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ARGOMENTO Postura, introduzione approcci riabilitativi

PROF Paolucci
DATA 26-10-2022
LA POSTURA
La definizione di postura non è univoca ma varia in relazione allo studioso che la descrive e in base alla
accezione che vogliamo dare.
La postura può essere considerata come la pozione che il nostro corpo assume nello spazio, in rapporto alla
posizione fra le leve scheletriche degli altri superiori e il tronco; questa è una definizione che si sofferma
sulla staticità del corpo.
Dal punto di vista neurofisiologico Kendall definisce “una buona postura uno stato di equilibrio muscolare e
scheletrico che protegge le strutture portanti del nostro corpo” sottolineando così il concetto di EQUILIBRIO
POSTURALE e quindi alla capacità di prepararsi al movimento.
L’esecuzione del movimento è preceduta da varie tappe che comprendono l’ideazione, l’elaborazione delle
varie sequenze e la preparazione del corpo; quando i movimenti diventano abitudinari saranno eseguiti con
maggiore rapidità ed elaborati a livello sottocorticale.
Per De Col invece “è l’aspetto economico che ne determina la qualità̀ ”; infatti stando in piedi su una pedana
stabilometrica siamo apparentemente fermi, in realtà mettiamo in atto delle oscillazioni fisiologiche che
generano vibrazioni percepite dalla pedana dovute alla respirazione, al battito cardiaco e ai meccanismi di
controllo posturale. Queste oscillazioni permettono al nostro centro di massa (COM) di proiettarsi come
vettore all’interno del poligono di appoggio redendoci stabili ed evitando la caduta; il COM si proietta nel
poligono di appoggio anche quando camminiamo o perdiamo l’equilibrio. Il tutto viene svolto il “economia
“cercando di spendere minor energia possibile.
Lastrico la definisce come la “posizione del corpo nello spazio e la relazione spaziale tra i segmenti
scheletrici”
Per Nasher “la postura è la capacità di mantenere la stazione eretta a seguito di perturbazione”, la
perturbazione può essere prevedibile o imprevedibile in base a questo si mettono in atto dei meccanismi di
controllo posturale diversi.
Per Metheny “la postura migliore è quella nella quale i segmenti sono equilibrati nella posizione di minimo
impegno e di massima stabilità”; questa definizione mette d’accordo Nasher e De Col.
Ogni definizione si basa su un’ipotesi neurofisiologica precisa dimostrata dalla letteratura.

Metodiche di approccio riabilitativo


Nessuna delle metodiche elencate sulla destra può essere
considerata migliore dell’altra perché ognuna si basa su un
costrutto neurofisiologico ben preciso.
La riabilitazione ha come obiettivo il recupero funzionale
attraverso l’utilizzo delle varie metodiche.
Il Mc kenzie sii basa su costrutti meccanicistici;
Es. quando flettiamo il rachide il disco intervertebrale si schiaccia
anteriormente, il nucleo polposo si sposta posteriormente se
questo movimento viene perpetuato nel tempo si avrà come esito
la rottura dell’anello che lo contiene la sua erniazione; in questo
caso sarà necessario lavorare sulle posizioni inverse, infatti questa metodica propone esercizi in estensione
nel tentativo di riposizionare il nucleo all’interno del disco intervertebrale e di scaricare il sovraccarico
pressorio sulle faccette intervertebrali e non sul corpo, alleggerendo il carico sul pilastro posteriore.
n.d.s. (prima dice posteriore poi anteriore non ho capito bene)
Metodiche posturali di Mezieres e Souchard (c’è un dibattito su chi per primo ha inventato il metodo)
L’assunto viene in questo caso dalla seguente ipotesi: quando noi siamo fermi e quando ci muoviamo
attiviamo l’apparato muscolare scheletrico in maniera differente. Da fermi stabilizziamo la nostra posizione
mantenendo i muscoli in contrazione isometrica = contrazione di tenuta, in movimento invece i muscoli
alternano contrazione eccentrica o concentrica.

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Nei muscoli oltre alla forza ci deve essere un bilanciamento anche dell’elasticità questo perché in caso di
ipomobilità si va incontro all’ accorciamento di una struttura muscolare, con diminuzione del ROM
nell’articolazione (Range Of Motion, gradi di libertà permessi da una specifica articolazione).
Se questo accorciamento si mantiene nel tempo si generano posture viziate, fisse, che si mantengono
nonostante gli esercizi di allungamento. Il muscolo accorciato giorno dopo giorno modifica la sua struttura
microscopica, in particolare fibre lente prendono il sopravvento sul quelle veloci e si arricchisce di tessuto
fibrotico rispetto a tessuto elastico.
Il concetto di base dell’RPG (rieducazione posturale globale) è che un muscolo mantenuto in accorciamento
per lungo tempo stabilizza la postura in modo non corretto, il muscolo a sua volta non funziona da solo ma
fa parte di una catena cinematica funzionale (anteriore, posteriore e respiratoria, ecc..) che contiene in
sequenza i vari gruppi muscolari.
La catena cinematica posteriore per esempio parte dalla fascia plantare prosegue salendo verso il
gastrocnemio poi estensori d’anca fino agli erettori della colonna.
Questo significa che un problema del gastrocnemio non coinvolgerà solo quest’ultimo ma tutta la catena
cinematica sarà interessata.
Quindi il trattamento non sarà sul singolo muscolo retratto ma globalmente sulla catena accorciata e sulla
respirazione.
Se immaginiamo il nostro bacino come un triangolo visto frontalmente, in caso di accorciamento di uno dei
due medio gluteo, questo verrà spostato in giù determinando una dismetria falsa (perché non dipende dalla
diversa lunghezza della parte ossea).
Se invece ci poniamo lateralmente vediamo che l’accorciamento degli estensori d’anca (bicipite femorale,
semimembranoso, semitendinoso) causano:
 lo spostamento del bacino

 la verticalizzazione della zona lombare del rachide

 un aumento della cifosi dorsale o un dorso piatto

 Aumento della lordosi cervicale o verticalizzazione o anteposizione del capo

Per questo il lavoro posturale viene definito lavoro globale scelto secondo delle posture di riferimento a
seguito della diagnosi che viene fatta. Partendo dal metodo si va ad individuare sul piano frontale anteriore
e posteriore e sul piano sagittale destro e sinistro i muscoli corti, retratti e che provocano fastidio. Il metodo
è globale e lavora sulle catene accorciate e sulla respirazione perché il diaframma è l’unico che riesce a
mobilizzare la cerniera dorsolombare, a favorire la coscientizzazione del movimento e il movimento
pensato.
Il Metodo Comportamentale è efficace ma si basa su presupposti differenti da quelli appena descritti.
Si parte dal concetto di anatomia funzionale come per Mc kenzie per cui vengono riconosciute delle
posture scorrette che vengono abitualmente assunte e che nel tempo causano problemi di sovraccarico a
livello della colonna finché non si arriva alla disfunzione posturale propriamente detta.
Questo approccio è considerato rieducativo perché durante i primi incontri si svolge una lezione teorica
semplificata sull’anatomia del rachide, del bacino e sulle posture da evitare, successivamente saranno svolti
esercizi molto semplici che consentono ai pazienti di riacquisire indipendenza nei movimenti così da poterli
eseguire in casa.
Al termine del trattamento viene consegnato al paziente una brochure illustrativa dell’intero percorso
svolto come guida.
L’obiettivo è quello di cambiare l’atteggiamento comportamentale rispetto alla postura.

Domanda di uno studente: quando un comportamento scorretto viene reiterato per 20-30 anni
quanto è possibile con un approccio del genere cercare di variare quel comportamento? a volte si riesce
perché quando si arriva questo punto significa che il paziente è stato poco aderente alla terapia nel passato.
Bisogna essere pazienti e relazionare con il paziente secondo un modello bidirezionale.
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In alcuni casi si preferisce l’associazione di due metodi es: comportamentale e strumentale.
Gli approcci neuromuscolari sono più complessi perché sono metodiche riservate non soltanto alla
neuroriabilitazione ma possono essere usate anche in altri ambiti.
Il metodo Kabat si basa sulla proposta di esercizi secondo uno schema diagonale, dividendo IL corpo in una
metà destra e sinistra e svolgendo il movimento in chiusura e apertura rispetto a due traiettorie in
diagonale.
Il concetto di base è che quando camminiamo lo schema è crociato e non dritto quindi anche il recupero del
movimento deve seguire questo schema, inoltre il muscolo deve rinforzato, allungato ma in posizioni
differenti rispetto a Mezieres.
Un altro metodo complesso è quello Bobath che fa riferimento ai riflessi posturali in flessione ed estensione
che generano il rinforzo che stabilizza la postura e il movimento.
Gli approcci cognitivo percettivi lavorano sulla postura partendo dalla propriocezione e dagli esercizi ad
occhi chiusi.
Gli approcci psico-percettivi mente-corpo vengono molto utilizzati sono basati sul movimento pensato,
sentito e coscientizzato, sulla coscientizzazione del respiro, sulla coordinazione, sull’equilibrio sia in
posizione supina sia in carico.
La postura eretta è caratterizzata da oscillazioni del centro di gravità all’interno della base di appoggio ,
queste oscillazioni le misuriamo considerando i movimenti del centro di pressione (proiezione a terra del
centro di massa), è una condizione mai completamente inerte infatti anche quando pensiamo di essere
fermi possono essere registrate oscillazioni nelle diverse direzioni soprattutto in senso diagonale
disegnando graficamente un ellisse in cui si pone il nostro controllo dell’equilibrio.
Ricordiamo che la nostra colonna è caratterizzata da tre curve fisiologiche: lordosi cervicale, cifosi dorsale e
la lordosi lombare, queste sono incluse all’interno dell‘indice di delmas di equilibrio biomeccanico.
Se queste curve aumentano di molto aumenta la mobilità ma si riduce la resistenza, invece se le curve
diminuiscono aumenta la resistenza ma la colonna si irrigidisce molto, non riesce a scaricare la pressione e
questo causerà dolore.
In riabilitazione vi è una grande variabilità interindividuale e soprattutto non è soltanto legata alla
predisposizione innata ma sono meccanismi di controllo che si strutturano durante la crescita e possono
essere migliorati con l’esercizio.
Questo significa che se un paziente perde delle skills di controllo dell’equilibrio e posturale possiamo agire
sulla propriocezione e su altri elementi (che verranno citati in seguito) perché agiamo su un sistema
plastico.
Rispettivamente i 3 meccanismi di controllo posturale sono:
 A feedback continuo responsabili del controllo posturale rispetto alla stazione eretta quieta;
 A feedback discontinuo si occupano della stazione eretta perturbata imprevedibile;
 A feed-forward intervengono nella stazione eretta perturbata prevedibile, ovvero meccanismi di
controllo posturale anticipatori, conosciuti anche come APA (Anticipatory Postural Adjustments).

Meccanismi a feedback continuo


Sono i più semplici e vengono continuamente ingaggiati, coinvolgono i fusi neuromuscolari e l’apparato
tendineo del golgi che danno informazioni di tensione, di forza e di lunghezza muscolare. E’ un meccanismo
rapidissimo con un’organizzazione spazio temporale molto semplice e posso considerarlo come un
meccanismo di difesa (es: quando ci lanciamo in una corsa in discesa entrambi si attivano per allertare il
soggetto, evitando uno strappo tendineo o muscolare).
È un sistema che quindi consente di controllare l’intensità della contrazione muscolare.

Meccanismi a feedback discontinuo


I meccanismi a feedback discontinuo, invece, sono quelli che entrano in gioco nel momento in cui io sono
fermo, mi passa qualcuno vicino, mi urta, perdo l'appoggio e per evitare di cadere ciò che viene fatto è
guardare in alto/in avanti. Sembra un concetto molto semplice, ma è quello che viene insegnato anche ai

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bambini, cosa che i pazienti parkinsoniani perdono. Questo perché i meccanismi a feedback discontinuo,
per funzionare correttamente, hanno bisogno della verticalità della testa e dello sguardo. Il neonato prima
di acquisire il controllo della “posizione seduta”, cioè del tronco, deve acquisire il controllo del capo, e poi
man mano controllo del tronco, controllo dei cingoli e infine la stazione eretta. Se manca questa
progressione non riesce poi a camminare.
La stessa cosa in un paziente neurologico con ictus: non riusciamo a metterlo seduto e in piedi, ma se lo
aiutiamo a riprendere il controllo del capo poi del tronco e poi dei cingoli, riusciamo a fargli riprendere la
deambulazione.
L’introduzione della telemedicina robotica rischia di avvantaggiare tale fenomeno, ma anche di non riuscire
a rispettare queste sequenze.
Riprendendo il concetto di prima, i meccanismi a feedback discontinuo vengono applicati (nella vita di tutti i
giorni) quando sono in piedi, ricevo un insulto/vengo urtato, sto per cadere, alzo lo sguardo, controllo il mio
corpo e cerco di tirarmi su.
Naturalmente, avendo parlato di verticalità della testa e dello
sguardo, capiamo che tali informazioni apparterranno al canale
visivo, il quale è a sua volta legato all'apparato vestibolare (che
ci dice come la nostra testa è orientata nello spazio). Alle
informazioni visive e vestibolari si aggiungono anche quelle
somatosensoriali, come le informazioni della fascia plantare,
perché il piede non è soltanto un organo di sostegno, ma
sappiamo che è anche un importantissimo organo propriocettivo
che ci dice costantemente dove sta, non solo il nostro piede, ma
tutto il nostro arto inferiore, perciò è un organo afferenziale
fondamentale.
Tutte queste informazioni (visive, vestibolari e somatosensoriali) viaggeranno ognuna per il proprio canale,
e arriveranno al sistema nervoso centrale, il quale si occupa di integrare (non sommare) questi tre sistemi
di informazione, e questo a volte è utile a volte meno, oppure possiamo decidere noi come sfruttarli (in
maniera diversa in base al bisogno).

Grazie ad altri studi sappiamo che, oltre a questi canali preferenziali (visivo, vestibolare, somatosensoriale),
ci sono altri canali che dobbiamo assolutamente considerare:
- segnali propriocettivi, che governano la muscolatura cervicale profonda e la muscolatura
estrinseca dell'occhio,
- recettori articolari degli arti e della colonna,
- fusi neuromuscolari, già ingaggiati nel feedback continuo,
- segnali cutanei, palpazione e vibrazione,
- segnali del sistema cranio-mandibolare,
- segnali provenienti dai visceri, soprattutto a livello epatico.

L'errore che non dobbiamo fare come medici è generalizzare queste informazioni che la neurofisiologia ci
mette a disposizione, questo perché molto spesso (in postura) si passa da un estremo all'altro. In che senso?
Facciamo degli esempi. Spesso si sente dire che un problema posturale è relativo alla mandibola, cioè
all'articolazione temporo-mandibolare (e quindi legato anche alla masticazione), altre volte può essere
legato all’astigmatico. Questo per dire che è frequente che il problema posturale parta tutto da sistemi
semplici e non per forza deriva da un problema associato a più sistemi le cui informazioni vengono poi
integrate a livello centrale. A quel punto è importante capire se il problema posturale, e il dolore ad esso
associato, che può essere dovuto anche a una condizione semplice come il piede piatto, sia effettivamente
legato al piede, oppure se è dovuto alla mandibola, all'occhio, e così via.
Questa capacità di risalire ad una effettiva ed unica causa purtroppo noi non ce l'abbiamo, o meglio,
potremmo essere certi e sicuri del sospetto che abbiamo se avessimo seguito il paziente fin da quando era
piccolo, perché seguendolo da quando è bambino fino all'età adulta possiamo effettivamente capire cosa è
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cambiato durante la crescita e da qui risalire al problema. Ma spesso noi i nostri pazienti li vediamo la prima
volta quando sono già adulti, e a quel punto possiamo solo farci raccontare la loro storia, ma sappiamo che
dall’anamnesi non abbiamo la certezza che ciò che ci vien detto sia vero, possono sempre esserci delle
dimenticanze anche importanti.
Quindi non dobbiamo generalizzare, ma dobbiamo concentrarci sui singoli sistemi (ATM, piedi, ecc.) in
modo tale che poi il paziente esca dallo studio con la prescrizione dei plantari, del bite, della fisioterapia,
ecc. Insomma, facciamo la diagnosi identificando la causa del problema e poi facciamo la prescrizione
della terapia che noi riteniamo più adatta.
Per quelle disfunzioni che invece sono “asintomatiche” e non sono fastidiose per il paziente, soprattutto
quando si tratta di un adulto in età avanzata, noi non facciamo nulla, perché il sistema si è adattato e per
anni ha funzionato bene così com’era, quindi non possiamo andare a recuperare un controllo posturale
perfetto poiché, ormai, si è creato un nuovo equilibrio.

Esperimento di Brandt
L’esperimento di Brandt del 1986 ha contribuito a dimostrare come tutti i sistemi di cui abbiamo parlato
prima (visivo, vestibolare, ecc.) non si sommano ma si integrano. È un esperimento molto utile e semplice
che ha chiarito alcuni elementi fondamentali.
Esecuzione dell’esperimento:
viene chiesto al soggetto (non un paziente perché è soggetto sano) di rimanere fermo su una piattaforma
stabilometrica. Contestualmente gli fa vedere una sfera a circa 1m di distanza, questa sfera può ruotare in
senso orario e antiorario con velocità diverse, e può essere più o meno “stimolante e ricca” (cioè può
contenere più cerchi colorati, puntini, ecc.). inizialmente viene mostrata questa sfera completamente
bianca in modo da stimolare la retina, poi appaiono pochi/tanti puntini neri, e nel mentre si registra la
“reazione” del paziente attraverso la piattaforma.
Dall’esperimento si rilevò una cosa importante: il soggetto non sta subendo alcuna perturbazione (una
spinta per esempio), ma comunque, ruotando questa sfera in senso orario o antiorario, la piattaforma
stabilometrica registra delle oscillazioni latero-laterali, come se il soggetto avesse la sensazione di cadere.
Quindi si confonde per via delle modificazioni del suo riferimento e compie delle correzioni (alcune volte
può addirittura cadere).
Ci si chiede a cosa possa essere dovuto questo, e allora continua la sperimentazione e vengono elaborate
varie ipotesi, fino ad arrivare a delle conclusioni che sono quelle che poi noi ritroviamo scritto in letteratura.
Questo esperimento dimostra che il canale visivo è effettivamente un canale afferenziale preponderante
rispetto agli altri, non è detto che sia l'unico, ma in questo caso si evidenzia come la vista possa ingannare il
nostro soggetto dandogli una sensazione di movimento che in realtà non c'è, infatti non ho una
perturbazione motoria, ma piuttosto una perturbazione visiva tale per cui il paziente perde la sua linea
verticale di riferimento data l’illusione visiva che subisce.
Si può anche affermare che, in qualche modo, questo dimostra che i sistemi non comunichino tra di loro
sommandosi, ma si integrano.
Spesso, però, questa integrazione non avviene in maniera corretta.
È per questo che, quando dobbiamo lavorare con pazienti neurologici, gli esercizi vengono sia ad occhi
chiusi che ad occhi aperti. Facciamo chiudere gli occhi perché vogliamo lavorare su tutta la afferenza
propriocettiva escludendo la vista, dato che (come dimostrato dall’esperimento precedente) quest’ultima
può essere confondente. È pur vero che la vista è il primo canale correttivo, e gli altri canali (per esempio il
propriocettivo) si mettono un po' a riposo se si usa la vista (proprio perché il rapporto non è di sommazione,
ma di integrazione). Motivo per cui, per ragioni non solo posturali, in molti percorsi riabilitativi l'esercizio
viene svolto anche ad occhi chiusi, proprio perché, in questo modo, si riesce a studiare meglio la parte
propriocettiva, e quindi tutti gli altri canali che altrimenti rimarrebbero un po’ a riposo.
Altra caratteristica del feedback discontinuo è che anche la scelta dell’attivazione del controllo posturale
non è strutturata in una maniera rigida/fissa. In pratica, a seconda della nostra intenzione, noi possiamo
scegliere una attivazione dalla periferia al centro (quindi non avere la necessità di stabilizzare prima il
tronco rispetto a dei movimenti) o dal centro alla periferia (se abbiamo invece la necessità di dover
stabilizzare prima il tronco e poi di lavorare sugli arti).
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Tutto questo per dire che non c'è una regola fissa, ma tutto dipende dalla necessità della postura del
paziente in quel momento.
Perciò, anche nei percorsi riabilitativi, a seconda di dove è presente il deficit funzionale, noi possiamo
decidere da dove iniziare il nostro recupero (anche rispetto alle caratteristiche del paziente). Quindi
decideremo se iniziare dagli arti (esempio dalla caviglia), cioè dai
gruppi distali, o iniziare dalla parte più prossimale (cioè tronco e
testa).
Ora si analizza un altro concetto importante. Accade spesso durante
lo svolgimento di un esercizio fisico, ed in particolare in palestra, che
ritroviamo nelle schede delle ripetizioni precise per degli esercizi (es.
10 ripetizioni per 3 volte) e l'immagine dell'esercizio da svolgere
vicino.
La neurofisiologia, però, ci dice che noi ci muoviamo secondo
attivazioni muscolari per intensità diversa, quindi anche
semplicemente alzando una penna 10 volte, mi renderò conto (se analizzo ogni singolo movimento) che
l'attività muscolare non è sempre la stessa e i movimenti non sono sovrapponibili, questo perché ogni volta
mi sono un po’ discostato dalla traiettoria originale. Il semplice alzare una penna che è su un tavolo ha a
disposizione infinite traiettorie se lo scopo è il solo prendere la penna.
Anche la velocità di esecuzione può cambiare.
In più, c'è un elemento che in pochi considerano: la fluidità. Un paziente parkinsoniano, con un danno a
livello sottocorticale, non perde tanto la forza nell'attività muscolare, ma perde il timing e la fluidità di
movimento.
Perché allora nelle nostre schede dobbiamo scrivere “10 per 3 volte”?
Se la neurofisiologia ci dice questo, la nostra “proposta” riabilitativa (cioè la scheda con gli esercizi e le
ripetizioni) deve essere adattabile e variabile, e anche l'esercizio riabilitativo che proponiamo deve avere
una certa progressione: non può essere svolto sempre nella stessa direzione, non può essere un esercizio
che non contenga un compito o che non vari in velocità e in ampiezza, perché noi non ci muoviamo sempre
allo stesso modo, ma variamo i movimenti per “fantasia”.
Quindi anche in un percorso riabilitativo di un soggetto neurologico dobbiamo rispettare i termini di
adattamento, velocità, direzione, ampiezza, durata, forza, e compito.

Ora, invece andremo a capire cosa significa adattarsi alle condizioni ambientali e elaborare risposte che
andranno ad anticipare il movimento volontario
finalizzato. (parliamo sempre dei meccanismi a
feedback discontinuo)
In quest'immagine vediamo un soggetto in posizione
accovacciata che si regge al tavolo a cui vien detto che
riceverà una perturbazione, ma non viene avvisato del
momento in cui questa avverrà. L'obiettivo è il
seguente: deve mantenere la posizione ed evitare di
cadere. Nel mentre, tramite una elettromiografia di
superficie viene analizzato cosa succede a livello
dell'arto superiore (soprattutto ai muscoli estensori,
prendendo come riferimento il tricipite brachiale). Nel
momento in cui il nostro soggetto viene strattonato ciò
che fa è reggersi più che può al piano di appoggio nel
tentativo di mantenere la posizione, quindi viene
attivato il muscolo estensore del braccio.
Ora prendiamo il secondo caso dove cambiano le
condizioni ambientali e la finalità del movimento. Infatti, nell'altra immagine, vediamo che la richiesta non è
soltanto mantenere la posizione, ma anche evitare che il liquido contenuto nella tazza possa cadere nel

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momento in cui il soggetto subirà la sollecitazione. Quindi non ho un controllo posturale finalizzato
esclusivamente al mantenimento dell'equilibrio, ma c'è qualcosa in più da fare.
Nel momento in cui il paziente viene spinto in avanti, cambia la modalità con cui mantenere la posizione
rispetto a quanto avveniva nel primo caso.
Ora nel grafico non è riportato nel dettaglio ciò che succede, ma vediamo fin da subito che, a differenza di
prima, non si verifica l’attivazione del tricipite brachiale. Quindi la postura viene mantenuta comunque, ma
cambia lo schema perché deve rispondere a un doppio compito.

(n.d.s. perentesi della professoressa relativa all’esecuzione di 2 compiti piuttosto che uno solo)
Gli esercizi dual task (n.d.s. definizione ‘dual tasking’ da internet: sono esercizi che prevedono l’esecuzione
simultanea di movimento attivo (motricità) e compito mentale (cognizione); per esempio, camminare e
parlare nello stesso momento), che possono essere posturale-motori, sensitivo-motori, entrambi i motori,
entrambi propriocettivi/sensitivi, ricorrono nei percorsi riabilitativi e soprattutto nella neuroriabilitazione
(esercizio semplificato rispetto al compito, esercizio riabilitate, esercizio dual task) per pazienti con
Parkinson, emiplegici o neurologici in generale.
Soprattutto nel parkinsoniano, gli esercizi dual task, data la loro complessità, vengono consigliati nelle fasi
iniziali della malattia, poi, quando poi il soggetto comincia a manifestare deficit cognitivi nelle fasi più
avanzate, gli esercizi dual task non possono essere più proposti perché il paziente non riesce più a
rispondere contemporaneamente ad entrambe le stimolazioni, quindi l'esercizio sarà più semplice: o solo
motorio o solo propriocettivo.

Domanda studente: ma quindi gli esercizi dual task vengono svolti per aumentare il tempo del
deterioramento e quindi ritardare l'evoluzione della malattia?
Risposta professoressa: in realtà il dual task viene utilizzato per mantenere la riserva cognitiva quanto più a
lungo possibile, quindi in un certo senso sì.

Meccanismi a feed forward


Sono dei meccanismi che si attivano per una perturbazione NON imprevedibile, ma in un certo senso
prevista.
Tali meccanismi sono movimenti preparatori che spostano il corpo verso un punto dal quale è più difficile
essere destabilizzati da perturbazioni. Sono movimenti anticipatori siglati come APA (n.d.s., da internet la
sigla sembra sia APA: aggiustamenti posturali anticipatori). Tali spostamenti devono contenere il
movimento del centro di gravità e devono contemporaneamente assistere il movimento primario
soprattutto in termini di velocità e forza (e quindi in termini di precisione).
Gli APA possono essere effettivamente anticipatori, mentre altre volte fanno parte del movimento stesso;
insomma, non per forza c'è sempre una sequenza (cioè prima l’APA e poi il movimento che parte), ma
possono viaggiare insieme in parallelo. (n.d.s. penso intenda dire che tali APA a volte si occupano solo del
movimento anticipatorio finalizzato a mantenere l’equilibrio in caso di perturbazione, altre volte invece
partecipano anche al semplice movimento volontario primario).
Questi APA però sono compito-specifici e contesto-dipendenti.
Quindi, sia nell'esperimento di Brandt che in quegli esercizi con il tavolo e con la tazza avevamo questi
movimenti anticipatori per il controllo posturale.

I meccanismi a feed forward, contrariamente al feedback continuo (dove si parlava di meccanismi innati,
ma modificati dall'allenamento), vengono acquisiti con l'apprendimento e modificati con l'esperienza, e la
loro efficacia aumenta con l'esercizio.
Questo è un concetto molto importante e utile soprattutto in riabilitazione perché, prendendo un paziente
atassico, un paziente che purtroppo ha una mielolesione incompleta, se non ci fossero questi meccanismi
di apprendimento-esperienza-esercizio, noi non potremmo fare assolutamente nulla per avere un
recupero. Invece rappresenta un enorme vantaggio il fatto che l'esercizio (adattabile, variabile e ripetuto
nel tempo) dia la possibilità al nostro paziente di trovare delle nuove strategie per il controllo del
movimento e per riconquistare le sue anatomie (quindi recuperare la funzione e renderlo nuovamente
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autonomo per reinserirlo nella società, seppur con una autonomia ‘adattata’). Diversamente sarebbe se
l'esercizio non avesse la possibilità di modificare la plasticità neuronale: non riusciremmo ad ottenere tali
risultati.
Sappiamo che il sistema nervoso centrale, tra i vari sistemi, è quello che dopo una certa età dà problemi
rigenerativi, ma c'è comunque una possibilità di riparazione (a differenza di quanto si sapeva 20 anni fa in
cui si pensava che, raggiunta la terza decade di vita, il sistema nervoso andava direttamente in declino).
Naturalmente non parliamo di problemi estesi del sistema nervoso, ma di una “rete neurale” che può
recuperare la sua funzione (basta considerare che a livello del cervello abbiamo delle aree “nude” che
entrano in funzione in caso di danno in alcune zone del sistema nervoso con l’obbiettivo di sostituirne la
funzione).

Esperimento per spiegare i meccanismi a feed-forward


Rispetto all'esperimento di prima, qui abbiamo uno stimolo acustico, quindi viene detto al soggetto che sta
per ricevere una perturbazione avvisandolo con un suono, e sa come deve posizionarsi per “ricevere” la
perturbazione. Il soggetto è in semi-squat su una piattaforma stabilometrica (anche se è preferibile
l'elettromiografia di superficie poiché dà informazioni molto più precise). Durante l’esecuzione
dell’esperimento vengono analizzate la contrazione del gastrocnemio e del bicipite brachiale. Appena il
soggetto sente il suono, la prima cosa che fa è stabilizzare la base di appoggio contraendo il gastrocnemio e
subito dopo il bicipite brachiale, perché sa che sta per essere strattonato.
Ad un certo punto (allo stesso modo della sfera vista prima) il contesto cambia/muta: il sistema infatti dà al
soggetto un sostegno per il tronco.
Vi ricordate la libertà di decidere su cosa cominciare a lavorare prima? Quale è la chiave d’accesso sulla
quale lavorare per il controllo posturale? Era questa: dal tronco (dal centro) alla periferia o dalla periferia al
centro. Per esempio, il metodo Bobath usa delle prese particolari che sono sempre o sulle caviglie, o sui
cingoli, o sul capo, perché sono le chiavi di accesso per stimolare il riflesso e per il controllo posturale: le
prese vengono poste lì esattamente per un motivo.
Anche qui noi abbiamo una facilitazione (cioè l’aggiunta di un sostegno all’addome), allora il soggetto cosa
fa? Sa che si può appoggiare. Perciò, quando sente il suono, il soggetto risparmia il gastrecnemio dalla
contrazione (fa quello che diceva De Col: dobbiamo essere organizzati, meno entropici possibili, ed essere
quanto più risparmiosi). Infatti questo muscolo non si attiva per niente, ma si attiva comunque il bicipite
brachiale anche se con una modalità leggermente differente. E quindi, invece di fare un’unica attivazione
forte, potente e di tenuta, fa una prima attivazione con 2 picchi, si rilassa, e poi mantiene la contrazione
scendendo più lentamente, adattando così la risposta in base al contesto.

Ridondanza cinematica, muscolare, centrale


Così come l’attività posturale è variabile e ridondante, anche la scelta
e la modalità con cui noi costruiamo i diagrammi motori hanno le
stesse qualità e gli stessi contenuti, tant’è vero che qui abbiamo una
ridondanza cinematica, muscolare e centrale.
La ridondanza cinematica ha molto a che fare col concetto di leva e,
quindi, di fulcro articolare, ed è molto legata al contesto.
Prendendo l’arto superiore, ci possono essere anche diverse region
motion:
- gomito (che regola la lunghezza dell’arto superiore),
- spalla (che regola la direzione del movimento, come l’anca
quando camminiamo),
- polso.

Questo per dire che se il nostro paziente ha problemi ad una di queste componenti anatomiche, noi
possiamo scegliere varie opzioni adattative o compensative (se non riusciamo a recuperare bene e se non
riesco a compiere un movimento, dovrò necessariamente compensarlo con un altro movimento

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decisamente più complesso e lungo): da qui il concetto proprio
di ridondanza cinematica.

La ridondanza muscolare, invece, ha a che fare con il compito.


Abbiamo visto che i muscoli si dividono in statici e dinamici,
collaborano sia nella postura, ma soprattutto nel movimento. In
ogni caso, siamo certi che: il muscolo non è solo un vettore,
poiché il movimento non è direzionato nel solo verso di
contrazione del muscolo (dato che ha una origine e una
inserzione), ma è molto più complesso.
Volendo, per esempio, raggiungere un oggetto posto in alto e
davanti a noi, il movimento non equivale esclusivamente alla
flessione di un muscolo della spalla, ma è molto più complesso tanto da richiedere la partecipazione di vari
muscoli (parte anteriore del deltoide, il pettorale, ecc.) che devono contrarsi secondo un timing differente e
secondo una certa sequenza. In pratica, quando il SNC manda l’output, non dice solo “contrazione”, ma
dice anche quale deve contrarsi prima, quando si rilassa uno e deve entrare la contrazione dell’altro, ecc.
Quindi non è soltanto il movimento muscolare con una azione vettoriale, ma è qualcosa di più.

La ridondanza centrale, invece, è più complessa ed è legata alla


percezione, quindi è legata a tutti i canali che si integrano tra di loro
nel nostro ‘elaboratore centrale’ (corticale o sottocorticale, o anche
emozionale/sensitivo, perché non abbiamo parlato di sistema
limbico, amigdala e ippocampo, ma anche le emozioni e le
percezioni sono coinvolte) da cui poi origina l’output, cioè il
controllo posturale o il movimento finale.

Conclusioni
Il ruolo dell’attività posturale non è soltanto finalizzato al
mantenimento della postura in relazione alla forza di gravità e alle
forze di accelerazione a cui viene sottoposto il corpo, ma ci permette
anche (e soprattutto) una precisa programmazione del movimento
diretto ad uno scopo e legato ad un contesto.
Qual è la patologia/deficit neurologico a cui spesso possiamo
associare questi concetti? Come si chiama quella condizione in cui il
soggetto non riesce a compiere un movimento non perché ha (per
esempio) un deficit articolare, ma perché proprio non riesce a
programmarlo?
Si tratta dell’aprassia. Normalmente, il movimento viene sempre
pensato prima (immaginandolo nella nostra testa) e poi viene compiuto. Nell’aprassia ideomotoria questo
non avviene.

La definizione di postura può essere espressa con ‘readiness to move’. Questo perché sintetizza con una
frase quelle che sono le 3 situazioni di controllo posturale:
- feedback continuo
- feedback discontinuo
- meccanismo anticipatorio (feed forward)

La sfida qual è?
Quella di abbandonare i “nidi sicuri” e di esplorare un pochino in maniera critica e costruttiva quali possono
essere effettivamente le proposte riabilitative che fattivamente lavorano su questi concetti a loro volta
basati sulla evidence medicine (cioè concetti neurofisiologici riconosciuti e pubblicati). Troppo spesso la
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riabilitazione diventa un qualcosa dove non si capisce il meccanismo, ma magari funziona, cosa che si vedrà
tantissimo sulle metodiche fisiche strumentali.
Un esempio è la tecarterapia, una delle terapie fisiche più usate in assoluto.
Noi, come medici, non possiamo lavorare ‘casualmente’, ma ci dobbiamo attenere a dei protocolli elaborati
da esperti, basandoci quindi su linee guida, se poi decidiamo di effettuare delle procedure e fare una
scelta al di fuori della medicina basata sull’evidenza, va riportato nella cartella clinica il perché lo facciamo,
così da evitare problemi legali. Stessa cosa vale in riabilitazione.

n.d.s riporto delle


slide che la
professoressa ha
fatto scorrere, ma
senza soffermarsi
durante la lezione

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