L’idrogeologia II o dei contaminanti ha lo scopo di integrare le conoscenze acquisite fino a tale punto,
insieme con concetti e problemi di diretta applicazione. Il problema della contaminazione degli
acquiferi e della propagazione di sostanze contaminanti è affrontato tramite presentazione generale
del problema e successivamente tramite analisi delle tipologie di trasporto dei contaminanti, di
monitoraggio e campionamento degli stessi nonché di bonifica e messa in sicurezza. Infine, il
problema della definizione di aree di protezione intorno a opere di captazione delle acque sotterranee
viene affrontato insieme con gli approcci più comuni per la definizione della vulnerabilità degli
acquiferi. L’idrogeologia applicata è rappresentata dall’impiego delle conoscenze idrogeologiche e
idrologiche a fini di pianificazione ambientale, spesso in collaborazione con altri tecnici. Tali fini
possono essere schematizzati come segue:
I temi affrontati durante il corso saranno vari come difesa da contaminazione e inquinamento ossia
tutti i principi basi che garantiscono la difesa della nostra risorsa acquifera, lo studio dei processi di
contaminazione e quindi dobbiamo definire cosa intendiamo per sostanza contaminante e come la
possiamo caratterizzare e che classi di contaminanti possiamo aver ad es. organici e inorganici. Questi
contaminanti viaggeranno nei mezzi porosi e quello che ci interessa è come avviene la propagazione
e cosa la controlla sia in zone vadose sia satura e cosa accade al passaggio tra un mezzo saturo e
insaturo. Si accennerà all’autodepurazione e potenziale capacità di un terreno a depurarsi o auto
alleggerirsi del carico di contaminante. Poi, per la modellazione del trasporto di massa introdurremo
un equazione che coinvolge diversi meccanismi di trasporto (advezione, diffusione e dispersione). In
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seguito, si analizzerà come avviene il trasporto di massa, come lo si può modellizzare e indagare e
faremo un cenno al trasporto di calore. Per quanto riguarda l’idrogeologia dei contaminanti, il primo
punto da cui partiremo sarà la definizione delle sorgenti di contaminanti e le definiremo in categorie.
Altro argomento sarà l’identificazione dei processi e dei parametri e abbiamo detto che ci saranno
delle equazioni del trasporto di massa con alcuni parametri. Per arrivare alla definizione di questi
parametri vedremo che le prove di laboratorio saranno poco caratterizzanti, ma possono esserci delle
prove in sito come uso di tracciante che saranno utili. Poi si farà un accenno sul recupero e bonifica
con alcuni metodi per bonifica e recupero contaminanti. Tali metodi saranno differenziati in funzione
alla loro applicabilità per diverse sostanze. Alcuni punti di interesse particolare collegheranno la
prima parte del corso con la seconda.
Il prelievo delle acque viene pensato sulla base della definizione di un fabbisogno o prelievo
considerato sostenibile spesso definito come “safe yield” che è pari al volume di acqua sotterranea
che nel tempo potrà essere fornita dal sistema senza causare danni irreversibili sia dal punto di vista
economico sia giuridico sia ambientale. Tale prelievo può avvenire tramite campo pozzi e quindi con
un impianto composto da più pozzi con caratteristiche simili e con disposizioni e distanza relativa
che sia funzione delle caratteristiche dell’acquifero e del sistema idrologico. In generale, i sistemi o
impianti di ricarica servono a immettere in acqua in sotterraneo per rallentare o cambiare il trend di
variazione piezometrica, per contrastare fenomeni di contaminazione naturale e artificiale.
Quello che andremo a vedere quale sia il prelievo effettivo massimo possibile che consenta di
minimizzare il disturbo e in inglese si parla spesso di “water withdrawals” oppure di “water
abstractions” ossia estrazione di acqua che riguarda qualsiasi tipo di fonte. La FAO come organismo
fondamentale delle nazioni unite per problemi di approvvigionamento idrico e di cibo parla di
massima acqua estratta da un acquifero e che può includere sia delle fonti primarie rinnovabili sia
delle fonti secondarie di acque dolci superficiali. In funzione degli scopi stessi la definizione può
variare leggermente (scopi industriali, agricoltura, municipale). Ognuno di questi settori ha un
impatto diverso nello sfruttamento delle acque ad es. l’agricoltura comporta il massimo consumo
delle acque, la parte industriale è la seconda e la terza è quella domestica. Tra i diversi criteri che
possono essere usati per la definizione del volume massimo di acqua estraibile su una scala temporale
estesa vi sono delle indicazioni di massima sono:
- < 10% basso stress;
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- 10-20% basso-medio stress;
- 20-40% medio-alto stress;
- 40-80% alto stress;
- > 80% estremamente alto stress.
Le % sopra nello schema sono riferite alla % di utilizzo dell’acqua estratta in funzione dello stress
verso la nostra risorsa idrica.
Le tipologie di impianti di estrazione di acqua sono pozzi di captazione in prossimità delle sorgenti
per la produzione di acqua sotterranea e opere di controllo dei livelli idrici e delle portate in afflusso.
Altri impianti sono quelli per la ricarica artificiale di acquiferi con disponibilità d’immagazzinamento
o poco alimentati, impianti per ricarica di acquiferi sovra-sfruttati, creazione di barriere piezometriche
per opporsi all’ingressione marina o ad inquinanti, impianti di ricarica per il controllo della
subsidenza dovuta a estrazione di fluidi dal sottosuolo o impianti di smaltimento di acque reflue
parzialmente trattate.
Abbiamo già detto che per la fase di progettazione e gestione degli impianti di produzione sono
necessari una serie di step e cioè l’analisi della richiesta e delle caratteristiche dell’utenza,
l’ubicazione, la preparazione del pozzo-pilota, pianificazione e esecuzione delle prove di portata,
valutazione della qualità dell’acqua, calcolo del numero di pozzi da eseguire, dell’interferenza
sostenibile e della geometria del campo pozzi, l’esecuzione dei pozzi, sigillatura, disinfezione e messa
in opera, piano di manutenzione e turnover, monitoraggio delle prestazioni individuali e collettive dei
pozzi e qualità dell’acqua estratta e valutazione della vita media ed eventuale piano di riabilitazione.
Abbiamo visto come è possibile analizzare il problema della disposizione dei pozzi e la loro
interferenza; la tecnica a cui possiamo ricorrere è il principio di sovrapposizione degli effetti e
abbiamo visto che per la progettazione di un campo pozzi, tale principio, ci consente di usare una
soluzione sviluppata per un pozzo ed estenderla sommando gli effetti di diversi pozzi posti a diverse
distanze. In questo modo, sia in condizioni stazionarie sia transitorie è possibile progettare il campo
pozzi e fare delle stime sugli effetti fisici locali. Capire quanti pozzi fare e dove metterli è importante
per soddisfare la domanda e consentire il turnover per la manutenzione; si mantiene bassa
l’interferenza per evitare abbassamenti eccessivi che possono ridurre l’efficienza e la portata di
esercizio dei pozzi a causa di un aumento dell’abbassamento entro uno specifico pozzo che emunge
a portata definita. Maggiore abbassamento implica anche il riposizionamento eventuale delle pompe
e maggiori costi di emungimento, alla fine anche una maggiore probabilità di contaminazione.
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Gli impianti possono invecchiare dovuto ad un degrado delle parti meccaniche (pompe, tubazioni,
filtri corrosi o intasati), intasamento dell’acquifero intorno al filtro dovuto a elementi fisici come
sabbia (cattivo dimensionamento filtri, sovra-pompaggio, incrostazioni, corrosione → induce rottura
delle tubazioni e allargamento della luce dei filtri oppure i prodotti della corrosione possono
precipitare e causare intasamenti) o organici per crescita di microorganismi (intasamento batterico
come batteri del ferro che usano il Fe disciolto come fonte di energia e causano la precipitazione di
Fe che accumulano come idrato ferrico intorno alle loro cellette, i batteri sessili aderiscono alle pareti
del pozzo e si moltiplicano velocemente formando una pellicola e poi una massa, oppure degrado
quantitativo delle risorse idriche per siccità o sovra-sfruttamento.
Le fasi delle operazioni di ripristino sono: esecuzione di una prova in pozzo per verificare l’efficienza,
recupero e ispezione della pompa, esecuzione rilievo video, esecuzione pulizia meccanica del filtro,
scelta e applicazione del trattamento chimico, attesa tempo di reazione chimica, rimozione delle
sostanze chimiche, reinstallazione della pompa rettificata e effettuazione nuova prova di pozzo per
verificare il miglioramento.
Le tecniche di ripristino di tipo fisico sono la scovolatura ossia un azione meccanica tipo
spazzolatura accoppiata a pompaggio per estrarre residui, lavaggio con getti a pressione per risolvere
problemi di blocco meccanico e qui si possono usare polifosfati per asportare i fini dai filtri oppure
sonar jetting che implica un getto di acqua ad elevata pressione associata a onde ultrasoniche per
staccare occlusioni e incrostazioni. Altre tecniche di ripristino sono quelle di tipo chimico come i
trattamenti chimici con uso di polifosfati, detergenti e tensioattivi che possono favorire
l’allontanamento delle particelle fini che possono essere prelevate per agitazione meccanica, impiego
d acidi per dissolvere incrostazioni di Fe e Mn e quelle carbonatiche, disinfettanti per le popolazioni
batteriche da usare periodicamente e che si basa sulla clorazione tramite emissione di Cl liquido o
solido in acqua. Si ha quindi una scissione in acido ipocloroso che è biocida e ipoclorito che è
ossidante: ciò causa una variazione del pH e in genere si preferisce avere un pH acido in quanto la
clorazione è più performante a basse concentrazioni di Cl. Altre tecniche, prevedono l’utilizzo
dell’anidride carbonica oppure di perossido di idrogeno che in genere ha il problema della stabilità.
Quindi, tutte queste tipologie di trattamenti possono riportare un opera nelle condizioni iniziali.
Queste tecniche sono in parte utilizzabili soprattutto per es. l’ossigenazione dell’acqua o anche l’uso
di sostanze disciolte anche in strutture per la ricarica artificiale.
Per ricarica artificiale si intende ad es. in zona costiera la realizzazione di un pozzo in un area in cui
per estrazione di acqua si ha avanzamento del cuneo salino e immissione di acqua tramite pozzo può
diminuire l’abbassamento e forzare il cuneo salino verso l’esterno. La ricarica artificiale è utile
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(vantaggi) per immagazzinare, distribuire e filtrare acqua e può rifornire i mezzi acquiferi o porosi
sotterranei con acqua che può essere immagazzinata nei pori e usata in periodi siccitosi. Tramite la
ricarica è possibile anche migliorare la qualità dell’acqua degli acquiferi tramite immissione di acqua
di migliore qualità, oppure può incrementare il prelievo idrico complessivo dell’acquifero. Tutti
questi sono metodi interessanti dal punto di vista ambientale specie per zone aride e molti sistemi di
ricarica sono di facile esecuzione. Ci sono degli svantaggi in quanto se questi sistemi non vengono
mantenuti possono creare una serie di problemi come ad es. possono divenire zone di infiltrazione
preferenziale di contaminanti, acque sporche o acque con elevato carico di elementi pericolosi o
batterico; inoltre, possibili contaminazioni da infiltrazione da acque di ruscellamento agricole o da
strade, degradazione della qualità dell’acquifero se l’acqua usata non è adeguata o se il volume di
acqua iniettabile è ridotto la convenienza economica diminuisce o si annulla.
A questi fini si possono usare le acque grigie che non contengono delle sostanze contaminanti in
concentrazioni elevate e in genere sono acque di scarichi domestici che costituiscono il 70% del
volume delle acque reflue urbane. Queste acque devono essere trattate con attenzione in quanto
possono avere degli organismi patogeni al loro interno che possono avere tempi di emivita diversi in
funzione del suolo in cui avviene il deflusso e delle caratteristiche dell’acqua.
Alcune tecniche possono essere usate appositamente per la ricarica oppure possono favorirla in zone
in cui l’irrigazione è fatta in modo diffuso con elevati tassi di
infiltrazione oppure tramite pozzi, pozzetti o ancora attraverso dighe
subalvee che si mettono trasversalmente al deflusso delle acque
sotterranee all’interno del materasso alluvionale al di sotto di un corso
d’acqua e poi altre tecniche che possono usare la raccolta di acqua
(runoff harvesting) direttamente dalle superfici impermeabili.
Nella foto a lato si vede uno sbarramento che favorisce
l’infiltrazione di acqua nel sottosuolo e un'altra tecnica è
quella della bank filtration nella figura a dx che può essere
usata con diverse tecniche ad es. sollevare l’acqua da un corso
d’acqua e buttarla in un sistema di vasche superficiali in cui
con diverse tecniche si può operare una diluizione e una
diminuzione del carico sia torbido sia di eventuali contaminanti e in prossimità del corso d’acqua e
quindi della sponda oppure della zona di ricarica può esserci un pozzo che può prelevare acqua che
ha subito una serie di trattamenti più o meno naturali e a basso costo.
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Lo schema sopra dovrebbe farci ricordare una cosa vista nella prima parte del Corso ossia esso è il
caso di un una vasca superficiale al di sopra di un terreno poroso insaturo (zona vadosa) che è allagata
con acque raccolte o da un corso d’acqua oppure acque reflue (acque grigie); esse sono raccolte in
queste vasche in cui il fondo è trattato in modo da favorire l’infiltrazione e ciò causa una ricarica della
falda acquifera o prima falda. In questo caso, non vi è una trattazione dal punto di vista idraulico, ma
dando una ricarica superficiale, l’acquifero superficiale subisce un innalzamento che possiamo
valutare con diversi approcci, come quello monodimensionale alla Dupuit, e questo innalzamento ci
consente di saturare parte dell’acquifero e in funzione della curvatura di tale superficie avremo che
l’acqua può permanere più o meno a lungo. Esso è quindi uno strumento di ricarica molto pratico ed
economico soprattutto per acquiferi non profondi.
Esistono poi dei sistemi come quelli a lato che sono visti in pianta, in cui si hanno delle vasche a
caduta oppure dei canali in
cui si hanno dei piccoli
sbarramenti in cui si sfrutta il
rallentamento del deflusso e
l’immagazzinamento delle
acque al di sotto delle zone di
scorrimento. Esiste anche la
possibilità nelle vasche in cui il deflusso viene reso contorto in modo da rallentare la velocità delle
acque e garantire una diminuzione del particolato in sospensione o la possibilità di trattamento delle
acque lungo il percorso di deflusso delle stesse con mezzi naturali.
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Quello che cambia tra un pozzo e una trincea in
zona vadosa: quello che notiamo è che la
risposta è simile e quello che può cambiare è
l’approfondimento e la superficie che mettiamo
a disposizione per l’infiltrazione. La trincea sarà
una struttura lineare o nastriforme in cui
l’infiltrazione è favorita da un canale o per
immissione tramite tubo forato e tutte le pareti
laterali possono contribuire allo spargimento di
acqua; nel pozzo, invece, la diffusione dell’acqua è asimmetrico rispetto all’asse del pozzo stesso.
La stessa tecnica può essere usata per favorire ad
es. la ricarica di un primo acquifero oppure di un
secondo acquifero passando attraverso degli strati
confinanti o anche uno strato parzialmente
confinante e quindi un acquifero libero.
Uno dei pericoli che può esserci è che ci siano dei
fenomeni di clogging o intasamento degli strati
superficiali e ciò significa che con regolarità tali
bacini devono essere rinfrescati e ringiovaniti tramite pulizia del fondo della vasca stessa. In alcuni
casi, tale sistema di clogging può venire utile se per es. si vuole diminuire il carico contaminante di
acque nelle vasche e deve essere comunque mantenuto un minimo di pulizia per favorire
l’infiltrazione.
Un concetto importante è quello di invarianza idraulica e idrologica che sono simili tra loro dove
quella idraulica implica che le precipitazioni o le portate massime meteoriche che sono scaricate entro
i ricettori di riferimento per le aree urbanizzate non devono essere maggiori di quelle preesistenti
all’urbanizzazione; l’invarianza idrologica, invece, è il principio di base secondo cui sia le portate sia
i volumi meteorici scaricati dalle aree urbanizzate nei ricettori naturali o artificiali non sono maggiori
di quelli preesistenti all’urbanizzazione.
Si assuma di dover costruire un edificio con delle aree permeabili all’intorno e quello che succede
che prima della costruzione, quest’area aveva la stessa capacità di infiltrazione e avendo realizzato
un opera che è impermeabile, le acque che ricadono su di essa e sui terreni circostanti resi
impermeabili devono essere rimesse nel sistema. Il modo di agire è diverso e tra essi possiamo
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ricordare degli impianti di recupero e riutilizzo delle acque piovane, delle trincee drenanti, delle
vasche di invaso e laminazione e degli impianti di prime piogge.
Negli impianti di recupero vuol dire che io posso raccogliere le acque piovane, immetterle in
serbatoio ed esso usarlo per prelievo di acque nei periodi di siccità ad uso idropotabile o irrigazione;
delle trincee drenanti che hanno la funzione di accumulare l’acqua piovana e poi disperderla
lentamente nel terreno, oppure vasche di invaso qualora non sia possibile disperdere nel terreno le
acque piovane ed è capace di accumularle per scaricarle in un momento successivo; degli impianti di
prime piogge, separazione fanghi che consentono di separare alcune quantità di pioggia ad es.
separare la prima pioggia ossia i primi 5 mm che cade al suolo ed è quella più contaminata e che
scorre sul fondo stradale ed esse prima di essere scaricate sono depurate. Esistono poi vasche per
separare fanghi o oli per depurare acque piovane.
Ci sono poi una serie di definizioni come quella di drenaggio urbano sostenibile e quindi quanto sono
i volumi di acqua gestibili dalla rete di servizio (sistema di gestione delle acque meteoriche urbane,
costituito da un insieme di strategie, tecnologie e buone pratiche volte a ridurre fenomeni di
allagamento urbano, a contenere gli apporti di acque meteoriche ai corpi idrici ricettori mediante il
controllo alla sorgente delle acque meteoriche e a ridurre il degrado qualitativo delle acque), quella
di acque meteoriche di dilavamento ossia la parte di acqua di precipitazione che dilava le superfici e
che non sono né assorbite né evaporate; le acque di prima pioggia ossia dei primi 5 mm e le acque di
seconda pioggia ossia la parte di acqua di dilavamento eccedente di prima pioggia; quella di acqua
pluviale ossia le acque meteoriche di dilavamento escluse quelle di prima pioggia e le superfici
scolante totale ossia la superficie che rappresenta quella su cui è raccolta l’acqua ed essa sarà funzione
del grado di impermeabilizzazione della stessa. Da qui si arriva definire la superficie scolante
impermeabile e quella impermeabile dell’intervento qualora venga realizzata un opera particolare;
infine, esiste la definizione di portata specifica massima ammissibile allo scarico espressa in l/s per
ettaro ed è la portata massima ammessa scaricabile nel ricettore. Il ricettore implica qualunque corpo
idrico naturale e non o rete di fognatura e il titolare è il soggetto tenuto alla gestione e manutenzione
delle opere di invarianza idraulica e idrologica.
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è vista come la somma dei diversi contributi.
Nella figura a lato si osserva per un unico pozzo
la zona di cattura colorata e la zona degli
abbassamenti. La zona degli abbassamenti
indotti dal pozzo rispetto alla zona di cattura sono
2 cose che sono differenti. Inoltre, l’estensione
della zona di cattura e/o di influenza può essere
asimmetrica rispetto al pozzo. A lato si osserva
una zona di influenza ossia la zona in cui si viene
a creare il cono di depressione che può essere più
o meno circolare o allungato in funzione delle
caratteristiche del moto della falda, poi si ha una
zona contribuente ossia l’estensione dell’area che
porta verso il pozzo e la sua estensione sarà
funzione del gradiente locale ecc. Poi si ha la
zona di trasporto che sarà quella che dobbiamo andare a definire. Le zone di cattura possono essere
funzione del gradiente idraulico o della pendenza della falda a scala regionale. Nel caso di gradiente
assente ossia assenza di flusso regionale si assume una zona di cattura circolare; se il gradiente cresce
progressivamente, il deflusso diventa via via più rapida e le zone di cattura divengono via via più
concentrate e ristrette (allungate in una direzione). Le zone di cattura possono essere definite
concettualmente in 3 modi diversi:
- Stazionaria: area superficiale o sotterranea che circonda un pozzo e che fornisce acqua di
ricarica al pozzo per un tempo infinito; in questo caso, la forma della zona di cattura è aperta
e molto allungata verso monte e ciò si deve al fatto che per un
dato intervallo di tempo qualsiasi particella di acqua a monte
del pozzo si potrà muovere verso il pozzo.
- Transitoria: area superficiale o sotterranea che circonda un pozzo e che fornisce acqua di
ricarica al pozzo per un tempo determinato e in questo caso, la forma è chiusa. In genere esse
sono meno conservative ossia includono un area minore dei casi
stazionari e l’aumentare del tempo porta a diminuire le
differenze tra diverse aree. Queste aree transitorie possono
essere calcolate quando il campo di flusso è stazionario ossia direzione e velocità siano
costanti (questo perché le aree posso variare stagionalmente).
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- Ibrida: è una combinazione delle due precedenti tipologie ed è simile a
quella stazionaria ma è chiusa verso monte con un tratto di curva che
rappresenta un’approssimazione di un segmento di una curva
transitoria.
Esistono diversi metodi per il tracciamento delle zone di cattura e ce ne sono alcuni che sono stati
suggeriti tramite soluzioni di tipo stazionario e cioè quella che si basa sulla posizione del pozzo,
l’assunzione che la zona di cattura si sviluppi simmetricamente
rispetto alla direzione di flusso regionale parallela all’asse x (verso
monte) e l’asse y rappresenta la larghezza della zona di cattura. I
parametri che entrano in gioco saranno quelli idraulici classici come
la portata emunta dal pozzo, la trasmissività, il gradiente idraulico
regionale (inclinazione falda regionale), il punto di stagnazione verso
valle. Inoltre, per ogni x che andremo ad inserire nell’equazione avremo 2 valori di y che ci
rappresentano la posizione o la linea di flusso limite che abbraccia l’intera zona di cattura. Quindi, si
possono imporre dei valori di x e andare a risolvere la relazione e ciò può essere fatto in modo
automatico tramite Excel imponendo le caratteristiche del materiale e in particolare la posizione del
pozzo, la Q, lo spessore, la T, il gradiente idraulico.
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allontanandosi dal punto di prelievo. Quindi, allontanandosi dall’opera di
captazione sono individuate:
1. Zona di tutela assoluta
2. Zona di rispetto (ristretta e allargata)
3. Zona di protezione
La Legge Galli (1994) che è quella sulla gestione delle acque ha introdotto il concetto di Servizio
idrico integrato che si organizza su base territoriale. Successivamente ci sono state altre leggi che
hanno portato allo sviluppo di ulteriori aspetti. Inoltre, sono introdotti i servizi idrici che sono
riorganizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati secondo il rispetto dell’unità del bacino
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idrografico, del superamento della frammentazione delle gestioni e conseguimento di adeguate
dimensioni gestionali.
Lo schema sopra raffigura delle configurazioni tipo per delineare aree di protezione sulla base della
tipologia di captazione o ambiente. Si hanno 4 esempi: in A si ha uno spartiacque idraulico regionale
e le zone di protezione sono estese in modo simmetrico e longitudinale in condizioni omogenee e
gradiente regolare; nel caso B siamo nel caso di un corso d’acqua o faglia che controlla il flusso, si
nota asimmetria nella zona di protezione; nel caso C si ha una sorgente e l’estensione sarà controllata
spazialmente e infine nel caso D per la protezione di ambiente naturale umido.
Le zone di salvaguardia rappresentano una misura di protezione passiva o statica delle captazioni;
passiva nel senso che viene definito un limite e la sua perimetrazione penalizza l’uso pubblico e
privato del territorio. È possibile vincolare nel tempo l’uso dello spazio o lasciare degli utilizzi
particolari in aree specifiche. I criteri di perimetrazione delle zone di salvaguardia sono di 3 tipi:
geometrici, idrogeologici e temporali.
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Il criterio geometrico è il più semplice e si pensi ad un gradiente nullo (con
deflusso regionale presente), la zona di cattura è simmetrica e circolare attorno al
pozzo. Esso si basa sul tracciamento di fasce concentriche rispetto alla captazione.
Tale criterio è arbitrario in quanto si esclude il contributo del gradiente, si
escludono asimmetrie, il fatto che l’acqua arrivi prevalentemente da monte. In
genere, tale metodo lo si adotta limitatamente alla delimitazione dell’area di
protezione dell’opera di approvvigionamento. Considerate le limitazioni dettate
dai vincoli d’uso del territorio è un metodo che si usa per la determinazione del
raggio minimo delle fasce di rispetto più esterne ma non quello massimo.
Il criterio idrogeologico non è ben definibile a priori perché sarà funzione del modello concettuale
della caratterizzazione dell’acquifero; esso non offre una guida tecnica per la delineazione delle fasce
e considera il rapporto tra la struttura idrogeologica e deflusso sotterraneo. Esso si basa sulla
valutazione dell’estensione e della struttura geologica dell’acquifero e individuazione delle aree di
alimentazione; sulla determinazione della velocità di
circolazione (gradiente idraulico) delle acque nel suolo e
definizione delle interazioni tra i corpi idrici superficiali e
gli acquiferi; della determinazione delle facies
idrochimiche dell’acquifero; della valutazione della
compatibilità tra portata prelevata e disponibilità delle
risorse e degli effetti indotti dalle opere di captazione sull’acquifero e individuazione dei potenziali
centri di pericolo. Quindi, il criterio idrogeologico è in grado di fornire tutti i parametri idraulici
essenziali e le conoscenze sulle strutture geologiche sede dell’acquifero che se correttamente
interpretate e usate, permettono di valutare la vulnerabilità dell’acquifero stesso e di calibrare gli altri
centri di più rapida applicazione. L’estensione delle zone di protezione e di rispetto sarà funzione
anche dei livelli di complessità dell’area stessa.
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e idrogeochimiche dell’acquifero, della velocità di flusso sotterraneo e della capacità dell’acquifero
di neutralizzare l’inquinante o attuarne la concentrazione. Il grafico in alto rappresenta il terzo criterio
e notiamo le isocrone ossia linee di ugual tempo es 10 anni ossia le particelle su tale linea
impiegheranno 10 anni ad arrivare al pozzo. Il criterio temporale è quello più efficace specie se la
valutazione dei tempi è realizzata differenziando tra diversi inquinanti in base ai centri di pericolo e
alle fonti diffuse di pericolo. Per riconoscere la presenza di contaminante dovremmo avere sulla linea
isocrona dei punti di monitoraggio.
Quindi il criterio temporale è un criterio cautelativo ed è molto affidabile se esiste un sistema di
monitoraggio che lavori in continuo o che consenta o che sia associata una campagna di rilevamento
dei dati con un intervallo di campionamento tale da garantire il riconoscimento del transito di tale
sostanza prima che arrivi al sito. Il campo di applicabilità è quello delle zone di rispetto sia per la
fascia ristretta sia per quella allargata.
I metodi per la delineazione possono essere numerici, basati su abachi oppure metodi che si basano
su una risoluzione di semplici equazioni. Esistono dei codici semplici che consentono di analizzare i
dati. Il WHPA, in particolare, è un codice che è stato prodotto anni fa da EPA ed è tuttora disponibile
ed è stato implementato in altri codici. Esso si basa sulla risoluzione di equazioni analitiche e su
assunzioni semplici dal punto di vista della geometria e delle caratteristiche dell’acquifero.
All’interno di tale sistema è possibile inserire le coordinate dei pozzi, la portata emunta, la
trasmissività, la porosità, lo spessore dell’acquifero, la direzione di deflusso regionale e la presenza
di barriere. Esso calcola la depressione
indotta da uno o più pozzi e la
deformazione del campo di moto
indisturbato. A lato vediamo degli
esempi, a sx nel caso di una variazione
della direzione di flusso oppure a dx la
prossimità a un corso d’acqua che può
influenzare la geometria del reticolo di
flusso e quindi della zona di cattura.
Oppure sotto a sx la presenza di gruppi
di pozzi nella stessa area con possibile
interferenza e possibile sommatoria
degli effetti e a dx la possibilità di usare un pozzo in iniezione e uno di pompaggio: se i due sono
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vicini può esserci un’interazione e ciò è rilevante per la definizione di aree di rispetto/cattura per
entrambi i pozzi.
Oppure ancora delle zone con sistemi a diverse proprietà e in funzione del gradiente e delle proprietà
avremo sia percorsi più o meno veloci sia effetti di rifrazione delle linee di flusso.
Il metodo WHPA è stato poi esteso al WhAem, altro codice simile ma più performante ma con la
possibilità di usare diversi approcci.
Esiste anche la possibilità di definire delle aree di salvaguardia di sorgenti e anche in questo caso
il criterio prevede la definizione di 3 zone: la zona di tutela assoluta destinata a includere solo la
captazione o gruppo sorgivo e deve avere un raggio non minore di 10 m, una zona di rispetto e una
di protezione. I parametri utilizzabili sono la permeabilità, la porosità, la velocità di svuotamento, la
presenza i zone a diversa pendenza nella curva di svuotamento, il tasso di decremento che sarà
funzione della geometria dei mezzi e il tempo di dimezzamento che sarà funzione della portata
massiama annua. Inoltre, è importante tenere conto delle portate giornaliere della sorgente specie nel
tratto iniziale della curva e velocità di flusso è inversamente proporzionale alla capacità di
autodepurazione complessiva. La portata massima controlla anche la velocità di svuotamento e il
volume dinamico corrispodente. Il rapporto V/Q può dare un’idea di massima del tempo di ritardo
dovuto all’immagazzinamento: maggiore il rapporto maggiore sarà il tempo di svuotamento e il
tempo di dimezzamento. A parità di contaminazione una portata inferiore è associata a una condizione
più vulnerabile in quanto la diluizione sarà minore.
Lo schema sopra mostra il criterio per tracciare le diverse zone e in questo caso intorno all’opera di
presa è presentata una ZTA o zona di tutela assoluta che ha un raggio non inferiore a 10 m. Per la
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captazione alla sorgente si può avere una lunghezza D che è misurata a partire dal punto di fuoriuscita
dell’acqua verso monte e poi una distanza d verso valle e 3D/4 laterale. Il concetto è che gran parte
dell’acqua arriva da monte per cui la ZTA dovrà essere più allungata verso monte, mentre verso valle
è una zona di tutela relativa e serve a proteggere la contaminazione locale; infine, la parte locale è
fatta per proteggere le linee di flusso che arrivano convergendo verso il punto. Il dimensionamento,
quindi, avviene attraverso tabelle dove in funzione delle diverse situazioni (tempo di dimezzamento,
velocità di flusso) si sceglie una delle categorie (A, B, C, D) e si scelgono le distanze.
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Abbiamo già visto in precedenza che le linee di flusso convergeranno rispetto all’opera di captazione
e quindi le linee equipotenziali saranno curve e ciò è importante perché lateralmente, l’estensione
dell’area è funzione delle diverse condizioni. La delimitazione verso monte della ZR può essere fatta
assumendo quella peggiore ossia quella con geometria centripeta o convergente. Il settore identificato
dal reticolo avrà un’ampiezza dettata da un angolo al centro massimo di 90°.
La figura a destra mostra la valutazione della soggiacenza che ci dice quanto sarà lungo o breve il
percorso di filtrazione dalla superficie in prossimità dell’opera per raggiungere la zona contaminata.
Quindi, il range angolare può variare e in genere si usa un angolo di 30° a partire dalle tangenti
paralleli alla direzione di massima del versante e ciò ci consente di definire un settore a partire dalla
ZTA detto zona di rispetto.
Infine, il dimensionamento della zona di protezione è complesso ed è possibile sulla base di un attento
studio idrogeologico della struttura di alimentazione di un acquifero. Conviene poi includere la zona
di alimentazione delle sorgenti, inghiottitoi e altri punti di perdita delle acque superficiali sono da
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considerare ZR. Si ricordi che i centri abitati si sviluppano o si sono sviluppati intorno alle sorgenti e
inoltre si fa un eventuale dichiarazione di efficacia limitata delle aree di salvaguardia.
Un esempio è spiegato nello schema sovrastante in cui nella prima figura a sx vi è un bacino
idrografico con la zona sorgiva e all’interno del bacino una serie di punti di ricarica tipo doline in cui
l’acqua entra velocemente e raggiunge più rapidamente l’acquifero; nella seconda figura si considera
la rete idrica superficiale e in funzione della velocità di flusso e conducibilità idraulica dei mezzi
possiamo pensare di colorare e rendere più ristrette le diverse zone al fine di garantire la qualità
dell’acqua.
Il concetto finale è quello di Protezione Dinamica che implica un monitoraggio in tempo reale e ha
lo scopo di assicurare la possibilità di attuare gli interventi necessari per prevenire il superamento dei
limiti di concentrazione massima ammissibile a partire dall’istante in cui è possibile rilevare il
fenomeno di contaminazione della risorsa mediante opportuni sistemi di controllo. I punti di
monitoraggio e intervento devono essere messi in modo da consentire la predisposizione di soluzioni
tecnologiche (clorazione, carboni attivi), operatività del piano di allarme e soccorso (allertamenti alla
popolazione e reperimento di eventuali risorse idropotabili) e individuazione delle fonti di
inquinamento (prendere provvedimenti per impedire il perdurare dell’impatto sulla qualità delle
acque).
La difesa a tutto campo ossia di grandi dimensioni basata sulla conoscenza approfondita della
suscettibilità all’inquinamento degli acquiferi e di quelle attività presenti che sono fonte reale e
potenziale di pericolo. Ciò richiede uno studio della vulnerabilità degli acquiferi che dipende da
diversi processi che si producono all’interno del sistema sottosuolo e devono tenere conto di quanto
l’acquifero sia isolato rispetto alla superficie (quanto è profondo), la presenza di vegetazione, il tipo
di suolo, il tipo di opera, la concentrazione residua di un inquinante al suo arrivo in saturazione
rispetto a quella iniziale, la dinamica del deflusso, la conducibilità idraulica del mezzo.
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La vulnerabilità in genere non è legata a una specifica sostanza contaminante, ma è vista in modo
generico e ampio.
Ciò può essere pensato anche per un acquifero carsico in cui la presenza di un sistema di questo tipo
con metodi di circolazione molto rapida prevede l’impego di criteri diversi rispetto ai precedenti.
La valutazione della vulnerabilità intrinseca dovrebbe tenere conto delle caratteristiche fisico-
chimiche delle sostanze che possono contaminare l’acquifero, del loro numero, del tipo di fonte, dei
quantitativi, delle modalità e tempi di sversamento. Tuttavia, può essere problematico per
applicazioni in grandi aree. I principi base dei metodi sono: selezione dei parametri utili alla
definizione della vulnerabilità anche in base alla loro effettiva disponibilità spaziale e temporale,
attribuzione di pesi o punteggi a ogni parametro e somma o incrocio dei punteggi ottenuti per ogni
parametro.
In genere, si fa una zonazione per aree omogenee usando tecniche di sovrapposizione di cartografia
tematica e valutazione con sistemi parametrici (a matrice, a punteggio semplice, a punteggio e pesi
o con modelli numerici).
Un esempio è il Metodo Drastic che è stato sviluppato nel 1987 ed è un metodo empirico e l’acronimo
Drastic aiuta a ricordare i parametri tenuti in conto ossia la soggiacenza, la ricarica netta, le
caratteristiche dell’acquifero, le caratteristiche del terreno superficiale, la topografia locale, il ruolo
della zona non satura e le caratteristiche di conducibilità idraulica dell’acquifero. Il metodo è
facilmente implementabile in GIS perché son tutte variabili identificabili sul terreno. Ne esistono
diverse versioni e sono generico o normale per contaminanti inorganici e per applicazioni su pesticidi.
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Il metodo prevede che per determinati intervalli di valore di ogni variabile citata si dà un valore che
tiene conto della loro rilevanza.
Ci sono molti limiti per questo metodo e sono: la mancanza di una metodologia consolidata per
valutare la ricarica attiva media annua, scarso range per molti parametri, scarsa rilevanza data
all’azione di attenuazione dei suoli, limitato numero di opzioni che è alla base della determinazione
di punteggi per ogni parametro. Drastic fornisce una valutazione numerica di situazioni
idrogeologiche diverse con lo scopo di paragonarle tra loro e non di fornire classi di vulnerabilità
distinte utilizzabili nei processi decisionali.
Un altro metodo è il Sintacs che ha gli stessi parametri (soggiacenza, infiltrazione efficace, tipo di
vegetazione, tipo di acquifero, conducibilità idraulica, topografia), ma cerca di dare dei punteggi
continui e ricostruire delle curve.
Un altro metodo si usa in acquiferi di tipo carsico o molto fessurato e ciò implica una diversificazione
dell’approccio e ne esistono diversi che considerato variabili diverse anche in funzione delle diverse
condizioni tenendo conto sia del sistema epicarsico sia del sistema ipocarsico.
Il risultato finale grazie a GIS è possibile creare delle mappe di vulnerabilità dell’acquifero.
Iniziamo oggi con una descrizione dei contaminanti che possono essere ritrovati all’interno delle
acque o che sono di interesse per gli aspetti idrogeologici. Prima di tutto, vediamo gli argomenti che
saranno trattati nel corso e alcuni di queste conoscenze le abbiamo introdotte nella parte di
idrogeochimica: struttura dell’acqua, costituenti dell’acqua sotterranea, ciclo idro-geochimico,
sorgenti di contaminazioni e sostanze inquinanti, criteri di qualità delle acque (USEPA) → metalli,
non metalli inorganici, organici e organismi patogeni; legislazione in Italia. Ci sono dei processi
geochimici che sono rilevanti e sono: le reazioni all’equilibrio, le reazioni cinetiche e le reazioni
principali sono: acido-base, soluzione, dissoluzione, essoluzione, precipitazione, volatilizzazione,
complessazione, redox, superficiali e idrolisi. Ci sono poi altri processi geochimici come quelli
isotopici, di filtrazione osmotica o biologici.
Il moto delle sostanze contaminanti avviene attraverso una serie di processi che devono essere
accuratamente descritti e caratterizzati.
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Abbiamo accennato anche, al potere autodepurante del terreno che consiste nella sua capacità di
autotrattarsi tramite processi e fattori che ne controllano l’evoluzione (precipitazione, redox,
biodegradazione, idrolisi, volatilizzazione, filtrazione, diluizione). Esistono dei casi particolari per
sostanze particolari quali azoto, fosforo, ioni metallici e inquinamento batterico. Infine, il terreno
vegetale ha anche un potere filtrante.
Nella parte 2 del corso vedremo i processi di trasporto di massa e verificheremo quali sono le
equazioni del trasporto di massa, come possono essere considerate, se possono includere delle
reazioni e come saranno le condizioni iniziali al contorno necessarie per la loro risoluzione.
La modellazione del trasporto dei contaminanti è possibile con diversi approcci e noi vedremo quello
analitico, semi-analitico e numerico.
La struttura dell’acqua è importante perché è di tipo polare ossia asimmetrica in termini di cariche
elettriche. La molecola H2O dove O ha una carica negativa sbilanciata e H sono una fascia sbilanciata
a carica positiva. Tra molecole di acqua si possono formare legami a idrogeno e esse possono
raggrupparsi e riorientarsi in funzione della disposizione asimmetrica di cariche e ciò può dare una
struttura vera e propria ad alcuni dei prodotti ad es. il ghiaccio.
Al fine di poter approfondire il discordo dell’idrogeologia dei contaminanti è necessario tenere conto
di alcuni concetti pratici e teorici fondamentali. La distribuzione dei contaminanti nel sottosuolo è
la manifestazione dei processi di trasporto e trasferimento di massa e comprendere questo è
fondamentale per capire come un pennacchio inquinante si è sviluppato, come si comporterà in futuro
e quale sarà la strategia di bonifica preferibile. Ogni soluto che entra nel ciclo idrologico attraverso
l’azione umana è detto contaminante e se rende l’acqua inutilizzabile per l’suo è detto inquinante.
Sono sufficienti quantità molto piccole di alcune sostanze tossiche per inquinare e rendere
inutilizzabile l’acqua. Il fatto che molte sostanze siano pericolose a basse concentrazione è importante
in quanto esse saranno difficili da rilevare.
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Noi produciamo una grande quantità di rifiuti con tutte le attività umane e anche lo stoccaggio,
immagazzinamento di rifiuti solidi e liquidi nonché tutte le operazioni di trattamento, spostamento ed
eliminazione possono portare a fasi di contaminazione. Oramai vi è un attenzione altissima su questi
processi, ma è estremamente difficile mantenere una sorveglianza elevata soprattutto quando il costo
di smaltimento e gestione delle sostanze contaminanti diventa molto oneroso. Sono sempre più
numerose le sorgenti inquinanti al punto che spesso risulta impossibile attribuire ad una attività
specifica la causa di un inquinamento. L’approccio migliore a questo delicato problema è quello di
caratterizzare la distribuzione dell’inquinante nel sottosuolo, di studiarne i processi di trasporto e di
prevederne gli sviluppi spazio-temporali per il futuro.
Le sorgenti di contaminanti sono di vario tipo e si suddividono in sorgenti realizzate per lo scarico
di sostanze come ad es. percolazione sub-superficiale (pozzi neri), pozzi di iniezione (che iniettano
in profondità brine, rifiuti tossici, non tossici, ricarica falda), vari (irrigazione spray, fanghi, rifiuti
tossici e non tossici).
Altri tipi di sorgenti sono quelle realizzate per stoccare, trattamento o messa a discarica dei materiale
come ad es. discariche (rifiuti tossici e non, ospedalieri), discariche non controllate, discariche locali,
invasi di superficie, bacini di flottazione, cumuli, cimiteri, serbatoi superficiali, serbatoi sotterranei,
containers, siti combustione all’aperto e detonazione, siti di discarica radioattivi.
Altri tipi sono le sorgenti per trattenere sostanze durante il trasporto o trasmissione come ad es. le
condutture o tubazioni, le operazioni per trasporto materiali di rifiuti tossici e non.
Altre sono sorgenti che inducono portate attraverso alterazione del deflusso sotterraneo come i pozzi
di estrazione (olio e gas, geotermici, acqua), scavi per costruzioni.
Altre sorgenti sono quelle naturali le cui portate sono indotte da azione antropica come ad es.
interazione acque profonde e superficiali, la percolazione naturale e l’intrusione del cuneo salino.
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si verifica per rottura di cisterna ad esempio. Diverso è il caso in cui il rilascio si prolunghi nel tempo
anche con tassi variabili e in questo caso si parlerà di sorgente continua come ad es. quello di una
discarica dove il percolato viene raccolto ed evacuato ma finisce in falda direttamente. Oppure
l’inquinante può essere legato a fenomeni di degradazione biologica per cui la sua ricarica va
diminuendo nel tempo.
In alcune zone lo smaltimento dei liquami domestici è ancora effettuato attraverso l’uso di fosse
biologiche o pozzi neri: la decomposizione anaerobica delle sostanze organiche avviene all’interno
di queste strutture. I liquidi dispersi nel terreno possono contaminare la falda freatica apportando
batteri patogeni e virus. Esistono delle vasche usate per la separazione: all’ingresso si hanno dei
liquami poi delle vasche di raccolta dove la parte più schiumosa galleggia e sta nella parte sommitale
ed esse possono essere scremate, mentre la parte di liquame più pulito o che lo diventa a seguito della
trasformazione e decantazione della schiuma si distribuisce in zona che necessita di irrigazione. Il
rilascio è lento e diffuso in modo che le concentrazioni siano basse.
La forma di smaltimento più comune dei rifiuti urbani avviene nelle discariche più o meno interrate,
nelle quali vengono accumulati i materiali di scarto e poi ricoperti in attesa della loro completa
mineralizzazione. Talvolta anche rifiuti speciali come le scorie radioattive vengono messe in
discarica. I percolati possono contenere sostanze contaminanti anche ad elevata concentrazione.
normalmente le sostanze sono intercettate da un sistema di drenaggio che ne garantisce un corretto
smaltimento: inoltre, il corpo delle discariche è impermeabilizzato superiormente al fine di ridurre gli
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apporti di acque meteoriche che vadano ad alimentare la circolazione idrica all’interno del corpo
rifiuti.
Lo strato alla base della discarica deve possedere un grado elevato di impermeabilità cioè di solito un
livello naturale o artificiale di argilla che garantisca una separazione idraulica dalla falda superiore. I
casi di inquinamento riconosciuti da parte di discariche sono associati purtroppo a opere mal gestite
o mal progettate, nelle quali non siano rispettate le norme previste dalla legge per preservare le falde
acquifere dai percolati che si formano.
Altra forma di smaltimento sono le miniere in cui l’estrazione e coltivazione di filoni o lenti metallici
ha spesso condotto ad una contaminazione delle acque superficiali e sotterranee: l’acqua che si muove
in rocce mineralizzate o nei materiali di scarto accumulati durante la produzione si arricchisce di Sali
o di metalli in quantità eccessiva. Per esempio, in tutte le rocce contenenti pirite l’ossidazione di
questo solfuro produce acido solforico che si discioglie in seguito nell’acqua che la percola. Anche
elementi radioattivi come uranio, torio o radio possono essere lisciviati dalle acque che circolano
negli accumuli detritici derivanti dagli scavi.
Esistono dei criteri delle qualità delle acque e ne esistono molti e a diverso livello per diversi usi
delle acque. Essi si basano su dei criteri di tossicità per l’uomo o ambiente. Per l’uomo o animali può
essere pensato come quantità di sostanze che possono essere assunte nelle diverse modalità. La qualità
dell’acqua è la sua suitability cioè la sua adeguatezza per un uso specifico: è la conseguenza dello
stato fisico e chimico naturale e delle sue alterazioni apportate dall’azione umana. I criteri di qualità
delle acque redatti dall’USEPA sono validi per gli Stati Uniti ma costituiscono la base di tutti gli
standard mondiali. È chiaro che si tratta di livelli cautelativi che necessiterebbero di ulteriori indagini,
in particolare per la complessità di studio della bioaccumulazione di sostanze tossiche negli esseri
della catena alimentare e per la corretta valutazione della compresenza di diversi agenti contaminanti
nella stessa acqua potabile.
Una lista completa dei potenziali contaminanti per l’acqua in generale dovrebbe comprendere qualche
migliaio di voci: la scelta fatta dall’USEPA è allora quella di dare priorità quelle sostanze che
comunemente si ritrovano nelle acque superficiali e sotterranee come contaminanti. In totale vi sono
129 inquinanti diffusi di cui 114 sono composti organici che si dividono in 4 gruppi (volatili, acidi,
basi e pesticidi). Ogni gruppo ha diversi metodi di indagine, ma tutti i composti possono essere
esaminati usando lo spettrometro di massa e il gas-cromatografo.
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Video 7: contaminazione, puntuale, diffusa, istantanea o continua, contaminanti
organici, metalli e metalli pesanti
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che la dipendenza sarà funzione dei processi da cui queste sostanze originano e quindi dalla storia
industriale o di uso del suolo dell’area dove si svolge l’indagine. Nella tabella soprastante si considera
la classificazione di alcune delle sostanze in 5 classi: acidi, pesticidi, volatili, inorganici e basi. La
quantità totale di solidi disciolti presente all’interno dell’acqua potabile non dovrebbe superare i
500 mg/l perché a mano a mano che aumenta il contenuto di solidi disciolti si possono avere dei
problemi di gusto dell’acqua stessa. Esistono delle classificazioni in funzione del contenuto di solidi
disciolti:
La durezza dell’acqua contribuisce a ridurre l’effetto dei detergenti che reagiscono con gli ioni
presenti nell’acqua a fare un precipitato.
La presenza di argilla e limo fine nell’acqua impartisce una scarsa trasparenza che viene definita
torbidità. Poiché i batteri possono aggrapparsi a queste particelle fini, c’è un limite standard
dell’USEPA per l’acqua potabile pari ad una unità di torbidità, misurata con apposta strumentazione
in grado di rilevare la quantità di luce assorbita dalle particelle sospese.
Esistono diverse categorie di sostanze pericolose come i Metalli che sono comuni in tutti i processi
industriali, aree minerarie e si possono accumulare nelle acque di superficie dallo scolo delle zone
urbane es. le acque di ruscellamento stradale o gli scarichi o fertilizzanti e anche il combustibile
fossile. I metalli anche in traccia possono essere tossici o letali per la loro tendenza ad accumularsi
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negli organismi della catena alimentare. Esiste una categoria particolare che è quella dei metalli
pesanti che include 70 elementi con densità maggiore di 5 g/cm3; essi si distinguono quelli tossici
(As, Be, Cd, Cr, Hg, Mo, Ni, Pb, Sb, Se, Te, U, V) da quelli indesiderabili (Co, Ba, Ag, Au, Fe, Mn,
Cu, Zn) e la loro presenza può essere dovuta a processi naturali e non.
I metalli pesanti sono utilizzati come prodotti industriali o come catalizzatori di processi chimici, in
pesticidi e fertilizzanti (Cd), rifiuti gassosi (Pb nei gas di scarico), liquidi (chimica o gomme), solidi
(discariche), da miniere, piogge acide e lisciviazione da suoli acidi a bassa permeabilità. La solubilità
e persistenza dei metalli in un sistema acquifero sono funzione del pH e potenziale di ossidoriduzione
Eh.
Per es. il caso dell’Arsenico è normale trovare alcuni diagrammi che ci danno i campi di stabilità in
funzione dell’Eh e del pH. L’arsenico (As) è un semimetallo e possiede proprietà sia di un metallo
sia di un non metallo ed ha un basso valore di solubilità in acqua. Esso si può trovare nell’ambiente
in diversi stati di ossidazione, ma nelle acque naturali si trova soprattutto in forma inorganica come
ossianioni, trivalente o pentavalente. I composti dell’arsenico trivalente sono molto tossici sia per i
mammiferi che per i pesci e possono essere anche cancerogeni. La soglia di tossicità per l’arsenico è
fissata in 50 μg/l per la fornitura di acqua ad uso domestico e in 100 μg/l a scopo irriguo. L’arsenico
è importante in geochimica ambientale per il suo significato per la salute umana in quanto un
esposizione prolungata può causare avvelenamento cronico da As. Le sorgenti naturali sono connesse
a diversi tipi di roccia e attività geotermica oppure ad attività industriale specie miniere.
L’abbondanza media di As nella crosta è ca. 1.5 mg/kg e il 60% dell’arsenico naturale deriva da
minerali arsenates e il 20% dai solfuri e solfo Sali.
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Un'altra sostanza comune è il Bario ossia un metallo alcalino-terroso che si trova in natura come sale
insolubile (barite e whiterite) che sono velenosi per il sistema circolatorio. Lo standard per l’acqua è
di 1 mg/l.
Altro elemento importante è il Berillio (Be) che è ampiamente usato nell’industria e si trova in natura
nel berillo, è molto tossico soprattutto se inalato, ma rivela bassa tossicità se ingerito.
Altro elemento è il Boro (B) ha proprietà sia di metalli sia di non metalli e si trova in natura come
sale di sodio e calcio. Nell’acqua naturale è di solito presente in basse concentrazioni ma è uno dei
nutrienti essenziali per i vegetali.
Il Cadmio (Cd) è un elemento usato in numerosi processi industriali come la placcatura dei metalli,
produzione di batterie; esso è molto dannoso e si accumula in reni e fegato e il livello massimo per
l’acqua potabile è di 10 μg/l.
Il Cromo (Cr) è un elemento abbastanza abbondante sulla crosta terrestre ma scarsamente concentrato
nelle acque; il più comune in natura è il cromo trivalente, mentre quello esavalente è il più utilizzato
industrialmente ed è anche il più velenoso ed è estremamente solubile e il limite per le acque potabili
è di 50 μg/l.
Il Rame (Cu) si trova sia nativo sia in Sali e minerali ed è un elemento fondamentale per la crescita
delle piante e anche per il metabolismo degli esseri viventi, il limite è di 1 mg/l.
Il Ferro (Fe) è un elemento molto comune nelle rocce e nei terreni della crosta terrestre ed in traccia
è fondamentale per la crescita di piante e animali. Esso si ritrova in due stati di ossidazione: ferroso
che è solubile e ferrico che precipita. Il ferro impartisce all’acqua potabile un gusto metallico e il suo
limite domestico è di 0.3 mg/l.
Il Piombo (Pb) è un metallo tossico che si trova nelle acque per diversi motivi da residui di
combustione, tubazioni in piombo. Esso inibisce la formazione di emoglobina e causa anemia. Lo
standard per la potabilità è di 50 μg/l.
Il Manganese (Mn) in traccia è importante per le piante e animali ed è velenoso in quantità eccessive.
Il suo limite è di 50 μg/l.
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Il Mercurio (Hg) è tossico e si trova in forma metallica o organica ed è usato in diversi processi; esso
è presente in natura nei petroli ed asfalti, è usato come fungicida in agricoltura. Esso è tossico sia in
forma organica che inorganica ed è molto solubile in acqua e lo standard in acqua è di 2 μg/l.
Il Nichel (Ni) è quasi innocuo tranne la sua forma tossile di nichel carbonile fossile.
L’Argento (Ag) è uno dei metalli nobili e si trova sia come elemento e in composti salini: in basse
concentrazioni si può usare come battericida per disinfettare l’acqua potabile. I livelli di tossicità
dipendono dalle diverse specie animali considerate e il limite è a 50 μg/l.
Lo Zinco (Zn) in traccia è importante nel metabolismo umano, m può anche essere tossico se assunto
in quantità eccessive. Il limite è di 5 mg/l.
Esistono poi dei Non Metalli inorganici che possono anche originare dei composti chimici come i
Sali o gli ioni non metallici che sono innocui, ma se assunti in grande concentrazione possono
provocare seri danni all’organismo. Le potenziali sorgenti dei maggiori ioni includono le brine che
accompagnano i combustibili fossili, i percolati di discariche e detriti minerari, le acque inquinate
degli scarichi industriali.
Un esempio è il Cloro (Cl) che è un gas giallo-verdino, è ampiamente usato come disinfettante degli
scarichi per controllare la crescita batterica. Quando è disciolto in acqua, si dissocia in un acido debole
e reagisce per dare le cloro-ammine che sono tossiche per i pesci. Il limite è di 10 μg/l.
Il Fluoro (F) è un alogeno usato a livello industriale e presente in natura in minerali come l’apatite e
la fluorite. [diapositive approfondimento]
L’Azoto Inorganico (N) è un elemento che passa attraverso numerosi stati di ossidazione come
risultato di reazioni biologiche. I Sali inorganici comprendono i nitriti e i nitrati; inoltre, l’altra forma
possibile è quella dell’ammoniaca, gas molto solubile in acqua, che si dissolve in ammonio. Lo ione
nitrato risulta pericoloso quando supera i 10 mg/l nell’acqua.
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Il Fosforo (P) si trova organico sia inorganico ed è il nutriente chiave nel controllare l’eutrofizzazione
di uno specchio d’acqua. Esso si trova comunemente nell’apatite ed è fondamentale nella crescita
delle piante. Una fonte importante di inquinamento da fosforo sono i detergenti.
Il Selenio (Se) è un micronutriente necessario per piante e animali, ma in quantità elevate diviene
tossico. (patata selenella ricca in selenio)
Lo Zolfo (S) è presente nell’acqua sotto forma di solfati disciolti o sotto forma di acido solfidrico
gassoso: questo deriva dalla decomposizione anaerobica di materia organica ed è solubile e tossico. I
solfati non sono pericolosi ma solo lassativi. È consigliabile non superare i 2 μg/l.
Esiste poi una categoria dei Composti Organici che includono circa 2 milioni di sostanze di cui 1500
sospette di essere cancerogene. Per la maggior parte di questi composti si ignora la soglia di tossicità
per l’uomo, anche perché per taluni è difficile l’estrazione dall’acqua prelevata. C’è inoltre il dubbio
che il trattamento con cloro che si fa sulle acque destinate al consumo umano possa produrre composti
cloro-organici cancerogeni (sarebbe meglio trattare le acque con i filtri a carboni attivi in grado di
eliminare le sostanze organiche anche in tracce). Un composto organico è un composto con uno o più
atomi di carbonio uniti tramite legame covalente ad atomi di altri elementi.
I prodotti del petrolio possono essere una famiglia di prodotti organici estremamente importante da
descrivere e ciò perché il petrolio a seguito di condizioni naturali o attività umane possono essere
ritrovati in tantissimi processi e quindi possono risultare come sostanze contaminanti in prossimità
della superficie. I prodotti del petrolio si differenziano in diverse classi in funzione del loro uso in
idrocarburi che sono composti organici che contengono solo atomi di C e H, benzina che è un
prodotto ottenuto dalla distillazione del petrolio grezzo, l’asfalto che è una miscela naturale di
idrocarburi solidi e semi fluidi per lo più fatti da bitume e la paraffina che è una miscela di idrocarburi
solidi, per lo più alcani, con molecole fatte da catene con più di 20 atomi di C.
L’approccio classificativo classico per i composti organici prevede la suddivisione in classi a secondo
del gruppo funzionale cioè quella combinazione di due o più atomi (C, H, O, S, N e P) che danno al
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composto particolari proprietà fisiche e chimiche. Lo schema di classificazione qui proposto è quella
di Garrison (1977) e consiste in 16 gruppi maggiori divisi in base al gruppo funzionale e include tutti
i principali composti organici naturali e artificiali che si ritrovano nelle acque di falda.
I composti organici possono anche essere classificati in funzione del fatto che essi siano formati da
catene aperte o da catene chiuse o anche detti composti ciclici. Queste catene possono essere rettilinee
oppure avere diverse diramazioni. I composti ciclici possono essere suddivisi in due macro-classi,
omociclici ed eterociclici in funzione che l’anello sia fatto da atomi di C e H oppure che contengano
atomi differenti. Inoltre, gli omociclici si differenziano in composti aciclici e aromatici, mentre i
composti eterociclici si differenziano in alifatici e aromatici. I composti aromatici sono caratterizzati
dalla presenza di molecole di tipo ciclico con dei doppi legami.
Alcuni dei gruppi principali di composti organici sono gli Alcani, Alcheni e Alchini che sono
caratterizzati da catene idrocarburiche rispettivamente con legami singoli, con doppio legame e triplo
legame. Essi si ritrovano in gas e negli oli naturali.
Un altro gruppo è quello degli Alcoli che sono tra i più solubili e considerati come gli alcali nei quali
un H è rimpiazzato da un OH. Essi sono raramente riscontrati come contaminanti e sono il metanolo,
butanolo, glicerolo e l’etilen-glicolo.
Altri gruppi sono gli Aldeidi dove il gruppo carbonilico è legato a un radicale organico e ad un atomo
di H; tra le sostanze maggiori vi è la formaldeide.
Gli Acidi Carbossilici sono caratterizzati dal gruppo funzionale carbonilico cui è legato un OH e
sono una classe di contaminanti importante che comprende l’acido acetico, l’acido benzoico,
burritico, formico, palmitico, propionico e stearico.
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I Chetoni hanno un gruppo funzionale legato a due radicali organici e i più importanti sono l’acetone,
fluorenone.
Gli Esteri hanno un gruppo legato a radicale organico e ad O e i più comuni composti sono i pesticidi.
Altre categorie che possono essere interessanti sono gli I. aromatici basati sulla struttura ad anello
del benzene C6H6 e la loro presenza nelle acque indicano la fuoriuscita di petrolio o suoi derivati; gli
altri sono gli I. aromatici polinucleari che si formano a partire da semplici anelli di benzene e sono
componenti importanti che si trovano in natura e comprendono il fenantrene, benzopirene, antracene
e fluorantene.
Altra categoria è data dagli I. alogenati che sono caratterizzati dalla presenza di uno o più atomi di
alogeni. Essi sono sia alifatici sia aromatici. La sottoclasse degli alifatici comprende un gran numero
di inquinanti abituali delle acque come il cloroformio, bromoformio, cloruro di metilene, PCE, TCE,
pesticidi (aldrina), cloruro di vinile e cloruro di metile.
Altri sono gli Eteri che sono caratterizzati dalla presenza di un atomo di O che lega due radicali
organici e sono composti naturali per lo più.
I Fenoli sono contraddistinti da un anello aromatico legato ad un ossidrile e sono associati a rocce
ricche di idrocarburi.
Le Ammine sono di origine industriale ed è una sottoclasse alifatica in cui degli atomi di H sono
rimpiazzati da uno o più gruppi di CH3 e in questa classe rientrano composti come l’etilammina, la
metilammina, l’anina, la piridina.
Gli Amminoacidi caratterizzati dal gruppo NH2 sull’atomo di C adiacente al gruppo carbossilico
COOH ad es. l’acido aspartico.
I Composti del Fosforo caratterizzati dalla presenza di P o solfuri di P e il maggior gruppo sono i
pesticidi.
I Composti Organometallici che sono altamente tossici e sono costituiti da atomi metallici.
I Composti misti non volatili che sono difficili da classificare come gli acidi umici, fulvici e
clorofilla, oppure quelli industriali come l’acido tannico.
Una classe particolare di composti organici è quella dei Fitofarmaci che è interessante perché ci
permette di individuare quali siano i parametri usati per caratterizzarne il comportamento una volta
immessi in natura e la movimentazione nell’ambiente stesso. Essi includono diverse tipologie di
prodotti come gli erbicidi, gli insetticidi, nematocidi e fungicidi. Le sostanze sono ritenute inquinanti
se la solubilità > 0.03 g/l, se Kd ossia il grado di assorbimento del suolo è < 5, se Koc ossia il grado
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di assorbimento da parte delle sostanze organiche del suolo è < 300-500, se KH ossia la costante di
Henry ossia la misura della tendenza alla volatilità è < 10-2 atm m3/mole, se TD ossia l’emivita di
dissipazione ne suolo è > 21 gg.
Se abbiamo tutti i parametri sopra citati, possiamo indicare un Indice di Lisciviazione dato dalla
seguente relazione:
𝑆 ∙ 𝑇𝐷/𝑉𝑝 ∙ 𝐾𝑂𝐶
Dove Vp = tensione di vapore. Al numeratore si ha il prodotto tra la solubilità S e il tempo di emivita
TD e al denominatore KOC ossia il coefficiente di ripartizione sulla sostanza organica e la tensione di
vapore.
Se la solubilità è elevata, significa che nel suolo alla prima precipitazione, la sostanza può essere
trasportata nel profilo di terreno asportandola dalla superficie. Se il grado di assorbimento sul suolo
è basso significa che la sostanza passa attraverso il suolo ed esso non ha potere di trattenerla e questa
sostanza può facilmente arrivare in falda. In un suolo dal punto di vista agronomico (il primo metro
di suolo), si ha una concentrazione di sostanza organica alta e ne consegue che se non c’è affinità tra
la nostra sostanza e quella organica, il composto passerà anche questa barriera. La costante di Henry
ci indica un processo in direzione opposta e invece di avere percolazione, la sostanza se altamente
volatile potrebbe passare alla fase vapore e andare in atmosfera e nel suolo rimarrebbe poco. Se la
KH è bassa, la sostanza è inquinante perché essa rimarrà nel suolo e non tenderà a passare alla fase
gassosa. Se l’emivita è breve, la sostanza è poco pericolosa perché è poco persistente.
Video 9: proprietà dei composti organici derivati del petrolio, organismi patogeni,
tipologia, problemi, effetti, eliminazione e disinfezione
Le proprietà fondamentali dei composti organici derivati dal petrolio sono varie. Gli I. aromatici
hanno diversi elementi importanti tra cui il Benzene che costituisce la sua base, il Toluene, gli Xileni
e l’Etilbenzene. Questo gruppo è anche detto BTEX. Le proprietà fisiche di tale gruppo sono la
formula, il numero di identificazione chimico, il peso molecolare, il volume specifico, la solubilità,
la pressione di vapore, la KH e l’ottanolo-acqua che è rappresentato come il Log10 (KOW). L’indice
KOW ci dice se vi è affinità tra il composto ad es. il benzene, l’ottanolo o l’acqua. Altre proprietà
rilevanti sono la frazione volumetrica, la frazione di massa, la frazione molare, la concentrazione.
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Un'altra categoria contaminante è quella degli Organismi Patogeni in quanto si sa che l’acqua sia di
superficie sia in falda può essere un perfetto elemento di trasmissione per agenti patogeni e tra essi vi
sono i parassiti che derivano direttamente dalle feci umane e animali o dalle fosse biologiche e pozzi
neri mal gestiti o percolati da discariche di rifiuti sanitari.
Bevendo acqua contaminata si può contrarre il colera, la febbre tifoide, la dissenteria o altre malattie.
Gli organismi patogeni possono essere rimossi naturalmente dall’acqua e il tempo di eliminazione
varia da specie a specie o artificialmente con filtrazione meccanica o trattamenti disinfettanti a base
di cloro o iodio.
Sia l’ospite sia il virus tendono ad un vantaggio riproduttivo in quanto l’ospite sviluppa difese e il
virus subisce continue modifiche. La selezione naturale favorisce i virus con scarso potere patogeno
e molte infezioni sono asintomatiche. Un virus per essere patogeno deve avere delle caratteristiche
quali l’infettività (capacità di penetrare e replicarsi), la patogenicità (capacità di arrecare danno), la
virulenza (forza con cui viene indotta la malattia) e l’invasività (efficacia con cui è colpito un certo
tessuto).
Tra i virus possiamo ricordare l’enterovirus, adenovirus, norovirus, rotavirus e sapovirus.
L’altra cosa da tenere in conto è come questi organismi patogeni, ma non solo, posso venire in
contatto con l’organismo. Ciò può essere per ingestione bevendo acqua, inalazione o contatto diretto.
La tecnica che usa il calore è il metodo più efficace anche se le fonti di calore non sono sempre
disponibili e consiste banalmente nell’aumento della T, con ebollizione dell’acqua per qualche
minuto. Quasi tutti i patogeni sono sensibili al calore e sono eliminati facilmente.
La tecnica che usa la filtrazione implica l’uso di filtri o membrane che possono selezionare i
microrganismi di dimensioni da piccole a molto piccole. Esistono diverse tipologie di filtro e questi
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saranno più o meno onerosi o difficili da trasportare e il problema maggiore di questa tecnica è
l’occupazione di spazio da parte dei filtri. I filtri possono essere in ceramica, fibre o carbone attivo.
Le dimensioni e la profondità dei dispositivi sono proporzionali alla loro capacità di filtrazione e alla
loro durata di impiego. In alcuni casi, si usano dei prefiltri per bloccare le particelle di maggiori
dimensioni proteggendo il filtro interno.
Il diametro dei pori necessario per eliminare i microrganismi è funzione della dimensione degli
organismi e si va da 20 micron sino a 10 nanometri. Per avere risultati ottimi si consiglia di scegliere
un filtro con un diametro dei pori non superiore a 0.4 micron se si vuole essere protetti da germi come
il colera o le salmonelle. Diversi filtri hanno dimensione dei pori maggiori ma hanno tra i componenti
una resina di iodio efficace contro virus e batteri.
La tecnica che usa i composti alogenati e in particolare cloro e iodio. Fattori determinanti l’efficacia
sono la temperatura (più l’acqua è fredda maggiore dovrà essere l’esposizione o la concentrazione
del composto alogenato) e la presenza di materiale organico sospeso che reagisce con il composto
alogenato inibendo la capacità di disinfezione. A parità di concentrazione il tempo di esposizione
deve essere raddoppiato o triplicato se si passa da T > 25°C a circa 15°C e quadruplicato se si opera
a T di 5°C (concentrazione di 2-8 ppm).
I diversi organismi hanno sensibilità diversa che è variabile in quanto i batteri sono molto sensibili (<
1 minuto), i virus sono mediamente sensibili (resistono sino ad 1 ora a basse C) e i protozoi sono
molto resistenti e richiedono C alte. Tra i due composti, lo iodio è meno influenzato dalla presenza
di materiale organico e dal pH, ma ha varie controindicazioni tra cui il cattivo gusto dell’acqua trattata
da esso. È bene quindi dopo disinfezione usare vitamina C o filtrare l’acqua con carboni attivi.
La qualità dell’acqua destinata al consumo umano è disciplinata dal Decreto Legislativo n.31 del
2001 che si applica a tutte le acque destinate all’uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande,
sia in ambito domestico sia nelle imprese alimentari, compreso l’uso potabile e il contatto con il corpo
umano tenendo conto anche delle fasce sensibili quali bambini e anziani. L’attuazione determina la
valutazione di “idoneità” dell’acqua al consumo umano in condizioni di sicurezza per l’intero arco
della vita. I parametri e i valori massimi consentiti sono fondati sugli orientamenti stabiliti dall’OMS
e della Commissione Europea. Per completezza del quadro citato i è anche il Decreto ministeriale
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176 del 6 aprile 2004 relativo ai materiali che possono essere usati negli impianti di distribuzione
dell’acqua. Si segnala inoltre, il Decreto legislativo del 15 febbraio 2016 che stabilisce i requisiti
per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque
sotterranee al consumo umano.
Per gli idrocarburi, all’interno dei decreti 2006 e 2009, esistono dei valori di massima che sono
indicati per le acque sotterranee: si ha un carico totale di idrocarburi e HC ci rappresenta l’idrocarburo
totale presente per avere un buon stato chimico (350 μg/m di HC) o la necessità di bonifica. La stessa
cosa avviene per le acque superficiali che sono differenziate in funzione della tipologia di trattamento:
< 50 μg/l A1, 200 μ/l A2 e 1000 μg/l A3. Queste tre classi (A1, A2 e A3) sono classi di qualità delle
acque superficiali definite in vario modo:
Per gli idrocarburi totali non esiste un valore soglia riconosciuto dall’ISS e quindi a livello legislativo,
ma si pone l’attenzione alle caratteristiche organolettiche dell’acqua che possono essere indicative
della tipologia di contaminazione e necessità di operare analisi specifiche di ogni sostanza.
Citiamo poi una categoria recente che è stata introdotta che è quella dei Contaminanti Emergenti di
interesse ambientale ossia delle sostanze che non sono regolamentate e poco studiate, hanno
persistenza notevole e sono molto diffuse. Essi non sono necessariamente nuovi composti (farmaci,
droghe, additivi, pesticidi, ritardanti di fiamma). Queste sostanze sono state scoperte recentemente
in quanto sono state sviluppate tecniche analitiche che individuano concentrazioni dell’ordine dei
ng/l.
Un gruppo particolare che è diventato recentemente di particolare interesse sono quelli noti come
PFAS o Composti Fluorurati che sono idrofobici e lipofobici e sono usati per applicazioni
industriali e domestiche a partire dagli anni ’50: come coperture antimacchia, impermeabilizzanti per
tessuti e tappeti, pellicole resistenti all’olio per alimenti, schiume antincendio. PFAS conosciuti sono
l’acido Perfluoroottansulfonico (PFOS) e l’acido Perfluotootannoico (PFOA). Essi creano delle
interferenze endocrine e sono sicuramente cancerogeni per animali e possibilmente per l’uomo. Essi
sono molto stabili e quindi possono percorrere lunghe distanze trasportati da aria e acqua e
bioaccumularsi (ex a Vicenza).
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Video 11: NAPL – Non Acqueous Phase Liquids, LNAPL e DNAPL
Una volta caratterizzati i contaminanti quello che ci potrebbe interessare è come essi si comportano
una volta entrati a contatto con il terreno o col mezzo poroso e come si comporteranno una volta che
passeranno attraverso la zona insatura/satura e nelle zone di transizione. Ciò sarà fortemente
condizionato dalle caratteristiche del suolo, dalle caratteristiche ambientali e dalle caratteristiche delle
sostanze contaminanti. In questa lezione esamineremo il comportamento di alcune sostanze
particolari che abbiamo già introdotto precedentemente, ma che non abbiamo definito nel dettaglio.
La categoria di composti che andiamo ad esaminare è definita NAPL ossia Non Acqueous Phase
Liquids.
Consideriamo il caso di uno sversamento di un NAPL in prossimità della superficie del terreno: il
percolato va verso il basso col passare del tempo attraverso la zona insatura in direzione della
superficie piezometrica. Il processo che più influenza la migrazione verso il basso del liquido è il
flusso dovuto al gradiente di potenziale ossia quello condizionato dal contenuto d’acqua e dalle
caratteristiche fisiche del terreno. Un NAPL è un liquido organico che ha la caratteristica di essere
non polare e essendo l’acqua una molecola polare, il NAPL risulta una sostanza idrofobica. Inoltre,
il NAPL è debolmente solubile e predomina la migrazione verticale in zona vadosa con una
componente di espansione laterale controllata dall’eterogeneità del terreno, l’eventuale anisotropia, l
presenza di zone a diversa permeabilità o diverso contenuto di fluidi all’interno. In genere, un piccolo
volume di NAPL difficilmente raggiunge una falda di media profondità. La migrazione sarà
controllata da tutte le proprietà del liquido per esempio la tensione di interfaccia, la tensione
superficiale, la viscosità, la solubilità, la bagnabilità, la saturazione e le proprietà del suolo tra cui la
permeabilità, la granulometria, contenuto d’acqua. Infine, può esistere anche una volatilizzazione e
dissoluzione nella zona insatura (vadosa).
La zona non satura è una zona di transito e di eventuale accumulo della sostanza contaminante. In
questa zona, il profilo dell’acqua sui granuli solidi è la fase bagnante, mentre il liquido immiscibile
(NAPL) è la fase bagnante rispetto all’aria sul velo d’acqua che contorna i granuli, ossia è la fase non
bagnante rispetto all’acqua.
Bagnante significa che l’angolo di contatto col solido è acuto e quindi la sostanza sarà idrofila in
questo caso, viceversa con angolo ottuso sarà idrofoba.
Poiché l’acqua bagna il solido, i NAPL non possono spostare l’acqua dalla superficie del solido e si
spostano da un poro all’altro quando si supera la saturazione residua. Per contenuti inferiori alla
saturazione residua, il NAPL rimane invece immobilizzato. Si possono avere delle curve di
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saturazione e permeabilità relativa come quelle sotto rappresentate. Si consideri il fluido bagnante
che potrebbe essere l’acqua: se aumenta il
grado di saturazione in acqua, diminuirà il
grado di saturazione del fluido non bagnante
e il fluido bagnante diventerà via via sempre
più mobile. Quanto più è scarso o assente un
altro fluido, tanto più è grande la sezione
disponibile per la movimentazione del fluido
in cui la saturazione è maggiore. Viceversa,
se diminuiamo la saturazione nel fluido
bagnante e aumentiamo quella del fluido non
bagnante ad es. l’olio, osserviamo che l’olio
diventerà più mobile rispetto all’acqua. Ciò è
espresso in termini di permeabilità relativa
nel diagramma a lato. la permeabilità relativa
rappresenta il rapporto tra la permeabilità allo stato di saturazione specifico rispetto alla permeabilità
massima che sarà quella del caso in cui il mezzo poroso sarà del tutto saturo di quello specifico fluido.
Ci sono altre due zone di questo grafico che sono importanti e che sono: la saturazione irriducibile e
la saturazione residua. La prima vale per il fluido bagnante, mentre la seconda per quello non
bagnante. Ciò significa che per quanto io tenti di desaturare dal fluido bagnante il solido, non riuscirò
a desaturarlo completamente e quindi mi rimarrà una % piccola di fluido bagnante nei pori e ciò
significa che non potrò riempire completamente i pori con il fluido non bagnante. Stessa cosa accade
dall’altra parte dove non potrò arrivare alla saturazione completa di fluido bagnante perché dopo una
prima saturazione del fluido non bagnante, parte di esso rimarrà incastrato nel sistema.
Inoltre, in funzione dell’ordine di saturazione (se prima arriva l’acqua o prima arriva il NAPL),
l’acqua e il NAPL possono disporsi in posizioni differenti. Quindi, potremmo avere la saturazione
insulare per cui l’acqua controlla tutti i contatti con i solidi, mentre l’olio si va a posizionare nella
zona centrale: tanto minore è il contenuto in saturazione di olio, tanto più esso tenderà a ritirarsi al
centro dei pori. La saturazione pendolare, invece, è l’opposto e significa che l’idrocarburo sta a
contatto con il solido e l’acqua occupa la zona centrale per cui essa quando aumenta il grado di
saturazione in olio va ad occupare la parte centrale e ciò implica che per es. sia meno mobile il NAPL,
ma potrebbe anche essere l’opposto.
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Le properietà fisiche dei NAPL ossia il peso specifico, la solubilità, la viscosità e la tensione di vapore
insieme ad altri fattori controllano la propagazione. Nel caso di una sorgente non continua, la quantità
di contaminante mobile decresce continuamente perché parte del liquido è imprigionata all’interno
dei pori in forma di saturazione residua; di conseguenza il volume d’inquinante che raggiunge la falda
è sempre inferiore a quello sversato all’origine. Per un piccolo volume sversato la percolazione si
avrà fino a che si raggiunge un livello di saturazione residua per l’intero volume di liquido sversato.
Allo stesso modo si osserverà una rimobilizzazione del fluido a saturazione residua nel caso in cui
occorra un nuovo sversamento che aumenti il contenuto di liquido. Se lo sversamento avviene a
portate molto piccole, il problema consiste nella continua possibilità di dissoluzione e
volatilizzazione.
Durante il percolamento verso il basso è possibile osservare una tendenza alla propagazione laterale
del contaminante, anche in condizioni di omogeneità e isotropia del terreno a seguito delle forze di
capillarità. La presenza di strati a diversa permeabilità può influenzare la propagazione laterale. Per
uno strato continuo la propagazione continuerà lateralmente solo entro la zona insatura. Per uno strato
discontinuo, essa continuerà fino all’interruzione e quindi verso il basso.
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Ci sono però delle condizioni particolari in cui ad es. vi è una frangia capillare. Se il NAPL la
raggiunge, noi sappiamo che l’acqua là è in una condizione di tensione negativa, il comportamento
del NAPL varia in funzione alla tipologia.
Inoltre, se si ha una fase libera ossia se esiste solo il NAPL o se è in soluzione, ci saranno diverse
leggi che ci diranno se tale NAPL preferirà stare disciolto in acqua oppure tende ad andare alla fase
vapore o preferisce andare nei pori.
Nel caso di un LNAPL, questo tende ad accumularsi al tetto della frangia capillare e si muove
lateralmente non appena raggiunge uno spessore critico; anche per il LNAPL il modo di interazione
è funzione della velocità con cui viene alimentato il pennacchio di contaminante. Un grande volume
di contaminante in un breve tempo causa il collasso della frangia capillare e una depressione della
superficie della falda, deformando la frangia capillare sentendo la spinta verso il basso del LNAPL
che preme sulla frangia. In questa zona, la frangia capillare può oscillare su e giù e se la tavola d’acqua
scende ad una data quota in periodo di secca accade che la frangia capillare segue lo stesso percorso
e LNAPL può scendere all’interno di questa zona; nella fase successiva, quando la tavola d’acqua
risalirà accade che sotto ci sarà del LNAPL che rimarrà in saturazione residua e quindi rimarrano
delle goccioline. L’estensione della depressione è funzione della quantità di prodotto e della sua
densità mentre la propagazione continua anche lateralmente.
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Se lo sversamento è piccolo, anche se continuo, la
propagazione è solo laterale senza depressione della
superficie della frangia e della falda e continua
finchè non si raggiungono le condizioni di
saturazione residua. Si ricorda che in genere per i
diversi composti una piccola parte della sostanza
contaminante potrà andare poi in soluzione
nell’acqua e quindi seguire diverse modalità di
propagazione originando un pennacchio contaminante.
Nel caso di un DNAPL, invece, si assiste al movimento di un fluido immiscibile più denso dell’acqua.
Quando esso raggiunge la frangia capillare, tende a rallentare, ma non appena la quantità di
contaminante entro un poro supera
quella residua la percolazione
riprende. In questo caso, però, viene
spostata l’acqua e non il gas, ossia non
prevale la migrazione laterale bensì la
verticale. Esso scenderà sino a
raggiungere il substrato impermeabile
e dopodiché si muoverà sotto l’azione
della gravità e della pendenza del
substrato. Quello che può accadere è che l’avanzamento del DNAPL può essere opposto a quella
della falda come nella figura a lato. Nella zona fucsia rimarrà una zona a saturazione residua ossia
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nei pori avremo parte dei DNAPL e saturazione in acqua. I DNAPL si muovono alla base delle unità
permeabili sotto l’effetto della differenza di densità tra DNAPL e acqua di falda seguendo la direzione
di massima pendenza del tetto dell’unità o livello impermeabile. Tale direzione di movimento può
essere diversa da quella del deflusso delle acque e ciò può indurre grossi problemi nell’individuazione
e nell’estrazione dei contaminanti. La presenza di eterogeneità nel terreno può indurre la
propagazione laterale e quindi può essere difficile valutare esattamente il percorso e il tipo di
propagazione dell’inquinante. Inoltre, va tenuto presente che durante l’affondamento di tali sostanze
il prodotto può indurre il rilascio di alcuni composti solubili che origineranno un pennacchio di
contaminante disciolto, mentre nella zona vadosa ci sarà la liberazione di vapori densi che tenderanno
a permanere al contatto con la frangia e quindi potranno originare ulteriore contaminazione della
falda. Quando il DNAPL è continuo sarà mobile, altrimenti è immobile se occupa solo alcune parti
piccole dei pori.
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Nella figura 3, se il DNAPL
scende in verticale ancora e
sbatte contro il fondo e in
questo caso può fluire
parzialmente seguendo verso
sx lungo la pendenza dello
strato oppure accumularsi
nell’avvallamento.
Nel caso di fluttuazione della falda si ha una grande influenza sui fluidi a minor densità e infatti
sopra la tavola d’acqua tende a formarsi sia una zona a saturazione residua sia una lente di liquido
mobile. Qualsiasi oscillazione della falda riduce la quantità di liquido libero di muoversi e aumenta
quello intrappolato in forma di saturazione residua, tuttavia l’abbassamento del livello è quello con
gli effetti maggiori sulla quantità di fluido libero di muoversi. Quando si ha oscillazione della falda
con LNAPL, si ha risalita della falda e zona di trascinamento e in pratica se inizialmente LNAPL era
quello viola sottostante nella fig in alto, viene spostato verso l’alto ma qui ci sarà LNAPL che si
fermerà in saturazione residua e quindi la massa che verrà tirata su di LNAPL libero sarà inferiore e
ciò lo si vede nello spessore.
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Quindi, si ha la fase di salita e discesa, durante la quale si ha un trascinamento o perdita di LNAPL e
quindi formazione di una zona a saturazione residua.
La stessa cosa la vediamo anche nell’esempio dello schema soprastante in cui si ha un pozzo di
monitoraggio e il tempo passa con delle oscillazioni della falda rappresentata dalla linea nera
tratteggiata e dalla colorazione in azzurro. Dallo step a) allo step b) si vede che la falda si
approfondisce, dallo step b) al c) si solleva, lo step d) si solleva ancora e lo step r) si abbassa. In
questo caso LNAPL che galleggia sulla falda si vede che è trascinato in giù, poi rispinto in su e nello
step c) rimane una fase residua nella zona satura in acqua, viene poi spinto in su nella fase d) e quando
si riscende in e) potrebbe ritornare alla condizione che si vede nello schema. La stessa cosa la si
osserva all’interno del pozzo di monitoraggio: in alcuni casi il NAPL risulta meno spesso o assente.
Nella gran parte dei casi, l’LNAPL va considerato come un composto e in rari casi si ha una miscela
monocomposta. La composizione nelle acque sarà funzione di quella iniziale dell’LNAPL. La
presenza di LNAPL in un pozzo è un indicatore che affianco al pozzo c’è dell’LNAPL e che esso
supera la saturazione residua in quando è mobile (se fosse in saturazione sarebbe immobile). LNAPL
ha la capacità di muoversi verso il pozzo, ma non è detto che in presenza di un altro fluido, acqua o
aria, sia in grado di muoversi in piccoli pori. Inoltre, esso migra se occupa zona che prima non erano
occupare da esso. La migrazione dell’LNAPL non può avvenire a meno che esso non sia presente al
di sopra della saturazione residua. Se una sorgente smettesse di emettere, LNAPL potrebbe smettere
di migrare. Ciò ci die che per capire se un NAPL sta migrando, dobbiamo avere più elementi che ci
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diano evidenza del movimento. Inoltre, un LNAPL in condizioni di mobilità è potenzialmente
recuperabile con un approccio di tipo idraulico.
Allo stesso modo la fratturazione di un mezzo può avere una importanza notevole sulla migrazione
dei NAPL. In particolare, la fratturazione induce un moto localizzato del contaminante all’interno
delle fratture e le caratteristiche del materiale possono influenzare fortemente il volume di
contaminante immobilizzato entro la matrice o rimobilizzabile dalla matrice. La modellazione di tali
casi potrà quindi richiedere l’impiego di modelli di flusso discreto cioè localizzato nelle fratture
oppure di flusso in mezzo a doppia porosità. In questo ultimo caso, la velocità di deflusso sarà molto
diversa tra matrice e fratture. In un mezzo fratture si avrà quello che è schematizzato nelle due figure
seguenti ossia contaminante che
passa nelle fratture di una roccia con
matrice permeabile come nel caso in
alto oppure tramite matrice
impermeabile come nella figura in
basso. Nel primo caso, se la roccia
arancio è permeabile o porosa,
LNAPL potrà trasferirsi anche nelle
bande violette ossia andare a toccare
parzialmente la roccia porosa; una
volta che la frattura si svuota, si
potrebbe svuotare la porosità della
roccia stessa. Quindi si ha un
problema di porosità e permeabilità
secondaria.
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potrà arrivare sino al fondo e poi si avrà ancora ulteriore pennacchio verdino che viaggerà nella
direzione di flusso.
Come accennato in precedenza i NAPL nei terreni e nelle acque sotterranee possono essere sorgente
di fenomeni di contaminazione secondaria. I problemi che esistono sono connessi con la
volatilizzazione di contaminanti organici presenti allo stato libero o a saturazione residua ossia
partizione tra terreno e aria oppure con la dissoluzione parziale entro le acque sotterranee.
Possiamo avere un DNAPL che scende, se si ha una sostanza volatile essa può migrare verso l’alto e
andare nella fase vapore; il fronte di saturazione di DNAPL che si approfondisce buca la frangia e
scende, in parte è intrappolato in lenti a bassa permeabilità, scende e arriva al fondo e una volta qui
si allarga lateralmente quanto più riesce in funzione delle sue proprietà. Dalla fase liquida si ha
dissoluzione e quindi partirà un pennacchio violetto chiaro che tenderà a muoversi con diversa
geometria nella stratificazione
all’interno dell’acquifero. Quindi, vi
sono dei vapori che migrano verso
l’alto, se piove o si ha infiltrazione
dalla superficie, il vapore può
condensare all’interno o solubilizzarsi
nell’acqua in infiltrazione e andare
direttamente in falda. Per questo
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motivo e perché i vapori viaggiano rapidamente posso ritrovare zone contaminate da DNAPL anche
lontane dalla sorgente.
Tra gli elementi considerati in tali modelli ci sono per es. i seguenti elementi di base:
Un esempio di trasporto di massa sotto controllo potrebbe essere quello delle prove di tracciamento
dove si traccia con un marcatore il liquido che fluisce nel mezzo poroso e ciò può essere fatto in tante
modalità che saranno funzione della tipologia di problemi. Queste miscele marcatrici sono immesse
nelle cavità nel saturo o nell’insaturo, o nei corsi d’acqua. Le immissioni possono essere istantanee o
rilasci prolungati nel tempo.
I processi fisici che generano il moto di un soluto o di una sostanza inquinante nel terreno acquifero
poroso sono 3: advezione, dispersione idrodinamica e diffusione. Il termine Advezione descrive il
trasporto di massa dovuto solo al flusso dell’acqua nella quale la massa è disciolta dove la direzione
e la velocità coincidono con quella dell’acqua. La Dispersione è un processo di mescolamento tra
fluidi che si sviluppa nella zona di contatto tra fluidi di diversa composizione. La Diffusione è un
processo per cui costituenti si muovono nella massa liquida o nel solvente sotto l’influenza della loro
attività cinetica lungo la direzione del loro gradiente di concentrazione.
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Il fenomeno dell’ADVEZIONE è definibile come conservativo ed
è il più importante e meglio conosciuto tra quelli sopra citati.
Essa è controllata da quei fattori che regolano il flusso idraulico
nei sistemi porosi ossia la configurazione della superficie
piezometrica, la dimensione del bacino, il tipo e velocità di
ricarica e la struttura geologica. La relazione tra flusso idraulico
e trasporto delle sostanze per advezione è così stretta che la
comprensione dell’uno significa la comprensione dell’altro. Le
due caratteristiche principali dell’advezione sono che la massa di
sostanza aggiunta in un tubo di flusso si muove solo lungo quel
tubo di flusso e che la direzione della massa che si muove in un
sistema stazionario è definita dalle linee di flusso anche nei
sistemi più complessi. Se si considera il reticolo di flusso a sx, la gocciolina di contaminante se si
muovesse per advezione si sposterebbe lungo la linea di flusso blu e quindi come l’acqua (vettore
velocità è tangente alla linea di flusso in ogni suo punto).
Dal punto di vista matematico, il flusso di massa del costituente attraverso un volume rappresentativo
di materiale poroso è rappresentato dalla relazione seguente:
𝐽𝑖 = 𝑣𝑥 ∙ 𝐶𝑖 ∙ 𝑛
Dove Ji è il flusso di massa della sostanza per unità di area per unità di tempo, vx è la velocità lineare
dell’acqua nella direzione x, n è la porosità e Ci è la concentrazione in massa per unità di volume
della soluzione.
Questo semplice modello assume che il trasporto di massa non
influenzi la traiettoria del flusso: nella maggior parte dei casi reali
questa condizione è verificata e quindi l’acqua e la massa in essa disciolta viaggiano nella stessa
direzione e con la stessa velocità.
La velocità lineare può essere ricavata dalla legge di Darcy modificata ossia:
dove v è la velocità lineare dell’acqua, k è la conducibilità idraulica, ne è la
porosità effettiva e δh/δl è il gradiente idraulico.
Ci sono alcune situazioni nelle quali la velocità dell’acqua è diversa da quella della massa in
advezione, nel caso di sostanze con densità molto maggiori dell’acqua o con ioni negativi disciolti
che possono muoversi più velocemente dell’acqua che li trasporta. Ad es. se abbiamo particelle
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argillose cariche negativamente sulle facce delle lamine argillose dovute alla loro struttura (tetraedri
di silice) e ciò può causare l’allontanamento degli ioni negativi rispetto alle facce delle particelle e
ciò può forzare gli anioni a rimanere al centro dei pori ossia nella zona di massima velocità. Infine,
potrebbe accadere che vi sia un rallentamento per ultrafiltrazione ossia in una condizione simile a
quella delle membrane semipermeabili e che avviene in presenza di terreni fini e argillosi.
La quantità di flusso di massa 1D, Fx, a seguito dell’advezione sarà uguale alla quantità di acqua che
fluisce nel tempo moltiplicata per la concentrazione di solidi disciolti e quindi si ha la relazione
successiva dove con il pedice i si intende
la direzione di trasporto del soluto.
L’equazione del trasporto advettivo 1D, sempre dall’applicazione della legge di conservazione della
massa sarà:
Esempio 1: si assume di avere un terreno rappresentato di seguito in sezione, in cui ci siano dei nitrati
con concentrazione pari a 16.0 mg/l e che siano trasportati per advezione ad una velocità pari a 0.32
m/g in acquifero con porosità efficace di 0.22. La falda emerge in corrispondenza di un corso d’acqua.
Quale sarà il deflusso di massa di nitrati entro il corso d’acqua posto che l’acquifero in corrispondenza
dell’emersione della falda abbia spessore di 2 m e larghezza di 125 m?
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Oltre al trasporto come massa disciolta, si può avere anche un trasporto di massa come solido
trasportata all’interno del flusso di acqua e ciò può avvenire in sospensione ad es. durante il moto
advettivo. In questo caso, le particelle coinvolte sono quelle argillose e colloidi o batteri, virus. Questa
tipologia di trasporto è importante perché può consentire la distribuzione della massa in profondità e
può avere un certo ruolo nella formazione dei suoli o di depositi minerali. Le particelle possono essere
direttamente dei contaminanti o i contaminanti possono essere adsorbiti su o entro le particelle
argillose in movimento.
Infatti, le particelle argillose hanno elevata superficie e quindi possono raccogliere molto
contaminante e l’importanza è maggiore qualora il contaminante per sé stesso non avrebbe elevata
mobilità. Questo tipo di trasporto del contaminante diviene fondamentale in tutti i casi in cui i terreni
siano ricchi di sostanze colloidali, di particelle fini e come tale può essere determinante nella scelta
delle corrette tecniche di campionamento e di trattamento dei campioni.
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Nel becher (a sx) immettevano una goccia (rettangolo viola) nella zona centrale e tale goccia ha una
certa larghezza e la C iniziale è pari a una C relativa ossia il rapporto tra la C e quella iniziale pari a
1.0. nel tempo accade che la concentrazione diminuisce (il picco scende) e quindi la gaussiana si
abbassa, ma si allarga per diffusione.
In un mezzo poroso (a dx) si hanno tante particelle solide con l’acqua che si muove al suo interno
attraverso un percorso più o meno obbligato che sarà tortuoso e succede che la curva gaussiana rimane
distorta.
In genere, accade che il coefficiente di diffusione in acqua pura è diverso da quello in un mezzo
poroso e in genere si assume che quest’ultimo sia pari a quello in acqua moltiplicato per un
coefficiente ω che varia tra 0.01 e 0.5.
In un mezzo poroso, la diffusione avviene nella fase liquida contenuta nei vuoti ed è regolata dalla
seguente espressione della legge di Fick:
dove V è il volume medio, n è la porosità e τ è un vettore tortuosità
per tenere conto della collisione del soluto con le pareti dei pori.
Questa legge introduce oltre al termine che conoscevamo già dalla relazione precedente, un termine
in rosso che è funzione della tortuosità e del volume medio. Nella pratica però, si preferisce usare la
legge di Fick nella forma semplice sostituendo a Dd un coefficiente di diffusione effettiva Dd’ che
aumenta con la porosità e diminuisce al crescere del rapporto tra lunghezza del percorso e lunghezza
del campione.
Sono state proposte diverse formulazioni in letteratura per la valutazione del coefficiente di diffusione
effettiva ad es:
52
ove D* è una costante < 1 che tiene conto della struttura del mezzo poroso ed è in genere funzione di
porosità e tortuosità del mezzo poroso.
Poi, Hellferich indica un intervallo possibile per D* funzione solo di n e compreso tra:
ove τ = tortuosità ossia il rapporto tra la lunghezza del canale di flusso per una particella Le e la
lunghezza del campione L.
Infine, Bear descrive la tortuosità attraverso il rapporto (L/Le)^2 che deve essere < 1 e in genere è
compreso tra 0.56 e 0.8 in mezzi granulari. Quindi, la tortuosità è una misura dell’effetto della forma
del percorso di deflusso seguito dalle molecole entro il mezzo poroso.
Va ricordato inoltre che il processo di diffusione può essere complicato dal fatto che gli ioni devono
mantenere neutralità elettrica durante la diffusione. Per esempio, avendo una soluzione di NaCl gli
ioni Na+ non si diffonderanno più velocemente dei Cl- a meno che esistano anche altri ioni negativi.
Oppure in caso di adsorbimento di un soluto gli altri soluti viaggeranno più velocemente. È inoltre
evidente che la diffusione può avvenire tra strati o materiali adiacenti entro i quali i contenuti di ioni
siano molto differenti.
53
Video 13: dispersione idrodinamica, diffusione, dispersione meccanica, coeff. di
dispersione e relazione con varianza
Nella scorsa lezione abbiamo visto che esiste una somiglianza nella distribuzione dei valori di
concentrazione nello spazio a quello di un distribuzione normale o gaussiana.
Ove Ci è la concentrazione alla distanza x dalla sorgente all’istante t dall’inizio della diffusione e C0
è la concentrazione originale entro il materiale sorgente; erfc è la funzione errore complementare
ossia una funzione che è correlata alla distribuzione normale ossia la soluzione descritta
dall’equazione è distribuita normalmente come atteso per un processo di tipo diffusivo.
L’equazione a lato non è risolvibile analiticamente, ma è solo
approssimabile per cui erf(B) varia tra 0 e +2, poiché il valore
massimo di erf(B) è 1.
Tornando al nostro becher, possiamo spostarlo nello spazio attraverso una colonna di terreno:
succederà che comunque ci sarà una distribuzione del colorante che avverrà con le stesse modalità
viste prima e ciò significa che vi è una dispersione dovuta al mezzo poroso e non alla pura diffusione.
Il più importante effetto della dispersione è lo “spandimento” di massa oltre il fronte normalmente
creato dalla sola advezione. Per capire meglio questo concetto ci aiutiamo con un apparecchio
sperimentale monodimensionale costituito da una colonna cilindrica di materiale poroso confinata ai
lati da un tubo di plexiglas. Entro tale dispositivo è instaurato un flusso stazionario di acqua che entra
da una base ed esce dall’altra. Il test inizia quando un tracciante con concentrazione relativa in entrata
C/C0 = 1 è immesso nel tubo attraverso l’intera sezione della colonna. Il monitoraggio della C di quel
tracciante in uscita all’altra estremità del tubo consente di determinarne lo spostamento in funzione
54
del tempo. La funzione di ingresso del tracciante rispetto al tempo ha una forma diversa dalla curva
di uscita del medesimo. La dispersione ha creato infatti una zona di miscelazione tra il fluido anteriore
spostato e quello posteriore che spinge. La posizione del fronte di advezione in uscita dal tubo
corrisponde al valore di C relativa pari a 0.5; la dispersione, che in questo caso, è solo longitudinale,
sposta parte del tracciante dalla zona indietro al fronte verso la zona oltre il fronte. In uscita posso
avere due modalità di uscita del tracciante o curva viola o linea nera.
La stessa cosa la vedo nel caso di immissione di colorante ad un istante nello schema soprastante. Se
immettiamo una C all’inizio del tubo avremo che essa avrà uno spessore iniziale piccolo funzione
della durata dell’iniezione. Dopo un po’ di tempo osserveremo che dopo l’impulso dell’acqua, esso
si spingerà avanti, ad una data x, nella figura 1, l’elemento si allargherà e la colorazione non è più
omogenea all’interno, ma avremo una bandatura. A mano a mano che il t passa e lo spostamento
diventa via via, lo spesso aumenta ancora, nella figura 2, e nel terzo istante t sarà ancora più larga.
55
Quindi, se la pensiamo in termini di una distribuzione di C, avremo che all’inizio si ha una gaussiana
stretta e alta, poi si allarga e scende e scende ulteriormente nella terza figura. La massa presente sarà
sempre costante, ma ad un certo punto dal tubo uscirà una quantità di colorante che varierà nel tempo
secondo la curva prima descritta.
Questo dispositivo sperimentale rappresenta un trasporto sia advettivo sia dispersivo in 1D: ma un
miscelamento simile avviene anche nelle due e nelle tre dimensioni. La differenza sta nel fatto che,
mentre nel caso 1D una zona dietro al fronte di advezione mantiene una C stazionaria pari alla C
iniziale C0. Negli altri casi la dispersione trasversale fa variare tale concentrazione: nella zona vicina
alla sorgente c’è la massima C misurabile che è ridotta rispetto alla C0.
Se supponiamo di avere una sorgente pulsante che libera un tracciante in un sistema di flusso 1D con
velocità costante, possiamo studiare la distribuzione della C relativa nello spazio e quindi nel tempo.
In figura vediamo come dopo un certo intervallo la distribuzione della C diventa “normale”: la media
definisce la posizione dovuta al trasporto per advezione secondo la velocità costante del flusso
idraulico, mentre la varianza caratterizza l’estensione della dispersione longitudinale.
56
Noi possiamo avere una dispersione trasversale e una
longitudinale. La seconda è data da un flusso da sx a dx
e alcune linee di flusso troveranno degli ostacoli e
sceglieranno una traiettoria che consentirà di scavalcarli.
Il risultato finale è che se ci mettiamo alla linea rossa a
fare l’osservazione, alla fine o anche all’inizio, la
campana iniziale non corrisponderà a quella finale in
quanto viene distorta da questi percorsi alternativi che
intraprendono le linee di flusso. Quindi avremo un
coefficiente di dispersione longitudinale che sarà legato
alla variazione della dispersione istantanea nel tempo.
In direzione trasversale, invece, oltre ad avere la
dispersione nell’arrivo nella direzione di flusso avremo
anche una dispersione trasversale alla direzione di flusso.
Si avrà una curva gaussiana e un coefficiente di
dispersione trasversale che è il risultato del salto tra linee di flusso adiacenti per diffusione.
Il rapporto tra la varianza e il doppio del tempo è una costante chiamata coefficiente di dispersione.
Se la velocità del flusso v è costante, possiamo scrivere
Dove x è la distanza dalla sorgente.
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La dispersione meccanica è una miscelazione che si origina per locali variazioni di velocità alla
piccola scala intorno al valore medio del flusso. Tali variazioni, sia nella velocità di flusso che nella
sua direzione, sono dovute alla non idealità del mezzo poroso. Fattori come le dimensioni, la forma
e la distribuzione dei pori, la variazione di permeabilità, l’eterogeneità dei terrni e la distribuzione
delle velocitò nei pori: tutti questi fattori contribuiscono ad allontanare il mezzo poroso reale dal
comportamento ideale.
Possiamo definire il coefficiente di dispersione idrodinamica come la somma di due coefficienti uno
legato alla diffusione e l’altro alla dispersione meccanica:
dove Dd* è un coefficiente di diffusione che tiene conto della tortuosità nel
corpos poroso e DL’ è un coefficiente di dispersione solo meccanica.
La dispersione meccanica è fortemente controllata dall’eterogeneità o dalle caratteristiche del mezzo.
La velocità di flusso del fluido e le dimensioni dei granuli sono i due fattori che maggiormente
controllano la dispersione idrodinamica longitudinale in una colonna. In un diagramma sperimentale
costruito da Pfannkuch è visibile la relazione tra il rapporto adimensionale DL/Dd ed il numero di
𝒗𝒅𝒎
Peclet 𝑵𝑷𝑬 = relazione che indica se il comportamento è diffusivo o advettivo. Al solito,
𝑫𝒅
DL è il coefficiente di
dispersione longitudianle,
Dd è il coefficiente di
diffusione, v è la velocità
lineare dell’acqua e dm è il
diametro medio dei granuli.
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Il diagramma rappresenta il coefficiente di dispersione longitudinale rispetto al coefficiente di
diffusione sull’asse y e il numero di Peclet sull’asse x. Quindi sia l’asse y sia l’asse x è stata
normalizzato al coefficiente di diffusione. Il termine al numeratore dell’asse x sarà un termine
advettivo, mentre quello al denominatore sarà diffusivo. Se il rapporto sull’asse y aumenta, aumenta
il contributo dispersivo, se diminuisce, invece, significa che sta aumentando il contributo diffusivo.
La stessa cosa vale per l’asse delle ascisse dove se aumenta il numero di Peclet significa che aumenta
la componente advettiva e se invece diminuisce significa che è più importante la parte diffusiva.
Se si rappresentano dei dati sperimentali, si osserva la curva rossa: nel primo tratto si ha pendenza
quasi 0 e significa che domina la componente diffusiva rispetto a quella dispersiva e si ha un valore
molto basso e non vi è una relazione diretta con il numero di Peclet. Se aumentiamo il numero di
Peclet e quindi la velocità si osserva che salta fuori una legge più o meno lineare in scala log che dice
che vi è una relazione tra il DL e la velocità e ciò significa che DL è funzione della velocità di flusso
advettivo. Questa pendenza è anche detta dispersività. Se ciò vale per il coefficiente di dispersione
longitudinale, vale anche per quello trasversale con una pendenza diversa (curva arancione).
Nella classe 1 ossia nel tratto orizzontale e iniziale del grafico, la diffusione è la causa principale di
miscelazione e il rapporto DL/Dd è costante e pari a 0.67.
59
Nella classe 2 la miscelazione è influenzata con solo dalla diffusione, ma anche dalla dispersione
meccanica con il rapporto che aumenta in funzione di NPE (0.1 < NPE < 4).
Nella classe 3 (4 < NPE < 104) la dispersione meccanica domina completamente il processo di
miscelazione, mentre nella classe 4 l’effetto della diffusione molecolare è nullo.
Gli esperimenti di laboratorio hanno consentito di stabilire la relazione tra i coefficienti di dispersione
meccanica DL’ e DT’ longitudinale e trasversale rispettivamente e la velocità lineare dell’acqua v.
Dove αL e αT sono le dispersività longitudinale e trasversale del mezzo. Nel caso del mezzo isotropo
e omogeneo, i due coefficienti sono definiti parallelamente e perpendicolarmente alla direzione di
flusso. Tenendo conto del coefficiente di dispersione idrodinamica prima descritto avremo la
relazione a lato. Una stima di queste grandezze è stata fatta sia su
campioni a colonna in laboratorio, sia sul terreno alla grande scala:
i valori della dispersività macroscopica sono di due o più ordini di
grandezza maggiori rispetto a quelli di laboratorio. Un tipico intervallo di valori della dispersività
longitudinale è 102 – 100 cm su colonne sperimentali e 101 – 102 cm sul terreno. Oppure αL = 1/10
lunghezza del pennacchio.
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Misure sul terreno dimostrano che il valore di dispersività longitudinale in problemi 3D non è
costante, ma cresce con la distanza di spostamento del pennacchio inquinante. Innanzitutto, occore
tenere conto delle possibili eterogeneità
presenti nel terreno alla grande scala,
come le lenti di materiale a proprietà
differenti: il tracciante dovrà muoversi di
una distanza sufficiente per interagire
completamente con tali variazioni e far
raggiungere quindi alla dispersività un
valore asintotico.
Il modello diffusivo della dispersione fornisce una base per la stima della dispersività a partire dai
dati di concentrazione. Le concentrazioni sono assunte normalmente distribuite con il coefficiente di
dispersione correlato alla varianza della distribuzione del tracciante e al tempo, e la dispersività
correlata al coefficiente di dispersione attraverso la velocità. Si consideri un pennacchio 2D prodotto
da una sorgente puntiforme continua: in qualsiasi punto lungo l’asse del pennacchio, una curva di
uscita può essere costruita diagrammando le concentrazioni relative in funzione del tempo. Per
concentrazione relativa si intende il rapporto C/Cmax dove Cmax è la più alta concentrazione
osservabile al punto (x, 0) ed è sempre minore della concentrazione alla sorgente C0.
61
Questa curva di uscita è una distribusione normale cumulativa, con un valore 2σ che può essere
derivato graficamente dalla figura come:
Lo stesso approccio può essere seguito per stabilire i valori di dispersività in direzione trasversale.
Questa volta la C relativa è diagrammata in funzione della distanza percorsa in direzione trasversale
alla direzione di flusso, per un tempo pari a t50. La distribuzione di C risultante è di nuovo normale.
Una volta che la varianza è stimata il coefficiente di dispersione risulta quella sotto.
62
La maggior parte degli altri approcci per valutare la distribuzione di C consiste nel trattare i dati con
l’equazione di advezione-dispersione, modificata nel modo più conveniente. Questo procedimento
può coinvolgere metodi grafici o matematici che approssimano con procedimenti iterativi i valori dei
parametri di trasporto. Essi possono essere stimati direttamente dai dati di concentrazione utilizzando
un metodo grafico/matematico messo a punto da Domenico&Robbins. Questo approccio fornisce
stime delle dispersività longitudinale e trasversale, la concentrazione e la forma della sorgente, la
posizione del fronte di advezione. La sorgente è assunta semiinfinita con dimensioni Y e Z normali
alla direzione di flusso dell’acqua. Il fronte di advezione è definito dal prodotto della velocità del
contaminante per il tempo trascorso dal momento in cui il contaminante è entrato nel sistema. Se
l’analisi viene ristretta ad un singolo piano orizzontale nella zona stazionaria del pennacchio,
l’equazione che governa il processo ha tre incognite: αy , Y e C0.
Facendo il rapporto tra le equazioni relative a due punti nel dominio, la concentrazione alla sorgente
C0 viene eliminata, lasciando un’espressione con due sole incognite. Possiamo assumere diversi
valori per una delle due incognite e calcolarne i corrispondenti per l’altra: su un diagramma Y - αy
queste coppie di valori formano una linea. Ripetendo la stessa procedura per due o più punti a
differenti distanze dalla sorgente, otteniamo una famiglia di curve, che idealmente passano tutte
attraverso un punto che ci fornisce l’esatto valore di Y e αy. A questo punto si può calcolare il valore
di C0 e ripetere la procedura per Z e αz .
Un altro modo di lavorare con i dati di concentrazione per un pennacchio è usare un modello numerico
per simulare il comportamento del sistema. Un accordo soddisfacente tra distribuzioni delle
concentrazioni misurate e calcolate comporta che i parametri usati descrivano realmente il sistema. Il
punto debole di questo sistema è che i valori che meglio approssimano i parametri reali non sono
unici: una serie di valori differenti potrebbero dare il medesimo risultato.
• Il primo passo è la stima del campo di velocità del flusso, che viene fatta applicando un modello di
flusso dell’acqua sotterranea. A questo punto si calibra il modello di trasporto attraverso una serie di
tentativi: con una specie chimica che non reagisce, come Cl-, gli unici parametri da aggiustare sono
le dispersività longitudinale e trasversale.
• Se il campo delle velocità calcolato è corretto, pochi cicli potrebbero essere sufficienti per simulare
con buona approssimazione il pennacchio inquinante. È’ spesso necessario, invece, tornare al modello
di flusso per riaggiustare le velocità, in modo che il pennacchio calcolato si comporti come quello
reale.
Citiamo infine altri due metodi che possono aiutarci nella stima della dispersività, ricordando che
questo è un campo in continua evoluzione: le tecniche formali per la stima dei parametri e il metodo
63
stocastico. • L’approccio formale inverso usa valori misurati di concentrazione come base per
calcolare una serie di valori di dispersività. Yeh (1986) ha rivisto lo scopo generale di queste tecniche,
per sviluppare codici di calcolo facili da usare al fine di estrarre direttamente dalle caratteristiche di
un pennacchio i parametri di trasporto. • L’approccio stocastico utilizza i concetti della geostatistica,
applicandoli ai dati di conducibilità idraulica del sito, anziché alle concentrazioni misurate come i
metodi precedenti. • Si applica l’equazione precedente per calcolare il contributo dell’eterogeneità
alla dispersività longitudinale asintotica, dopo aver trattato dal punto di vista statistico i dati di
conducibilità:
• Il lato più interessante di questo metodo è che non richiede valori della concentrazione e può essere
quindi applicato a sistemi a larga scala; • d’altro canto, esso richiede una mole notevole di dati di
conducibilità idraulica per definire accuratamente la struttura del mezzo poroso
I casi che finora abbiamo considerato sono quelli semplici ossia quelli in cui non è previsto né il
decadimento o attenuazione del carico contaminante per uno dei diversi meccanismi possibili
(biodegradazione, adsorbimento, reazione) ossia meccanismi distruttivi. Tali meccanismi sono
definiti distruttivi in quanto distruggono o trasformano il contaminante presente, mentre i meccanismi
descritti prima (dispersione) riducevano semplicemente la concentrazione degli stessi per azione
meccanica. Chiaramente gli
effetti saranno quelli di
smussare i picchi di C relativa e
di rallentare fortemente
l’avanzamento dei fronti di
contaminazione.
64
Video 15: Trasporto di massa, diffusione, dispersione, diffusione come processo
casuale
È necessario partire dalle equazioni differenziali che rappresentano il trasporto di massa e i processi
di trasferimento di massa. Come per l’idraulica dei pozzi si possono adottare due approcci per
risolvere le equazioni di trasporto di massa. Un approccio analitico basato su procedure classiche per
la soluzione delle equazioni e si limitano a soluzioni semplici e al trasporto di uno o più costituenti
disciolti oppure un approccio numerico per problemi complessi per le condizioni idrogeologiche e
eterogeneità dei parametri.
Le soluzioni di tipo analitico per lo studio quantitativo dei problemi di inquinamento dell’acqua di
falda sono tante in letteratura e quelle più usate nella pratica, spesso 1D, trovano applicazione anche
nello spazio 3D ad es. si considerino le 3 equazioni monodimensionali ossia vogliamo calcolarci la
C in un certo punto dello spazio e in un istante t rispetto ala valore di C immesso alla sorgente. I
parametri che entreranno in gioco saranno quelli di dispersione (α), x, y, z e il tempo t.
Se le tre soluzioni 1D possono essere trovate, una soluzione approssimata per il problema 3D può
essere quella sotto dove la soluzione del problema è il prodotto delle tre soluzioni monodimensionali.
65
Riassumendo, il trasporto advettivo è dimostrato considerando un flusso 1D che tralasci ogni tipo di
miscelazione longitudinale e laterale; il contaminante si muove con velocità data dalla legge di Darcy
corretta per il flusso nei pori. Nella figura a) il materiale
sorgente entra nel tubo di flusso con una concentrazione pari
a C0 e sposta il fluido originario e il fronte di adezione si trova
nella posizione x =vt. La concentrazione è stazionaria e pari
in ogni punto a quella della sorgente. Questa situazione ideale
è poco realistica per gli effetti dovuti al fenomeno di
dispersione. Nella figura b), invece, in assenza di dispersione laterale o trasversale, il fluido immesso
si sposti e si misceli con il fluido originario nella direzione x cioè solo nel tubo di flusso. La
concentrazione al fronte di advezione è minore di quella originaria. La dispersione longitudinale
causa uno spostamento oltre il fronte di parte del materiale che stava dietro al fronte: la C torna
stazionaria e pari a quella originaria per i punti posti a x << vt.
I risultati li abbiamo presentati con 2 tipologie di curva in figura c) e d). Nella figura c) si ha la
variazione di concentrazione relativa nel tempo. La situazione è riprodotta in laboratorio
nell’esperimento della colonnina di terreno visto in precedenza. Per un certo intervallo di t dopo
l’inizio dell’esperimento, il rapporto C/Co resta pari a zero, perché attraverso il punto di osservazione
passa solo l’acqua presente nella colonna. Poi il rapporto inizia a crescere per effetto della dispersione
longitudinale fino a che passa il fronte di advezione con C/Co = 0.5. Al passare ancora del tempo, la
C raggiunge il suo massimo, cioè 1 valore che indica che ormai il fluido inizialmente presente è stato
allontanato del tutto.
Altro modo di rappresentare la stessa situazione è nella figura d) nella quale è graficato il valore di
C/Co rispetto alla distanza dall’origine: tale rapporto vale 0.5 in corrispondenza del fronte advettivo.
66
Le equazioni del trasporto di massa sviluppate costituiscono la struttura fondamentale per la
descrizione quantitativa del trasporto di massa con o senza reazioni chimiche. Come per il flusso
idraulico, il punto di partenza per lo sviluppo delle equazioni è la legge di conservazione:
velocità di ingresso di massa – velocità di uscita di massa = variazione nella massa nel tempo
La parte destra di questa equazione assume che l’aumento o la perdita in massa nel volume
considerato sono proporzionali alle variazioni di C della massa per unità di volume.
Si può quindi scrivere che la divergenza del flusso di massa sarà pari alla variazione di C moltiplicata
per la porosità (quindi è la massa nei pori) sul tempo.
Questa equazione implica che la velocità netta di uscita della massa per unità di volume è uguale alla
velocità di variazione della massa all’interno dell’unità di volume. Il prodotto C*n rappresenta la
massa per unità di volume.
Un fronte con diverse C su entrambi i lati diviene diffuso perché le particelle di soluto sorpassano il
fronte per moto browniano. Il termine diffusione è usato per l’avanzamento delle particelle in acqua
stagnante, mentre la dispersione è per acqua in movimento. Come già detto la dispersione in un
acquiefero si sviluppa perché l’acqua è forzata continuamente a fluire attorno alle particelle di terreno.
67
Alla base dei calcoli della diffusione e della dispersione ci sono le leggi di Fick. La prima legge mette
in relazione il flusso di una sostanza chimica con il gradiente di concentrazione (D coeff. di
diffusione).
L’attività andrebbe usata al posto della concentrazione per calcolare il gradiente di potenziale
poiché le differenze nel poteziale chimico sono le forze che effettivamente guidano la diffusione. I
genere, si assume che la C sia equivalente all’attività.
Se si ha una variazione di C nello spazio e quindi se tracciamo le tg alla curva si hanno dei gradienti
di concentrazione, in automatico possiamo dire di avere un flusso. Laddove il gradiente di C è 0, il
flusso tenderà a 0.
La cosa interessante è che se
applichiamo la legge di
conservazione della massa, la
massa che entra sarà uguale a
quella che esce in assenza di
qualunque perdita di massa nel
cubo e quindi la differenza tra la massa in entrata e in uscita è = 0.
Quindi scriviamo il flusso in entrata e in uscita nel seguente modo
a destra. Quindi, la variazione nel numero di moli n entro il cubo è
la relazione che dà quindi una variazione nella concentrazione e poi
da essa si ottiene la 2 legge di Fick.
68
Se il flusso advettivo muove il gradiente di C allora la variazione della C diviene:
69
all’origine ove C → infinito. Una condizione al contorno richiede che la massa sia conserva per ogni
istante t.
L’integrale cotiene una forma familiare e che è molto simile alla funzione errore. Essa è tabulata o
approssimabile. La funzione errore è 0 per z = 0 e 1 per z = infinito. Inoltre, essa è simmetrica rispetto
a z = 0 così che erf (-z) = -erf (z).
A questo punto, la soluzione all’equazione per le condizioni sopra diviene la seguente relazione ove
N è la quantità di moli iniettate al tempo t = 0 a x
= 0. L’equazione è fondamentalemnte uguale alla
funzione di densità normale o curva di Gauss con
x0 = media; in essa si ha x0 che è la posizione media e σ2 è la varianza della distribuzione. La
diffusione e la dispersione possono essere
viste come lo stesso processo statistico. Le
due relazioni mostrano che il coefficiente di
diffusione è correlato alla varianza nel
seguente modo, dove σ ha ledimensioni di una lunghezza.
70
In alcuni casi, capita che il comportamento diffusivo possa diventare più importante del trasporto
advettivo. Se siamo a conducibilità idrauliche molto basse, la diffusione potrebbe essere rilevante.
La diffusione per brevi periodi può essere superiore all’advezione e per basse velocità di avvezione,
la diffusione può diventare rilevante.
La dispersione di una sorgente puntiforme che si sposti con trasporto advettivo può essere calcolata
nello stesso modo, con l’unica differenza che x0 cambia nel tempo come la distanza coperta dal fluido
in movimento cioè x0 = vt. Esistono diverse possibilità di determinare il valore di σ e quindi di Dd o
Dl dei dati misurati. Un valore di 2σ fornisce una distanza ove il 68% della sorgente puntiforme
iniziale è contenuta. Se dai dati reali si può calcolare una varianza rispetto al tempo o allo spazio si
può determinare un coefficiente di diffusione o dispersione.
71
assume la velocità che nel caso 1D sarà perpendicolare alla faccia.
Noi vogliamo parlare della variazione della massa totale nel cubo e abbiamo detto che ci sono alcune
componenti: advettiva, dispersiva, sorgente. Possiamo a questo punto espandere ogni termine della
relazione.
Il termine 1 rappresenta il tasso totale con cui la massa di soluto varia entro il volume di controllo
V.
Il termine 2 mostra il tasso di variazione della massa del soluto per dispersione e diffusione.
Se si assume che il flusso di soluto sia proporzionale al gradiente di C allora è possibile usare la legge
di Fick. Poiché il flusso è definito con la relazione seguente. La quantità per unità di area * unità di
tempo è il prodotto del flusso e della sezione trasversale di flusso (F*A). Per
analogia con la legge di Fick si avrà che la relazione sotto, ove Dx è il coefficiente
di dispersione idrodinamica in x. Il
Il tasso a cui la massa lascia il volume per diffusione e dispersione è pari a quello con cui entra per
diffusione e dispersione, più qualsiasi variazione avvenga lungo il tratto di lunghezza Δx. La
variazione totale che avviene lungo tale lunghezza è pari al tasso di variazione rispetto alla distanza,
x, moltiplicata per la distanza totale.
72
Se ora assumiamo che Dx, n e A non varino rispetto a x avremo:
Il termine 3:
Il tasso a cui il soluto entra è il prodotto della velocità darciana per l’area di flusso e la concentrazione
del soluto:
Il tasso a cui il soluto esce è pari alla velocità a cui il soluto esce dal volume più qualsiasi variazione
interna lungo la direzione x di flusso.
73
Assumiamo, ora, che qx e Ax siano costanti nella direzione di flusso.
A questo punto possiamo assemblare tutti i termini e otteniamo la seguente relazione. Se si assume
poi che V e n siano costant i nel tempo come ci si aspetterebbe avremo la relazione sotto. La velocità
74
Video 17: ADE soluzione in 3D
Vediamo ora una soluzione completa che tenga conto di più dimensioni. Si ha quindi il cubo
elementare dove si può avere entrata ed uscita dalle diverse facce. Noi consideriamo il centro di massa
del cubo ossia il suo baricentro che è posto ad
una distanza x/2 dalle facce D ed F.
Consideriamo la legge di Fick, con
l’assunzione ulteriore che la porosità non vari
nello spazio e nel tempo e che il coefficiente
di diffusione Dd* è costante nello spazio si
avrà un'altra relazione di seguito. La
soluzione di questa equazione determina
come varia in t la C, in ogni punto dello
spazio. Se il flusso netto in uscita è 0, la C non cambia in t e quindi l’equazione diventa l’eq. di
Laplace (=0).
L’equazione a sx è quella
che si ottiene dal modello
3D. Se Dd è assunto
costante e anche n si avrà →
75
Le 2 ultime equazioni sono dette eq. di advezione-diffusione e descrivono il modo in cui la massa si
muove da un punto all’altro per advezione modificata dalla diffusione.
Dove il primo termine a sx descrive la massa trasportata per diffusione e il secondo per advezione.
Anche l’eq di diffusione e advezione può essere scritta in modo adimensionale usando un rapporto
C/Ce.
La diffusione da sola non è sufficiente per descrivere correttamente la miscelazione di una massa nel
fluido che la trasporta la dispersione meccanica risulta in molti sistemi il processo dominante. Tale
processo deve quindi essere introdotto nel termine di velocità dell’equazione di advezione e
diffusione. Si può sostituire il coefficiente di diffusione con un coefficiente di dispersione
idrodinamica D, che comprenda l’effetto della diffusione e quello della dispersione meccanica. Se il
coefficiente di dispersione è costante, cioé D = D’ + Dd* = cost., possiamo scrivere la seguente
equazione generale per l’advezione e la dispersione.
76
Video 18: Termine reattivo nell’ADE, reazioni all’equilibrio e cinetiche, coeff. di
ripartizione e fattore di ritardo Rf
Questa lezione riguarda un aspetto accennano in precedenza quando abbiamo elencato i 3 termini che
andavano a costituire la variazione della massa totale nel volume di riferimento. Avevamo parlato di
un termine legato al trasporto diffusivo-dispersivo, uno advettivo e avevamo detto che poteva esistere
un termine sorgente o di estrazione/perdita che poteva essere descritto come un tasso di scomparsa di
una sostanza*porosità*superficie.
Adesso vorremmo considerare l’influenza delle reazioni nel condizionare il trasporto di massa
attraverso il mezzo poroso. Il trasporto di massa può essere controllato dal I numero di Damkoiller
o II numero di Damkoiller. Essi sono due gruppi adimensionali che contengono ciascuno 3
parametri: costante cinetica o costante specifica di velocità che descrive la cinetica della reazione, L
è la lunghezza caratteristica del fenomeno che osserviamo e v è la velocità di massa (advettiva) nel
mezzo. Il secondo numero racchiude invece, il parametro k ossia la costante cinetica, L2 ossia una
lunghezza elevata al quadrato e D ossia un coefficiente di dispersione. Il primo rapporto k*L/v ci dice
qual è il rapporto tra il tasso di reazione e la velocità di trasporto, mentre il secondo rapporto k*L2/D
è simile ma la lunghezza è al quadrato.
Il I numero di Damkoiller diviene importante per grandi n° di Peclet (v*L/D). il rapporto tra i due
numeri si riduce al n° di Peclet.
Analizziamo ora alcune leggi di velocità e mostriamo come includerle nell’equazione del trasporto di
massa; ricordiamo che le reazioni sono dette: omogenee se riguardano una sola fase, mentre sono
dette eterogenee se riguardano due fasi.
Le reazioni chimiche di una specie disciolta possono essere incorporate nell’eq. 10 aggiungendo un
termine di reazione (r) sul lato sx dell’eq, ove r è la velocità di reazione definita come massa prodotta
dalle reazioni chimiche nell’unità di volume per unità di tempo. Per una specie che si assorbe è
necessario tenere in conto di un termine per la variazione della massa immagazzinata.
77
Assumendo che l’assorbimento sia modellato come una reazione reversibile all’equilibrio lineare,
allora l’eq 12 può essere scritta come:
Ove Rf è il fattore di ritardo, Kd è il coeff. di distribuzione o ripartizione di una specie nella roccia
o terreno. Il fattore Rf ci dice quanto viene ritardata la specie durante il trasporto a causa della reazione
con la fase solida.
Possiamo anche aggiungere reazioni chimiche di altro tipo ad es. quelle cinetiche di primo o secondo
ordine e una delle possibilità per es. è una reazione di decadimento e sarà possibile introdurre in
questo caso una costante di decadimento.
Con ulteriori aggiunte possiamo derivare altre forme utili per es. il caso in cui la velocità è nulla,
allora l’eq diviene un equazione di diffusione.
La soluzione dell’eq. 17 è simile all’eq. del tipo di diffusione e si può applicare a tutta una serie di
problemi pratici. Per es., nel caso di trasporto di un contaminante organico volatile in zona vadosa, la
C di vapore causata dalla sorgente può essere trattato come un problema di diffusione. Per flusso 1D
in un mezzo omogeneo, il tensore di dispersione D può essere semplificato.
78
Molte reazioni hanno velocità che, a una certa temperatura, T, sono proporzionali alla concentrazione
di 1, 2 o più reagenti, elevate a potenze abbastanza piccole e intere.
Ove CA, CB, CC rappresentano le concentrazioni dei reagenti A, B e C. tuttavia non sempre si hanno
reazioni così semplici.
Nel caso di ordine 0, la velocità di reazione è indipendente dalla concentrazione e si ottiene la
seguente relazione.
grafico in cui λ è la costante di decadimento radioattivo. Con questa, l’equazione di trasporto di massa
per il caso 1D diviene.
Riprendiamo la reazione di ordine 1 sopra ove il segno – indica una perdita di materiale con il tempo,
C è la concentrazione e K è il tasso costante per la reazione. Posta ora la
concentrazione iniziale C0 a t = 0 e C quella dopo il tempo t avremo.
79
C’è la possibilità di avere anche delle reazione di adsorbimento all’equilibrio e un esempio di
reazione è quella di adsorbimento di massa dalla soluzioe; la legge di velocità è espressa come la
seguente relazione dove C* è la concentrazione del soluto sulla fase solida. L’equazione di trasporto
1D che include tale reazione è
quella a dx. Per le reazioni
cinetichedi adsorbimento in condizioni di non
equilibrio, la legge della velocità che è necessario
introdurre è del tipo → da cui si comprende che la velocità di adsorbimento è funzione sia della
concentrazione di massa in soluzione sia della massa adsorbita sul solido.
Per reazioni di adsorbimento all’equilibrio C* = f(C) poiché la
concentrazione della massa adsorbita è una funzione della massa in soluzione, il termine a sx può
essere espresso in un termine semplice ossia (senz asterisco): in questo modo dobbiamo risolvere una
singola equazione differenziale, che contiene una sola variabile dipendente quindi risolvibile con
metodi analitici.
80
Vediamo il caso di adsorbimento lineare → la velocità di adsorbimento della massa per unità di
volume di un mezzo poroso è →
Occorre fornire ora l’espressione per un’isoterma di adsorbimento all’equilibrio; tra queste la più
semplice è quella lineare di Freundlich assumendo valida tale isoterma e differenziando rispetto al
tempo avremo →
81
In questa forma, nel termine tra parentesi quadre ritroviamo il fattore di ritardo, Rf per cui si avrà→
da cui si osserva che il fattore di ritardo serve solo a diminuire i valori dei parametri di trasporto
D e v.
Il caso generale di una reazione tra un solido e una soluzione coinvolge diversi passaggi in serie, con
il controllo da parte di quello a velocità minore. Il passaggio che determina la velocità può essere a
sua volta controllato dal trasporto o dalla superficie, a seconda della grandezza relativa tra velocità di
moto della massa o di reazione sulla superficie.
Per le reazioni controllate dal trasporto, consideriamo uno strato sottile stazionario all’interfaccia tra
il solido e il fluido, nel quale la diffusione sia così lenta da controllare il processo.
Possiamo assumere come lineare il gradiente di C che provoca la diffusione e rappresentarlo come
dove C*eq = concentrazione di saturazione sulla superficie del solido C =
concentrazione nel fluido σ = spessore dello strato di separazione.
Il flusso J (moli vol-1 tempo-1) attraverso la superficie è → A= area di
superficie del materiale per unità di volume dell’acqua Dd = coefficiente
di diffusione, Dd/ σ = km = coefficiente di trasferimento di massa [LT-1]
in questa forma la velocità di dissoluzione del solido è data dal prodotto della forza agente, in pratica
la lontananza dalla saturazione (Ceq* - C), per un coefficiente di trasferimento di massa, per la
superficie del materiale per unità di volume.
L’equazione che regola la diffusione in questo caso è la seguente → dove S* è la superficie specifica
del mezzo poroso, Dd è il coeff. di diffusione e n è la
porosità. Consideriamo ora, le reazioni controllate dalla
superficie: il migliore esempio è quello delle reazioni di
82
adsorbimento-desorbimento. Per un mezzo poroso, la seguente eq. descrive un processo di
adsorbimento irreversibile →
costante lungo tutto il dominio per l’istante iniziale; N è la normale al contorno. Lo scopo delle
condizioni al contorno è quello di tenere in debito conto gli effetti del sistema esterno alla zona. Ci
sono 3 tipi di condizione al contorno:
- contorno C fissa;
- contorno a gradiente fisso;
- contorno a flusso variabile.
83
limite reale posto a distanza L nel caso. Il limite inferiore nei problemi 1D è dato da un gradiente
costante (flusso cost) come il seguente →
La più comune condizione al contorno di questo tipo è quella di flusso nullo. Nelle 2 o 3D dobbiamo
specificare le condizioni al contorno per tutti i limiti.
La condizione del 2° tipo o di Neumann descrive una situazione in cui non c’è flusso diffusivo o
dispersivo attraverso il contorno.
La condizione del 3° tipo o di Cauchy definisce il flusso di soluto lungo un segmento del contorno.
La condizione iniziale per un problema di trasporto di massa specifica la C iniziale di massa disciolta
entro il dominio di simulazione ed è espressa come →
Introduciamo ora alcune soluzioni 1D per problemi di trasporto di massa. L’eq. del trasporto di massa
nello spazio 1D è scritta come →
84
Il primo es. che vedremo saràrelativo ad una colonna monodimensionale con flusso sx→dx in assenza
di miscelazione trasversale. Le condizioni al contorno per il trasporto di massa 1D con sorgente
La massa M0 = C0*V0 rappresenta il prodotto della concentrazione alla sorgente e il volume della
sorgente. La soluzione per il trasporto di massa 1D con sorgente puntiforme istantanea è →
Pensiamo ora di essere in un sistema semi-infinito con condizioni al contorno continue del primo tipo
e si ha una sorgente continua a C costante e inizio “brusco”.
85
Si assume che il flusso nella direzione x avvenga a velocità costante vx e un coefficiente di
dispersione longitudinale (Dx), definito come Lvx + Dm ( è la tortuosità di un mezzo e Dm è il
coefficiente di diffusione molecolare). La soluzione dell’ Eq. (27) con le condizioni al contorno da
(33) a (35) è stata fornita da van Genuchten e Alves (1982).
Nella scorsa lezione abbiamo ricavato la soluzione in forma analitica per un problema di flusso 1D
con sorgente continua e immissione istantanea e con decadimento della sostanza con la formula sopra
proposta da Van Genunchten e Alves (1982). Abbiamo accennato anche alla funzione erfc ossia di
errore nelle relazioni 37, 38.
In matematica la funzione degli errori (detta anche funzione degli errori di Gauss) è una funzione
speciale che incontra in probabilità, in statistica e nelle equazioni
differenziali parziali. Si definisce come la relazione seguente e a lato vi
sono i due grafici, di una e della
complementare. Tale funzione è
detta speciale ed è intera. La
funzione degli errori ha la stessa forma della distribuzione cumulativa
normale standard, ma la geometria cambia solo per traslazione. Quando
i risultati di una serie di misure sono descritti da una distribuzione
normale vuol dire che si esprime la probabilità che l’errore di una
singola misura sia compresa tra -a e +a.
86
Strettamente legata alla funzione degli errori è la funzione degli errori complementare, erfc che è la
seconda figura nella pag. precedente.
Si consideri l’equazione 36, nel caso di λ = 0 diventa l’eq. di Ogata e Banks se U è dato dalla formula
precedente e se la λ = 0 rimarrà solo la velocità avvettiva sotto alla radice. Il secondo termine spesso
è trascurabile in quanto la funzione errore è circa 0 quando x*vx/Dx è grande.
Se il ritardo non esiste si avrà la seguente relazione che rappresenta una delle possibili soluzioni
semplificata perché trascura il 2° termine che è sempre molto piccolo rispetto al primo e perché si
considera la diffusione insignificante rispetto alla dispersione meccanica, introducendo come
coefficiente di dispersione il solo valore αx*v. Inoltre, introduce un’espressione per D (coeff. di
dispersione idrodinamica).
Analizziamo ora, l’argomento della funzione errore complementare, partendo dal numeratore (x –
v*t) dove x e v*t sono lunghezze. Questa espressione identifica il punto di osservazione x rispetto
alla posizione del fronte di advezione. Quando x = v*t, siamo al fronte e erfc (0) = 1 così che C = 0.5
C0. Davanti al fronte di advezione dove x >>v*t, l’argomento della erfc è positivo e prossimo
87
all’infinito, erfc (+∞) = 0 𝑒 𝐶 = 0. Dietro al fronte di advezione, l’argomento di erfc è negativo e
quando tende all’infinito, erfc (-∞) = 2 𝑒 𝐶 = 𝐶0 .
Il denominatore della erfc, invece, ha l’unità delle lunghezze e può essere visto come una misura della
dispersione della massa intorno al fronte di advezione. Più grande è il denominatore, maggiore è la
dispersione intorno a C/C0. Come la distanza del fronte dalla sorgente cresce al passare del tempo,
così la dispersione diventa maggiore intorno al fronte stesso. In una certa posizione x<<<v*t la
concentrazione si mantiene uguale a quella originaria della sorgente: questa non è una condizione
realistica, ma è conseguenza del modello semplificato introdotto.
Avevamo detto che dall’analisi dimesionale del π di Buckingham possiamo trovare dei rapporti
adimensionali utili alla nostra analisi. La C/C0 = f (L, V (velocità), DL (coeff. di dispersione
longitudinale), t). Sono coinvolti questi 4 parametri e 2 variabili →
Lo scopo è quello di creare dei rapporti con questi parametri adimensionali e due di questi rapporti
sono il numero di Peclet e il numero di Courant, che indica il numero del volume dei pori. Una volta
trovati i due rapporti si può sostituire ad es. il numero di Peclet all’interno della soluzione analitica
→
88
A questo punto parliamo di un problema 1D di trasporto di massa con una sorgente continua a flusso
di massa costante e immissione non istantanea come nel caso delle infiltrazioni da un corso d’acqua
entro un acquifero. Il tasso di iniezione è costante e la massa di soluto iniettata è data proporzionale
alla durata dell’iniezione.
La soluzione è stata presentata da Sauty nel 1980 ed è simile a quella precedente che si differenzia da
quella di Ogata solo per il segno
positivo del secondo
termine. La stessa eq.
può essere espressa in
forma adimensionale
nel seguente modo.
89
Questa semplificazione è possibile perché per grandi valori del n. di Peclet il secondo termine è molto
piccolo del primo e può essere trascurato. Sauty ha evidenziato che per n. di Peclet superiorei a 10,
le soluzioni complete e semplificate danno andamenti simili. Pe aumenta con la distanza per cui
valutazioni del trasporto di massa in prossimità del punto di iniezione è necessario usare la formula
corretta.
Si possono poi avere anche sistemi infiniti con condizioni al contorno continue del 3° tipo ossia
possiamo imporre una somma delle due condizioni ossia una sorgente continua a flusso di massa
costante.
90
Se λ = 0 l’eq 41 si riduce ll’eq. data da Lindstrom (1967) per cui le C calcolate nella 40 e 46 saranno
diverse.
Per il trasporto in uno spazio tridimensionale con una velocità di flusso costante nella direzione x,
l’equazione di trasporto di massa sarà quella sotto. Qui si considerano 3 componenti nelle direzioni
x, y e z con i 3 coefficienti di dispersione rispettivi.
91
effetto della diffusione e dispersione si sposterà a dx con bolle sempre maggiori di estensione, ma
massa costante.
La C massima al centro di massa ad ogni tempo t è il primo termine della seconda equaz ione sopra.
92
Per un caso con miscelazione verticale totale della massa disciolta nell’acquifero o una
concentrazione media nella direzione verticale, avremo che l’eq. 51 si semplifica alla forma 2D.
Ove b è lo spessore dell’acquifero. Per una sorgente puntiforme, la concentrazione massima al centro
del pennacchio ove x = vt, y = ys, e z = zs è espressa come→
Come detto lo sversamento accidentale di sostanze inquinanti rappresenta un altro potenziale caso di
contaminazione. Il modello a sorgente puntiforme di Baetslé(1969) è il più usato, poichè la geometria
di uno sversamento accidentale si può rappresentare come un punto alla scala dell’osservazione; la
sua soluzione è data da →
Con una sorgente puntiforme idealizzata, la dispersione si verifica nella direzione di flusso e il picco
di massima concentrazione si ritrova al centro di una “nuvola” ellissoidale di dimensioni: 3 σ x =
3(2Dxt)1/2 3 σ y = 3(2Dyt)1/2 3 σ z = 3(2Dzt)1/2 σ = deviazione standard e 3 σ x,3 σ y e 3 σ z = 3
lunghezze di dispersione entro le quali è contenuto circa il 99.7% della massa.
93
Le soluzioni analitiche possono essere applicate direttamente ai problemi di contaminazione, ma
risulta senz’altro più efficiente costruire un codice di calcolo per la risoluzione al calcolatore. La
maggior parte di questi codici svolge tre operazioni: – legge i valori dei parametri di trasporto, –
risolve per concentrazioni in particolari posizioni e per determinati intervalli di tempo, – scrive i
risultati finali.
Per problemi di una certa complessità è richiesta una notevole abilità ed esperienza nel programmare,
al fine di considerare nel giusto modo le condizioni al contorno.
94
La sorgente planare verticale è la più pratica, con dispersione laterale in due direzioni e dispersione
verticale verso il basso. Soluzioni per questa geometria sono state sviluppate da Domenico e
Palciauskas (1982); per la componente laterale di dispersione.
dove la metà del lato della sorgente Y/2 è
parte della soluzione; la componente
verticale è data da:
dove l’intero lato Z è parte della soluzione. Per propagazione sia nella direzione z che nella y avremo
la soluzione proposta da Domenico & Palciauskas, (1982):
Per la dispersione in entrambe le direzioni y e z, possiamo scrivere la seguente equazione valida solo
per il piano di simmetria (y=z=0).
Le dimensioni della sorgente e le dispersività trasversali
controllano le concentrazioni massime che si possono
incontrare in un pennacchio stazionario. Infatti crescendo Y o
Z o decrescendo αx e αy gli argomenti delle funzioni errore tendono a +2 e la funzione errore tende
a 1, per cui la propagazione è contenuta e la concentrazione è mantenuta a circa C0 per piccole.
La forma più complessa dell’eq. di advezione e dispersione che è soggetta a soluzione analitica
include 3 componenti dispersive, una velocità costante d’advezione e un termine cinetico dove r =
95
Poichè la sorgente planare finita è la geometria più realistica per i problemi reali, essa ha ricevuto
la maggior attenzione. Esistono due tipi di modelli: i primi richiedono un’integrazione numerica, i
secondi sono dati in forma chiusa dove non è necessaria l’integrazione numerica.
• per il trasporto di massa collegato a reazioni del primo ordine (Domenico 1987).
L’equazione è valida per tutte le distanze di x’< (H-Z)2/αz. Per distanze > x’, la distanza x nel
denominatore della erf del termine in z viene sostituita da x’. La velocità v è la velocità del
contaminante. Queste equazioni si applicano a sorgenti con due direzioni di dispersione trasversale e
una verticale; se le direzioni di dispersione in z sono due la dimensione Z della sorgente viene
sostituita da Z/2. Se addirittura la dispersione secondo z è eliminata del tutto le erf contenenti il
termine z sono ignorate, e C0/8 diventa C0/4. Se lo spessore dell’acquifero è piccolo il contaminante
può infatti occupare l’intero spessore; la lunghezza x’ alla quale si verifica questo fenomeno può
essere calcolata approssimativamente come →
96
In genere, quello che si fa è calcolarsi la diffusione e la dispersività in funzione di test di eluazione
ossia delle prove fatte in colonna in lab. Per il calcolo è importante avere il volume dei pori, la portata
unitaria e la portata totale.
Da tale relazone di osserva che il numero del volume dei pori è pari al tempo adimensionale tR. La
velocità lineare media entro la colonna può essere ottenuta dalla quantità di fluido emesso per unità
di tempo divisa per il prodotto di porosità e sezione di flusso.
97
Video 23: Pennacchi inquinanti e loro modalità di propagazione in funzione dei
meccanismi di trasporto e di presenza di fratture/condotti carsici
Esempio: MTBE
MTBE è un composto usato come antidetonante ed è stato il sostituto del piombo nelle benzine verdi.
Questo è un es. in cui la valutazione è stata fatta in periodi diversi ed è stata importante perché ha
consentito di verificare una delle caratteristiche principali dell’MTBE. Il modello interpretativo è dato
da un acquifero superficiale sottile con soggiacenza a circa 2.7 m e substrato a 5-6 m; terrei eterogenei
e stratificati. Nel seguito si avrà la variazione di 5 parametri che regolano il pennacchio nel tempo
(anni) [vedi slides]
98
idrodinamica conterrà gli effetti sia meccanici sia chimico-fisici e quindi gli effetti varieranno in
funzione del contaminante. Un aumento della dispersione trasversale comporta in genere un
raccorciamento del pennacchio inquinante, in quanto a parità di massa di contaminante questo ha la
possibilità di disperdersi in un maggior volume.
È evidente che in queste condizioni il pennacchio diverrà sempre più piccolo col crescere della
reattività del contaminante, o con la capacità di adsorbimento del terreno o col diminuire del tempo
di dimezzamento. La capacità di scambio cationico (CSC) e il coefficiente di ripartizione (Ks)
inducono variazioni drastiche nel pennacchio. La regola generale è quindi la seguente: maggiore è la
tendenza di una qualsiasi reazione a rimuovere dalla soluzione un determinato contaminante tanto
minore sarà la dimensione del pennacchio rispetto alla dimensione del caso inalterato.
Infine, va citata l'influenza giocata dalle modalità di immissione del contaminante nell'acquifero ossia
la funzione di carico o di rilascio del contaminante. Al variare della velocità di rilascio di una
determinata sostanza, infatti può variare la geometria e posizione del pennacchio. Per esempio,
allungare il tempo di rilascio di una stessa quantità di massa cambia la posizione del centro di massa
del pennacchio e quindi anche la distribuzione interna della concentrazione.
99
In caso di acquiferi con porosità secondaria connessa alla fratturazione o alla presenza di cavità
carsiche è un caso diverso dai precedenti. La geometria di un pennacchio è chiaramente influenzata
dalla distribuzione di fratture nel mezzo roccioso e dal prevalere di una frattura particolare. Inoltre,
la circolazione lungo percorsi discreti è influenzata dalle condizioni sature e insature del sistema,
dalla capacità di reazione e adsorbimento dei materiali coinvolti, dalla ricerca e presenza di condotti
in grado di immagazzinare contaminante e acqua durante eventi di particolare intensità e di rilasciare
gli stessi solo con eventi di intensità pari o superiore.
Vi sono delle possibili condizioni di vulnerabilità diverse in funzione della tipologia di sorgente e
connessione tra i sistemi (se la fratturazione è più o meno intensa, se la fratturazione è diretta da un
condotto carsico o per dispersione e infiltrazione in terreno fine). Lo stesso in funzione della
localizzazione della sorgente e sua diffusione o geometria particolare.
Inoltre, è importante
che tali sistemi carsici
possono avere dei
reticoli di fratture che
sono poi all’origine
delle fratture allargate
per dissoluzione
carsica, ma che
consentono un flusso
relativamente lento e
a bassa velocità, con velocità di ricarica della falda profonda lenta; mentre ci saranno dei condotti
legati alla superficie che consentiranno dei flussi rapidi. Quindi, potremmo osservare un arrivo rapido
per il primo contributo e poi un lento rallentamento o ulteriore picco dato dall’arrivo delle frecce blu.
La zona epicarsica può essere in genere superficiale e parzialmente sature e insatura, poi si ha una
zona a bassa permeabilità che può essere satura nelle fratture e poi una zona ipocarsica profonda
che può essere satura.
In queste condizioni, può essere importante che in funzione del reticolo di fratture, il flusso può essere
a pistone puro (o advettivo puro), oppure possiamo avere diverse diramazioni.--> si rivedrà tale
discorso quando si parlerà di traccianti.
100
Video 24: Problemi multi-fluido e mobilità dei fluidi Bagnabilità, saturazione,
curve di saturazione e suzione, permeabilità relativa.
Alcuni problemi di contaminazione coinvolgono uno o più fluidi e di conseguenza la porosità del
mezzo deve essere proporzionalmente spartita tra i fluidi. Tuttavia, in funzione delle caratteristiche
del fluido, i settori di porosità del mezzo effettivamente occupati dai diversi fluidi possono essere
differenti. In particolare, i diversi fluidi che si possono ritrovare nel terreno vanno in funzione della
zona in esame. Per esempio, si avranno nella:
La Bagnabilità è una caratteristica unica per determinati tipi di solidi e di fluidi e per l’eventuale
associazione di fluidi presenti entro uno stesso mezzo poroso. In genere, si avrà che l’acqua è sempre
101
il fluido bagnante rispetto ad olii o aria, l’olio è agnante se combinato con l’aria, ma è non bagnante
se combinato ad acqua, olio è bagnante sulla materia organica sia rispetto all’aria sia all’acqua. Il
carattere bagnante dei contaminanti organici è spesso simile agli olii.
Altri due concetti che ci interessano sono quelli di Imbibizione e Drenaggio. Essi sono processi
dinamici per cui i fluidi spostano altri fluidi. Nell’Imbibizione si osserva lo spostamento del fluido
non bagnante ad opera del fluido bagnante. Per es. l’acqua aggiunta ad un terreno secco sposta l’aria
o l’olio spostato dall’acqua da un serbatoio d’olio bagnato da acqua.
Il processo di Drenaggio è l’opposto ossia si osserva lo spostamento del fluido bagnante ad opera di
quello non bagnante. Per es. l’entrata di un liquido organico non bagnante entro un acquifero satura
d’acqua.
I due processi sono diversi per quanto riguarda le modalità di trattenuta dell’acqua.
Durante lo spostamento di un fluido ad opra di un altro fluido, il primo fluido ostacola l’avanzamento
del secondo e quindi la permeabilità di un mezzo poroso rispetto al secondo fluido è inferiore a quella
massima per il mezzo. Occorre quindi, quantificare la riduzione percentuale della permeabilità per
ogni fluido di interesse. Il concetto di Permeabilità Relativa tiene conto della tendenza dei fluidi a
interferire gli uni con gli altri durante il loro flusso. Il concetto è comprensibile se si scrive la legge
di Darcy per un flusso multi-fluido. Nel caso di deflusso 1D in un mezzo omogeneo si può scrivere
l’eq. della legge di Darcy in termini di gradiente di pressione → ove qi è la portata del fluido, ki è la
permeabilità effettiva del mezzo, z è la quota. La
permeabilità relativa del mezzo è espressa allora dalla
relazione seguente → e unendo le due eq. sostituendo ki
si ottiene un'altra equazione. In un sistema multi-fluido kri è
compreso tra 0 e 1 e il prodotto k*kri è la riduzione della
permeabilità intrinseca a causa della contemporanea presenza
di 2 o più fluidi nel sistema. Kri è una funzione complessa del
grado di saturazione relativo in funzione del fatto che il fluido sia o no bagnante rispetto ai solidi.
Le curve riportate di seguito sono un esempio di quelle tipiche della permeabilità relativa in funzione
del grado di saturazione relativo per un fluido bagnante e non bagnante.
102
Nel grafico di sx si vede come le curve varino in funzione della conducibilità idraulica satura dove si
sa che che essa diminuisce al diminuire della granulometria (argille in blu e ghiaia in bianco). Si
osserva una variazione nella geometria della curva, un maggior spessore saturo espresso in termini di
suzione di matrice sull’asse y e tali curve assomigliano molto ai casi visti di colonna secca o satura
che viene saturata al basso o desaturata per drenaggio.
Se, in un sistema bifasico si impone il grado di saturazione del fluido bagnante si definisce in modo
implicito il grado di saturazione per il fluido non bagnante e per tali valori si ottiene ad es:
Va osservato che quando entrambi i fluidi sono presenti, la somma delle permeabilità relative
difficilmente arriva a 1. Le permeabilità relative dei fluidi, bagnanti e non bagnanti, si avvicinano a
0 per saturazioni finite, ossia certe quantità di fluido bagnante e non bagnante non si potranno spostare
nei pori del sistema al di sotto di una determinata soglia di saturazione.
103
La figura a sx rappresenta ua cosa che
ci interessa e cioè che cosa accade
quando si ha un DNAPL in rosso e
dell’acqua in blu. A mano a mano che
ci spostiamo verso sx, il DNAPL sarà
presente in % variabili e avremo una
zona di transizione con la
permeabilità relativa che varia più o
meno velocemente in funzione delle
caratteristiche. Stessa osa avviene a
dx per l’acqua.
Questi valori sono noti come Permeabilità Residue o Saturazioni Residue o irriducibili e spesso
si osserva la situazione per cui Srw > Srn. Un fluido in condizioni di saturazione residua non è in grado
di defluire poichè a bassi livelli di saturazione il fluido è presente in forma non continua entro il
reticolo di pori del sistema. La condizione di saturazione residua del fluido bagnante è talora detta
saturazione pendolare poichè il fluido è trattenuto dalle forze di capillarità entro le parti più piccole
dei pori. Per esempio, l'acqua è un caso di fluido bagnante a saturazione residua e aria come fluido
non bagnante.
Saturazione residua o di soglia: valore al di sotto del quale non si ha flusso e la permeabilità effettiva
k è nulla, cosi come la kr. Le due saturazioni limite sono chiamate saturazione residua della fase
bagnante e nella fase non bagnante.
Fase bagnante: sotto il valore di equilibrio si parla di saturazioni anulari (o pendolari) il fluido
bagna il solido in forma di anelli interstiziali non collegati fra loro; sopra al valore di equilibrio si
parla di saturazioni funicolari, poiché si osserva unione degli anelli e la continuità di fase che ne
consegue consente il flusso.
Fase non bagnante: sotto i valori di equilibrio si parla di saturazioni insulari, in quanto il fluido è
suddiviso in bolle che non hanno continuità di
fase e non possono fluire attraverso le
strozzature dei pori; per valori superiori a
quello di equilibrio si parla ancora di
saturazioni funicolari.
104
Per il fluido non bagnante la condizione di saturazione residua è anche detta saturazione isolata o
insulare in quanto il liquido non bagnante si ritrova in forma di piccole gocce isolate al centro dei
pori. Per esempio, l'olio a saturazione residua con aria e acqua è trattenuto in forma di piccole bolle
o anelli pendolari intrappolati tra gocce d’acqua nei settori più confinati dei pori.
A causa del diverso comportamento di un contaminante tipo olio entro la zona satura e quella insatura,
si osservano diversi valori della saturazione residua.
Per esempio, per sfere di vetro uniformi entro una colonna, la saturazione residua è da 2 a 5 volte
maggiore nella zona satura rispetto a quella insatura, in funzione della dimensione delle sfere. Per
saturazioni pari o inferiori a quella residuale il fluido rimarrà immobile entro i pori (da ricordare per
l'attuazione di bonifiche).
Le curve di permeabilità relativa per saturazioni comparabili tra loro evidenziano normalmente che:
krn > krw questo perchè il fluido non bagnante occupa i pori di maggiori dimensioni mentre quello
bagnante occupa quelli di dimensioni minori e quindi ha meno libertà di movimento.
L'isteresi è un comportamento tipico osservabile per le curve di permeabilità relativa dei fluidi non
bagnanti; questo comportamento è evidente in quanto il fluido occupa diverse tipologie di pori in
funzione che si trovi in fase imbibente o drenante ossia la disponibilità di vuoti e di settori entro i
vuoti stessi cambia in funzione della fase (drenaggio o imbibizione).
L'ultima osservazione riguarda la forma delle curve di permeabilità relativa. Questa forma è infatti
funzione di:
– permeabilità intrinseca;
– distribuzione della dimensione dei pori;
– rapporto di viscosità;
– tensione di interfaccia;
– bagnabilità.
105
gradiente maggiore che è collegata anche alla conducibilità idraulica. Quindi, se ci spostiamo verso
dx in diagonale aumenteremo sia il gradiente sia la conducibilità e quindi si aumenterà la componente
idrodinamica (velocità). Ciò significa che per i NAPL, solo in presenza di componenti idrodinamiche
spinte potremmo essere in grado di rimuoverlo in condizioni naturali e solo una piccola frazione.
Per calcolare la saturazione dei NAPL si può fare tramite relazione come per l’acqua oppure in lb con
campione e avendo una stima della porosità, un valore per la densità del terreno e un valore della
densità del NAPL. Quello che si usa è il contenuto in idrocarburi totali.
In questa lezione vedremo i traccianti e il loro utilizzo al fine della caratterizzazione di parametri
idraulici e idro-dispersivi dei mezzi porosi e fratturati. I Traccianti rappresentano un po’
l’applicazione delle eq. del trasporto viste in precedenza ma in modo controllato. Vedremo come si
può tracciare dell’acqua, perché lo facciamo, quali sono i parametri che possiamo ottenere, quali sono
le sostanze che possiamo usare, con che vantaggi e svantaggi. Vedremo anche, qualche esempio di
impiego storico e poi passeremo alle metodologie di analisi dei risultati.
I Traccianti sono immessi in cavità o fori o direttamente nei corsi d’acqua allo scopo di tracciare le
acque sotterranee. Si può operare con dei rilasci istantanei oppure con rilascio controllato e diluito
nel tempo. Essi hanno diversi campi di applicazione in funzione del tipo di acquifero in cui ci
troviamo: nel caso di un sistema carsico → studio regionale del deflusso, elaborazione modelli
concettuali dei sistemi carsici, evidenziare percorsi acque carsiche, delimitazione bacini di
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alimentazione sorgenti carsiche; in terreni sciolti → studi regionali di deflusso sotterraneo,
delimitazione bacini di alimentazione, delimitazione zone di alimentazione di sostanze inquinanti,
determinazione parametri acquifero; versanti e rocce fratturate → evidenziare percorsi in rocce,
studi strutture acquifere come fratture o faglie, evidenziare flussi preferenziali nei pendii.
Quindi, i campi di applicazione sono differenti e includono captazioni di acque sotterranee, zone di
protezione e alimentazione, valutazione del pericolo e simulazione di incidenti, studi dei siti
contaminati, identificare scarichi, interazione acque superficiali e profonde, riconoscimento acque
parassita; in casi rari, possono essere usati per tracciare composti diversi dall’acqua come
microorganismi non patogeni.
Un Tracciante Ideale prima di tutto deve avere un comportamento conservativo ossia deve muoversi
con l’acqua senza assorbimento sui terreni, sedimenti o rocce e senza degradarsi nell’intervallo di
tempo di interesse. Inoltre, esso deve avere bassi livelli di fondo e quindi essere facilmente
riconoscibile; esso non deve essere sensibile alle variazioni chimiche della soluzione e non risentire
delle variazioni del pH, alcalinità o forza ionica. Il tracciante è rilevabile sia tramite analisi chimiche
sia per visualizzazione e deve avere basso impatto tossicologico sull’ambiente. I traccianti più
prossimi all’ideale sono le molecole dell’acqua con isotopi stabili di ossigeno e idrogeno.
Gli obiettivi quindi sono vari: innanzitutto occorre porsi le domande fondamentali dello studio e ciò
ci consentirà di scegliere sia le sostanze sia le attrezzature per realizzare le prove. La documentazione
utile sono quelle che riguardano la caratterizzazione geologica e idrogeologica del sito, prove di
tracciamento precedenti e tutto ciò serve a pianificare le operazioni. Con tale documentazione si
intende verificare le condizioni regionali di deflusso, punti di iniezione più adatti dal punto di vista
idrogeologico, punti di campionamento, lista delle sorgenti, captazioni e corsi d’acqua e valutazione
della possibile presenza nelle acque sotterranee di residui di prove di tracciamento precedenti.
Necessari per la preparazione delle prove sono i Sopralluoghi che servono a riconoscere i punti di
iniezione con controllo della pertinenza dei punti previsti per l’iniezione, accessibilità dei siti, verifica
della disponibilità della quantità di acqua necessaria per il lavaggio pre e post iniezione; servono a
riconoscere e preparare i siti di campionamento con definizione dei punti esatti, controllo del buon
funzionamento dei piezometri, verifica dei dispositivi di misura dei livelli piezometrici., incontro e
formazione del personale incaricato del campionamento, verifica della disponibilità di siti di
stoccaggio di materiali e campioni, prelievo dei primi campioni di bianco. Infine, si ha
riconoscimento delle condizioni geologiche e idrogeologiche locali.
107
Una delle info più semplici e dirette che si può ottenere è la stima del tempo di transito ossia
vogliamo sapere dopo quanto tempo un inquinante sversato arrivi in un punto particolare. Al fine
della stima della durata del periodo di campionamento è necessario valutare i tempi di transito attesi
per il tracciante tra punti di iniezione e di campionamento. In terreni la
stima è semplice ed è ottenuta tramite la formula di Darcy corretta per la
velocità lineare o advettiva → a causa dell’eterogeneità presenti
nell’acquifero la velocità massima è spesso 2-4 volte quella media
calcolata. Per gli acquiferi carsici le velocità andrebbero stimate in base a prove precedenti perché la
velocità è altrimenti difficile da stimare potendo esistere percorsi preferenziali.
A seguito delle prove possono verificarsi degli effetti indesiderati come la colorazione delle acque
potabili, la contaminazione di acque ad uso industriale o colorazione delle acque superficiali. Questi
effetti sono legati alla quantità di tracciante e al tipo usato.
Ci sono traccianti sia naturali sia artificiali. In idrogeologia quelli ideali dovrebbero essere quelli
che si comportano come l’acqua a parte i casi in cui si voglia studiare il comportamento di altre
sostanze. Le proprietà e requisiti fondamentali sono la stabilità chimica, lo spettro di assorbimento e
emissione stabile anche dopo assorbimento, la debole o nulla tendenza all’assorbimento e una buona
solubilità in acqua. Inoltre, si possono aggiungere: l’innocuità per gli esseri umani, animali e piante,
basso limite di detezione/rilevamento tra cui buona visibilità, costi limitati sia per il tracciante che
per le analisi e basso o nullo carico inquinante per le acque.
Esistono diversi tipi di traccianti e in particolare ci sono 3 categorie:
Traccianti di origine umana sono utili a identificare zone a elevata permeabilità con cura di non avere
differenze eccessive nelle T per evitare variazioni di densità e viscosità. Gli isotopi usati sono quelli
stabili di idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno, zolfo; alcuni sono anche radioattivi ma si preferisce
che abbiamo basso tempo di dimezzamento (deuterio è ideale). Questi tipi di traccianti vengono
immessi in pozzo a T diverse e consentono la rilevazione dell’impulso termico con misure di T sia in
t sia in x.
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Il risultato finale che vogliamo ottenere sono delle curve di restituzione che rappresentano la
concentrazione del tracciante, misurata al punto di osservazione, in funzione del tempo a partire
dall’iniezione. Esse consentono di rappresentare i diversi tempi caratteristici (minimo o di comparsa,
di picco, di dimezzamento).
Oltre al deuterio, il Cl- e Br- sono considerati quasi traccianti conservativi ideali. Essi si assorbono
raramente sulle particelle del terreno e spesso di muovono velocemente in acqua. Nelle prove
sperimentali in colonna ciò è osservato da un arrivo in anticipo rispetto all’uscita del primo volume
dei pori o rispetto all’uscita di deuterio e trizio. Questo fenomeno è il risultato della repulsione degli
anioni dalle particelle cariche negativamente tramite il processo detto “esclusione anionica”. In caso
di particelle positive il comportamento sarà più conservativo. Assorbimento ed esclusione degli
anioni sono dipendenti dal pH poiché questo processo controlla la carica protonica delle particelle del
terreno.
Il pH del terreno è importante quando sono presenti ioni che non protonano in modo significativo e
quando il terreno contiene un alta % di minerali variamente caricati. Il bromuro è il più adatto e ha
bassa tossicità e ha concentrazioni naturali in genere ca. 300 volte inferiori al cloruro. Lo ione nitrato,
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poi è soggetto a trasformazioni chimiche mentre il cloruro è presente in abbondanza nei terreni e in
acquiferi.
Altri traccianti sono i fluorocarburi e clorofluorocarburi o CFC che sono rilasciati in ambiente a
partire dagli anni ’40 e sono resistenti, non reattivi, ma pericolosi per l’ozono atmosferico; poi vi è
l’esafluoruro di zolfo sia liquido sia gassoso che non è tossico, è incolore e inodore ed è molto
persistente ed è adatto ad uso geotermico ed è rilevabile a basse C. Etanolo, benzoato e
fluorobenzoati sono traccianti conservativi e sulfonati poliaromatici sono fluorescenti e con buona
stabilità termica.
Altri tipi di traccianti sono le spore e le particelle solide che sono usate in zone carsiche come la
paglia o trinciato, lycopodium clavatum o spore sferiche di 30 micron e densità leggermente
superiore all’acqua. Le spore possono essere colorate in modo diverso e servire quindi come traccianti
multipli. Tuttavia, il campionamento e rilevamento delle spore è oneroso perché i campioni vanno
filtrati e successivamente contati al microscopio. Poi vi sono le microsfere sintetiche che sono
disponibili in diverse dimensioni e con coloranti fluorescenti. Poi i microorganismi: lieviti, batteri,
virus sono stati proposti come traccianti perché inizialmente ritenuti conservativi. Tuttavia, è stato
dimostrato che interagiscono con la fase solida negli acquiferi. Possono comunque servire come
indicatori della contaminazione di acque. Infine, i coloranti: i più utilizzati sono fluorescenti.
Consistono di molecole.
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L’altra formula si basa su un approccio diverso in cui è
valutata sempre la distanza da percorrere, la portata al
punto di recapito nel sistema e la C di picco che si vuole raggiungere in corrispondenza del punto di
misura.
Esistono poi dei sistemi anche dei piccoli software che consentono di arrivare ad una identificazione
o calcolo della C di tracciante che deve essere immesso andando a costruire una curva di restituzione.
I Coloranti sono delle sostanze classificate in base alla loro struttura e al loro metodo di applicazione.
Esiste un catalogo completo detto Colour Index che è rilasciato da The Society of Dyer and Colourists
e senza l’indice di colore è difficile essere sicuri della sostanza tracciante che si sta andando a usare.
Il Colorante è una sostanza in grado di attribuire un particolare colore ad un dato substrato. Esistono
diversi tipi di coloranti e l’effetto fisico che assegna il colore alla sostanza è legato alla trasmittanza
e all’assorbimento di date lunghezze d’onda del visibile. All’interno della molecola, il gruppo
responsabile del colore è detta cromoforo.
I coloranti sono descritti in funzione del loro indice di colore, dello spettro di emissione ossia le
lunghezze d’onda entro cui si ha eccittazione, impatto tossicologico, il limite di rilevabilità, la
possibilità che la sostanza sia bloccata dalla matrice solida, quanto ci si aspetti che venga restituita
della massa che immettiamo, sostenibilità economica, presenza di problemi particolari.
Le sostanze coloranti sono state impiegate da molto tempo a fini idrogeologici e in generale per il
tracciamento del percorso seguito dall’acqua. Da meta ‘800 alcuni traccianti sono stati usati ad es. da
Kandler a Trieste e inizialmente anche usando dei Sali o oli. Nel 1872 è stato tentato uno studio
particolare con tracciamento salino che consentiva di identificare di una sorgente impattata da una
contaminazione di tifo in Svizzera. Nel 1877 ci fu uno studio simile al precedente in Germania, ma
per mettere in collegamento un corso d’acqua con una sorgente sfruttata e qui fu usata per la prima
volta la fluorescina, sostanza che era stata scoperta e prodotta nel 1870 da Adolf Von Bayer.
Nel settembre 1882 ci sono state un paio di applicazioni nella città di Auxerre sempre per epidemia
di tifo e Dionisi des Carriers tentò di usare delle sostanze traccianti per verificare che le acque di
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ruscellamento andassero i determinate aree della città e infettassero parte della popolazione. Egli
all’inizio usò dell’anilina.
Stessa cosa accadde nel 1896 a Torino dove fu usata della fluorescina e uranina per valutare la
capacità di filtrazione del terreno in prossimità del canale di alimentazione dell’acquedotto di Torino.
A fine ‘800 furono usate diverse sostanze, la cosa che si scoprì grazie a Trillat è che i terreni tipo
calcare causavano una decolorazione di quasi tutti i traccianti tranne della fluorescina.
Il tracciamento può avvenire sia in condizioni sature che insature e ci sono diverse modalità di
evidenziazione e rilevazione che comprendono l’uso di sostanze particolari che inducono reazioni
con produzione di variazioni di colore.
I Traccianti Fluorescenti sono delle sostanze che sono caratterizzate da dei gruppi funzionali
particolari e non tutte le sostanze fluorescenti sono adatte, ma devono avere delle caratteristiche
particolari.
Delle stesse sostanze esistono degli isomeri, che sono simili ma diverse anche per le loro proprietà.
Gli isomeri possono essere costituzionali o strutturali e ciò significa che anche se hanno la stessa
formula bruta, l’interconnessione tra i diversi elementi è diversa e quindi risulta una struttura diversa
e ciò causa delle differenze nelle proprietà chimico e fisiche. Gli stereoisomeri invece hanno stessa
formula, stessa connettività ma diversa orientazione spaziale degli atomi. Gli omomeri hanno stessa
formula, stessa connettività e sono sovrapponibili.
La Fluoresceina è una delle sostanze più note e più utilizzate e può avere due caratteristiche: una lo
ione fluorescina può essere associato ad un protone oppure con un metallo alcalino come il Na e
spesso si parla di fluoresceina sodica o anche detta Uranina. La fluorosceina ha una solubilità molto
minore dell’uranina e di conseguenza è preferita nei test idrogeologici.
La fluoresceina ha grande sensibilità alla rilevazione e una debole tendenza all’assorbimento e i prezzi
sono contenuti. Nelle condizioni più favorevoli il limite di rilevabilità è di 0.001 ppb e a occhio nudo
esso dipende dallo spessore dello strato d’acqua. Come altre sostanze l’uranina è sensibile alla luce o
fotosensibile per cui per lo studio della acque sotterranee ciò diviene rilevante solo al momento
dell’immissione, prelievo e conservazione del campione. In acque acide aumenta il rischio di
assorbimento dell’uranina a causa di una modificazione della molecola e inoltre la fluorescenza tende
a diminuire e il rilevamento può divenire impossibile senza spettro-fluorescenza. Tale sostanza è
danneggiata dalla presenza di agenti ossidanti come il cloro, l’ozono che sono usati per trattamento
delle acque potabili.
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L’Eosina è un tracciante buona con la tendenza all’assorbimento maggiore rispetto all’uranina e
quindi significa che vi è il rischio che se impiegato su percorsi lunghi o a bassa permeabilità il rischio
di assorbimento elevato comporti una maggior perdita di massa e quindi una paerdita di rilevabilità,
essa è meno sensibile al pH, ma molto sensibile alla luce. Eosina e uranina possono creare problemi
se usate assieme nell fase di rilevazione.
Il Naftionate è una sostanza che ha una fluorescenza nel blu e si mischia con l’acqua e in funzione
della capacità di assorbimento delle radiazioni luminose da parte dell’acqua è blu e quindi in alcuni
casi può essere di difficile rilevabilità soprattutto a occhio nudo. Siccome la rilevabilità è inferiore
significa che è necessario usare una massa maggiore di sostanza, quindi da 10-20 v superiore a quella
dell’uranina. Esso è quindi più adatto a corte distanze e per iniezione diretta in acque sotterranee ed
è sconsigliato in terreni insaturi perché rischia di essere trattenuto e perso.
Il tasso di restituzione del naftionate è inferiore a quello dell’uranina e ciò significa che se mettiamo
una massa 1 rischiamo di recupererane solo una frazione molto piccola, mentre per l’uranina può
essere superiore. Ciò vuol dire che il naftionate è soggetto a maggior assorbimento e degradazione.
Inoltre, esso offre il vantaggio di rimanere incolore fino a C elevate e rende basso il rischio di
colorazione delle acque potabili; poi esso evidenzia delle velocità maggiori dell’uranina. Con esso il
metodo dei carboni attivi mal si adatta al suo campionamento.
I Coloranti della Rhodamina sono una famiglia ampia, ce ne sono diverse e tutte soggette a forte
assorbimento, ma non tutte sono utilizzabili perché alcune come la Rhodamina B hanno un forte
impatto tossicologico, la Rhodamina WT è sconsigliata, consiste in 2 isomeri e si può osservare una
scomposizione tra i diversi isomeri, l’Amminorhodamina G e la sulforhodamina B sono
inoffensive per l’uomo, facilemnte assorbite e per questo andrebbero usate per brevi distanze di flusso
in mezzi permeabili. La seconda è tossica per l’ambiente.
La Piranina non è molto usata a caua del basso limite di rilevabilità, ma al contrario dell’uranina si
usa nei mezzi acidi.
La Duasyna oramai non è più prodotta, è fluorescente; mentre il Tinopal è una sostanza comune,
poco costosa ed è un azzurrante ottico ed è usato per sbiancante per tessuti o carta. Esso è facilmente
assorbito e non va usato su grandi distanze. Uno dei problemi di tali sostanze è che il segnale di fondo
può essere abbastanza forte perché sono sostanze usate nei detersivi e nelle acque di scarico è
possibile che siano presenti.
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Il limite di rilevabilità può variare in funzione delle condizioni del campione, delle modalità di analisi
e la necessità di rilevare altre sostanze con tecniche analitiche che possono richiedere diluizione e
quindi si può perdere la rilevazione di una sostanza.
Poi vi sono alcune particolari proprietà di queste sostanze di cui occorre tenere conto e sono
l’idrofobia e l’idrofilia. L’idrofobia è la proprietà fisica delle molecole di essere respinte dall'acqua.
Le specie idrofobe o lipofile tendono ad essere elettricamente neutre e apolari, e preferiscono solventi
neutrali o apolari e ambienti molecolari (sinonimi sono oleoso e lipofilico).
L’idrofilia è la proprietà fisica delle molecole a legarsi con l’acqua. Una molecola idrofila o porzione
di essa è generalmente polarizzata elettricamente e in grado di formare legami a ponte d'idrogeno,
permettendole di sciogliersi più prontamente in acqua rispetto a olii o altri solventi apolari.
Quello che vogliamo è che il colorante si fissi e si assorbisca sulla fase solida e in genere essi hanno
molecole anfifiliche, ossia la molecola ha sia proprietà idrofile che idrofobe. Inoltre, i gruppi
funzionali dei coloranti organici possono protonare (aggiunta di un protone H+, a un atomo, molecola
o ione) e deprotonare in funzione del pH, facendo quindi variare la carica netta delle molecole. Da
ciò deriva che l’interazione tra molecole di colorante e solidi siano complesse. L’assorbimento del
colorante implica che ci sia idrofobicità, forze van der Waals, scambio ionico, legame covalente,
legame idrogeno. I coloranti sono prodotti con lo scopo di colorare e quindi di fissarsi alle sostanze
da colorare e quindi l’assorbimento è fondamentale.
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Una delle cose importanti per noi è l’isoterma di assorbimento
che indica una relazione tra la parte assorbita sulla frazione solida
rispetto alla C della soluzione. Nel caso del primo ordine si ha un
andamento rettilineo. L’isoterma indica l’assorbimento di una
sostanza e per i coloranti si possono usare diversi tipi di isoterme.
Complicazioni possono derivare dall’aggregazione dovuta alle
forze di van der Waals che causano uno spettro di assorbimento
funzione della concentrazione. La formazione di dimeri è stata
per esempio evidenziata per la Fluoresceina, e tetrameri per il Blu
di Metilene; l’Isoterma di Langmuir: osservata per coloranti sulla
lana ma anche per coloranti acidi sulle particelle minerali di un
terreno.
115
La salinità influenza lo spettro di assorbimento molto meno che il pH. Alte C di Sali sono necessarie
per influenzare lo spettro di assorbimento.
Rispetto a quanto necessario nella zona satura i traccianti nella zona vadosa sono impiegati per
visualizzare il pattern spaziale di flusso dell’acqua e/o del soluto e se vi è assorbimento. Il Blu di
metilene ha visibilità notevole nei terreni ed è stato utilizzato per visualizzare i macropori nei terreni;
è un catione e si assorbe molto sui minerali del terreno ciò lo rende un forte colorante ma ne
condiziona e limita la mobilità rispetto ai coloranti anionici: Piranina, Erio Floxine, Lissamina Gialla,
Rhodamina WT, Brilliant Blue FCF sono stati testati in zona vadosa; Rhodamina WT, Brilliant Blue
FCF sono i più visibili e il blu più della Rhodamina proprio per la colorazione naturale comune dei
terreni. Si ricordi che molti dei traccianti sono acidi e anionici e quindi fortemente solubili in acqua
e contengono uno o più gruppi solfonici o altri gruppi acidi.
I Sali sono considerati tra i più classici perché sono quelli meno costosi e hanno proprietà interessanti
e inoltre, essendo salini si possono scomporre in anioni e cationi che possono avere comportamenti
diversi. Essi hanno qualche problema nel loro uso come traccianti e hanno limiti di rilevabilità elevati
e possono essere soggetti a rumore di fondo forte e uno dei casi classici è l’NaCl usato per sghiacciare
le strade potremmo avere una contaminazione delle acque di falda o superficiali e ne consegue che
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non è possibile usare tale sale come tracciante. Nella pratica i Sali più usati sono: cloruro di sodio
(costa poco ma ha bisogno di grossi volumi rispetto alla fluoresceina; ha problemi nell’iniezione
istantanea di grandi volumi per cui è applicabile solo a mezzi molto permeabili e a brevi distanze), il
bromuro (più rapido dell’acqua e del trizio, è conservativo e usa 3000-5000 v superiore a fluo), lo
ioduro di K (chimicamente instabile specie in acque ricche di materia organica), il cloruro di litio
(litio ha minor tendenza allo scambio ionico ed è indicato per brevi distanze in acquiferi molto
permeabili) e il borace (poche applicazioni su brevi distanze).
I Batteriofagi, invece, sono usati come traccianti solidi e sono dei virus che si possono attaccare a
dei batteri. Essi hanno dimensioni da qualche decina a centinaia di nanometri. Essi non attaccano
l’uomo, animali o vegetali e quindi non sono né patogeni né tossici. Se ne possono iniettare insieme
più di uno e sono adatti a sistemi carsici mentre nei mezzi porosi sono adatti quelli a elevata
permeabilità. Hanno un tasso di restituzione basso e l’attitudine al trasporto è controllata dalla
dimensione, strutture e carica elettrica. Essi si adattano meglio a simulare il trasporto di batteri e
microorganismi patogeni. Il problema è che non possiamo lavorare in termini di C ma di numero di
particelle solide (ppb).
Le modalità di iniezione sono diverse e si differiscono in funzione della tipologia di area in cui
dobbiamo immettere tali sostanze. In zona satura si fa un iniezione puntuale istantanea, in zone
carsiche non è sempre possibile l’immissione diretta nella zona per cui si usano per es. punti di
scomparsa delle acque superficiali o nelle doline. Evitare le immissioni in zona vadosa.
In una immissione in pozzo si usa una pompa e un sistema di sollevamento e riciclo delle acque:
l’immissione avviene tramite una piccola pompa con cui si controlla la portata che prende
direttamente la sospensione o la miscela salina/tracciante stando attendi all’esposizione alla luce, è
pompato all’interno del sistema sopra la falda e poi la pompa messa in profondità preleva acqua e in
questo modo forza il tracciante a scendere nella colonna d’acqua, viene ripescato e riciclato e ributtato
in superficie; in questo modo, accade che si tende ad avere una miscelazione forzata e si tende ad
avere una C stabile lungo l’intera colonna, altrimenti potremmo avere che il tracciante se ne vada solo
in una parte dell’acquifero.
Solo una quantità limitata di tracciante può essere iniettata in modo istantaneo e conviene iniettarla
con l’aiuto di un tubo per raggiungere la quota piezometrica e in caso di test su profondità o tratti
specifici si possono isolare questi con dei packers. Prima della prova va verificata la capacità del
pozzo o piezometro a immettere acqua nell’acquifero. Per immissione obbligata nel non saturo può
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essere utile approfondire il più possibile la superficie di immissione con uno scavo. Per evitare
contaminazioni è meglio immettere direttamente una soluzione e non il tracciante in polvere.
La definizione della quantità esatta da immettere è fondamentale; una piccola quantità può mettere
in pericolo il successo della prova mentre una quantità esagerata costituisce un carico inutile e
pericoloso. Per la determinazione della quantità è utile: un modello concettuale geologico-
idrogeologico, distanza da percorrere, scelta del tracciante e della concentrazione massima,
concentrazioni precedenti o segnali di fondo, con prelievo di campioni di bianco, assorbimento e
degradazione, componenti argillosi, pH, T, modalità di iniezione del tracciante: sito di iniezione,
zona satura e/o insatura, infiltrazione da corso d’acqua, dolina, pozzo, scavo, etc.; esecuzione pratica:
problemi logistici, disponibilità d’acqua, condizioni idrologiche: meteo-climatiche locali, valori
massimi e minimi stagionali, in vicinanza a massimi o minimi locali. Per sorgenti carsiche sono state
proposte molte relazioni.
Come può avvenire il Campionamento? → esso deve essere programmato sia in termini spaziali sia
temporali e quindi deve essere deciso dove, come e quando e ogni quanto andare a campionare. È
necessario usare del personale qualificato. Il campionamento deve essere mirato al tipo di sostanze
che devono essere prelevate e bisogna evitare qualunque fenomeno di deterioramento dei campioni a
seguito del campionamento. L’adattamento del campionamento va fatto in funzione anche della curva
teorica di arrivo o di restituzione del tracciante. Ciò significa che prima del prelievo occorre prelevare
dei campioni di bianco per vedere qual è il segnale di fondo, poi stare attenti a individuare il tempo
di primo arrivo con campionamento fitto sino al picco. Nel post picco il campionamento si dirada
anche in funzione della durata prevista. Se vogliamo recuperare gran parte della massa iniettata e
quindi se vogliamo un alto coefficiente di recupero significa che dobbiamo recuperare quanto più
possibile e quindi deve essere esteso su tempi abbastanza lunghi.
- Per evitare la contaminazione dei campioni le persone incaricate del campionamento non
dovrebbero assistere alla fase di iniezione;
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- Etichettatura precisa dei campioni con: nome del test, luogo, data e ora di prelievo, numero
progressivo;
- Flacone va risciacquato almeno 2 volte nell’acqua che si vuole campionare insieme con il
tappo prima del riempimento definitivo;
- Campionamento specifico per la sostanza immessa e per le esigenze analitiche del laboratorio;
- Conservazione e trasporto dei campioni devono essere eseguiti senza esposizione alla luce,
al calore e al gelo;
- Consegna rapida al laboratorio d’analisi;
- L’acqua campionata non dovrebbe essere stata trattata con cloro, ozono o filtrazione perché
questi possono ridurre la fluorescenza;
- Evitare ogni forma di contaminazione incrociata;
- Conservazione dei campioni lontano da ogni possibile contaminazione e disturbo.
Recipienti e volumi da adottare possono essere bottiglie in plastica, vetro e in alcuni casi trasparenti
per i Sali, mentre per i traccianti fluo o batteriofagi è meglio che il contenitore sia brunato o oscurato
per minimizzare l’impatto della luce. Il volume per traccianti fluorescenti e Sali è intorno ai 100 ml
e per i batteriofagi deve essere almeno 50 ml. Il campione di batteriofagi lo si conserva a basse T e al
buio perché altrimenti la popolazione di batteri potrebbe anche crescere nel tempo.
Per i metodi di campionamento si può operare in modo manuale ad es. direttamente con apertura di
un rubinetto lungo una linea di iniezione o tramite un bailer (ossia un contenitore calato nel punto di
raccolta) o tramite pompe che richiedono un lavaggio completo controllato anche tramite prelievo di
campioni di bianco dopo ogni fase di lavaggio, con profondità di prelievo fissate è possibile
posizionare dei tubi fissi per evitare contaminazioni, uso per es. di pompe; ci sono poi dispositivi di
campionamento automatico che produce molti campioni in serie.
Altre tecniche possono essere fluorocaptori attraverso i filtri a carboni attivi che possono essere
insaccati oppure imbustati → informazioni sull’intero intervallo tempo, grazie all’accumulo la
sensibilità alla rilevazione è migliore, il costo è ridotto; non è possibile determinare esattamente il
tempo di comparsa e il passaggio del picco, necessari più recuperi di filtri, non è possibile definire la
concentrazione della sostanza, altre sostanze organiche sono assorbite e molte di queste possono
emettere fluorescenza nello spettro dei traccianti impiegati.
Infine, ci sono misure con strumenti in continuo tipo fluorimetri a filtro o a fibra ottica che hanno
il vantaggio di avere massima risoluzione temporale; risparmio sui costi di trasporto e di analisi; non
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si perde il passaggio del tracciante se questo avviene in anticipo; basso rischio di contaminazione;
risultati quasi in tempo reale; minime necessità di personale; Svantaggi: non si raggiungono le
precisioni e possibilità analitiche degli strumenti di laboratorio; in caso di malfunzionamenti o
vandalismi si perdono i dati; meglio o avere anche dei campioni di controllo prelevati a mano.
Si assume in genere che il tracciante abbia delle proprietà ideali, ossia che si comporti esattamente
come l’acqua, senza processi di assorbimento o degradazione, che la massa totale immessa sia pari a
quella raccolta, che il passaggio del tracciante al punto di osservazione sia misurato in modo
completo. Esiste comunque la possibilità di utilizzare modelli più complessi sia analitici che numerici
che sono sostanzialmente quelli impiegabili anche per lo studio della propagazione di contaminanti e
che quindi possono considerare processi di assorbimento, ritardo e decadimento.
Quello che vogliamo ottenere alla fine della prova di tracciamento è una curva che ci consenta di
analizzarne il comportamento
all’interno del sistema. Quindi la curva
di restituzione ossia la curva con cui il
tracciante è recapitato al punto di
osservazione con il passare del tempo a
seguito dell’iniezione.
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Esistono poi diversi approcci per la definizione del tempo medio di transito. La scelta e il calcolo è
difficile e per es. le due curve sotto hanno la stessa media. Un errore è quello di calcolare la mediana
ma questo approccio non è corretto a causa dell’asimmetria delle curve di restituzione.
Il tasso di restituzione o di recupero si calcola come rapporto tra la somma del tracciante restituito
al punto di misura su quello immesso: Cdil [ppb/kg] = C/M = [ppb]/[kg]. Il calcolo è possibile solo
se si conosce la portata al punto di immissione e pompaggio o restituzione.
Bassi tassi di restituzione sono dovuti a:
-Tracciante non ideale (assorbimento, degradazione, etc.);
-Sviluppo della prova non ideale, per esempio il tracciante è in parte trattenuto al punto di immissione;
- Dispersione trasversale elevata che non consente il recupero del tracciante.
Ci sono poi degli effetti detti di tailing e uno di essi è quando nella curva post picco la C diminuisce
asintoticamente all’asse x e ci mette molto tempo a raggiungere C basse oppure potrebbe avere degli
incrementi ritardati. Le cause di tailing possono essere: immissione in trincea o pozzetto che può
indurre parte del tracciante a rimanere entro la zona insatura nonostante un lavaggio abbondante;
assorbimento e desorbimento che è un altra causa di comportamento non ideale; il tracciante segue
diversi percorsi fino al punto di osservazione e talora con diverse permeabilità e quindi aumentano i
ritardi e l’effetto di tailing; condotti carsici con meccanismi turbolenti possono comunque causare
uno stiramento della coda e picchi secondari.
121
Nelle prove di pompaggio è possibile determinare anche un altro parametro interessante che è la
porosità efficace che è calcolata tramite la portata Q della prova* tempo medio dalla curva di
restituzione divisa per un denominatore che ci rappresenta il volume dell’acquifero coinvolto.
Per flusso in condizioni naturali e considerando la velocità media calcolata per un percorso rettilineo
è possibile ottenere la porosità efficace dalla formula seguente →
All’interno di un sistema fessurato nel caso a) avremo un piston flow ossia avremo un flusso advettivo
e saremmo in grado di recuperare il 100% del tracciante; nel caso b) si ha una portata in entrata nel
condotto principale, il recupero potrà essere ancora al 100%, ma la portata in uscita sarà maggiore di
quella in entrata e potremmo avere diluizione; nel caso c) perderemo parte della massa e il recupero
sarebbe inferiore al 100% e potremmo avere una stima della portata in uscita a seguito del prodotto
tra la Q in entrata e il coefficiente di recupero; nel caso d) si ha un entrata e un uscita a monte e anche
qui il recupero sarà < 100%, ma la Q in uscita potrebbe essere maggiore di quella in entrata ma anche
viceversa perché dipende dai volumi che stiamo perdendo nel sistema. Quindi le risposte possono
essere diverse sia in termini di trasporto advettivo sia in termini di portate e recupero.
122
Se abbiamo delle condizioni particolari
ossia come nella figura a sx la curva a
linea nera continua si ha una sorgente e
nel punto di campionamento una curva
unica, mentre in alcuni punti potremmo
avere più picchi ad es. nel caso in cui ci
sono delle precipitazioni che può
rimobilizzare parte del tracciante. Altre
possibilità possono essere legate alla
rimobilizzazione da precipitazione o da
immissione di acqua artificiale in cui basta mettere in corrispondenza del terreno o appena sotto di
esso del tracciante, ricoprire, bagnamo e lo facciamo disciogliere nel terreno. Potremmo così
campionarlo o usare dei fluorimetri che ci consentono di visualizzare il suo passaggio.
Ci sono varie applicazioni come quelle nella galleria della TAV Bologna-Firenze in cui si volle
verificare il circuito delle acque dalla superficie verso le gallerie scavate e l’eventuale influenza di
tali gallerie nel drenaggio di acque superficiali o nella variazione del regime idraulico di corsi d’acqua
superficiali.
L’interpretazione del dato può essere fatto con due
metodi: il primo è basato sull’approssimazione
della soluzione e l’altro sfrutta metodi già visti. Il
dataset ottenuto campionando a diverse ore e C in
ppb → curva di breakthrough con punti di
campionamento lungo il percorso.
Si assume di avere un mezzo poroso, con iniezione
istantanea su intero spessore, misure in
piezometro, distanza di 50 m e condizioni di deflusso naturali. Da questa curva possiamo ottenere
una serie di parametri come il tempo di prima comparsa ossi dove si ha il primo distaco dei valori di
C dall’asse delle x; se abbiamo una distanza tra il punto di immissione e di recapito possiamo stimare
la velocità massima; poi possiamo vedere il tempo di transito del picco e la velocità di picco. A questo
punto possiamo determinare i parametri idro-dispersivi ossia il coeff. di dispersione longitudinale e
la dispersività e per fare ciò occorre calcolarsi il tempo di transito medio. Esiste un metodo che è stato
proposto da Maloszewsi nel 1985 che è quello del Cpic o “Cpic/0.5Cpic” → se prendiamo la curva e in
123
particolare la concentrazione pari al 50% di quella di picco si ha un valore dato dalla linea blu che
causerà sulla curva 2 punti di intersezione. Possiamo quindi prendere il tempo di transito relativo ai
due punti e li chiameremo t150% e t250%.
Poi possiamo calcolarci il rapporto tra il
tpicco/t150% e anche per l’altro (ϕ).
Dopodichè possiamo calcolarci i parametri DL i
dispersione sia per il tratto ascendente sia
discendente grazie alla relazione data da
Maloszeski → i due valori ottenuti sono troppo
Durante un PITT si iniettano una serie di sostanze, che sono traccianti conservativi (CITT) e non
conservativi (PTT) attraverso uno o più pozzi di iniezione e li si recupera da pozzi di emungimento.
Per definizione il trasporto di traccianti conservativi non è influenzato dalla presenza di DNAPL nella
zona di passaggio del tracciante. I traccianti che si ridistribuiscono (ossia non conservativi) tendono
a ripartirsi sui DNAPL e quindi il loro trasporto viene ritardato rispetto al trasporto di quelli
conservativi. Il fattore di ritardo, R, di un tracciante non conservativo è determinato direttamente dalla
curva di restituzione (breakthrough) del tracciante ottenuta da dati rilevati entro i pozzi di estrazione.
124
Assumiamo che la parte
gialla sia un pennacchio di
sostanza contaminante, ma
non sappiamo quanto sia
esteso. Possiamo usare un
approccio con flusso forzato
ossia posso avere un pozzo
di iniezione e uno di
estrazione. Immetto il
tracciante nel punto rosso e
nell’altro pompo acqua
facendo in modo che il
circuito o le linee di flusso
rosse siano tutte dirette
verso il pozzo di prelievo. Se siamo bravi saremmo in grado di recuperare il 100% del tracciante
immesso. Le linee che arrivano da fuori porteranno acqua pulita, invece quelle che transitano
attraverso il corpo giallo arriveranno trasportando possibilmente della sostanza contaminante oppure
potranno andare incontro ad un ulteriore problema. Qui sotto vi sono 3 traccianti che sono stati
immessi nel pozzo di
iniezione e
recuperati al pozzo
di recupero. Accade
che i 3 traccianti che
avrebbero dovuto
viaggiare lungo la
direzione di vista
arrivano a tempi
diversi; i picchi sono
a tempi diversi.
Quindi le 3 curve sono diverse per i tre traccianti (bromuro, neon e elio). Accade che il bromuro che
è un tracciante conservativo ed è in alcuni casi in grado di arrivare leggermente prima dell’acqua, poi
si ha il neon ed elio che sono ritardati di più il neon rispetto all’elio. Quello che è successo è che il
tracciante neon+elio che hanno attraversato la bolla gialla di contaminante sono stati catturati in
qualche modo da qualcosa che non ha influenza sul bromuro ossia la sostanza contaminante
125
(DNAPL). Ci aspettiamo che tale ritardo e la perdita di massa sarà funzione di quanta massa di NAPL
ci sia nel pennacchio giallo. In questo caso il NAPL funge da spugna ed è in grado di catturare tanto
più tracciante PT ossia quello affine al NAPL.
L’affinità del tracciante al NAPL può essere rappresentata calcolandosi un coefficiente di ripartizione
tra il NAPL e l’acqua. Se uso tale KN e conoscendo la porosità saturata dal NAPL posso arrivare a
calcolarmi un coefficiente di ritardo, ove tp e tn sono rispettivamente i tempi
medi di transito dei traccianti he
si ridistribuiscono e non (ossia tra il tracciante
partitioning e quello non).
Se l’immissione del tracciante è costante durante il tempo di iniezione (ts) il tempo di transito medio
del tracciante,t*, è determinato dal primo momento temporale normalizzato: ove t è il tempo di misura
e C(t) è la concentrazione del tracciante nel tempo al pozzo di
estrazione. In genere le curve di recupero dei traccianti nelle prove
PITT mostrano un evidente effetto di tailing, generato principalmente
dal sistema di iniezione/emungimento. Il troncamento di queste zone
di coda può portare a degli errori di stima per cui si può impiegare un metodo di estrapolazione di
tipo esponenziale per estendere le curve di eluizione oltre il termine delle prove.
Possiamo usare diversi composti PT anche in contemporanea all’interno del nostro sistema e spesso
si usano degli alcoli. Il KN varia in funzione del tipo di sostanza e cambia la C sul NAPL rispetto alla
C che rimane in acqua. Ciò ci occorre perché potremmo avere più composti oppure vogliamo usare
un approccio ridondante in modo da avere più risultati. La necessità invece dell’impiego di un
tracciante conservativo ad es. lo ione bromuro che è semplice da trovare e usare.
Siccome abbiamo detto che il KN = CN/Cw e in funzione di tali C e dell’evoluzione totale e visto che
forziamo il flusso dal pozzo di iniezione a quello di recupero, in teoria noi dovremmo recuperare il
100% del tracciante conservativo ossia dello ione bromuro. Mentre potremmo recuperare il 50% del
PT, se fosse così ci accadrà che il 50% della massa è trattenuta dal contaminante presente nella zona.
Se sappiamo quale sia la C del tracciante PT cioè quello che si partiziona si ferma con una data C sul
NAPL controllata dalla K allora potremmod eterminare qual è la massa di NAPL presente in
corrispondenza del pennacchio.
126
Abbiamo detto che è meglio avere un tracciante conservativo, e uno non conservativo magari più di
uno in modo da avere una ridondanza ed ulteriore sicurezza; possiamo determinare il valore di S N
ossia di saturazione dei pori.
Ai fini della progettazione del test è necessario includere: le dimensioni dell’area del sottosuolo da
esaminare, Sweep volume, grande ma non eccessivamente per ridurre i tempi di prova, semplificare
i requisiti idraulici e minimizzare i costi (tracciante, analisi, trattamento fluidi); SN inoltre tende a
decrescere. Una stima della quantità di DNAPL presente, numero e posizione dei pozzi di iniezione
e emungimento, necessità di altri pozzi per il controllo idraulico, durata delle prove di tracciamento,
frequenza di campionamento, gruppo di traccianti da impiegare (tipo, caratteristiche e coeff. di
distribuzione), concentrazioni di estrazione, iniezione e limiti di rilevabilità accettabili, volume
dell’impulso di tracciante, trattamento delle acque estratte.
Come ricordato in precedenza i soluti disciolti nelle acque sotterranee possono andare soggetti a tutta
una serie di processi che tendono a rimuoverli dalle acque stesse. A causa dei processi di assorbimento
alcuni soluti si muovono molto più lentamente dell’acqua che li trasporta e questo effetto è noto come
Ritardo. Biodegradazione, decadimento radioattivo e precipitazione possono decrescere
ulteriormente la C del soluto nel pennacchio ma non è detto che rallentino la velocità di movimento
del pennacchio.
L’eq. advettivo-dispersiva (ADE) può essere modificata per includere assorbimento e decadimento
→ dove C è la concentrazione del soluto nel liquido, DL è il coeff. di dispersione long., Bd è il peso
di volume acquifero, C* è la quantità di soluto per unità di peso del solido e θ è il contenuto
volumetrico d’acqua o porosità del terreno saturo; rxn pedice che indica r. chimica diversa da assorb.
127
L’eq è costituita da un termine di tipo diffusivo-dispersivo che è quello con la derivata seconda e il
coefficiente di dispersione idrodinamica Dx, poi si ha un termine advettivo in cui si ha il gradiente di
concentrazione che è traslato dalla velocità lineare o advettiva del mezzo, poi si ha un termine di
assorbimento e l’ultimo termine è quello di reazione e significa che nel tempo possiamo far aumentare
o diminuire la C di una determinata sostanza a seguito di una reazione chimica o biologica, ma
comunque diversa dall’assorbimento.
Le reazioni chimiche che possiamo considerare sono per es. quelle che sono state proposte da Rubin
(1983) e che si dividono in reversibili (sono quelle abbastanza veloci) e irreversibili (reazioni lente).
Entrambe possono dividersi in omogenee ed eterogenee in funzione che siano rispettivamente con
una sola fase o con più fasi coinvolte. Infine, le reazioni omogenee sono di classe I mentre quelle
eterogenee formano due sottoclassi (II e III ossia di superficie o classica).
L’Adsorbimento è quel fenomeno in cui si instaura un legame tra le molecole di due o più fasi
differenti ed interessa la superficie di separazione delle fasi. Esso è un processo in cui le molecole
adsorbite perdono in parte il loro grado di libertà quando si legano alla superficie.
Ciò significa che per es. noi abbiamo l’acqua in cui vi è in soluzione un soluto e la reazione avviene
con la superficie di un solido e quindi con la particella solida del terreno.
128
L'adsorbimento è un fenomeno più specifico dell'assorbimento. L'assorbimento di materia è il
processo in cui il numero totale di particelle che emergono dopo aver attraversato un mezzo materiale
è ridotto rispetto al numero di particelle incidenti sul mezzo come risultato dell'interazione tra
particelle e mezzo (a quelle immesse all’inizio). Se l'assorbimento avviene solo alla superficie si parla
più specificatamente di adsorbimento, se avviene entro il volume di materia si parla di absorbimento.
L'adsorbimento può essere di tipo fisico (legami di van der Waals) o di tipo chimico (legami
covalenti). L’adsorbimento fisico ha dei valori di ΔH molto piccoli circa 20 kJmol-1, mentre
l'adsorbimento chimico, che agisce su piccole distanze, ha dei valori di ΔH dieci volte superiori
200kJmol-1. L'adsorbimento può anche essere classificato secondo gli stati della materia in omogeneo
(se interessano fasi diverse ma lo stesso stato, per esempio acqua-esanolo) o eterogeneo (se interessa
stati differenti della materia: solido, liquido, gas).
Esistono dei fenomeni particolari che riguardano l’Adsorbimento di Tensioattivi. I tensioattivi sono
classificati in ionici e non ionici e possono essere adsorbiti su una superficie idrofilica (ossia polare
o affine all’acqua) o idrofoba. In genere, i tensioattivi sono espressi tramite una molecola che ha una
testa polare e una coda non polare; tale struttura è utile in quanto la testa polare può attaccarsi a dei
solventi o soluti polari, mentre la coda apolare ha un affinità maggiore per sostanze non polari. Le
combinazioni possibili che possiamo avere sono quelle di un tensioattivo ionico/idrofilo,
ionico/idrofobo, non ionico/idrofilo e non ionico/idrofobo. La singola molecola per C particolari può
dare delle forme interessanti che agiscono su sostanze con cui devono attaccarsi. Le differenzti
posizioni delle molecole sulla superficie adsorbente determinano le interazioni tra adsorbito e
adsorbente.
I tensioattivi non ionici seguono un isoterma (ossia una relazione che lega la C adsorbita con la C in
soluzione) che è quella di Langmuir o una legge ad essa simile. A basse concentrazioni di
tensioattivo, la superficie adsorbente è poco ricoperta e l’interazione avviene tramite un legamen
debole e si instaurano dei legami di tipo Van der Waals.
Se la superficie è idrofoba, l’interazione è controllata dalla coda del tensioattivo, mentre se si ha una
superficie polare sarà la testa del tensioattivo che andrà a legarsi.
In genere, se si aumenta la lunghezza della catena del tensioattivo, si determina una diminuzione
dell’adsorbimento e se si aumenta la temperatura, aumenta anche l’adsorbimento a causa della
desolvatazione della catena.
Se si aumenta la concentrazione del tensioattivo, si ha un’organizzazione delle singole molecole di
tensioattivo a formare delle strutture particolari detti aggregati che sono detti micelle.
129
Esistono diversi modelli con i tensioattivi operano su delle superfici idrofile o polari e lo stesso
avviene per i tensioattivi ionici.
L’isoterma è una relazione che ci dice quanto assorbimento c’è o quanta ripartizione c’è per un soluto
presente all’interno di una soluzione dato un certo solido con cui è messa a contatto la soluzione. La
capacità di un solido di rimuovere un soluto sarà funzione della C del soluto stesso. L’isoterma è detta
così perché i risultati in termini di C adsorbita rispetto alla C della soluzione sono presentati a T
costanti. Inoltre, il processo di adsorbimento può essere molto rapido rispetto alla velocità di deflusso
e in questo caso si ha a che fare con delle isoterme di equilibrio di assorbimento. Viceversa, se
l’adsorbimento è dato da una reazione che è lenta rispetto al flusso, allora sarà necessario introdurre
delle modifiche perché il soluto non sarà in equilibrio con la fase adsorbita, ma è necessario introdurre
un modello di adsorbimento cinetico.
Vediamo quindi dei csi di isoterma e che cosa comportano le diverse tipologie di isoterme.
L’isoterma di assorbimento lineare significa che vi è una relazione diretta tra la C che è adsorbita
sul solido (C*) e la C della soluzione (C). Ci basta diagrammare i dati sperimentali per ottenere le
due seguenti relazioni, dove Kd è il coeff. di ripartizione. Esso
130
Se la velocità lineare media è vx, la velocità media del fronte del soluto ove la C è metà di quella
iniziale, vc è →
L’isoterma lineare ha 2 limitazioni, ossia che non limita la quantità di soluto che può essere assorbita
sul solido, ma un limite superiore dovrà esistere; inoltre, pochi punti sperimentali possono ingannare
e far pensare ad un andamento lineare.
Esistono poi altre tipologie di isoterma di assorbimento per es. quella di Frendulich che è
un’equazione leggermente più complessa, non lineare, in cui la C adsorbita sulla massa solida è
direttamente proporzionale alla C della soluzione elevata ad un dato esponente. Tale esponente sarà
quello che causa la geometria della relazione riportata sotto. La relazione la possiamo scrivere anche
in termini di log →
K e N sono costanti
empiriche diverse per diversi composti e per diverse T; in particolare N è posta pari a 1/n.
Ciò significa che se rappresentiamo su un diagramma b-log dovremmo avere degli allineamenti
rettilinei e quindi in questo caso l’andamento rettilineo nel grafico testimonierebbe la validità della
relazione.
Vediamo ora cosa accade se insieriamo la relazione di Frendulich all’interno dell’equazione ADE nel
termine di assorbimento → anche qui si assume che la KNC-1 lo posso portare fuori e mettere a sx
dell’uguale ottenendo come
relazione finale la seguente
espressione →
131
dove il termine tra le parentesi tonde
rappresenta il fattore di ritardo Rf.
Se N > 1, la relazione indica che il fronte si
sta espandendo progressivamente, invece se N = 1 torneremmo ad avere un isoterma lineare.
L’isoterma di Frendulich è stata usata di frequente per terreni con metalli, composti organici, solfati,
cadmio, rame, zinco, molibdeno, pesticidi ecc. anche questa isoterma è problematica perché è una
relazione semi-empirica e quindi deve fittare i dati sperimentali.
132
retti. Questo è stato spiegato assumendo due diversi tipi di siti di assorbimento che differiscono
nell’energia di legame. L’isoterma di assorbimento a doppia superficie di Langmuir è →
Tutti i modelli d’equilibrio assumono che il tasso di variazione della concentrazione dovuto
all’assorbimento sia più elevato che la variazione dovuta a qualsiasi causa e che il tasso di flusso sia
abbastanza basso da raggiungere le condizioni di equilibrio. Se ciò non è vero allora un modello
cinetico è più appropriato.
In un modello cinetico l’eq. di trasporto del soluto è legata a un’equazione appropriata che descrive
il tasso con cui il soluto è assorbito e desorbito dalla superficie solida.
La condizione di disequilibrio più semplice è quella in cui il tasso di assorbimento è una funzione
della concentrazione del soluto che rimane in soluzione e che una volta assorbito sul solido il soluto
non può desorbirsi. Questa è una reazione di tipo irreversibile che porta all’attenuazione del soluto.
Il modello di assorbimento cinetico del primo ordine irreversibile è espresso come → ove k1è la
costante del tasso di decadimento di primo ordine.
Se il tasso di assorbimento del soluto è correlato alla quantità che
è già stata assorbita e la reazione è irreversibile, allora un
modello cinetico di assorbimento lineare reversibile è
esprimibile come → ove k2 e k3
sono le costanti per il tasso in avanti e indietro. Se esiste abbastanza
tempo per il sistema di andare all’equilibrio allora non ci saranno più variazioni in funzione del tempo
dC*/dt = 0 e quindi k2C= k3C* o C*=k2/k3C.
Ci sono poi problemi particolari quando parliamo di composti idrofili o idrofobi. Molti composti
organici disciolti in acqua possono essere assorbiti su superfici solide per effetto idrofobico. Questi
composti esistono come specie elettricamente neutre con diversi gradi di polarità. La solubilità dei
composti organici in acqua è una funzione del grado con cui sono attratti dalla molecola polare
dell’acqua e questa attrazione dipende dalla polarità delle molecole organiche. Composti idrofobi
possono essere disciolti in molti solventi organici non polari ma hanno bassa solubilità in acqua.
Quando disciolte in acqua, queste molecole tendono ad essere attratte alle superfici che sono meno
polari dell’acqua.
[slides da 25 a 63??]
133
Video 30: Introduzione ai criteri di realizzazione di reti e campagne di
monitoraggio degli acquiferi, obiettivi. Fattori di controllo, elementi guida per
indirizzamento delle fasi di monitoraggio, fasi di sorveglianza/accertamento,
valutazione e bonifica.
Per una descrizione e comprensione delle diverse fasi e necessità di campionamento è indispensabile
rivedere gli scopi di un monitoraggio e le modalità di esecuzione delle opere di monitoraggio. Le
misure di campagna possono essere indirizzate a:
134
- verificare i rapporti con corpi idrici superficiali;
- caratterizzare i rapporti tra diverse unità idrogeologiche;
- eseguire prove di permeabilità su un acquifero o acquicludo;
- eseguire prove per la valutazione delle potenzialità di un acquifero;
- prelevare campioni d'acqua per analisi chimiche in acquiferi non contaminati;
- prelevare campioni d'acqua per analisi chimiche in acquiferi contaminati;
- prelevare campioni di liquidi non miscibili (NAPL);
- prelevare campioni di terreno contenente acqua e sostanze contaminate;
- eseguire log geofisici in foro;
- prelevare, con tecniche attive e/o passive, campioni di gas interstiziali.
Tali misure sono funzione degli scopi che si prefigge, mentre la loro esecuzione è funzione della fasi
di realizzazione. Per i problemi di contaminazione per es, si possono distinguere tre fasi di indagine
con obiettivi diversi:
Le 3 fasi non devono necessariamente svolgersi completamente e in successione. Se, per esempio, a
seguito di uno sversamento di contaminante in falda si verifica che la semplice diluizione o
l'attenuazione naturale consentono di raggiungere livelli di concentrazione al di sotto dei limiti di
legge, non si procederà ad alcuna bonifica, sebbene il monitoraggio andrà proseguito per un
determinato intervallo tempo.
È di fondamentale importanza fissare con precisione gli obiettivi del monitoraggio, per progettare e
dimensionare adeguatamente le attività; ad es.la conoscenza a priori del tipo di contaminante
determina le scelte costruttive per la realizzazione dei piezometri e per la modalità di campionamento.
Non sempre si hanno in fase preliminare sufficienti conoscenze per progettare l'intervento: sarà allora
135
opportuno, in base ai primi dati raccolti con le fasi iniziali dell'indagine, determinare le linee di
sviluppo future.
Gli scopi e gli obiettivi del monitoraggio possono essere la determinazione del tipo di sostanze
inquinanti; proprietà chimico, fisiche e tossicologiche delle sostanze contaminanti; presenza di
contaminazione diffusa e/o puntuale; distribuzione nelle tre dimensioni della contaminazione; stime
dei volumi coinvolti nella contaminazione; stima della massa di contaminante presente, etc.; possono
anche variare nel tempo, una volta che processi di contaminazione e problemi di qualità delle acque
siano stati individuati.
Restano comunque irrinunciabili i seguenti obiettivi, validi per ogni tipo di attività di monitoraggio
intrapresa:
1. lo sviluppo di un modello concettuale che incorpori gli elementi conosciuti della geologia
regionale con lo schema geologico locale, ricostruito in base ai dati diretti ed indiretti
disponibili;
2. la raccolta di dati di alta qualità, con rapporti costi-benefici accettabili;
3. il raffinamento progressivo del modello concettuale, sulla base dei dati che si aggiungono via
via, volto al miglioramento della complessità e del grado di dettaglio.
Per risolvere tali problemi vanno poi considerati gli aspetti che concernono la scelta di: punti di
campionamento, tipo di campione, tipo di strumento di campionamento, tipo di contaminante,
frequenza di campionamento, tecniche di conservazione e maneggiamento dei campioni in funzione
delle sostanze da campionare, dei costi e tempi, delle condizioni ambientali.
La definizione degli obiettivi di monitoraggio e lo sviluppo di un programma di monitoraggio
necessitano la definizione dei dati, delle informazioni e delle analisi richieste. Gli obiettivi del
monitoraggio definiscono le informazioni di cui l'investigatore ha bisogno per giungere a delle
conclusioni e prendere delle decisioni relative.
Per specificare il tipo e la qualità dei dati richiesti per supportare una decisione finale, occorre fissare
degli obiettivi di qualità dei dati stessi, che descrivano il massimo livello d'incertezza accettabile dai
dati ambientali che si va a ricavare. Per es.: il riconoscimento della presenza di sostanze contaminanti
entro i terreni richiede un grado di disturbo minimo che va al di là della "semplice" preservazione
delle caratteristiche tessiturali e strutturali di un campione. Inoltre, mentre esistono dei metodi e delle
tecniche di laboratorio per limitare e valutare gli errori analitici è tuttora difficile eseguire le stesse
valutazioni per le fasi di campionamento.
136
Vi è la necessità di avere degli standard di campionamento estremamente elevati in modo tale che
accuratezza, precisione, sensibilità siano garantite e ogni fonte di errore sia mantenuta sotto controllo
e con un contributo minimo all'incertezza del dato nonostante la limitatezza dei tempi spesso
disponibili per tali fasi. Accuratezza è la misura della vicinanza di una misura al valore reale, espressa
in genere come media di un numero di misure rispetto al valore reale e quindi per campioni di nostro
interesse, in cui il valore reale è incognito, è possibile esprimere l'accuratezza in termini di scarto ±
20%; la Precisione è la comparatività e completezza → misura della probabilità che una determinata
misura ricada entro un determinato limite di confidenza; si esprime spesso come l'errore del valore
medio di una serie di determinazioni su repliche di campioni rispetto al valore medio reale; la
Sensibilità è relativa sia al limite di rilevabilità che al metodo di misura dello stesso. Il limite di
rilevabilità del metodo indica per esempio la concentrazione minima di un particolare composto
chimico che può essere misurata in modo affidabile per un campione e come tale esso rappresenta il
livello di concentrazione minimo che può essere riconosciuto in modo statisticamente affidabile
rispetto a un campione di bianco.
Lo schema sopra mostra le fonti di errore distinte in funzione delle diverse fasi operative in azzurro.
In verde vi sono le tipologie di errore.
137
Una campagna di monitoraggio deve essere preceduta da una serie di raccomandazioni per
l’esecuzione delle opere che devono consentire la raccolta dei campioni stessi. Per la loro
applicabilità occorre ricordare alcuni elementi legati all’assetto idrogeologico ossia tipi e
distribuzione dei materiali geologici, tipologie e andamento del flusso sotterraneo, ubicazione del sito
di indagine rispetto alla circolazione idrica sotterranea, porosità e permeabilità relativa delle
formazioni e condizioni geochimiche delle acque.
L'ubicazione nello spazio dei punti di monitoraggio è una delle scelte più importanti e delicate,
perché costituisce una delle voci di spesa maggiori. Oltre al problema della collocazione lungo la
verticale del livello filtrante di un pozzo, va considerata la collocazione in pianta dei punti di misura.
I criteri guida non possono essere né la massima copertura areale possibile (per problemi di costo),
né la minimizzazione del numero di pozzi. In vicinanza di elementi che condizionano e influenzano
l'andamento delle linee di flusso (condizioni al
contorno in grado di esercitare stress sul reticolo
di filtrazione: pozzi in pompaggio, corsi
d'acqua, ecc), occorre prevedere l'ubicazione di
punti di osservazione. Neanche una
distribuzione il più possibile casuale garantisce
la perfetta ricostruzione dei gradienti locali. In funzione delle caratteristiche del deflusso sotterraneo
(direzione, gradiente orizzontale e verticale), del contaminante e del pennacchio si potrà provvedere
ad una integrazione delle indagini e dei punti di misura (realizzazione nuovi pozzi, approfondimento,
etc.). Ciascun punto di monitoraggio deve essere sfruttato, ove possibile, sia per la caratterizzazione
idrogeologica in sito dell'acquifero che degli acquicludi oltre che per l'eventuale esecuzione di prove
di laboratorio su campioni estratti durante la perforazione.
Ulteriore punto importante da considerare è la possibilità che la contaminazione sia ad opera di diversi
composti e che ognuno abbia diverse caratteristiche fisiche-chimiche e quindi come risultato finale
saranno diverse la direzione e la lunghezza di propagazione.
138
Nella figura si vede un pennacchio sia
in pianta sia in sezione: in pianta è
evidente che lungo la zona centrale si ha
un isocona che copre una zona ampia
per cui non è necessario infittire molto i
punti di misura, mentre se vogliamo
definire precisamente i limiti esterni del
pennacchio dovremo andare a infittire i
punti di monitoraggio nella zona di
contorno. La stessa cosa può essere fatta
sul fronte dove è importante se
vogliamo verificare la modalità di
avanzamento del pennacchio dobbiamo essere capaci di riconoscere a diversi istanti temporali il
transito del fronte e il progressivo incremento per descrivere la geometria del fronte in termini di C.
La stessa cosa deve essere fatta in profondità (in sezione) dove in questo caso ogni lineetta lungo la
verticale che rappresenta un possibile piezometro di misura rappresenta uno dei possibili intervalli di
campionamento e ciò perché le isocone non hanno solo una distribuzione in pianta ma anche in
verticale. Ciò ci consente di andare a distinguere per es. valori di C diversi, ma anche l’eventuale
arrivo di un isocona che corrisponderebbe ad una C superiore a quella max ammissibile per quella
specifica sostanza.
L’altra cosa di cui dovremo tener conto è che noi abbiamo un reticolo di flusso all’interno del mezzo
poroso e questo campo di moto è descritto in condizioni stazionarie da un possibile reticolo di flusso
advettivo a cui possiamo aggiungere le componenti dispersive. Inoltre, il reticolo di flusso ci può dire
quali sono le aree di ricarica e quali sono quelle di restituzione delle acque.
La posizione e lunghezza del filtro: tratti da esaminare, testare e campionare; portata acqua, disturbo
da diversi agenti (atmosferici, etc.), individuazione livelli contaminati e a diverso grado di
contaminazione, perdita gas, campioni puntuali, rappresentatività dei campioni, caratterizzazione 3D
dei pennacchi contaminanti, etc. Inoltre la posizione del filtro può essere determinante nel caso di
contaminazione da NAPL più leggeri o più pesanti dell'acqua e di presenza di livelli a diversa
permeabilità o di presenza di particolari gradienti verticali entro la falda.
I parametri importanti per noi sono: il diametro del tratto filtrante perché in funzione di esso saremo
in grado di fare operazioni nel pozzo con strumenti di tipologia e dimensione diversa, il materiale
del filtro sia del tubo filtro sia sul filtro stesso che inficiano le proprietà idrauliche del pozzo e
139
quindi controllare le performance e possono anche essere degli elementi di disturbo ad es. possono
essere realizzati con materiali deboli dal punto di vista chimico-fisico oppure che possono adsorbire
parte del contaminante; può essere indispensabile poi avere un filtro granulare e occorre sapere come
dimensionarlo in funzione dei parametri dei contaminanti e delle fasi presenti; poi occorre sapere
quale modalità di installazione è stata usata per il pozzo e per i filtri (fanghi, schiume o acqua e aria
per perforazione→ disturbo), problemi per contaminazione operazioni da cantiere, materiale usato
per esecuzione dei tamponi ossia impermeabilizzazione dell’intercapedine e infine, il metodo di
chiusura adottato per la bocca pozzo ossia come si sigilla il pozzo rispetto all’atmosfera e
all’ambiente sterno circostante.
I punti di monitoraggio possono essere diversi anche in funzione della fase della sostanza che
vogliamo monitorare oppure se siamo in zona satura o meno oppure se vogliamo fare misure fisiche-
idrauliche o chimico-fisiche. Le necessità di racconta dati, la disponibilità di mezzi e l’analisi
costi/benefici sono fattori determinanti nella scelta delle modalità di realizzazione dei punti di
monitoraggio. Diversificazione in base alla tipologia di livelli o zone da monitorare. Per es. in zona
satura si possono adottare diverse modalità di realizzazione dei punti di monitoraggio come:
- piezometri singoli;
- gruppi di piezometri indipendenti;
- strumenti multi-livello in un singolo pozzo;
- un sistema a packer rimovibile entro uno stesso foro.
Tra questi, i primi sono quelli di utilizzo più comune seguiti dai secondi, mentre molto più rare sono
le altre 2 tipologie. Tale tendenza è dovuta sostanzialmente ai costi e alle difficoltà di una corretta
realizzazione.
Per le prime due categorie si opera sostanzialmente nello stesso modo con l'unica variazione per cui
nel caso di gruppi di piezometri si installano più piezometri ravvicinati intorno a un punto e con tratti
filtranti a profondità differenti. Ciò garantisce una messa in opera semplice evitando le difficoltà di
140
isolamento tipica dei multi-livello (piezometri inseriti tutti in un unico foro, ma a diverse profondità
e i cui tratti filtranti sono isolati da tamponi).
Se è un pozzetto esso deve avere un tratto filtrante con un tubo filtro e un filtro granulare laddove sia
necessario, un tubo cieco che è quello che sostiene la parte superiore del piezometro, un tampone che
isola il filtro granulare dal tratto superiore e poi una parte di cementazione e un epron ossia una
piattaforma o testa pozzo impermeabile e ben isolante per evitare qualunque fenomeno di disturbo da
acque circolanti. In più ci sarà un tappo sigillante e un lucchetto per garantire l’inaccessibilità.
I tappi di chiusura sono dei sistemi semplici e sono tipo quelli delle “bottiglie” con un sistema ad
espansione a vite o a leva che si espande la guarnizione che deve far presa sul tubo del piezometro, il
cui diametro deve corrispondere esattamente.
Il campionamento può essere puntuale ed esso implica filtri corti e piccoli diamteri per minimizzare
il volume dei fluidi da movimentare e anche la miscelazione e diluizione. Tubi troppo piccoli però
sono svantaggiosi perché non consentono misure di carico. Se abbiamo un gruppo di pozzi se la
distanza tra il primo e l’ultimo è piccola possiamo considerarlo un campionamento puntiforme
spazialmente. Con essi possiamo campionare il pennacchio a diverse profondità lungo una verticale.
Difatti noi possiamo mettere nello stesso foro diversi sensori che possono misurare la pressione
dell’acqua a diverse profondità stando isolati dal resto. L’isolamento avviene tramite una
141
cementazione dell’intercapedine e utilizzando del cemento che sia dal punto di vista idraulico
diffusivo che consenta comunque il passaggio di acqua o di pressione rapidamente. Piezometri multi-
livello sono usati in fori e danno ottimi risultati.
Esistono poi dei Campionatori o sistemi di misurazione che sono locali ossia la linea blu in figura
a sx indica la presenza dell’acquifero con il
mezzo che vogliamo monitorare, facciamo
un foro e nel sistema vi è una tubazione
impermeabile che regge il foro e in
corrispondenza di diverse profondità ci sono
delle aperture con tubicino che arriva in
superficie. Ogni sensore è fatto dal sistema
a lato della figura in cui vi è in azzurro la
parete del tubo che regge il foro, attraverso il foro si ha un piccolo punto di presa
con filtro che serve a impedire il transito di particelle fine nella tubazione e quello
blu fa da tappo impermeabile per evitare che ci siano infiltrazioni nel sistema.
Questo è un Sistema a porte di aspirazione multiple.
Esistono poi dei Campionatori tipo Westbay che si basa su dei sistemi di packer ossia vi sono degli
elementi gonfiabili che vanno ad isolare dei tratti di pozzo. All’interno della colonna si cala un sistema
di campionamento che va a fissarsi all’interno di un intervallo specifico tra due packer, si posiziona
142
davanti ad una finestrella con una valvola e l’asta che caliamo per il campionamento
spinge contro il lato opposto del rivestimento della tubazione e spinge fuori un
elemento che serve a campionamento. Quindi apre la valvola e a questo punto si aspira
facendo entrare i fluidi che sono catturati e portati in superficie. Ciò consente di poter
andare a prelevare campioni a diverse profondità. Per fare ciò possono essere usati dei
fluidi di spinta o degli elementi di campionamento.
Esistono poi dei Campionatori a Gas abbastanza semplici e sono formati da piccole
celle connesse alla superficie da una coppia di piccoli tubi; attraverso uno di essi si
immettono aria o gas inerti in pressione che consentono lo svuotamento della camera
di raccolta del campione. Se vi sono dei fluidi esterni, essi spingeranno e
solleveranno la valvola sferica nera ed entreranno nella camera e risaliranno. Un
altro metodo può essere quello di insierire un penetrometro statico nel terreno,
arretrare il manicotto e lasciare scoperto un tratto filtrante entro cui il fluido può entrare e risalire.
Lo scopo di un pozzo di monitoraggio è quello di costituire un punto all'interno del volume d'interesse
finalizzato all'esecuzione di misure o al prelievo di campioni indisturbati. La realizzazione del pozzo
stesso e la sua gestione comportano tuttavia l'introduzione di artefatti in grado di modificare le
condizioni naturali reali. Innanzitutto le tecniche di perforazione, derivate dall'industria petrolifera,
dalla geotecnica e dalla realizzazione di pozzi per acqua, non sono adatte alla realizzazione di pozzi
per il monitoraggio idrochimico. Comuni effetti collaterali sono:
La lisciatura delle pareti del foro è dovuta all’azione della trivella nella perforazione classica con
l’auger oppure alla rotazione e infissione delle colonne di rivestimento nel caso di perforazione a
rotazione. Risulta dannoso per terreni a grana fine dove la componente maggiore della permeabilità
è quella secondaria e legata soprattutto alla circolazione in frattura. Tali fratture risultano ostruite in
prossimità del foro e quindi la propagazione di fluidi e dei contaminanti verso il pozzo può risultare
del tutto bloccata. Effetto simile può risultare dalla compattazione delle pareti del foro per azione
delle tubazioni di rivestimento che esercitano pressione durante l’infissione.
143
Un altro tipo di problema è la veicolazione di terreno contaminato verso il basso quando un livello
contaminato sovrasta orizzonti non ancora raggiunti dalla percolazione. Questo si può verificare per
azione delle aste di rotazione o delle tubazioni di rivestimento che vengono approfondite
successivamente. Inoltre, le stesse aste possono essere causa di contaminazione se non si pone
attenzione all’uso di lubrificanti e vernici.
I fluidi di perforazione possono agire nel medesimo modo: l'aria può produrre condizioni tali da
provocare la locale destrutturazione dell'acquifero, l'intrappolamento di bolle all'interno di pori con
conseguente diminuzione della permeabilità, nonché l'ossidazione di alcuni contaminanti.
L'acqua usata per il raffreddamento e la lubrificazione può destrutturare in parte i terreni, o
trasportare particelle fini o generare la diluizione dell'acqua naturalmente contenuta nel terreno,
alterando il chimismo sia dell'acqua che del terreno in prossimità del pozzo e inducendo la
precipitazione o la dissoluzione di minerali. Nel caso di impiego di acqua come fluido di perforazione
si dovrebbe avere attenzione nel misurarne la quantità e conoscerne il chimismo (potrebbe essere
contaminata). Un alternativa possibile può essere quella di non usare l'acqua o per lo meno impiegare
acqua prelevata dalla stessa falda in cui si opera (condizione ideale).
Fanghi ed additivi per la perforazione sono molto dannosi perché comportano la formazione di un
pannello lungo le pareti del foro, che difficilmente potrà essere completamente rimosso durante lo
sviluppo del pozzo. Anche in questo caso i percorsi di migrazione del contaminante possono essere
deviati, impediti oppure i contaminanti caricati elettricamente possono subire l'adsorbimento da parte
delle particelle più fini.
Gli artefatti legati all'installazione sono dovuti al materiale che costituisce tubazioni e filtri e/o il
riempimento anulare nell'intercapedine tra rivestimento o filtri e le pareti del foro di sondaggio.
I materiali utilizzati per il riempimento dello spazio anulare intorno al pozzo comprendono i filtri
granulari, la sabbia fine per ridurre l'infiltrazione dei cementi, la bentonite, il cemento e le miscele
bentonite-cemento. Questi materiali possono modificare il chimismo se non sono adeguatamente
installati o se sono utilizzati in situazioni non appropriate.
La Bentonite, per es. viene aggiunta solitamente al di sopra dei filtri per sigillarli prima della
cementazione; se però l'acqua che converge verso il pozzo entra a contatto con la bentonite, si
verificano fenomeni di adsorbimento, o desorbimento successivo, da parte delle particelle argillose
sui contaminanti caricati elettricamente. Una soluzione può essere l'aggiunta di una barriera fisica tra
la bentonite ed il filtro (es.: packer o un livello di sabbia fine). Bentonite in granuli: se non si lascia
trascorrere un tempo adeguato per la sua idratazione, la bentonite non fornirà le prestazioni richieste.
144
Quando la bentonite viene lasciata cadere attraverso la colonna d'acqua o in aria resta la possibilità
che i granuli formino dei ponti con le pareti del foro, lasciando così possibili percorsi per acque
indesiderate all'interno dello spazio anulare. L'uso della bentonite nella zona non satura è dibattuto
perché non si è certi che questa rimanga idrata per lungo tempo al di fuori delle condizioni di
saturazione. In caso di de-idratazione si formerebbero fratture in grado di veicolare i contaminanti
verso il basso. I cementi e le miscele cemento-bentonite sono tipicamente utilizzate per sigillare lo
spazio anulare rimanente fino alla superficie.
Il getto di cementi al di sotto della tavola d'acqua o in pozzi con spessori del non saturo superiori ai
7 metri dovrebbe essere completato utilizzando un'apposita tubazione, in grado di immettere la
miscela al fondo del foro o dell'intercapedine fino a che il cemento non rimpiazzi completamente
l'acqua presente.
Questi pozzi possono comunque presentare dei fenomeni di cortocircuitazione ossia per es. se si
mettono in comunicazione acquiferi sovrastanti con acquiferi più profondi e quindi un contaminante
potrebbe seguire il percorso della prima figura A. Oppure pensiamo a un fenomeno di instabilità del
pozzo dovuto a parziale
sollevamento o
sprofondamento della
tubazione e si può avere
l’apertura di fratture vicine
che posssono consentire la
circolazione come nella
fig. B. Altro errore da
evitare è lasciare un filtro
granulare che non isoli i
livelli che si voglino
isolare (fig. C), oppure trasporto di materiale fine che può essere indotto da una cattiva progettazione
dei filtri o danneggiamento dle tubo cieco (fig. D). Esistono poi altri problemi che possono essere
legati al trasporto di materiale fine, alla perdita di acqua che viene spillata dalla superficie che può
rientrare in altri elementi oppure una contaminazione.
Avremmo comunque dei problemi e una delle possibilità del riconoscimento di essi è l’osservazione
della variazione del livello piezometrico se s mettono in connessione un acquifero libero con uno
confinato oppure delle variazioni improvvise della conducibilità elettrica.
145
Ci sono problemi per fori a medio diametro in zone vadose a medio-piccole profondità e qui si usano
dei sistemi di aspirazione del terreno. Ci sono dei cassoni e delle pompe che fanno il vuoto e un grosso
aspiratore che aspira il terreno sciolto con disturbo importante.
C’è una fase che è quella di preparazione del pozzo all’esecuzione delle misure e questa fase è definita
Spurgo. Lo sviluppo o attivazione del pozzo attraverso lo spurgo è un processo durante il quale si
rimuovono gli artefatti che si sono venuti a generare a seguito della perforazione ed installazione
oppure di quell’evoluzione nel tempo che ha portato il pozzo ad assumere delle caratteristiche che
non sono più quelle che possedeva nella fase iniziale.
È possibile realizzare lo spurgo con aria o con acqua. Il problema di usare il pompaggio di aria è che
si ossigena e ossida l’ambiente e inoltre le bolle possono parzialmente occludere le aperture e quindi
rallentare il flusso (diminuire la permeabilità all’acqua); mentre se uso acqua ci possono essere dei
problemi perché se immettiamo acqua durante la perforazione o durante lo spurgo, possiamo avere
una contaminazione o diluizione della falda.
L’approccio migliore sarebbe quello di usare la stessa acqua di falda per lo spurgo; anche
l’accumulo eccessivo di sedimento nel pozzo durante la sua attivazione può essere un problema,
prevenibile con adeguato dimensionamento del filtro e risolvibile con tecniche di pompaggio. La
presenza di materiale fine in eccesso può essere all’origine di torbidità eccessiva (fastidio per analisi
chimiche e per fasi di campionamento) e accumulo e rilascio indesiderato di sostanze contaminanti
all’interno del pozzo stesso.
Lo spurgo viene fatto normalmente tramite pompaggio o sovrapompaggio ossia tramite estrazione
rapida di acqua e quindi con un lavaggio controcorrente. Entrambi i metodi si basano sul movimento
di acqua da e verso la formazione per muovere partticelle più fini dentro e fuori dal pozzo. I metodi
che pompano in un’unica direzione sono poco efficaci. I tempi di spurgo (importanti per il
campionamento) possono variare da 2 ore a più di 3 giorni e un buon dimensionamento delle finestre
e dei filtri riduce al minimo tale intervallo.
146
Ci sono degli artefatti che possono influenzare il chimismo delle acque e soprattutto questi possono
derivare anche dalle operazioni di spurgo e/o di pompaggio forzato. Uno dei problemi può essere
legato all’attività microbica all’interno del pozzo o in prossimità dei filtri, la miscelazione verticale
di acque diverse e la migrazione di contaminanti lungo le tubazioni a causa della non perfetta
aderenza con i cementi. L’ultima problematica può essere migliorare usando cementi che isolano
perfettamente tutto il tratto cieco, mentre la seconda problematica è risolta usando brevi tratti
fenestrati.
Se il mezzo fosse poco permeabile, il problema sarebbe quello che durante la fase di spurgo, la
portata sarebbe bassa e si correrebe il rischio di prosciugare completamente il pozzo. Se ci sono
fratturazioni, invece, le singole fratture possono essere lementi importanti dal punto di vista della
circolazione e possono avere una portata elevata, ma se si pompa una portata sufficientemente elevata,
questi elementi possono essere del tutto svuotati → tempi lunghi di recupero.
La maggior parte degli artefatti sono il risultato di un’installazione dei pozzi di monitoraggio secondo
la pratica tradizionale dei pozzi per acqua. I pozzi di monitoraggio devono solo fornire i volumi di
acqua necessari alle analisi secondo normativa.
Problemi possono insorgere per formazioni a bassa portata in cui il prelievo di campioni può
comportare il temporaneo prosciugamento del pozzo. Tuttavia, terreni a grana fine non comportano
per forza basse portate, poiché la presenza i fratture permette talvolta l’instaurarsi di percorsi
preferenziali di deflusso, nonché condizioni di adsorbimento e desorbimento di sostanze
contaminanti.
Per i problemi di contaminazione non è tanto importante il monitoraggio dell'acquifero, quanto quello
dei percorsi di migrazione, soprattutto per acquiferi fessurati in cui la presenza di elementi discreti
controlla fortemente il deflusso. Una rete di monitoraggio non può quindi essere adeguatamente
progettata senza una fase preliminare di indagine del sito.
Tutto ciò può inficiare le performance di campionamento e ciò ci può costringere a prelevare dei
campioni di bassa qualità pur avendo sostenuto dei costi elevati in termini di realizzazione del punto
di misura. In genere, il costo di un punto di misura è facilmente recuperato o pari rispetto al costo
delle analisi chimiche che possono essere fatte su dei campioni di acqua prelevati dallo stesso punto.
Quindi, è fonamentale che il punto sia realizzato bene e il costo delle analisi sarà contenuto.
La valutazione delle frequenze di campionamento è spesso basata sulle richieste riportate nella
normativa vigente o su argomenti statistici, ponendo l’accennto sulla quantità di dati necessari e su
limitazioni di tipo economico. Per problemi di contaminazione può essere necessario introdurre un
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approccio ragionato sulla base del tipo di sorgente. Infatti, il campioamento e la sua frequenza,
spaziale e temporale, vanno tarati sulla base di:
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Le tecniche di campionamento possono variare anch’esse e per esse è necessario determinare degli
standard tecnici, che saranno funzione di una serie di elementi che dovremo considerare. In
particolare, bisogna tenere conto dei metodi, meccanismi e materiali da impiegare, nonché dei limiti
temporali di esecuzione e raccolta. I metodi e meccanismi di campionamento sono una delle fonti
principali di errori così come la loro variazione nel succedersi di diverse campagne di rilevamento.
In genere, si assume che l'errore di campionamento sia almeno un paio di volte superiore a quello
legato alla parte analitica.
Per minimizzare gli errori è importante rispettare alcuni principi base:
Il disturbo chimico-fisico può essere legato a tanti processi tra cui l’attacco chimico (corrosione
strumentazione e punti di misura), la colonizzazione da parte di microbi o batteri, l’adsorbimento e
assorbimento sulla strumentazione e desorbimento, la diffusione di composti organici attraverso
materiali polimerici e rigonfiamento.
Tale serie di processi può indurre dei trend anomali nelle concentrazioni degli elementi e di sostanze
contaminanti, con valori costanti nel tempo o in funzione delle variazioni locali di deflusso
sotterraneo o dell'ambiente.
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Nelle seguenti tabelle vi sono alcuni esempi di tipo di materiale, le caratteristiche meccaniche di
deformabilità e le raccomandazioni di impiego. La cosa che è interessante che diversi materiali
possono adattarsi a diversi impieghi.
Il Teflon esiste di due tipi uno rigido e adatto a condizioni con esigenze di rilievo di sostanza
organiche e inorganiche aggressive, mentre quello flessibile ha la particolarità di essere facilmente
decontaminabile; esso genera dati di buona qualità e abbastanza stabili. L’acciaio in funzione della
tipologia, alcuni sono stabili anche con sostanze aggressive oppure soggetti a corrosione in presenza
di soluzioni acide o con elevati contenuti di solidi disciolti totali; i prodotti eventuali che possono
essere rilasciati da fenomeni di corrosione sono quelli che formano la lega dell’acciaio ossia Fe, Cr e
Ni. Il PVC può essere adatto a contaminanti inorganici e laddove non ci siano sostanze organiche
aggressive e possono rilasciare elementi tipo Sn o Sb che possono generare un anomalia e possono
dare dei problemi con le sostanze cementate; inoltre, in presenza di solventi si può avere
rigonfiamento. L’acciaio al carbonio o galvanizzato può anch’esso andare incontro a problemi di
corrosione in presenza di miscele acide o solfuri e i prodotti principali sono Fe, Mn, Zn e Cd. Il
Polipropilene e Polietilene sono raccomandabili per soluzioni corrosive con elevato contenuto di
solidi disciolti e sono più stabili rispetto al PVC. Il Silicone e Neoprene possono essere utilizzati in
caso di indisponibilità di altri materiali.
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I singoli materiale possono essere più o meno stabili e nel caso possono rilasciare dei contaminanti
loro stessi. Per il Vetro è chiaro che possiamo rilasciare silice e boro, per il PVC potremmo avere
cloroformio e cloruro di vinile.
È quindi indispensabile che le fasi di monitoraggio e campionamento siano descritte in ogni studio o
relazione affinchè si possano eliminare dubbi e difficoltà nell’interpretazione dei dati e allo stesso
tempo si possano pianificare ulteriori indagini. Sarà importante dire quale sia lo standard richiesto
dalla committenza. Qui di seguito vi sono delle raccomandazioni per l’esecuzione di diverse misure.
151
Gli Standard possono variare a seconda che si effettuino una caratterizzazione idrogeologica, una
caratterizzazione idrochimica, un riconoscimento di contaminazioni, una caratterizzazione dei
contaminanti, una valutazione della qualità delle campagne di monitoraggio, una valutazione delle
necessità di implementazione della rete di monitoraggio, una valutazione e scelta delle tecniche di
bonifica.
Essi possono variare anche in funzione della verificabilità dei dati nonché della variazione dei
costituenti significativi (speciazione chimica).
Nella fase di implementazione della rete di monitoraggio e della scelta delle metodologie di bonifica
è indispensabile un grado di dettaglio superiore a tutte le altre fasi (sia nello spazio che nel tempo).
152
Una volta definiti gli obiettivi del monitoraggio e realizzati i punti di monitoraggio, deve essere steso
un protocollo per il campionamento e la metodologia d’analisi delle acque. Tale protocollo deve
essere in parte flessibile, in modo da adattarsi ai cambiamenti inattesi delle condizioni. Si possono
definire 3 categorie di misure di campo: le misure in sito, quelle relative allo spurgo e le analisi di
campo.
Le misure in sito riguardano quelle proprietà o C che devono essere misurate nelle condizioni vicine
a quelle naturali per es la T e i gas disciolti andrebbero misurati in pozzo, perché le operazioni di
campionamento possono interferire sui loro valori; le misure relative allo spurgo servono per
verificare la stabilizzazione dei parametri di riferimento durante l’estrazione di acqua e sono fatte alla
testa pozzo. Le analisi di campo, invece, sono delle vere e proprie analisi chimiche e fisiche relative
a proprietà e C che sarebbero troppo variabili per attendere una analisi di lab. Tipici parametri da
misurare a testa pozzo sono il pH, la torbidità, gas disciolti e in particolare l’ossigeno, l’alcalinità,
Eh, concentrazione composti poco stabili.
Abbastanza praticabili sono anche le analisi chimiche con fotometri portabili nei quali un piccolo
campione di acqua è aggiunto ad una serie di reagenti e dà una colorazione alla soluzione tanto più
intensa quanto maggiore è la C di un dato composto. Tali apparecchi consentono di ottenere in pochi
minuti valori attendibili per le C di un gran numero di gas disciolti o di ioni.
153
Video 33: Misure di campo, operazioni di spurgo e monitoraggio dei parametri
nella fase di spurgo, uso di basse portate per spurgo e campionamento,
problematiche
Importanti sono le misure del livello piezometrico e di soggiacenza in quanto in tutte le campagne
di misura occorre fare delle analisi standard. Per piezometri di tipo a tubo aperto si usa normalmente
un sondino elettrico fissato all'estremità di un cavo centimetrato. Tale sondino viene calato attraverso
la bocca-pozzo fino a che raggiunge il pelo libero dell'acqua; quando raggiunge l'acqua si chiude un
circuito elettrico che innesca l'attivazione in superficie di un segnale sonoro e luminoso.
Particolare cura va posta poi nell'individuazione
del punto di riferimento delle misure, che deve
essere segnalato insieme alle misure per rendere
ripetibili nel tempo queste stesse. Il punto di
riferimento è deciso al termine della
realizzazione del piezometro e viene solitamente
rilevato mediante battuta topografica, al fine di
assegnarne una quota precisa rispetto al livello
medio del mare. La quota della superficie
piezometrica è calcolata semplicemente
sottraendo il valore di soggiacenza misurato alla
quota di riferimento.
La misura di soggiacenza è fatta all’inizio delle operazioni di campionamento e cioè prima dello
spurgo, che potrebbe deprimere il livello libero dell’acqua nel pozzo. Altre misure sono fatte in
continuo durante lo spurgo, per verificare che gli abbassamenti non siano troppo elevati. Tra un pozzo
e l’altro conviene fare una pulizia accurata per evitare contaminazione incrociata.
Le misure possono essere fatte anche tramite dei trasduttori pneumatici, elettrici o a pressione che
consentono delle misure in continuo alla profondità prefissata.
Completate le misure eseguibili direttamente all'interno del pozzo, si procede al campionamento delle
acque, che può essere effettuato con diversi strumenti. Non esiste il sistema perfetto di
campionamento, ma l'operatore deve scegliere la metodologia più adatta alla situazione
idrogeologica ed idrochimica che si trova ad affrontare. Queste scelte sono effettuate in sede
progettuale, ma possono subire variazioni legate al particolare contesto. L'elemento maggiormente
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discriminante è il tipo di contaminante che ci si aspetta di campionare nelle acque di falda, in quanto
ogni categoria di sostanza impone la modalità di campionamento. Diversi strumenti sono disponibili
in commercio per campionare le acque da un pozzo:
Le più usate sono le prime perché consentono comodi campionamenti anche a notevoli profondità;
invece, le pompe peristaltiche non sollevano l’acqua oltre i 10 m poiché funzionano applicando un
vuoto all’interno di una piccola tubazione immersa nel pozzo. Infine, i campionatori di tipo bailer,
sono poco usati se non per verificare la presenza di contaminanti surnatanti e quindi per campionarli.
Le pompe possono essere di diverso tipo come a suzione o a pressione positiva e possono lavorare
con delle giranti.
L'acqua che ristagna all'interno di un pozzo non si trova esattamente nelle condizioni naturali che
sussistono all'interno dell'acquifero, a causa del contatto con l'aria atmosferica, della possibilità di
sviluppo di colonie microbiche, del contatto prolungato con le tubazioni e i materiali filtranti del
pozzo e della possibilità di infiltrazioni dalla superficie.
È necessario pertanto eliminare quest'acqua stagnante dai pozzi e far entrare l'acqua dalla porzione di
acquifero circostante, acqua che non abbia subito alterazioni di tipo idrochimico. Questa operazione,
detta "spurgo“, è tradizionalmente effettuata calando una pompa sommergibile all'interno ed
estraendo un volume d'acqua pari a 3-5 volte la quantità d'acqua contenuta nel tubo di rivestimento
del pozzo.
I parametri che maggiormente possono influenzare il volume di spurgo sono: le eterogeneità
geologiche, il chimismo dell'acqua, la portata di pompaggio, le dimensioni del pozzo e dello
strumento di campionamento/spurgo, l'impiego di strumenti dedicati o trasportabili.
Per uno spurgo a bassa portata si consiglia una comune elettropompa sommersa di piccolo diamtro,
dotata di stabilizzatore di frequenza in grado di controllare la rotazione delle giranti e quindi il flusso
idrico.
Esiste anche una modalità ossia la “low-flow purging” che implica uno spurgo a bassa portata
inferiore a 300-500 mL/min il cui principio su cui si basa è che se si campiona esattamente alla
155
profondità a cui si vuole prelevare, a una bassa portata → si preleva acqua alla stessa portata con cui
l’acqua sta attraversando a quella data profondità il piezometro.
È dimostrato che i volumi di acqua siano indipendenti dalla dimensione e capacità del pozzo. Flussi
a bassa portata non disturbano la zona di campionamento e non generano la sospensione delle
particelle più fini che si accumulano dentro al pozzo.
Le particelle sospese possono costringere a spurghi molto lunghi fino alla completa chiarificazione
dell’acqua emunta. La loro presenza nel campione può interferire parecchio con le successive
procedure analitiche o contribuire all’aumento del contenuto di contaminanto che creano complessi
o si legano alle particelle colloidali.
Le differenze tra il metodo tradizionale e lo spurgo cosiddetto a bassa portata sono relative al flusso
di pompaggio e ai criteri utilizzati per decidere quando lo spurgo è completato. All'intorno di un
pozzo o entro un acquifero si ha una possibile zonazione del chimismo e di conseguenza l'impiego di
portate elevate o troppo prolungate causa la perdita di un segnale a piccola distanza o la miscelazione
dei contributi dalle diverse zone.
Il metodo di spurgo e campionamento utilizza flussi ridotti allo scopo di minimizzare le variazioni
chimiche ed idrogeologiche nel ed intorno al pozzo: si deve cioè campionare l'acqua in modo
passivo, evitando di generare nell'acquifero flussi di velocità superiori a quella naturale e comunque
si sfrutta il principio per cui in corrispondenza dei pozzi e dei tratti filtranti, l'acqua defluisce a
velocità costante attraverso tali tratti. Questo obiettivo è perseguito mantenendo costante il livello
dell'acqua all'interno del pozzo, cioè conservando abbassamenti nulli o quasi. Il completamento dello
spurgo è inoltre valutato sulla base di criteri chimici specifici per il sito, anziché sulla base di un
numero fisso di volumi d'acqua pompati.
In teoria misura della concentrazione di un contaminante nel tempo durante il pompaggio, per
determinare quando la sua concentrazione si sia stabilizzata. Questo approccio risulta poco pratico e
non percorribile. Numerosi studi hanno indicato la correlazione di alcuni parametri indice rispetto
alle differenti classi di contaminanti.
L'approccio raccomandato è quello di prolungare lo spurgo fino a stabilizzazione di:
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Tali parametri possono essere fortemente influenzati dalle tecniche di campionamento adottate e le
variazioni di un parametro possono far variare anche altri parametri. I parametri come il pH e la
temperatura, le cui misure sono molto utili, sono peraltro poco sensibili come indicatori delle
condizioni di spurgo.
Uno dei criteri suggeriti è la stabilizzazione lungo tre letture consecutive prese a tre minuti l'una
dall'altra della torbidità e dell'ossigeno disciolto (con variazioni relative del 10%), quando la portata
è compresa tra 100 e 500 ml/min.
In aggiunta è opportuno misurare a intervalli regolari e registrare la variazione di profondità della
tavola d'acqua, in modo da regolare di conseguenza le portate di emungimento.
Il termine inglese low-flow purging si riferisce alla velocità d'ingresso dell'acqua nella pompa
all'interno del pozzo e quindi alla risultante velocità indotta sull'acqua di formazione che entra
attraverso i filtri. Non si riferisce cioè al flusso in superficie, che può essere manipolato a piacere
restringendo o allargando il foro di uscita dell'acqua.
I parametri da stabilizzare sono gli stessi anche nel caso di un campionamento con bailer. Un bailer
se deve essere usato per fase di spurgo deve essere calato più volte nel foro e con sollevamento e
svuotamento. È evidente che svuotare 3-5 volumi del pozzo, se il materiale è abbastanza permeabile,
è difficile con il bailer. Anche in questo caso, si deve verificare la stabilizzazione di alcuni parametri
tra cui la conducibilità specifica e almeno altri due (T e pH, ossigeo disciolto e torbidità, Eh).
Nel caso dei LNAPL, il pennacchio tende a galleggiare sulla superficie freatica e/o sulla frangia
capillare e a non miscelarsi, eccetto per alcune sostanze miscibili presenti, e quindi se la pompa va a
campionare dalle porzioni inferiori, è facile che si ottengano risultati nulli e poco realistici. È proprio
157
questo il caso tipico di utilizzo del bailer per il campionamento, il quale, se immerso con attenzione,
riesce a catturare anche la porzione immiscibile presente all'interno del pozzo sopra il pelo libero
dell'acqua. Per molti scopi di campionamento è di solito accettata una lunghezza dei tratti filtranti
relativamente piccola.
Un'altra possibilità è invece offerta dall'utilizzo di campionatori multi-livello, in grado di prelevare
distinte porzioni di acqua all'interno della tubazione.
E’ evidente che lo spurgo non può e non deve proseguire a oltranza, poichè si corre il rischio di
captare acque provenienti da porzioni molto lontane dell'acquifero, soprattutto con spurghi di tipo
tradizionale. Per esempio, quando si sta definendo l'estensione di un pennacchio di contaminazione
vicino alla zona di sorgente è molto rischioso prolungare le operazioni di spurgo, perché si può diluire
la concentrazione di sostanza da rilevare e al limite si può contribuire all'espansione del pennacchio
stesso o alla sua deviazione verso terreni originariamente incontaminati.
Naturalmente l'utilizzo di sistemi di spurgo e campionamento fissi all'interno di un pozzo
consentirebbe di minimizzare la sospensione di particelle e il disturbo arrecato alla zona di acquifero
campionato, permettendo operazioni di spurgo ben più rapide e campionamenti più rappresentativi.
- campioni hanno bassi livelli di torbidità e sono rappresentativi della parte mobile del
contaminante presente (disciolto o legato ai colloidi);
- i punti di monitoraggio subiscono un disturbo minimo a differenza di quanto accade con
spurghi a elavata portata e volumetria o con impiego di bailer;
- al terreno circostante non sono applicati disturbi o sollecitazioni significativi (l'abbassamento
nel pozzo è minimo o nullo o comunque contenuto al di sopra dei tratti filtranti);
- si genera minore miscelazione dell'acqua stagnante nella tubazione, o meglio nei tratti non
filtranti, con l'acqua dell'acquifero o posta in corrispondenza dei tratti filtranti;
- si riduce la necessità di filtrare i campioni, con conseguente eliminazione di parte delle
particelle colloidali presenti;
- i volumi di acqua spurgata e campionata sono ridotti al minimo e quindi sono minori o assenti
i costi di smaltimento;
- la qualità complessiva dei campioni è tale da diminuire la necessità di prelievo di ulteriori
campioni per la valutazione di risultati problematici.
158
Gli Svantaggi, invece, dello spurgo a bassa portata sono:
In rocce fratturate bisognerebbe evitare lo spurgo o al massimo di eseguire uno spurgo a bassa
portata, attraverso un uso congiunto di packer per consentire l'isolamento idraulico della zona di
campionamento entro il pozzo. In tali casi si ha un deflusso concentrato lungo le fratture e solo alcune
delle fratture possono per esempio portare acqua o far defluire del contaminante, o in particolare
alcune fratture possono drenare determinati settori di un ammasso mentre altre operano su settori
completamente differenti nonostante l'apparente prossimità. Di conseguenza si rende necessaria
inizialmente un'indagine riguardo l'individuazione e la valutazione delle portate in corrispondenza di
tali fratture più conduttive. E' importante poi notare che il prelievo di grandi volumi da ammassi
rocciosi implica lo svuotamento di fratture per distanze molto elevate dall'asse del pozzo stesso e
quindi la variazione di caratteristiche chimiche nonché la mediazione di concentrazioni di
contaminanti.
159
Video 34: modalità e procedure si campionamento. Materiali, contenitori,
filtrazione, trasporto facilitato, conservazione e tipologia di campioni blind
Una volta terminata la fase di spurgo, se ritenuta necessaria, si procede con il campionamento vero
e proprio, cioè il prelievo di una quantità sufficiente di acqua da introdurre in apposito contenitore
sigillato per l’invio al lab di analisi. Questa è una delle fasi più delicate durante la quale si possono
commettere gli errori più grossolani, come ad es. scambi di campione, contaminazioni incrociate e
cattiva conservazione dell’acqua. Questi errori possono annullare sforzi progettuali e realizzativi della
rete di monitoraggio. Si consiglia di seguire il protocollo previsto facendo attenzione a tutti gli step.
La quantità di acqua da campionare è variabile e strettamente legata al tipo di analisi che si vuole
fare.
Vi è la possibilità di impiego di diverse strumentazioni e i loro vantaggi o meno. Nella tabella sotto
vi è una rappresentazione del volume necessario al fine di fare l’analisi tramite diverse tecniche di
analisi chimica di laboratorio, quali composti individuano e quali contenitori sono ideali (P sta per
plastica e V sta per vetro).
Altra prassi dettata dall'esperienza è quella di prendere, se possibile, un campione in più del
necessario, poiché non è infrequente che si debbano ripetere delle analisi o che un campione inviato
al laboratorio venga perso. È' chiaro che tanto minore sarà la quantità di campione da prendere e
meglio sarà per la durata complessiva del campionamento e per la rappresentatività del campione
stesso. Prolungare eccessivamente il pompaggio da un pozzo può generare fenomeni consistenti di
miscelazione tra le acque rappresentative di una certa porzione di acquifero e quelle circostanti con
conseguente mediazione dei valori delle proprietà da misurare. Ridotti volumi campionati vogliono
160
inoltre dire minori tempi di esecuzione, risparmio sui contenitori e le spedizioni, minori quantitativi
di rifiuto da smaltire per il laboratorio. Le recenti tecniche analitiche spingono quindi nella direzione
della diminuzione dei volumi campionati: per esempio 50-100 mL sono sufficienti per un'analisi
completa sui metalli, mentre per i composti organici bastano 5 mL.
I Contenitori comunemente usati per conservare i campioni sono le bottiglie (di varia capacità a
secondo delle esigenze), in vetro o in plastica, con tappo ermetico a vite.
Sebbene la plastica possa essere considerata adatta alle analisi di molti inorganici, si preferisce
tuttavia utilizzare esclusivamente bottiglie in vetro di colore scuro, per quanto la loro robustezza sia
inferiore. Esse riducono al minimo la possibilità di scambi gassosi con l'atmosfera che potrebbero
condurre alla degradazione di composti sensibili. Le bottiglie vengono riempite direttamente con
l'acqua proveniente dal pozzo attraverso la pompa, inserendo la tubazione terminale al fondo delle
stesse: è meglio fare in modo che l'acqua fuoriesca dalla bottiglia quando questa è piena, in modo da
non lasciare parti libere ed evitando però il gorgogliamento di bolle che possono far volatilizzare i
contaminanti. Le bottiglie sono nuove e monouso, ma conviene effettuare alcuni risciacqui con la
stessa acqua di campionamento prima del loro riempimento.
Nel caso di campionamento con il bailer, l'acqua è versata direttamente dal fondo dello strumento
nella bottiglia, inserendo una cannula di dimensioni adeguate. È infatti facile che il campione venga
a contatto con l'atmosfera e che si liberino i composti volatili durante il travaso. È questa forse la
maggiore limitazione del campionatore bailer oltre alla forte miscelazione indotta dal suo inserimento
all'interno del fluido da campionare.
161
Talvolta, prima dell’imbottigliamento, si procede alla filtrazione dell’acqua al fine di ridurre la
torbidità che potrebbe alterare le analisi e diminuirne la rappresentatività. Il metodo più comune è
quello di far filtrare l’acqua attraverso una membrana porosa con apertura pari a 0.45 micrometri.
Tale procedura è consigliata per la ricera degli ioni maggiori e dei metalli in traccia, necessari alla
caratterizzazione idrogeochimica di un acquifero.
Negli altri casi, invece, è preferibile tralasciare la fase di filtrazione, che introduce la possibilità di
variazioni nella composizione chimica e nel caso fosse necessario è preferibile l’uso di un filtro in
linea nella pompa.
Nel caso di torbidità elevata si può ricorrere anche ad un prefiltro, perché l’eccessivo accumulo di
particelle sul filtro ne riduce l’efficienza.
La filtrazione può essere fatta con filtri in carta o a membrana in cui si spinge il campione ad attraverso
tale membrana. Questa operazione può essere fatta sia in lab sia in situ.
Normalmente per l'analisi dei contaminanti non si effettua la filtrazione del campione, in quanto
alcuni contaminanti (radionuclidi: Pu, Am, U, Co, Sr, Cs, metalli: Pb, Cu, Cr(VI), As, composti
organici non miscibili a elevato peso molecolare: idrocarburi PAH, bifenili policlorurati, pesticidi,
etc.) possono viaggiare preferibilmente trasportati da particelle colloidali, e se la torbidità è elevata è
meglio prolungare lo spurgo fino a stabilizzazione degli indicatori prescelti.
Per operare comunque una scelta ragionata è indispensabile verificare: l'adeguatezza di un criterio di
spurgo del pozzo; distinguere o verificare la possibilità di avere contaminanti disciolti o legati a
colloidi; distinguere o verificare l'esistenza o possibilità di colloidi a elevata mobilità o di colloidi
dovuti a artefatti; identificare i siti in cui è effettivamente possibile un trasporto facilitato dalla
presenza di sostanze colloidali.
È anche necessario informarsi sulle pratiche di laboratorio prima delle analisi: se il campione deve
essere filtrato in laboratorio, allora è meglio che tale operazione sia fatta sul campo. In ogni caso, non
si deve pensare alla filtrazione come rimedio per le cattive tecniche di realizzazione del piezometro,
o per le scarse procedure e modalità di spurgo e campionamento.
È buona regola annotare sul campo, entro apposito modulo, tutti i dettagli della modalità di spurgo e
campionamento, le misure effettuate in sito, le condizioni ambientali, la data, il nome degli operatori
e quant'altro possa tornare utile per l'interpretazione dei risultati.
162
possono essere trasportate nella fase acquosa. Per colloidi si intendono in genere particelle solide
molto piccole e con diametro inferiore ai 10 micrometri.
Molti contaminanti che in genere sono considerati fortemente ritardati a causa della loro interazione
con il materiale solido dell’acquifero, hanno una notevole affinità col materiale colloidale che può
essere mobile; di conseguenza vari modelli attualmente in uso possono sottostimare fortemente la
mobilità delle sostanze organiche contaminanti.
Un colloide è una sostanza che si trova in uno stato finemente disperso, intermedio tra la soluzione
omogenea e la sospensione eterogenea. Questo stato "microeterogeneo" consiste quindi di due fasi:
una sostanza di dimensioni microscopiche dispersa in una fase continua.
La differenza con una semplice soluzione consiste nel fatto che la soluzione è un sistema omogeneo
contenente ioni o molecole di soluto disperse in un solvente libere di muoversi le une rispetto alle
altre; risultano limpide, sottostanno alle leggi dell’ebulloscopia e crioscopia, ed hanno tensione di
vapore e pressione osmotica regolari.
I sistemi colloidali, invece, si presentano torbidi, non seguono le precedenti leggi e presentano
tensioni di vapore e pressione osmotica non regolari. Molte sostanze a noi familiari sono colloidi,
come per esempio il burro, la maionese, l’asfalto, la colla, la nebbia ed il fumo.
Le acque sotterranee contengono in genere pochi mg/L di materia organica disciolta, ma tale materia
può raggiungere livelli notevoli, fino ad alcune centinaia di mg/L, in acque superficiali e acque
sotterranee in prossimità di discariche, etc.
La natura dell’interazione può essere diversa, infatti esistono: organici e inorganici. I contaminanti
con cui può avvenire la reazione possono essere: Composti Organici, Metalli e Radionuclidi.
Una volta sigillata la bottiglia o il contenitore impiegato, è necessario apporre un'etichetta con
riportate le seguenti informazioni: data, località, cantiere, nome o numero di riferimento del pozzo o
del piezometro, profondità di campionamento, nome dell'operatore, nome del cliente, ecc. Queste
sono delle informazioni indispensabili al riconoscimento del campione in laboratorio, mentre gli
operatori addetti alle analisi saranno informati sul tipo di parametri da ricercare e sull'urgenza o meno
dei risultati.
Altro fattore importante per la conservazione del campione è il mantenimento della temperatura
adeguata, per tutto il tempo che intercorre tra il campionamento e l'analisi: una temperatura costante
di 4°C preserva i composti organici dalla degradazione, mentre può provocare la precipitazione dei
164
metalli. Per analisi di parametri molto sensibili è preferibile comunque mantenere il campione alla
temperatura cui si trovava naturalmente in sito.
Di norma le bottiglie di vetro chiuse ed etichettate vengono imballate e riposte in borse termiche, che
possono essere spedite immediatamente al laboratorio.
I campioni d'acqua hanno una durata relativa allo stato di conservazione ed al tipo di contaminante
che contengono; la durata standard non supera comunque i 14 giorni. E' quindi prassi inviare quanto
prima al laboratorio le acque da sottoporre ad analisi.
Si fa notare che comunque il metodo migliore per evitare problemi durante la conservazione e il
trasporto è la realizzazione di analisi chimiche direttamente sul campo, secondo gli standard di qualità
previsti.
165
Il pericolo di contaminazioni incrociate sussiste anche in laboratorio durante la preparazione dei
campioni per le analisi richieste. E' quindi preferibile fare eseguire tali analisi ai laboratori certificati
e affidabili, che mantengano elevati standard di qualità. Una possibilità per verificare l'attendibilità
dei dati è quella di far analizzare campioni già analizzati o "di bianco", cioè notoriamente privi di
contaminazione o con contaminazione nota per alcune sostanze tipo.
Ci sono dei campioni che possono essere preparati, gestiti e analizzati al solo fine della stima della
qualità della campagna di campionamento e di analisi.
La prima categoria è quella dei campioni detti di “Double-Blind” cioè quelli di valutazione del sito,
che hanno una concentrazione nota e che sono soggeti alla stessa serie di manipolazione di campioni
e vanno analizzati il prima possibile dalla fase di inizio delle indagini in sito; essi servono per la
valutazione dello scarto e della precisione delle misure. Poi vi sono i campioni di basso livello di
valutazione del sito che sono simili ai precedenti ma con assenza totale o circa totale di contaminanti;
essi sono utili per verificare la contaminazione nelle fasi di raccolta del campione, trasporto e analisi
oppure anche per determinare il limite di rilevabilità del sistema. Poi vi sono i campioni per la
valutazione esterna in laboratorio che sono simili a quelli di campagna solo che vengono
direttamente inviati al laboratorio senza andare soggetti a manipolazione in campagna; essi
consentono di valutare lo scarto e precisione se usati con dei duplicati. Poi vi sono i campioni di basso
livello di valutazione in laboratorio che sono simili a quelli del sito ma non assogettati a
manipolazioni in campagna; essi sono utili alla determinazione dei limiti di rilevabilità e alla presenza
o assenza di contaminazioni di laboratorio.
Dopodichè vi è il campione contaminato ossia preparato con una quantità nota del contaminante di
interesse nel sito di studio. Poi vi è quello duplicato ossia un campione aggiuntivo preso in prossimità
del campione di campagna per determinare la variabilità delle misure. Infine, si ha la quartatura o
sottocampionamento ossia che dopo omogenizzazione si preleva un sottocampione per prove di
routine di laboratorio; essa consente di valutare la variabilità dell'errore a causa del sotto
campionamento e di operazioni ad esso successive.
La seconda categoria è rappresentata dai campioni detti di “Single-Blind” cioè quelli di bianco di
campagna per lavaggio che è diverso da quelli di bianco di sito e in genere è ottenuto prendendo
dell’acqua distillata che è fatta passare attraverso tutte le strumentazioni di campionamento in modo
da verificare quale sia la contaminazione residua per acqua che passi attraverso questi elementi. Poi
si possono avere quelli di bianco per lavaggio di preparazione e quindi a seguito del lavaggio con
166
acqua distillata attraverso la parte di apparecchiatura usata per preparare il campione che prima è
lavato per decontaminazione. Infine, si ha un bianco di escursione di campagna che sono usati in
presenza di sostanze organiche volatili al fine di valutare la possibilità che ci siano delle
contaminazioni durante le fasi di trasporto.
La terza categoria è rappresentata dai campioni detti di “Non Blind” ossia i campioni split cioè
campioni identici che possono essere dati a diverse parti coinvolte in contenziosi per valutare la
variabilità della misura e per misurare eventuali errori di analisi. Poi vi sono i campioni segnati che
sono preparati con delle sostanze di riferimento a C nota e possono essere separati tra loro in modo
da essere mandati a diversi lab. Il campione di Bianco è quello che dà una misura di tutte le possibili
sorgenti di contaminazione incrociata nonché dei valori di fondo di reagenti o altri elementi presenti
nel sistema e possono anche servire per verificare l’efficienza della decontaminazione. Infine, vi sono
dei campioni di Batch che sono dei campioni prelevati, spediti e analizzati in condizioni simili.
I risultati della analisi chimiche forniti dal laboratorio, corredati da unità di misura, limite analitico e
metodo utilizzato, sono solitamente sottoposti ad una valutazione critica, per identificare i falsi
(negativi o positivi) o gli errori di trascrizione del dato o di battitura al calcolatore. Questo processo
di validazione dei dati è compito specifico del geologo che ha progettato e condotto il
campionamento. Il geologo deve infatti, sulla base dei dati bibliografici, dei valori pregressi e di
considerazioni specifiche per il sito in esame, valutare la bontà e l'accuratezza del dato ricevuto dal
laboratorio.
Una buona dose di senso critico salva sempre dal prendere clamorosi abbagli, rifacendo piuttosto
eseguire certe indagini che offrono risultati strani. Se il laboratorio conferma il risultato dell'analisi,
perché ha rieseguito l'analisi o perché ne ha controllato l'esecuzione e garantito l'accuratezza, il
geologo si deve interrogare sulle procedure di campionamento e sul sistema fisico e geologico che
sta indagando. I risultati imprevisti non devono spaventare, ma devono suscitare una serie di domande
sui fenomeni in atto e sulle loro modalità di sviluppo.
Anche l'Ente Pubblico che riveste solitamente la funzione di controllo e certificazione per le situazioni
di contaminazione si dimostra spesso conciliante verso situazioni di anomalia che possano in qualche
modo essere spiegate e chiarite. Non basta cioè un unico dato di concentrazione oltre i limiti di legge
per imporre una bonifica o invalidarne l'efficacia. L'approccio più intelligente in casi controversi e di
dubbia interpretazione è quello di estendere il campo d'indagine e effettuare nuovi campionamenti e
analisi (per quanto questo faccia lievitare i costi annessi.
167
Particolarmente utili nella valutazione dei dati chimici ottenuti da una sessione di campionamento
sono le rappresentazioni planimetriche, in sezione o tridimensionali delle concentrazioni o delle
misure ottenute. Tale compito è facilitato dall'applicazione di appositi codici di calcolo con
elaborazione geostatistica dei dati, comunemente in commercio. Queste elaborazioni pongono in
evidenza i dati meno correlati con quelli circostanti, che sono solitamente legati ad interventi
artificiali o errori di campionamento e analisi.
Quando si progetta e realizza una rete di monitoraggio a fini ambientali, si stende anche un
programma previsto per le varie sessioni di monitoraggio. Queste possono essere molto varie, a
secondo della distanza nel tempo e del tipo di parametri analizzati.
Non è necessario analizzare gli stessi parametri per ogni sessione di monitoraggio: di solito, dopo un
primo screening completo sulla qualità delle acque, si tende ad ottimizzare i campionamenti in
funzione della gravità della situazione rilevata, dilatando l'intervallo tra una sessione e la successiva
per quei parametri che rientrano nelle norme di legge, o che non appaiono critici per la situazione
ambientale. Per esempio, effettuata la prima sessione ed individuato il principale problema nella
contaminazione da TCE, si può decidere per un campionamento mensile delle acque per l'analisi di
questa ed uno bimestrale o trimestrale per altri solventi clorurati o contaminanti organici correlabili.
Ogni volta saranno comunque misurate le quote della superficie freatica, al fine di conoscere con
precisione la direzione di flusso nel tempo.
168
Video 35: misura dello spessore di LNAPL e DNAPL, test di aggottamento, soil
gas survey, tecniche e vantaggi, svantaggi, campionamento attivo dei gas
interstiziali
Per le fasi NAPL avremo dei comportamenti particolari. Le misure di spessore dei NAPL nei pozzi
di monitoraggio possono essere inficiate dalle caratteristiche stesse delle sostanze coinvolte e
soprattutto dalla loro densità (in quanto alcune galleggiano altre sprofondano). In particolare, è
normale che lo spessore di tali sostanze entro il pozzo di monitoraggio non corrisponda quasi
mai con quello reale entro la formazione acquifera o circostante. La caratterizzazione dei NAPL
richiede quindi un approccio diverso e particolare rispetto a quanto si fa per le acque sotterranee.
Erronee valutazioni dello spessore dei contaminanti si ripercuotono in modo estremamente oneroso
sulle stime dei volumi di contaminante presenti nel terreno e in falda e di conseguenza sulla
progettazione, dimensionamento e realizzazione di impianti di bonifica nonché sui costi e i tempi
previsti per il completamento delle bonifiche stesse.
Le modalità di valutazione sono interessanti in quanto sono estremamente difficili e quindi in alcuni
casi ci si basa o su delle strumentazioni adatte al luogo oppure bisogna approffitare di tecniche
semplificate e di prove e misure.
Per i LNAPL il problema è che abbiamo come punto di monitoraggio un piezometro o un pozzo che
ha una certa dimensione e che si differenzia molto dal comportamento del terreno nella zona in cui
LNAPL va a mettersi; ossia in un mezzo poroso LNAPL risente della presenza possibile di una frangia
capillare o dell’umidità che va via via aumentando in prossimità della superficie della tavola d’acqua.
Quindi, quando LNAPL tende ad arrivare là, rimane in galleggiamento sulla frangia capillare.
Assumendo l’esistenza di una frangia capillare, andiamo ad inserire un pozzo all’interno della
sequenza e nella zona → (altezza frangia
capillare + fase libera NAPL + movimento
napl e/o risalita dell’NAPL all’interno del
terreno: segmento rosso) non avremo
LNAPL. Quello che accade è che per fare
l’analisi del LNAPL abbiamo bisogo di un
tratto filtrante che arrivi sino in prossimità
del top della zona di contaminazione,
quando apriamo manca la capillarità e si avrà che LNAPL fluirà al’interno del foro di sondaggio e
riempirà piano piano l’intero spessore sino a raggiungere la quota di quiete ossia quella
169
corrispondente al livello dello spessore saturo del LNAPL esterno al sondaggio. Se noi facciamo una
misura in questo istante, otteremo che lo spessore è maggiore di quello reale e varia da 2 a 10 volte
quello reale.
Al fine di poter valutare in modo approssimato, ma più corretto, lo spessore del contaminante sono
state proposte diverse relazioni empiriche e diverse tecniche di misura da svolgere in sito. Tali
tecniche implicano la realizzazione di pozzi con filtri all’altezza della superficie di falda e tenendo
conto delle possibili oscillazioni della stessa, la realizzazione di pozzi con materiale inerte e la misura
dello spessore del liquido in modo che sia rappresentativo dello spessore reale entro la formazione.
Assumendo la presenza della fase libera, l’approccio di massima può essere quello di considerare la
C di saturazione oltre cui si ha il composto in fase libera. il calcolo della C sat è fattibile attraverso la
seguente relazione →
Tra le diverse possibilità di misura dello spessore del prodotto flottante (o surnatante) si possono
usare come prima soluzione delle sonde di interfaccia che consentono una precisione inferiore ai 2
mm.
Per la misura dello spessore reale del NAPL è stato proposto il Baildown Test o test di aggottamento
che è applicabile in siti dove l’interfaccia idrocarburi/acqua è al di sotto della superficie di falda e nel
caso in cui la ricarica di idrocarburi in pozzo sia lenta.
Le fasi della procedura del test sono 6:
1. in condizioni statiche si effettuano le misure nel pozzo e si calcola il livello di falda corretto
attraverso le relazioni teoriche;
2. si prelevano o aggottano rapidamente gli idrocarburi dal pozzo;
3. si effettuano nuovamente le misure nel pozzo e se lo spessore degli idrocarburi in fase libera
è accettabile, ossia compreso tra i 3 e i 30 cm, si calcola la quota della superficie di falda: la
posizione della superficie di falda misurata in questo modo deve essere entro 1.5 mm dal
valore calcolato nella prima fase; nel caso ciò sia vero si passa alla fase successiva altrimenti
si ripete quella precedente e questa stessa fase;
4. misura della posizione della superficie della fase libera del LNAPL in tempi successivi
finchè il valore si stabilizza;
170
5. si diagrammano i valori ottenuti dalle misure precedenti della superficie della fase libera
rispetto al tempo passato dalla fine del prelievo degli idrocarburi;
6. lo spessore reale Hf del livello di LNAPL entro il sottosuolo, è dato dalla differenza tra il
valore corrispondente al punto di inflessione e il massimo raggiunto in condizioni
statiche.
Quindi quello che facciamo in pratica è: calare il bailer in foro e svuotiamo fisicamente il volume
fucsia della figura sopra, porto fuori il bailer e faccio una misura della posizione del livello della
frangia capillare/zona satura. A questo punto l’LNAPL dai fianchi fucsia inizierà a scendere nella
parte svuotata prima più velocemente e poi più lentamente. Misuriamo la risalita del LNAPL con
sondino apposito.
Si osserva nel tempo un recupero fino a raggiungere la quota iniziale. Noi avremo una serie di dati
come nel diagramma sopra. In figura si osserva una fase di recupero rapido in un tempo ristretto in
cui la colonna si ristabilizza almeno sino a tale quota (punto di flesso); da lì in poi, la velocità di
risalita decresce per il ridursi delle differenza tra interno ed esterno del pozzo e a questo punto
prenderemo il punto di flesso e la differenza tra il valore finale a stabilizzazione e questo valore che
consideriamo come l’attimo in cui si arriva in corrispondenza di tale quota ossia il top della frangia
capillare → ciò rappresenterà Hf ossia lo spessore di LNAPL.
Quello che si può fare, è ripetere il test di aggottamento per verificare se è stabile nel tempo oppure
se nel corso del tempo, di lungo periodo vi sono delle variazioni.
171
I liquidi immiscibili a densità maggiore dell’acqua ossia i DNAPL presentano problematiche simili
alle precedenti.
La lunghezza eccessiva del tratto filtrante e le caratteristiche fisiche dei composti possono dare errori
notevoli nella valutazione della quantità di contaminante presente e della sua posizione in acquifero.
I DNAPL che entrano nell’acquifero da quote maggiori rispetto alla quota dell'acquifero possono
entrare nel pozzo di monitoraggio tramite il tratto filtrante e defluire fino al fondo del pozzo e da
questo possono eventualmente uscirne nuovamente. In questo caso il pozzo funziona quindi come un
condotto a elevata permeabilità e il posizionamento corretto dei DNAPL entro l’acquifero è possibile
solo attraverso una fitta rete di punti di misura e una attenta ricostruzione della stratigrafia e
morfologia del tetto del substrato impermeabile.
Se si immagina quindi la tipologia di problemi connessi al riconoscimento dello spessore reale della
zona occupata da LNAPL e DNAPL risulta importante dire che l’esame accurato di campioni
prelevati o di misure dirette per esempio con tecniche direct push, possono essere di maggiore aiuto
alla determinazione degli spessori e delle masse reali.
172
Esistono poi dei metodi indiretti per l’individuazione di contaminazioni volatili. Tali metodi sono
rapidi e poco costosi e come tali sono usati spesso nelle fasi preliminari di studi di contaminazione.
Tali metodi si basano su alcuni principi fondamentali che sfruttano degli effetti secondari della
contaminazione ossia la volatilizzazione di composti organici e la variazione delle proprietà
elettriche dei materiali.
È possibile quindi fare una misura dei Gas Interstiziali ossia dei gas presenti nei pori del terreno. In
generale, questa tecnica ha alcuni vantaggi che sono:
Gli svantaggi, invece, connessi all’uso di tale tecnica possono essere sintetizzati come segue:
Il rilievo di gas interstiziali (o Soil Gas Survey) è un metodo indiretto per la verifica della
contaminazione dei terreni e delle falde e include la raccolta, analisi e interpretazione dei dati
riguardanti i gas interstiziali contenenti in un terreno. Tale tecnica consente di avere una stima per la
173
valutazione della presenza, composizione, ubicazione della sorgente e distribuzione dei contaminanti.
Il rilievo dei gas interstiziali puà essere impiegato per avere dei dati di campagna in modo rapido ed
economico e allo stesso tempo per indirizzare una campagna di indagini invasive. Allo stesso tempo
i rilievi dei gas si rilevano indispensabili per valutare la presenza di perdite da serbatoi interrati, per
valutare l’efficacia dei sistemi di bonifica e per valutare le modalità di migrazione di vapori verso ed
entro edifici per valutazioni del rischio.
- attivo, in cui un volume di gas interstiziale è estratto dalla zona vadosa e introdotto
direttamente in uno strumento di campionamento per eseguire un’analisi di laboratorio. Sono
di rapida esecuzione e sono per lo più adottati per i composti organici volatili (VOC);
- passivo, in cui un materiale assorbente è lasciato in posto nel terreno in modo tale che i vapori
del contaminante possano essere selettivamente adsorbiti nel tempo impiegando il flusso
naturale del gas interstiziale. Necessitano di alcuni giorni per essere completati e sono molto
utili nel caso di presenza di composti organici semivolatili (SVOC) o qualora le caratteristiche
dei terreni non consentano un sufficiente deflusso, forzato, dell’aria durante il campionamento
attivo;
- campionamento del terreno e strazione dei composti volatili.
La conoscenza e comprensione dei parametri che controllano la migrazione dei contaminanti nella
zona non satura è fondamentale per poi poter di volta in volta valutare l’applicabilità del metodo di
rilievo dei gas interstiziali.
Tra i parametri che controllano maggiormente l’applicabilità del metodo vi sono:
174
Le proprietà chimiche e fisiche delle sostanze contaminanti controllano direttamente la volatilità
delle stess soprattutto se si pensa che molti di esse sono miscele di molti composti con diverso
comportamento.
La volatilità di un composto in soluzione è descrivibile tramite la legge di Henry, mentre per quelli
in fase libera dalla legge di Raoult.
La conoscenza della pressione di vapore (ossia la tendenza di una sostanza a evaporare) è
determinante per poter sapere se una sostanza potrà essere rilevata in fase gassosa. In genere, si
assume che pressioni di vapore > 0.5 mm Hg siano rilevabili con tecniche di tipo attivo, mentre per
valori inferiori è possibile solo per elevate concentrazioni e particolari condizioni geologiche locali.
Per esempio, nelle benzine si hanno in genere contenuti di idrocarburi con pressione di vapore
sufficientemente elevata da poter essere rilevati direttamente con metodi attivi, mentre le benzine
avio, il gasolio e il kerosene contengono molti SVOC che possono essere campionati in modo attivo
solo per condizioni ottimali. I lubrificanti e gli olii esausti contengono in genere composti poco
volatili e quindi non possono essere rilevati con metodi di tipo attivo.
La legge di Henry regola la solubilità dei gas nei liquidi in assenza di reazioni chimiche e che dice:
“la quantità in massa di gas che si può sciogliere in un dato liquido, che sia chimicamente inerte
rispetto al gas considerato, è proporzionale alla pressione del gas a temperatura costante”. Essa
rappresenta una misura della tendenza di un composto a ripartirsi tra fase acquosa e vapore e quindi
può essere impiegata per valutare la possibilità di ritrovare nella fase vapore una sostanza disciolta in
acqua di falda o nell’umidità di un terreno.
La costante di Henry può essere per
esempio valutata dividendo la
concentrazione all’equilibrio di un
composto in aria con quella all’equilibrio in
acqua, per una determinata temperatura e
pressione. I composti con forte tendenza ad
esistere nella fase di vapore sono quelli con
valori della costante > 1 e viceversa per
quelli con tendenza a esistere in fase
acquosa. Il diagramma a lato ci dice che per
alcune sostanze si può usare il metodo attivo ossia per solubilità in acqua bassa, ma deve essere facile
la vaporizzazione della sostanza.
175
E’ interessante osservare per esempio che gli alcani (o paraffine) hanno valori della costante di Henry
fino a 2 ordini di grandezza superiore a quella degli aromatici (benzene, toluene). Infine, i composti
con costante di Henry > 0.1 sono rilevabili in modo attivo, posto che siano sufficienti le pressioni di
vapore e favorevoli le condizioni geologiche.
Le condizioni geologiche e geotecniche possono controllare il movimento di un gas nel terreno come
le proprietà dei materiali, la loro anisotropia ed eterogeneità e la presenza di fratture. La proprietà dei
materiali con maggior importanza è la permeabilità che è funzione della granulometria e del
contenuto di acqua. L’umidità infatti tende a far diminuire la permeabilità del terreno al gas poichè
l’acqua occupa parte dei pori. Un ulteriore problema è connesso alla variabilità stagionale e
geografica del contenuto d’acqua di un terreno che quindi impedisce di determinare a priori la
permeabilità effettiva all’aria.
Le eterogeneità e anisotropie presenti nei terreni a seguito delle modalità deposizionali o a eventuali
disturbi (fratture) sono degli ulteriori fattori di controllo sulla circolazione della fase vapore. In molti
casi è infatti possibile che esistano delle vie preferenziali di deflusso o delle barriere al deflusso. Allo
stesso tempo le caratteristiche mineralogiche dei terreni possono costituire una variabile di controllo
per esempio attraverso la capacità di adsorbimento di contaminanti da parte di minerali argillosi o di
sostanze organiche.
La biodegradazione delle sostanze volatili entro la zona insatura può diminuire la capacità di rilevare
le sostanze contaminanti eventualmente presenti nei gas interstiziali. Per esempio gli idrocarburi sono
biodegradabili attraverso la produzione di biossido di carbonio (CO2), idrogeno solforato (H2S),
metano (CH4) ed il consumo di ossigeno e di altre sostanze (accettori, es: nitrati, solfati, Ferro,
Manganese). La velocità di biodegradazione è controllata dalla presenza di accettori di elettroni, di
sostanze nutrienti, del tipo di contaminante e della temperatura. Di conseguenza il riconoscimento e
campionamento di tali prodotti dell’attività batterica può essere estremamente utile all’identificazione
di aree contaminate così come alla valutazione del loro stato di trasformazione, specie nel caso in cui
si voglia riconoscere la possibile contaminazione da parte di composti semivolatili e non volatili.
I metodi di campionamento attivo sono quelli che rilevano le C nella fase vapore di composti
estratte da piccole profondità tramite fori appositi. Le analisi sono condotte in sito in modo da poter
controllare e modificare l’eventuale proseguimento delle indagini. I campioni sono raccolti tramite
esecuzione di microperforazioni con aste cave spinte nel terreno con diverse tecniche (martinetti) e
attraverso l’aspirazione della fase gassosa per mezzo di tubi in materie plastiche e raccolta diretta in
176
contenitori. Quello che occorre è un tubicino (blu in figura) che
riporti in superficie ciò che entra attrverso i pori. Il tutto può essere
infisso nel terreno tramite punta conica. Il motivo per cui il diamentro
della punta conica è maggiore del tubo è dato dal fatto che così
quando è infissa genera un foro più grande del tubo stesso con 2
vantaggi: uno che il terreno potrebbe o rimanere staccato o tenderà a
chiudersi verso il tubo generando un contatto, ma sarà difficoltosa
far entrare particelle nei fori che sono protetti dall’interno per entrata
di solidi, ma non di gas e quindi si evita la possbilità di occluderli e
anche perché si evita che durante la fase di infissione questi fori
catturino particelle mentre scorrono in profondità.
L’inserimento può essere fatto a mano o tramite perforazione con martello a roto percussione che può
essere usato anche per rompere strati a resistenza maggiore. Quando si arriva alla profondità
necessaria, lo strumento ha un asta cava entro cui è messa la punta. Quando si arriva in profondità si
solleva leggeremente il tubo e scopro il tratto filtrante in modo che rimanga pulito. Poi possiamo
attaccare alla testa dell’asta un tubicino che potrà andare al gas detector.
Le punte possono essere a perdere o recuperabili in funzione della geometria con cui sono state
realizzate.
In alcuni casi si possono prelevare campioni di terreno racchiusi in contenitori. Essi sono poi
agitati per disaggregarli e la rilevazione delle sostanze presenti in fase vapore è eseguita prelevando
campioni dal recipiente stesso.
La disponibilità di strumenti analitici trasportabili consente di ottenere risultati significativi in sito
tramite PID (Photo-ionization-detector) adatto per i. aromatici, FID (Flame-ionization-detector) per
riconoscimento di diversi idrocarburi e IR (analizzatore ad infrarossi) che misura il contenuto in
ossigeno, CO2 e metano nei gas interstiziali.
In alcuni casi, ai fini del recupero della fase gassosa e/o per evitarne la perdita, è consigliabile
l’immersione del campione di terreno direttamente dentro un solvente (metanolo) poiché esso
preserva il campione abbassando la pressione di vapore parziale.
A seguito della loro rapida eseguibilità, della conseguente fitta copertura spaziale e temporale con cui
possono essere condotte tali prove, i campionamenti di tipo attivo possono essere impiegati per:
- identificare sversamenti;
177
- identificare aree sorgenti;
- identificare VOC nella zona vadosa;
- avere idea sul grado di contaminazione VOC e SVOC;
- valutare la distribuzione di SVOC e non volatili sulla base della distribuzione dei prodotti di
biodegradazione;
- ottimizzare il posizionamento, numero di sondaggi e pozzi;
- monitorare sorgenti di contaminazioni esterne;
- raccolta dati utili al dimensionamento e progettazone di sistemi di bonifica;
- valutazione del rischio per migrazione dei contaminanti entro edifici;
- monitorare nello spazio e nel tempo;
- verificare l’efficacia dei sistemi di bonifica.
Abbiamo anche la possibilità di impiegare metodi di tipo passivo in cui un materiale assorbente è
lasciato in posto nel terreno in modo tale che i vapori del contaminante possano essere selettivamente
adsorbiti nel tempo impiegando il flusso naturale del gas interstiziale. Necessitano di alcuni giorni
per essere completati e sono molto utili nel caso di presenza di composti organici semivolatili (SVOC)
o qualora le caratteristiche dei terreni non consentano un sufficiente deflusso, forzato, dell’aria
durante il campionamento attivo. Occorre prestare attenzione alla presenza di acqua che può inficiare
parte dell’assorbimento.
Ci sono anche dei sistemi che usano delle membrane come il Goretex che favorisce l’entrata di
vapori ma non di acqua.
La cosa importante è che la C che è misurata non è una C vera e propria, ma è un valore mediato e
dovrà essere mediato facendo delle approssimazioni forti perché la quantità acquisita dai carboni sarà
funzione della C in aria, ma anche dal flusso di aria, dal riciclo, dalle condizioni di p e T susseguitesi
e anche della massa dei carboni presenti.
178
superfiaili e non (serbatoi), il tipo di contaminante atteso e di area sorgente, la stima dei volumi
sversati, il tempo trascorso dallo sversamento, la geologia del sito e la soggiacenza della falda.
Successivamente sarà indispensabile eseguire delle prove preliminari per verificare la fattibilità
tecnica del metodo di rilievo attivo. In particolare queste prove dovranno servire a valutare:
• tutti i campioni devono essere raccolti con una stessa metodologia per garantire la
confrontabilità dei dati osservati;
179
• il campionamento deve essere eseguito nel minor tempo possibile, a causa delle variazioni
temporali di alcuni parametri (temperatura, umidità, pressione atmosferica) con il minimo
disturbo;
• devono essere attuate procedure di decontaminazione per evitare l’accumulo o la perdita
(adsorbimento) di contaminanti;
• contenitori e strumenti di prelievo e raccolta dei campioni devono essere asciutti per evitare
aumento o diminuzione della contaminazione misurata;
• l’aria dell’ambiente deve essere eliminata dal sistema di prelievo dei campioni;
• in caso di aspirazione diretta da aste forate bisogna porre attenzione alle connessioni per
evitare aspirazione di aria atmosferica e eventuale cortocircuitazione;
• deve essere effettuata la sigillatura dell’intercapedine tra aste e terreno in sito;
• deve essere effettuata la raccolta di campioni di bianco per verificare la decontaminazione
avvenuta del sistema di aspirazione e raccolta e per determinare eventuali valori di
background per i VOC;
• deve essere effettuata la duplicazione di alcuni campioni (almeno 1 ogni 10 per giornata di
lavoro) per verificare la riproducibilità delle misure; • verifica dei contenitori per eventuali
perdite.
L’analisi e l'interpretazione dei risultati di una campagna di indagine dei gas interstiziali devono
essere condotte con grande attenzione tendendo in conto delle condizioni geologiche al contorno
nonchè della presenza di strutture e di percorsi preferenziali di migrazione dei contaminanti. L’analisi
dei diversi andamenti di concentrazione deve tenere in conto del tipo e della distribuzione dei
materiali geologici presenti, dell’influenza della diffusione dall’acqua di falda, degli ostacoli presenti
alla migrazione, etc.
Il tutto deve essere realizzato tramite la mappatura dei punti di prelievo dei campioni e delle
concentrazioni rilevate alle diverse profondità, avendo cura di correggere le profondità in funzione
della topografia locale in modo da riportare i dati a un piano orizzontale. Una tecnica di
rappresentazione prevede oltre alla possibilità di riportare la concentrazione totale di VOC, anche
quella di utilizzare dei rapporti significativi (es.: costituenti pre benzene, attraverso una colonna gas
cromatografica, rispetto ai VOC totali) per avere ad esempio un’idea del tempo di permanenza dei
contaminanti in sito (costituenti pre benzene sono più mobili di altri idrocarburi; rapporto elevato
indica recente rilascio; rapporto basso indica un vecchio rilascio), tenendo comunque in
considerazione che diversi parametri possano influenzare i loro valori.
180
Le unità di misura con cui le concentrazioni sono riportate possono essere:
per l’acqua i μg/l corrispondono a ppb ma ciò non è vero per i gas e quindi è necessario un fattore di
conversione che per esempio a 20°C e a 1 atm di pressione sarà pari a →
I materiali e operazioni per il rilevamento attivo sono attualmente i cosiddetti Tubi Detettori che
sono la tecnica più speditiva di analisi dei gas. Essi sono stati inventati nel 1919 grazie a
Lamb&Hoover. Il maggior produttore di queste strumentazioni è la Dragerwerk di Lubecca.
Lo standard che si utilizza è quello basato su fialette colorimetriche Drager in cui si possono usare
o delle apparecchiature che fanno misura diretta ma solo di alcuni composti o gas e altrimenti fialette
che si adattano a diversi composti, gas ecc.
Una fiala Drager è un tubetto di vetro sigillato contenente uno o più composti chimici che reagiscono
con la sostanza ricercata cambiando il loro colore. Dopo aver aperto le estremità della fiala e aspirato
una quantità prefissata di gas, la concentrazione del composto ricercato sarà indicata dall'estensione
della variazione colorimetrica lungo una scala predisposta, oppure dall'intensità del colore con cui
appare il reagente al termine della reazione. Esistono fiale con scala colorimetrica progressiva, nella
quale si legge direttamente la concentrazione in base alle tacche stampate sulla fiala stessa, e fiale
con scale di confronto standard per la tonalità di colore che assume il reagente al termine della
reazione. Chiaramente la colorazione del reagente non corrisponde esattamente alla concentrazione
del contaminante, ma in senso stretto alla massa di contaminante disperso nel gas che passa attraverso
la fialetta e reagisce. Poiché l'informazione che 25 g di biossido d'azoto ha reagito non è molto pratica,
la scala calibrata è preparata nelle unità ppm (parti per milione) o volume percento. Le parti per
milione (ppm; 1 ppm corrisponde ad una parte di di sostanza in un milione di parti di aria o gas
campionato) sono le unità più comuni per le concentrazioni basse, come quelle dei contaminanti; a
volte è però più comodo utilizzare le percentuali in volume (Vol.-%).
181
Attualemnte sono oltre 350 le sostanze che possono essere misurate e l’accuratezza di misura ora
arriva sino ai ppb.
I campioni contengono spesso anche parti solide o minuscole gocce liquide, dette aerosol: le loro
concentrazioni sono espresse in mg/m3, per cui occorre correlare le masse ai corrispettivi volumi, e
viceversa. Secondo la legge dei gas (PV = nRT), a temperatura e pressione standard, possiamo
scrivere che →
1. fiale a breve termine, progettate per misure in un punto particolare lungo un intervallo
temporale relativamente breve (da 10 secondi a 15 minuti);.
2. fiale a lungo termine, che forniscono misure integrate, cioè mediate nell'intervallo di
tempo di campionamento (da 1 a 8 ore);
3. fiale a diffusione, anch'esse a lungo termine, che non necessitano di una pompa per
l'aspirazione dei gas da misurare.
Per i campionamenti di gas interstiziale sono usate solo fiale a breve termine unitamente ad una delle
seguenti: pompa manuale mod. Accuro, pompa automatica mod. Accuro 200 o pompa automatica
mod. Quantimeter 1000.
La fialetta è aperta a entrambe le estremità, viene forzato un flusso di aria da un estremità che è dato
da una propria C e all’interno della fiala vi è una certa massa di reagente che cattura e reagisce con la
sostanza che aspiriamo; in funzione della zona colorata si può ottenere la C prendendo la massa che
cambia di colore divisa per il volume considerato.
La prima tipologia di pompa ossia quella manuale mod. Accuro è la più semplice da usare sul campo
per misure a breve termine e con piccoli volumi da campionare. Essa è compatta e robusta e funziona
manualmente pigiandone completamente il corpo e lasciando che la molla interna ne ripristini
l’originale volume. In questo modo, l’aria interna è emessa attraverso la valvola di sfogo e poi il gas
è aspirato attraverso la fialetta. Ogni colpo completato corrisponde ad un volume d'aspirazione pari a
100 ml. Il completamento della fase di aspirazione viene indicato dalla comparsa di un segnalino
182
bianco sul corpo pompa, mentre il numero di colpi
complessivi è segnato automaticamente su un
apposito contatore meccanico. Il funzionamento
corretto della pompa deve essere periodicamente
verificato, inserendo una fiala non aperta e provando
ad aspirare: in questo caso il corpo pompa non deve riaprirsi per almeno un minuto, testimoniando la
tenuta del sistema di connessione con la fiala e l'assenza di danneggiamenti sul polmone.
Le fiale colorimetriche a breve termine possono essere di diversi tipi in fnzione al composto ricercato
e alla sua C:
- fiala con unico livello a scala colorimetrica dove tutto il livello è costituito dal reagente e
serve come indicatore colorimetrico;
- fiala con livello a scala colorimetrica e uno o più livelli intermedi ove tali livelli servono
ad assorbire l'umidità o ad intrappolare sostanze che interferiscono con la reazione o a
trasformare il contaminante in sostanze misurabili dal livello graduato;
- combinazione di due fiale, connesse con un tubo avvolgente ristretto ove la funzionalità è
simile alla precedente, ma in questo caso occorre rompere prima dell'uso le estremità sigillate
di entrambe le fiale;
- fiale con tubo di connessione in gomma ove a seconda della posizione reciproca, la prefiala
può servire come nei due casi precedenti, oppure per adsorbire i prodotti della reazione
utilizzata per visualizzare la concentrazione;
- fiala con reagente separato e in questo caso (abbastanza raro), un reagente deve essere tenuto
separato fino al momento della lettura, per cui una piccola ampolla che lo richiude è rotta
manualmente appena dopo l'aspirazione;
- fiale in parallelo per misure simultanee ove in alcuni kit di 5 fiale predisposte in parallelo
sono utilizzati per letture simultanee in condizioni particolarmente critiche (ad esempio, per
rilevazione dei gas di combustione durante o dopo un incendio); il loro utilizzo è soprattutto
di tipo ambientale in luoghi chiusi o confinati, piuttosto che per i gas interstiziali.
Una ulteriore possibilità di effettuare misure rapide ed economiche, adatta a misure individuali
ripetute in campo è con l’ ACCURO 2000. Basta inserire la pompa rivelatrice di gas accuro; chiudere
lo sportello; inserire la fialetta Drager e programmare il numero di aspirazioni (fino a 199).
183
Ci sono poi dei sistemi passivi con lo stesso concetto in cui vi è del materiale attivato all’interno di
una fiala con due possibili aperture; la sostanza può entrare dalle due griglie e colorerà una parte del
materiale e quindi avremo a mano a mano che si va verso l’interno una diminuzione della C e con la
prima legge di Fick calcoliamo la C e m.
Altre tecnologie applicabili per la caratterizzazio e bonifica di siti contaminati sono le tecniche
geofisiche come: il Ground Penetrating Radar (GPR), il Cross well Radar, la tomografia elettrica
(ERT), Vertical Induction Profile (VIP), High Resolution 3D Seismic Reflection e l’High Resolution
Electromagnetic Resistivity Survey (EMR).
La loro applicabilità è varia ed è funzione anche della risoluzione e dell’acquisizione in tempi diversi.
Esse sono funzione anche del tipo di contaminante, del terreno e delle condizioni geologiche. I rilievi
EM possono essere fatti in down hole o cross hole.
Molto utili soprattutto a livello di caratterizzazione di sito sono i Metodi di Direct Push (DPT) dove
vi è un sistema che in genere si basa su un penetrometro a punta conica con una velocità di infissione
nota 12-15 m/h, una max velocità di spinta di 2 cm/s. Esso ha un sistema elettronico di misura posto
entro la punta conica e un cavo elettrico corre entro le aste a partire dalla punta conica fino alla
superficie per trasportare i dati raccolti.
I vantaggi della tecnica è che è veloce e poco costosa, rileva in sito, minimizza gli errori di
campioamento, fa misure in tempo reale ed è poco invasiva, bassa contaminazione incrociata, gli
scarti di scavo sono eliminati e si ha maggior sicurezza per gli operatori.
I limiti di tale tecnica sono dati dalle condizioi logistiche di superficie e dalle condizioni del
sottosuolo.
Esistono poi altre tecniche come la LIF (Fluorescenza a Laser) che riconosce i prodotti del petrolio
contenenti idrocarburi aromatici. Vi è un fascio laser o ultravioletto attraverso un zaffiro, passa
184
attraverso il terreno eccitando alcuni dei legami chimici che costituiscono i composti organici e un
sensore ne rileva la risposta fluorescente.
Ci sono poi altri tipi di sensori come: membrane interface probe (MIP) che è fatta da una sottile
membrana impregnata e scaldata a 100-120°C; Raman Syste con misura simultanea di molteplici
lunghezze d’onda o altri.
Infine, esiste il Campionatore a Nastro per NAPL che sono delle membrane che sono sensibili al
contatto con delle sostanze presenti all’interno del terreno. Si fa un sondaggio, la membrana viene
spinta contro le pareti del sondaggio, i singoli pori ricchi di NAPL sono messi a contatto con la
membrana e NAPL reagisce con essa e colora la membrana. A questo punto la membrana è sfilata
dopo aver sgonfiato il rivestimento pressurizzato e si ha una mappatura della presenza di
contaminante. A questo punto possono essere fatte delle misure su fasi vapore liberate una volta
estratta la membrana.
Difficile applicazione in presenza di blocchi e ciottoli, fori instabili, non consente una stima esatta
della concentrazione, il test è positivo o negativo, funziona solo per contaminati idrofobi.
Per rilevare NAPL in fase residua sono usate misurazioni di variazioni di concentrazione di agenti
chimici detti traccianti che sono iniettati o naturalmente presenti:
Un test PITT implica l’iniezione di una serie di traccianti. Parte di questa serie è costituita da
traccianti conservativi (non reattivi), che non reagiscono tendenzialmente coi NAPL, e altri non
conservativi (o reattivi), che tendono a ripartirsi sui NAPL per cui sono ritardati o rallentati durante
il loro percorso. Poiché hanno caratteristiche differenti essi arrivano al punto di estrazione in momenti
diversi. Nella zona insatura si utilizzano in genere dei gas, mentre in quella satura si usano liquidi.
Alcoli a catena lunga e clorofluorcarburi lavorano nel saturo mentre prefluorocarburi sono stati
impiegati nella zona vadosa. In genere, si assume che il ritardo di un determinato tracciante sia
proporzionale al grado di saturazione in NAPL del terreno.
185
L’iniezione e il prelievo dei traccianti consente inoltre il calcolo del fattore di ritardo che è quindi
correlato direttamente alla massa di contaminante in sito. Lo stesso principio della separazione
cromatografica viene quindi applicato, ossia la separazione dovuta al la ripartizione viene usata per
valutare il volume di DNAPL nella zona interpozzo e quindi la massa del contaminante.
I test PITT richiedono di stabilire un campo di gradiente di flusso tra il punto di iniezione e quello di
prelievo • Perciò è utile eseguire prima un test CITT e poi un PITT in modo da avere i dati empirici
per la progettazione del PITT; essi possono essere eseguiti prima e dopo un test o una bonifica con
lavaggio per verificare la frazione di contaminante rimossa e/o rimasta in posto.
Gli svantaggi possibili sono in parte legati alla difficoltà di estrazione e monitoraggio dei traccianti
per condizioni in sito complesse. È necessaria la comprensione delle condizioni in sito; può richiedere
il trattamento delle soluzioni di traccianti recuperati, contenuto elevato in sostanza organica può
rallentare o impedire la mobilità del tracciante influenzando il tempo di residenza e sbilaciando
fortemente il fattore di ritardo. Contaminanti posti in settori a bassa conducibilità possono essere
difficili da stimare. Non adatta per valutare DNAPL in fase libera per cui è necessaria una preventiva
rimozione della stessa prima dell’iniezione dei traccianti.
Una delle possibilità è usare il Radon, Rn, e si usa per misurazioni ambientali legati a problemi di
radioattività naturale legata a presenza di materiali da costruzione o siti in prossimità ad aeree
vulcaniche. La cosa interessante è che esso può essere ripartito su dei fluidi organici come i NAPL e
quindi se si hanno delle misure di fondo del radon in prossimità dell’area contaminata, potrebbe essere
visibile una variazione nel flusso di Rn che potrebbe essere messo in relazione al partizionamento
sulla fase NAPL.
Quello che possiamo fare è caloclarci la C del NAPL rispetto al segnale di fondo in funzione della
saturazione volumetrica residua del NAPL presente nel
terreno e del K che è il coefficiente di ripartizione del
Rn e ntro l’acqua o il NAPL. Il modello mostra che per
NAPL crescente, la C di Rn decresce rispetto alle
condizioni di fondo.
Gli svantaggi di tale tecnica è che ottenere misure di Rn richiede dei campionamenti specifici e delle
tecniche di analidi particolari che vanno oltre l’impiego standard in idrogeologia. Inoltre, vi è la
necessità di dati specifici e comprensione delle condizioni geo e del segnale di fondo.
186
Video 37: Introduzione alle bonifiche e messa in sicurezza, C soglia di
contaminazione e di rischio, tipi di bonifiche, messa in sicurezza e contenimento,
diaframmi plastici e barriere, copertura/capping
Al fine di tutelare la qualità delle riserve idriche sotterranee, nonché per ridurre i rischi di esposizione
e trasmissione, si possono avere diversi approcci raggruppabili in:
Questa separazione può sembrare sottile, in quanto la bonifica potrebbe essere realizzata direttamente
entro l’acquifero o nel caso in cui la sorgente sia data da un pennacchio già in falda o in acquifero;
l’importanza della separazione almeno nominale delle due fasi consiste nel fatto che l’attuazione di
una bonifica comporta in genere, una riduzione dei tempi di realizzazione del disinquinamento di un
acquifero contaminato.
Dal punto di vista normativo, si può far riferimento al decreto legge n. 152/2006 che riporta utili
definizioni di sito contaminato e non e dei conseguenti obblighi di bonifica. Si parla di
Concentrazione Soglia di Contaminazione (CSC) come i livelli di contaminazione delle matrici
ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e
l’analisi di rischio e di Concentrazione Soglia di Rischio (CSR) ossia i livelli di contaminazione
delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con applicazione della procedura di analisi di
rischio sito specifica e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento
richiede la messa in sicurezza e la bonifica.
Altre definizioni sono Sito potenzialmente contaminato ossia un sito nel quale uno o più valori di
concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori
di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), in attesa delle operazioni di caratterizzazione e di
analisi di rischio sanitario e ambientale, che ne permettano di determinare lo stato o meno di
contaminazione sulla base delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Poi si ha quella di Sito non
contaminato ossia un sito nel quale la contaminazione rilevata risulti inferiori ai valori di CSC o se
superiore a essi, deve essere inferiore alla CSR.
La Bonifica è l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze
inquinanti o a ridurre le C per raggiungere un livello uguale o minore della CSR.
187
Poi, l’obiettivo della bonifica è stabilito in base a standard di qualità (CSC) che consentano tutti i
potenziali usi della risorsa.
Il punto di conformità, poi, per le acque sotterranee rappresenta il punto a valle idrogeologico della
sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale del corpo idrico sotterraneo.
Esso deve essere fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR
per ogni contaminante deve essere fissata = CSC.
Sono state proposte diverse tecniche di bonifica che si basano su alcuni approcci come il
contenimento/confinamento in sito dei contaminanti, rimozione dei contaminanti dal terreno,
trattamento in sito dei contaminanti e del terreno, attenuazione dell’impatto tramite controlli specifici.
Una suddivisione ulteriore potrebbe essere operata a partire dalle caratteristiche del mezzo entro cui
la bonifica deve essere condotta. Si potrà quindi avere un mezzo: saturo e non saturo.
L’utilizzo delle tecniche di bonifica sarà dipendende da una serie di fattori di controllo che possono
consistere in parte nelle caratteristiche del terreno e logistiche e poi nelle caratteristiche dei
contaminanti. Per i caratteri dei terreni possiamo considerare le caratteristiche topografiche,
condizioni climatiche e meteo, fattori geo e idrogeo, proprietà idrauliche del contorno, caratteristiche
dei terreni e tipo ed estensione della sorgente contaminante.
188
Invece, per i caratteri della sostanza inquinante possiamo considerare la classe chimica, le proprietà
chimiche, reattività chimica, parametri di contaminazione, parametri di adsorbimento, di
degradazione e di volatilizzazione.
La bonifica non è sempre la soluzione economicamente e tecnicamente più fattibile, ma in alcuni casi
si preferisce agire tramite un confinamento e quindi una messa in sicurezza. Tale tipo di intervento
è funzione del tipo di contaminante, delle condizioni al contorno (geologiche, idrogeologiche,
geotecniche, ambientali) e del valore dell'acquifero. Proprio a seguito di questa gradualità di
intervento esiste tutta una serie di possibilità alternative impiegabili.
La scelta della tecnica ideale è funzione delle caratteristiche della contaminazione e dei terreni, del
rischio annesso, dei materiali e macchinari disponibili, dei costi.
In tale ambito, sarà necessario caratterizzare i terreni, l’idraulica della zona, il contaminante, valutare
le caratteristiche dei materiali da usare, dimensionare e posizionare le barriere, verificare il modello,
fare un controllo qualità e monitorare nel breve e lungo termine.
Una delle possibilità è quella di bloccare il contaminante sin dall’insorgere ad es. se s ha una
tombinatura che rilascia sostanze in un corso d’acqua superficiale e quello che possiamo fare è
impedire la circolazione del contaminante in superficie tramite elementi di assorbimento e questa è
una modalità temporanea perché noi vogliamo bloccare lo spargimento del contaminante.
189
La possibilità invece di operare con degli elementi fisici più complessi può consentirci di impedire la
propagazione della sostanza contaminante. Ciò è quello che può essere fatto tramite l’impiego di
Diaframmi Plastici. Lo scopo è quello di cinturare più o meno completamente l’area sorgente ed
immobilizzare il contaminante che può essere rilasciato dalla sorgente. In genere, essi sono realizzati
con delle miscele di fanghi bentonitici e cemento e possono raggiungere delle profondità di 20-30 m
e hanno delle caratteristiche di permeabilità consone al tarttenimento dei contaminanti. Esse hanno
spessore tra i 0.5 e i 2 m.
Si assuma di avere delle masse di DNAPL che si sono fermate su degli strati a bassa permeabilità e
hanno invaso l’acquifero a diverse quote e oltre a esso ci sono dele masse di DNAPL accumulate in
modo isolato in saturazione residua ad es. all’interno dell’acquifero stesso. Quello che si può fare è,
una volta riconosciuta l’estensione dell’area sorgente, si realizza una cinturazione e nel caso dele due
figure sopra all’intorno della massa contaminata. Nel caso a sx, i diaframmi sono immorsati in uno
strato impermeabile di argilla alla base che dovrebbe impedire la migrazione del DNAPL in verticale
e quindi gli impedisce di sfuggire in qualche modo. Nel caso a dx, invece, non si ha uno strato
impermeabile alla base e quindi non possiamo creare dei diframmi sino in fondo; in questo caso,
bisognerà costruire un opera che limiterà la circolazione di tipo advettivo. In questo caso potrà esserci
un fenomeno di tipo diffusivo da zone a maggior C verso zone a minor C e quindi potremmo avere
un fenomeno di propagazione del contaminante.
Le cinturazioni possono
essere complete, parziali
con concavità o meno del
diaframma orientata
contro la direzione di
flusso favorendo la
divergenza del flusso e una zona di bassa velocità nella zona di interesse. Vi è anche la possibilità di
190
sigillare il fondo al di sotto della zona sorgente. Essa è una condizione complessa e vi sono 3 soluzioni
a questo problema:
I metodi costruttivi per la realizzazione di barriere impermeabili sono diversi e controllati da diversi
fattori. È possibile operare con escavatori a braccio per opere superficiali oppure con benna mordente
per raggiungere profondità maggiori. Le diverse tecniche sfruttano la realizzazione di pannelli
affiancati in materiali differenti:
Queste possono essere interconnesse tra loro oppure prevedono la realizzazione di iniezione in
pressione, accostamento o intersezione di pali o miscelazione in sito del terreno naturae con bentonite.
L’aumento di rigidezza dei diaframmi ad es. passando da terreno-bentonite a calcestruzzo, può
comportare un incremento di permeabilità qualora ci siano cedimenti o rotture.
191
In ogni caso, le barriere realizzate e i materiali che le costituiscono devono essere testati in modo da
verificarne le caratteristiche fisico-meccaniche come la conducibilità idraulica, la compatibilità
chimica e il comportamento meccanico.
192
Prima di tutto si usa una benna mordente che entra
nel terreno e scava una trincea della larghezza della
benna. Il materiale viene scavato e portato a giorno,
depositato e lo scavo avviene in presenza continua di
un fango bentonitico che consente di sostenere lo
scavo stesso. Inoltre, il fango bentonitico
impermeabilizza il terreno all’intorno che acquista
una minor conducibilità idraulica e un miglior
isolamento. Nella fase finale, una volta scavato un
setto, si fa un getto di miscela che si vuole adottare
per la realizzazione del diaframma partendo dal
basso e risalendo progressivamente verso l’alto in
modo da sostituire il fango bentonitico con il
materiale che formerà il diaframma finale.
Esiste poi la possibilità, di fare diaframmi compositi con delle geomembrane che possono essere
di vario tipo in PVC, PE; sono teli sintetici da installare al fondo delle discariche o fianchi di scavi o
nei diaframmi e possono essere usate sino a 50 m di profondità.
Una volta realizzata la trincea, ancora piena di fango bentonitico, con un escavatore si srotola un rullo
di geomembrana all’interno dello scavo; poi, il resto della trincea può essere o ricolmata col terreno
o con miscela che può essere gettate nell’intercapedine.
L’altra possibilità può essere attraverso l’inserimento di elementi a piastra o diaframmi metallici
tramite gru o infilati direttamente nel terreno con sistema a vibrazione-percussione che smuove il
terreno e consente di infiggere la struttura.
Esiste poi la possibilità di usare delle Palancole metalliche realizzate tramite infissione di elementi
metallici ad incastro e con diversi tipi di sezione e rientrano nella categoria dei diaframmi sottili.
Dalle modalità costruttive è lecito pensare alla possibilità che si realizzino delle infiltrazioni
attraverso i giunti sebbene siano disponibili metodi per sigillare i giunti stessi. Per tale ragione questo
tipo di diaframmi è utilizzato solo per interventi estremamente rapidi in condizioni di massima
urgenza.
L’ultima tipologia ci consente di realizzare la tecnica di Dig&Dump e spesso è la più semplice per
scavi a bassa profondità e si usano vibro-percussioni per introdurre nel terreno delle palancole a
193
sezione trapezia e i riccioli alle estremità servono
ad agganciare i diversi elementi che sono
accostati l’uno all’altro. Quindi, l’area
contaminata viene isolata con palancole e il
materiale interno viene scavato.
Esiste la possibilità di operare con del Jet Grouting e ciò implica l’utilizzo di sonde che eseguono
una perforazione e alla fine di essa, una volta raggiunta la profondità max si sostituisce con l’ugello
che serve a iniettare acqua ad alta pressione. L’asta continua a girare su se stessa ed opera una
disgregazione del materiale e allo stesos tempo vi è l’iniezione di una miscela cementizia che si
mischia col terreno e realizza delle colonne di terreno misto cemento.
194
Video 38: barriere per isolamento e contenimento fisico di discariche, barriere
minerali, concetto di trappola idraulica, trasporto advettivo e diffusivo, in
materiali fratturati.
195
Quindi, le Barriere di impermeabilizzazione devono controllare e limitare la migrazione delle
sostanze contaminanti e possono incldere uno o più elementi tra cui:
- Terreni argillosi;
- strati di materiale argilloso;
- diaframmi impermeabili;
- substrato roccioso;
- geomembrane.
La necessità di valutare l’impatto dello scarico di rifiuti sulle acque sotterranee richiede la valutazione
dei percorsi, degli andamenti e delle concentrazioni nello spazio e nel tempo. Vi sono 4 aspetti he
sono fondamentali per una previsione quantitativa:
Quindi, i meccanismi principali di trasporto attraverso una barriera argillosa sono advezione e
diffusione, attraverso un acquifero sono advezione e dispersione, attraverso un materiale fratturato
se lungo fratture è advezione + dispersione, se nella matrice è solo diffusivo.
Ciò è importante saperlo in modo che poi sappiamo quali termini sviluppare all’interno dell’ADE.
196
controllo dominante della diffusione. Inoltre l’argilla consentirebbe l’innesco di processi di
adsorbimento, precipitazione e biodegradazione. Necessari controlli regolari e confronti con i limiti
ammessi nelle norme.
Nella fig. sopra se si ha C maggiore nella discarica rispetto all’esterno, si instaura un gradiente di C
tra i due ed esso potrebbe guidare tramite fenomeni diffusivi la circolazione della sostanza
contaminante.
Nel caso di una discarica non interrata ma prevalentemente posta al di sopra del piano campagna
e con livello della falda freatica posto sopra al livello di quella confinata, si osserverà:
- prima dello scarico di rifiuti un gradiente verso il basso dalla falda freatica a quella confinata
(perché il livello piezometrico è sopra quello potenziometrico a. confinato). Il terreno
argilloso può funzionare da barriera ma la creazione di una discarica richiederà attenzione
nella scelta della quota di base della discarica e nella progettazione del sistema di raccolta del
percolato;
- Se il piano di posa è posto tra il livello piezometrico superiore e quello dell’acquifero
confinato, si realizzerà un flusso advettivo verso l’acquifero.
197
Se il piao di posa è posto sotto al livello piezometrico dell’acquifero confinato, si realizzerà un flusso
advettivo verso l’alto ossia verso la discarica. Si realizzerà così una “trappola idraulica” poiché si
sfrutta il contenimento idraulico del contaminante.
Nello schema soprastante abbiamo il cumulo di rifiuti e poi il livello di percolato rosso, abbiamo un
livello confinato e l’acquitardo sovrastante con un livello piezometrico che arriva sopra il piano di
posa e del fondo della discarica e sopra il livello potenziometrico dell’acquifero confinato. In questo
caso, il livello del percolato è basso e ciò significa che vi è già una differenza di pressione tra interno
ed esterno della discarica in termini di acqua. Ciò significa, che ci può essere un flusso ascendente
che sarà nell’acquitardo (le sue caratteristiche controlleranno la velocità di flusso) attraverso la
barriera impermeabile verso la discarica; ciò perché ci sono due livelli con differenza di carico (linea
piezometrica e potenziometrica). In questo caso, si realizza una trappola idraulica ossia la discarica o
scavo isolato diventa una trappola purchè il percolato non vada a raggiungere la stessa quota
piezometrica o una quota maggiore altrimenti si creerebbe un flusso verso il basso e farebbe uscire
molta massa.
198
dello strato impermeabile (si avrebbe infiltrazione sia dovuta alle sovrappressioni dell’acquifero
confinato sia da quello esterno) e se si realizzasse un innalzamento del battente di percolato (per
sorappressioni dal fondo, rottura del sistema di raccolta, etc.) il flusso si invertirebbe in condizioni
peggiori. Uno scavo profondo potrebbe innescare la rottura dello strato per sollevamento. Ciò
potrebbe essere evitato depressurizzando temporaneamente l’acquifero durante la realizzazione dello
scavo ed i parziale riempimento con rifiuti. Riduzione della pressione dell’acqua potrebbe essere
indotta dalla diminuzione dell’area di ricarica superficiale e dal continuo drenaggio tramite il sistema
di estrazione del percolato.
La posa dello strato argilloso deve essere fatto in strati ad un umidità leggermente superiore all’ottimo
di Proctor evitando una fase di essicazione durante la stesa dell’argilla. Il meccanismo principale di
trasporto sarà la diffusione.
Nel caso sopra, il sistema è complesso in quanto esistono 2 possibilità: abbiamo un terreno naturale
e una falda che può essere più bassa della base della discarica oppure più alta nel caso b). nel caso a)
e b), se noi tenessimo il livello del percolato alla quota data, potremmo avere un inversione della
circolazione. La base della discarica si trova a una quota maggiore rispetto al caso a) e ci sarà quindi
un gradiente di carico che guiderà un flusso di tipo advettivo; la stessa cosa, ma per il caso b) si avrà
un inversione del flusso e quindi un entrata di fluido all’interno dello strato. Mantenendo basso il
livello del percolato, potremmo fare nel caso b), realizzare una barriera idraulica (trappola) e nel caso
199
a) potremmo, invece, avere un flusso in parte controllato dall’advezione e diffusione attraverso lo
strato impermeabile.
Per aumentare la performance possiamo aggiungere un ulteriore strato, quello verde, che è un sistema
di raccolta del percolato che consente di mantenere il percolato al piano di posa ed è continuamnte
estratto per evitarne il suo accumulo.
Se il flusso verso la discarica è controllato da fratture nel terreno, la diffusione non è rallentata nella
matrice. La barriera è necessaria perchè il terreno naturale non ha una bassa permeabilità: Materiali
grossolani possono essere posti a protezione della barriera o come dreni. Nel tempo essi possono
venire occlusi con conseguenze differenti nei due casi.
Nel caso di situazioni incerte è necessario introdurre un sistema secondario di raccolta del percolato
o uno strato di controllo idraulico per la riduzione del carico idraulico e per indurre una trappola
idraulica nel sistema secondario di raccolta qualora il livello piezometrico entro quest’ultimo sia al
di sotto di quello dell’acquifero.
Possiamo realizzare anche geometrie
più complesse e nel caso a lato abbiamo
un sistema primario ed uno secondario
di raccolta del percolato. Si ha un
elemento basale che serve per drenare
in verde esterno, un elemento
impermeabile in marrone, e il sistema
primario di raccolta del percolato
interno. Quindi, possiamo, essere nella
stessa situazione precedente e avere due
posizioni della piezometria: a) più
bassa del livello del percolato e quindi
flusso verso il basso, b) più alto della
quota del sistema esterno.
Nel caso sotto, si ha un livello entro cui
possiamo o lasciar accumulare acqua
oppure accumulare un fluido di
controllo e in questo caso potremmo mantenere un livello all’interno dello strato impermeabile
esterno alla barriera più alto di quello interno del percolato. Tra il verde scuro e il verde chiaro
instauriamo un flusso diretto verso la discarica. In questo modo, preleviamo il percolado dal p.c dal
200
sistema verde interno ed eviteremmo un flusso in direzione opposta che potrebbe essere dovuto ad
una soggiacenza maggiore del livello potenziomatrico dell’acquifero confinato rispetto al livello di
percolato.
Inoltre, nel secondo caso, ci potrebbe essere comunque un flusso diffusivo per differenza di gradiente,
ma se il flusso advettivo è abbastanza rilevante, significa che dominerà rispetto a quello diffusivo.
Se la permeabilità del terreno naturale è bassa il livello permeabile secondario effettua un controllo
idraulico. Il livello permeabile è saturo e mantenuto ad un livello superiore a quello interno alla
discarica, creando un gradiente verso di questa e una trappola. Il flusso verso l’interno impedirà quello
per diffusione in direzione opposta. In parte ci sarà un flusso anche verso il basso e per ridurre il
volume di fluido richiesto per realizzare la trappola idraulica può essere introdotta una geomembrana.
Potremmo moltiplicare ulteriormente il sistema degli strati verdi: nel caso sopra si ha il sistema di
raccolta di percolato in verde chiaro, la barriera minerale in marrone, il sistema di controllo idraulico
delle pressioni al di sotto del quale è stata messa una stesa di una geomembrana in nero e poi sotto
un ulteriore strato di barriera minerale. In questo caso, possiamo usare il livello di controllo per
invertire la direzione di flusso e mantenerla sempre verso la discarica. In questo caso, la situa è ideale
perché stiamo isolando sia dal punto di vista idraulico sia dal punto di vista fisico la massa di sostanza
rispetto all’acquitardo e all’acquifero sottostante. Inoltre, è importante l’accoppiamento della
geomembrana ad una barriera minerale ha un vantaggio di minimizzare lo spessore della barriera
minerale e di semplificarne la realizzazione.
201
Nel caso soprastante si ha lo stesso sistema descritto precedentemente, ma con una posizione
piezometrica superiore a quello del livelo del percolato nella discarica ed è superiore qui al carico di
controllo. Quindi, facendo ciò si garantisce che il flusso idrico sia comunque nel caso advettivo verso
la discarica e non verso l’esterno. Se aumentassimo ancora il carico idraulico nel sistema di controllo,
avremmo iniezione verso la discarica, ma espulsione verso l’esterno e quindi rischio in caso di perdite
di una contaminazione.
In ambienti con livello piezometrico (freatico o confinato) prossimo alla superficie topografica Si può
realizzare sia una trappola idraulica naturale (acqua che fluisce entro il livello di controllo dal terreno)
che ingegneristica (l’acqua fluisce dal livello di controllo verso l’interno della discarica).
Ci sono tanti vantaggi:
202
Importante è anche vedere cosa accade ad una discarica all’interno di un mezzo fratturato: se la
fratturazione è minima potremmo mettere i rifiuti a contatto con la roccia e se essa è poco poroso, la
probabilità di contaminazione è minima. Se però ci sono delle fratture, potrà esserci una migrazione
rapida nelle discontinuità e dei fenomeni advettivi e dispersivi in esse, e un fenomeno diffusivo nella
porosità della matrice della roccia.
Anche i materiali argillosi possono avere dele fessure specie se sono argille OC che sono state
sottoposte a scarico. La stessa cosa può accadere anche nello schema sotto in quanto se noi scaviamo
dal p.c, estraiamo la roccia, le fratture presistenti durante lo scavo sono scaricate e si aprono. Quindi,
in questo caso, anche per piccole aperture delle discontinuità, si ha un forte aumento della
permeabilità.
203
Video 39: barriere idrodinamiche e soil venting, saturo e non, principi di
funzionamento di impianti venting, bioventing, monitoraggio e caratterizzazione
del mezzo, prove respirometriche, tasso di recupero, tempo di trattamento
Il termine barriera idrodinamica o idraulica è talora impiegato per indicare sistemi di controllo
idrodinamico che consentono di contenere un contaminante tramite controllo dei gradienti idraulici.
Il sistema più classico è quello rappresentato dai sistemi pump and treat o pozzi barriera e
disinquinamento.
Il compito di tali sistemi consiste in genere nell'operare:
Nel complesso tali sistemi richiedono dei sistemi di trattamento delle acque emunte e contaminate,
nonché la realizzazione di una rete di monitoraggio per la verifica continua delle operazioni di ricarica
o di abbassamento del livello e della loro influenza sulla qualità delle acque.
Il concetto di barriera idrodinamica è talora applicato anche nel caso di vapori e gas interstiziali. In
tali casi è previsto l'impiego di sistemi che realizzino variazioni positive o negative della pressione
dell'aria per il controllo della distribuzione e mobilità dei vapori. Casi comuni di utilizzo sono quelli
per cui è necessario l'allontanamento di vapori da edifici (locali interrati e semiinterrati) o da scavi
temporanei o definitivi.
I sistemi per estrazione dei contaminanti impiegano dei pozzi per rimuovere le sostanze
contaminanti dal terreno o dall’acquifero. L'approccio è molto utile in varie situazioni, ma può
presentare dei costi di realizzazione e funzionamento o un efficienza bassa; per tale ragione molte
soluzioni attraverso sistemi di pump and treat, sebbene più semplici di altri, vengono spesso scartate.
Ci sono poi dei Sistemi Intercettori i cui più semplici sono rappresentati da Dreni e trincee o Pozzi.
I primi operano in superficie entro 4-5 m mentre i seocndi in profondità.
204
Nello schema sopra si ha una possibile area di contaminazione viola, il flusso idrico è da dx verso sx
e quindi si avrà una migrazione del contaminante potenzialmente rilasciato dalla sorgente verso sx.
Mi aspetto che il pennacchio giunga sino al piccolo scavo alla base del versante. Invece che sfruttare
un piccolo avvallamento come nel caso 1, potremmo sfruttare una trincea che arriva ad una profondità
più elevata e con capacità anche di intercettare il fronte inquinante come nel caso 2. Se poi il
pennacchio fosse particolarmente sviluppato come nel caso 3. Potremmo catturarlo tramite un pozzo.
L’altra possibilità è operare con portata di iniezione o ricarica con lo scopo di minimizzare il gradiente
idraulico e quindi la pendenza della superficie piezometrica, la portata tende a 0 e quindi
immobilizziamo il contaminante come nel caso 4. L’altro caso 5 è quello di combinare le tecniche e
quindi usare un sistema di infiltrazione o di ricarica con vasca a dx, invertendo o forzando il gradiente
in una direzione preferenziale e poi estrarre l’acqua a sx tramite pozzo. Infine, nel caso 6, posso faro
usando 2 pozzi. I sistemi dovranno essere dimensionati in funzione degli abbassamenti intorno al
pozzo e di quelli che vorremmo avere ad una data distanza. Altra variabile è il raggio di influenza
205
perché ci darà l’estensione del cono di influenza o abbassamento e ci dirà entro quale zona potremmo
catturare rapidamente il flusso inquinante.
Ora vediamo l’applicazione nel Non Saturo di sistemi di ventilazione forzata chiamati Soil Venting.
Essa è una tecnica di rimozione dei composti organici volatili e semivolatili dalla zona non satura
tramite ventilazione forzata.
Ci sono due tipologie di venting e in genere vengono utilizzate in sequenza:
Essi sfruttano la volatilità che è controllata dalla tensione di vapore e la biodegradabilità delle
sostanze contaminanti.
I vapori o gas interstiziali sono rimossi tramite l’esecuzione e mantenimento del vuoto in un pozzo,
in modo da indurre una forte circolazione di aria e quindi la volatilizzazione e possibilmente la
biodegradazione (stimolazione e ottimizzazione dell’attività batterica tramite insufflaggio di aria) dei
contaminanti.
Questa tecnica necessita comunque di un trattamento in superficie, o la combustione, per abbattere il
contenuto in vapori contaminati prima del rilascio nell'atmosfera. Anche questa tecnica, come tutte
quelle impiegate per la bonifica e disinquinamento, necessita di punti monitoraggio e l'efficienza è
funzione delle caratteristiche del terreno e della volatilità della sostanza contaminante.
Le sostanze per cui è fattibile lo SVE sono i volatili (BTEX, cloroformio, cloruro di metilene, PCE,
TCE, DCE, metanolo, acetone, TCA), i semivolatili e per idrocarburi (kerosese, benzine, gasolio).
Il metodo è estremamente utile e efficace per la rimozione di contaminanti qualora il loro contenuto
nel terreno sia inferiore al livello di saturazione residua. Le possibilità di impiego del soil venting
sono varie:
206
Lo schema sopra mostra come funzione lo SVE ossia si ha un pozzo in verticale che entra all’interno
di una zona contaminata al di sopra della zona satura; il pozzo ha un tratto filtrante e c’è un sistema
di pompaggio che porta i fluidi a un impianto di trattamento o eliminazione. Per massimizzare
l’efficienza del sistema, dobbiamo massimizzare il perorso dell’aria attraverso la zona contaminata.
quindi la scelta della posizione del filtro, dell’eventuale portata e della distribuzione spaziale del
pozzo o dei pozzi serve a massimizzarne il percorso. Inoltre, vogliamo evitare una cortocircuitazione
del sistema e coviene quindi stendere una copertura impermeabile tipo un telo in modo da evitare
percorsi più brevi.
Vi sono poi altre modalità, vi è un applicazione in situ (2), in situ sfruttando un pozzo orizzontale
sotto una struttura (1), con trincee (3) con zona da trattare allungata o caso (4) lavorare ex sito, quindi
si porta a giorno la massa inquinante mettendolo su un telo ipermeabile e si fa ventilazione forzata in
tutte le direzioni.
207
Vi è poi un sistema particolare detto Barometric Pumping/Baroball dove con una prova
penetrometrica è spinta nel terreno una sonda con un tratto filtrante e quindi il gas può correre
velocemente attraverso esso verso la superficie. In funzione delle p atmosferiche, si avrà una
migrazione del gas più o meno spinta. Se c’è abbastanza pressione nel gas (se la pressione nel terreno
è > di quella atm), vi è una pallina all’interno che fa da valvola sferica: all’interno si avrà accumulo
di gas sino a che la pressione sarà tale da risollevare la pallina.
I sistemi di monitoraggio sono utili sia per la progettazione dei sistemi e degli impianti, per esempio
attraverso prove respirometriche, sia per verificare il funzionamento del sistema, per controllare
l’eventuale succedersi di fasi di accensione e spegnimento, per verificare il raggiungimento delle
soglie o limiti accettabili e l’eventuale occorrenza di processi di biodegradazione.
E’ evidente che data la natura della contaminazione e le modalità di funzionamento del sistema sarà
necessario monitorare punti a diversa profondità e distanza dai pozzi di iniezione e di aspirazione.
Il sistema è semplice e si pensi di avere un pozzo che fa insufflaggio e quindi iniezione di aria a sx e
un pozzo che estrae aria a dx. Il pozzo a sx mette pressione e indirizza il flusso verso il pozzo di
emungimento. Se a sx incremento la pressione e a dx la diminuisco creando un vuoto, in funzione
dell’aria che iniettiamo o estraiamo osserveremo una distribuzione di pressioni nell’aria a diverse
quote e a diverse distanze dai pozzi.
208
I sistemi di SVE possono poi essere accoppiati
a dei sistemi di controllo idrodinamico e di
circolazione forzata in edifici per evitare che
l’areazione del terreno causi migrazioni dei
vapori contaminati verso edifici. Anche qui si
ha un pozzo che estrae aria a sx, che crea una
depressione nelle pressioni. Per evitare la
migrazione verso l’edificio si fa aerazione e
quindi si spinge aria fuori dall’edificio e in più si sistema una barriera.
Pozzi e dreni suborizzontali, o pozzi direzionali o orientati sono particolarmente utili per pennacchi
contaminanti relativamente stretti e allungati e/o eventualmente ubicati al di sotto di strutture che
debbano essere mantenute in funzionamento. Il metodo dei pozzi suborizzontali o dreni suborizzontali
è adatto all'applicazione di diverse tecniche di trattamento e alla loro combinazione.
Si applica una ventilazione forzata e quello che vogliamo è che la zona di trattamento sia la più grande
possibile, ma il controllo di questa sarà funzione della granulometria del terreno, della portata estratta
e della permeabilità all’aria del terreno.
La permeabilità di un terreno ai gas è il parametro che rappresenta la capacità del mezzo poroso di
trasmettere un gas, in genere aria, e viene espressa in termini di lunghezza al quadrato (o in darcy).
Come per l’acqua la permeabilità, K, è funzione della struttura e tessitura del terreno e può essere
determinata da relazioni empiriche e da prove in sito. Massmann (1989) propone una
relazionempirica del tipo → dove D15 indica il diametro dei grani corrispondenti al 15% del passante.
L’altro parametro connesso alla permeabilità è il raggio di influenza che
è determinabile da prove in sito. In particolare, usando valori delle portate
insufflate o estratte attraverso un pozzo di diametro Rw a regime si scrive → ove μ è la viscosità
dinamica, H è la lunghezza del tratto fenestrato del pozzo, Pw è la pressione assoluta nel pozzo e Patm
è la pressione atmosferica.
209
Le Prove Pilota vengono realizzate tramite pozzi di insufflaggio/aspirazione, con possibilità di
controllo e variazione delle portate, e pozzi di monitoraggio. I pozzi di monitoraggio vengono disposti
in modo da risentire degli effetti dei pozzi di ventilazione e allo stesso tempo per verificare le
eventuali disomogeneità del sottosuolo. La disposizione più semplice è quella di 3 pozzi di
monitoraggio posti a distanze radiali di 2 m, 4 m e 8 m a 120° l’uno dall’altro o almeno posti a 3 volte
la soggiacenza della superficie piezometrica. Ma entro il limite massimo determinato dal raggio di
influenza (Ri).
Le prove di aspirazione di breve durata (circa 30 minuti) possono essere impiegate con misure dei
parametri principali condotte a intervalli predeterminati. I parametri di interesse sono:
Tali informazioni, insieme con il peso molecolare del contaminante estratto, consentono di ricavare
la massa di contaminante estratta. Le portate vengono invece fatte variare in tre gradini:
- 1/3 Qmax;
- 2/3 Qmax;
- Qmax (60-300 m3/h).
La Qmax è funzione delle caratteristiche del sistema di aspirazione. Tale modalità di prova a gradini
consente di ottimizzare il sistema di ventilazione forzata sulla base della portata estratta, della
depressione indotta e della concentrazione di VOC estratta.
Le prove pilota consentono la determinazione del raggio di influenza (ROI o Ri) indotto
dall’aspirazione attraverso un singolo pozzo. Tale distanza coincide in genere con quella in cui è
misurata una depressione pari ad almeno 0.25 mbar, ma è anche funzione della portata estratta e di
conseguenza va ottimizzato il numero di pozzi e la portata per singolo pozzo.
Attraverso il monitoraggio della depressione indotta in almeno tre pozzi, e plottando le misure in un
diagramma semilogaritmico della depressione indotta rispetto alla distanza dal pozzo di ventilazione,
210
si ottiene il valore del ROI tramite interpolazione lineare e lettura in
corrispondenza del valore di depressione limite (0.25 mbar). La
lunghezza del ROI è in genere inferiore a quella entro cui si avverte
un incremento dell’ossigenazione del sottosuolo. Quest’ultima
distanza è detta RAGGIO DI TRATTAMENTO (ROT, raggio in cui
si ha variazione del contenuto di O) ed è particolarmente utile per la
progettazione di sistemi in cui la biodegradazione abbia un ruolo importante.
La determinazione del ROT è è ottenuta tramite prove a gradini con misura di O2 e CO2 nei pozzi di
monitoraggio.
I Problemi più comuni nella realizzazione di queste prove sono nella possibilità che i filtri siano
immersi, per esempio per risalita della superficie di falda a seguito dell'aspirazione, nella sigillatura
insufficiente del pozzo e nel posizionamento errato, troppo lontano, dei punti di monitoraggio.
L'impiego dei sistemi di venting è funzione di: caratteristiche chimiche del contaminante e del flusso
d'aria nel terreno. Questi 2 parametri sono presenti nella relazione che descrive la quantità di materiale
contaminante rimosso dal sito per ogni giorno di funzionamento di un sistema di ventilazione forzata
→ dove Corg è la C contaminante in fase gassosa che è funzione della
pressione di vapore dello stesso, mentre Q è la portata di aria che è funcione
della permeabilità del mezzo. Una regola empirica che implica l'utilizzabilità del metodo è legata alla
volatilità del contaminate per cui è richiesta una pressione di vapore > 0.015 atm.
211
Abbiamo detto che misuriamo anche CO2 ed O2 attraverso la Prova Respirometrica, perché essi
sono due marcatori dell’attività microbica all’interno del terreno. Le modalità di prova sono simili a
quelle del venting, ma può essere utile realizzare delle prove anche in terreni non contaminati. Lo
scopo è quello di determinare il consumo di ossigeno nel tempo ai fini di quantificare il tasso di
biodegradazione del contaminante ed il quantitativo di ossigeno da apportare per ottimizzare la
biodegradazione. Il pozzo, realizzato nell’area non contaminata, è impiegato per ottenere una curva
di decremento dell’ossigeno dovuta esclusivamente all’attività di biodegradazione tipica del sito e
che può quindi essere utilizzata per correggere i valori registrati entro l’area contaminata.
La prova respirometrica prevede l’aspirazione o insufflazione di aria per un intervallo di tempo tale
da consentire il raggiungimento di concentrazioni dell’ossigeno prossime ai valori atmosfericie
comunque non inferiori al 14 % entro tutti i punti di monitoraggio disponibili. Allo stesso tempo
possono essere utilizzati dei gas inerti (es.: elio) come traccianti nelle operazioni di insufflaggio, per
avere un riscontro sperimentale del decremento delle concentrazioni dei gas nel sottosuoloa seguito
di fenomeni di diffusione.
Dopo la fase di ossigenazione si procede allo spurgo dei pozzi (almeno 3 volumi pozzo) di
monitoraggio e successivamente alla misura di O2e CO2al loro interno a intervalli iniziali di circa 2
ore e poi progressivamente a intervalli più lunghi. La durata della prova (in genere tra 24 e 96 ore) è
funzione del tempo di ossigenazione e di quello di decadimento della concentrazione di ossigeno,
almeno fino al 5 %, oppure almeno fino ad un decadimento pari al 6 %.
I dati raccolti vengono diagrammati rispetto al tempo (come per Cooper -Jacob) e in genere danno
dei diagrammi lineari (condizione ideale per acquifero confinato infinitamente esteso e con velocità
costante di aspirazione), confermando che la cinetica di reazione è di ordine zero.
L’analisi dei dati è fatta su quelli iniziali in quanto questi rappresentano l’effettivo tasso di utilizzo
dell’ossigeno. Indicativamente è possibile dire che i tassi di utilizzo dell’ossigeno variano tra 0.02 e
0.99 %/h nel caso di utilizzo di Bioventing in aree contaminate da idrocarburi. Il tasso di
biodegradazione, per il caso dell’O2, può essere così determinato →
Nel caso invece di impiego dei parametri di produzione della CO2 si potrà procedere alla
determinazione del tasso di biodegradazione tramite la seguente relazione proposta da Hinchee
(1992)→ stessa formula ma teniamo conto della C di CO2.
212
I valori di biodegradazione possono variare ampiamente ma in genere si ritengono idonei valori tra 5
a 10 mg/kg*gg.
L'impiego dei sistemi di venting è funzione di: caratteristiche chimiche del contaminante e del flusso
d'aria nel terreno. Questi 2 parametri sono presenti nella relazione che descrive la quantità di materiale
contaminante rimosso dal sito per ogni giorno di funzionamento di un sistema di ventilazione forzata
→ dove Corg è la C contaminante in fase gassosa che è funzione della
pressione di vapore dello stesso, mentre Q è la portata di aria che è funcione
della permeabilità del mezzo. Una regola empirica che implica l'utilizzabilità del metodo è legata alla
volatilità del contaminate per cui è richiesta una pressione di vapore > 0.015 atm.
L'applicazione della equazione soprastante implica la stima della concentrazione del composto
organico nella fase vapore e ciò è per esempio possibile conoscendo: Porg, (pressione di vapore del
solvente puro), peso formula del contaminante e frazione molare del solvente organico. La portata Q
è determinata dalla permeabilità del mezzo poroso e dalla velocità di estrazione del vapore.
Johnson (1990) ha studiato un metodo per verificare la possibilità di funzionamento di un impianto
SVE. Tale metodo si basa sull’analogia tra flusso del gas e dell’acqua e sviluppa un’equazione per il
calcolo del flusso di gas per spessore unitario del tratto filtrante.
213
Video 40: scavo e trattamento ex sito, UST underground storage tanks, sistemi di
air sparging per la bonifica in sito nel saturo, strippaggio in pozzo
Lo scavo e l’asportazione dei materiali contaminanti rappresentano una soluzione non sempre
fattibile e in genere adatta per depositi o sorgenti poste a piccole profondità e in cui la rimobilitazione,
a seguito dello scavo e dell’eventuale trasporto, dei materiali non causino pericoli e rischi maggiori.
La tecnica prevede lo scavo del materiale per un successivo trattamento in superficie (soil venting,
termico, eccetera) o per la messa a discarica e successiva sostituzione con terreno nuovo.
Un’altra fase molto importante per lo scavo e il recupero di zoe industriali è quello di estrarre
serbatoi interrati che possono essere giacenti da lunghi periodi e possono anche essere stati soggetti
a fenomeni di disturbo, corrosione che può causare dei fenomeni di rilascio di contaminante.
L’operazione è molto delicata e in alcuni casi può essere facilitata tramite inertizzazione perché ci
possono essere dei residui di sostanze contaminanti nei serbatoi e a seguito dei danni già subiti o della
movimentazione, ci può essere un rilascio. Quello che si può fare quindi, è l’inertizzazione di questi
serbatoi ossia mettere sabbia o cemento nel serbatoio in modo da bloccare la propagazione
dell’eventuale sostanza attraverso le parti indebolite del serbatoio.
214
Tra i Trattamenti in Sito degli acquiferi e delle acque sotterranee si possono citare:
L’Air Sparging consiste nell’iniezione di gas (aria o ossigeno) in pressione all’interno di un pozzo
realizzato entro la zona satura al fine di volatilizzare i contaminanti disciolti nelle acque sotterranee
e presenti sia come NAPL sia come materiale adsorbito nella matrice del terreno. La tecnica è
applicabile a quei casi in cui siano presenti contaminanti suscettibili di volatilizzazione e
biodegradazione diretta o indiretta. Laddove i fenomeni biodegradativi divengono dominanti si
parlerà di Biosparging.
215
I contaminanti volatili migrano verso l’alto e possono essere rimossi nella zona non satura attraverso
un sistema di estrazione SVE. Il metodo richiede per la sua applicabilità la presenza di materiali con
permeabilità medio-alta.
Il flusso dell'aria avviene per lo più in forma canalizzata e non proprio in forma di bolle. La
formazione di tali canali è immediata e poichè essi rappresentano gli elementi più permeabili all’aria
dopo la loro individuazione, si mantengono nel tempo. Di conseguenza entrerà in gioco anche la
diffusione del contaminante dalle aree più distanti alle più prossime ai canali di deflusso dell'aria
diminuendo nel complesso la possibile efficacia del metodo o per lo meno rallentandone l’azione di
bonifica. Inoltre, in funzione della presenza di eterogeneità dell’acquifero, è possibile osservare la
deviazione del flusso d'aria intorno a lenti a
bassa permeabilità.
Un sistema di Air Sparging prevede
l’insufflaggio di aria, quindi, all’interno di pozzi
con tratti filtranti al di sotto della tavola
d’acqua. Quello che si avrà, è che l’aria inizierà
a gorgogliare attraverso il mezzo acquifero e
salirà sino alla superficie per poi dare dei vapori
che arrivano all’interno della zona insatura. Essi
devono essere eliminati e per farlo si associa un sistema di venting o SVE che preleva i vapori
rilasciati durante l’AS. Noi abbiamo un flusso di aria che causa la volatilizzazione del NAPL →
vapore. Ci possonoe ssere dei problemi e nello schema è rappresentato ossia ci possono essere delle
piccole lenti argillose e quello che si ha è che i
percorsi di aria saranno fortemente deviati.
216
superficie ma solo il più vicino alla ramificazione, mentre quello attorno non avrà la possibilità di
essere attraversato dal flusso di aria e quindi l’unica cosa che potrà movimentare il NAPL è un
eventuale ricircolo dell’acqua dato da disturbo di risalita di aria oppure dei fenomeni diffusivi; 2)
poiché noi gettiamo all’interno aria con pressione maggiore di quella idrostatica, questa gorgogliando
in superficie causerà un innalzamento o “mounding” della falda e ciò è problematico perché se
abbiamo un sistema di venting vicino dobbiamo stare attenti che la differenza di quota tra mounding
e fondo pozzo sia tale da assicurare che l’acqua non entri nel venting.
Inoltre, ci interesserà definire quanto srà ampia la zona di trattamento, che geometria avrà e quindi
qual è il volume di terreno da trattare e a che profondità dovremmo andare a mettere il tratto filtrante.
L’air sparging va scartato come soluzione da adottare per la bonifica nei casi in cui esista fase libera
del prodotto contaminante, in quanto l’effetto di innalzamento del livello di falda può causare la
migrazione laterale del prodotto e quindi una diffusione del contaminante oppure se esistano edifici,
fognature o altri spazi confinati in vicinanza entro cui possano migrare i vapori prodotti, a meno di
attivare un sistema di venting per l’estrazione degli stessi o se si sia in presenza di condizioni
confinate dell’acquifero. In tali condizioni l’aria iniettata sotto falda potrebbe essere intrappolata nel
sottosuolo.
L’efficacia dei sistemi AS è controllata all’idoneità della fase disciolta o vapore dei composti presenti
a ripartirsi determina la distribuzione di equilibrio degli stessi tra fase disciolta e fase vapore. Tale
partizione determina quindi la massa di contaminante estraibile; la permeabilità del terreno che
influenza la quantità d’aria iniettabile entro la zona satura.
217
solida). Composti con tensione di vapore > 0.5 mm Hg sono da ritenersi trattabili tramite AS, la
concentrazione del composto: serve a valutare i valori iniziali e quelli obiettivo della bonifica
scartando eventualmente l’AS se in presenza di fase libera del prodotto.
La solubilità in acqua del composto, ossia quantità massima che può essere disciolta in acqua. Non
deve essere usata come indicatore unico dell’efficacia del sistema di AS, poichè la pressione di vapore
e la costante di Henry hanno maggior rilevanza. Composti con elevata solubilità e bassa volatilità
possono essere rimobilizzati per dissoluzione e non per volatilizzazione dai sistemi di AS.
La permeabilità intrinseca (cm2), limita l’applicabilità a ghiaie e sabbie medie e grossolane.
I caratteri stratigrafici dell’area, quali tessitura fine di alcuni livelli, o presenza di lenti o livelli
impermeabili, condizionano la mobilità dell’aria e causano migrazione laterale dei vapori strippati.
La concentrazione ferro disciolto nelle acque è importante in quanto la presenza di Fe2+ nelle acque
di falda può causare una riduzione della permeabilità nella zona satura durante l’esercizio dei sistemi
di AS. Infatti, se il ferro disciolto è esposto all’ossigeno viene ossidato a ossido di ferro insolubile
(Fe3+) che quindi precipita nella zona satura e occlude i pori del terreno riducendone la permeabilità.
La precipitazione del ferro avverrà preferenzialmente in vicinanza dei pozzi di iniezione ove il
contenuto di ossigeno sarà massimo e quindi si avrà un rapido decadimento dell’efficienza del sistema
di iniezione dell’aria. In genere si ritiene adatto all’applicabilità un valore di concentrazione di ferro
disciolto < 10 mg/l, mentre tra 10 e 20 mg/l saranno necessarie operazioni di verifica e rigenerazione
dei pozzi. Per valori > 20 mg/l la realizzazione di sistemi di sparging è sconsigliata.
Per la progettazione e il dimensionamento sarà indispensabile eseguire delle prove pilota in cui
almeno 5 pozzi di monitoraggio andrebbero posti intorno al pozzo di iniezione.
Il pozzo di iniezione deve consentire di testare l’iniezione a diverse profondità, mentre i pozzi di
monitoraggio devono poter consentire il monitoraggio nell’insaturo e l’eventuale campionamento nel
saturo. Anche per lo sparging si utilizzano prove a gradini, con portate di aria normalizzata pari a 1
fino a 20 volte la portata di falda attraverso la sezione di acquifero influenzata dal pozzo di iniezione
e con una pressione pari al battente d’acqua esistente alla profondità di iniezione maggiorato di 500-
1000 mbar. La cella di terreno trattata avrà lati lunghi il doppio del Ri o ROI e altezza pari al battente
esistente sopra al punto di iniezione.
Durante i test pilota vanno monitorati i valori di:
218
- concentrazioni nei pozzi di monitoraggio;
- concentrazioni dei composti disciolti.
Vi è poi una tecnica simile alla precedente ossia lo stripaggio in pozzo dei vapori che è realizzabile
attraverso la creazione di un sistema o cella di circolazione. Tale cella di circolazione è realizzata
tramite iniezione di aria o altro gas inerte entro una zona contaminata attraverso il tubo centrale di un
pozzo con doppio rivestimento. L'iniezione di aria crea un sistema di sollevamento dovuto al
gradiente di densità, inducendo la risalita di acqua sotterranea con le bolle d'aria disperse in essa e di
conseguenza la partizione o separazione dei componenti volatili (VOC e SVOC) dalla fase disciolta
alla fase vapore. Ci sono 2 tecniche: a sx vi è un tratto filtrante nel pozzo di grande diamtero e quindi
l’acqua può entrare all’interno del tratto
filtrante e viene fatta ricilcare tramite sparging
di una tubazione all’interno; a seguito della
posa di tale tubazione ed iniezione di aria, le
bolle di aria gorgogliano verso la superficie
trascinando l’acqua verso l’alto e
innescheranno un flusso dalla falda verso il
pozzo. Ci sarà il mounding ma sarà controllato
in parte dalla presenza del tratto filtrante (dove
si incrociano frecce blu e rosse). In questo tratto, accade che vi è un intercapedine che serve per fare
aspirazione. Si ha mounding e ritorno dell’acqua pulita in basso in falda, mentre i vapori sono estratti
dall’intercapedine del doppio rivestimento. Quindi, si ha aria iniettata che causa un flusso per
219
trascinamento e poi anche allo stesso tempo causa strippaggio come nello AS della sostanza volatile
che è recuperata dal sistema di aspirazione.
Nel caso 2 a dx, invece, si ha un sistema compelsso in cui si ha sia iniezione sia risalita dell’acqua a
seguito della spinta del galleggiamento, si ha un mounding, si ha la riuscita dell’acqua trattata in
corrispondenza della tavola d’acqua e poi il vapore qui viene immesso nella zona insatura. Quello
che si farà è un sistema di venting esterno.
Guardiamo ora un tecnica per la fratturazione idraulica o pneumatica e in questo caso l’idea è di poter
lavorare all’interno di materiali a bassa permeabilità, aumentandone la permeabilità e quindi la
capacità di trasporto e di messa a contatto dei fluidi fatti circolare nel mezzo con zone via via più
estese. Quindi, i metodi di fratturazione idraulica consentono la generazione di una rete di
fratture che permettono di avere una maggiore permeabilità rispetto ai diversi fluidi presenti nonché
quindi una più rapida bonifica del mezzo poroso. Essa si realizza tramite iniezione a elevate pressioni
di acqua, sabbia e additivi biodegradabili a fondo foro o iniezione in pressione di aria. L’impiego di
acqua e sabbia è motivato, oltre che dalla necessità di un fluido che induca la fratturazione, anche da
quella di impedire la chiusura successiva delle fratture indotte e dall’aumento richiesto della
permeabilità. Va precisato però che i risultati ottenibili da tale tecnica possono essere inficiati dalla
difficoltà o impossibilità di controllare la direzione di propagazione delle fratture. In assenza di tale
controllo si può avere la migrazione del contaminante in settori in cui la qualità delle acque è migliore.
220
Il lavaggio del terreno contaminato può essere fatto in sito e in generale si parla di in situ flushing o
ex sito e spesso si parla di soil washing. Essi sono metodi di tipo fisico ossia sfruttano la separazione,
l’isolamento o concentrazioni delle sostanze contaminate senza indurre la loro distruzione.
In genere, le tecniche ex sito sfruttano le differenze granulometriche, la gravità specifica, la velocità
di sedimentazione o le proprietà chimiche superficiali.
Ex sito si opera tramite frantumazione del terreno, se i contaminanti sono negli aggregati di maggiori
dimensioni, disgregazione meccanica degli aggregati, con getti d’acqua a pressione elevata, e
sfregamento energico degli aggregati per allontanare i contaminanti che tendono ad aderire in
superficie agli stessi.
I metodi in sito sono noti anche come iniezione/ricircolo o lavaggio di terreno in sito. Si opera
tramite infiltrazione di una soluzione entro una zona contaminata a cui si fa seguire un prelievo di
acqua a valle con successivo trattamento in superficie e/o reiniezione. Le soluzioni impiegate possono
includere tensioattivi (surfattanti e cosolventi), acidi, basi, solventi o acqua.
Qualsiasi combinazione e tipologia di opere di iniezione o prelievo può essere adottata. Al fine di un
corretto utilizzo di tali sistemi in sito, è però richiesta una conoscenza approfondita della condizione
geologica e idrogeologica. Questi metodi sono applicabili al meglio per terreni a permeabilità media
o alta in sito e possono vedere una combinazione di sistemi di emungimento e di iniezione.
Il problema di queste tecniche è
che richiedono una conoscenza
precisa della geologia,
dell’estensione della zona
contaminata, delle condizioni
idrogeologiche ed eventuale
interconnessione con acque
superficiali. Nel caso a lato si fa
un lavaggio del terreno tramite infiltrazione e irrigazione spray forzata dalla superficie con acqua
presa da acque di superficie, viene fatta infiltrare, questa percola nella zona contaminata nel non
saturo e può portare all’interno del saturo, il contaminante che in fase disciolta potrà viaggiare nella
direzione di flusso prevalente sino ad un pozzo barriera che riemungono l’acqua contaminata, la
riportano a giorno e poi al trattamento.
L’assenza della conoscenza geo e idrogeo locale può far perdere o disperdere il contaminante
all’interno della falda senza essere i grado di recuperarle del tutto.
221
Il recupero può essere mandato o all’interno
di vasche che possono poi essere ripescate
per un continuo utilizzo oppure possono
essere mandate in rete fognaria e in genere
ciò non è concesso a meno che non sia chiaro
il livello di C che si immette; ci può essere
poi una reimmissione in falda delle acque
trattate o un recapito nelle acque di
superficie. Quindi, un’approfondita
conoscenza anche del contaminante è importante perché potremmo verificare se la sostanza è
rimobilizzabile o meno da un semplice flusso d’acqua oppure ci verrà richiesta l’aggiunta di
particolari sostanze che possano solubilizzare e mobilizzare velocemente la sostanza.
Il passo successivo può essere quello di trattare in sito il materiale contaminante per es. tramite
una stabilizzazione di tipo permanente e ciò può essere fatto con diverse tecniche: fissamento in sito
o immobilizzazione.
Esso è un processo di trasformazione di contaminanti organici e/o inorganici allo stato innocuo e/o
immobile per iniezione o infiltrazione di agenti stabilizzanti entro l'area contaminata. I
contaminanti possono essere legati fisicamente o inclusi entro una massa solidificata o la loro mobilità
può essere ridotta tramite reazione chimica; è necessaria una conoscenza esatta delle condizioni
idrogeologiche locali; meglio applicato a terreni a permeabilità da media a elevata.
Quello che si può fare è per es. operare del soil mixing ossia viene fatto con agenti che stabilizzano
la sostanza e operano direttamente sul terreno che viene miscelato o con escavatore o in profondità
con delle benne. La sostanza contaminante si assorbe o se ne rallenta il rilascio. Un'altra modalità è
quella della solidificazione in sito tramite fusione ossia si possono creare tramite riscaldamento a
profondità variabili dalla superficie, si ha riscaldamento a T elevate del terreno che può fondersi e
bloccare all’interno della sua massa vetrosa anche la sostanza contaminante.
222
I trattamenti termici consentono di risanare terreni contaminati da sostanze organiche e, talora,
anche di rimuovere o immobilizzare efficacemente le sostanze inorganiche. Anche in questo caso si
può operare sia con sistemi in sito che ex sito. Questi trattamenti possono essere raggruppati in due
grandi categorie, in base allo schema di processo e alle modalità operative. In particolare, in funzione
delle diversità di trattamento sulla matrice solida del terreno, si parla di:
- Terreni trattati a T < 460°C si deteriorano parzialmente per mineralizzazione della frazione
organica e per trasformazione e riorganizzazione degli ossidi di Fe e Al. Tale deterioramento
non compromette il riutilizzo del terreno stesso a fini agronomici data la rigenerazione
naturale della sostanza organica;
- Terreni trattati a T tra i 500°C e i 900°C perdono gli ossidrili delle argille, subiscono la
dissociazione dei bicarbonati e quindi anche un danneggiamento irreversibile della struttura
minerale e delle caratteristiche chimiche e nutrizionali. L’uso agronomico sarà impossibile e
al massimo lo si potrà usare come materiale di riempimento.
- Terreni trattati a T > 900°C arrivano al punto di fusione e quindi il prodotto sarà un
materiale vetroso adoperabile nell’edilizia per riempimenti o sottofondi stradali.
I trattamenti di desorbimento termico sono finalizzati alla vaporizzazione dei contaminanti organici
volatili (VOC) e semivolatili (SVOC).
Nei trattamenti in sito, l’impiego di vapore, di acqua calda, di frequenze radio o di esistenze elettriche
consentono di alterare la temperatura del suolo e quindi le proprietà termo-dipendenti dei
contaminanti facilitandone la loro mobilizzazione, solubilizzazione e rimozione. Il vapore è più
223
funzionale in terreni da mediamente a fortemente permeabili, mentre le radiofrequenze e correnti
alternate possono essere meglio adottate in terreni a bassa permeabilità.
I diversi metodi con cui operare vanno comunque scelti in base alle caratteristiche del contaminante,
dei terreni contaminati e delle condizioni sature e non sature degli stessi.
La realizzazione di tali sistemi di trattamento richiede l’esecuzione di prove pilota e quindi un attento
monitoraggio degli effetti del funzionamento. È comunque evidente anche in questo caso la necessità
di provvedere alla realizzazione di una rete di punti di iniezione/riscaldamento e di estrazione
opportunamente ubicati in base alla posizione del contaminante entro il terreno e alle caratteristiche
del terreno e del contaminante.
Il riscaldamento tramite resistenza elettrica può essere fatto a 3 fasi che è adatto ad aree grandi e
non circolari con un sistema bilanciato. Può essere anche fatto a 6 fasi usando 6 elettrodi connessi a
maglia esagonale e uno centrale neutro a cui è accoppiato un pozzo di estrazione di vapore adatto per
aree circolari; il sistema non è bilanciato elettricamente. Il riscaldamento specie in terreni fini,
diminuisce la viscosità, aumenta la volatilità e quindi la mobilità.
224
Esistono poi dei sistemi a diaframma dette anche Barriere Reattive Permeabili o barriere passive.
Tali metodi prevedono la realizzazione di una trincea successivamente riempita con un materiale
reagente (ferro zero valente, zeoliti, microrganismi, carboni attivi, torbe, bentonite, calce, ceneri,
segatura, etc.) in modo da consentire un trattamento passivo delle acque contaminate che lo
attraversano.
Il trattamento passivo si realizza, in
genere, tramite adsorbimento,
degradazione, precipitazione, ma
chiaramente necessita di una
chiusura completa dell'acquifero
ossia di un acquitardo alla base e una conoscenza molto precisa del gradiente idraulico locale e delle
sue variazioni stagionali o occasionali. I diaframmi passivi devono essere collocati in posizioni
strategiche per intercettare i pennacchi inquinanti.
Le barriere possono essere continue o accoppiate a dei diaframmi (funnel&gate) plastici impermeabili
che funzionano da imbuto per direzionare il flusso verso l’elemento attivo.
Il funzionameno è adatto sia per acquiferi liberi sia confinati. Nelle figure seguenti vediamo per un
a. confinato si ha una serie di pozzi di iniezione che si realizzano una zona di trattamento oppure con
una trincea profonda
che taglia
l’acquifero
confinato ed obbliga
il flusso attraverso il
materiale reattivo
della trincea e
quindi l’eventuale
bonifica.
Nella figura sotto, invece, si ha l’a. libero o non confinato sarà necessario tenere in conto che si avrà
oscillazione della falda e quindi il diaframma dovrà estendersi con la parte reattiva al di sopra della
superficie di falda e poi
ci sarà un tampone che
eviterà l’infiltrazione di
acqua dalla superficie.
Se siamo in presenza di
un surnatante (LNAPL), potremmo approfondire il diaframma senza sezionare l’intero acquifero, ma
225
sono entro una certa profondità in modo che sia il pennacchio sia la fase libera venga catturata. Se
siamo prossimi alla sorgente contaminante o se ci allontaniamo, il pennacchio rischierà comunque di
approfondirsi o estendersi e quindi ci servirà all’aumentare della distanza un diaframma più esteso.
La realizzazione dei diaframmi può avvenire con le stesse tecniche dei diaframmi
impermeabilizzanti visti in precedenza e quindi le trincee possono essere realizzate a diverse
profondità, fino al substrato impermeabile o eventualmente sospese fino ad una certa profondità entro
la falda, con o senza realizzazione di diaframmi impermeabili di invito del flusso sotterraneo e con
uno o più tratti chimicamente attivi. La progettazione di tali sistemi richiede la conoscenza dei
contaminanti presenti in falda e anche una stima quanto più esatta delle masse coinvolte per evitare
la neutralizzazione totale della capacità di trattamento del diaframma.
I criteri per la selezione dei materiai reattivi usati sono: la reattività, la stabilità in quanto il materiale
deve rimanere fermo nel medio e lungo termine, disponibilità e costo, performance idraulica,
compatibilità ambientale e metodo di costruzione.
I materiali possono essere: ferro 0 valente, materiali fosfatici, organici a base C e O, zeoliti o argille
compatibili con sostanza organica.
Per testare i materiali si usa una prova di laboratorio in colonna dove si simulano le condizioni naturali
della barriera.
226
Video 42: RGBZ reactive gas barriers and zones, biodegradazione, recettori e
donatori di elettroni; bioslurping, condizioni ideali di funzionamento di sistemi di
aspirazione-ventilazione in presenza di NAPL
Le Reactive Gas Barriers and Zones (RGBZ) creano una barriera reattiva nella direzione di flusso
iniettando dei gas come ossigeno o ossigeno + traccianti come gas nobili per tracciare il
funzionamento di questi sistemi. Qui sotto vediamo 2 schemi che sono chiamati il primo Stand Alone
e il secondo è un Pre/Post reactive gas
zones. Il caso a) consiste nell’iniezione
diretta di gas in profondità in modo che si
ridistribuisca all’interno dell’acquifero su
una grossa sezione in modo da creare una
zona a gas intrappolato che può causare
una riattivazione di alcuni processi di
degradazione nella zona verso valle.
Quindi, vi è una degradazione nella zona
direttamente connessa all’iniezione di gas
+ una zona arricchita di O a valle della
barriera e qui potrà realizzare o
continuare la biodegradazione tramite
processi che sfruttano l’ossigeno o
eventuali gas immessi. Il caso b) prevede
un accoppiamento con delle barriere di altro tipo come una barriera idraulica in termini di controllo
della velocità oppure una barriera reattiva con un diaframma reattivo. Quindi, in questo caso le due
zone di iniezione servirebbero come strumenti di eliminazione di alcuni dei contaminanti o di
alleggerimento del carico prima di arrivare alla barriera reattiva oppure a valle per diminuire ancora
di più il carico che potrebbe rimanere a valle della barriera.
I metodi di RGBZ operano con iniezione diretta di gas a bassa pressione o ad alta pressione; la barriera
reattiva è installata facilmente e per farlo sono necessari pochi pozzi di piccolo diametro allineati o a
griglia. Per fare questi si possono usare sistemi di tipo direct push o con spinta dall’alto di aste co
tratti filtranti per iniezione. Si possono inserire anche dei reagenti e la differenza dallo sparging dove
si dà preferenza all’iniezione di aria. A causa della bassa capacità di stoccaggio dei gas, i domini
227
rocciosi fratturati e gli acquiferi non confinati con uno spessore di 3-5 m non sono adatti ad
applicazioni PRB del gas.
Il funzionamento può essere più o meno favorito dalla presenza di altre sostanze e ciò perché se
abbiamo dei VOC e una trasformazione di queste sostanze nell’acquifero, si possono formare delle
bolle di gas abbastanza concentrate che possono rendere difficile il flusso e in alcuni casi anche lo
stripping della sostanza da dei cluster formati. Allo stesso tempo, sarà difficile per gli eventuali
microorganismi avvicinarsi a queste bolle di gas o sostanza da trasformare. L’altro problema che
potremmo avere è che i NAPL vanno a mettersi all’interno dei pori e questa zona potrebbe essere di
difficile raggiungimento e rimozione dai gas che andiamo ad iniettare.
I trattamenti biologici impiegano, in genere, una popolazione naturale o impiantata di batteri per
trasformare i contaminanti organici in composti a minor tossicità.
Tali trattamenti possono essere in genere accoppiati ad altri sistemi di estrazione o iniezione, anche
in funzione del tipo di attività microbica. Questi sistemi presentano una migliore fattibilità in sabbie
e ghiaie.
In genere, le reazioni più importanti comportano l'ossidazione di composti organici attraverso dei
recettori di elettroni tipo O2, NO3-, SO42-, CO2 e grazie al controllo operato dai batteri. Tali reazioni
sono estremamente importanti perché controllano l’attenuazione naturale dei contaminanti a seguito
dell’attività microbica.
Ci sono delle popolazioni batteriche che lavorano a diverse T: psicrofili (0-70°C), mesofili (40-
110°C) e termofili (110-200°C). Quindi dobbiamo porre attenzione alle condizioni ambientali ma
anche e soprattutto a quelle stagionali.
Tali reazioni ad opera prevalente dei batteri possono essere aiutate ingegneristicamente per esempio
tentando di incrementare il contenuto di ossigeno. Il limite principale è rappresentato dalla solubilità
relativamente ridotta
dell'ossigeno in acqua. Infatti,
l’ossigeno puro ha una
solubilità di 40 mg/l in acqua.
Un modo di influenzare il
contenuto di ossigeno può
essere quello di usare il
perossido di idrogeno (H2O2):
H2O2 → H2O +1/2 O2 che
228
comunque presenta il problema di un rilascio regolare e continuo che è possibile solo tramite
stabilizzazione del perossido di idrogeno. In genere, le tecniche di stabilizzazione sono di proprietà
di alcune società che operano sul mercato.
La biodegradazione, quindi, prevede l’aggiunta di nutrienti, l’eventuale ossigenazione, si ha iniezione
→ a valle ci sarà un pozzo di recupero delle sostanze o mantiene il flusso attraverso la zona
contaminata per garantire che l’ossigeno e nutrienti vengano messi a disposizione dei batteri per
consumare il substrato che è dato dal contaminante organico presente.
Una delle tecniche si può utilizzare è detta Bioslurping ed è un metodo che usa un pompaggio
sottovuoto di una fase LNAPL in cui
nella zona insatura è iniettato un flusso
di aria. La modalità di separazione dei
fluidi aspirati sarà una separazione
aria-liquido perché si potrà sia aspirare
vapore ed aria sia la fase fluida-
LNAPL e poi ci sarà una separazione
fisica tra l’acqua e l’olio che avranno
densità diverse e separazione legata al
galleggiamento.
229
questo caso, si ha un pozzo che pompa, si aumenta il flusso verso il pozzo e si ha scorrimento lungo
l’interfaccia rossa.
La figura a sx mostra un terzo
problema dove si aspira vapore dal
non saturo e sotto si ha una
contaminazione residua o libera e
sopra di essa dei vapori che si
liberano. Potremmo quindi
aspirarli progressivamente e in
questo caso aspireremmo in modo
tangenziale rispetto alla
contaminazione.
Video 43: sistemi di barriere idrauliche, pozzi barriera, pozzi spurgo, strategie di
bonifica adottabili; modelli concettuali, fenomeni di tailing e rebound, saturazione
residua, dissoluzione e desorbimento
Alcuni sistemi di iniezione e pompaggio sono stati progettati ai fini della rimozione di contaminanti
che sono immiscibili in acqua (NAPL). Esistono diverse tipologie di contaminanti immiscibili e in
particolare la distinzione in due grandi gruppi è fatta sulla base del loro peso di volume, ossia se è
minore sono LNAPL, se sono maggiori sono DNAPL, riferendosi a quello dell’acqua.
L’applicazione di tali metodi di pompaggio al recupero della fase libera di NAPL si basa su alcuni
principi ossia di uno sviluppo di un cono di depressione in modo da far defluire il prodotto verso il
pozzo e la rimozione di esso in fase libera entro il pozzo. Varie tecniche di recupero sono state messe
a punto e queste si differenziano sostanzialmente per il numero di pozzi e di pompe impiegati e sulle
modalità di messa in opera del sistema. I metodi sono per esempio: a pompa unica o singola, a doppia
pompa; essi sono realizzati in pozzo singolo o due pozzi vicini.
230
Nel caso del metodo a pompa unica, pompe ad
elevata velocità emulsionano il LNAPL in acqua per
cui si necessità un trattamento in superficie e
nonostante esso l’acqua può ancora trattenere in
soluzione del contaminante. Altri sistemi di
pompaggio rispetto a quello a pompa singola
consentono il prevenire la miscelazione tra acqua e
fase libera del prodotto. Per es. il sistema a 2 pozzi a
doppia pompa oppure quello a pozzo singolo a
doppia pompa. Quest’ultima modalità necessita di un
maggior diametro del pozzo poiché la pompa e
strumenti di monitoraggio devono essere presenti nel
pozzo. Lo schema ha un'unica pompa immersa nel
pozzo, un tratto filtrante ed un elemento granulare che dovrà essere inerte per non assorbire
contaminante; si ha una fase libera di LNAPL, il filtro e il pozzo aspirano acqua verso il pozzo appena
la pompa si accende. La pompa in questo caso preleverà sia acqua sia olio. Inoltre, serve il
galleggiante in quanto se il livello dell’acqua salga, la pompa aspirerebbe solo acqua e in questo caso
dovremmo spostare la pompa o aumentare la portata.
Lo schema sx mostra un sistema a pozzo singolo, ma
con 2 pompe e in particolare, la seconda pompa è
galleggiante detta “skimmer” che screma il LNAPL
che galleggia e arriva nel pozzo sotto l’azione
idrodinamica di una pompa che abbassa il carico
idraulico nel pozzo, si ha quindi un deflusso di
LNAPL verso il pozzo e lo skimmer ne fa un
prelievo, galleggiando sul LNAPL. Galleggiando la
pompa, si evita di prelevare anche l’acqua. Altro
elemento interessante è il tampone di bentonite che
serve a evitare che un abbassamento eccessivo del
LNAPL possa andare direttamente nella pompa e
causare un problema. Sia nel caso 1 sia nel 2 se ci
sono abbassamenti forzati senza tampone, succede che si preleva insieme olio e acqua → in questa
fase succede che i due sono miscelati dal sistema di pompaggio e si crea un emulsione e quando si ha
un emulsione in fase di accumulo nel serbatoio, diventa difficile separare le due fasi.
231
Il sistema a doppia pompa implica che l'acqua non sia pompata a portate elevate poiché ciò
porterebbe ad un abbassamento del livello del prodotto tale da condurre al pompaggio dello stesso
tramite la pompa dell'acqua con conseguente contaminazione della stessa e di tutto il sistema di
recupero, riciclaggio o reiniezione
dell’acqua.
La rottura della pompa del prodotto in
fase libera può causare un aumento dello
spessore dello stesso entro il pozzo e di
conseguenza anche il movimento dello
stesso fino alla pompa dell'acqua a causa
della pressione che esso esercita
sull’acqua. Per tali ragioni è
indispensabile un sistema di sensori che
controlli la posizione del fronte di
contatto tra acqua e prodotto libero in
ogni momento di funzionamento del
sistema. Lo schema sx mostra un
sistema a pozzo singolo, ma con 2
pompe e in particolare, la seconda
pompa è galleggiante detta “skimmer” che screma il LNAPL che galleggia e arriva nel pozzo sotto
l’azione idrodinamica di una pompa che abbassa il carico idraulico nel pozzo, si ha quindi un deflusso
di LNAPL verso il pozzo e lo skimmer ne fa un prelievo, galleggiando sul LNAPL. Galleggiando la
pompa, si evita di prelevare anche l’acqua. Altro elemento interessante è il tampone di bentonite che
serve a evitare che un abbassamento eccessivo del LNAPL possa andare direttamente nella pompa e
causare un problema.
Nel caso della figura sopra, si hanno 2 pozzi e 2 pompe: un pozzo pompa acqua e sfrutta un rilevatore
di contaminante per evitare che l’abbassamento indotto dalla pompa sia troppo forte tale da riportare
il contaminante vicino alla pompa e quindi una contaminazione del circuito dell’acqua da parte del
LNAPL. Nell’altro pozzo, invece, si ha una pompa che tende ad aspirare solo il contaminante e quindi
sfrutterà un rilevatore galleggiante per essere posta alla quota corretta in funzione degli abbassamenti
della falda e sollevando quanto più contaminante libero possibile.
La spaziatura tra i pozzi sarà funzione delle portate pompate, della geometria del raggio di influenza
e quindi della zona di richiamo dell’LNAPL.
232
Ci sono poi delle altre modalità in cui vi è un pozzo singolo ma una doppia pompa dove nel secondo
caso che si ha uno skimmer visto in precedenza, mentre nel primo caso si hanno 2 pompe con pozzo
grande, una per il LNAPL e una per l’acqua. Entrambe le pompe sfruttano una sonda di
riconoscimento del contaminante. Questi sistemi sono anche detti Dual Drop.
L’applicazione di tali sistemi di recupero al caso dei DNAPL è chiaramente più complessa. Infatti, è
più difficile recuperare il prodotto libero anche perché non può essere sufficiente prelevare il prodotto
accumulatosi nel fondo foro.
La soluzione più logica e funzionale in tali condizioni consiste nel posizionamento di una pompa a
quota superiore al fondo foro in modo da operare un'azione di richiamo o risucchio del liquido
deposto lungo il tetto dello strato impermeabile di base. Evidentemente l’efficienza di tali sistemi è
fortemente influenzata dalle condizioni locali e dal posizionamento del pozzo rispetto a queste. Per
esempio, il caso di una depressione entro il tetto del substrato impermeabile può favorire la
funzionalità e la capacità di recupero di un DNAPL che tenderà a raccogliersi entro la depressione
stessa.
Il problema che potremmo avere è andare a
recuperare la sostanza inquinante in
profondità: una delle soluzioni potrebbe essere
lo scavo di una trincea, riempirla con materiale
permeabile e estrazione con tubo drenante
233
immerso nella trincea e pozzi che lo portano in superficie. In questo modo, in presenza di DNAPL in
prossimità del fondo, possiamo recuperalo anche se è sul fondo.
234
Esiste la possibilità di utilizzare dei sistemi di Pump & Treat o pozzi barriera per operare sui
pennacchi. Esso è una specie di contenimento idraulico o fisico che consente di recuperare la qualità
dell’acqua, recuperando le soluzioni di contaminante nell’acquifero e può avere diversi obiettivi. Ciò
implica che si possono usare dei pozzi barriera o sistemi di pompaggio e trattamento.
Per la realizzazione di questi approcci è necessario avere una conoscenza precisa della distribuzione
del contaminante e delle condizioni idrogeologiche del sito. Ciò perché si opera un contenimento di
tipo idraulico.
Si può utilizzare dei
pozzi di spurgo e di
iniezione,
considerando che se
poi si accoppiano è
possibile minimizzare
il gradiente e operare
una specie di
trattenimento
idraulico. Le tecniche
sono varie e il concetto
di trattenimento
idraulico lo si vede
nella figura a lato. vi è
una sorgente in rosso e
un pennacchio in viola:
possiamo mettere un
pozzo barriera nella
posizione massima del
pennacchio, o al centro per interrompere il pennacchio, o in serie per bonificarlo interamente. Ci sono
diverse strategie che possiamo scegliere in funzione della pericolosità della sostanza, dell’estensione
del pennacchio e delle condizioni idrogeologiche del sito.
Nei siti in cui la sorgente contaminante sia stata rimossa o contenuta, sarà possibile la bonifica del
pennacchio in soluzione tramite sistemi di spurgo o con varie tecniche associate e tramite portate più
o meno elevate per diminuire gli eventuali tempi di bonifica. L’adozione di tali tecniche in genere
235
non consente però la bonifica completa dell’area e in funzione di condizioni locali si possono avere
problemi diversi.
Le scelte che possono essere fatte devono essere studiate in funzione di diversi parametri tra cui il
tipo di sito (natura del rilascio: piccolo o grande volume), le proprietà del contaminante (volatilità,
potenziale di adsorbimento e decadimento biotico), la distribuzione del contaminante (fase del
contaminante: acquea, gas, LNAPL, DNAPL; volume del mezzo contaminante, profondità),
condizioni geologiche (stratigrafia, tessitura, eterogeneità), parametri deflusso sotterraneo
(conducibilità idraulica, flusso verticale e variazioni t).
In genere, al fine di ottenere un livello migliore di bonifica, risolvendo le mancanze dei singoli metodi
e le variazioni delle caratteristiche delle singole sostanze contaminanti, si preferisce applicare
contemporaneamente diverse tecniche. (pozzi spurgo e trattamento in sup.; SVE con
biodegradazione; attenuazione naturale e AS).
Uno dei primi passi da svolgere è quello di ottenere dati sufficienti per la scelta e la progettazione del
metodo di bonifica e ciò implica la realizzazione di campagne di indagine geognostica, idrogeologica
e geologico ambientale. A tale scopo devono essere investigati:
- Natura, estensione e distribuzione del contaminante nelle aree sorgenti e nei pennacchi a valle;
- Recettori potenziali e rischi posti dalla contaminazione della acque sotterranee;
- Proprietà idrogeologiche e del contaminante che possono influenzare il contenimento, il
recupero, la bonifica e la progettazione dei sistemi.
Il livello di incertezza che caratterizza i risultati delle indagini può lasciare un certo margine di errore
e quindi una parziale efficacia dei sistemi di pompaggio. Proprio a seguito di tale incertezza delle
237
condizioni naturali è spesso necessario pensare a un sovradimensionamento, o un possibile
sovradimensionamento o ampliamento, degli impianti di bonifica.
Tale sovradimensionamento può coinvolgere per esempio il sovradimensionamento di tubazioni e
cablaggi, l’impiego di sistemi modulari ed il posizionamento strategico di elementi di giunzione, in
modo da poter riadattare più facilmente l’impianto.
• “Tailing”: ossia dal progressivo rallentamento del tasso di diminuzione della concentrazione
di contaminante nel tempo, decrescita asintotica al valore zero nel caso teorico . Tale coda o
quantità residua del contaminante può essere talora superiore al limite massimo consentito per
ammettere il successo della bonifica;
• “Rebound”: o rimbalzo ossia l’incremento delle concentrazioni di contaminante a seguito
dell’interruzione del funzionamento degli impianti di bonifica.
Per descrivere i 2 problemi occorre un diagramma della C relativa nel tempo: ad es. ci aspetteremmo
l’andamento nero tratteggiato ossia attraverso pompaggio vorremmo prelevare quanto più possibile
del contaminante e portare la C a zero entro un certo tempo. Molto sesso, però, si ha si una
diminuzione della concentrazione relativa del contaminante nel tempo, ma si arriva ad un certo punto
in cui la C non si riesce ad abbassarla al di sotto di un certo valore → fenomeni di tailing ossia di
238
coda, non riusciamo a togliere il contaminante del tutto dal sito perché rimane in fase residua nei pori.
Nel momento in cui spegniamo la pompa, si ha un rimbalzo delle concentrazioni ossia il flusso
rallenta e l’acqua ha più tempo per rimanere a contatto con il contaminante, si ha desorbimento dalla
fase solida. Quello che mantiene le gocce di NAPL in quelle condizioni in residuo sono le forse
capillari (insulare o pendolare).
Quindi, la rimozione avviene tramite flusso di acqua che senza una violenza particolare non può
rimuovere i residui oppure li muove disciogliendoli lentamente.
Anche il DNAPL può disciogliersi nel tempo da una fase residua; la cosa importante da definire è
quanto volume dei pori dobbiamo far circolare nell’acquifero per estrarre l’intero carico
contaminante. E ciò determinerà le portate da usare, la C che può essere estratta, sono necessari tempi
lunghi.
È quindi fondamentale lo studio e il riconoscimento dei processi che causano il tailing: velocità di
filtrazione, variazioni di percorso, diffusione lenta da elementi a bassa permeabilità e saturazione
residua; e il rebound con desorbimento e diffusione.
Un ulteriore problema è connesso alle
caratteristiche idrogeologiche del
mezzo poroso e in particolare alle
disomogeneità e anisotropie che sono
tipiche di tutti i materiali geologici.
È quindi fondamentale lo studio e il
riconoscimento dei processi che
causano il tailing (velocità di
filtrazione, variazioni di percorso,
diffusione lenta da elementi a bassa
permeabilità, saturazione residua, etc.)
e il rebound (desorbimento, diffusione,
etc.).
A lato la figura mostra diverse
strategie: problema connesso alle
239
caratteristiche idrogeologiche del mezzo poroso e in particolare alle disomogeneità e anisotropie
tipiche di tutti i materiali geologici.
I casi raffigurati rappresentano condizioni di omogeneità, di eterogeneità per stratificazione
orizzontale, di presenza di lenti argillose con capacità di trattenimento e cessione lenta di
contaminanti e il caso di acquifero grossolano in cui il raggiungimento di condizioni di saturazione
residua prolunga il tempo di bonifica e di conseguenza il numero di volumi d’acqua da estrarre per il
raggiungimento degli scopi della bonifica.
Nonostante tutte le accortezze nell’esecuzione delle prove in sito e nella progettazione, nella messa
in opera e monitoraggio permangono grosse difficoltà nell’ottenere risultati pari a quelli teorici. Tali
difficoltà, comuni a molti sistemi di pompaggio e trattamento, detti anche di barriera idraulica, sono
riconducibili per esempio alla permanenza di una parte di contaminante in condizioni di saturazione
residua, alla difficoltà nella localizzazione delle aree sorgenti di contaminazione o di aree a
saturazione residua che possono continuare ad alimentare il pennacchio contaminante grazie a
fenomeni di desorbimento lento, soprattutto nel caso di presenza di lenti di materiale a bassa
permeabilità e elevato adsorbimento.
Video 44: problematiche per ottimizzazione dei pozzi barriera; disposizione pozzi
e metodo con normogrammi di Javandel & Tsang
A causa dell’eterogeneità e anisotropia naturale dei terreni e degli acquiferi è quindi indispensabile
un’accurata caratterizzazione, soprattutto se si ha a che fare con contatti tra rocce fratturate e terreni.
Le prove ideali per pervenire alla caratterizzazione idrogeologica dei materiali sono comunque le
prove di lunga durata. Queste risultano particolarmente utili per valutare le portate di emungimento
e gli abbassamenti connessi, l’ubicazione e le portate da emungere, i componenti dell’impianto e i
costi dell’investimento e quelli per il funzionamento e manutenzione. Devono allora essere scelti con
accuratezza, per avere risultati significativi: la posizione dei pozzi di osservazione e i tempi e/o durate
poiché le operazioni di emungimento in fase di servizio dureranno per periodi lunghi.
Si deve poi valutare la tipologia di materiali che costituisce il mezzo poroso contaminato e quelli
che lo limitano o circondano: materiale grossolano o fine con elevata capacità di accumulo di
contaminante per adsorbimento, assorbimento, scambio ionico; nel caso di contaminazione dei
240
depositi più fini questi possono essere in caso bonificati con diversi metodi oppure un sistema di pozzi
spurgo può essere impiegato per il contenimento invece che per la bonifica.
La progettazione dell’impianto dovrà includere anche quella degli elementi che in superficie
consentiranno di trattare le acque contaminate emunte. In questo caso servono evidentemente delle
professionalità specifiche poichè per un corretto funzionamento degli impianti è necessario che la
loro progettazione sia completa anche dal punto di vista “chimico” ossia che effettivamente le
modalità di decontaminazione siano adatte al tipo di contaminante, alla sua concentrazione e
distribuzione nello spazio e nel tempo, ai limiti massimi prefissati e al loro mantenimento nel tempo
e nello spazio.
Vi è poi la possibilità di operare con pozzi di iniezione o ricarica che possono essere usati per
incrementare il controllo idraulico e il dilavamento delle zone contaminate. A tale scopo acque di
diversa origine e qualità possono essere iniettate a diverse profondità e con differenti tecniche ad es.
pozzi, trincee, dreni, superfici di applicazione.
Al fine di migliorare poi ulteriormente l’efficacia del sistema di spurgo è possibile iniettare acqua
addizionata con sostanze differenti per stimolare la biodegradazione, la solubilizzazione, o
minimizzare i problemi di intasamento dei pozzi.
I possibili problemi relativi al metodo indicato includono la migrazione verticale o orizzontale dei
contaminanti a causa dell’incremento dei gradienti idraulici locali. Gli aspetti determinanti per
l’iniezione sono:
Anche in questo caso è possibile eseguire delle prove in sito in grado di caratterizzare l’acquifero o
il mezzo poroso in genere rispetto alla iniezione di acqua. Tali prove possono essere del tipo a carico
costante o con portata a gradini. Esse consentono di esaminare anche il problema dell’intasamento
dei filtri dei pozzi.
Come noto dai problemi di funzionamento dei pozzi di emungimento e iniezione, è possibile che
sia il pozzo che la formazione o mezzo poroso si intasino, ossia che i pori vengano via via occupati
241
da particelle fini che diminuiscono la permeabilità. Le cause più frequenti di tale intasamento
possono essere:
- intrappolamento di aria;
- rigonfiamento di particelle argillose;
- dispersione delle argille.
Esistendo tali possibilità di perdita di capacità, i pozzi vengono spesso sovradimensionati in fase di
progettazione (1.5-2 volte). Per minimizzare il problema dell’intasamento l’acqua di iniezione
dovrebbe contenere: solidi sospesi in quantità ridotte, poco ossigeno (si può minimizzare iniettando
l’acqua in profondità sotto il livello piezometrico così da evitare contatto con l’aria), nutrienti e
microbi (meglio acqua con basse temperature) in quantità ridotte, piccole concentrazioni di
costituenti sensibili a variazioni di pH, potenziale redox, pressione e temperatura (es.: Fe, Mn).
Per sopperire invece in corso d’opera al problema dell’intasamento dei pozzi di iniezione, ed
eventualmente di emungimento, è possibile attivare un sistema di manutenzione regolare che includa:
l’ispezione, la rigenerazione e/o sviluppo del pozzo (trattamento acido, lavaggio con getti a elevate
pressioni, clorinazione, pulizia meccanica, CO2, etc.) con tecniche anche in funzione del tipo di
impiego e di necessità di monitoraggio delle acque.
A seguito della caratterizzazione delle caratteristiche del mezzo poroso e del deflusso sotterraneo,
nonché della messa in opera di una rete di monitoraggio ed esecuzione delle prove di pozzo, è
indispensabile valutare l’estensione dell’area di contenimento o di bonifica (2D) nonché del volume
interessato (3D).
La Zona di Cattura di un pozzo di estrazione o di un eventuale dreno corrisponde a quel settore di
acquifero che contribuirà a portare acqua direttamente al pozzo o al dreno. La zona di cattura non
coincide quindi con la zona di influenza in quanto l’estensione di quest’ultima dipende dalla
242
trasmissività e dalle portate di pompaggio in condizioni stazionarie. In ogni caso l’influenza della
zona di cattura dipende dal gradiente naturale, dalla portata di pompaggio e dalla trasmissività.
Nel caso, per esempio, di gradienti idraulici elevati le zone di cattura saranno in genere strette e poco
espanse nella direzione di deflusso. Molti modi diversi sono stati presentati in letteratura per la
definizione delle zone di cattura o di influenza tra cui quello di Javandel &Tsang. Tali metodi
consentono di analizzare il deflusso entro tali zone, valutare il posizionamento dei punti di
monitoraggio e la distanza relativa dei pozzi. Esistono infine delle applicazioni di programmazione
lineare per l’ottimizzazione dei sistemi di pozzi spurgo (es.: minimizzazione gradienti idraulici con
mantenimento di gradienti convergenti, profondità pozzi e loro costi, portate iniettabili, n° pozzi e
loro ubicazione, associazione di pozzi di iniezione e emungimento, etc.) prevedendo anche l’utilizzo
di barriere idrauliche per limitare l’area contribuente e il volume d’acqua da iniettare e emungere.
La progettazione di tali sistemi di recupero può avvenire tramite la realizzazione di campi prova o
impianti pilota. In una stessa fase si può inoltre effettuare uno studio delle zone di influenza o di
cattura connesse alla realizzazione di pozzi di emungimento.
243
Esiste un approccio analitico come quello proposto da Javandel & Tsang per la progettazione di
pozzi di recupero, basato sulla teoria dei potenziali complessi, che consente la minimizzazione e
ottimizzazione del numero e posizionamento dei pozzi.
La soluzione è stata pubblicata in forma di diagrammi per diverso numero di pozzi (1, 2, 3, etc.) e
consente una facile progettazione per semplice sovrapposizione dei grafici normalizzati al pennacchio
del caso in esame.
La portata di pompaggio ottimale per un pozzo è quella che consente di creare una zona di influenza
appena più grande del pennacchio inquinante, infatti ogni portata superiore richiederà di dover
eliminare, trattare o disporre di maggior quantità d’acqua, con conseguente aumento dei costi di
realizzazione e di gestione. Il limite massimo di portata di un pozzo può invece limitare la sua capacità
di bonificare o isolare un pennacchio, motivo per cui può rendersi necessario l'impiego di più pozzi
in contemporanea. Allo stesso tempo va verificata la possibilità che l'inquinante non passi attraverso
la distanza di interesse dei pozzi, ossia che la
barriera idrodinamica sia abbastanza fitta da
non far passare parte del pennacchio.
Il metodo richiede la conoscenza dello
spessore B dell’acquifero (assunto
costante) e della portata specifica U o
velocità darciana (costante) del sistema
regionale di deflusso delle acque.
Sono 5 le fasi di analisi su cui si basa il
metodo:
I limiti di applicabilità del metodi di Javandel & Tsang consistono nell’assunzione di valori costanti
dei parametri idrogeologici e quindi nella semplificazione del problema.
244
Un ultimo esempio di applicazione di sistemi di pompaggio è quello relativo all’impiego di pompe
di diverso tipo entro trincee realizzate per intercettare fluidi a basse profondità. Il caso classico è
quello della contaminazione di terreni a debole profondità in vicinanza di stazioni di servizio in cui
il contaminante migra verticalmente fino a incontrare un livello di bassa permeabilità.
In tal caso si forma una specie di falda sospesa in cui il LNAPL può galleggiare sopra l’acqua o
addirittura fluire in assenza d’acqua. La realizzazione di una trincea consente di intercettare questo
flusso e di raccogliere acqua e fase libera al
suo interno. Per il recupero dei LNAPL si
utilizzano in questo caso delle pompe
galleggianti (skimmer) che prelevano solo
dai livelli superiori del fluido entro la trincea
evitando una eccessiva e inutile
miscelazione con l’acqua. Alcuni
accorgimenti vengono adottati per diminuire
il deflusso delle acque verso la trincea a
seguito dell’abbassamento del livello
indotto dal pompaggio. In genere, la
soluzione più semplice è quella di
impermeabilizzare temporaneamente il lato
di valle e il fondo della trincea tramite geo
membrane.
La trincea interseca la falda, quindi arriva l’acqua in corrispondenza della trincea, ma emerge anche
la fase libera di LNAPL. Si usa una pompa tipo skimmer che screma il contaminante e si ha una
membrana impermeabile verso valle per evitare l’aspirazione forzata e l’infiltrazione di acqua.
La bonifica richiede che una quantità sufficiente di acqua venga fatta filtrare o defluire attraverso la
zona contaminata per rimuovere sia i contaminanti disciolti sia quelli che continueranno a desorbirsi
dal mezzo poroso, disciogliersi dai precipitati, o dei NAPL, e/o che vengono diffusi attraverso zone
a debole permeabilità. Il Volume d’acqua sotterranea che è presente entro un pennacchio di
contaminazione è noto come Volume dei pori ed è definibile come →
Ove b è lo spessore del pennacchio, n è la porosità del mezzo, A l’area del
pennacchio. Se b e n sono uniformi si scriverà →
245
Se si assume un adsorbimento lineare, reversibili ed istantaneo, l’assenza di NAPL e si trascura la
dispersione, il valore teorico del NVP necessario alla rimozione del contaminante dall’acquifero
omogeneo è approssimato dal fattore di ritardo R che rappresenta la velocità di deflusso dell’acqua
rispetto alla velocità di movimento del contaminante disciolto.
Alcuni modelli assumono un adsorbimento lineare per il calcolo del volume dei pori necessari per
ottenere una concentrazione finale, Cwt, in funzione del fattore di ritardo, R, e della concentrazione
iniziale del contaminante in fase acquosa, Cwc →
Nelle fasi di pompaggio delle acque contaminate può essere estremamente importante evitare che si
formino o rimangano delle zone di stagnazione della acque nel settore contaminato. La stagnazione
avviene laddove esistono dei deboli gradienti idraulici o in zone a bassa permeabilità. La
localizzazione e la formazione di tali zone di stagnazione possono essere valutate tramite la
modellazione del deflusso in tali aree preventivamente alla messa in opera degli impianti di
emungimento. In fase operativa l’identificazione può avvenire tramite: misure di livello e del
gradiente idraulico, flusso di traccianti, portate e modelli numerici.
246
Esempio:
Vediamo quali possono essere le 3 strategie alternative di pompaggio per un sito ideale con mezzo
uniforme, adsorbimento lineare e contaminato da una sostanza unica non degradabile con sorgente
continua. Le strategie possibili includono:
- pompaggio a valle;
- controllo della sorgente con pompaggio a valle;
- controllo della sorgente con pompaggio nel pennacchio e a valle.
- pozzi multipli di estrazione lungo l’asse del pennacchio riducono il tempo necessario alla
bonifica accorciando il percorso del contaminante e consentendo portate più elevate;
- i 3 punti, doppia cella e doppietta sono schemi molto efficaci in condizioni di basso gradiente
idraulico, ma richiedono il trattamento in sito e la re-iniezione;
- il pattern a 3 punti supera gli altri schemi per simulazioni che includano gradienti idraulici
regionali più elevati;
- la distribuzione lungo l’asse del pennacchio è risultata efficace per tutte le diverse condizioni;
247
- il pattern a 5 punti è dimostrato essere poco efficace;
- la miglior posizione per il pozzo è appena a valle del baricentro del pennacchio contaminante
ma allo stesso tempo dipende e varia con il passare del tempo.
L’altra possibilità è che il pompaggio avvenga non in continuo ma con alternanza di accensione e
spegnimento della pompa ossia un pompaggio pulsante. Diversi autori hanno suggerito che il
pompaggio a fasi o pulsante può essere utile per risolvere problemi riguardanti: tailing, formazione
o presenza di zone di stagnazione ed efficienza del sistema.
Il meccanismo alla base del metodo è quello per cui la diffusione, desorbimento e dissoluzione,
durante la fase di arresto del pompaggio, consentono di far passare una maggior quantità di
contaminante nella fase disciolta e aumentando quindi la massa del contaminante che verrà estratta
nella fase di pompaggio immediatamente successiva.
Il digramma sopra mostra che se si lascia un determinato intervallo di t l’acqua a contatto con la
frazione solida inquinata e si ha un desorbimento e l’acqua prende in carico una quantità maggiore di
contaminante. Quindi, a parità di volume estratto dal pozzo come Q nel t, avremo un maggiore carico
e C di contaminante che è prelevato. La velocità di transito deve essere bassa.
- per uguali volumi di acqua estratta, il pompaggio pulsante non rimuove una massa maggiore
di contaminante rispetto al pompaggio continuo;
- se il tempo di arresto è troppo lungo il pompaggio pulsante o alternato recupera meno massa
di contaminante per una portata media confrontabile tra i 2 diversi metodi;
248
- se le portate di emungimento sono le stesse, il pompaggio pulsante impiegherà più tempo per
la bonifica ma richiederà molto meno tempo di pompaggio;
- di conseguenza nei siti con notevole effetto di tailing e di rebound è meglio un pompaggio
continuo a basse portate che un pompaggio alternato, eccetto che per analisi di costi;
- I tempi di sosta o interruzione del pompaggio devono essere tali da non consentire di superare
il 70%-90% della concentrazione di equilibrio, anche perché la velocità di trasferimento del
contaminante è funzione del gradiente di concentrazione.
È già stato detto che contaminanti diversi migrano a velocità diverse entro il mezzo poroso,
sostanzialmente a causa delle loro diverse caratteristiche fisico-chimiche. I composti che si
ripartiscono più fortemente sulla fase solida sono trasportati più lentamente, rimangono più prossimi
all’area sorgente e sono più difficilmente rimovibili dal pompaggio rispetto ai composti più mobili.
Di conseguenza i sistemi con pozzi spurgo possono funzionare male per casi con molti contaminanti.
249
Hagerty & Gorelick (1994), tramite un modello di trasporto e l’analisi di ottimizzazione, hanno
esaminato la capacità di 5 diversi schemi di pompaggio per la bonifica contemporanea di 3 pennacchi
contaminanti:
che erano stati separati cromatograficamente, durante il trasporto da parte delle acque sotterranee.
• caso di pozzo singolo: un pozzo è posizionato lungo l’asse del pennacchio (in una delle
possibili posizioni riportate in figura);
• negli altri casi i pozzi possono essere ubicati in numero qualsiasi nelle posizioni riportate.
La migliore ubicazione, il miglior numero e portata dei pozzi sono stati valutati tramite
ottimizzazione cercando di usare la più bassa portata di emungimento per un determinato tempo di
durata della bonifica. Per il caso di minor velocità di trasferimento di massa, nessuno degli schemi
proposti è in grado di garantire la bonifica in un tempo di 3 anni, per qualsiasi portata emunta.
250
Come per qualsiasi altro sistema di bonifica è utile valutare l’efficacia del sistema di spurgo
prescelto. Le motivazioni di tale valutazione sono essenzialmente tre:
Le fasi di indagine devono essere via via dettagliate e approfondite e focalizzate in base agli obiettivi
e in base al livello di informazione già disponibile. Il funzionamento ottimale di un sistema di bonifica
è misurabile in base alla capacità di raggiungere e mantenere il più basso livello di concentrazione
dei contaminanti, anche compatibilmente con i costi, le durate e l’eventuale utilizzo delle risorse.
I punti di monitoraggio a monte del pennacchio sono indispensabili per la valutazione della qualità
delle acque in entrata. L’ubicazione dei punti di monitoraggio è scelta in modo tale che:
- non sia mai entro il pennacchio o in aree circostanti che possono essere influenzate dalle
operazioni di bonifica;
- se a valle, entro una zona incontaminata entro cui il pennacchio potrebbe migrare nel caso di
malfunzionamento o di inefficacia del sistema di bonifica, o per esempio a seguito di
operazioni di ricarica che forzino a valle ( o verso l’esterno) il contaminante;
- non consenta o minimizzi la possibilità di rilevare altre sorgenti potenziali di contaminazione;
- riconoscano l’arrivo di contaminanti diversi entro la zona già contaminata.
I punti di monitoraggio possono essere di diverso tipo. Per esempio, pozzi ad uso diverso, già
presenti nell’intorno, possono essere utilizzati come punti ulteriori di controllo anche se non devono
essere sostitutivi, salvo in casi eccezionali. I piezometri sono, invece, indispensabili per verificare
251
l’andamento della superficie piezometrica e soprattutto i gradienti idraulici (orizzontali e verticali,
ciò è molto importante) e le loro variazioni temporali all’intorno del pennacchio.
I punti di monitoraggio entro il pennacchio possono essere posti sia entro che al di fuori dei limiti di
proprietà, in quanto il limite di proprietà non può costituire un limite utile per la comprensione del
problema di contaminazione e delle modalità di funzionamento del sistema di bonifica progettato e
operante.
Tali pozzi possono essere dimensionati, almeno in una fase preliminare tramite alcune semplici
relazioni e dei grafici con soluzioni normalizzate.
252
Video 45: trasporto facilitato di contaminanti; tensioattivi, cosoleventi, modalità
di azione dei tensioattivi, micelle, ipo Winsor I, II, III; cosolventi ed esempi di
applicazione con CITT e PITT
Solubilizzazione: gli agenti immessi come soluzione hanno lo scopo di aumentare la solubilità totale
del contaminante in acqua fino a o 3 o più volte quella originale.
Rimobilitazione: gli agenti immessi come soluzione hanno lo scopo di diminuire la tensione
interfaccia tra acqua e NAPL fino al punto della mobilizzazione fisica del NAPL.
253
mobilizzazione e/o solubilizzazione estrema e di conseguenza una propagazione estremamente rapida
del contaminante che quindi potrà essere recuperato solo con estrema difficoltà.
In genere, i tensioattivi sono classificati sulla base della carica ionica del gruppo idrofilo in soluzione
acquosa. Ci sono i tensioattivi anionici che sono stati usati più frequentemente in applicazioni di
lavaggio perché le superfici delle particelle solide sono spesso cariche negativamente e quindi un
tensioattivo con carica negativa sarà repulso invece che attratto dalla superficie del terreno; e i
tensioattivi cationici che per la stessa ragione questa classe di sostanze tende (es. per pulizia capelli)
ad essere evitata.
Una bassa riduzione della tensione di interfaccia risulta in un sistema di solubilizzazione a singola
fase acquosa, ossia la condizione nota come Winsor Tipo I. Riduzioni maggiori della tensione di
interfaccia aumentano la probabilità di un fronte di DNAPL non solubilizzato con elevata mobilità e
rimovibilità, ma anche con un maggiore potenziale di migrazione se non esiste una barriera
impermeabile in profondità. La solubilità può aumentare da poche volte fino a 100-1000 volte. A
basse concentrazioni i tensioattivi esistono come molecole singole o monomeri, mentre a elevate
concentrazioni si inizieranno a formare strutture note come micelle.
La mobilizzazione andrebbe usata solo quando si conosce per certa la presenza di un livello
impermeabile che impedisca la migrazione verticale. I tensioattivi abbassano la tensione superficiale
fino al punto in cui le tensioni capillari sono superate dalla forza di gravità e viscose
Il numero di intrappolamento è una quantità adimensionale che indica le forze di gravità e viscose
che devono essere superate per consentire la mobilizzazione del DNAPL e dipendono dalla tensione
di interfaccia, la densità del DNAPL e la permeabilità del terreno. Maggiore la dimensione dei pori,
minore la tensione capillare e maggiore la mobilità e viceversa. Valori estremamente bassi di tensione
254
superficiale nel sistema con tensioattivi possono portare alla condizione indesiderabile per il sistema
di solubilizzazione, detta Winsor II, in cui il tensioattivo tenderà a distribuirsi (ossia ad essere perso
per i nostri fini) entro la fase DNAPL.
I tensioattivi agiscono (tramite micelle), sulla tensione superficiale dei liquidi e quindi consentono
sostanzialmente un incremento della solubilità di sostanze o composti inizialmente non miscibili. Gli
aggregati di molecole di tensioattivi o micelle (strutture discrete formate a concentrazioni critiche)
possono essere classificati come colloidi che possono interagire sia con metalli che con contaminanti
organici. Le Micelle sono nettamente diverse dalla fase acquosa e in molti casi sono mezzi efficienti
per la partizione di inquinanti idrofobi.
La dipendenza tra tensione superficiale, γ, e la
concentrazione di tensioattivo, c è approssimabile con un
andamento lineare fino al raggiungimento di una
concentrazione oltre cui la tensione superficiale si mantiene
costante.
Le micelle sono degli aggragati formati da molecole del
tensioattivo che assumono conformazioni di tipo sferico, ma anche laminari per C elevate.
All’aumentare della C si ha la Micellizzazione ossi le micelle da singole che erano cominciano a
riorganizzarsi e a raggrupparsi e si ha così diminuzione della superficie interfacciale.
A seconda che il liquido sia polare o apolare, le strutture micellari si organizzano diversamente: nel
primo caso, alla superficie della micella si presentano le teste polari, nel secondo caso le catene
apolari.
Le micelle possono ospitare nel loro interno molecole idrofobiche; questa possibilità può essere
sfruttata per incorporare stabilmente molecole in un mezzo in cui sarebbero difficilmente disperdibili.
A causa di questo inglobamento, via via che aumenta il diametro micellare, si producono delle lacune
superficiali che la micella rigonfiata compensa raccogliendo altro tensioattivo sulla sua superficie,
con riduzione del numero delle altre micelle più piccole non rigonfiate.
Quando si utilizzano dei tensioattivi il tipo ideale di lavaggio, per solubilizzazione o mobilizzazione,
può essere realizzato o modificato tramite variazioni della salinità della miscela di tensioattivi
iniettata. Con l’aumentare della salinità della soluzione, le interazioni tra testa con il gruppo idrofilo
del tensioattivo e le molecole di acqua sono ridotte, risultando quindi in una interazione più forte tra
coda con gruppo idrofobo del tensioattivo e DNAPL.
255
Quindi la tendenza idrofila della molecola del tensioattivo può spostarsi con la variazione della
salinità del fluido acquoso. La possibilità di modificare le proprietà del tensioattivo, per es. la tensione
di interfaccia, è un notevole vantaggio nell’uso di tensioattivi anionici rispetto ai non ionici.
Ci sono 3 tipi di comportamento possibili quando un NAPL e un tensioattivo sono miscelati:
- Winsor tipo I → solubilizzazione del NAPL nella soluzione di tensioattivo in fase acquosa
singola. Si realizza una micro-emulsione di olio in acqua che è caratterizzata da code idrofobe
del tensioattivo orientate verso l’interno e il NAPL solubilizzato è al centro delle micelle;
- Winsor tipo II → distribuzione del tensioattivo nella fase NAPL per cui non si ha
solubilizzazione del NAPL. Esiste una micro-emulsione acqua in olio, o microemulsione
invertita, che consiste di teste idrofile del tensioattivo orientate verso l’interno e l’acqua
solubilizzata è posta al centro delle micelle. E’ una condizione fortemente indesiderata per il
lavaggio perché il tensioattivo è irrecuperabile o perso nella fase NAPL;
- Winsor tipo III → comportamento osservato quando 3 fasi separate coesistono in soluzione,
includendo la fase acquosa, micro-emulsione e NAPL. La fase intermedia separata ha una
densità compresa tra quella dell’acqua e del NAPL e consiste di una micro-emulsione di
tensioattivo. La formazione di questa fase di micro-emulsione separata è associata a tensioni
di interfaccia estremamente basse e elevata solubilizzazione.
La transizione tra un sistema di comportamento di fase e gli altri avviene dal Tipo I al Tipo III al Tipo
II ed è influenzato dall’aggiunta di elettroliti e alcol pesanti, aumentando la lunghezza della coda del
tensioattivo o riducendo la temperatura. Prove di laboratorio del comportamento dei tensioattivi sono
usate per produrre un diagramma della frazione di volume che mostra la transizione nel
comportamento del tensioattivo da Winsor Tipo I a Tipo III a Tipo II.
256
Il diagramma sotto mostra il comportamento del tensioattivo al variare della concentrazione
dell’elettrolita e mantenendo costanti tutti gli altri parametri (es. concentrazione tensioattivo). La
frazione di volume occupata da ciascuna fase (acquea, micro-emulsione e DNAPL) all’equilibrio è
misurata e diagrammato rispetto alla concentrazione dell’elettrolita.
Winsor tipo I: solubilizzazione del NAPL nella soluzione di tensioattivo in fase acquosa singola
Winsor Tipo II: distribuzione del tensioattivo nella fase NAPL per cui non si ha solubilizzazione del
NAPL. Esiste una micro-emulsione acqua in olio, o micro-emulsione invertita.
Possibili configurazioni per l’esecuzione di lavaggio (flushing) con tensioattivi e cosolventi con
dimensionamento del numero di pozzi di iniezione e estrazione, pozzi di controllo idraulico,
spaziatura e disposizione, portate, numero, profondità e disposizione tratti
filtranti. Caso a) pozzi in disposizione a linea divergente, sistema molto
usato ed efficiente: massimizza il contenimento idraulico dei fluidi iniettati
e del contaminante mobilizzato, riduce il tempo per trattare lo stesso settore
di acquifero, minimizza la diluizione dell’iniettato, minimizza le zone di
stagnazione del flusso.
257
I principi di rimozione delle sostanze dall’acqua emunta sono suddivisi in 3 categorie principali:
- Decantazione: separazione per gravità con separazione delle due fasi immiscibili;
- Air-stripping: trasferimento dei contaminanti volatili dall’acqua all’aria, per contatto tra le
due in controcorrente e aumentando la superficie di contatto. I tensioattivi ne diminuiscono
l’efficienza facilitando le sostanze a rimanere in soluzione; flussi d’aria elevati generano
schiuma;
- Estrazione con Polimeri MPPE: tramite solventi immobilizzati in resine (polimeri
polipropilenici); MPPE vanno rigenerati con vapore che genera 2 fasi, una acquosa l’altra
organica. La separazione è controllata dalla solubilità invece che dalla costante di Henry e
quindi possono essere più efficienti dell’air-stripping;
- Stripping con membrane all’aria: come nell’air stripping ma aria e soluzione sono separati
da una membrana permeabile ai vapori. L’assenza di contatto diretto con aria elimina il
problema della produzione di schiuma e massimizza la superficie di “contatto” per
l’estrazione;
- Pervaporazione: processo di separazione liquido/vapore in cui il contaminate volatile in
acqua si vaporizza attraverso una membrana selettiva, non porosa per dare un flusso
concentrato di vapore. Il termine deriva dai due passi del processo: permeazione e
evaporazione. I contaminanti sono attirati da una membrana idrofoba, e si diffondono
258
attraverso questa sotto un gradiente di pressione. Il tutto facilitato da un riscaldamento della
soluzione e una aspirazione dalla parte del vapore. La volatilità ne controlla l’efficienza
insieme alla solubilità sulla membrana;
- Stripping a vapore: vapore generato da ebollizione dell’acqua trattata usata come vapore
invece che l’aria. Le alte temperature consentono di estrarre SVOCs e non VOCs; il vapore
che esiste alla sommità della colonna si condensa per raffreddamento formando due fasi che
saranno separate per decantazione. Lo stripping è controllato dalle leggi di equilibrio vapore-
liquido;
- Carboni attivi: implica il trasferimento dei contaminanti dalle acque contaminate alla base
solida assorbente. Le acque passano attraverso più serbatoi con livelli di carboni attivi
granulari (GAC). I carboni attivi possono esaurirsi e vanno quindi scartati o rigenerati.
Esistono poi diverse tecniche per la rimozione e recupero dei cosolventi tenendo contro che il
contenuto in cosolventi può essere pari a quello dei tensioattivi. Tali tecniche sono: degradazione
biologica, distillazione e Pervaporazione.
L’altra tecnica importante per i tensioattivi è l’Ultrafiltrazione UF e la Nanofiltrazione. La prima
si basa sull’uso di membrane che riescono a bloccare quelle particelle che hanno dei pesi molecolari
elevati e corrispondenti a quelli che sono funzione del numero di micelle che formano gli agglomerati.
È importante eseguire prove in modo da verificare la CMC ossia la C critica di micelle, perché
tensioattivi con concentrazioni < CMC passeranno attraverso la membrana. MEUF è più efficace se
la concentrazione dei tensioattivi nell’acqua è decisamente sopra la CMC del tensioattivo.
La seconda, invece, usa membrane con pori più piccoli e che possono trattenere monomeri e micelle.
Infine, la precipitazione chimica implica l’aggiunta di ioni positivi multivalenti nella soluzione per
formare un precipitato.
259
Molti reflui da zone di scarico o discarica o stoccaggio consistono di una miscela di acqua e composti
organici. Le elevate concentrazioni di composti organici o solventi in acqua hanno un significativo
potenziale per il trasporto facilitato di HOC (composti organici idrofobi) che altrimenti sono immobili
o dotati di bassa mobilità. Un composto HOC che si ripartisce parzialmente in un solvente può
mostrare una maggior mobilità, maggiore di quella riconosciutagli dal flusso Darciano e dalla cinetica
di adsorbimento/desorbimento, a causa dell’associazione stretta con il solvente. In un sistema con
solventi miscelati (cosolventi), i soluti organici vanno soggetti a una ampia gamma di processi chimici
e fisici. In un tale sistema con solventi miscelati, per esempio acqua e uno o più composti organici
miscibili all’acqua, l’adsorbimento di un HOC sulla fase solida non segue lo stesso comportamento
di adsorbimento per il caso di presenza di sola acqua.
I cosolventi in genere sono gli alcoli come etanolo, metanolo, isopropano. Essi sono simili ai
tensioattivi in quanto modificano le proprietà delle interfacce e spesso sono miscelati con essi. A
causa della loro miscibilità gli alcol sono efficaci nella riduzione della tensione di interfaccia tra acqua
e contaminante e quindi nell’incrementare la solubilità. Ciò è la conseguenza della tendenza di alcuni
alcol a distribuirsi sulla fase NAPL. L’effetto della velocità con cui l’alcol interagisce con il
contaminante dipende dalla concentrazione del cosolvente applicato e dalle condizioni locali.
Si inietta cosolvente se la concentrazione dell’alcol è 1-5% in volume, mentre si inietta alcol se la
concentrazione è > 70-95%. Ciò influenza il numero di volume dei pori da estrarre per la bonifica.
Infatti, con l’aumento della frazione di cosolvente nella miscela, la solubilità del composto HOC
cresce esponenzialmente, il coefficiente di adsorbimento decresce logaritmicamente e il coefficiente
o fattore di ritardo decresce in modo drastico.
Con la diminuzione del coefficiente di adsorbimento diminuisce la quantità di HOC che viene
adsorbita sul/nel solido e questo diviene quindi anche più mobile.
La diminuzione del coefficiente di adsorbimento è funzione della accresciuta solubilità del composto
idrofobo nel cosolvente. Tale meccanismo di trasporto facilitato è attivo e significativo al di sopra di
concentrazioni di alcuni punti % di cosolvente, di conseguenza tali effetti possono essere più rilevanti
in prossimità della zona di sorgente, prima dell’azione della diluizione. I cosolventi possono avere
una certa importanza anche nella mobilità di metalli.
L’uso di queste sostanze presenta dei vantaggi come ad esempio: costi ridotti, tecnologia efficace per
NAPL e DNAPL in particolare TCE, TCA, PCE e oli pesanti.
260
Gli svantaggi sono dati dal fatto che sono adatti a terreni a media-alta conducibilità che l’eterogeneità
controlla l’efficacia condizionando il flusso in livelli maggiormente permeabili, terreni con elevato
contenuto organico possono rendere poco efficace la tecnica assorbendo e ritardando il deflusso delle
sostanze impiegate, attenzione alle sostanza che possono generare contaminazione a loro volta,
barriere idrauliche da prevedere per evitare l’eccessiva rimobilitazione di contaminante; infine, alcol
sono difficile da separare a causa della loro miscibilità.
Questi test funzionano bene se vengono associati a dei test con tracciamento in quanto abbiamo
parlato di test CITT (con traccianti conservativi) e PITT (con traccianti non conservativi). In questo
caso, gli alcoli andranno ad essere affini alla sostanza organica contaminante e con essa devono legare
in qualche modo al fine di migliorarne la mobilità. Quindi, i test CITT e PITT possono risultare utili
per la caratterizzazione. Ciò significa che deve esserci una caratterizzazione attenta della zona
sorgente con una serie di punti di immissione e recupero per i test CITT e PITT, identificazione della
profondità delle zone sorgenti e poi ci sarà l’organizzazione della rete dei pozzi di recupero e di
iniezione in modo da massimizzare il recupero e minimizzare le perdite sia dei PITT e CITT sia dei
cosolventi e delle sostanze contaminanti che devono essere recuperate.
I cosolventi arriveranno con un ritardo l’uno dall’altro perché uno dei due è più affine alla sostanza
organica presente. Ciò implica che si possono usare alcune di queste sostanze molto affini come
cosolventi e quindi si può organizzare ad es. con etanolo, un iniezione che preveda la rimobilitazione
della sostanza contaminante.
261
La prima fase consiste
nell’iniezione di etanolo, ed esso
inizia a viaggiare all’interno del
flusso di falda, arriva in
corrispondenza della zona con
DNAPL. Qui ne favorisce la
dissoluzione e la rimobilitazione e il
pozzo di recupero inizia l’estrazione.
262
Infine, esiste una tecnologia di raccolta puntuale di NAPL dal sottosuolo tramite lancia idrofobica.
Essa sfrutta la tecnica di direct push per spingere in profondità un tubo di piccolo diametro in
materiale idrofobico fino a profondità max di ca. 45 m. Essa si basa sul fatto che i NAPL sono attratti
da superfici con minor polarità rispetto all’acqua. La superficie del tubo della lancia è in materiale
oleofilico, come il Teflon, che repelle l’acqua ma ha affinità con l’olio. Il DNAPL attratto dal tubo
inumidisce la sua superficie e tende a defluire verso la base dell’asta ove può essere raccolto attraverso
un filtro e un sistema di pompaggio lo può portare in superfici.
Video 46: in sito chemicale oxidation (ISCO), prodotti come reagenti e reazioni;
sostanze che possono essere trattate, metodi di impiego. Fitobonifica: principi
base, modalità e vantaggi
263
dalla capacità di far pervenire l’agente ossidante al punto di trattamento. Le tecniche: miscelazione
con il terreno, iniezione diretta, ricircolo di ossidante.
Le 3 tecniche più comuni si basano sull’impiego di permanganato di K, perossido di idrogeno e ozono.
L’ossidazione del permanganato di potassio è stata usata storicamente per il trattamento dell’acqua
potabile e il trattamento di acque reflue industriali e fognarie. Il KMnO4 può ossidare un ampio spettro
di composti organici e inorganici (solventi clorurati, idrocarburi policiclici Aromatici PAH, fenoli,
cianati). È insolubile in composti organici (es. TCE, PCE) per cui la velocità della reazione è funzione
della dissoluzione del NAPL e il trasferimento di massa alla fase acquosa. I composti organici a
doppio legame carbonio (alcheni) sono ossidabili più facilmente di quelli a legame singolo (alcani).
Per cui il KMnO4dovrebbe essere più efficiente nel trattamento di PCE (C2Cl4) e TCE (C2Cl3H)
rispetto al 1,1,1-tricloroetano (TCA).
I sottoprodotti della reazione sono poco pericolosi : CO2 si combina con l’acqua per dare la serie di
carbonati abbassando il pH dell’acqua e in casi estremi si formerà vapore. Eccessiva formazione di
gas potrà rallentare l’iniettabilità del permanganato.
Il Cl2 è molto reattivo e reagisce in fretta con l’acqua a dare acido ipocloroso e ipoclorito. Anche
questi due prodotti sono forti ossidanti e sono rapidamente ridotti dalla presenza di materia organica.
HCl viene neutralizzato dai terreni carbonatici; 2MnO2 precipita formando pellicole sulle particelle
solide e a lungo termine può ridurre a permeabilità della matrice del terreno. Le reazioni sono
controllate da: pH, temperatura, tempo di contatto, concentrazione di ossidante.
L’ozono O3, invece, è un allotropo dell’ossigeno che contiene 3 molecole di ossigeno invece che 2.
Esso è instabile in natura e serve come un agente fortemente ossidante. La sua vita breve ne richiede
la produzione in sito. Esso è usato nell’AS che è usato per iniezione del materiale, serve a ossidare
sia direttamente sia tramite radicali liberi come gli ossidrili; esiste poi, l’ozonizzazione con rottura di
264
composti complessi; con la decomposizione dell’ozono si ha un'altra fonte di ossigeno per i microbi
presenti, infine l’ozono è sterilizzante e quindi va controllato.
Un’altra tecnica è l’ORC o Oxigen Release Compound che è un metodo brevettato e sperimentato
in vari siti. Esso potenzia l’efficienza dei processi aerobici naturali e fa si che si crei una barriera
all’interno del pennacchio inquinante, limitando la propagazione areale ed innescando una serie di
reazioni chimiche al contatto con l’acqua. L’ambiente, arricchito localmente in ossigeno, va a creare
l’habitat ottimale di proliferazione di organismi aerobici metanogeni in grado di spezzare le catene di
molecole di un’ampia varietà di componenti organici.
L’applicazione di ORC® per interventi sulle falde, prevede il posizionamento del prodotto all’interno
di pozzi ubicati nel cuore del pennacchio inquinato o immediatamente a monte, in quantità variabili
in ragione dell’entità della contaminazione, delle caratteristiche idrogeologiche e litologiche del sito.
La manutenzione del sistema risulta praticamente nulla e la liberazione di ossigeno in falda crea una
barriera continua e stabile contro il contaminante con una durata media di 4-6 mesi per ogni iniezione
di prodotto.
ORC contiene sia ossido di magnesio (MgO) sia perossido di magnesio (MgO2), è inoltre anche
presente una piccola percentuale di fosfato di potassio commestibile (KH2PO4 o K2HPO4). Al contatto
con l’acqua ORC rilascia ossigeno: il MgO2consumato è convertito in Mg(OH)2, la stessa reazione
avviene per il quantitativo di MgO presente, che viene semplicemente idratato nella forma di
idrossido.
Per entrambi i costituenti, il prodotto finale della reazione ORC risulta essere Mg(OH)2; questo
materiale non crea problemi di sicurezza, in quanto, la sospensione di idrossido di magnesio in acqua
è conosciuta come latte di magnesia, prodotto farmaceutico usato come digestivo. MgO è in
commercio come additivo vitaminico del bestiame e largamente usato come fertilizzante; MgO2 e
Mg(OH)2 sono atossici da ingerire e sono entrambi utilizzati come antiacidi; inoltre il perossido di
magnesio è largamente utilizzato nei prodotti di odontoiatria, dentifrici e altri prodotti affini.
La piccola percentuale di KH2PO4, contenuta all’interno della matrice cristallina del MgO2, è in grado
di rallentare il tasso di idratazione della molecola ed il conseguente rilascio di ossigeno; tale sostanza,
normalmente utilizzata come fertilizzante, risulta praticamente innocua, in quanto la sua natura
fosfatica la rende metabolizzabile da ogni substrato microbico, aerobico o anaerobico.
265
Prodotti approvati nel registro dei fertilizzanti del Ministero dell’Agricoltura Americano, in quanto
in grado di soddisfare i criteri di sicurezza per la loro introduzione nell’ambiente e nella catena
alimentare. I livelli rilasciati di Mg(OH)2 non hanno effetti indiretti negativi, in quanto sia il MgO2,
sia Mg(OH)2 sono insolubili. La deposizione in falda, o nel terreno, dell’ORC è accettabile perché
non risulta avere effetti di alterazione sugli equilibri fisico-chimici degli acquiferi.
Studi condotti dalla casa produttrice hanno valutato che gli effetti del sistema ORC sulla falda
acquifera sono riconducibili a modesti innalzamenti dei valori di pH:
La metodologia per la bonifica delle falde prevede l’utilizzo del prodotto in due diverse forme:
• sotto forma di miscela iniettabile, miscela preparata in cantiere ed iniettata a bassa pressione
nei pozzetti, avente un contenuto solido di polvere ORC di circa 67%; tale polvere contiene
ossido e perossido di magnesio ed una percentuale del 3% di fosfato di potassio, il diametro
dei granuli che la compongono è di circa 44 mm;
• sotto forma di filter-socks, “calze” filtranti contenenti ossidi di magnesio e silice inerte, in
grado di contenere l’idrossido di magnesio prodotto dalla reazione.
La Bioattenuazione naturale costituisce una classe particolare della bonifica e viene oggi usata nella
verifica e controllo dei processi di attenuazione naturale. La degradazione avviene ad opera di
organismi ed è quindi naturale o indotta. I composti organici vengono degradati fino a trasformazione
completa o parziale in composti meno tossici.
266
Ad essa fa parte la Fitobonifica che prevede l’uso di piante per recuperare aree contaminate tramite
trattamento in sito di suoli, sedimenti ed acque contaminati con bassi costi e vantaggi estetici e
ambientali. esse sono tecniche di tipo soft che non richiedono lo scavo e l’asportazione del materiale
contaminato e che possono mantenere o addirittura migliorare le caratteristiche fisico-chimiche del
suolo.
Per queste loro caratteristiche sono tecniche adatte per problemi di contaminazione particolarmente
estesi e a profondità non elevate, ove i costi di bonifica sarebbero estremamente elevati, e ove le
condizioni naturali consentono la crescita delle specie vegetali appropriate.
Le tecniche possono essere applicate sia in presenza di contaminanti inorganici come i metalli pesanti
con processi di estrazione e stabilizzazione; sia con contaminanti organici tramite processi di
degradazione ed estrazione.
Nel complesso le tecniche di fitobonifica implicano lo sfruttamento della vegetazione e della
popolazione microbica associata con l’apparato radicale delle piante (rizosfera).
Le piante possono agire diversamente sugli inquinanti organici attraverso tre meccanismi principali:
1. Fito-degradazione;
2. Fito-stimolazione;
3. Fito-volatilizzazione.
267
La Fito-stimolazione è la liberazione di fattori stimolanti l’attività microbica del terreno e
responsabili della degradazione del contaminante. È un processo più lento rispetto alla fito-
degradazione e avviene attraverso la secrezione da parte delle piante di sostanze che costituiscono
parte dell’essudato radicale (zuccheri, alcoli, acidi, etc.). Tali sostanze hanno un effetto stimolante
sull’attività microbica presente nel terreno e di conseguenza viene incrementata la capacità di
biodegradazione di batteri e funghi.
La Fito-volatilizzazione invece, consiste nella volatilizzazione della sostanza dal terreno o sulla
pianta ossia il contaminante assorbito dalla pianta viene modificato nella sua forma chimica volatile
per cui può essere rilasciato nell’atmosfera in forma gassosa.
La fitobonifica include diverse tecniche: rizo-filtrazione ossia la filtrazione dei metalli da acque
contaminate mediante l’apparato radicale (assorbimento, concentrazione, precipitazione di metalli
pesanti ad opera delle radici). Per queste operazioni si preferiscono piante terrestri invece che
acquatiche, in quanto hanno un apparato radicale molto più sviluppato. Nell’ambito di tale tecnica di
trattamento vengono realizzate delle zone umide in cui l’acqua viene fatta scorrere attraverso un
sistema ingegnerizzato di bacini per l’allontanamento dei contaminanti attraverso rizo-filtrazione.
268
La fito-estrazione ossia l’assorbimento, concentrazione e traslocazione nella parte aerea della
vegetazione ossia estrazione e accumulo di contaminanti in piante da raccolto. In genere tale tecnica
usa piante iper-accumulatrici (ossia in grado di contenere più dello 0.1% di Ni, Co, Cu, Cr o l’1% di
Zn e Mn come peso secco, indipendentemente dalle concentrazioni presenti nel terreno).
Come già citato per la rizo-filtrazione è possibile realizzare dei bacini ingegnerizzati o zone umide
naturali in cui la vegetazione estrae e assorbe i contaminati dalle acque o dai terreni o sedimenti e
dopodiché la vegetazione o i fanghi, se ancora contaminati, possono essere messi a discarica.
(Biotrattamento ex sito) → si possono creare delle zone umide in corrispondenza delle quali
possiamo piantare le specie vegetali con apparato radicale denso e capacità di trasferimento spinte.
L’acqua viene fatta scorrere e la zona umida deve essere ben sviluppata per garantire tempi di
residenza sufficienti all’estrazione o trattamento. A vasche successive possono seguire tipologie di
269
vegetali diverse in modo che diversi composti o metalli possano essere estratti nel tempo. Questo
ambiente, poi, è adatto alla formazione di terreno organico, con fauna microbica spinta e formazione
di alghe. Ci sono dei problemi perché la formazione di sostanza organica o deposizione di sedimento
o precipitazione di composti può chiudere parzialmente queste vasche entro cui è fatta scorrere
l’acqua, quindi ci deve essere una pulizia regolare, annuale di queste vasche in modo da mantenerlein
funzione. Il problema è la caratterizzazione di questi fanghi e il trattamento o la messa a discarica. La
stessa cosa può avvenire con delle pinate che vengono sfalciate o tagliate ed esse possono essere
messe a discarica o bruciate o trattate in altro modo.
Esistono diversi vantaggi: è un metodo passivo, necessità solo di acqua e Sole, trattamento in situ,
costi bassi, facilita l’attenuazione naturale, accettabile e crea piccole emissioni in aria ed acqua.
Video 51: flusso in presenza di più fluidi, pressione statica dei fluidi, pressione
capillare, curve pressione capillare vs contenuto di acqua, permeabilità relativa
vs contenuto di acqua
Questa lezione tratta del problema del trasporto in falda di fluidi non miscibili ossia significa che in
falda ci saranno più fluidi che non saranno miscibili tra di loro, il cui destino è funzione della
caratterizzazione del contaminante e delle caratteristiche del mezzo poroso.
Le domande che potrebbero sorgerci sono diverse:
270
Si ha uno sversamento in superficie (caso a) e abbiamo un percorso della sostanza contaminante,
prima nel non saturo, poi entra nella zona satura, ma già sappiamo prima di entrarci che potremmo
avere una zona con la frangia capillare e qui sotto la tavola d’acqua. Da qui in giù si ha il DNAPL
che migra in verticale e lascia dietro di sé una zona in saturazione residua. Il prodotto può giungere
al fondo dell’acquifero essendo un DNAPL è più denso dell’acqua. Quindi, in profondità si avrà
DNAPL in fase libera.
La situazione può essere più complessa (caso b, c e d) in cui si ha delle stratigrafie differenti. Nel
caso b) si hanno delle lenti argillose in basso che impediscono la migrazione della sostanza in
verticale, ma la consente solo in orizzontale sino a che termina la lente a bassa k. Nel caso c) il
materiale si ferma in zone con materiale a grana fine e non arriva al fondo dell’acquifero. Nel caso d)
si hanno molte lenti di DNAPL sino alla parte basale e in tutti i casi si può avere un pennacchio che
si origina.
Lo schema sopra fa vedere la distribuzione delle pressioni in un sistema statico: ciò ci interessa perché
noi sappiamo già che se abbiamo una tavola d’acqua ad una data profondità (fig a sx linea azzurra.
Quindi, al di sotto di tale linea si ha la zona satura con pressione idrostatica positiva che cresce
linearmente con la profondità in funzione della z e γw. Il loro prodotto è uguale al gradiente che ci dà
la pendenza della retta blu. La stessa cosa la possiamo fare al di sopra della tavola d’acqua e qui vi è
la frangia capillare che avrà un certo spessore che varierà in funzione della granulometria. Poi
sappiamo che la pressione dell’acqua nella frangia capillare è negativa (es. del tubo pieno nel
recipiente con risalita capillare maggiore del recipiente, la cui altezza di risalita è detta risalita
capillare ed è dovuta ad una pressione capillare). La pressione capillare è uguale alla differenza tra la
P del fluido non bagnante rispetto a quella del fluido bagnante. Nel caso della zona insatura, il fluido
non bagnante è l’aria e il fluido bagnante è l’acqua: quindi la differenza tra le due pressioni ci dà la
pressione capillare. Inoltre, sappiamo che la pressione dell’aria agisce nella sommità del recipiente e
appena ci spostiamo sotto agisce quella dell’acqua che cresce linearmente in z.
Tra la zona insatura e quella satura accade che la pressione dell’aria ha lo stesso andamento solo che
ha un gradiente diverso (linea verde): la pendenza sarà espressa dalla γa; una delle caratteristiche
della γa è che è circa = 0. Quindi la pressione dell’aria è uguale al prodotto tra la z* γa.
272
La pressione dell’acqua invece incrementa con la profondità. Se parliamo di pressione capillare intesa
come differenza di pressione dell’aria e dell’acqua, si avrà che sarà uguale alla differenza tra le due
pendenze delle curve blu e verde. La pressione capillare, quindi diminuirà all’avvicinarsi della falda
(verso il basso).
Ciò è molto importante, e in genere assumiamo che il contenuto di acqua o grado di Saturazione in
acqua in prossimità della superficie (linea nera) è prossimo a 0, mentre quello all’interno della frangia
capillare a scendere sarà uguale a 1.
Questo concetto lo vediamo nel diagramma a sx in cui vediamo la variazione del grado di S con z →
S è 1 sino alla frangia capillare e diminuisce progressivamente a mano a mano che ci spostiamo
lateralmente nel diagramma (la pressione capillare è anche detta potenziale di matrice).
A sx della curva avremo il grado di saturazione del fluido bagnante Sw (colui che copre maggiormente
la superficie solida) e a dx il grado di saturazione del fluido non bagnante Snw. Quindi, diminuisce la
S del bagnante e cresce quella del non bagnante.
Possiamo calcolare la pressione capillare alla micro-scala, in funzione del raggio di curvatura dei
menischi in corrispondenza di un contatto granulo-granulo con del fluido; l’angolo di contatto
definisce la bagnabilità del fluido.
Vediamo ora cosa accade nel caso di un DNAPL, che sarà il fluido non bagnante e ancora la pressione
capillare sarà data dalla differenza della pressione del NAPL e quella dell’acqua. Se il DNAPL è più
pesante dell’acqua significa che linea viola sarà spostata più a destra rispetto a quella blu dell’acqua
in quanto ha una densità maggiore.
La pressione capillare è quella esercitata tra i due fluidi: ciò significa che il grado di saturazione
dell’acqua è 1 alla linea nera e diminuisce in z come si vede dal diagramma. In z la S del fluido non
bagnante aumenta sempre di più e quello del fluido bagnante diminuisce.
273
sostituire l’acqua, mentre la curva di imbibizione dove l’acqua sostituisce l’aria.
Le due curve non coincidono e vi è una differenza tra le due e tale differenza varia in funzione del
tipo di terreno.
Nella sabbia fine, il valore iniziale si sposta in su e il valore assoluto sull’asse y è il doppio di quello
nella sabbia media. Al flesso della curva si ha la pressione di entrata dell’aria o inizio di sostituzione
dell’acqua da parte dell’aria.
Da notare che molte curve sperimentali di imbibizione non vanno a 100 ma si fermano prima in
quanto non si riesce a spiazzare completamente l’aria dal sistema e quindi ci sarà una saturazione
residua di aria.
A lato ci sono altri due diagrammi con 2 fluidi, TCE e aria. si osservano due curve molto diverse in
cui la pressione di entrata è diversa e il TCE è sostituito più facilmente dall’aria e ha un grado di S
inferiore.
Abbiamo detto che l’acqua è presente all’interno del mezzo con
delle proporzioni diverse. Data la curva precedente di drenaggio
e imbibizione, se l’acqua occupa tutti i pori, l’aria deve essere
spinta con una data pressione e poi inizia ad occupare gli spazi
nel sistema che aumenteranno a mano a mano che ci si sposta
sulla curva di drenaggio. Se l’acqua è
discontinua, ossia se tra in granuli
avremo che l’acqua è confinata e in
mezzo aria, l’aria sarà più rimovibile che non l’acqua. Quindi la permeabilità varia con il grado di
saturazione o contenuto di acqua.
Nel diagramma sopra si parla di permeabilità relativa ossia il rapporto tra la permeabilità ad un dato
grado di saturazione rispetto alla K max ossia per il caso di grado di S = 1. Si assuma un campione di
terreno inizialmente pieno di acqua e gli iniettiamo del TCE: la curva di permeabilità relativa se
274
iniettiamo il TCE si ha la curva di permeabilità relativa B, mentre nel caso di iniezione di acqua si ha
la curva A.
Nei due casi, la permeabilità dell’acqua cambia a parità di permeabilità relativa.
Vediamo ora un altro aspetto: nel caso c) si ha un DNAPL che trova una lente argillosa che blocca la
sua percolazione e si forma un pull ossia una pozzanghera di DNAPL. La curva iniziale che ci
rappresenta l’acqua e l’aria è la prima a sx. Iniziamo poi a buttare olio in basso nella figura a sx in
alto, esso entra nel sistema
e si sparge. L’olio spiazza
l’aria in alto e in basso
grado di S aria è maggiore.
Dopo 480 minuti nella fig
in alto a dx l’olio scende e
raggiunge il top della
frangia capillare.
In termini di pressioni vediamo cosa accade: nella figura in alto a sx si ha il profilo della pressione
dell’acqua che sappiamo che in corrispondenza della tavola d’acqua è 0. Sopra è negativa e sotto è
positiva. Essa cresce secondo il suo gradiente che il gamma water. Nella figura a dx in alto si è nella
condizione i cui si inietta olio dall’alto: la tavola d’acqua si sposta e la frangia capillare si riduce ma
275
aumenta il livello dell’acqua. Se aumentiamo ancora l’olio nella fig in basso a sx accade che la falda
si trova alla z della linea blu, la frangia capillare è ridotta ancora e si è formata una frangia di olio.
Nella quarta figura a sx in basso, aumentiamo ancora l’olio e esso si trova sopra che schiaccia del
tutto la frangia capillare che viene fatta sparire.
La saturazione varierà in funzione della z e noi andremo a rilevarla in alcuni casi con delle misure
dirette tramite una sonda oppure in un pozzo e dentro troveremo dell’olio. → problema definizione
dello spessore corretto dell’olio. Differenza di spessore dovuta al fatto che nel terreno ho la capillarità,
ma nel pozzo no.
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A destra in alto si ha una curva di S con acqua in saturazione residua, nella zona vadosa si ha un grado
di S noto di aria e a dx olio. A mano a mano che scendiamo in z, l’olio si sarà trasferito e il contenuto
in aria diminuisce e si ha un notevole aumento dell’olio. Se arriviamo a contenuto max di olio, l’aria
sparisce e siamo in una frangia capillare dell’olio e al di sotto di questa si avrà una tavola di olio dove
il grado di S dell’olio è massimo.
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Ci sono 2 modelli che sono usati comunemente e sono dei modelli empirici cioè si basano su dei dati
sperimentali: modello di Brooks and Corey.
Il modello usa un equazione empirica semplice che è usata per mettere in correlazione il contenuto
di acqua con il potenziale di matrice o pressione capillare.
Le prime due curve a sx sono quelle che già conosciamo con contenuto volumetrico di acqua sull’asse
x che varia tra 0 ed n che varia tra 0 e 1 del grado di saturazione. Si assume di essere nel punto nero
sulla curva, la sua posizione si esprime relativamente al campo di variazione totale ossia θs – θw0 dove
quest’ultimo è il contenuto di acqua irriducibile del fluido bagnante. E otteniamo la relazione nello
schema. Nel grafico 2 si trascura la parte irriducibile a sx.
Brooks and Corey dicono che il contenuto volumetrico di acqua è uguale ad un contenuto
volumetrico di acqua irriducibile + la differenza tra il valore irriducibile e quello a saturazione *
rapporto tra pressione capillare e la pressione di entrata.
Se le curve sono piatte significa
che per piccole variazioni di
pressione capillare si ha la
desaturazione quasi completa. Si
ha una variazione di pendenza in
funzione della variazione di
granulometria.
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Van Genuchten (1980) ha migliorato ed esteso tale modello per considerare sempre attraverso una
relazione empirica. Lui è arrivato ad un modello che definisce meglio la variazione della curva
soprattutto andando nell’irriducibile.
Una volta che abbiamo m, n e alfa possiamo ricostruirci la curva caratteristica della permeabilità
relativa in funzione del grado di saturazione effettivo.
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