto serra , di prodotti e servizi.

Lo standard è volontario e ha i seguenti obiettivi per le aziende produttrici:

• permettere una valutazione interna delle emissioni di gas serra lungo la catena di
fornitura;

• facilitare la valutazione di alternative di prodotto, processi e materie prime in termini


di emissioni di gas serra;

• fornire un parametro di confronto per i programmi aziendali volti alla riduzione delle
emissioni di gas serra nel tempo;

• permettere una comparazione fra prodotti utilizzando un approccio comune,


riconosciuto e standardizzato per valutare le emissioni lungo la catena di fornitura
del prodotto;

per i consumatori:

• fornire una base comune affinché i risultati della valutazione delle emissioni di gas
serra, associate ai prodotti, possano essere comunicate alle parti interessate;

• fornire l’opportunità per una migliore comprensione da parte del consumatore delle
implicazioni relative ai gas serra determinate dalle scelte d’acquisto e fornire

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incentivi a modificare queste scelte sulla base delle informazioni associate alla
Carbon Footprint.

Il PAS 2050 si può applicare a tutti i prodotti (merci e servizi) di ogni settore e dimensioni.
Lo standard, composto da un documento con i requisiti e da una guida applicativa è
basato sulla ISO 14044, con la precisazione che in caso di difformità fra requisito ISO e
requisito PAS, quest’ultimo ha validità. È il caso ad esempio delle regole d’allocazione,
che nel PAS devono essere condotte su base economica mentre la ISO 14044 privilegia
l’allocazione su parametri fisici.

Gli sviluppatori dello standard aspirano a un’armonizzazione con analoghe iniziative


internazionali. The Carbon Trust è uno dei membri dello Steering Group del GHG Protocol
del WBCSD/WRI.

Il GHG Protocol è un’iniziativa coordinata dal World Resources


Institute (WRI), organizzazione non governativa di Washington DC e dal
World Business Council for Sustainable Development (WBCSD),
associazione di Ginevra che comprende oltre duecento imprese
multinazionali. Il GHG Protocol è sviluppato in cooperazione con diversi
partner del settore industriale, governativo e non governativo, attraverso
gruppi di lavoro tecnici, procedure di consultazione delle parti
interessate e applicazioni pilota presso industrie selezionate.

Obiettivo primario del GHG Protocol è favorire la divulgazione pubblica di informazioni


sulle emissioni di gas serra generate dal ciclo di vita dei prodotti, per aiutare i destinatari a
ridurre le emissioni per mezzo di scelte consapevoli. Lo standard supporta vari obiettivi
industriali, fra i quali l’identificazione delle opportunità di riduzione delle emissioni lungo la
catena di fornitura, il monitoraggio dei miglioramenti nel tempo, l’individuazione di rischi
associati alle emissioni di gas serra nel ciclo di vita dei prodotti. Rispetto al PAS 2050, il
GHG Protocol approfondisce più significativamente l’aspetto del reporting, fornendo regole
e modelli di dettaglio per la presentazione dei risultati della Carbon Footprint.

Il GHG Protocol è applicabile a prodotti di tutti i settori ed a organizzazione di tutte le


dimensioni.
Per lo sviluppo del metodo di calcolo e il reporting delle informazioni, il GHG Protocol
prende in considerazione la ISO 14044 e, dove applicabili, anche la ISO 14025:2006
Environmental labels and declarations — Type III environmental declarations — Principles
and procedures e la ISO 14064-1:2006 Greenhouse gases – Part 1: Specification with
guidance at the organization level for quantification and reporting of greenhouse gas
emissions and removals.

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5.2 STANDARD PER LA WATER FOOTPRINT
Gli standard considerati nella presente guida che trattano nello specifico la Water Footprint
di prodotto sono:
1. ISO 14046 – ENVIRONMENTAL MANAGEMENT – WATER FOOTPRINT – PRINCIPLES,
REQUIREMENTS AND GUIDELINES, 2013.

2. THE WATER FOOTPRINT ASSESSMENT MANUAL (A.Y. HOEKSTRA ET AL), 2011.

La ISO 14046 è sviluppata all’interno del TC207-SC5, secondo le


procedure stabilite dall’organismo ISO stesso e dai membri partecipanti.

La norma nasce dall’esigenza di assicurare trasparenza, omogeneità e


credibilità nell’analisi della Water Footprint e nel reporting dei risultati.
Essa si applica a prodotti, processi e organizzazioni.

La WF, includendo sia l’utilizzo che l’inquinamento della risorsa lungo l’intero ciclo di vita,
si differenzia rispetto al tradizionale concetto di ‘consumo’, inteso come semplice prelievo,
infatti tale norma estende il campo di analisi della Water Footprint non solo ai prelievi di
risorse idriche, ma anche all’inquinamento delle acque generato dalle attività umane. La
norma introduce infatti due componenti nella valutazione della Water Footprint:

• la Water Availability Footprint, che tratta gli aspetti associati al consumo d’acqua
durante il ciclo di vita dei prodotti, in rapporto alla sua reale disponibilità.
• La Water Degradation Footprint, che riguarda il rilascio di sostanze inquinanti nelle
acque di scarico e i potenziali impatti conseguenti.

La metodologia di calcolo della ISO 14046, nel caso di applicazione ai prodotti, si fonda
sui requisiti analoghi della ISO 14044. Esistono differenti livelli d’analisi della Water
Footprint:
• la Water Footprint inventory analysis corrisponde alla fase d’inventario della ISO
14044 e implica una quantificazione dei flussi legati al prelievo, consumo e agli
scarichi in acqua lungo il ciclo di vita del prodotto.
• La Water Footprint impact assessment, sulla base dei risultati dell’inventario,
prevede la fase successiva di valutazione degli impatti sul consumo e sulla
degradazione della risorsa.
A sua volta la fase di impact assessment può essere limitata a singole categorie di impatto
(esempio water eutrophication o water scarcity) oppure considerare l’insieme completo
degli aspetti ambientali relativi sia ai consumi che agli effetti sulla salute umana e gli
ecosistemi. Nel primo caso il risultato dell’analisi è un indicatore singolo, nel secondo caso
(comprehensive water footprint assessment) si ottiene un profilo comprendente diversi
indicatori.

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Il termine Water Footprint può essere utilizzato solo per la comprehensive water footprint
assessment. Nel caso di valutazione di singole categorie d’impatto occorre utilizzare nella
definizione un aggettivo qualificativo che specifichi la categoria presa in considerazione
(esempio water availability footprint e water eutrophication footprint). Se l’analisi si limita
all’inventario deve essere utilizzato il termine water footprint inventory.

Il Water Footprint Assessment Manual rappresenta una


versione aggiornata, revisionata ed approfondita del manuale
pubblicato in origine nel 2009 dal Water Footprint Network
(www.waterfootprint.org). La nuova edizione è il risultato di
un’intensa consultazione con partners e ricercatori di tutto il
mondo.

Questo manuale viene definito uno strumento analitico che può aiutare a comprendere
come le attività e i prodotti siano connessi alla scarsità e all’inquinamento dell’acqua, e
cosa può essere fatto per assicurarsi che le attività e i prodotti, durante il loro ciclo di vita,
utilizzino le risorse d’acqua dolce in modo sostenibile. Esso rappresenta un utile strumento
rivolto ai consumatori, i produttori, gli investitori e i governi per comprendere quanto le loro
scelte o azioni pesino sull’ambiente e per aiutarli a compiere scelte più responsabili.
Questo standard distingue tre tipologie di Water Footprint: la Blue Water Footprint
(impronta d’acqua blu), la Green Water Footprint (impronta d’acqua verde), e la Grey
Water Footprint (impronta d’acqua grigia).

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La Blue Water Footprint è la quantità d’acqua dolce prelevata da bacini
acquiferi (acque superficiali e falde) che non torna a valle del processo
produttivo nel medesimo punto in cui è stata captata o vi torna ma in tempi
diversi.

La Green Water Footprint si riferisce al volume di precipitazioni che non


vengono lisciviate o ricaricano la falda, ma rimangono temporaneamente
immagazzinate nel terreno o assorbite dalla vegetazione.

La Grey Water Footprint è un indicatore del grado di inquinamento dell’acqua


che può essere associato al prodotto o processo. Essa è definita come il
volume d’acqua dolce necessario per assimilare il carico di inquinanti
prodotto, ossia il volume d’acqua dolce necessario per diluire gli inquinanti
fino a rispettare limiti di concentrazione posti dagli standard di qualità.

Per ciascuna tipologia, lo standard fornisce informazioni dettagliate riguardanti le modalità


di calcolo in diversi casi: l’analisi di un prodotto, di un consumatore o un gruppo di
consumatori, di un’area geografica, di una nazione, di un bacino idrografico, di un’unità
amministrativa (regione, provincia).

Lo standard, infine, suggerisce una serie di opzioni disponibili ai consumatori, produttori,


investitori e governi per ridurre la Water Footprint e mitigare gli impatti.

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6. APPLICAZIONI E OPPORTUNITÀ PER LE AZIENDE VITIVINICOLE

Sia la Carbon che la Water Footprint non esprimono un profilo ambientale complessivo dei
prodotti, ma si focalizzano su un effetto ambientale specifico. Tuttavia, questi due
indicatori si stanno affermando perché presentano una maggiore facilità di comunicazione
alle parti interessate e di comprensione da parte del mercato, rispetto a profili con più
indicatori. La Carbon Footprint e la Water Footprint sono infatti utilizzati dalle aziende, non
solo per dimostrare il miglioramento delle prestazioni ambientali, ma anche come
strumenti di marketing, per promuovere la sostenibilità dei loro prodotti.

Infatti la valutazione di impatti ambientali, la loro riduzione attraverso un approccio


agronomico, e la conseguente valorizzazione attraverso approcci certificativi può
rappresentare per il sistema agricolo e per le aziende in generale un ottimo strumento
anche a livello commerciale.

In sintesi si può affermare che questo tipo di studi a livello aziendale, in un’ottica sempre
crescente di sviluppo sostenibile, sono:

• validi strumenti per raggiungere un maggiore controllo delle prestazioni ambientali


di un prodotto e/o processo;

• indicatori sintetici per il raggiungimento di obiettivi ambientali;

• opportunità per promuovere l’immagine aziendale verso il mercato;

• validi mezzi per ridurre i costi di gestione e produzione;

• validi strumenti per la definizione delle strategie di business in termini di


progettazione del prodotto e/o processi alternativi e più sostenibili.

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7. MODALITÀ PER DETERMINARE LA FOOTPRINT

La modalità applicative della Carbon Footprint e della Water Footprint di prodotto sono
dettagliate nei requisiti dei relativi standard. Le organizzazioni devono soddisfare tutti i
requisiti dello standard prescelto e mantenere traccia delle fonti informative e delle
elaborazioni effettuate per calcolare la footprint.

In questa sezione vengono presentate le fasi generali di un procedimento di valutazione


della footprint di prodotto, rimandando agli standard specifici per le regole metodologiche
di dettaglio.

CARBON FOOTPRINT DI PRODOTTO

I risultati di una CF vengono espressi in grammi o chilogrammi di CO2 equivalente.


L’evidenza scientifica suggerisce come vi sia un legame intrinseco tra il clima in cui le uve
vengono coltivate e la loro qualità: a conseguenza di ciò, il settore vitivinicolo è
particolarmente vulnerabile nei confronti dei cambiamenti climatici (Christ e Burritt, 2013).
Pertanto, dotarsi di strumenti per il miglioramento della propria performance ambientale, e
nello specifico adottare schemi di contabilità delle emissioni di gas climalteranti come la
CF, permette alle aziende del mondo del vino di dare il proprio contributo attivo verso una
società meno impattante sull’ambiente.

Da ricerche bibliografiche effettuate, si stima che per ogni bottiglia di vino standard (in
vetro, da 0.75 L) finiscano in atmosfera tra 0.41 e 1.6 Kg di CO2/Eq. (Christ e Burritt,
2013).

Una recente indagine della Commissione Europea, condotta su più di 26.000 cittadini
europei, evidenzia come l’80% degli intervistati riconosca nella sostenibilità ambientale, e
quindi anche nella CF, un elemento importante nella decisione d’acquisto di un prodotto e
circa il 50% consideri le etichette ambientali quale pratico strumento di scelta. Il dato più
interessante di quest’indagine, tuttavia, è che ben il 72% sarebbe favorevole a rendere
obbligatoria l’introduzione di un’etichetta che indichi la Carbon Footprint di un prodotto
(Pattara et al., 2012).

La stessa Commissione Europea, inoltre, sta lavorando da anni alla definizione di un


metodo univoco e standardizzato per la definizione degli “eco-profili” dei prodotti e delle
aziende. Infatti, nell’ambito dell’iniziativa “Single Market For Green Products”, intende
definire la Product Environmental Footprint (PEF), così come la Organization
Environmental Footprint (OEF). Entrambi questi elementi potrebbero costituire l’ossatura
di una concreta politica di analisi degli impatti ambientali rivolta a prodotti ed aziende in
ambito europeo. Fra gli indicatori previsti dall’OEF e PEF per il raggiungimento di questi

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obiettivi vi è anche la CF, quale indicazione di potenziale impatto ambientale sul
cambiamento climatico.

Prima di passare ad alcuni esempi applicativi della CF, si ritiene interessante sottolineare
che gli studi e le ricerche in questo campo permettono, altresì, di individuare quali siano le
fasi del processo di produzione più impattanti in termini di emissioni in atmosfera. Le
ricerche sulla CF del vino, infatti, dimostrano che le attività in vigneto, il packaging ed il
“fine vita” (ciò che accade alla confezione una volta che il vino è stato consumato) sono i
tre elementi che incidono di più nella CF, rispettivamente per il 17%, 22% e 22%. Bosco et
al., (2011) ha condotto una ricerca per meglio comprendere l’emissione di gas serra
durante la fase agricola della produzione vitivinicola. Questo studio s’inseriva in un
progetto più ampio, il “Carbon Label Project”, svolto per l’analisi della catena produttiva del
settore nella Maremma toscana: l’obiettivo era proprio lo studio della CF per la
predisposizione di una specifica etichetta verde. Questa ricerca s’è concentrata su 4
differenti vini: le loro emissioni in atmosfera hanno registrato un valore minimo di 0.6 fino
ad uno massimo di 1.3 Kg di CO2/Eq. A conferma del dato riportato prima, anche questa
ricerca conferma che la fase di vigneto incida per un 22% sul totale delle emissioni
prodotte mentre l’impatto maggiore, qui, è determinato dal processo di produzione del
vetro per la bottiglia.

Allo stato attuale, la ricerca in questo campo suggerisce che gli impatti più elevati delle
pratiche agricole convenzionali siano determinate da un maggior uso di pesticidi e
fertilizzanti di sintesi.

Fornendo alcuni esempi di applicazione di CF, si riporta il caso di CIV&CIV che, nel 2008,
tra i primi nel mondo del vino, ha condotto uno studio sugli impatti ambientali del processo
di produzione di un vino (Lambrusco Grasparossa DOC Righi) ottenendo l’etichetta
ambientale EPD (Environmental Product Declaration) e la relativa CF (Rugani et al.,
2013). Occorre precisare che l’EPD è uno studio più ampio e che include la CF in quanto
ne rappresenta uno degli indicatori obbligatori. Un’azienda che intende dotarsi di un’EPD,
essenzialmente lo fa per comunicare al mercato il proprio impegno per l’ambiente. L’EPD
è un’etichetta ambientale volontaria del III tipo e di respiro internazionale.

Altri studi dimostrano come la CF, per chiarezza ed immediatezza del messaggio
veicolato, contribuisca a migliorare il brand e fornisca un elemento di differenziazione
rispetto ai concorrenti. Ciò offre al consumatore un fattore di giudizio positivo all’atto
d’acquisto di una bottiglia di vino e gli permette di ridurre il tempo della scelta (Rugani et
al., 2013). In questo modo, il consumatore, sempre più attento e sensibile alle tematiche
green, riesce velocemente ad identificare i vini di aziende attente al proprio rapporto con
l’ambiente.

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Benedetto (2013) ha condotto una ricerca su un vino bianco della Sardegna per valutarne
proprio l’impatto ambientale, utilizzando la CF. L’obiettivo è stato quello di identificare i
passaggi del processo più impattanti ed energivori per un loro successivo miglioramento.
L’analisi ha mostrato che i principali elementi di criticità sono i combustili fossili nella fase
agricola e la produzione del vetro per le bottiglie nella fase di cantina. Per superare questi
punti critici l’autore suggerisce anche alcune soluzioni: uso di biofuels e l’adozione di
bottiglie più leggere, quindi con meno vetro, bottiglie in vetro riciclato o adottare sistemi di
packaging alternativi ma che assicurino, comunque, le stesse prestazioni.

Pattara et al. (2012), hanno applicato la metodologia LCA ad una cantina italiana, e nello
specifico hanno individuato l’unità oggetto di studio in una bottiglia da 0.75 L di
Montepulciano d’Abruzzo DOC, le cui uve sono state coltivate con metodo biologico. Dai
risultati, emerge come questa sia un valido strumento di marketing per l’azienda dal
momento che la CF si concentra su un singolo indicatore (il riscaldamento globale),
argomento che garantisce un’attenzione elevata da parte del consumatore.

Anche in altre parti d’Italia, altre aziende hanno sviluppato virtuosi programmi sulla
sostenibilità in vitivinicoltura. È il caso del progetto “Salcheto Carbon Free”, dell’omonima
cantina della zona di Montepulciano (Si), pioniera in Italia e nel mondo di queste analisi,
che ha adottato, tra gli altri, lo strumento della CF per controllare energia e materia
direttamente ed indirettamente consumate lungo il processo di produzione e ridurre le
emissioni di gas climalteranti connesse.

Anche la Vernaccia di San Gimignano è stata sottoposta ad analisi. Il Consorzio della


Denominazione “San Gimignano”, infatti, ha recentemente promosso un progetto per
misurare le emissioni di gas serra in atmosfera generate nei vari processi del ciclo di vita
di una bottiglia di questo vino allo scopo di valorizzare i 50 anni dalla sua DOC.

18
Analisi Ciclo di Vita – San Gimignano

Fase 1 Viticoltura

Comprende tutte le attività agricole a partire dall’impianto del vigneto e, a seguire, di


coltura, manutenzione e raccolta dell’uva. Nella cosiddetta fase di campo sarebbe
necessario includere nello studio anche lo scenario di fine vita del vigneto, cioè indagare
anche la dismissione dello stesso. In questa fase è stato contabilizzato, insieme alle
attività agricole, anche il trasporto delle uve in cantina.

Fase 2 Vinificazione

In questa fase si considera l’intero processo di trasformazione dell’uva in vino che avviene
in cantina. La vinificazione in “bianco” è caratterizzata da una pressatura soffice delle uve,
operazioni di chiarifica dei mosti e dei vini, raffreddamento del mosto fiore e fermentazione
a temperatura controllata. La maturazione e affinamento avvengono in serbatoi termo
condizionati di acciaio inox. In conformità al disciplinare, le operazioni di vinificazione
devono essere effettuate nell’ambito del territorio di San Gimignano.

Fase 3 Imbottigliamento

È la fase di confezionamento della bottiglia di vino (nello studio si sono considerate linee
automatizzate) e nella seguente sequenza:

• produzione delle bottiglie;


• risciacquo bottiglie con acqua e asciugatura mediante soffiatura;
• riempimento bottiglie;
• tappatura bottiglie;
• incapsulatura bottiglie;
• etichettatura bottiglie;
• posizionamento delle bottiglie in cartoni.

Il valore medio della Carbon Footprint di una bottiglia di Vernaccia di San Gimignano è di
0,90 Kg di Co2/Eq. ed alla luce di questi risultati le possibili scelte future di mitigazioni sono
state un packaging più leggero, l’uso di fonti rinnovabili per il fabbisogno energetico della
cantina e l’adozione di buone pratiche di campo che vanno verso la riduzione di
fertilizzanti e trattamenti chimici, come l’utilizzo del compost derivante dagli scarti delle
prime lavorazioni di cantina (raspi, vinacce) e il recupero dell’eccedenza dei trattamenti.

19
WATER FOOTPRINT DI PRODOTTO

Secondo la ISO 14046 la Water Footprint è valutata per tutte le attività e processi che
costituiscono il ciclo di vita del prodotto.

QUALCHE ESEMPIO

A livello mondiale, la WF ha riscontrato una buona diffusione in quanto costituisce una


tipologia di studio LCA semplificato e circoscritto ad un solo indicatore ambientale.

Ardente et al., già nel 2006 ha condotto uno studio di tipo LCA su una cantina siciliana
focalizzando l’attenzione su 3 soli indicatori ambientali, tra cui la WF. Questo studio aveva
l’obiettivo di definire una procedura innovativa per le etichette verdi e per la definizione
dell’eco-profilo dell’azienda indagata. I risultati hanno mostrato come l’acqua rappresenti
uno tra gli impatti diretti più alti. Questo tipo di studi permette di acquisire dati utili a
calibrare con molto più dettaglio i vari interventi in vigneto a tutto vantaggio delle aziende.
La moderna vitivinicoltura, con lo sviluppo dell’agricoltura di precisione, il calcolo della WF,
il progresso tecnologico e le conoscenze scientifiche, consentono di adottare sistemi
produttivi altamente più precisi e calibrati sulle reali necessità delle piante.

Inoltre, occorre sottolineare che spesso i dati necessari ad uno studio sulla WF sono già
quasi tutti presenti nella gestione dell’azienda agricola già quasi “pronti all’uso”.

Lamastra et al., 2014 ha indagato nuovi approcci migliorativi per il calcolo della WF nel
settore vino, sviluppando una ricerca in una cantina italiana: l’autore sottolinea come, nel
calcolo della WF, sia necessario tener conto anche degli elementi climatici propri del
luogo/cantina oggetto di studio. Anche questa ricerca, tuttavia, conferma che l’impatto
maggiore si ha per le operazioni in vigneto e sottolinea come, tuttavia, le caratteristiche di
ogni realtà produttiva determinino la WF di ciascuna azienda. Tra queste caratteristiche,
un ruolo fondamentale lo ricoprono sia la conformazione geografica e geologica
dell’ubicazione del vigneto, sia la vicinanza o meno e la sua relativa dimensione di un
corpo idrico recettore.

Anche il Ministero dell'Ambiente si sta impegnando nello sviluppo di progetti inerenti il


calcolo degli impatti ambientali. Nel 2011, infatti, ha avviato un progetto pilota per la
misura della performance di sostenibilità della filiera vite-vino, a partire dal calcolo delle
impronte dell'acqua e del carbonio. A tale progetto partecipano alcune importanti aziende
del panorama vitivinicolo italiano.

Sempre tramite il calcolo della WF, l’Università di Milano ha condotto uno studio per un
uso più sostenibile dell’acqua nella produzione di vino della zona di Ischia (Na). Con il
progetto VARIVI - Valorizzazione della Risorsa Idrica per la Viticoltura dell'isola di Ischia,
infatti, l’obiettivo è di introdurre operazioni innovative per l'ottimizzazione della gestione

20
delle risorse idriche della filiera vitivinicola della regione Campania con particolare
attenzione al consumatore finale. I dati ottenuti dal calcolo dell’impronta idrica (WF),
permetteranno ai curatori del progetto, di calibrare, dati alla mano, l’applicazione di
moderne tecniche di aridocoltura per il vigneto e l’individuazione di un metodo innovativo
per la valutazione degli stress idrici della vite. Questo progetto, intende inoltre diffondere
tra i consumatori una vera e propria cultura del consumo idrico attraverso la
comunicazione della WF all’interno di una etichetta appositamente predisposta.

Herath et al., 2013 effettuato il calcolo della WF utilizzando differenti metodi d’analisi e
confronto due diverse regioni della Nuova Zelanda tramite il calcolo della WF. Uno dei
principali obiettivi è stato quello di identificare il metodo di studio della WF che restituisse il
risultato più facilmente comprensibile ai vari operatori della filiera vino così da rendere
questo strumento il più pratico possibile per il miglioramento della performance ambientale
delle cantine.
Anche questa ricerca pare evidenziare l’importanza di acquisire anche dati di tipo
idrogeologico per ottenere un quadro completo e più utile per la definizione di piani di
miglioramento nell’uso dell’acqua.

21
8. LA VERIFICA DELLA FOOTPRINT DI PRODOTTO

Quando si comunicano i risultati della footprint di prodotto all’esterno, è opportuno che le


informazioni siano state verificate da un soggetto di parte terza indipendente e in
possesso delle qualifiche e competenze necessarie. Questa verifica certifica che i risultati
della footprint di prodotto sono risultati reali e oggettivi per il prodotto oggetto di
valutazione, calcolati in base a metodologie comprovate. La verifica aumenta di
conseguenza la credibilità aziendale e la fiducia negli utilizzatori delle informazioni, in
particolare quando è prevista una loro libera diffusione al pubblico. Gli standard
sottolineano l’opportunità di scegliere fra diversi livelli di verifica, raccomandando la
verifica di terza parte quando le informazioni sono destinate al consumatore finale.

È altresì indubbio che, a prescindere dai destinatari dello studio, la certificazione della
footprint di prodotto operata da una terza parte indipendente offre le migliori garanzie di
oggettività e credibilità dei risultati.

8.1 VERIFICA DELLA CARBON FOOTPRINT DI PRODOTTO

A) ISO/TS 14067
La norma ISO/TS 14067 richiede la verifica della Carbon Footprint, nel caso le
informazioni dello studio siano diffuse al pubblico. La procedura deve comprendere
una verifica di terza parte dello studio di footprint ed essere basata su una
quantificazione delle emissioni sottoposta a revisione critica esterna in accordo alla
14044:2006. Questi requisiti, inoltre, subiscono variazioni sulla base delle modalità
scelte dall’organizzazione per comunicare i risultati.

B) PAS 2050:2011

La verifica è svolta da un soggetto esterno all’organizzazione, che soddisfa requisiti


fissati in standard riconosciuti per gli organismi di certificazione (es. ISO/IEC 17021 o
EN 45011).

La verifica secondo il PAS 2050:2011 si concentra sul calcolo delle emissioni di gas
serra associate al ciclo di vita del prodotto. Vengono valutate la corretta definizione
del sistema, la procedura di raccolta dati, l’applicazione dei fattori d’emissione e dei
fattori di caratterizzazione delle sostanze climalteranti e l’attendibilità dei risultati
della Carbon Footprint.

La verifica secondo il PAS 2050:2011 non comprende le modalità di comunicazione


dei risultati, in quanto la norma non fissa requisiti in merito.

22
8.2 VERIFICA DELLA WATER FOOTPRINT DI PRODOTTO

A) ISO 14046
La norma raccomanda la revisione critica dei risultati di Water Footprint (critical
review) da parte di un esperto interno o esterno all’azienda. Si applicano le stesse
procedure e requisiti della ISO 14044. La revisione critica è soprattutto raccomandata
nel caso in cui i risultati dello studio siano comunicati ad una terza parte.

23
9. L’UTILIZZO E LA COMUNICAZIONE DELLA FOOTPRINT DI
PRODOTTO

Una prima distinzione può essere fatta fra la comunicazione di obiettivi interni ed esterni
all’organizzazione.
Un’organizzazione può applicare la footprint di prodotto esclusivamente per un uso
interno dei risultati, ad esempio per:

• valutare la qualità ambientale dei propri prodotti;

• identificare opportunità di riduzione delle emissioni di gas serra o degli impatti


sull’acqua lungo il ciclo vita del prodotto;

• valutare una diversificazione delle pratiche produttive;

• valutare i potenziali rischi generati da normative sui gas serra o le risorse


idriche e da fluttuazioni di costo e disponibilità di fonti energetiche e acqua;

• promuovere l'uso di tecnologie e soluzioni eco-compatibili.


In questi casi l’applicazione della footprint si limita alla fase di quantificazione;
successivamente possono essere attuate misure di riduzione delle emissioni e dei
consumi e nuovamente aggiornata la quantificazione, secondo il processo di
miglioramento continuo.

Per l’uso interno dei risultati, non vi sono particolari requisiti da soddisfare per le modalità
di comunicazione.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le organizzazioni che valutano la footprint hanno
obiettivi esterni, che prevedono la comunicazione dei risultati a destinatari terzi
rispetto all’azienda e di tipologia molto diversa. Esempi di obiettivi esterni sono:
• divulgare le prestazioni dei propri prodotti rispetto ai gas serra e all’uso
d’acqua nel tempo (performance tracking) e l’impegno dell’azienda contro il
cambiamento climatico e il depauperamento e degradazione delle risorse
idriche;
• fornire informazioni ai propri clienti o altre aziende coinvolte nella catena di
fornitura (comunicazione business-to-business B2B);
• fornire informazioni ai consumatori per influenzarne le scelte d’acquisto
(comunicazione business-to-consumer B2C).

In alcuni casi, la comunicazione esterna della Carbon o della Water Footprint consente di
effettuare comparazioni fra prodotti o sistemi equivalenti. Soprattutto quando questa è
rivolta al consumatore finale, la comunicazione può assumere diverse forme che
comportano requisiti molto precisi in termini di completezza, trasparenza e verifica.

24
La ISO/TS 14067 fornisce i riferimenti più esaustivi sul tema, individuando diverse
tipologie di comunicazione della Carbon Footprint cui corrispondono requisiti precisi. Ad
ogni percorso corrispondono requisiti di verifica differenti e sempre più restrittivi quanto più
i destinatari tendono a coincidere con il pubblico. Le modalità si applicano sia per studi di
footprint completi (cradle-to-grave) che parziali (cradle-to-gate, gate-to-gate), questi ultimi
soggetti ad alcune limitazioni e requisiti aggiuntivi ben identificati.

Il rapporto di studio della Carbon Footprint (CFP study report) documenta la


quantificazione delle emissioni di gas serra generate dal prodotto in accordo alla norma.
Nel caso l’organizzazione voglia comunicare i risultati al pubblico, il rapporto di studio deve
essere sottoposto a revisione critica in accordo alla ISO 14044.

La comunicazione dei risultati può essere interna all’azienda non disponibile al pubblico
(es. comunicazione B2B) oppure esterna e disponibile al pubblico (es. B2C, accessibile ai
consumatori).

Per la comunicazione esterna, la ISO/TS 14067 individua quattro modalità di diffusione dei
risultati:

• Rapporto di comunicazione esterna (CFP external communication report), ovvero


un approfondimento del rapporto di studio che deve presentare in modo più
dettagliato e trasparente come sono stati applicati i requisiti della norma e
quantificati i risultati.
• Rapporto di performance tracking (CFP performance tracking report) che ha una
struttura specifica che consente il confronto nel tempo fra le footprint della
medesima organizzazione.
• Etichetta (CFP label), regolata da un programma di rilascio e comunicazione ben
identificato, che prevede il rispetto di requisiti prestabiliti.
• Dichiarazione (CFP declaration), basata su programmi di comunicazione tipo III in
accordo alla ISO 14025.
Sono in principio ammesse anche asserzioni auto-dichiarate (CFP claims) in accordo alla
ISO 14021.
Nel caso la comunicazione sia disponibile al pubblico, la Carbon Footprint deve essere in
alternativa sottoposta a verifica di terza parte indipendente e corredata da un rapporto di
disclosure (CFP disclosure report) che deve soddisfare requisiti aggiuntivi di completezza
e trasparenza.

La ISO/TS 14067 sottolinea inoltre l’importanza di sviluppare delle Product Category Rules
(PCR), le quali fissano regole metodologiche uniformi per settori produttivi omogenei, con
l’obiettivo di rendere la comparazione più oggettiva.

25
La comunicazione della Carbon e della Water Footprint non deve implicare asserzioni
comparative, ovvero dichiarazioni esplicite in cui si afferma la migliore performance di un
prodotto rispetto ad un altro.

26
10. GUIDA PER LE ORGANIZZAZIONI

La Carbon Footprint e la Water Footprint di prodotto sono strumenti di grande potenzialità


per le organizzazioni che intendano conoscere il posizionamento dei propri prodotti sul
tema dei gas serra e del consumo e degradazione di risorse idriche, avviare programmi di
riduzione degli impatti e comunicare il proprio impegno a differenti parti interessate.

Si tratta inoltre di strumenti molto flessibili, in grado di soddisfare diversi obiettivi aziendali
e offrire numerose modalità di comunicazione. Rappresentano una risposta a numerosi
driver esterni e possono diventare fattori di competitività (figura 2).

Driver Risposte Motivazioni

Abbattere i costi legati


all’utilizzo delle risorse e
Rilevanza degli porre attenzi one verso le
Rischio
aspetti ambientali e problematiche ambientali
d’impresa
costo delle risorse

Carbon Accrescere l’immagine e il


Rischio
Attenzione pubblica footprint valore del proprio
sociale
marchio

Azienda

Obblighi normativi Sanzioni


Water Mitigare i rischi operativi
footprint e normativi

Pressioni dei
Competitività
mercati
Stare al passo con le
tendenze del mercato e
conquistare i clienti
attenti alla sostenibilità

Fig.2: Carbon Footprint e Water Footprint nelle strategie aziendali

Un percorso di applicazione della Carbon Footprint o della Water Footprint presenta


complessità diverse, che dipendono dagli obiettivi posti e dalle caratteristiche e
complessità del prodotto. Le aziende dovrebbero considerare le seguenti cinque regole
fondamentali:

1. stabilire obiettivi chiari;

2. scegliere lo standard più adatto;

3. non trascurare altri effetti ambientali;


4. valutare la footprint con rigore metodologico;

5. fornire informazioni verificate.

27
1 – Stabilire obiettivi chiari

Prima di iniziare uno studio, l’organizzazione dovrebbe stabilire chiaramente gli


obiettivi dell’analisi e l’uso che sarà fatto dei risultati. Questi dipenderanno sia
dalla tipologia di prodotti commercializzati dall’organizzazione sia dai destinatari
a cui si intende comunicare i risultati.

In generale, uno studio condotto per usi interni richiederà requisiti e impegno di
risorse diversi rispetto a uno studio comunicato ai consumatori per orientarne le
scelte d’acquisto.
2 – Scegliere lo standard più adatto

Definiti gli obiettivi, occorre scegliere lo standard più idoneo a supportare il


progetto. L’internazionalità e rappresentatività della ISO 14067 e della ISO 14046
le renderanno in futuro un riferimento privilegiato. Nel frattempo, sono disponibili
strumenti alternativi e in grado di soddisfare differenti esigenze.
3 – Non trascurare altri effetti ambientali

L’impatto di un prodotto sull’ambiente, in molte circostanze, non è dovuto solo


alle emissioni di gas serra o al consumo e degradazione di risorse idriche.
Prendendo decisioni basate solo su un tipo di impatto, si può correre il rischio di
aumentare l’effetto su altri problemi ambientali. Quando si effettua uno studio di
Carbon Footprint o Water Footprint di un prodotto, è opportuno acquisire
informazioni su altre categorie d’impatto eventualmente significative e nel caso
rendere disponibili informazioni complementari.
4 – Valutare la Carbon Footprint e la Water Footprint con rigore metodologico

Quale che sia lo standard scelto, il calcolo della Carbon Footprint e della Water
Footprint sono procedimenti articolati che richiedono conoscenza del metodo,
disponibilità di dati e pazienza. L’impegno e le risorse per portare avanti queste
due metodologie sono proporzionali alla complessità del prodotto o di particolari
settori produttivi. Occorre applicare le PCR (Product Category Rules) se
disponibili, o avviare il loro sviluppo per facilitare future analisi e migliorare la
qualità e comparabilità dei risultati.

L’organizzazione può sviluppare lo studio al proprio interno con risorse


opportunamente dedicate o avvalersi di consulenti esterni. In questo caso è
opportuno ricorrere a professionalità che abbiano una solida esperienza nella
valutazione del ciclo di vita dei prodotti.

L’organizzazione dovrà inoltre prevedere adeguate risorse per la


caratterizzazione dei dati. Per i dati primari saranno necessarie misure dirette sui
processi produttivi sotto il controllo dell’organizzazione e procedure per la loro

28
raccolta, documentazione e aggiornamento. Per i dati secondari e l’elaborazione
degli studi l’organizzazione dovrà dotarsi di banche dati internazionali di LCA e
modelli di calcolo fra quelli più diffusi sul mercato.
5 – Fornire informazioni verificate

Quando si comunicano i risultati dello studio all’esterno, è opportuno che le


informazioni siano state verificate da un soggetto indipendente e in possesso
delle qualifiche e competenze necessarie. Il percorso di implementazione della
footprint richiede l’impiego di risorse e il coinvolgimento di diverse funzioni
aziendali. I tempi di completamento medi sono di circa 6-12 mesi, anche a
seconda della complessità dei sistemi studiati. Nello schema seguente (figura 5)
vengono riportate le fasi esemplificative del processo di implementazione
all’interno di un’azienda, i tempi previsti e le funzioni aziendali coinvolte.

FUNZIONI AZIENDA LI
PERCORSO RISORSE
COINVOLTE

Definire il prodotto oggetto della Direzione Generale e


footprint sostenibilità
1 mese

Definire i confini del sistema


Sostenibilità e
(attività e processi coinvolti) in
processi
accordo con lo standard scelto
4 mesi uomo di una
risorsa junior

Implementare un sistema di
2-5 mesi

raccolta e aggiornamento dei dati


Sostenibilità,
processi, ricerca e
sviluppo, acquisti 0,5 mesi uomo complessivi
per le diverse funzioni
Dotarsi di un sistema di calcolo
coinvolte

Calcolare la footprint e Sostenibilità e


2-3 mesi

interpretare i risultati processi


2 mesi uomo di un
esperto LCA interno o
da supporto esterno
Sostenibilità e
Elaborare il rapporto dello studio
comunicazione

Direzione Generale,
Sottoporre la footprint a verifica processi,
1-2 mesi

sostenibilità
ENTE DI
CERTIFICAZIONE
Sostenibilità,
Comunicare i risultati comunicazione e
marketing

Fig.3: fasi per l’implementazione della footprint (le tempistiche sono puramente indicative)

29
BIBLIOGRAFIA

STANDARD

ISO 14044:2006 Environmental management - Life cycle assessment - Requirements and


guidelines

ISO 14021:1999 Environmental labels and declarations – Self-declared environmental


claims (Type II environmental labelling)

ISO 14024:1999 Environmental labels and declarations – Type I environmental labelling –


Principles and procedures

ISO 14025:2006 Environmental labels and declarations – Type III environmental


declarations – Principles and procedures

ISO/DIS 14046 - 2013 - Environmental management – Water Footprint – Principles,


requirements and guidelines

ISO 14064-1:2006 Greenhouse gases – Part 1: Specification with guidance at the


organization level for quantification and reporting of greenhouse gas emissions and
removals

ISO 14064-2:2006 Greenhouse gases – Part 2 : Specification with guidance at the project
level for quantification, monitoring and reporting of greenhouse gas emission reductions or
removal enhancements

ISO 14064-3:2006 Greenhouse gases – Part 3 : Specification with guidance for the
validation and verification of greenhouse gas assertions

ISO 14065:2007 Greenhouse gases – Requirements for greenhouse gas validation and
verification bodies for use in accreditation or other forms of recognition
ISO/CD 14066 Greenhouse gases – Competency requirements for greenhouse gas
validators and verifiers document

ISO/TS 14067 Carbon Footprint of products – Requirements and guidelines for


quantification and communication

PAS 2050:2011 – Specification for the assessment of the life cycle greenhouse gas
emissions of goods and services. BSI, Carbon Trust and Defra

PAS 2060:2010 – Specification for the demonstration of carbon neutrality. BSI

WBCSD/WRI: GHG Protocol Initative – Product Life Cycle Accounting and Reporting
Standard – Draft for stakeholder review, November 2010

The Water Footprint Assesment Manual – Setting the Global Standard, Arjen Y. Hoekstra
et al., 2011

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Benedetto G. 2013. The environmental impact of a Sardinian wine by partial Life Cycle
Assessment. Wine Economics and Policy, 2: 33 – 41

Bosco S., Di Bene C., Galli M., Remorini D., Massai R., Bonari E. 2011. Greenhouse gas
emissions in the agricultural phase of wine production in the Maremma rural district in
Tuscany, Italy. Italian Journal of Agronomy, volume 6:e15

Christ K.L., Burritt R.L. 2013. Critical environmental concerns in wine production: an
integrative review. Journal of Cleaner Production, 53: 232-242. DOI:
10.1016/j.jclepro.2013.04.007

Pattara C., Raggi A., Cichelli A. 2012. Life Cycle Assessment and Carbon Footprint in the
wine supply-chain. Environmental Management, 49: 1247–1258

Rugani B., Vázquez-Rowe I., Benedetto G., Benetto E. 2013. A comprehensive review of
Carbon Footprint analysis as an extended environmental indicator in the wine sector.
Journal of Cleaner Production, 54: 61-77

Ardente, F., Beccali, G., Cellura, M., Marvuglia, A., 2006. POEMS: a case study of an
italian wine-producing firm. Environ. Manag. 38 (3), 350-364

Herath I.,Green S., Horne D., Singh R., McLaren S., Clothier B. 2013. Water Footprinting
of agricultural products: evaluation of different protocols using a case study of New
Zealand wine. Journal of Cleaner Production 44: 159-167

Lamastra L., Suciu N. A, Novelli E., Trevisan M. 2014. A new approach to assessing the
Water Footprint of wine: an Italian case study. Science of the Total Environment 490: 748–
756

Luigia Petti, Ioannis Arzoumanidis, Graziella Benedetto, Simona Bosco, Maurizio Cellura,
Camillo De Camillis, Valentina Fantin, Paola Masotti, Claudio Pattara, Andrea Raggi,
Benedetto Rugani, Giuseppe Tassielli, Manfredi Vale. 2015. Life Cycle Assessment in the
Wine Sector in “Life Cycle Assessment in the Agri-food sector”: 123-185. Springer

LINEE GUIDA E ALTRE PUBBLICAZIONI

The Guide to PAS 2050:2011 – How to Carbon Footprint your products, identify hotspots
and reduce emissions in your supply chain. Defra, DECC, BIS

IPCC 2006, Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories

IPCC 2007, Climate Change 2007: The Physical Science Basis, contribution of Working
Group I to the 4th assessment report of the IPCC – chapter 2, table 2.14

World Greenhouse Gas Emissions in 2005- Working Paper. The World Resources Institute
(WRI), 2009

31
Arjen Y. Hoekstra et al., Global Monthly Water Scarcity: Blue Water Footprints versus Blue
Water Availability, 2012

<http://www.waterfootprint.org/Reports/Hoekstra-et-al-2012-
GlobalMonthlyWaterScarcity.pdf >
Arjen Y. Hoekstra and Mesfin M. Mekonnen, The water footprint of humanity, 2011

<http://www.waterfootprint.org/Reports/Hoekstra-Mekonnen-2012-WaterFootprint-of-
Humanity.pdf >
M.M. Mekonnen and A.Y. Hoekstra, The green, blue and grey water footprint of farm
animal and animal products, 2010

<http://www.waterfootprint.org/Reports/Report-48-WaterFootprint-AnimalProducts-Vol1.pdf
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Nataša Sikirica, Water footprint assessment bananas and pineapples, Soil & More
International B.V. – Dole food company, 2011
M. de Vries, I.J.M. de Boer, Comparing environmental impacts for livestock products: A
review of life cycle assessments, 2009

<http://pingpong.ki.se/public/pp/public_courses/course06881/published/0/resourceId/0/con
tent/De%20Vries%20de%20Boer%202010%20Comparing%20environmental%20impacts
%20for%20livestock%20products.pdf >

SITI WEB
PAS 2050 - http://www.bsigroup.com/Standards-and-Publications/How-we-can-help-
you/Professional-Standards-Service/PAS-2050

GHG Protocol – www.ghgprotocol.org


ISO - http://www.iso.org/iso/iso_14000_essentials

IPCC – www.ipcc.ch
Carbon Trust – www.carbontrust.com

Water Footprint Network – www.waterfootprint.org

32
GLOSSARIO

Principali termini e definizioni citate in queste linee guida.

Per maggiori dettagli consultare le norme ISO della serie 14000.

Acqua dolce Acqua contenente una bassa concentrazione di solidi disciolti.

Acqua che circola nel sottosuolo dopo essersi infiltrata


Acquifero (o falda acquifera)
attraverso fessure, porosità o cavità in genere.

Fornitura di input, compresi prodotti, a un’altra parte o entità


Business-to-business (B2B)
che non è l’utilizzatore finale.

Business-to-consumer (B2C) Fornitura di input, compresi prodotti, all’utilizzatore finale.

Sommatoria delle emissioni e delle rimozioni di gas serra lungo


Carbon Footprint di prodotto il ciclo di vita di un prodotto, espressa in CO2 equivalente
come impatto netto sul riscaldamento globale.

Carbonio biogenico Carbonio contenuto in una biomassa.

Fasi consecutive e concatenate di un sistema che genera un


Ciclo di vita prodotto, dall’acquisizione delle materie prime o dalla
generazione da risorse naturali fino allo smaltimento finale.

CO2 biogenica CO2 ottenuta dall’ossidazione di carbonio biogenico.

Quantità d’acqua prelevata, non restituita al corpo idrico di


provenienza (ad esempio a causa dell’evaporazione,
Consumo d’acqua
dell’evapotraspirazione, dell’integrazione nel prodotto o dello
scarico in un differente bacino di drenaggio o nel mare).

Dati nel ciclo vita del prodotto ottenuti da misurazioni dirette o


Dati primari
da calcoli basati su misurazioni dirette alla fonte originale.

Dati nel ciclo vita del prodotto ottenuti da altre fonti rispetto ai
Dati secondari
dati primari, ad esempio da banche dati, letteratura e altro.

Evapotraspirazione Trasferimento di acqua in atmosfera come risultato


dell’evaporazione e della traspirazione delle piante.

33
Meccanismo di compensazione della Carbon Footprint di un
prodotto attraverso il mancato rilascio, la riduzione o la
Offsetting rimozione di una quantità equivalente di emissioni di gas serra
in un processo al di fuori dei confini del sistema del prodotto
oggetto della Carbon Footprint.

Persona, gruppo di persone od organizzazione che può


Parte interessata influenzare, essere influenzata o percepire d’essere influenzata
da una decisione o attività.

Fattore di caratterizzazione che descrive l’impatto del forcing


Potenziale di riscaldamento
radiativo di un’unità di massa di un determinato gas serra
globale (Global Warming
rispetto a un’unità equivalente di CO2, lungo un dato orizzonte
Potential – GWP)
temporale.

Insieme di regole, requisiti e linee guida specifiche utilizzate


Product Category Rules – PCR nello sviluppo di dichiarazioni ambientali tipo III per gruppi di
prodotto che soddisfano funzioni equivalenti.

Processo che rimuove carbonio dall’atmosfera e lo trattiene


Stoccaggio di carbonio sotto forma biogenica durante un determinato periodo di
tempo.

prestazione quantificata del ciclo di vita di un prodotto utilizzata


Unità funzionale
come unità di riferimento per le analisi della Carbon Footprint.

Valutazione che comprende parte del ciclo di vita di un


Valutazione cradle-to-gate prodotto, dall’estrazione delle materie prime alla produzione
del prodotto finito, escludendo l’uso e il fine vita.

Compilazione e valutazione degli input, output e potenziali


Valutazione cradle-to-grave
impatti ambientali di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita.

Valutazione che comprende l’intero ciclo di vita del prodotto,


dall’estrazione delle materie prime al fine vita.

Valutazione del ciclo di vita Compilazione e valutazione degli input, output e potenziali
(Life Cycle Assessment – LCA) impatti ambientali di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita.

Quantificazione del consumo e del degrado d’acqua dolce


Water Footprint di prodotto
generato da un prodotto durante il suo ciclo di vita.

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ALLEGATO 1– FATTORI DI CARATTERIZZAZIONE DEI GAS A EFFETTO
SERRA

Tabella 1 – Fattori di caratterizzazione dei gas a effetto serra per il GWP 100 (IPCC, 2007)
IPCC GWP 100a – kg CO2eq (2007)
Nome sostanza Formula chimica Fattore (kg CO2eq/kg)
Carbon dioxide CO2 1
Methane CH4 25
Nitrous oxide N2O 298
Substances controlled by the Montreal Protocol
CFC-11 CCl3F 4.750
CFC-12 CCl2F2 10.900
CFC-13 CClF3 14.400
CFC-113 CCl2FCClF2 6.130
CFC-114 CClF2CClF2 10.000
CFC-115 CClF2CF3 7.370
Halon-1301 CBrF3 7.140
Halon-1211 CBrClF2 1.890
Halon-2402 CBrF2CBrF2 1.640
Carbon tetrachloride CCl4 1.400
Methyl bromide CH3Br 5
Methyl chloroform CH3CCl3 146
HCFC-22 CHClF2 1.810
HCFC-123 CHCl2CF3 77
HCFC-124 CHClFCF3 609
HCFC-141b CH3CCl2F 725
HCFC-142b CH3CClF2 2.310
HCFC-225ca CHCl2CF2CF3 122
HCFC-225cb CHClFCF2CClF2 595
Hydrofluorocarbons
HFC-23 CHF3 14.800
HFC-32 CH2F2 675
HFC-125 CHF2CF3 3.500
HFC-134a CH2FCF3 1.430
HFC-143a CH3CF3 4.470
HFC-152a CH3CHF2 124
HFC-227ea CF3CHFCF3 3.220
HFC-236fa CF3CH2CF3 9.810
HFC-245fa CHF2CH2CF3 1.030

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HFC-365mfc CH3CF2CH2CF3 794
HFC-43-10mee CF3CHFCHFCF2CF3 1.640
Perfluorinated compounds
Sulfur hexafluoride SF6 22.800
Nitrogen trifluoride NF3 17.200
PFC-14 CF4 7.390
PFC-116 C2F6 12.200
PFC-218 C3F8 8.830
PFC-318 c-C4F8 10.300
PFC-3-1-10 C4F10 8.860
PFC-4-1-12 C5F12 9.160
PFC-5-1-14 C6F14 9.300
PFC-9-1-18 C10F18 >7.500
Trifluoromethyl sulfur SF5CF3 17.700
pentafluoride
Fluorinated ethers
HFE-125 CHF2OCF3 14.900
HFE-134 CHF2OCHF2 6.320
HFE-143a CH3OCF3 756
HCFE-235da2 CHF2OCHClCF3 350
HFE-245cb2 CH3OCF2CHF2 708
HFE-245fa2 CHF2OCH2CF3 659
HFE-254cb2 CH3OCF2CHF2 359
HFE-347mcc3 CH3OCF2CF2CF3 575
HFE-347pcf2 CHF2CF2OCH2CF3 580
HFE-356pcc3 CH3OCF2CF2CHF2 110
HFE-449sl (HFE-7100) C4F9OCH3 297
HFE-569sf2 (HFE-7200) C4F9OC2H5 59
HFE-43-10-pccc124 (H-Galden CHF2OCF2OC2F4OCHF2 1.870
1040x)
HFE-236ca12 (HG-10) CH2OCF2OCHF2 2.800
HFE-338pcc13 (HG-01) CHF2OCF2CF2OCHF2 1.500
Perfluoropolyethers
PFPMIE CF3OCF(CF3)CF2OCF2OCF3 10.300
Hydrocarbons and other compounds – direct effects
Dimethylether CH3OCH3 1
Methylene chloride CH2Cl2 8,7
Methyl chloride CH3Cl 13

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