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Il futuro della sostenibilità aeronautica

Alessandro Vignola e Nicolò Scaiola

INTRODUZIONE
Il settore aeronautico contribuisce ogni anno al 2% delle emissioni globali di GHG (Green
House Gasses), senza considerare l’emissione di NOx altrettanto dannosi; nonostante ciò
spesso l’impatto ambientale dell’aviazione viene trascurato.

Nel 2020, dopo una rapida crescita avvenuta nell’ultimo ventennio le emissioni di CO2
derivanti dal settore aeronautico sono diminuite di un terzo rispetto ai livelli pre pandemia,
raggiungendo il livello più basso dal ‘97. Nonostante questo crollo senza precedenti, ci si
aspetta che il numero di passeggeri e i volumi delle spedizioni tornino a crescere
rapidamente. Nel passato le riduzioni dei consumi energetici non sono state sufficienti a
bilanciare la crescita avvenuta. Sarà necessario quindi adottare diverse contromisure
operazionali, tecniche e comportamentali per diminuire le emissioni dal 2025 in modo da
ridurle a circa 780 mega tonnellate di anidride carbonica (MtCO₂) entro il 2030 e 470 MtCO₂
entro il 2040 rimanendo così in linea per il raggiungimento del programma Net Zero
Emissions di IATA, ossia l’impegno da parte di tutte le compagnie aeree di raggiungere
emissioni nette di carbonio nulle entro il 2050, in linea con gli accordi di Parigi.[1]

Fra le priorità di medio-breve periodo rientra la messa in atto di misure per ottenere un
efficientamento del settore, agevolare gli investimenti in combustibili sostenibili e sviluppare
alternative al kerosene come ad esempio velivoli a idrogeno o a batteria elettrica.

La figura [0.1] mostra il numero di passeggeri annui in relazione ai principali eventi avvenuti
negli stessi,; mentre la figura [0.2] si mostra l’andamento storico delle emissioni di CO2 ad
oggi, comparando il trend atteso, Announced Pledges Scenario (APS), con quello ideale e
necessario per il raggiungimento dell'obiettivo Net Zero Emission.
[0.1] numero di passeggeri per settore in miliardi; in verde voli internazionali, in blu
domestici, in azzurro voli totali.[2]

[0.2] proiezioni dell’andamento delle emissioni in megatonnellate (Mt)


SUSTAINABLE AVIATION FUEL (SAF)
Nonostante le diverse tecnologie innovative di cui si parlerà in quelli successivi pensate per
una completa rivoluzione green ed il conseguente abbandono delle turbine a gas, esse
rimangono ad ora molto competitive economicamente, affidabili e utilizzabili per qualsiasi
distanza grazie all'elevata densità energetica dei combustibili liquidi tradizionali.

In aggiunta questi nuovi metodi di propulsione ad uso aeronautico, sebbene rivoluzionarie


rimangono tutt’ora molto distanti dalla applicabilità su larga scala; per questo motivo
l’attenzione della ricerca è rivolta anche a prodotti che rappresenterebbero, se non la
soluzione definitiva, quantomeno una speranza concreta di riuscire a diminuire
significativamente le emissioni di GHG nel breve-medio periodo, una delle risposte
individuate da questa ricerca è sicuramente quella dei SAF.

Generalmente con il termine SAF (Sustainable Aviation Fuel) ci si riferisce a qualsiasi


combustibile di origine non fossile, anche se in realtà esistono diversi tipi di SAF a seconda
degli elementi utilizzati per la loro produzione e dei processi utilizzati.

Essi rappresentano la principale soluzione per l'avvicinamento ad una aviazione green nel
breve periodo per numerosi motivi legati sia all’ impatto ecologico che ai bassi costi di
implementazione; infatti le caratteristiche chimiche e fisiche dei SAF risultano praticamente
identiche a quelle dei combustibili tradizionali e possono quindi essere utilizzati come
soluzione drop-in1.

Figura [1.1] contributo percentuale atteso dai SAF [3]

1 Secondo la definizione di IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, i carburanti di drop-in


sono bio-idrocarburi liquidi funzionalmente equivalenti a quelli a base di petrolio e
pienamente compatibili con le infrastrutture esistenti correlate a questi ultimi.
1. SUDDIVISIONE SAF E PRODUZIONE

Esistono numerosi approcci per arrivare a produrre SAF con diverse tecnologie che possono
2
trasformare biomasse, rifiuti in combustibile per aereo; al momento sono 8 le platform
technologies (in italiano traducibile come procedimenti) certificate dalla ASTM per produrre
SAF per aviazione commerciale; in questo capitolo tratteremo brevemente i principali
metodi.

-Fischer-Tropsch (FT)

Il processo FT prende qualsiasi materiale contenente carbonio e lo rompe in singoli blocchi


costitutivi sotto forma di gas (gas di sintesi). La sintesi FT combina quindi questi elementi
costitutivi in SAF e altri combustibili. Ad oggi, due diversi processi FT sono stati certificati da
ASTM, uno che produce un carburante paraffinico diretto (SPK) e uno che produce anche
composti aromatici aggiuntivi (SAK). Entrambi i processi possono utilizzare qualsiasi
materiale di partenza contenente carbonio, secondo le specifiche. Il rapporto di miscelazione
massimo per entrambe le opzioni è del 50%.

-Hydrotreated Esters and Fatty Acids (HEFA)

HEFA raffina oli vegetali, olio esausto, o grassi in SAF attraverso un processo di
idrogenazione. Nella prima fase del processo, l'ossigeno viene rimosso mediante idro
desossigenazione. Successivamente, le molecole paraffiniche diritte vengono rotte e
isomerizzate fino ad ottenere catene di lunghezza adatta a quella di combustibile da jet. Il
blend ratio massimo è del 50%.

-Synthesized Iso-Paraffins (SIP)

SIP è una piattaforma biologica, dove i microbi convertono lo zucchero C6 in farnesene


(*nome dato a 6 composti chimici con la stessa formula bruta) che dopo essere trattato con
idrogeno può essere utilizzato come SAF. Max blend ratio is 10%.

-Alcohol to Jet (AtJ)

AtJ converte gli alcoli in SAF rimuovendo da essi l’ossigeno e unendo fra loro le molecole in
modo da ottenere catene di carbonio della lunghezza desiderata (i.e. oligomerization).
Attualmente sono 2 gli alcoli approvati per l’uso di AtJ: etanolo e isobutanolo;la fonte dei
suddetti non è specificata; questo metodo permette di ottenere dei blend fino al 50% diSAF

[4]

2 ASTM: ASTM International è un organismo di normazione statunitense, acronimo di


American Society for Testing and Materials International
2. RIDUZIONE DELLE EMISSIONI

Il potenziale impatto che il largo impiego di SAF avrebbe nel ridurre le emissioni di GHG è
stato riconosciuto da ICAO, stati membri e in generale da tutta l'industria aeronautica, tanto
che sono stati inclusi nel pacchetto di misure presentato agli stati membri per la creazione di
un piano di azione per diminuire le emissioni di CO2.

Secondo valutazioni dell’ ICAO risalenti al 2016 una sostituzione del 100% dei combustibili
tradizionali per aviazione con SAF porterebbe una riduzione del 63% delle emissioni di CO2
derivanti da voli internazionali contribuendo in maniera considerevole alla riduzione
dell’impatto ambientale del settore [fig. 2.1]

Questo perchè anche se in realtà la combustione di SAF emette quantità simili di CO2
rispetto a combustibili tradizionali, i SAF portano numerosi benefici quando se ne considera
il ciclo di vita nella sua interezza; ad esempio nel caso di SAF prodotto a partire da rifiuti
urbani il vantaggio deriva sia dal fatto che utilizzandolo si evita l’estrazione e utilizzo di altro
petrolio, sia dal fatto che se inutilizzati i rifiuti sarebbero probabilmente lasciati a decomporsi
in discarica a produrre altri GHG come il metano e senza portare alcun beneficio.

In caso di produzione di SAF a partire da biomasse invece, le piante coltivate


assorbirebbero una quantità di carbonio presente nell’aria all’incirca pari alla quantità
liberata nell’atmosfera al momento della combustione rendendo il SAF praticamente a
impatto zero (carbon neutral) se considerato nell’ interezza del suo ciclo di vita.

[2.1] diagramma del ciclo di vita dei SAF [5]


A seconda dei metodi di produzione e trasporto utilizzati i benefici risultano quindi variare in
maniera considerevole, ma in ogni caso vengono considerati benefici per il clima solo quelli
di cui le emissioni risultano al di sotto di 89CO2e/MJ, ovvero del valore tradizionalmente
accettato per i combustibili di origine fossile utilizzati.

[2.1] impatto ipotizzato dei SAF


3.CRITICITA’

Come abbiamo visto buona parte delle risorse necessarie alla produzione di SAF può
derivare da rifiuti urbani, e sebbene questo risulti essere un duplice vantaggio, per i motivi
elencati in precedenza, può anche far sorgere dubbi riguardo alla effettiva possibilità di
avviare una produzione sufficiente per sopperire alla progressiva riduzione di carburanti di
origine fossile in quanto si tratta comunque di una risorsa 'limitata’.

La stessa preoccupazione può sorgere anche riguardo i SAF di origine biologica in quanto la
biomassa disponibile in condizioni normali risulta estremamente limitata, e avviare una
produzione su larga scala di vegetali al solo scopo di essere utilizzati per la produzione di
SAF causerebbe l’insorgere di problemi etici quali l’utilizzo di una grandi quantità di acqua
ma anche pratici come l’effettiva disponibilità di queste quantità d’acqua e di terreno.

In aggiunta, nonostante la IATA punti ad arrivare ad una quota intorno ai 2 punti percentuali
del mercato globale di combustibili per aviazione, attualmente le piante allocate alla
produzione di SAF possono provvedere solo a metà della quantità necessaria.

Nonostante ciò, risulta secondo varie stime che anche tenendo in conto le stime di crescita
della popolazione globale all’incirca 1.41 Gha,sarebbero disponibili per e adatti alla
produzione agricoltura di tipo non alimentare e nello specifico si stima che tra i 0.05 e 00.2
Gha di terreno potrebbero essere adibiti alla produzione di bioenergia entro il 2050.[8]

Secondo queste stime verrebbero prodotti dai 100 ai 200 EJ all’anno ovvero circa il 7-12%
della richiesta globale [9]

[2.3]Una sintesi della terra disponibile e ad ora utilizzata, nonché del potenziale stimato delle
bioenergie

Critiche sono mosse anche riguardo all’effettiva competitività a livello economico di questi
SAF, ma, se è vero che ad oggi costano ancora più del doppio dei combustibili tradizionali,
utilizzarli in miscele causerebbe un aumento dei prezzi tutto sommato accettabile, ad
esempio per un viaggio da Shanghai a Istanbul con una miscela al 15% di SAF si avrebbe
un aumento dei prezzi di solo 20 USD a passeggero.

IDROGENO COME CARBURANTE

Un altro vettore energetico che sta suscitando grande interesse è l’idrogeno: nei velivoli può
essere impiegato con notevoli differenze in due distinte modalità. È infatti possibile utilizzarlo
come combustibile in un motore a combustione interna o come elemento base di una cella a
combustibile in grado di generare corrente per l’alimentazione di un’elica. Nel primo caso ci
si affida a turbine a jet e non vi è alcuna emissione di CO2 dovuta all’impiego di tale
elemento in questo ambito; tuttavia, in presenza di ambienti ricchi di azoto, si ha spesso un
rilascio dei suoi ossidi, in quanto effetto collaterale della reazione di combustione
dell’idrogeno.
Nel secondo caso la cella converte direttamente l’energia chimica dell’idrogeno (il quale, a
differenza di una tradizionale batteria, non è già presente nella cella, che deve essere
continuamente rifornita dell’elemento) facendolo reagire con ossigeno, solitamente ottenuto
dall’aria. Queste tecnologie presentano numerose criticità, che vedremo a breve, in attesa di
essere risolte al fine di impiegare le stesse su modelli di aeromobile sufficienti (in numero e
tipo) ad avere un impatto sulle emissioni di CO2.

Prima, cerchiamo di capire perché dovremmo affidarci all’idrogeno per alimentare i nostri
velivoli.
Se lo paragoniamo al kerosene, la sua energia specifica è elevatissima: ben 142 MJ/kg,
mentre per il carburante tradizionale il valore tipico è di 42 MJ/kg. Questo promette sulla
carta una gittata o range, molto superiore, cioè un aumento della distanza massima
percorribile dall’aereo. Per l’equazione di Breguet, la gittata R vale:

R=
η Hv L
g D
ln
(
W iniziale
W finale )
dove H v è l’energia specifica del combustibile impiegato, η è l’efficienza relativa ai fenomeni
L
termodinamici e propulsivi, gè la costante di gravitazione universale, il rapporto tra
D
portanza e resistenza aerodinamica, W il peso del velivolo.
Notiamo che la gittata cresce linearmente con l’energia specifica del carburante e con
questa analisi, pur preliminare e semplicistica, l’idrogeno è tre volte meglio del kerosene in
termini di range.
Inoltre esso brucia molto facilmente: questo migliora l’operatività del motore (in particolar
modo ad altitudini elevate) ai limiti della cosiddetta “operating envelope”, ossia quella
gamma di valori dei parametri caratteristici di performance che garantiscono livelli accettabili
di sicurezza.
In realtà, questi benefici nelle prestazioni sono considerevolmente limitati dalla bassa
densità dell’idrogeno, che in termini di progetto causa un aumento di volume della struttura
del velivolo con conseguente incremento di peso e resistenza aerodinamica: la storia del
volo alimentato a idrogeno ha reso evidente queste criticità.

STORIA DELL’IDROGENO NELL’AVIAZIONE

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si iniziò a considerare l’utilizzo di idrogeno come


propellente per scopi strategici e militari, in particolare per i missili in quegli anni in sviluppo
da parte della NACA, National Advisory Committee for Aeronautics [6].Negli anni ‘50 si cercò
di implementare l’elemento in aeromobili progettati per volare ad alta quota (30.000 metri):
essendo necessarie in queste condizioni una fusoliera e ali di dimensioni maggiori, la bassa
densità dell’idrogeno avrebbe impattato in misura inferiore sulle specifiche di progettazione
del velivolo. È in questo contesto che nasce il Progetto Bee [fig.3.1], a tutti gli effetti il primo
aeroplano alimentato a idrogeno: la NACA modificò un bombardiere Martin B-57 affinché
uno dei due motori operasse anche a idrogeno oltre che a kerosene (JP-4). L’aereo avrebbe
decollato e raggiunto la quota di 16.400 metri prima di passare dal JP-4 all’idrogeno ed
eseguire dei test sulla risposta del motore al cambio di carburante, per poi ritornare alla base
in condizioni operative di nuovo con kerosene.
Il 13 febbraio 1957 avvenne il primo volo del Martin B-57 e fu un vero successo. La
transizione a idrogeno avvenne in due step: dopo il decollo il velivolo operò con JP-4 e
idrogeno simultaneamente e dopo due minuti di volo regolare con questa miscela, il pilota
passò al solo idrogeno. La transizione fu relativamente regolare, senza apprezzabili
variazioni di velocità o temperatura del tubo di scappamento [7] e, dai report dei piloti il
motore aveva risposto bene alle manovre a regime idrogeno, durante il quale aveva prodotto
una densa e persistente scia di condensazione, mentre il suo “gemello” alimentato a JP-4
non lasciava alcuna traccia [fig. 3.2]. Quando le scorte di idrogeno stavano per terminare, il
pilota osservò una diminuzione della velocità e passò nuovamente a kerosene: il
bombardiere accelerò dolcemente fino alla velocità operativa e ritornò alla base. Il tempo di
volo con solo idrogeno ammontava a venti minuti.
Questo tipo di test si estese fino al 1959, senza incidenti, dimostrando la grandissima
flessibilità dell’idrogeno liquido nei voli ad alta quota. Si scoprì dunque che la conversione
dei motori turbojet da kerosene a idrogeno non era molto complicata, la velocità di
propagazione del fronte di fiamma dell’idrogeno (maggiore rispetto al kerosene) permetteva
la costruzione di motori più compatti e che era possibile gestire H2 liquido in maniera sicura
durante le operazioni di volo.
[3.1] Il sistema installato dai laboratori Lewis Field della NACA per uno dei due motori Wright
J65 del bombardiere Martin B-57. [8]

[3.2] Il bombardiere utilizzato per eseguire il primo test in volo del febbraio ‘57. Il serbatoio
alare sulla destra (l’ala sinistra del velivolo) contiene l’idrogeno, quello a sinistra ospita l’elio
per la pressurizzazione e la pulizia dei condotti del motore prima della transizione a miscela
kerosene-idrogeno. Il denso fumo nero era una consuetudine durante l’avviamento dei
motori con carburante convenzionale. [9]

Degno di nota è anche il caso del CL-400 Suntan, un concept sviluppato nel ‘56 dalla Skunk
Works, ovvero la divisione Programmi di Sviluppo Avanzati della Lockheed Martin (dalla
quale sono scaturiti negli anni velivoli celeberrimi come SR-71 Blackbird e il Raptor F-22):
l’aereo militare era progettato per volare a oltre 30.000 metri fino a Mach 2.5. La Air Force
statunitense fu entusiasta del progetto, che venne portato avanti in segreto e per il quale
Lockheed Martin sviluppò a Fort Roberson in California un’infrastruttura per il trattamento
dell’idrogeno liquido come propellente su scala industriale.
La compagnia americana Pratt & Whitney si aggiudicò l’appalto per la costruzione dei motori
[fig.3.3]: nonostante fossero in circolazione molti prototipi di turbofan progettati
specificamente per la propulsione a idrogeno, si decise di optare per la modifica di un
motore già esistente, il loro J-57, che sarebbe stato meno efficiente ma più affidabile per
quelli che sarebbero stati gli stadi iniziali del volo supersonico a idrogeno, in attesa di una
tecnologia più matura.
Sfortunatamente, il progetto fu abbandonato perché le specifiche richieste dalla Air Force
mutarono a sfavore del prototipo, tuttavia il lavoro di Skunk Works diede un contributo
incredibile al programma spaziale che si sarebbe delineato negli anni successivi, con
l’impiego dell’idrogeno per la propulsione dei razzi.

[3.3] Prototipo di turbofan a idrogeno Pratt & Whitney. [Patent 3 241 311, 22 Marzo 1966,
archiviato in data 5 Aprile 1957].

Anche l’Unione Sovietica era interessata allo sviluppo di aeromobili ad alimentazione


alternativa, disponendo negli anni ‘80 di limitate riserve petrolifere. Famoso è il caso del
Tupolev 154, primo aereo di linea a volare con uno dei due motori alimentato a idrogeno
liquido: il progetto era del tutto simile a quello del Martin B-57, tuttavia il serbatoio criogenico
per l’idrogeno occupava una porzione troppo eccessiva della fusoliera per rendere il progetto
praticabile.
Una volta risolti i problemi tecnologici del volo ad alta quota con motori a kerosene, le
sperimentazioni con l’idrogeno furono accantonate, per ripresentarsi con la crisi del petrolio
e l’attenzione alla sostenibilità ambientale: in questo senso, una forte spinta fu data
dall’industria automobilistica che aveva iniziato a servirsi della tecnologia delle celle a
idrogeno a emissioni zero, rendendo questa soluzione praticabile per il trasporto terrestre.
Dal 1999 al 2003 il programma HALE di NASA e Aerovironment Elios [10] ha studiato, tra le
altre cose, l’utilizzo di celle a idrogeno per alimentare velivoli complementariamente a celle
solari, la cui energia in eccesso prodotta durante il giorno sarebbe stata utilizzata per
generare idrogeno tramite elettrolisi. [11]. Gli studi effettuati prevedevano velivoli senza
pilota (denominati UAS, Unmanned Aircraft Systems, dalla FAA3) e due di questi progetti
hanno effettuato dei voli: l’Aerovironment Global Observer a celle a idrogeno nel 2011 e il
Boeing Phantom Eye con motore a combustione interna nel 2012.
Un ulteriore passaggio fondamentale in quegli anni fu il Boeing Fuel Cell Demonstrator,
sviluppato dalla divisione europea di ricerca e sviluppo di Boeing: il primo velivolo pilotato
dall’uomo con celle a idrogeno implementate. Era dotato di un motore a 75 kW, un sistema
di celle che consumava idrogeno gassoso in grado di fornire 24 kW di potenza e batterie

3 Federal aviation Administration, facente parte del ministero americano dei trasporti.
elettriche di supporto, da usare in fase di decollo. L’alimentazione con celle a combustibile
tuttavia era in grado di supportare senza problemi l’intera fase di volo a regime.
Fu proprio questo progetto che mise in evidenza le principali criticità di un sistema a celle
per il trasporto aereo, sono queste sfide tutte ancora da superare per rendere questo tipo di
volo davvero sostenibile:
- la riduzione al minimo dei rischi legati al trasporto di idrogeno non pressurizzato su
un velivolo
- l’introduzione di procedure di sicurezza efficaci che, allo stesso tempo, non causino
un eccessivo aumento dei costi
- l’isolamento termico del sistema di alimentazione
- il peso aggiuntivo di un tale sistema, non certo nato per il trasporto aereo, e dei
sistemi complementari necessari a garantire una sana ridondanza per la sicurezza
del velivolo
Il team di sviluppo del Demonstrator stimò che il nuovo sistema di propulsione aggiungeva
circa 150 kg rispetto a un convenzionale motore a combustione interna: questo è un
aumento di peso enorme per un velivolo di piccola taglia come quello usato dalla Boeing.
Tuttavia, più recenti e ottimizzate celle a carburante in sviluppo in quegli anni, con una
potenza specifica di 0.5-1.0 kW/kg, avrebbero ridotto considerevolmente l’incremento di
peso.

Il contributo dato da Boeing alla propulsione alternativa è considerevole. Negli ultimi anni,
anche altri colossi dell’aviazione hanno iniziato a partecipare al gioco.

Nel 2020 Airbus ha presentato tre concept di aeromobile sotto il nome di ZEROe [12], che
combinano tutte le più efficaci tecnologie a idrogeno per la propulsione aerea: l’idrogeno
liquido è usato come carburante in turbine a gas modificate e celle a combustibile producono
energia elettrica complementariamente, aumentando l’efficienza del sistema.

Nel 2022 è ufficialmente iniziato il programma demonstrator del progetto ZEROe, con
l’avviamento dei consueti test in volo e a terra del modello A380, ma questa volta con i
sistemi ibridi a idrogeno: la compagnia mira a raggiungere un alto livello di maturità
tecnologica in questo ambito entro il 2025.
È evidente come questa tecnologia stia generando sempre più entusiasmo, e nonostante le
numerose difficoltà di ottimizzazione, le condizioni affinché diventi finalmente rilevante si
stanno verificando, a partire dalle spinte ecologiche e ambientaliste che stanno
caratterizzando questi decenni e che finalmente hanno provocato un coinvolgimento della
politica e delle istituzioni che regolamentano il settore aeronautico.

AVIAZIONE ELETTRICA
Il 10 ottobre 2017 Roland Berger, società tedesca di consulenza strategica per numerose
istituzioni pubbliche, in particolare in materia di trasporti, pubblica un report [13] intitolato
“Aircraft Electrical Propulsion – The Next Chapter of Aviation?”, sottotitolo: it is not a
question of if, but when.
L’incipit del report è di grande impatto: secondo la società, ci troviamo a un punto di svolta
nella ‘rivoluzione’ dell’industria aerospaziale e dell’aviazione.
Gli analisti di Roland Berger affermano di aver catalogato tutti i progetti di aviazione elettrica
conosciuti; ne contano settanta, categorizzati in quattro tipi: general aviation, urban air taxi,
regional aircrafts, large commercial aircrafts. Metà di questi progetti provengono da startup e
meno del 20% sono legati a grandi industrie del settore [fig. 4.1].
Lo studio fa un buon lavoro nel mettere in evidenza le principali barriere tecnologiche legate
all’elettrificazione della propulsione aerea e confronta quest’ultima con due “rivoluzioni” fallite
del settore aeronautico, ovvero il trasporto supersonico e i very light jets o VLJ (tipicamente
business jet di piccole dimensioni e costi operativi ridotti), che erano state accolte e
celebrate con lo stesso entusiasmo di quella elettrica, sottolineando un’importante
differenza: i velivoli supersonici e i VLJ furono fallimenti “di mercato”, non tecnologici; nel
caso della propulsione elettrica, sappiamo che c’è una necessità molto concreta di passare
a modalità di volo più sostenibili. La domanda quindi è semplicemente se questo sia il
miglior “candidato” a rispondere a tale necessità e in questo, più che il tempo di
maturazione della tecnologia, entrano in gioco fattori di pura ottimizzazione ingegneristica.

In questo capitolo è stata brevemente riportata la storia dell’idrogeno nell’aviazione che,


avendo proceduto “a singhiozzi” ed essendo enormemente più scarna di quella della
propulsione elettrica, ci ha consentito di cogliere attraverso le sue tappe speranze e
delusioni dei contributori in tale ambito. A differenza di quanto visto per l’idrogeno, sembra
che la soluzione elettrica generi più entusiasmo, quantomeno tra i non addetti ai lavori. Ma
non è puramente l’entusiasmo nei confronti di una serie di innovazioni tecniche a
determinarne l’effettiva applicazione: in questo caso torna molto utile considerare il “Gartner
Hype Cycle”4. Come si vede in fig. 4.2, il rischio è quello di trovarsi nella seconda fase,
quella del “picco delle esaltazioni” ben lontani dall’impiego della stessa.

Ad ogni modo, certamente sono stati abbondanti i progressi nei due ambiti chiave
dell’aviazione elettrica: celle fotovoltaiche e batterie elettriche.
Una cella fotovoltaica converte direttamente in elettricità la luce solare: ha un output
energetico molto basso con un rendimento di conversione tipicamente del 20%, producendo
2
dai 150 ai 200 W/m in esposizione diretta. Inoltre, le superfici utilizzabili su un velivolo che
garantiscono buone prestazioni per questi dispositivi sono limitate in quanto la loro efficacia
aumenta se lavorano in condizioni operative simili: questo include l’angolo con la radiazione
solare e la presenza di ombre.
Tuttavia, tra il 2010 e il 2020 il costo delle celle fotovoltaiche è diminuito del 90% e continua
a calare ogni anno [14], e il loro rendimento ha visto una sostanziale crescita, con sistemi
sperimentali che ora eccedono il 44%, sebbene in condizioni sperimentali controllate.
Ciò che rende davvero appetibile questa soluzione riguarda determinati vantaggi operativi
che derivano dalla particolare condizione di un oggetto in volo ad alta quota: in particolare,

4 un modello grafico sviluppato dalla società di ricerca americana Gartner, che rappresenta
il percorso di una tecnologia emergente attraverso cinque fasi, agli occhi di attori di mercato
e grande pubblico.
una ridottissima interferenza atmosferica, determinante per l’efficienza di questi sistemi, e
una più bassa temperatura rispetto ai valori tipici attorno a cui operano di solito. [15].
Il surplus energetico prodotto dalle celle fotovoltaiche viene conservato in batterie di backup
per il volo durante le ore notturne.

[4.1] I 70 progetti analizzati da Roland Berger, suddivisi


per modalità di propulsione, area geografica di produzione, compagnia di produzione.
[Roland Berger reports, “Aircraft Electrical Propulsion – The Next Chapter of Aviation?”,
2017]
[4.2] Il modello Gartner Hype Cycle nelle sue cinque fasi, prende in considerazione le
aspettative legate a una tecnologia emergente attraverso tutta la sua storia. La fase due,
Peak of Inflated Expectations, è caratterizzata da un apprezzamento generale dei suoi
potenziali benefici, ma non delle limitazioni tecnologiche, ignote al grande pubblico. [16]

L'Introduzione delle batterie nickel-cadmio ha permesso di impiegare questi dispositivi per


alimentare gli aerei senza comprometterli per via del peso. Le moderne batterie utilizzate in
aeronautica sono per la maggior parte di tipo ricaricabile e a base di ioni di litio. Un particolare
tipo di queste batterie, chiamate LiPo (lithium polymer), è stato ampiamente impiegato per voli
con droni a causa del loro peso ridotto, tuttavia tali dispositivi presentano una bassa densità
energetica che non può essere risolta aumentando le dimensioni del velivolo. Ad esempio, un
velivolo elettrico di piccole dimensioni (1500 kg di peso e densità energetica media del sistema di
alimentazione di 150 Wh/kg), potrebbe percorrere una gittata di circa 80 miglia (circa 130 km)
con un passeggero, 60 miglia con due, e meno di 30 miglia con tre passeggeri. [17]

Nel 2018 i sistemi di batterie a ioni di litio per aerei elettrici avevano una densità energetica
di 160 Wh/kg, mentre il carburante tradizionale fornisce 12500 Wh/kg: un rapporto di 1:50.
D’altro canto i motori elettrici hanno un’efficienza estremamente elevata rispetto ai
tradizionali motori a jet ( circa 90% contro 50%), questo vantaggio potrebbe essere sfruttato
ancora meglio con l’impiego di tecnologie emergenti nell’ambito della chimica delle batterie
[18].
Attualmente l’alimentazione elettrica in toto è adatta solamente per piccoli velivoli: le migliori
batterie agli ioni litio oggi raggiungono i 300 Wh/kg, mentre ne servirebbero 500 per un
piccolo aereo di linea regionale e 2000 per un Airbus A320 a corsia singola. Queste
batterie tuttavia sono in grado oggi di ridurre i costi operativi per alcuni voli a corto raggio.
Nel 2021, tecnologie ambiziose che superano quelle a ioni litio come le batterie a stato
solido litio-zolfo, o LSB e litio-aria o LAB, si sono rivelate estremamente promettenti e forse
in grado di competere in termini di performance con le tecnologie già esistenti.

CONCLUSIONE
Come si è visto, negli ultimi anni con l’aumento della frequenza di fenomeni naturali estremi
quali siccità, inondazioni e ondate di calore, siamo già entrati in una fase critica
caratterizzata da un continua rincorsa ad arginare i danni di questi eventi; allo stesso tempo
risultano necessari anche interventi rivolti alla radice del problema quantomeno per evitare
ulteriori peggioramenti.
Oggi più che mai è infatti necessaria una decisa svolta verso la sostenibilità ambientale
anche nel settore aeronautico: sia per diminuire l’effettivo contributo della filiera in termini di
inquinamento ed emissioni di gas climalteranti, ma specialmente in quanto il margine di
miglioramento ottenibile in termini di emissioni in valori assoluti è notevole.
In questo capitolo sono state presentate le tre soluzioni ritenute attualmente più valide a
questo scopo assieme con i loro punti di forza e le loro criticità.
Ad esempio nel caso dell'idrogeno si presentano numerose sfide tecnologiche legate non
strettamente alla fase di volo ma riguardanti tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione allo
stoccaggio al suo trattamento per l’utilizzo come combustibile. Una problematica che vale
per tutti quei settori in cui si sta tentando di implementare questo vettore è l’elevata richiesta
energetica dei processi necessari per la sua produzione; infatti finché non si troveranno
metodi più efficienti in grado di diminuire tale ‘costo energetico’, questo rimarrà sempre un
collo di bottiglia per il suo impiego.
Anche l’aviazione elettrica è ben lontana dal poter essere considerata nella lotta alla
riduzione di CO2 e per motivi affini, anche se in questo caso i limiti tecnologici che la
caratterizzano sono meno trasversali. Inoltre, i miglioramenti richiesti dal settore aeronautico
in questo ambito sono più allineati con gli obiettivi di efficientamento di altri settori, basti
pensare a quello automobilistico e la condivisa necessità di batterie migliori.
Per quanto riguarda i SAF invece, se sicuramente rappresentano una strada più facilmente
percorribile verso la diminuzione delle emissioni, difficilmente possono essere considerati
una soluzione definitiva a causa delle difficoltà legate alla produzione e all’utilizzo su larga
scala, nonché a causa dei dubbi etici e morali che possono sorgere quando si considerano
le quantità di terreno e acqua che andrebbero ad utilizzare.

In aggiunta tutti e tre i vettori energetici proposti in questo capitolo come 'soluzione' per
risolvere il problema dell’inquinamento legato all’aviazione necessitano della presenza di un
ampio sistema di produzione di energia green per poter essere utilizzati al meglio; infatti la
propulsione ad idrogeno e quella elettrica potranno essere green solo quanto l’energia
utilizzata per la loro produzione; mentre i SAF necessitano di molta biomassa per la propria
produzione.
Per questo motivo si ritiene che questi metodi di propulsione alternativa riusciranno a
‘decollare’ solo con una azione unita e forte degli stati sovrani e di enti di controllo e
legislazione quali ICAO e IATA atta a rendere profittevole la ricerca e lo sviluppo degli stessi,
andando a disincentivare l’utilizzo dei combustibili tradizionali che portano a emissioni
maggiori.
In conclusione per il raggiungimento degli obiettivi del Net Zero Emissions del 2050, i SAF
dovranno necessariamente essere protagonisti; ma allo stesso tempo sarà necessario fare
investimenti anche su tecnologie quali idrogeno ed elettrico per favorire una ulteriore svolta
futura in questa direzione.

BIBLIOGRAFIA
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Vertical Takeoff and Landing (VTOL) Aircraft" November 20, 2018.
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Aviation Week Network. https://m.aviationweek.com/mro/aircraft-propulsion/how-batteries-
need-develop-match-jet-fuel (consultato il 04/07/2022).

ACRONIMI E SIMBOLI
GHG—- Green House Gases
Gha—-- ettaro globale, rappresenta la misura totale della biocapacità della Terra, misurata da quelle
che sono le potenzialità di produzione a partire dagli ecosistemi presenti sul territorio. Un Ettaro
Globale rappresenta invece il valore medio di produttività, sempre in termini biologici, per ogni ettaro
di superficie del pianeta
NOx—-sigla generica che identifica collettivamente tutti gli ossidi di azoto e le loro miscele
ICAO—-(International Civil Aviation Organization) agenzia autonoma delle Nazioni Unite incaricata
di sviluppare i principi e le tecniche della navigazione aerea internazionale, delle rotte e degli
aeroporti e promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto aereo internazionale rendendolo
più sicuro e ordinato.
IATA—-- (International Air Transport Association) organizzazione internazionale di compagnie
aeree
CORSIA—- (Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation ) programma
internazionale approvato dall’ICAO (Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile) che mira a
stabilizzare le emissioni di CO2 ai livelli del 2020

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