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DIRITTO PENALE
PARTE GENERALE
SETTIMA EDIZIONE
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
INDICE
INTRODUZIONE ...................................................................................................................... 5
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO PENALE MODERNO ................................... 5
PARTE I .................................................................................................................................. 11
DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE ............................................................................ 11
CAPITOLO I ........................................................................................................................ 11
CARATTERISTICHE E FUNZIONI DEL DIRITTO PENALE ......................................... 11
CAPITOLO II....................................................................................................................... 21
LA FUNZIONE DI GARANZIA DELLA LEGGE PENALE ............................................. 21
CAPITOLO III ..................................................................................................................... 36
L'INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI PENALI............................................................. 36
CAPITOLO IV ..................................................................................................................... 39
AMBITO DI VALIDITÀ SPAZIALE E TEMPORALE DELLA LEGGE PENALE .......... 39
SEZIONE I: AMBITO DI VALIDITÀ SPAZIALE DELLA LEGGE PENALE ............. 39
SEZIONE II: AMBITO DI VALIDITÀ PERSONALE DELLA LEGGE PENALE ....... 42
CAPITOLO V ...................................................................................................................... 45
TEORIA GENERALE DEL REATO ................................................................................... 45
SEZIONE I: CONCETTI GENERALI ............................................................................ 45
SEZIONE II - STRUTTURA DEL REATO..................................................................... 52
PARTE II.................................................................................................................................. 60
IL REATO COMMISSIVO DOLOSO .................................................................................... 60
CAPITOLO I ........................................................................................................................ 60
TIPICITÀ ............................................................................................................................. 60
CAPITOLO II ...................................................................................................................... 72
ANTIGIURIDICITÀ E SINGOLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE ................................ 72
CAPITOLO III ..................................................................................................................... 86
LA COLPEVOLEZZA......................................................................................................... 86
SEZIONE I: NOZIONI GENERALI ............................................................................... 86
SEZIONE II: IMPUTABILITÀ ....................................................................................... 91
SEZIONE III: STRUTTURA E OGGETTO DEL DOLO............................................... 98
SEZIONE IV: DISCIPLINA DELL’ERRORE .............................................................. 105
SEZIONE V: IL REATO ABERRANTE ...................................................................... 110
SEZIONE VI: LA COSCIENZA DELL’ILLICEITÀ.................................................... 113
SEZIONE VII: CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA ..................... 116
SEZIONE VIII: LA COLPEVOLEZZA NELLE CONTRAVVENZIONI ................... 118
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
INTRODUZIONE
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO
PENALE MODERNO
La situazione della giustizia criminale pre-illuministica, era nel suo complesso così
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il primo passo verso il superamento di questo sistema avviene ad opera di quel movimento di
pensiero definito giusnaturalismo laico, che matura a partire dal 1600, i cui principali
esponenti sono Grozio, Locke, Pufendorf. Si porta avanti il processo di secolarizzazione e
laicizzazione dello stato. Grozio affermava la necessità di una distinzione tra delitto e peccato,
sottolineando l'autonomia delle rispettive sfere del diritto e della morale.
2. L'illuminismo penale
Il processo di modernizzazione del diritto penale giunge a maturazione nell'ambito del
pensiero illuministico. I principali esponenti dell'illuminismo penale sono Bentham
(Inghilterra), Montesquieu, Voltaire (Francia), Feuerbach (Germania), Beccaria, Filangieri,
Pagano (Italia). Si mira a razionalizzare il sistema penale, intervenendo sul piano della
certezza del diritto e dell'equità delle pene. Un sistema penale come strumento utile per
prevenire effettivamente i reati, per combattere l'arbitrio giudiziario, per mitigare le pene.
Due sono i presupposti della riflessione penale illuministica:
Contrattualismo: le istituzioni statali traggono legittimazione da un accordo liberamente
stipulato tra privati e sono conseguentemente finalizzate alla salvaguardia dei diritti naturali
dell'individuo;
Utilitarismo: lo Stato deve mirare all'utilità sociale cioè al miglior soddisfacimento dei diritti
individuali.
Dalla matrice contrattualistica derivano precise implicazioni sul terreno della definizione dei
fatti di reato. Ruolo fondamentale lo ricopre il principio di legalità (come garanzia della
libertà individuale) Si afferma la separazione della sfera morale da quella del diritto.
Cesare Beccarla "le sole leggi possono decretare le pene sui delitti e, questa autorità non può
risiedere che presso il legislatore che rappresenta tutta la società unita per un contratto
sociale": traspare la stretta connessione che si instaura tra la predeterminazione legale dei
delitti e delle pene, la certezza del diritto e la salvaguardia delle aspettative individuali di
ciascuno.
Beccaria identifica l'interpretazione con un meccanico sillogismo giudiziario, pretende di
bandire il ricorso alla ratio legis come canone interpretativo. Lo "Spirito della legge" è
pericoloso in quanto ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in tempi differenti
ne ha uno diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva
logica del giudice, dipendente dalla violenza delle sue passioni.
La teoria dei beni giuridici, si secolarizza: criterio di identificazione del reato diviene "il
danno sociale", per cui risultano punibili solo i fatti che arrecano pregiudizio a diritti altrui e
non azioni che si risolvono nella mera violazione di precetti religiosi.
Sul piano sanzionatorio si impongono il concetto di pena quale estrema ratio e le idee di
proporzione ed umanità della pena. La pena deve avere lo scopo di prevenire.
L'ispirazione contrattualistica impone di bandire il terrorismo punitivo. Pena come estrema
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ratio di tutela: la pena è irrinunciabile soltanto nella misura in cui sia necessaria o utile alla
prevenzione della criminalità; efficacia preventiva si affida alla prontezza della reazione
punitiva che deve essere "proporzionata" alla gravità del delitto, piuttosto che alla severità.
L'illuminismo penale presenta dei limiti. In primis la preferenza per le pene fisse a discapito
dell'individualizzazione della pena.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Relativamente alla funzione della pena prevale la concezione retributiva anche se non in
base ad una valutazione morale ma sempre in base ad un principio giuridico per cui la pena
risulta essere lo strumento attraverso il quale ristabilire l'ordine esterno turbato dal delitto
(Carrara).
Lo scopo della pena non può essere invece la retribuzione morale, la realizzazione della
giustizia assoluta deve essere lasciata nelle mani di Dio, esso piuttosto consiste nel
ristabilimento dell'ordine esterno turbato dal delitto.
4. La scuola positiva
A partire dagli anni Settanta dell'Ottocento prende piede un'altra scuola. La scuola
positiva. Caposcuola sono Lombroso, Ferri, Garofalo.
Il reato non è più visto come ente giuridico costruito secondo principi di ragione, ma come
fenomeno naturale, bio-psicologico e sociale.
L'uomo è determinato da fattori fisici antropologici e sociali: si parla di legge di causalità
naturale: l'uomo delinquente non sarebbe libero di scegliere tra il bene e il male.
Si nega il libero arbitrio e conseguentemente si supera l'idea di colpevolezza, a favore di
quella di "pericolosità sociale". Alla teoria della pena retributiva si sostituisce quella che vede
nella sanzione uno strumento di difesa sociale da utilizzarsi in chiave preventiva. Ciò
giustificava anche la sua indeterminatezza nel tempo, specie in presenza di delinquenti
considerati irrecuperabili.
Lo spostamento dell'attenzione dal fatto al reo sollecitò un approfondimento dello studio
della personalità criminale. Vennero elaborate delle classificazioni di delinquenti.
- Lombroso riteneva determinanti le caratteristiche fisiche e biologiche nella genesi del
comportamento criminale (es. si procedeva alla misurazione della circonferenza del cranio).
Era una concezione del delinquente che lo assimila all'ammalato, al primitivo o al pazzo: una
sorta di razza inferiore e pericolosa. Egli individua, in base ad indici fisici, tre categorie di
delinquenti (determinismo biologico): delinquente nato, d'occasione, per passione.
Garofalo affermava l'importanza dei fattori psicologici. Ogni delinquente possiede delle
caratteristiche psicologiche abnormi. Centro dell'attenzione erano dunque la personalità
dell'autore del reato e le sue presunte anomalie psichiche.
Ferri poneva l'accento sui fattori sociali evidenziando l'influenza del contesto sociale sulla
delinquenza. Ferri proponeva dei rimedi preventivi al reato: i sostitutivi penali, riforme
tendenti alla modifica del contesto esterno da cui il crimine trarrebbe origine. Egli riprende la
classificazione lombrosiana, modificandola. Individua cinque classi: delinquenti pazzi, nati
incorreggibili, per abitudine acquisita, d'occasione, per passione.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Ferri è l'ideatore di un progetto legislativo, che non trovò poi mai attuazione. L'eventuale
superamento delle disuguaglianze sociali avrebbe eliminato le forme di delinquenza legate
all'organizzazione sociale classica, ma non altre forme di criminalità.
Turati tende a ravvisare le cause di criminalità soprattutto nell'organizzazione economica
della società.
Agli inizi del Novecento si assiste ad una svolta, con la scuola tecnico giuridica. Questo
indirizzo, che ha il suo massimo esponente in Arturo Rocco (allora ministro guardasigilli),
insiste sul fatto che il diritto penale debba occuparsi del sistema normativo vigente senza
indagarne i fondamenti politico filosofici: la scienza del diritto penale si deve limitare a
"studiare il delitto e la pena sotto il lato puramente giuridico, lasciando ad altre scienze -
antropologia e sociologia criminale- la cura speciale di studiarli rispettivamente, l'uno come
fatto individuale, l'altro come fatto sociale.
L'indirizzo tecnico giuridico si mostra teoricamente apolitico. Eppure proprio questa
caratteristica fu il presupposto della sua strumentalizzazione ad opera del regime fascista. In
questo clima nasce il codice Rocco, al quale va riconosciuta in ogni caso la capacità di tenere
saldi i fondamenti liberal- illuministi della scienza penalistica, quali il principio di legalità ed
il divieto di analogia.
L'indirizzo tecnico giuridico rimane l'indirizzo dominante per un cinquantennio, salvo il
tentativo di Betioll, concezione teleologica, di riavvicinare il diritto penale alla morale,
recuperando una concezione retributiva della pena ed una visione del sistema penale come
sistema di difesa di valori.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Stato diventa esclusivamente la "struttura bio-psichica della personalità". Per altro verso, il
programma prevede l'adozione, in luogo della vecchia pena retributiva, di misure di sicurezza
concepite come misure preventive a carattere pedagogico e terapeutico. Questa teoria porta
ad un totale smantellamento delle funzioni garantistiche del diritto penale: il concetto di
antisocialità soggettiva così generico sfocia infatti in gravi abusi in sede applicativa.
Di orientamento più moderato è la corrente francese facente capo a Marc Ancel, che è
riuscita a esercitare maggior influenza a livello internazionale. Secondo la concezione di
Ancel la nuova difesa sociale rappresenta soprattutto un atteggiamento spirituale: essa
respinge connotazioni ideologiche particolari e tende soltanto a razionalizzare e a rendere più
umano il diritto penale esistente, perfezionando soprattutto le tecniche sanzionatorie nella
prospettiva della massima individualizzazione del trattamento punitivo e del suo adeguamento
all'idea risocializzatrice.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE I
DIRITTO PENALE E LEGGE PENALE
CAPITOLO I
CARATTERISTICHE E FUNZIONI DEL DIRITTO PENALE
1. Premessa
Il diritto penale è quella parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti reato.
Per reato si intende ogni fatto umano alla cui realizzazione la legge riconnette sanzioni penali.
Sono sanzioni penali nell'ordinamento vigente:
pena
misura di sicurezza
L'una e l'altra tendono al duplice obiettivo:
di difendere la società dal delitto
di risocializzare il delinquente
Nei moderni ordinamenti il reato ruota attorno a tre principi cardine:
non può esserci reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno
(principio di materialità)
non basta la realizzazione di un comportamento materiale; ai fini della sussistenza di un reato
è necessario che il comportamento incriminato leda o ponga in pericolo beni giuridici
(principio di necessaria lesività o offensività)
un fatto materiale lesivo di beni giuridici, può essere penalmente attribuito all'autore solo a
condizione che gli si possa muovere un rimprovero per averlo commesso (principio di
colpevolezza)
La necessità di ricorrere al diritto penale come strumento di tutela si spiega sulla base del fatto
che i mezzi di protezione predisposti dagli altri settori dell'ordinamento non risultano sempre
altrettanto idonei a prevenire la commissione di fatti socialmente dannosi. 1l ricorso alla
sanzione penale per eccellenza (quella detentiva) ha una capacità unica di prevenzione in tal
senso, essa è pertanto uno strumento irrinunciabile, specie se confrontata con altri tipi di
sanzioni (es. sanzioni pecuniarie).
La sanzione penale ha diverse funzioni:
preventiva - si distinguono:
prevenzione generale: la minaccia della sanzione distoglie la generalità dei consociati dal
commettere reati;
prevenzione speciale: la concreta inflizione della pena mira ad impedire che il singolo autore
del reato torni a delinquere.
di protezione dei beni giuridici considerati, in ragione della loro importanza, meritevoli
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
della massima protezione. Proprio perchè il diritto penale si avvale dell'inflizione delle
sanzioni più drastiche (tutela dei beni giuridici attuata mediante lesione degli stessi), se ne
raccomanda un impiego il più possibile ponderato, vale a dire circoscritto alla salvaguardia
dei beni fondamentali della vita in comune: diritto penale come extrema ratio
Recentemente la dottrina pone l'accento sul carattere dinamico del bene giuridico: il bene
giuridico non equivale semplicemente ad una cosa o a un interesse dotato di valore in se
stesso; nella realtà i beni giuridici esistono soltanto se e nella misura in cui sono "in
funzione", cioè producono effetti utili nella vita sociale. Dunque il carattere dinamico del bene
giuridico è quello che li identifica con una "unità di funzione". 1n quest'ottica assurge a bene
giuridico soltanto quell'interesse idoneo a realizzare un determinato scopo utile per il
sistema sociale. Resta comunque difficile individuarli, anche alla luce di tale definizione.
L'idea della protezione dei beni giuridici quale funzione del diritto penale ha ascendenza
illuministica. Nel Settecento, per la prima volta, si affaccia l'idea che il diritto penale non
debba avere come scopo la realizzazione di una giustizia ultraterrena, quanto piuttosto la
garanzia di una convivenza pacifica e la conseguente tutela di quegli interessi che ne sono le
basi. Questa prospettiva circoscrive il ricorso al diritto penale solo ai casi di stretta necessità,
ove la tutela penalistica abbia ad oggetto beni essenziali ai fini di una ordinata convivenza
umana (strumento penale come extrema ratio); quando invece si tratta di beni o interessi di
dubbia consistenza, il ricorso alla sanzione punitiva sarebbe sproporzionato per eccesso,
dovrebbero piuttosto soccorrere tecniche di tutela di carattere extrapenale.
Va osservato che il concetto di bene giuridico si presta potenzialmente a ricomprendere i
contenuti più mutevoli e svariati, tanto che le elaborazioni della teoria del bene giuridico via
via prospettate nel corso del tempo hanno inevitabilmente risentito delle concezioni della
società e dello Stato di volta in volta dominanti.
La paternità del concetto di bene giuridico è di Birnbaum. Egli, nella prima metà
dell'ottocento, elaborò questa categoria, in opposizione alla concezione illuministica che
inquadrava il reato come una violazione di un diritto soggettivo. 1n base a quest'ultima,
restavano infatti esclusi dalla tutela beni di particolare rango sebbene non riconducibili al
paradigma del diritto soggettivo.
L'originaria teorizzazione del bene giuridico da parte di Birnbaum era particolarmente
inclusiva e finiva col riconoscere un catalogo più ampio di legittimi oggetti della tutela penale
(ad esempio anche la moralità pubblica e il sentimento religioso, in quanto all'epoca avvertiti
come meritevoli di particolare considerazione nell'ambito della comunità sociale).
La preoccupazione di dare al bene giuridico una definizione tale da limitare la potestà punitiva
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
dello stato, emerge a fine Ottocento. 1l diritto penale come strumento di tutela deve servire
alla soddisfazione di bisogni sociali che preesistono alla disciplina giuridica con i quali il
legislatore deve misurarsi senza anteporre vedute astratte alla realtà. Von Liszt propone
quindi un concetto materiale di bene giuridico basato su interessi preesistenti alla
valutazione del legislatore, come tali idonei a garantire la corrispondenza tra realtà sociale e
disciplina normativa. 1l contenuto antisociale dell'illecito è indipendente dal giusto
apprezzamento da parte del legislatore: la norma giuridica lo trova, non lo crea. Non vi sono
tuttavia criteri precisi per individuare tali interessi preesistenti e quindi i beni giuridici.
Arturo Rocco prova avversione per i tentativi di prospettare nozioni pregiuridiche o materiali
di bene giuridico, al contrario secondo lui la determinazione del concetto di bene giuridico
non può prescindere dalle valutazioni normative già compiute dal legislatore, per cui il
concetto di bene finisce col coincidere con l'oggetto di tutela di una norma penale già
emanata.
La concezione di bene giuridico diviene formale e finisce per spogliarsi di ogni referente
pregiuridico, ciò significa che la teoria del bene perde ogni funzione critica di limite al potere
punitivo dello Stato. Si assiste ad un processo di formalizzazione: essa rinuncia a ricercare
contenuti materiali o ideali, tali da poter essere assunti a criteri potenzialmente vincolanti per
le scelte di tutela compiute dal legislatore.
L'orientamento nazionalsocialista cancella la teoria del bene giuridico. Al centro del reato
assurge la violazione del dovere di fedeltà nei confronti dello Stato etico. 1l diritto penale è
rivisto come strumento di garanzia del rispetto da parte dei cittadini dell'obbligo di fedeltà
allo stato, impersonato dal Fuhrer.
Criterio di determinazione della dannosità criminale dei comportamenti punibili diventa il
"sano sentimento popolare": c'è in questo senso una tendenza a confondere la sfera del diritto
con quella dell'etica.
Anche in 1talia arriva l'eco di questa posizione teorica della scuola di Kiel, seppur in maniera
meno esasperata: Antolisei sostiene che il diritto penale non dovrebbe limitarsi alla
conservazione dei beni preesistenti ma dovrebbe modificare la coscienza del popolo allo
scopo di conseguire determinate finalità nazionali. Tale assunto propone una concezione
"propulsiva" del diritto penale nel contesto di un'ideologia autoritaria di ispirazione illiberale,
del tutto incompatibile con i principi dell'odierno Stato democratico.
L'idea della protezione di beni giuridici come scopo del diritto penale si riafferma in Italia e
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Germania tra gli anni Sessanta e Settanta, con la riaffermazione contemporanea degli
ordinamenti liberaldemocratici. Si mira ad affrancare il diritto penale da ogni commistione
con la morale corrente: il diritto penale deve essere laico. Si attaccano tutte quelle fattispecie
che tradiscono un'impostazione eticheggiante, come omosessualità e bestemmia: oggetto di
tutela devono essere soltanto entità dotate di sostrato reale. Assurge a bene giuridico
soltanto l'entità materiale concretamente ledibile.
Si tratta di un criterio troppo generico, incapace di guidare in una selezione certa degli oggetti
tutelabili. Di qui l'esigenza di elaborare nuovi criteri atti ad impedire rischi di arbitrio da parte
del legislatore.
Per la dottrina successiva, nuovo riferimento nella scelta di ciò che può legittimamente
assurgere a reato diviene la Costituzione. Nasce così la teoria costituzionalmente orientata
del bene giuridico, che persegue il duplice obiettivo di elaborare da un lato un concetto di
bene giuridico che preesista alla valutazione del legislatore ordinario; ma di prospettare
dall'altro criteri di determinazione del bene medesimo finalmente vincolanti nei confronti del
legislatore penale.
Tale teoria muove da una rilettura delle norme costituzionali in materia penale:
il principio di riserva di legge (art 25 11 comma)
il principio della responsabilità personale in materia penale (art 27 1 comma)
la funzione rieducativa della pena (art 27 111 comma)
il carattere inviolabile della libertà personale (art 13) che riprova come l'uso della coercizione
penale vada limitato in rapporto ai soli casi in cui il ricorso alla restrizione sia inevitabile.
Il ricorso alla pena trova giustificazione soltanto se rivolto a tutelare beni socialmente
apprezzabili dotati di rilevanza costituzionale. La necessità della legittimazione in chiave
costituzionale della tutela penale è sentita soprattutto (ma non solo) in relazione alla sanzione
detentiva.
Possono godere di tutela penale anche i beni che sono solo implicitamente riconosciuti dalla
Costituzione ma rientrano nel sistema di valori delineato dalla stessa (come la pietà verso i
defunti) o beni la cui tutela è prodromica alla tutela di beni costituzionalmente rilevanti (così
i reati di falso tutelano la fede pubblica che permette di tutelare beni quali il patrimonio o
l'economia, esplicitamente costituzionali).
Risulta conseguentemente ammissibile la tutela di beni di nuova emersione (come la tutela
dell'ambiente). 1n ogni caso va precisato che i beni costituzionalmente rilevanti possono
ma non devono essere puniti penalmente. 1l riferimento alla rilevanza costituzionale offre
dunque solo un criterio di legittimazione negativa nel senso che delimita l'area di ciò che
costituzionalmente potrebbe assurgere a materia di reato. La scelta del se e come punire
spetta poi in ultima istanza al legislatore e risulta poi condizionata da ulteriori fattori, quali
il criterio di sussidiarietà
il criterio di meritevolezza della pena
La teoria costituzionalmente orientata del bene giuridico non trova completa rispondenza
nel nostro ordinamento positivo vigente. Non sempre le fattispecie esistenti sono poste a
tutela di un bene sufficientemente definito e non sempre le tecniche di tutela adottate sono
conformi ai principi costituzionali.
Esistono infatti figure di reati cosiddetti "senza bene giuridico" o "senza vittima". Sono una
classe di illeciti penali nei quali non è riscontrabile la tutela di un interesse o valore
preesistente all'intervento del legislatore penale. Queste figure criminose delineano
comportamenti il cui disvalore si esaurisce nella difformità rispetto a condizioni della vita
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
associata che, a giudizio del legislatore penale, appaiono meritevoli di essere promosse e
consolidate (es. contrarietà al gioco d'azzardo). Si tratta di una categoria generalissima in cui
vengono accomunati tipi di reato che sollevano però problematiche non omogenee:
- reati attinenti alla sfera etica: è controverso se il diritto penale debba salvaguardare valori
attinenti alla sfera etica la cui violazione non comporti tangibili danni sociali, diversi
dall'offesa alla morale corrente (es. pornografia);
l'individuazione del bene giuridico diventa meno agevole man mano che si passa dalle
fattispecie che tutelano classici beni individuali (vita, patrimonio) a quelle finalizzate alla
protezione di interessi superindividuali (es. economia pubblica). Dunque l'oggetto della
protezione penale perde in concretezza e afferrabilità: il diritto penale non tutelerebbe più
beni giuridici in senso tradizionale, ma funzioni amministrative. Tuttavia alcuni di questi beni
superindividuali (es. ambiente) hanno anche acquisito un rango crescente nella stessa
coscienza sociale;
reati omissivi propri, che consistono nell'inosservanza di un obbligo di condotta e che
presentano spesso problemi relativi all'individuazione del bene giuridico tutelato, specie
quando finalizzati a promuovere l'acquisizione di un bene futuro non ancora venuto ad
esistenza, invece che a salvaguardare un interesse preesistente.
Vi sono poi teorie incriminatrici costituzionalmente dubbie; sollevano problemi di
costituzionalità le seguenti tipologie di reato:
reati di sospetto: fattispecie che si discosta maggiormente dal principio di offensività.
Riguardano comportamenti di per sé non lesivi né pericolosi, la cui repressione ha una
giustificazione accentuatamente preventiva (poiché fa solo presumere una successiva
commissione di reato) es. possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli.
reati ostativi, che riguardano condotte prodromiche rispetto alla realizzazione dei
comportamenti che effettivamente ledono o pongono in pericolo il bene protetto; si parla di
delitti-ostacolo in quanto funzione della norma è di frapporre un impedimento al
compimento dei fatti concretamente offensivi (es. possesso di sostanze stupefacenti quale
momento prodromico dello spaccio)
reati di pericolo presunto (in senso stretto), puniscono fatti che secondo una regola di
esperienza è presumibile provochino una messa in pericolo del bene protetto. Può tuttavia
accedere in questi casi che si puniscano fatti concretamente non pericolosi.
delitti di attentato: figura di reato tipica del diritto penale politico, colpisce gli atti
preparatori di condotte destinate ad offendere interessi attinenti alla personalità dello Stato.
reati a dolo specifico con condotta neutra, che riguardano condotte di per sé non costituenti
reato o anzi addirittura riferibili all'esercizio di un diritto, che assumono rilevanza penale se
accompagnate da uno specifico fine (es. associazione a fine di eversione).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
per i reati di opinione, contrastanti con il diritto alla libera manifestazione del proprio
pensiero, la Corte ha operato il salvataggio, in quanto le fattispecie predette sono finalizzate
alla tutela del bene dell'ordine pubblico.
Altre volte la Corte ha salvato una disposizione penale, intervenendo sulla natura del bene
protetto (sentenze manipolative del bene protetto). Ad esempio le norme poste a tutela della
religione che, nell'intenzione del legislatore, era intesa quale bene funzionale allo stato
fascista, sono state reinterpretate individuando il bene tutelato nel sentimento religioso come
espressione della personalità umana. La ridefinizione del significato della norma è lecita
quando si traduce in un'interpretazione costituzionalmente orientata e quando è comunque
attinente al tenore letterale della fattispecie incriminatrice.
Gli orientamenti teorici più recenti tendono a ridimensionare il ruolo del bene giuridico.
Welzel sostiene che la tutela dei beni giuridici sia solo un fine indiretto del diritto penale, il
cui obiettivo primario è formare i cittadini da un punto di vista etico sociale, predisponendoli
all'osservanza delle leggi: la protezione dei beni giuridici sarebbe un obiettivo indiretto,
incluso nello scopo primario.
Nuovi apporti vengono dal campo della sociologia.
Amelung ad esempio ha riproposto la teoria sociologica, dottrina della dannosità sociale di
ascendenza illuministica, definendo il reato come fenomeno che ostacola il funzionamento del
sistema sociale. 1l reato come un fatto socialmente dannoso, più che un fatto lesivo di un bene
giuridico.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La sanzione penale deve essere applicata non in presenza di qualsivoglia attacco ad un bene
degno di tutela, bensì nei soli casi in cui l'aggressione raggiunga un tale livello di gravità da
risultare intollerabile. Deve essere quindi punito solo l'attacco a beni degni di tutela e solo nei
casi in cui l'aggressione ragiona un livello di gravità tale da risultare intollerabile (principio
di meritevolezza della pena).
Un criterio plausibile di applicazione del principio potrebbe essere il seguente:
quanto più alto è il livello del bene all'interno della scala gerarchica nella Costituzione, tanto
più giustificato risulterà asserire la meritevolezza di pena dei comportamenti che ledono o
pongono in pericolo tale bene.
quanto più basso è il valore del bene, tanto più giustificato apparirà limitare la reazione penale
a forme particolarmente gravi di aggressione.
4. Il principio di frammentarietà
Tale principio opera a tre livelli:
il diritto penale punisce solo specifiche forme di aggressione al bene tutelato, non ogni
aggressione da parte di terzi (ad esempio nei delitti contro il patrimonio non punisce le
violazioni contrattuali ma solo la truffa e il furto),
la sfera di ciò che è penalmente rilevante è più ristretta rispetto alla sfera di ciò che è
qualificato antigiuridico alla stregua dell'intero ordinamento (es. violazioni contrattuali sono
illeciti civili ma non penali),
la sfera del penalmente rilevante non coincide con quella di ciò che è moralmente riprovevole
(es. omosessualità).
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5. Il principio di autonomia
Una tesi, elaborata dal tedesco Karl Binding e portata avanti in Italia da Grispigni, attribuiva
al diritto penale un carattere ulteriormente sanzionatorio rispetto a divieti contenuti in altri
rami del diritto. Esso avrebbe in questo senso una funzione secondaria ed accessoria.
Ogni condotta costituente reato sarebbe sempre e in ogni caso vietata da un'altra norma di
diritto privato o pubblico: la sanzione penale serve così di completamento e di rafforzamento
all'altra sanzione non penale, stabilita dalla norma giuridica che "antecedentemente" al diritto
penale ha vietato la stessa condotta. Dunque il diritto penale non può precedere, ma può
soltanto intervenire successivamente agli altri settori dell'ordinamento.
Ma non è invece sostenibile l'idea di una subordinazione del diritto penale ad altre
branche del diritto: il giudice penale non è vincolato dalle precedenti valutazioni di altri
giudici per cui è indifferente che la sanzione penale sia o meno preceduta da altri tipi di
sanzione.
Anche quando l'illecito penale è costruito su di un evento lesivo che fa contemporaneamente
da presupposto a illeciti extrapenali, la sua autonomia può riemergere sotto due profili:
come abbiamo già visto, l'illecito penale non abbraccia qualsiasi lesione del bene protetto, ma
rimane circoscritto a specifiche forme di aggressione tipizzate dalla fattispecie incriminatrice,
si caratterizza come "illecito di modalità di lesione",
anche quando il diritto penale richiama indirettamente concetti o categorie propri di altri
settori dell'ordinamento (es. reati in materia societaria), le specifiche esigenze
dell'imputazione penalistica possono richiedere che il significato di questi concetti venga
ricostruito in via autonoma (o parzialmente autonoma).
Neppure la tesi della natura autonoma del diritto penale deve tuttavia essere aprioristicamente
enfatizzata. Non è infatti escluso che in determinati casi la norma penale possa limitarsi a
sanzionare un precetto posto da altra norma.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
fatto delittuoso al suo autore, delle conseguenze giuridiche del reato e di ogni altro elemento
condizionante la punibilità. Essa costituisce il risultato da un lato di un processo di astrazione
teorica delle caratteristiche comuni ai singoli delitti, dall'altro del consolidamento di alcuni
principi fondamentali relativi alla garanzia del sistema delle libertà del singolo nei confronti
dell'autorità statale (es. principio di legalità).
Parte speciale: contiene il catalogo delle singole fattispecie di reato. E' organizzata
secondo un criterio sistematico che fa capo al concetto di bene giuridico di categoria:
vengono così raggruppati i reati che offendono un medesimo bene.
Le due parti si integrano: la suddivisione non è arbitraria ma ha alla base esigenze di
razionalità, completezza e semplificazione.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
depenalizzazione già a partire dagli anni sessanta e dall'altro lato all'introduzione di nuove
fattispecie attraverso leggi speciali, rispetto alle quali i reati previsti dal codice penale
rappresentano ormai solo una piccola parte. Il maggior intervento di depenalizzazione è stato
attuato nell'81: sono stati depenalizzati gli illeciti puniti con sola multa.
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CAPITOLO II
LA FUNZIONE DI GARANZIA DELLA LEGGE PENALE
1. Premesse generali
Il principio di legalità ha una genesi politica. La sua matrice risale alla dottrina del
contratto sociale e si giustifica con la conseguente esigenza di vincolare l'esercizio di ogni
potere dello stato alla legge, per evitare soprusi nei confronti dei cittadini. L'idea della tutela
dei diritti di libertà del cittadino nei confronti del potere statuale si esprime
fondamentalmente nel divieto di irretroattività della legge penale. Secondo gli illuministi
nessuno può essere punito se al momento della commissione del fatto questo non era previsto
come reato dalla legge.
La giustificazione giuridica del principio è data da Feuerbach che lo sintetizza nella formula
nulla poena sine lege (anche se predeterminazione legale della sanzione non significa
esclusione di ogni potere discrezionale del giudice, che al contrario ha la possibilità di
scegliere tra più sanzioni legalmente predeterminate).
Feuerbach ne dà anche una giustificazione tecnica, collegando il principio alla funzione di
prevenzione generale della pena per cui, se la pena deve fungere da deterrente alla
commissione di reati, occorre che i cittadini sappiano prima cosa è punito.
Nel nostro ordinamento il principio di legalità è disciplinato:
all'articolo 25 II comma della Costituzione "Nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"
all'articolo 1 del codice penale "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia
espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite"
La diversa formulazione letterale non deve trarre in inganno. Il significato di garanzia è lo
stesso.
Conseguenza del principio di legalità può essere l'incompletezza della tutela, che costituisce
comunque un male minore rispetto ai gravi rischi per la libertà personale nel caso in cui il
principio non fosse previsto.
• riserva di legge;
Il principio di legalità si articola in quattro sottoprincipi.
• tassatività;
• irretroattività della legge penale;
• divieto di analogia.
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provvedimenti che siano di ostacolo al libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini.
La legge regionale può avere tuttavia funzione scriminante (individuare cioè un motivo di
non punibilità giustificando alcuni comportamenti), dal momento che in questo caso non
comporta restrizioni della libertà personale.
5. Rapporto legge-consuetudine
Per consuetudine si intende la ripetizione generale, uniforme e costante di un comportamento
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La forma più frequente di interazione si è finora manifestata nei casi di conflitto totale o
parziale tra norme comunitarie e legge penale italiana. Competente a mettere in evidenza i
problemi di conflitto o compatibilità tra la norma interna e il diritto comunitario è il giudice
nazionale: ciò richiede ovviamente una previa attività di interpretazione. Se il giudice interno
è in dubbio circa la più esatta interpretazione della norma comunitaria, egli può effettuare un
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della CE alla quale spetta il monopolio
dell'interpretazione del diritto comunitario. Ove invece il conflitto si manifesti in forma di
incompatibilità evidente, va ricordato che la preminenza del diritto comunitario su quello
interno è stata riconosciuta da un'importante decisione della Corte di Giustizia, che ha sancito
l'obbligo del giudice nazionale di applicare le disposizioni di diritto comunitario e
disapplicare all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della
legislazione nazionale, anche precedente, senza doverne chiedere o attendere la rimozione in
via legislativa o mediante il procedimento costituzionale (il riferimento è alle norme
dispositive dei Trattati, e in generale a tutte le disposizioni direttamente applicabili e cioè
quelle contenute nei regolamenti e nelle direttive cosiddette analitiche o dettagliate, poichè
self- executing).
Ci sono a livello comunitario tutta una serie di disposizioni di carattere generale che finiscono
per avere delle ricadute anche in materia penale. Un esempio per tutti è quello dell'articolo
348 del nostro codice penale, che si pone in contrasto con uno dei principi fondamentali
della CE: la libertà di circolazione. L'articolo riguarda l'esercizio abusivo di una professione
per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Il caso di specie che sollevò
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
per la prima volta in Europa la questione fu quello di un dentista turco che aveva studiato in
Germania ed esercitava in Francia. Le Corti francesi interne lo avevano condannato ma lui si
era rivolto alla Corte europea che gli aveva dato ragione. In Italia le posizioni oscillarono fino
a quando nel 2001 il Tribunale di Milano affermò definitivamente il principio per cui deve
essere la libertà di circolazione a prevalere. L'abilitazione conseguita in un qualsiasi altro stato
membro vale su tutto il territorio comunitario. Problemi sorgono nel momento in cui non
esiste alcun analogo titolo di abilitazione all'estero. Si pensi all'esercizio della professione
d'avvocato in Spagna, per cui è sufficiente la laurea in giurisprudenza (è oggi comunque in
atto un progetto di riforma).
Tecniche utilizzate dall'UE per assicurare una protezione efficace e il più possibile omogenea
degli interessi comunitari nell'ambito delle diverse legislazioni nazionali:
assimilazione degli interessi comunitari agli interessi statali, mediante estensione ai primi
delle forme di tutela previste per i secondi;
armonizzazione delle legislazioni penali nazionali;
unificazione delle discipline penali nazionali.
Armonizzazione penale e cooperazione giudiziaria promosse tramite Trattato di Maastricht del
'92.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La Corte Costituzionale ha, nella quasi totalità dei casi, respinto le eccezioni di
incostituzionalità per contrasto col principio di tassatività. Questo a causa della
preoccupazione di creare dei vuoti di tutela ed entrare in conflitto con il legislatore. A ciò si è
aggiunta la remora derivante dalla obiettiva difficoltà di stabilire con precisione, in rapporto
alle varie fattispecie incriminatrici, il confine tra sufficiente determinatezza (o
indeterminatezza tollerabile) e indeterminatezza confliggente col principio di tassatività.
La Corte ha salvato le norme rimandando ad una loro lettura secondo il significato linguistico
(sarebbe sempre possibile, per il giudice, rintracciare un significato determinato rifacendosi al
normale uso linguistico delle espressioni utilizzate nella norma).
Un altro filone della giurisprudenza costituzionale fa leva sull'argomento del diritto vivente,
che consiste nell'interpretazione prevalente che la giurisprudenza conferisce a una
determinata norma incriminatrice, o in mancanza, nel rapporto dialettico tra le diverse
interpretazioni giurisprudenziali (competerebbe al giudice scegliere la soluzione ermeneutica
preferibile). Così facendo però si rischia di attribuire un ruolo eccessivo alla giurisprudenza
ordinaria che viene caricata del ruolo di supplire alle mancanze del legislatore.
Non mancano in ogni caso delle (rare) prese di posizione della giurisprudenza costituzionale
che si segnalano per un'apertura ben maggiore rispetto alla dimensione costituzionale della
tassatività: viene in questione la fondamentale pronuncia di accoglimento in tema di plagio
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
(sentenza 96/81) che ha precisato come la determinatezza della fattispecie incriminatrice non
attiene soltanto alla sua formulazione linguistica ma implica anche la verificabilità empirica
del fatto disciplinato. Deve infatti ritenersi implicito anche l'onere di formulare ipotesi che
esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà: sarebbe assurdo ritenere che possano
considerarsi determinate in coerenza col principio di tassatività della legge, norme che
esprimano situazioni e comportamenti irreali o fantastici o comunque non avverabili, e
tantomeno concepire disposizioni che ordinino o puniscano fatti che devono considerarsi
inesistenti o non razionalmente accertabili.
La tesi è stata ulteriormente sviluppata in altre due sentenze, in materia di frode fiscale e di
prevenzione di incendi. L'idea che emerge è che la determinatezza fa riferimento al tipo
criminoso e non solo alla mera formulazione linguistica della norma.
Altra importante sentenza di accoglimento per violazione del principio di tassatività è la
sentenza 34/95 in materia di asilo, ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari. La
norma in questione prevedeva reato di omissione nel caso in cui il soggetto non si adoperasse
per ottenere il rilascio del documento di viaggio. Mancherebbero i parametri oggettivi
necessari a stabilire quando l'inerzia del soggetto raggiunga la soglia penalmente rilevante.
Del resto l'ambiguità sovente riscontrabile nella normativa penale (specie in quella più
recente) è una diretta conseguenza della tendenza compromissoria che caratterizza l'attuale
attività legislativa (l'esigenza di bilanciare beni e interessi di cui sono portatrici forze politico-
sociali confliggenti).
Di qui la ricorrente tentazione della giurisprudenza di colmare le lacune e risolvere le
ambiguità. Il principio di tassatività serve allora come freno a questa tendenza, in
salvaguardia dei cittadini, contro eventuali abusi del potere giudiziario.
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11. 12. 13. 14. 15. La disciplina dettata dall'art.2 del codice
penale
Il principio trova una più articolata disciplina nell'articolo 2 del codice penale.
<<Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
commesso, non costituiva reato>>.
Il primo comma dell'art.2 ribadisce il divieto di applicazione retroattiva della legge penale
per i casi di nuova incriminazione che ricorre quando una legge introduce una figura di
reato prima inesistente.
<<Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali>>.
Il secondo comma dell'art.2 allude al fenomeno dell'abolizione di incriminazioni prima
esistenti.
Se l'abrogazione di un illecito penale costituisce il risultato di una valutazione di
compatibilità tra il comportamento incriminato e l'interesse collettivo è irragionevole
continuare a punire l'autore di un fatto ormai tollerato dall'ordinamento giuridico.
In alcune ipotesi non è agevole stabilire se c'è stata abrogazione. Può accadere infatti che la
legge penale successiva non abroghi ma riformuli una disposizione preesistente. È quanto
accaduto ad esempio nel caso del reato di infanticidio. In questi casi si può parlare di
successione di leggi penali. I criteri per verificare la sussistenza della successione di leggi
sono due:
Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla dottrina tedesca, si ha successione allorché
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
nel passaggio dalla vecchia alla nuova norma permane la continuità del tipo di illecito.
Devono cioè essere identici l'interesse protetto e le modalità di aggressione (Esempio:
facendo propria questa tesi le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che ci sia
continuità tra l'abrogata fattispecie di interesse privato in atti d'ufficio e il nuovo reato di
abuso di ufficio). Questo criterio può apparire eccessivamente generico potendo portare a
seconda che lo si interpreti in senso restrittivo o lato a risultati incerti.
Più rispettoso della funzione di garanzia del principio di irretroattività è un altro
orientamento, il quale sostiene che perché vi sia successione è necessario che vi sia un
rapporto di continenza tra la nuova e la vecchia fattispecie. Ciò si verifica quando la
norma posteriore è speciale rispetto ad una precedente di contenuto più generico, o viceversa.
Esempio: Si pensi al caso della novazione legislativa del delitto di infanticidio. Tra la vecchia
e la nuova fattispecie non esiste un rapporto di continenza. Il reato di infanticidio in
condizioni di abbandono materiale e morale risulta eterogeneo rispetto al delitto di
infanticidio per causa di onore. Dunque si dovrebbe concludere, apparentemente, per l'assenza
di successione e quindi per la tesi dell'abolitio criminis (e quindi abrogazione). In realtà,
valutando la questione più attentamente, ci si rende conto che l'abrogazione del delitto di
infanticidio per causa di onore non comporta il venir meno dell'illiceità del fatto ma la
riespansione della fattispecie di omicidio comune, la quale ricomprende nel suo ambito
l'ipotesi di infanticidio. Se ne deduce che in realtà sussistono i presupposti per una
successione di legge.
<<Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica
quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile>>.
Il quarto comma introduce la regola dell'applicabilità retroattiva della norma più
favorevole al reo. Fondamento della norma è il favor libertatis. Il principio si ricollega
indirettamente anche al principio di uguaglianza che impone di evitare ingiustificate o
irragionevoli disparità di trattamento. Per stabilire quando ci si trovi di fronte ad una
disposizione più favorevole occorre operare un raffronto in concreto. Non si devono cioè
paragonare le astratte normative delle due norme ma mettere a confronto i rispettivi risultati
dell'applicazione alla situazione concreta oggetto di giudizio.
Esempio -> se la vecchia legge prevede un massimo di pena elevato e un minimo più ridotto,
e la nuova viceversa, si applicherà la prima legge o la successiva a seconda, rispettivamente,
che il giudice intenda applicare al caso concreto una pena edittale minima o massima. Oppure
se la nuova legge diminuisce il massimo edittale ma aggiunge una misura di sicurezza, dovrà
applicarsi la precedente perchè il cumulo delle sanzioni è più sfavorevole nella nuova.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
L'operatività del principio in esame (la quale presuppone innanzitutto che ci si trovi di fronte a
un'ipotesi di successione tra fattispecie incriminatrici accertabile in base al criterio del
rapporto di continenza) è più dubbia in alcuni casi: si pensi alla degradazione di un illecito da
delitto in contravvenzione. In casi simili la dottrina ritiene sempre più favorevole la norma
che degrada in contravvenzione, ma sbaglia.
Il punto è che le cose non stanno sempre così: la trasformazione in contravvenzione fa sì che
ci sia estensione della punibilità alle semplici ipotesi colpose prima non incriminate. Si
dovrebbe in questo caso applicare il comma I dell'art 2, quindi la nuova norma non è
retroattiva causa divieto di applicazione retroattiva per i casi di nuova incriminazione.
Si discute se e in che limiti la disciplina di cui all'art.2 si applichi nei casi di modifiche che
incidono non direttamente sugli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. Si pensi
alle ipotesi di modifica mediata, propria di norme che integrano il contenuto di una norma
penale o che disciplinano elementi normativi della fattispecie.
Es. Tizio viene accusato ingiustamente (calunniato) di appartenere ad una banda partigiana.
Successivamente tale appartenenza cessa di costituire reato. Permane il delitto di calunnia
(che consiste nell'incolpare falsamente taluni di un reato)? In questo caso si ha quindi una
modifica mediata da parte della norma che ha disciplinato un elemento normativo della
fattispecie: la nozione di reato, che ora non ricomprende più l'appartenenza a una banda
partigiana.
Secondo l'orientamento prevalente (restrittivo) non trova applicazione qui l'art.2 comma 2
(abolizione retroattiva di incriminazioni prima esistenti), dal momento che l'astratta
fattispecie di reato, cioè la fattispecie di calunnia, non muta. Permane quindi il delitto di
calunnia (l'art.2 comma 2 non è mai applicabile, e dunque la modifica mediata è irretroattiva).
Per un altro orientamento (mediano), invece, occorre verificare se il mutamento normativo è
in grado di incidere sul disvalore della fattispecie. Nel caso della calunnia la falsa
incolpazione continua a mantenere il suo carattere offensivo anche se il fatto non è più reato.
Non così per il caso, ad esempio, di associazione per delinquere. Se lo scopo
dell'associazione cessa di costituire reato viene meno l'offensività del fatto.
La tesi preferibile per Fiandaca e Musco è quella estensiva, che ritiene sempre applicabile
la disciplina dell'art.2 comma 2. La disposizione integratrice, contribuendo a descrivere il
fatto che costituisce reato, finisce sempre con l'incorporarsi con la norma incriminatrice.
Quindi poichè l'appartenenza a banda partigiana non costituisce più reato nessuno può essere
punito per un delitto di calunnia che non esiste più. Quindi in questo caso la modifica mediata
è retroattiva (in base al comma 2, che prevede l'abolizione di incriminazioni prima esistenti).
Le stesse conclusioni valgono per le norme integratrici extragiuridiche (si pensi al mutamento
del parametro sociale in base al quale valutare ciò che è osceno).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
<<Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata
ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con
emendamenti>>.
L'ultimo comma, nella versione originaria del 1930, estende la disciplina della successione di
leggi contenuta nei precedenti commi anche ai casi di decreti legge decaduti o non convertiti
in legge, ove contengano un'abolizione del reato o una disciplina penale più favorevole
all'agente. L'assimilazione di queste ipotesi alla successione di leggi penali dipendeva dal fatto
che l'ordinamento dell'epoca stabiliva che tali decreti cessassero di avere efficacia ex nunc,
cioè solo allo scadere del termine per la conversione.
L'attuale Costituzione prevede invece che essi perdano efficacia ex tunc (art.77
Costituzione), decisione giustificata dalla preoccupazione di subordinare l'efficacia legislativa
dei provvedimenti del Governo all'approvazione del Parlamento. Ne consegue che,
nell'ipotesi di decreti non convertiti che introducano modifiche a fattispecie penali
preesistenti, viene meno la possibilità stessa di configurare una successione di leggi: la
caducazione degli effetti del decreto legge ex tunc, infatti, impedisce di applicarlo.
La Corte Costituzionale (sent 51/1985) ha pertanto dichiarato illegittimo l'ultimo comma
nella parte in cui rendeva applicabili le disposizioni dei commi 2 (abolizione di
incriminazioni prima esistenti) e 4 (applicabilità retroattiva della norma più favorevole al reo)
ai casi di mancata conversione di un decreto legge recante norma penale abrogatrice o più
favorevole.
Per comprendere la portata dell'intervento della Corte Costituzionale, è necessario distinguere
a seconda che si tratti di fatti pregressi, commessi cioè anteriormente all'entrata in vigore del
decreto non convertito, o di fatti concomitanti, commessi cioè durante la vigenza del decreto
non convertito. Quanto ai fatti pregressi, ove il fatto fosse previsto come reato dalla legge
del tempo, l'abolizione del reato o la disciplina più favorevole prevista dal decreto-legge non
convertito, non avrà nessun effetto: l'agente sarà punibile in base alla legge in vigore al tempo
del fatto.
Quanto ai fatti concomitanti, il principio di irretroattività impone di applicare la disciplina
più favorevole contenuta nel decreto-legge non convertito, con la conseguenza che se il
decreto-legge non convertito prevedeva l'abolizione del reato, l'agente non sarà punibile (e se
vi è stata condanna, ne cesserà l'esecuzione ed ogni effetto penale); se invece il decreto-legge
prevedeva una disciplina in concreto più favorevole, il giudice dovrà applicare tale disciplina.
Questa soluzione è imposta dalla logica del principio di irretroattività: è vero infatti che per
effetto della mancata conversione del decreto-legge la preesistente norma incriminatrice,
ovvero la preesistente disciplina meno favorevole, dovrà considerarsi come legge
formalmente vigente al momento del fatto, tuttavia quella legge non poteva essere conosciuta
dall'agente, e quindi non poteva svolgere nei suoi confronti nessuna funzione di
orientamento: la sua applicazione sarebbe dunque contraria alla ratio del principio
costituzionale di irretroattività e al principio dell'affidamento.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Per individuare la legge penale applicabile nel tempo occorre determinare il tempus commissi
delicti. In assenza di una presa di posizione legislativa, la dottrina propone tre criteri.
la teoria della condotta: ritiene il reato commesso nel momento in cui si verifica l'azione (o
l'omissione);
la teoria dell'evento: ritiene il reato commesso nel momento in cui si verifica l'evento lesivo
conseguenza della condotta;
la teoria mista: ritiene il reato commesso indifferentemente in presenza dell'uno o dell'altro
estremo.
Quale dei criteri accennati sia il più valido, non si può dire in astratto: la soluzione del
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
problema va fornita di volta in volta tenuto conto delle esigenze sottese a ciascun istituto.
Tuttavia si concorda generalmente nel respingere tanto la teoria dell'evento che la teoria
mista: la prima perchè - a parte la considerazione che non tutti i reati contengono nella loro
struttura un evento naturalistico - porterebbe ad una applicazione retroattiva della legge
penale in tutti i casi, nei quali la condotta si sia svolta sotto il vigore di una precedente legge e
l'evento si sia invece verificato dopo l'introduzione di una nuova norma incriminatrice nel
frattempo eventualmente emanata; la seconda perchè non sembra ragionevole considerare
commesso un reato indifferentemente sotto la vigenza di due norme incriminatrici diverse. Il
criterio preferibile è quindi quello del riferimento alla condotta.
Occorre precisare che il criterio predetto si applica diversamente in funzione delle diverse
tipologie delittuose:
Nei reati a forma libera (nei quali cioè manca la tipizzazione legislativa di specifiche
modalità di realizzazione dell'evento lesivo) occorre distinguere:
se dolosi, il tempo del commesso reato coincide con la realizzazione dell'ultimo atto sorretto
dalla volontà colpevole;
se colposi, con la realizzazione di quell'atto che per primo è contrario alle regole di diligenza
e prudenza.
Nei reati di durata:
- reati permanenti (contraddistinti dal perdurare di una situazione illecita volontariamente
rimovibile dal reo): la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza fissa il tempo del
commesso reato nell'ultimo momento di mantenimento della condotta antigiuridica. Un tale
assunto porta però all'inconveniente di rendere applicabile una legge penale più sfavorevole
che, emanata poco prima della cessazione della condotta, aggravi il trattamento penale del
reato permanente. Appare in questo senso preferibile l'orientamento minoritario che fa
riferimento al primo atto che dà avvio alla condotta antigiuridica;
per i reati abituali (caratterizzati dalla reiterazione nel tempo di condotte della stessa specie)
vale un discorso esattamente identico, con orientamenti analoghi
il reato continuato invece, non rappresenta nell'ottica della successione di leggi un fatto
unitario, ma siamo in presenza di un concorso materiale di reati, ciascuno con un proprio
tempus commissi delicti.
Nei reati omissivi occorre fare riferimento al momento in cui scade il termine utile per
realizzare la condotta doverosa
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Secondo orientamento ormai consolidato, per legge regolare si intende la norma che
disciplina situazioni generali in cui può versare chiunque al ricorrere di determinati
presupposti.
Ci si trova invece di fronte ad una legge eccezionale quando si ha a che fare con una
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
disciplina che deroga all'efficacia potenzialmente generale di una o più disposizioni, in casi
particolari.
Applicando questi criteri distintivi, non tutte le norme che prevedono cause di non punibilità
hanno carattere eccezionale. Ad esempio le normali cause di giustificazione o di esclusione
della colpevolezza appaiono senz'altro suscettive di applicazione analogica dal momento che
sono presupposti generali di applicazione della norma incriminatrice. Quindi tra le norme
favorevoli al reo ne abbiamo alcune non di carattere eccezionale, come abbiamo appena
visto, ma anche alcune di carattere eccezionale: il ricorso al procedimento analogico è quindi
precluso rispetto a:
regole di immunità (le quali derogano al principio della generale obbligatorietà della legge
penale rispetto a tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato),
cause di estinzione del reato e della pena (che derogano alla normale disciplina dell'illecito
penale e delle conseguenze sanzionatorie),
cause speciali di non punibilità (che rispecchiano valutazioni politico-criminali legate alle
caratteristiche specifiche della situazione presa in considerazione e perciò non estendibile ad
altri casi).
Infine, rispetto alle circostanze attenuanti, il problema dell'applicabilità dell'analogia appare
privo di importanza pratica in seguito all'introduzione delle c.d. attenuanti generiche ex
art.62bis.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO III
L'INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI PENALI
1. Premessa
L'applicazione delle norme penali implica un passaggio dall'astratto al concreto: per poter
sussumere il caso singolo nella fattispecie incriminatrice generale e astratta, occorre
selezionare le caratteristiche giuridicamente rilevanti dell'accadimento concreto; e questo
processo selettivo necessariamente postula l'individuazione del significato e della portata
della legge da applicare.
Il termine interpretazione della legge penale, designa appunto il complesso delle operazioni
intellettuali finalizzate all'individuazione del significato delle norme da applicare:
interpretazione, quindi, come attività conoscitiva di natura strumentale.
Inoltre indica il risultato conseguito attraverso l'attività interpretativa medesima, e si
identifica con la scelta compiuta dall'interprete circa il senso da attribuire ad una determinata
norma.
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CAPITOLO IV
AMBITO DI VALIDITÀ SPAZIALE E TEMPORALE DELLA
LEGGE PENALE
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• che esso sia punibile con l'ergastolo o la reclusione di almeno un anno nel minimo
Per il delitto contro lo Stato italiano o un cittadino italiano occorre:
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1. Premessa
L'art 3 c.p. - principio di obbligatorietà - stabilisce che la legge penale italiana obbliga tutti
coloro che si trovano sul territorio dello Stato (cittadini o stranieri) nonché chi si trovi
all'estero nei casi stabiliti dalla legge o dal diritto internazionale.
È cittadino chi ha i requisiti previsti dalla legge per l'acquisto della cittadinanza. È straniero
chi è legato da rapporto di cittadinanza con altro Stato, oppure l'apolide residente all'estero.
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CAPITOLO V
TEORIA GENERALE DEL REATO
• il principio di legalità
determinazione sostanziale della natura del reato:
• il principio di tassatività
• il carattere personale.
fatto altrui, ma anche nel senso che il reato deve atteggiarsi a fatto tendenzialmente
colpevole.
Dette caratteristiche differenziano il reato dall'illecito amministrativo e civile. In campo
• non domina il principio di riserva di legge (una fonte normativa di grado inferiore può
civile:
• non vige il principio di tassatività (anzi il diritto civile è il terreno privilegiato della
creare una figura di illecito);
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4. Delitti e contravvenzioni
Il nostro codice, nel solco di una tradizione risalente al codice Toscano del 1856, rinnovatasi
La legge 689 del 1981 recante la nuova disciplina dell'illecito amministrativo ha riaperto il
dibattito. In molti si sono interrogati sull'opportunità di trasferire in blocco l'intero settore
degli illeciti contravvenzionali nel campo degli illeciti puniti con sanzione amministrativa
(quindi non più illeciti penali). Apparentemente potrebbe sembrare una scelta opportuna dato
che le contravvenzioni sono considerate meno gravi dei diritti; in realtà una tale scelta
politico criminale è da sconsigliare in base a criteri di proporzione e prevenzione. La
contravvenzione si pone in posizione intermedia tra delitto ed illecito amministrativo e
rappresenta uno strumento valido per differenziare la tutela in base alle diverse caratteristiche
degli illeciti. La semplice sanzione amministrativa apparirebbe poco proporzionata rispetto al
rango del bene protetto o al grado dell'offesa; inoltre detta sanzione garantirebbe un'efficacia
preventiva minore rispetto al ricorso alla sanzione penale.
Una circolare della Presidenza del consiglio dei ministri del 1986 ha precisato i criteri
orientativi per la scelta tra delitti e contravvenzioni. Il settore privilegiato della materia
contravvenzionale dovrebbe circoscriversi a due categorie di illeciti:
le fattispecie di carattere preventivo-cautelare (es. art 673: omesso collocamento o rimozione
di segnali) che codificano regole di prudenza/diligenza a tutela di interessi primari come la
vita, l'integrità fisica, ecc.
e le fattispecie concernenti la disciplina di attività sottoposte a un potere amministrativo (es.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Art 664: distruzione o deterioramento di affissioni) in vista del perseguimento di uno scopo di
pubblico interesse;
La circolare ha il merito di introdurre elementi di razionalizzazione per la scelta legislativa tra
delitto e contravvenzione. Il suo limite è invece la tendenza a privilegiare indicazioni
provenienti dall'ordinamento vigente. Ad esempio sul piano del diritto positivo l'unico
criterio certo di distinzione tra le due figure è il tipo di pena previsto (criterio di natura
Ex art.42 i delitti richiedono come regola generale di punibilità il dolo. La colpa rappresenta
l'eccezione. Per le contravvenzioni si risponde invece indifferentemente a titolo di dolo o
colpa. Quanto al tentativo esso è di regola configurabile solo nell'ambito dei delitti.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La legislazione penale ordinaria non contiene alcuna norma che esplicitamente preveda
l'esclusione della responsabilità penale delle persone giuridiche. Si suole ricavare il principio
con un argomentum a contrario in base all'art 197 del c.p. che prevede l'obbligazione
civile di garanzia della persona giuridica nel caso di condanna per reato di chi ne abbia la
rappresentanza o l'amministrazione o sia con essa in rapporto di dipendenza, nel caso in cui il
reato costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita o sia commesso
nell'interesse della persona giuridica. L'attribuzione all'ente di questa responsabilità non si
spiegherebbe se esso stesso potesse essere ritenuto soggetto attivo del reato.
La considerazione che spesso l'attività criminosa del singolo è il frutto di una politica di
impresa ha posto però l'esigenza del superamento del principio; la considerazione che in
altri ordinamenti è riconosciuta la responsabilità penale degli enti non risolve però il
problema della sua compatibilità con i principi costituzionali interni dell'ordinamento italiano
relativi alla materia penale.
Si ritiene infatti che l'irresponsabilità penale delle persone giuridiche discenda dal principio
di cui all'art 27 Cost. sul carattere personale della responsabilità penale. La persona
giuridica non può essere chiamata a rispondere per la responsabilità altrui (e cioè per la
responsabilità dell'organo) né potrebbe rispondere personalmente perchè incapace di
atteggiamento volitivo colpevole.
A questa tesi si è obiettato in base alla teoria organicistica: la condotta degli organi diviene
imputabile alla persona collettiva stessa. Il punto è che il principio di personalità include
anche il requisito della colpevolezza e non è certo configurabile un qualsivoglia tipo di
atteggiamento psicologico soggettivo con riferimento alla persona giuridica.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• l'esistenza di un rapporto qualificato tra autore del reato ed ente: cioè una posizione
tentato, espressamente previsto dalla legge ai fini della responsabilità dell'ente;
Questi requisiti vanno rigorosamente accertati in sede giudiziale, anche in fase cautelare
qualora ne ricorrano gli estremi.
Quanto ai criteri di imputazione soggettiva, il reato deve costituire espressione della
politica aziendale o quantomeno derivare da una colpa di organizzazione. All'ente viene
richiesta l'adozione di modelli comportamentali volti ad impedire, attraverso la fissazione di
regole di condotta, la commissione di determinati reati. La colpevolezza della persona
giuridica si configura quando il reato commesso da suo organo o sottoposto rientra in una
decisione imprenditoriale, o quando esso è conseguenza del fatto che l'ente non si è dotato di
un modello idoneo a prevenire reati, o in caso di scarsa vigilanza da parte degli organi di
controllo.
E' espressamente introdotto il principio dell'autonomia della responsabilità dell'ente:
l'ente risponde anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, o
quando il reato si estingue per causa diversa dall'amnistia.
Tassatività --- Questa tipologia di responsabilità non ha portata generale ma si applica solo
alle ipotesi per cui il legislatore lo prevede esplicitamente. In particolare rientrano nell'ambito
di applicabilità, oltre ai reati correlati agli interessi ai quali fanno riferimento le convenzioni
internazionali in esecuzione delle quali la disciplina è stata introdotta in Italia, anche i reati
societari introdotti con la riforma del 2002, i delitti in materia di terrorismo, le associazioni
illecite.
Le sanzioni previste variano: sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, pubblicazione della
sentenza di condanna, ecc.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Diversa cosa è l'oggetto materiale del reato che è la persona o cosa su cui cade
materialmente l'attività delittuosa. Soggetto passivo ed oggetto materiale normalmente
coincidono ma possono anche essere distinti. Così avviene ad esempio nel reato di
mutilazione fraudolenta della propria persona previsto dall'art 642: soggetto passivo è
l'assicurazione, oggetto materiale lo stesso autore.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La posizione di soggetto passivo può spettare anche allo Stato, alle persone giuridiche o a
collettività non personificate. Si parla in quest'ultimo caso di reati a soggetto passivo
indeterminato o anche di reati vaghi (es. reati contro l'incolumità pubblica) nei quali
l'interesse offeso appartiene ad una cerchia indeterminata di persone. Può aversi anche
pluralità di soggetti passivi.
Si parla poi di reati senza vittima in relazione a quei reati in cui non è facilmente ravvisabile
l'offesa ad un bene giuridico e quindi nemmeno il titolare (es. reati contro la moralità).
• determinare l'esistenza stessa del reato (la qualità di minore è essenziale per il reato di
Le caratteristiche del soggetto passivo possono assumere rilevanza penale per:
• mutamento del titolo del reato (il delitto di violenza privata si trasforma in violenza a
sottrazione di minori)
• conferire rilevanza al fatto (es. qualità di figlio... nel delitto di violazione degli
Anche i rapporti tra soggetto attivo e passivo assumono rilevanza per:
1. Premessa
La dottrina penalista si è sforzata di elaborare una teoria generale del reato (utile alla
classificazione della materia) attraverso l'individuazione degli elementi comuni a tutte le
fattispecie. Quest'operazione ha finalità di tipo conoscitivo, ma rischia di portare a delle
forzature. Ecco perchè la dottrina moderna propende per dare vita a delle sottoteorie che
• reati di omissione
• reati colposi
• reati dolosi
Le diverse tipologie delittuose presentano infatti elementi che non possono essere appiattiti
all'interno di una teorizzazione generale troppo onnicomprensiva per poter essere dotata di
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
reale contenuto conoscitivo. Tuttavia resta una certa utilità nell'individuazione di tali elementi
generalissimi.
• tipico
Il reato è definibile come un fatto umano:
• antigiuridico
• colpevole
Tipicità, antigiuridicità e colpevolezza sono dunque gli elementi costitutivi del reato, almeno
secondo quanto afferma la concezione tripartita.
3. 4. Fatto tipico
In diritto penale per fatto tipico o fattispecie o tipo delittuoso, si intende il complesso degli
elementi che delineano il volto di uno specifico reato. Costruire il concetto di fatto intorno ai
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
contrassegni che delineano il volto di uno specifico illecito penale equivale a plasmare questo
concetto in funzione del principio nullum crimen sine lege: in tal modo la categoria dogmatica
in esame assolve la funzione garantista di indicare ai cittadini i fatti che essi devono astenersi
dal compiere per non incorrere nella sanzione penale.
Il fatto tipico individua specifiche forme di aggressione al bene oggetto di tutela in omaggio
ai principi di legalità, tassatività e frammentarietà. La categoria della tipicità segna dunque i
limiti o confini della tutela che il diritto penale accorda ai beni giuridici considerati meritevoli
di protezione. Così se la norma non intende reprimere tutte le condotte idonee a ledere il bene
protetto, ma si limita a prevedere specifiche modalità di offesa al bene stesso, il giudice dovrà
verificare se l'offesa è stata realizzata proprio con quelle particolari modalità legislativamente
tipizzate; in caso contrario il fatto deve ritenersi privo di rilevanza penale (pur se
"sostanzialmente" offensivo).
Perchè possa assolvere nel modo migliore le sue funzioni, la categoria del fatto tipico deve
rispettare il principio di materialità, il quale esige che il reato si manifesti in un contegno
esteriore accertabile nella realtà fenomenica, e perchè ciò avvenga bisogna evitare che il
legislatore crei tipi artificiali di reato che non trovano riscontro nella realtà concreta.
La tipicità del fatto si riconnette alla lesione del bene giuridico: quindi il riferimento al bene
tutelato svolge a sua volta una essenziale funzione ai fini della determinazione del concetto
stesso di tipicità (funzione dogmatica del bene giuridico). Tale ruolo dogmatico consiste nel
far sì che la tipicità stessa includa concettualmente la lesione del bene giuridico. A volte tale
inclusione è evidente (es. tipicità dell'omicidio coincide con la lesione del bene vita), a volte
invece la tipicità è solo apparente, poiché non può seriamente essere considerato conforme
alla fattispecie un fatto manifestamente privo dell'idoneità a pregiudicare l'interesse tutelato
dalla norma (es. furto dell'acino d'uva è un fatto solo apparentemente conforme alla
fattispecie del furto). L'illecito penale in questo caso degraderebbe a illecito di pura
disobbedienza, sintomo di una volontà ribelle all'ordinamento o di una soggettiva tendenza a
delinquere: il reato si risolverebbe dunque in un atteggiamento interiore, ma questo
equivarrebbe a contraddire i principi di un diritto penale del fatto, quale modello di diritto
penale più conforme allo Stato di diritto di matrice liberale.
Per superare le difficoltà che si pongono in questi casi, parte della dottrina propone una
rilettura dell'articolo 49 relativo al reato putativo (in cui si afferma che la punibilità è esclusa
nel caso un soggetto commetta un fatto che non costituisce reato anche se egli supponeva
erroneamente lo fosse).
Basterebbe inoltre affermare che il principio della tendenziale corrispondenza tra tipicità e
offesa del bene giuridico può di fatto subire deroghe a causa della difettosa formulazione
tecnica delle fattispecie incriminatrici.
5. Antigiuridicità
La tipicità o conformità alla fattispecie fornisce un indizio del carattere antigiuridico del fatto,
dal momento che i modelli di reato della parte speciale configurano fatti normalmente illeciti.
In alcuni casi il fatto presumibilmente antigiuridico in quanto penalmente tipico risulta,
tuttavia, ad un più attento esame, giustificato o consentito in base ad una valutazione
effettuata alla stregua non del solo sistema penale, ma dell'intero ordinamento giuridico: si
pone dunque in relazione la norma penale col complesso delle altre norme e se ne chiarisce il
reciproco condizionamento. Questo secondo filtro del carattere illecito del fatto tipico è
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
imposto dal principio dell'unità del sistema giuridico: se un'azione consentita in un settore
dell'ordinamento non può risultare illecita in un altro settore dello stesso ordinamento (per il
principio di non contraddizione), ne deriva come conseguenza logica che occorre accertare se
una determinata azione non sia per caso lecita in base a norme non penali. Ad esempio: il
pubblico ufficiale che procede a pignoramento, esteriormente commette un fatto conforme al
delitto di furto, ma poiché una norma del codice di procedura civile gli impone questa
condotta, il reato non si integra.
L'antigiuridicità si definisce dunque come assenza di cause di giustificazione (cosiddette
scriminanti).
L'articolo 652 c.p.p. stabilisce come la sentenza penale irrevocabile di assoluzione abbia
efficacia di giudicato per l'accertamento delle cause di giustificazione nel giudizio
amministrativo e civile.
Questo a dimostrazione dell'unitarietà del giudizio di antigiuridicità. Inoltre l'articolo 651
c.p.p vincola il giudice civile ed amministravo al giudicato penale quanto all'accertamento del
fatto e dell'illiceità penale.
Il giudizio di antigiuridicità si risolve nella verifica che il fatto tipico non è coperto da alcuna
causa di giustificazione. La presenza di una causa di giustificazione annulla l'antigiuridicità di
un comportamento indiziata dalla semplice conformità al tipo.
All'interno della concezione tripartita del reato, la categoria dell'antigiuridicità intesa nel
senso ora precisato ha carattere oggettivo, come tale prescinde ed è distinta dalla
colpevolezza. Questo modo di intendere l'antigiuridicità corrisponde alla stessa impostazione
codicistica: l'art.59, nel fissare la regola della rilevanza obiettiva delle cause di giustificazione
(nel senso che esse operano anche se l'agente non le conosceva), presuppone infatti
un'antigiuridicità concepita su base puramente oggettiva.
I sostenitori della teoria bipartita ritengono che l'antigiuridicità non sia elemento autonomo
del reato, dal momento che per loro le cause di giustificazione rappresentano elementi
negativi del fatto e cioè elementi che devono mancare perché il fatto costituisca reato. Non si
può accogliere questa tesi perché l'antigiuridicità (come assenza di cause di giustificazione) è
una categoria che attiene all'intero ordinamento giuridico, invece la categoria del fatto ha una
connotazione strettamente penalistica, dal momento che serve a selezionare i comportamenti
meritevoli di sanzione penale.
Dunque la tutela del bene protetto dalla norma incriminatrice che viene in questione, deve
cedere rispetto alla tutela del bene contrapposto oggetto della norma extrapenale che
configura la causa di giustificazione.
Poiché le cause di giustificazione non hanno carattere specificatamente penale ne deriva che
esse esulano dal principio della riserva di legge (è quindi possibile che l'esercizio di un
diritto, come causa di giustificazione, trovi la sua fonte anche nella consuetudine) e dal divieto
di analogia.
La verifica dell'esistenza o meno di cause di giustificazione poggia su criteri più formali che
sostanziali: le situazioni che integrano le esimenti non sono infatti liberamente individuabili
dal giudice, ma costituiscono oggetto di esplicita previsione normativa, almeno nelle
fondamentali componenti costitutive.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
nell'antisocialità del fatto, e dalla dottrina più recente nella lesione del bene penalmente
protetto.
Questa distinzione non è accettabile: in primis il profilo dell'incidenza lesiva del fatto sul
bene protetto è già assorbito dal giudizio di tipicità; inoltre fare riferimento all'antisocialità
significa rifarsi a parametri ultralegali di stampo eticizzante non accettabili nel nostro
ordinamento, che si basa sul principio di legalità.
Si parla di antigiuridicità speciale nei casi in cui la condotta è contraddistinta da una nota di
illiceità desumibile da una norma diversa da quella incriminatrice: questa nota di illiceità
costituisce un elemento diverso e ulteriore rispetto alla normale antigiuridicità oggettiva intesa
come assenza di cause di giustificazione. Si tratta delle ipotesi in cui la fattispecie tipica
contiene i termini abusivamente, indebitamente, arbitrariamente, illegittimamente, contro le
disposizioni di legge (es. art 348: esercizio abusivo di una professione). Ci troviamo di fronte
ad elementi normativi per definire i quali occorre fare riferimento a norme extrapenali.
La rilevanza pratica di questa categoria si proietta sul terreno del dolo e dell'errore.
Non sempre è facile determinare se si è di fronte ad un caso di antigiuridicità speciale o
piuttosto se il legislatore non abbia dato una precisazione superflua del fatto che è necessario,
perchè il reato si integri, che all'illiceità si accompagni l'assenza di cause di giustificazione.
Così come è possibile che invece il legislatore taccia del tutto e che la nota di illiceità
speciale emerga per via interpretativa. La distinzione tra illiceità speciale effettiva o
apparente è dunque questione interpretativa risolvibile da caso a caso, per la quale esistono
però ampi margini di incertezza.
6. Colpevolezza
La colpevolezza riassume le condizioni psicologiche che consentono l'imputazione personale
del fatto di reato all'autore. Nel giudizio di colpevolezza rientra innanzitutto la valutazione
del legame psicologico tra fatto ed autore nonché la valutazione delle circostanze, di natura
personale e non, che incidono sulla capacità di autodeterminazione del soggetto.
Con il superamento della concezione retributiva della pena e l'affermazione della teoria
preventiva (prevenzione generale e speciale), la sanzione non è più vista come reazione
avente come unico scopo quello di compensare la condotta illecita del reo. La legge penale
oggi garantisce la libertà di scelta individuale nella misura in cui rifiuta la responsabilità
oggettiva, basata sul puro nesso di causalità materiale (secondo cui ad ogni effetto deve
corrispondere una causa), e subordina invece la punibilità alla presenza di coefficienti
soggettivi (dolo e colpa): è necessario dunque che la condotta sia controllabile dal soggetto.
Questa spiegazione dell'odierna funzione della colpevolezza è stata accolta dalla Corte
Costituzionale con la sentenza 364/1988 relativa all'efficacia scusante dell'errore inevitabile
di diritto, nella quale si afferma che la colpevolezza è un principio garantista imprescindibile
la cui ratio sta nell'esigenza di garantire al privato la certezza di libere scelte d'azione,
garantirgli cioè che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili
e mai per comportamenti che solo fortuitamente producono conseguenze penalmente vietate.
E' un ennesimo principio che pone limite alla discrezionalità del legislatore ordinario
nell'incriminazione dei fatti penalmente sanzionabili.
Ne deriva l'incostituzionalità di tutte le forme di responsabilità oggettiva: è sempre necessaria
la presenza dei coefficienti soggettivi.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Nessuno contesta il ruolo della colpevolezza come principio di civiltà nel senso ora chiarito;
al contrario vi è minore uniformità di vedute al momento di precisare il contenuto della
colpevolezza come categoria dogmatica. La colpevolezza in senso dogmatico tende ad essere
concettualmente distinta a seconda che funga (nell'accezione fin qui adottata) da elemento
costitutivo del reato, oppure da criterio di commisurazione della pena. In questa seconda
accezione la colpevolezza assurge a categoria di sintesi di tutti gli elementi, imputabili al
soggetto, da cui dipende la gravità del singolo fatto di reato.
reati di azione: consistono nel semplice compimento dell'azione vietata senza che sia
necessario attendere il verificarsi di un evento causalmente connesso alla condotta medesima.
Esempio: reato di evasione dal carcere. La distinzione in esame rileva ai fini delle questioni
relative al tempo e luogo del commesso reato.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
propri: consiste nel semplice mancato compimento di un'azione imposta da una norma penale
di comando, a prescindere dalla verificazione di un evento come conseguenza della condotta
omissiva (es. omissione di soccorso).
reati abituali: sono i reati per la cui realizzazione è necessaria la reiterazione nel tempo di più
condotte della stessa specie. A differenza che nel reato permanente, caratterizzato dal
perdurare nel tempo senza interruzione della situazione antigiuridica prodotta dall'agente, nel
reato abituale la reiterazione è intervallata. Esempio è il reato di maltrattamenti in famiglia. Si
distingue tra:
reato abituale proprio: si ha quando le singole condotte autonomamente considerate sono
penalmente irrilevanti;
reato abituale improprio: si ha quando ciascuna singola condotta è già di per sé reato.
La natura abituale rileva ai fini della prescrizione (che decorre dall'ultima condotta integrante
il reato), del termine per proporre querela, dell'ammissibilità dell'amnistia.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
reati aggravati dall'evento: è previsto un aumento di pena se dalla realizzazione del delitto-
base deriva come conseguenza non voluta un evento ulteriore. Esempio è la morte come
conseguenza dell'omissione di soccorso.
delitti di attentato: sono reati in cui la legge considera consumato il delitto pur in presenza
di atti che al più potrebbero costituire una fattispecie di delitto tentato (es. attentato contro
l'integrità dello Stato).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE II
IL REATO COMMISSIVO DOLOSO
CAPITOLO I
TIPICITÀ
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
2. Concetto di azione.
L’azione umana è la base su cui poggia l’intera costruzione del reato commissivo doloso
tuttavia il suo ruolo era in passato sopravvalutato; il concetto definitorio di azione era al
centro della teoria del reato e ad esso la dottrina affidava 2 compiti fondamentali: fornire una
nozione unitaria del concetto di azione,valida per tutti i tipi di azione (omissiva, commissiva,
dolosa, colposa) ed orientare la collocazione dogmatica degli elementi costitutivi del reato.
Per questo la dottrina nel tempo ha prospettato diverse concezioni:
Teoria causale: (fine del XIX secolo e l’inizio del XX) l’azione è una modificazione del
mondo esterno provocata dalla volontà umana,il dolo non è un elemento costitutivo
dell’azione, ma solo una forma di colpevolezza.
2 obiezioni:questa definizione dell’azione non si adatta all’omissione (come forma di
condotta priva di substrato naturalistico);il dolo non esaurisce la sua funzione sul piano della
colpevolezza, ma è componente dell’azione;
Le teorie in esame sono fallite perchè hanno preteso di inquadrare una volta per tutte il
concetto di azione;le modalità ed i limiti dell’azione penalmente rilevante risultano solo
dall’interpretazione delle varie fattispecie e per questo i criteri per la determinazione del
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Art.45 “Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”: per forza
soggetto:questi sono i casi di forza maggiore e caso fortuito.
maggiore si intende qualsiasi energia esterna contro la quale il soggetto non è in grado
di resistere e che perciò lo costringe necessariamente ad agire. Si parla di azioni in cui
il soggetto difetta del potere di signoria per cui non gli appartengono:manca il
requisito di coscienza e volontà dell’azione presupposto per un rimprovero di
colpevolezza.La forza maggiore è esclusa nel caso in cui il soggetto abbia qualche
possibilità di scelta,in questi casi la coazione ad agire è relativa e potranno applicarsi
• Ex art.46 “non è punibile chi commette il fatto per esservi stato costretto mediante
le norme sullo stato di necessità o coazione morale.
violenza fisica a cui non poteva resistere o sottrarsi. In tal caso del fatto commesso
dalla persona costretta risponde l’autore della violenza”. Il costringimento fisico è
una specificazione della forza maggiore:è una forza irresistibile che non viene dalla
natura,ma dall’uomo che si serve di un altro uomo per realizzare materialmente
l’obiettivo criminoso. Manca la possibilità di considerare l’azione criminosa come
effettiva opera del suo autore materiale e dato che il vero potere di signoria è
esercitato dal soggetto coartante,ex art.46 spetta a questo la responsabilità
dell’azione;tuttavia per applicare l’art.46. è necessario che la volontà sia coartata in
• Ex art.45 “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito”:a differenza
maniera assoluta,se c’è margine di scelta si parla di coazione morale ex art.54.
della forza maggiore che annulla la signoria del soggetto sulla condotta ed impedisce
di configurare un’azione penalmente rilevante,il caso fortuito non esclude l’esistenza
dell’azione,esso risulta da un incrocio tra un accadimento naturale e una condotta
umana,da cui deriva l’imprevedibile verificarsi di un evento lesivo ed impedisce che
l’agente possa essere chiamato a rispondere dell’evento cagionato. Circa il caso
fortuito,vi sono teorie che lo intendono come limite della “colpa”:perché non può
contrastare con una regola di diligenza un fatto che si verifica in modo
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
4. Presupposti dell’azione.
I presupposti dell’azione sono le circostanze che devono preesistere o essere concomitanti
alla condotta perché questa abbia un significato criminoso (es. precedente stato di gravidanza
nei delitti di aborto; precedente matrimonio nel delitto di bigamia). Sono estranei alla
condotta illecita,ma sono comunque elementi costitutivi del fatto tipico.
Possono riferirsi al soggetto attivo del reato specificandone il ruolo o qualità (pubblico
ufficiale);all’oggetto materiale della condotta(es.natura documentale dell’oggetto su cui
ricade la falsità degli atti);al contesto che deve preesistere alla condotta (per es.situazione
di pericolo nell’omissione di soccorso);al soggetto passivo (es.qualifica di Capo dello Stato
nei delitti ex art 276).
I presupposti rilevano ai fini del dolo perché precedendo l’azione,possono non essere
voluti,ma solo conosciuti dal reo.
6. Evento.
Per evento(in generale) si intende una modificazione del mondo esterno fenomenicamente e
concettualmente distinta dalla condotta;nella struttura di alcune tipologie di reato (reati di
evento) l’evento è concepito come risultato esteriore causalmente riconducibile all’azione
umana (es. omicidio: la lesione del bene protetto -vita umana- si materializza in una
modificazione della realtà naturale –morte- intesa come arresto dei processi biologici di un
essere umano, fenomenicamente separabili dalla condotta omicida).
Accezione più tecnica rispetto al linguaggio comune è la concezione di evento in senso
naturalistico,secondo cui l’evento è un accadimento qualsiasi della realtà esterna;in senso
naturalistico può anche consistere in un risultato esteriore che concretizza non l’effettiva
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
lesione, ma la messa in pericolo di un bene protetto (es. art.434 crollo di una costruzione in
relazione al pericolo per la pubblica incolumità).
Secondo la dottrina tradizionale l’evento di pericolo è configurabile solo nell’ambito di quelle
figure di reato definite a pericolo concreto,dove spetta al giudice accertare se una effettiva
situazione di pericolo si è verificata come conseguenza dell’azione (i reati di pericolo astratto
o presunto sono quelli in cui il pericolo rappresenta ratio dell’incriminazione ma non
elemento costitutivo del tipo descrittivo e si atteggiano ad illeciti di mera condotta).
Non occorre che l’evento si verifichi contestualmente alla condotta (es,per l’omicidio è
indifferente che la morte si verifichi subito o dopo molto tempo rispetto all’esaurimento
dell’azione omicida),ed è irrilevante che si verifichi in un luogo diverso da quello in cui è
stata realizzata l’azione criminosa (cd. reati a distanza).
Sul terreno del rapporto di causalità l’evento poiché costituisce il secondo polo del nesso
causale, è quindi un requisito imprescindibile del fatto tipico nei reati di evento, inoltre può
costituire una circostanza aggravante di un reato già perfetto(morte come evento aggravante
del reato di omissione di soccorso) o una condizione obiettiva di punibilità (es. pubblico
scandalo nell’incesto).
La disputa sul concetto di evento parte dagli art.40,41,43 e 49 che riconnettono ad ogni reato
“un evento dannoso e pericoloso” come risultato dell’azione criminosa: questa teoria si basa
sul fatto che ogni reato consiste nella lesione o messa in pericolo del bene giuridico,assunto
espresso dal legislatore con la formula per cui la lesione o messa in pericolo del bene protetto
è configurata come il risultato dell’azione delittuosa.
Alla luce di queste considerazioni si è giunti all’idea che il concetto di OFFESA(lesione del
bene giuridico o esposizione a pericolo dell’interesse protetto dalla norma) coincida con
quello di EVENTO(secondo la teoria dell’evento in senso giuridico e diverso dall’evento in
senso naturalistico) e sarebbe comune a tutti i reati.
In particolare nei reati di mera condotta non è necessario ipotizzare un evento giuridico come
risultato che segue la condotta:l’offesa all’interesse protetto non è un’entità materiale che si
somma all’azione, ma è la stessa azione considerata configgente alla norma che tutela il bene
in questione;per cui in questo caso la lesione o messa in pericolo del bene si immedesima ed
esaurisce nella stessa condotta. I sostenitori di questa tesi ritengono che,nonostante
l’avvenuta realizzazione della condotta tipica,il giudice dovrebbe verificare l’effettivo impatto
della condotta sul bene protetto;ma così il giudizio di lesività del legislatore verrebbe
sostituito dall’accertamento del giudice. Per questa ragione si ritiene che tale interpretazione
sia contestabile:in realtà anche nel nostro ordinamento esistono fattispecie difettose che
lamentano un deficit di offensività(es.art 324 interesse privato in atti d’ufficio). Il rischio
della teoria dell’evento giuridico è quello di risolvere giurisprudenzialmente il deficit di
offensività lasciato in alcune occasioni dal legislatore ma questa soluzione non è accettabile
nel diritto penale dove la garanzia per la libertà dei cittadini richiede fattispecie legislative
ben precise. Ci vuole perciò una riforma legislativa che sia in grado di selezionare i beni
giuridici meritevoli di tutela e di tipicizzarne le modalità di aggressione in maniera tangibile
ed inequivoca.
Dal punto di vista tecnico va mantenuta quindi la sola nozione di evento in senso
naturalistico,inteso come conseguenza dell’azione e consistente in una mera modificazione
fisica della realtà esterna.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
7. Rapporto di causalità:premessa.
Il nesso di causalità che lega l’azione all’evento,è elemento costitutivo della fattispecie di un
reato commissivo di evento;punto di partenza per l’imputazione di un evento lesivo è che il
reo abbia materialmente contribuito alla verificazione di un risultato dannoso.
Tuttavia il concetto di causalità varia in base al punto di vista prescelto dal soggetto
dell’indagine e funge,sotto il profilo giuridico,da criterio d’imputazione(oggettiva) del fatto al
soggetto:ciò perché il nesso tra condotta ed evento,comprova che l’azione ed il risultato
lesivo sono opera dell’agente che ne risponde penalmente.
Nonostante il codice preveda (art.40 e 41) una disciplina esplicita del nesso causale,spesso gli
interpreti se ne sono discostati e la ragione è che gli stessi articoli si prestano a letture
differenti. Per questo la dottrina si è preoccupata di ricostruire le teorie causali elaborate nel
tempo,per capire quale sia stata recepita, perdendo così di vista il problema causale centrale.
• vi sono casi in cui per poter dire che,eliminando mentalmente un’azione l’evento
Questo procedimento però non può sempre essere usato:
sarebbe stato prodotto da un’altra causa intervenuta circa nello stesso momento (A fa
saltare con la dinamite la casa di B ma si accerta che la casa sarebbe andata comunque
• Causalità addizionale: Supponiamo che l’evento sia prodotto dal concorso di più
distrutta per un incendio scoppiato per cause naturali nelle vicinanze)
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
verificato.
Altra obiezione riguarda il sopraggiungere di una causa successiva idonea a determinare
l’evento:in questo caso anche supponendo non realizzata la seconda azione,l’evento
resterebbe come conseguenza della prima.
9. Segue: correttivi.
a. l’obiezione del regresso all’infinito si ridimensiona perché,sul piano dell’imputazione
penale,sono considerati come antecedenti solo le condotte che assumono rilevanza
rispetto alla fattispecie incriminatrice considerata. In ogni caso l’obiezione relativa
all’eccessiva estensione del concetto di causa non tiene conto dell’operatività del dolo
e della colpa per circoscrivere l’ambito di rilevanza dei possibili antecedenti(se un
rivenditore di armi vende una pistola ad un insospettabile,non gli si può rimproverare
la negligenza se poi l’arma viene usata per omicidio; la teoria dell’equivalenza sembra
quindi troppo rigorosa soprattutto nei casi di responsabilità oggettiva,dove manca la
possibilità di ricorrere al correttivo del dolo o colpa(fattori che contribuiscono a
circoscrivere l’ambito di rilevanza di tutti i possibili antecedenti);
b. le obiezioni relative alla condizionalità alternativa e addizionale sono superabili
tendendo conto che nel giudizio di accertamento della causalità l’evento è concepito
non in astratto ma in concreto,per cui ciò che rileva è il nesso causale tra azione
dell’autore ed evento concreto,mentre è irrilevante che possano verificarsi eventi
analoghi per effetto di altre cause che operano circa nello stesso momento (non ha
rilevanza che la casa sarebbe in ogni caso andata distrutta poiché, eliminando
mentalmente la condotta di A, sarebbe venuto meno l’evento concreto - distruzione
della casa per esplosione della dinamite- a cui si riferisce il giudizio e si sarebbe
realizzato un evento diverso circa tempi e modi).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
un altro evento solo in una certa percentuale di casi (sono leggi dotate di validità
scientifica tanto più sono applicate e tanto più ricevono conferma con ricorso a metodi
di prova razionali e controllabili).
L’accertamento giudiziale della causalità non può basarsi solo su leggi universali:è già
scientificamente difficile che ci siano tutte le condizioni per spiegare un evento alla luce delle
leggi scientifiche ed inoltre il magistrato non ha le stesse competenze di uno scienziato;per
questo,in sede di accertamento giudiziale della causalità,ci si accontenta di una certezza
inferiore a quella garantita dall’applicazione di leggi universali e dato che sarà necessario il
ricorso ad assunzioni “tacite” cioè a dare rilievo a condizioni ritenute esistenti e conosciute o
leggi ignorate o solo supposte (in questo modo la spiegazione causale ha ad oggetto solo
“alcune” condizioni necessarie dell’evento,mentre altre si suppongono per date) (clausola
ceteris paribus), spesso la spiegazione causale non avrà carattere certo,ma probabile,cioè il
giudice asserirà che è probabile che la condotta dell’agente costituisca una condizione
necessaria dell’evento.
Inoltre a sostegno del carattere probabilistico vi è anche il fatto che le relazioni causali sottese
ai fatti criminosi sono spesso ricostruibili solo alla stregua delle leggi statistiche (che
affermano che la relazione tra eventi sussista solo per una certa percentuale di casi);perciò
possiamo concludere che è sufficiente che il giudice faccia ricorso a queste ai fini
dell’accertamento processuale della causalità.
Il ricorso alle leggi statistiche solleva però il problema delle loro corrette condizioni di
impiego e per questo si distingue tra probabilità statistica e logica,riferibili alla causalità
generale(cioè al tipo di evento) ed individuale (al singolo evento concreto).
La probabilità statistica è ricavata dall’osservazione di fenomeni ripetuti nel tempo,ed indica
il grado di frequenza con cui la connessione tra certi antecedenti e conseguenti si verifica nel
mondo esterno; la probabilità logica indica il grado di fondatezza logica e di credibilità
razionale con cui una legge statistica trova applicazione anche nel caso singolo oggetto di
giudizio(essa dunque riguarda la ricostruzione causale dell’evento concreto ed implica che si
possa escludere che quest’ultimo sia conseguenza di fattori causali alternativi).
Dobbiamo adesso stabilire quale livello di probabilità è sufficiente per considerare attendibile
la ricostruzione giudiziaria del nesso causale:a questa domanda non è possibile dare una
risposta univoca e generale perché la percentuale di probabilità varierà da caso a caso;ciò che
conta è che il grado di conferma della spiegazione debba restare alto. Grazie ad una sentenza
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
della Cassazione del 2002 relativa alla responsabilità colposa del medico per decesso del
paziente,si è dato maggiore rilievo alla teoria condizionalistica secondo il modello di
sussunzione sotto leggi scientifiche. Questa sentenza ha introdotto,al fine di bilanciare
prevenzione generale e garanzie individuali, la distinzione fra probabilità statistica e
probabilità logica richiedendo la sussistenza di entrambe. In sintesi l’orientamento della
Cassazione nella sent. Franzese è stato che:ai fini della prova giudiziaria della causalità
decisivo non è il coefficiente percentuale più o meno elevato desumibile dalla legge di
copertura utilizzata, ma poter confidare nel fatto che la legge generale trovi applicazione
anche nel caso concreto data l’alta probabilità logica che siano da escludere fattori
alternativi;in pratica più elevato è il grado di credibilità razionale dell’ipotesi di spiegazione
causale scelta,più è consentito utilizzare leggi o criteri probabilistico-statistici con coefficienti
anche medio bassi.
Anche la giurisprudenza degli ultimi anni si è aperta in questo senso,ma resta difficile
applicarlo;resta sui giudici il rischio che anche dichiarando nelle motivazioni l’adesione ai
principi di causalità condizionalistica,non ne facciano poi un’applicazione coerente,facendosi
influenzare da valutazioni circa la necessità di punire o meno in base alle particolarità dei casi
volta a volta oggetto di giudizio.
*Alla luce di queste considerazioni è possibile trovare una soluzione dei casi del talidomide e
delle macchie blu. I giudici in quei casi ricorsero nelle motivazioni delle sentenze a parametri
soggettivi; se avessero padroneggiato il metodo probabilistico sarebbero pervenuti a
spiegazioni suscettibili di controllo obiettivo.
*caso TALIDOMIDE:caso che riguarda la messa in commercio di un prodotto
farmaceutico(talidomide) che ingerito dalle donne gestanti provoca il parto di figli
malformati. Il problema era che non era scientificamente chiaro il meccanismo di produzione
del fenomeno e l’ipotesi del danno del faramco era comunque dotata di sostegno teorico:ciò
era dimostrato dai fatti che durante i 10 anni antecedenti la produzione del farmaco molti
scienziati avevano dichiarato che molti preparati provocavano malformazioni nei feti e gli
effetti dannosi del farmaco erano confermati da esperimenti scientifici compiuti sui animali e
su rapporti medici che in tutte le parti del mondo avevano dimostrato un nesso tra
l’ingestione del talidomide e la nascita di bambini malformati. Altre prove erano che l’ondata
di malformazioni tipiche scomparve dopo il ritiro del farmaco dal mercato e la distribuzione
geografica delle malformazioni coincideva con le zone di vendita del prodotto. Ciò era quindi
argomentabile attraverso una spiegazione su basi statistiche degli effetti dannosi del farmaco.
*caso MACCHIE BLU:caso che riguarda le manifestazioni morbose cutanee lamentate dagli
abitanti di una zona in cui sorgeva una fabbrica di alluminio emittente fumi dall’esterno.
Anche qui c’erano connessioni significative:elevato numero di macchie blu nelle zone in cui
si disperdevano i fumi dello stabilimento a fronte di rari casi simili in zone dove le fabbriche
non c’erano;coincidenza di danni a persone e colture eì animali negli stessi
luoghi;coincidenza degli avvenimenti attuali con quelli verificatesi 30 anni prima all’apertura
della fabbrica;cessazione dei danni a seguito della messa in pera di un buon depuratore e
guarigione delle persone allontanate dalla zona e comparsa delle macchie al rientro.
In mancanza di una spiegazione esauriente del fenomeno solo una spiegazione di tipo
statistico avrebbe potuto condurre al riconoscimento di un nesso causale tra l’emissione di
fumi e la comparsa dei danni lamentati.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• anteriore al verificarsi dell’evento: si verifica che sia probabile che all’azione segua
Per superare il problema la dottrina ritiene di distinguere il giudizio di adeguatezza in 2 fasi:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
2. Questa teoria include nell’ambito della causalità considerazioni che appartengono alla
sfera della colpevolezza;
3. Il concetto di adeguatezza fondato su giudizi di probabilità della vita sociale, è
soggetto ad applicazioni incerte.
• positivo,in cui l’uomo con la sua azione ha posto in essere una condizione dell’evento;
rapporto di causalità occorrono 2 elementi:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
14. Concause
Ex art.41 il legislatore si è occupato delle concause: concorso di più condizioni nella
produzione di uno stesso evento; le quali possono essere antecedenti, concomitanti e
successive rispetto alla condotta del reo. Questo fenomeno rispecchia l’ordinario svolgimento
del decorso causale perché in realtà alla produzione di un evento concorrono più fattori
causali ed è raro che la singola azione del reo esaurisca da sola il processo causativo.
Art.41,1c: il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se
indipendenti dall’azione o omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra
azione ed evento(si tratta in pratica di una ripetizione di quanto già detto ex art.40,1c).
3c: la causa concorrente può anche essere costituita da un fatto illecito altrui (Tizio e Caio
che in concorso e all’insaputa l’uno dell’altro, sparano contemporaneamente o in tempi
diversi alla stessa vittima) c1 e 3 non creano problemi interpretativi.
Problematico è il 2c: le cause sopravvenute, da sole sufficienti a produrre l’evento, escludono
il rapporto di causalità; l’espressione sembra parlare di una serie causale autonoma (che
opera a prescindere da un legame con una precedente azione). Ma se fosse così il 2c
dell’art.41 sarebbe superfluo (perché l’esclusione di un nesso causale deriverebbe
dall’applicazione del nesso condizionalistico ex art.40,1c). Per questo si ritiene che la norma
tende a “temperare” gli eccessi punitivi che derivano dall’applicazione del criterio
condizionalistico:questo perché l’esigenza di temperamento emerge non in generale, ma nei
casi di decorso causale atipico (ferito che muore per l’incendio).
Sono casi analoghi a quelli che hanno fatto sviluppare la teoria della causalità adeguata e
dell’imputazione obiettiva dell’evento e per superare le critiche mosse in riferimento a
queste, si ritiene che l’art.41,2c introduca un nesso causale penalmente rilevante che
dovrebbe essere escluso in tutti i casi in cui l’evento lesivo non è inquadrabile in una
successione normale di accadimenti (ferito che muore in ospedale per incendio).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO II
ANTIGIURIDICITÀ E SINGOLE CAUSE DI
GIUSTIFICAZIONE
1. Premessa.
Di solito alla realizzazione di una condotta si accompagna il carattere antigiuridico del
fatto,ma l’antigiuridicità viene meno se una norma diversa da quella incriminatrice impone o
rende facoltativo quel determinato fatto che costituisce reato:sono cause di esclusione
dell’antigiuridicità o cause di giustificazione o scriminanti quelle situazioni
normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme
ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico.
La loro efficacia non è limitata solo al diritto penale;quella di “cause di giustificazione” è
categoria dottrinale,il legislatore ex art.59 parla di “circostanze che escludono la
pena”:formula che ricomprende tutte le situazioni in presenza delle quali il codice dichiara un
determinato soggetto non punibile:cause di giustificazione (esimenti);le cause di esclusione
della colpevolezza (scusanti);cause di non punibilità in senso stretto;questa distinzione è
individuato nel criterio del “mezzo adeguato per il raggiungimento di uno scopo
approvato dall’ordinamento giuridico” o “nella prevalenza del vantaggio sul danno” o
“del bilanciamento tra beni in conflitto” o “giusto contemperamento tra interesse e
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• art 59 ult.c. “se l’agente ritiene per errore che esitano circostanze di esclusione della
p.u.)..
• Art.59 ult.c. “se l’errore sulla presenza di una scriminante è dovuto a colpa
dei dati di fatto.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Art.55 “ quando,nel commettere alcuno dei fatti previsti dagli art.51,52,53 e 54 ,si
contravvenzioni nonostante l’art.59 parli solo di delitti.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• i diritti patrimoniali
il libero godimento.Tali sono:
• gli attributi della personalità: onore, libertà morale, libertà sessuale;il consenso deve
avere ad oggetto lesioni circoscritte che non comportino il totale sacrificio dei beni e
comunque non deve trattarsi di atti di disposizione contrari alla legge,buon costume o
ordine pubblico.
I limiti del consenso sono influenzati dall’evoluzione dei valori socio-culturali e dal rapporto
tra la libertà individuale ed il soddisfacimento di interessi collettivo-solidaristici. In questo
momento storico i limiti sono dati dal rispetto degli interessi costituzionalmente rilevanti (in
cui si collocano decisioni giurisprudenziali contrastanti,relativamente al consenso prestato da
un tossicodipendente ricoverato in una comunità a sottoporsi a trattamenti terapeutici che ne
sopprimono la libertà).
Rispetto al bene dell’integrità fisica,il consenso scriminante va rapportato all’art.5 cc secondo
il quale,gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando:cagionano una
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
5. Esercizio di un diritto.
L’art 51 “l’esercizio di un diritto esclude la punibilità”,la ratio è la prevalenza dell’interesse
di chi agisce esercitando un diritto rispetto agli interessi eventualmente confliggenti. Il
principio alla base è quello di non contraddizione per cui l’ordinamento giuridico non può
punire ciò che ha consentito.
Ex art.51 il concetto di diritto va inteso in senso ampio come potere giuridico di agire e fonte
del diritto può essere la legge, un regolamento, un atto amministrativo, un provvedimento
giurisdizionale,contratto di diritto privato,consuetudine.
L’art.51 non indica in quali casi la norma attributiva di un diritto prevale su quella
incriminatrice (applicando l’art. sembrerebbe prevalere la norma autorizzativa,ma vi sono
casi in cui è la norma penale ad avere prevalenza);per risolvere il problema si utilizzano 3
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
6. Adempimento di un dovere.
Art 51 “L’adempimento di un dovere imposto da una norma o da un ordine legittimo della
pubblica Autorità esclude la punibilità”;la ratio sta nel principio di non contraddizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
7. Legittima difesa.
Art. 52 “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta,sempre che
la difesa sia proporzionata all’offesa”:rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato
concede al cittadino quando l’intervento dell’autorità non può essere tempestivo;a
fondamento vi è la prevalenza attribuita all’interesse di chi è ingiustamente aggredito su
quello dell’aggressore.
La struttura della legittima difesa ruota attorno a 2 comportamenti contrapposti:condotta
aggressiva e condotta difensiva.
La minaccia deve provenire da una condotta umana (proveniente da animali rileva solo se
sottoposti a vigilanza di un soggetto);può provenire anche da una condotta omissiva
(proprietario che si rifiuta di richiamare il cane che sta aggredendo un bambino ed il padre
impugna l’arma per costringere il proprietario a far allontanare l’animale).
La reazione difensiva è giustificata anche quando la minaccia proviene da un soggetto non
imputabile o immune(per cui l’antigiuridicità dell’art.52 rileva in termini oggettivi:è
sufficiente che l’aggressore si comporti in modo contrastante all’ordinamento giuridico,anche
se la specifica illiceità penale viene meno per difetto dei requisiti di natura soggettiva).
Oggetto dell’aggressione è un diritto altrui:per diritto si intende un qualsiasi interesse
giuridicamente tutelato,compresi i diritti patrimoniali.
L’aggressione deve determinare un pericolo attuale di offesa e la minaccia dev’essere
incombente al momento del fatto,cioè la reazione verso l’aggressore dev’essere l’unico mezzo
per tutelare il bene messo in pericolo (nel pericolo in corso non ci sarebbe nessuna necessità
di prevenire l’offesa,in quello futuro si potrebbe ricorrere alla pubblica autorità).
Nella nozione di pericolo attuale rientra anche il pericolo perdurante:proprio dei reati
permanenti,ma anche nei casi in cui non si è esaurita l’offesa e non si è ancora passati dalla
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
*CASO il proprietario di un fondo sorprende un ladro mentre gli ruba e spara dei colpi di
fucile a scopo intimidatorio. Il ladro fugge abbandonando la refurtiva ma il proprietario
continua ad inseguirlo armato. Il ladro allora sentendosi minacciato estrae un’arma e ferisce il
proprietario.
Dopo che il ladro ha abbandonato la refurtiva non si può più applicare la scriminante della
legittima difesa. L’art.383 cpp consente al privato, quando sussistano talune condizioni
previste dalla disposizione medesima, di procedere all’arresto in flagranza (la flagranza
sussiste anche quando il reo, immediatamente dopo il reato, è inseguito dalla polizia
giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone).
Dottrina e giurisprudenza ritengono che la legittima difesa non è invocabile quando la
situazione di pericolo è stata volontariamente causata dal soggetto che reagisce
(es.provocazione o rissa). In questi casi viene meno la necessità della difesa o dell’ingiustizia
dell’offesa e la ratio che induce ad escludere l’applicabilità della legittima difesa in questi
casi è che i soggetti concorrono a creare un pericolo che potevano evitare non facendo la
sfida o non accogliendola.
Nonostante l’involontarietà del pericolo non sia tra i presupposti esplicitidi questa
scriminante,tuttavia viene considerato come presupposto tacito(si ritiene però che se il
legislatore avesse voluto inserirlo come presupposto lo avrebbe fatto esplicitamente),la
giurisprudenza in alcuni casi ammette l’operatività della legittima difesa nei casi di pericolo
volontariamente cagionato,quando la reazione della vittima alla provocazione sia
assolutamente sproporzionata ed imprevedibile (caso del proprietario e del ladro)(es. quando
qualcuno interviene nella mischia per difendersi da una precedente aggressione).
Circa il concetto di offesa ingiusta è tale quella provocata contra ius,cioè in violazione delle
norme che tutelano l’interesse minacciato. In realtà attribuendogli un significato autonomo,il
riferimento all’ingiustizia dell’offesa indica che l’aggressione oltre a minacciare un diritto
altrui,non deve essere espressamente facoltizzata dall’ordinamento,per cui non può invocare
la legittima difesa chi pretende di reagire contro una persona che a sua volta agisce
nell’esercizio di una facoltà legittima espressamente stabilita dall’ordinamento e
nell’adempimento di un dovere (es. arresto da parte del poliziotto, rispetto al quale non è
ammissibile la legittima difesa dell’arrestato).
• ed inevitabile (cioè non sostituibile con altra meno dannosa ed idonea a tutelare
l’aggredito).
Il giudizio di necessità- inevitabilità deve tener conto delle circostanze concrete (forza
fisica,tempo e luogo ecc.).
Si è discusso se la legittima difesa esuli se l’aggredito possa mettersi in salvo con la fuga; in
passato si riteneva che si sarebbe tenuti a fuggire solo quando le modalità di ritirata sono tali
da non far apparire vile il soggetto aggredito;attualmente alla soluzione del problema segue
un’altra impostazione e si basa sul principio del bilanciamento di interessi:il soggetto
aggredito non è tenuto a fuggire tutte le volte in cui la fuga esporrebbe beni suoi personali
(es. pericolo di infarto o aborto) o di terzi (es. pericolo di investire passanti durante la fuga in
macchina) a pericoli maggiori di quelli incombenti sull’aggressore contro il quale si reagisce.
I maggiori problemi interpretativi si pongono in materia di proporzione tra offesa e difesa:un
primo orientamento (superato) riteneva che la proporzione intercorresse tra i mezzi difensivi
a disposizione dell’aggredito e quelli effettivamente impiegati:in questo caso la legittima
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
difesa potrebbe essere invocata anche da chi,reagendo provoca un’offesa maggiore di quella a
lui minacciata,purchè il mezzo impiegato fosse l’unico a disposizione dell’aggredito
(giudicare legittima difesa la reazione del vecchio proprietario di un fondo che, privo di altri
mezzi per difendersi, spara sul ladruncolo di frutta).Questa tesi è criticabile perché la difesa
di un bene patrimoniale non può giustificare la lesione di un bene personale come la vita o
l’integrità fisica,che la Cost.,ma anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo pone tra i
diritti inviolabili della persona.
È da accogliere l’orientamento secondo cui la proporzione deve intercorrere nel rapporto di
valore tra i beni o interessi in conflitto:bilanciamento tra il bene leso ed il bene
minacciato,tenendo conto del rispettivo grado di messa in pericolo o lesione cui sono esposti
gli interessi confliggenti nella situazione concreta.
La disciplina della legittima difesa è stata innovata con la l.59/2006;sono stati aggiunti 2
nuovi comma all’art.52 per regolamentare l’esercizio del diritto all’autotutela in un privato
domicilio,in particolare è stata modificata la disciplina del requisito della
proporzione:quando la reazione è diretta contro l’intruso in una dimora privata,il giudice non
deve verificare in concreto la proporzione tra offesa e difesa che in questo caso è presunta
legislativamente.
Questo allargamento ha suscitato molte reazioni diverse;per es. c’è il rischio che la riforma
faccia passare il messaggio che i cittadini onesti hanno “licenza di uccidere” ladri e rapinatori
che si introducono in casa;e dall’altro lato c’è il pericolo che l’aggressività dei delinquenti
aumenti a fronte di un maggiore spazio di aggressività delle vittime.
• art.52
Analizzando la struttura normativa della legittima difesa nei luoghi di privata dimora:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
finirebbe per legittimare sempre la reazione dell’aggredito che uccida o ferisca l’aggressore.
Si è pertanto cercato di nuovo di controbilanciare con il requisito della necessità di
difendersi,ma anche questa tesi è stata scartata perché si chiederebbe all’aggredito di valutare
(al momento dell’aggressione) quale sia la possibilità meno lesiva di difesa a fronte di quelle
immaginate,ma ciò sarebbe chiedere troppo.
In conclusione diciamo che perché la reazione difensiva violenta risulti scriminata occorre la
presenza di un pericolo incombente di aggressione ai beni personali di chi si difende.
In entrambi i casi sub a) e b) la liceità dell’uso dell’arma è subordinata alla legittimità:il
soggetto che si difende dev’essere presente legittimamente nel luogo chiuso in cui subisce
l’aggressione:l’arma usata dev’essere legittimamente detenuta.
Se la difesa armata è azionata da un soggetto che ha l’arma senza esserne legittimato si
applicherà la scriminante tradizionale della legittima difesa ex art.52,1c salva la
configurabilità di illeciti penali relativi alla detenzione illegittima dell’arma.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
comportamento esecutivo di qualsiasi delitto,per cui in realtà il p.u. autorizzato all’uso delle
armi per impedire la consumazione dei reati di strage,naufragio ecc,anche in precedenza
avrebbe potuto già utilizzare questa scriminante.
Non si accoglie la tesi secondo cui l’uso delle armi sarebbe consentito anche in una fase
antecedente al tentativo per impedire la consumazione dei reati detti: così si arriverebbe
infatti ad asserire la legittimità dell’uso di armi anche in assenza di un effettivo pericolo per i
beni presi di mira.
L’ult.c. art.53 fa riferimento alle ulteriori ipotesi di uso legittimo della coazione fisica
previste dalla legislazione speciale,in proposito si ricordano:contrabbando,espatrio
clandestino evasione di detenuti ecc.
9. Stato di necessità.
L’art 54,1c “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo non
volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al
pericolo”.
Si agisce per sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona e l’azione difensiva ricade
non sull’aggressore,ma su un terzo estraneo:cioè una persona che non ha provocato la
situazione di pericolo (il più delle volte questa scaturisce dalle forze cieche della natura)(es.
naufrago che per salvare se stesso spinge un mare il compagno dao che la zattera può reggere
una sola persona;ma la situazione può anche derivare dall’azione illecita di un uomo:Tizio per
sfuggire alla violenza di Caio si impossessa dell’auto di Sempronio,estrano ai fatti).
Lo stato di necessità è stato in passato ritenuto causa di esclusione della colpevolezza e la
ratio era l’impossibilità di esigere da parte di chi si vede minacciato da una situazione di
pericolo,un comportamento diverso da quello tenuto.
Questa ricostruzione non si adatta al cd. soccorso di necessità,nella parte in cui la
disposizione allude alla necessità di salvare altri dal pericolo:ritenere non psicologicamente
esigibile una condotta diversa da quella tenuta se da un lato può giustificare la non punibilità
di chi agisce per mettere in salvo se stesso o un congiunto,non sarebbe invece in grado di
spiegare perché debba essere esente da pena colui che agisce in modo necessitato per salvare
un estraneo o uno sconosciuto(in questo secondo caso infattsi dubita chei vi sia una
situazione tale da provocare nell’agente un anormale motivazione psicologica per effetto di
sollecitazioni emotive forti). Per questo la dottrina giustifica la scriminante (ratio)nella
mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l’uno o l’altro dei beni configgenti,
posto che nella situazione data uno dei beni è in ogni caso destinato a soccombere. In base al
principio del bilanciamento degli interessi in conflitto è necessario che il bene sacrificato sia
di rango inferiore o equivalente a quello salvato.
A questo punto,mentre la prospettiva del bilanciamento di interessi spiega il fondamento
dell’esenzione dalla pena in caso di soccorso di necessità,l’inesigibilità psicologica può
essere invece assunta come ratio dello stato di necessità cd. cogente,in cui il danno alla
persona minaccia lo stesso autore del fatto o una persona a lui vicina.
Lo stato di necessità ha molti elementi in comune con la legittima difesa,ma se ne differenzia
• l’azione si dirige contro un individuo innocente (non responsabile del pericolo che si
perché:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• tenendo conto del grado di pericolo che incombe sul bene(criterio quantitativo:non
ogni danno all’integrità fisica è grave,ma solo quello che comporta una lesione di
particolare rilevanza).
Ultimo requisito richiesto ex art.54 è la proporzione tra fatto e pericolo,tenendo conto del
rapporto di valore tra i beni configgenti (il bene minacciato è superiore o equivale a quello
sacrificato); questa tesi ha il difetto di pretendere che il giudizio di equivalenza tra i beni in
conflitto intesi come entità statiche ed esclude tutti gli altri elementi che caratterizzano la
situazione concreta(attualità del pericolo,necessità-inevitabilità di realizzare l’azione
difensiva del bene minacciato ecc).
Per superare quest’ottica occorre integrare il raffronto del valore dei beni con l’esame
comparativo dei rischi incombenti sul bene da salvaguardare e su quello del terzo
aggredito:da ciò emerge che,quando il rischio maggiore è quello che grava sull’interesse del
terzo innocente,il rapporto di valore tra i beni dev’essere proporzionalmente a vantaggio di
quello da salvaguardare;quando il bene di maggior peso è quello aggredito il rapporto tra i
rischi dev’essere proporzionalmente a vantaggio di quello salvaguardato.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
pericolo,realizza un’azione necessitata per salvare i terzi in pericolo.
Art.54,ult.c.: “lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia;ma in tal
caso,del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a
commetterlo”:coazione morale (es,automobilista che provoca un incidente perché
corre sotto la minaccia di una pistola);l’efficacia scriminante della coazione morale è
•
subordinata all’esistenza di tutti i requisiti dello stato di necessità esaminati.
Ultima differenza rispetto la legittima difesa è che ex art.2045cc,in caso di stato di
necessità,al danneggiato è dovuta un’indennità misurata sull’equo apprezzamento del
giudice:ciò perché l’azione necessitata arreca pregiudizio ad un soggetto che non è
responsabile della situazione di pericolo che si crea.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO III
LA COLPEVOLEZZA
SEZIONE I: NOZIONI GENERALI
1. Premessa.
Perché sia punibile il fatto commissivo deve essere tipico, antigiuridico e colpevole: il terzo
elemento costitutivo fondamentale del reato è la colpevolezza.
Il principio è nulla poena sine culpa;presuppone un modello secondo cui l’uomo è in grado,
grazie ai suoi poteri di signoria (cd. strati superiori della personalità),di controllare i propri
istinti e reagire a stimoli del mondo esterno scegliendo tra possibilità diverse di
condotta,orientandosi secondo sistemi di valori: solo così è possibile muovere un rimprovero
a chi commette un reato.
Essa assurge a principio-cardine del sistema penale. Il ruolo centrale del principio di
colpevolezza è, del resto, confermato dalla sua rilevanza costituzionale, come è dato
desumere dall’art. 27, c. 1, Cost.: il principio della personalità della responsabilità penale in
esso fissato va, infatti, inteso non soltanto nel significato minimo di «divieto di responsabilità
per fatto altrui», ma nel senso ben più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole,
cioè la responsabilità per fatto proprio c’è solo se vi è attribuibilità psicologica del fatto alla
volontà del soggetto. Ove un solo elemento di fattispecie, che concorre a contrassegnare la
lesività del fatto sia sganciato dal «dolo» o dalla «colpa», viene meno il carattere «personale»
dell’addebito e un’eventuale attribuzione di responsabilità penale si pone perciò in insanabile
conflitto con l’art. 27, c. 1, Cost. Il ruolo indefettibile della colpevolezza è altresì confermato,
sempre a livello costituzionale, dal collegamento sistematico tra il comma 1 e il comma 3
dell’art. 27 Cost., che sancisce il finalismo rieducativo della pena. Se fosse sufficiente, ai fini
dell’assoggettamento a pena, il semplice fatto di cagionare materialmente un evento lesivo, e
nessun «rimprovero» neppure di mera disattenzione o imprudenza potesse essere rivolto
all’agente, la pretesa «rieducativa» dello Stato non avrebbe più molto senso, perché in assenza
del dolo o colpa il soggetto non avrebbe mostrato nessuna ribellione o indifferenza rispetto ai
beni protetti, anzi, la pena, potrebbe apparire ingiusta ed arbitraria,rafforzando sentimenti di
ostilità verso lo Stato.
L’idea di colpevolezza presuppone il rifiuto della responsabilità per l’evento (responsabilità
c.d. oggettiva): subordinare la punibilità alla colpevolezza equivale cioè a bandire ogni forma
di responsabilità per accadimenti dovuti al mero caso fortuito. In questo senso, l’imputazione
penale si arresta laddove il soggetto non sia in grado di signoreggiare il verificarsi degli
eventi: il che vuol dire, dunque, che il rimprovero di colpevolezza implica che si presupponga
come esistente una possibilità di agire diversamente da parte del soggetto cui il fatto viene
attribuito.
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disapprovazione sullo stile di vita e scelte esistenziali del reo, che sarebbero
all’origine della sua inclinazione al delitto.
Una colpevolezza ancorata alla personalità dell’agente,contribuirebbe a spiegare la struttura
di alcuni reati e l’aggravamento del trattamento penale nei casi per es. di recidiva, ma il
nostro ordinamento è ispirato ad un orientamento oggettivistico per cui si può essere
chiamati a rispondere solo per un fatto e non per un modo di essere (ciò darebbe rilievo
preminente alle inclinazioni soggettive,alla sua maggiore o minore malvagità).
fatto di reato già commesso, ma alla probabilità che il soggetto torni in futuro a
delinquere;giustifica l’applicazione delle misure di sicurezza.
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circostanze in cui essa si realizza e questo tipo di valutazione che si fa strada nella prassi
giurisprudenziale prevede che non ogni fatto volontario merita lo stesso rimprovero e che tra i
fatti involontari ve ne sono di più o meno gravi.
La colpevolezza funge anche criterio di commisurazione giudiziale della pena:questa
concezione getta un ponte tra l’idea di colpevolezza come elemento costitutivo del reato e
colpevolezza come criterio di commisurazione della pena.
(L’es. di Frank, padre di questa concezione, è questo:l’appropriazione di denaro commessa
allo scopo di concedersi svaghi costosi non è considerata alla stessa stregua di una condotta
materiale analoga commessa allo scopo di mantenere la famiglia numerosa).
La colpevolezza nella nuova accezione consiste nella rimproverabilità dell’atteggiamento
psicologico tenuto dall’autore:dicendo infatti che “il fatto doloso è un fatto volontario che
non si doveva volere ed il fatto colposo un fatto involontario che non si doveva produrre”
l’elemento comune a dolo e colpa diventa l’atteggiamento antidoveroso della volontà che è
presente in tutti e 2 i casi;inoltre il concetto di rimproverabilità consente di esprimere giudizi
graduati di disvalore penale in rapporto alla qualità dell’elemento psicologico che lega il fatto
all’autore. Ciò però non comporta una valutazione morale,colpevolezza giuridica e morale
sono diverse:dato il carattere laico e pluralista dello Stato il diritto penale non può pretendere
di imporre coattivamente l’osservanza di semplici concezioni morali o religiose,per cui la
colpevolezza è un rimprovero per il fatto di aver commesso un’azione socialmente
dannosa e non può mai tradursi in un rimprovero per non aver osservato semplici concezioni
morali o religiose.
La concezione normativa della colpevolezza è oggi accolta dalla dottrina dominante.
4. Orientamenti attuali.
In passato la colpevolezza era legata alla teoria retributiva: la pena rappresentava il
corrispettivo del male commesso e serviva a compensare il male arrecato con il reato,per cui
presupponeva una colpevolezza da annullare.
La crisi della tradizionale concezione retributiva della pena pone il problema di trovare una
nuova giustificazione alla colpevolezza.
Lo scopo della sanzione punitiva è oggi la protezione dei beni giuridici garantita attraverso la
prevenzione generale e speciale. Dobbiamo capire quale sia la funzione della colpevolezza
all’interno di un diritto penale orientato verso la prevenzione.
La pena non è più conseguenza indefettibile di una colpevolezza accertata:quest’ultima è
condizione necessaria ma non sufficiente di punibilità(accertata la colpevolezza,punire ha
senso solo al fine di distogliere altri dal commettere reati-prevenzione generale- o impedire
che lo stesso soggetto torni a delinquere-prevenzione speciale).
Sorge una domanda: la categoria della colpevolezza ha una ragion d’essere nel diritto penale
della prevenzione o è piuttosto un residuo del vecchio diritto penale retributivo?
• elemento costitutivo del reato (presupposto della punibilità): secondo parte della
Per rispondere si deve distinguere a seconda che la colpevolezza sia considerata come:
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Il collegamento esiste anche rispetto alla prevenzione generale: la minaccia della pena
funziona come deterrente per i consociati solo se gli stessi hanno potere di controllo
rispetto al fatto criminoso,cioè se l’effettiva realizzazione del reato dipenda da una
scelta volontaria(dolo) o dalla violazione di una regola di condotta a contenuto
precauzionale(colpa).
Se il legislatore punisse anche la produzione di eventi lesivi dovuti al concorso di
fattori imprevedibili o inevitabili,la realizzazione del reato si sottrarrebbe al controllo
del soggetto e la minaccia della sanzione perderebbe la sua funzione deterrente.
Sebbene questa funzione della colpevolezza sembra plausibile,è possibile che a volte
le cose vadano diversamente,cioè la consapevolezza del rischio di poter essere
incriminati anche per conseguenze incontrollabili del proprio comportamento
potrebbe indurre a desistere dal compiere certe azioni o elevare determinati standard
di diligenza.
Per cui,nonostante si ipotizzino forme di responsabilità oggettiva tese a rafforzare la
funzione general-preventiva della pena,quest’ultima non implica, come condizione
indefettibile, la colpevolezza quale presupposto del reato.
La prospettiva allora è ancora quella del bilanciamento tra le esigenze di tutela
preventiva dei beni giuridici e la salvaguarda delle fondamentali libertà del
singolo,cioè:il principio di colpevolezza è inderogabile nel nostro diritto penale
perché funge da argine garantistico a presidio della certezza di libere scelte d’azione
del privato(cioè assumere dolo o colpa come presupposto della responsabilità penale
significa circoscrivere la responsabilità stessa nei limiti di ciò che rientra nel potere di
controllo finalistico del soggetto e tale possibilità di controllo consente ad ogni
• criterio di misura della pena (il grado di colpevolezza come limite alla prevenzione
soggetto di pianificare la propria esistenza al riparo da ingiustificati rischi penali).
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1. Premessa
L’art.85 definisce l’imputabilità come capacità di intendere e di volere,ciò tuttavia non
presuppone il riconoscimento di una libertà assoluta ed incondizionata.
Il giurista è consapevole che la volontà umana è sottoposta a vari condizionamenti e può
definirsi libera nella misura in cui il soggetto non soccombe passivamente all’impulso
psicologico che lo porti ad agire in un determinato modo,ma esercita poteri di inibizione e
controllo che gli consentano scelte consapevoli. Per cui la libertà è relativa o condizionata,di
graduazione diversa a seconda del livello di intensità dei condizionamenti che il soggetto
subisce prima di agire. Del resto se le decisioni umane non fossero condizionate da cause che
operano secondo regole psicologiche, non avrebbe senso pretendere di influenzare la condotta
dell’uomo con la minaccia di una pena.
• funzioni della pena: se la minaccia della sanzione svolge una funzione general-
privi della possibilità di agire diversamente;
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3. Minore età.
Il legislatore ha ricollegato la capacità di intendere e volere a classi di età:l’art.97 stabilisce
una presunzione assoluta (che non ammette prova contraria) di incapacità per il minore di 14
anni(al momento in cui ha commesso il fatto), che non è in ogni caso mai imputabile.
Per i minori tra i 14 ed i 18 anni l’art.98,1c stabilisce che “è imputabile chi,nel momento in
cui ha commesso il reato aveva compiuto i 14 anni,ma non ancora i 18,se aveva capacità
d’intendere e di volere;ma la pena è diminuita”,quindi spetta al giudice valutare in concreto
se il minore sia o no imputabile.
L’incapacità minorile non presuppone necessariamente l’infermità mentale, perché si fonda
su una condizione identificabile con la situazione di immaturità,intesa come non solo il
carente sviluppo delle capacità conoscitive,volitive e d affettive,ma anche incapacità
d’intendere il significato etico-sociale del comportamento e dell’inadeguato sviluppo della
coscienza morale.
La capacità di intendere e volere è presunta dal legislatore al compimento dei 18
anni:presunzione relativa, perché la capacità è esclusa o diminuita in presenza del vizio totale
o parziale di mente o delle altre cause legislativamente previste
4. Infermità di mente.
L’infermità di mente è posta all’art. 88, che stabilisce: “non è imputabile chi, nel momento
in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità
d’intendere o di volere”. Non basta quindi accertare una malattia mentale per dedurne
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neonato).
Per comprendere se le psicopatie siano rilevanti ai fini dell’inimputabilità,si profilano
• equiparare psicopatia a malattia mentale contrasta con gli scopi del diritto penale:i
prospettive diverse:
• infermità totale: di cui il soggetto soffre al momento della commissione del fatto ed
Il codice distingue diversi gradi di vizio mentale:
• infermità parziale:art.89 “colui che nel momento in cui ha commesso il fatto era,per
applicata solo previo accertamento concreto della pericolosità sociale.
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commissione del reato o per prepararsi una scusa;il soggetto si ubriaca proprio allo
scopo di commettere un reato perché lo stato di ubriachezza facilita la commissione di
un fatto criminoso che altrimenti non si avrebbe il coraggio di compiere in condizione
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6. Sordomutismo.
La disciplina del sordomutismo è prevista sul presupposto che la mancanza di udito e di
parola pregiudichi la capacità di autodeteminazione del soggetto.
L’art.96 stabilisce che incapacità e capacità in concreto devono essere accertati in giudizio;
prevede che non sia imputabile il sordomuto che al momento della commissione del fatto non
aveva, a causa della sua infermità, capacità di intendere e di volere. Se la capacità non è
assente ma solo grandemente scemata si ha riduzione della pena.
Si parla di sordismo,per cui non si ritiene che l’art.96 possa essere applicato nei soli casi di
solo mutismo o sola sordità,ma solo se sussistono entrambe le affezioni; in realtà si distingue
tra un sordismo congenito o precocemente acquisito che ostacola lo sviluppo psichico ed il
sordismo tardivamente acquisito meno limitativo. Per quanto la disposizione non faccia
distinzioni, sembra che faccia riferimento soprattutto al sordomutismo congenito o
precocemente acquisito.
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calunnia).
Ci si chiede se la rappresentazione debba essere attuale in relazione a tutti i requisiti
del fatto delittuoso o se basti una conoscenza potenziale o implicita. La soluzione a
questo interrogativo dovrebbe tenere presente che: l’uomo può essere considerato
cosciente di una circostanza,se questa,anche se non è oggetto di un esplicito pensiero
al momento dell’azione,fa parte di un complesso di circostanze che gli erano
precedentemente note e che egli potrebbe richiamare alla mente se vi riflettesse un
attimo. Per rilevare in sede di imputazione dolosa,la consapevolezza implicita si deve
riferire ad elementi che rientrano in un insieme di circostanze non solo note
all’agente,ma che potrebbe immediatamente richiamare alla mente. Il dolo esulerebbe
invece se il passaggio da una rappresentazione potenziale ad una attuale
presupponesse non solo un attimo di attenzione,ma un processo di deduzione logica
del dato ignoto dalle circostanze note (l’autore della corruzione di minorenne agirà
con dolo se,anche non riflettendo attualmente sull’età della persona offesa,ne era a
conoscenza;diverso è il caso se il corruttore ignaro dell’età del soggetto passivo,per
stabilirla dovesse desumerla da circostanze indizianti a lui note).
Il dolo può avere diversi gradi di intensità,di cui il giudice deve tener conto ai fini della
commisurazione della pena ex art.133(che rapporta la gravità del reato all’intensità del dolo):
o circa la componente conoscitiva la sua graduabilità dipende dal livello di certezza con
cui il soggetto si rappresenta gli elementi del fatto di reato;
o circa la componente volitiva va rapportato al grado di adesione psicologica del
soggetto al fatto,alla complessità ed alla durata del processo deliberativo.
Così, è meno grave il dolo d’impeto (traduzione improvvisa in azione) rispetto al dolo di
proposito (caratterizzato da uno stacco temporale tra il momento della decisione e quello
dell’esecuzione), di cui costituisce una componente ancora più grave la premeditazione, che
si ha quando il proposito criminoso non solo perdura nel tempo ma tradisce un’ostinazione
criminosa particolarmente riprovevole.
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Affinchè l’azione sia imputabile a titolo di dolo dobbiamo distinguere se si tratti di reati a
forma libera o a
forma vincolata:
o Per i reati a forma libera il legislatore fa riferimento a qualsiasi modalità di
aggressione al bene protetto, il dolo deve accompagnare l’ultimo atto compiuto prima
che il decorso causale sfugga al dominio dell’agente ed è sufficiente la prefigurazione
dei tratti essenziali del nesso causale(Tizio risponde di omicidio doloso se butta Caio
nel fiume per farlo annegare, anche se quello muore prima per aver sbattuto la testa
nella caduta);
o Nei reati a forma vincolata è necessario che coscienza e volontà abbiano ad oggetto la
modalità di commissione del fatto specificata dal legislatore (per il reato di epidemia è
necessario che essa sia causata dalla diffusione volontaria germi patogeni).
Il dolo deve investire anche gli elementi normativi della fattispecie (elementi la cui
determinazione presuppone il rinvio ad altra norma, diversa da quella incriminatrice):es.è
escluso il delitto di furto se l’agente non si rende conto che la cosa è altrui a causa di
un’erronea interpretazione delle norme sulla proprietà.
Rimane aperta la questione se rientri nell’oggetto del dolo la qualifica personale del soggetto
autore dei cd. reati propri:quando la qualifica contribuisce a caratterizzare lo specifico
disvalore penale, l’ignoranza della stessa impedisce al soggetto di cogliere il significato
criminoso del fatto. La conoscenza richiesta comunque non riguarda la qualifica nella sua
astratta configurazione giuridica (ciò contrasterebbe con l’art.5): ai fini del dolo occorre
conoscere i substrati di fatto della stessa (in tema di bancarotta il soggetto agisce dolosamente
se consapevole di esercitare un’attività economica di tipo imprenditoriale, anche se ignora
che la legge gli attribuisce quella qualifica formale).
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Quindi l’offesa secondo la prima accezione(illiceità penale) esula dall’oggetto del dolo.
Per cui,come oggetto del dolo l’offesa può essere intesa solo come pregiudizio di interessi
protetti percepiti nella loro dimensione sociale. Questo modo di concepire il dolo evita il
rischio di ridurre la volontà colpevole ad un coefficiente psicologico privo di valore:se il dolo
è la forma più grave di colpevolezza alla coscienza e volontà di un puro fatto materiale deve
accompagnarsi la percezione dell’idoneità del fatto a pregiudicare interessi meritevoli di
tutela.
Nella dottrina italiana c’era la preoccupazione di dare maggiore consistenza al dolo
includendovi la consapevolezza dei profili di disvalore del fatto:
- da un lato,si sosteneva che per la sussistenza del dolo sarebbe indispensabile la
consapevolezza del carattere antisociale del fatto e la valutazione dell’antisocialità va
fatta secondo criteri valutativi dominanti nella comunità sociale di riferimento.
Critiche:tesi sostenibile se fosse vero che al giudizio di disvalore penale preesista sempre
una forma di manifesta antisocialità o di disapprovazione sociale che giustifica
l’incriminazione del fatto;
- dall’altro,si sosteneva che il dolo include la coscienza dell’offesa dell’interesse protetto.
Questa tesi prevede il diretto collegamento con la concezione realistica dell’illecito
penale. Obiezioni: l’art.49,2c ha funzione di integrare la tipicità del fatto con il principio
di necessaria lesività,e l’art.43 ne costituirebbe pendant sul piano dell’elemento
soggettivo,perché basando la definizione del dolo sull’evento dannoso o pericoloso
finirebbe con il riferirsi all’evento giuridico inteso come offesa o lesione dell’interesse
protetto.
Resta da chiedersi in quale misura considerare la coscienza dell’offesa inerente al dolo sia
compatibile con
l’attuale sistema delle incriminazioni. Per questo dobbiamo distinguere tra le diverse figure
delittuose:in alcuni casi la compenetrazione tra fatto materiale e lesione del bene o interesse
tutelato è talmente immediata ed evidente che il disvalore del fatto non può sfuggire alla
coscienza di chi agisce.Tuttavia per alcuni reati cd.di pura creazione legislativa,per i quali
manca un contenuto di disvalore evidente, la consapevolezza della lesione all’interesse
protetto può anche mancare, se non si conosce la disposizione incriminatrice violata(in
violazione dell’art.5).
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condotta criminosa (per i reati di azione) o di causare l’evento (per i reati di evento).
La realizzazione del fatto illecito è l’obiettivo finalistico che dà causa alla condotta,lo
scopo in vista del quale il soggetto agisce e va distinto dal movente,che è la
motivazione interiore o impulso emotivo che induce il soggetto a perseguire come
scopo della condotta la realizzazione del reato. Questa forma di dolo è caratterizzata
dal ruolo dominante della volontà, che raggiunge l’intensità massima. Il dolo è
intenzionale anche se l’agente non ha la certezza della riuscita dell’impresa,ma solo la
• diretto (di secondo grado):il soggetto si rappresenta con certezza gli elementi
possibilità.
• eventuale (indiretto): si colloca in una zona limite con la colpa con previsione o
della rappresentazione.
dolo, non solo che l’agente si figuri l’evento lesivo come probabile, ma che
accetti questo rischio e decida di agire comunque. L’accettazione del rischio
non si limita ad un’accettazione del pericolo in quanto tale,ma in
un’accettazione dell’evento lesivo che può verificarsi:il soggetto decidendo di
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o dolo di danno:quando c’è volontà di provocare una lesione del bene protetto;
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Come ogni altro elemento costitutivo della fattispecie anche il dolo dev’essere provato:
l’accertamento è complesso;non si può ricorrere a criteri prefissati di accertamento:l’indagine
deve fare riferimento alle circostanze che possono assumere valore sintomatico ai fini
dell’esistenza della volontà colpevole (modalità della condotta, comportamento successivo
alla commissione del fatto, scopo perseguito ecc).
Si farà riferimento a regole di esperienza,mentre è inammissibile la probatio diabolica e
l’utilizzo di schemi presuntivi,che contrasterebbero con il dolo, inteso come coscienza e
volontà reali di un fatto criminoso.
Tuttavia vi sono fattispecie legali cd.soggettivamente pregnanti (bancarotta fraudolenta), in
cui la volontà colpevole sembra implicita nella stessa realizzazione del fatto materiale. Ciò
non toglie che la prova del dolo deve essere ottenuta al di fuori del ricorso a comode
presunzioni.
Dunque, il dolo deve costituire oggetto di reale accertamento,anche nei casi in cui la priva
appare difficile,per questo è disatteso l’orientamento giurisprudenziale che per semplificare la
prova, presume il dolo nella commissione del fatto,salvo la prova contraria.
1. Premessa.
Ruolo fondamentale ha l’errore;se la volontà colpevole presuppone la conoscenza degli
elementi costitutivi del fatto criminoso,la mancata o falsa rappresentazione di uno o più
requisiti dell’illecito penale avrà come effetto di escludere la punibilità, per il venir meno
• errore sul fatto:l’error facti consiste nella mancata o erronea percezione della realtà
dell’elemento soggettivo del reato. Nel diritto penale si distingue tra:
esterna (un cacciatore non sia ccorge di prendere di mira un uomo anziché la
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fatto. L’agente per ignoranza non si rende conto di realizzare un fatto penalmente
illecito. Il legislatore si trova in questo caso a dover bilanciare l’esigenza general
preventiva con il principio di colpevolezza. La soluzione nel nostro ordinamento è
quella di ritenere l’errore sul precetto irrilevante (art 5) a meno che esso non sia un
•
errore inevitabile e dunque scusabile (sentenza Corte Cost 364/1988);
una norma extrapenale(ha ad oggetto una norma diversa da quella penale
incriminatrice):è necessario, ex art. 47,3c,che questo tipo di errore si risolva in un
errore sul fatto di reato e cioè che l’agente ne risulti fuorviato al punto di non essere
consapevole di compiere un fatto material conforme a quello previsto dalla legge
come reato. Ove invece l’errore si traduce nell’erronea convinzione che quel fatto sia
penalmente lecito perché non rientranre nella norma incriminatrice,si ricade nella
fattispecie dell’errore sul precetto,perciò si tratterà ancora una volta,ex art.5,di un
errore irrilevante.
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L’art 47,2c prevede che “l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude
la punibilità per un reato diverso”: si risponde cioè del reato di cui siano stati effettivamente
posti in essere gli estremi materiali e psicologici.(es. Tizio usa violenza o minaccia contro un
soggetto non sapendo che si tratti di un p.u.: non risponderà per offesa a p.u. ma risponderà
per violenza privata).
Circa l’errore sui cd. elementi degradanti il titolo di reato manca un’esplicita presa di
posizione del legislatore. L’esempio classico è quello del soggetto che cagiona la morte di
una persona nella supposizione erronea che la vittima abbia prestato il suo consenso
all’uccisione: siamo in un caso di omicidio semplice o in uno di omicidio del consenziente?
Alcuni autori propendono per la soluzione più rigorosa. Ma i più ritengono che si debba
applicare la fattispecie del reato meno grave (nella specie: omicidio del consenziente).
Giustificano questa soluzione con un’applicazione analogica (ammissibile poiché in bonam
partem) della disciplina sulle cause di giustificazione (art 59,4c: se l’agente ritiene per errore
che esistano circostanze di esclusione della pena queste sono sempre valutate a favore di lui).
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• secondo parte della dottrina tutte le norme extrapenali a cui rinvia la norma penale
traduce nella sostanziale abrogazione dell’art.47,3c.
Con l’espressione legge extrapenale fa riferimento non soltanto alle norme di natura
non penale ma anche ad altre norme penali diverse dalla norma incriminatrice in
questione.
Possibili tipologia di errore su legge extrapenale incidente sull’esatta conoscenza del fatto di
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errore sugli elementi normativi, elementi cioè per la cui definizione coccorre fare
riferimento ad una norma diversa da quella incriminatrice (es.l’altruità ai fini del
furto); può assumere rilevanza scusante anche un errore sulla cd.illiceità speciale che
ricorre quando la norma incriminatrice contiene espressioni come
“illegittimamente”,”abusivamente” ecc,che introducono una qualificazione di
•
antigiuridciità ulteriore rispetto alla normale antigiuridicità obiettiva.
La soluzione adottata per gli elementi normativi di natura giuridca va estesa al
trattamento degli elementi normativi di natura etico-sociale:se qualcuno ritiene il
suo comportamento conforme al comune sentimento del pudore,a causa di un’erronea
valutazione della morale sociale dominante,non potrà rispondere di atti osceni perché
manca la coscienza di un fondamentale requisito di fattispecie(es. turista straniera che
errando sulla valutazione della morale sociale dominante non ritiene osceno prendere
•
il sole nuda).
L’errore può escludere la responsabilità anche quando ricade su una norma
integratrice di norma penale in bianco: (ciò perché l’ult.c. dell’art.47 non distingue
circa l’ampiezza della norma penale richiamata)la dottrina propende per un
orientamento restrittivo distinguendo 2 ipotesi: la norma penale in bianco contenga un
precetto generico ma sufficientemente determinato;essa sia così indeterminata da
rinviare interamente, per l’individuazione del suo contenuto, alla norma extrapenale
richiamata. L’errore è rilevante nel primo caso perché verterebbe solo sulla
riconducibilità di un singolo caso concreto alla norma penale incriminatrice;irrilevante
nel secondo perché l’errore ricadrebbe su di una norma che anche
extrapenale,conferisce al precetto penale tutto il suo contenuto,convertendosi in un
•
errore sullo stesso precetto penale irrilevante ex art.5.
L’errore può cadere su una norma extrapenale rilevante ai fini della valutazione
del significato di un elemento costitutivo del fatto di reato, anche se non vi è un
rapporto di richiamo espresso.
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tratterebbe di un caso di autoria mediata: il decipiens si servirebbe del deceptus come mero
strumento esecutivo del reato,per cui vero ed unico autore del fatto criminoso non sarebbe
l’esecutore (immediato) del fatto,ma l’autore dell’inganno(autore mediato); più convincente
appare però l’indirizzo dottrinale che sostiene come la figura del reato mediato non abbia
fondamento e l’ipotesi in esame sarebbe piuttosto inquadrabile nell’ambito del concorso di
persone del reato (la condotta di ingannato ed ingannatore sarebero configurabili come
ipotesi di concorso criminoso).
5. Reato putativo.
Art 49,1c “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato nell’erronea
supposizione che esso costituisca reato”.
Questo è il reato putativo:un fatto criminoso immaginato da chi agisce ma di fatto
inesistente, può derivare sia da un errore di diritto (anche su legge extrapenale: Tizio ritiene il
proprio precedente matrimonio, in realtà invalido, valido e crede pertanto di commettere
bigamia contraendo un nuovo matrimonio) che da un errore di fatto (Tizio ritiene di
impossessarsi della cosa mobile altrui ma in realtà si impossessa di cosa propria).
La natura putativa del reato può anche derivare dall’ignoranza di commettere il fatto in
presenza di una causa di giustificazione o di discolpa. In tutte queste ipotesi,la convinzione
dell’agente di commettere un fatto di reato è priva di rilevanza.
L’autore di un reato putativo può avere un’inclinazione soggettiva a delinquere,tale da poter
essere indice di pericolosità sociale, tuttavia nel nostro ordinamento penale(che si basa su una
concezione oggettivistica del delitto tentato) non è punita la mera volontà malvagia o il modo
d’essere ma solo la lesione ad un bene protetto.
1. Errore inabilità
La divergenza tra voluto e realizzato può dipendere da un errore che incide sul momento
formativo della volontà,dall’errore nell’uso dei mezzii di esecuzione del reato o da un errore
dovuto ad altra causa (A vuole uccidere Ba,ma per un errore di mira colpisce erroneamente
C).
Art.82,1c “Quando,per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un’altra causa,è
cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta,il colpevole
risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva
offendere,salve,per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti,le disposizione
dell’art.60”;questa è l’aberratio ictus monolesiva,che si verifica quando a causa di un errore
esecutivo,mutano l’oggetto materiale dell’azione ed il soggetto passivo,ma l’offesa resta
normativamente identica e quindi non cambia il titolo di reato.
Questa figura solleva problemi circa i criteri di attribuzione della responsabilità:si discute se
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
equivalente a quella voluta dal soggetto,per cui il dolo permane proprio perché per la
sua configurazione basta che l’agente si rappresenti gli elementi del fatto rilevanti ai
sensi della fattispecie incriminatrice considerata:perciò sarebbe sufficiente l’essersi
rappresentata la morte di una persona e l’averla cagionata,mentre ai fini del dolo
sarebbe indifferente che la persona concretamente uccisa sia Ao B.
Questa tesi è contestabile:non si tratta di dimostrare l’esistenza di un dolo
astratto,riferito ad un qualsiasi evento lesivo purchè dello stesso tipo di quello previsto
dalla fattispecie incriminatrice,ma di qualificare come dolosa la causazione di un
determinato evento concreto.
In questo caso non si avrebbe congruenza tra voluto e realizzato:il soggetto voleva
colpire un bersaglio determinato,ma non lo ha colpito,per cui il contenuto della
volontà colpevole non si è realizzato;invece ha colpito un bersaglio che non voleva
colpire,quindi l’evento materiale è conforme al tipo di reato ma lo è anche
l’atteggiamento psicologico.
Ciò che manca è la congruenza tra l’atteggiamento psicologico e l’evento
concreto,necessaria per consderare l’evento come concretizzazione della volontà
dell’agente. Se si segue questa concezione si arriva ad affermare che l’art 82
prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva poichè punisce come doloso un
Art.82,2c “Qualora,oltre alla persona diversa,sia offesa anche quella alla quale l’offesa era
diretta,il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave,aumentata fino alla
metà”:questo è il caso dell’aberratio ictus plurilesiva:situazione in cui l’errore-inabilità
provoca un evento lesivo ulteriore rispetto a quello preso di mira dall’agente (la norma trova
applicazione anche in presenza di un semplice tentativo in rapporto ad una o entrambe le
persone colpite).
Per quanto concerne i criteri di attribuzione della responsabilità appare corretto
l’orientamento secondo il quale il colpevole risponde a titolo di dolo per l’offesa arrecata alla
vittima designata e a titolo di responsabilità oggettiva per l’ulteriore offesa nei confronti della
persona erroneamente colpita, dal momento che la norma non richiede l’accertamento di un
agire colposo ma solo la causazione dell’evento.
Il trattamento penale dell’aberratio plurilesiva,teso a rafforzare la risposta punitiva nei
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
confronti di azioni particolarmente pericolose,prevede l’aumento fino alla metà della pena
stabilita per il reato più grave, molto superiore a quella che si applicherebbe in caso di
concorso formale di un delitto doloso con uno colposo.
Per questo è necessario stabilire quale sia il trattamento applicabile quando,oltre alla persona
presa di mira,si ledano più persone o,mancata la vittima designata,rimangano lese solo
persone diverse.
• c’è chi sostiene si dovrebbero applicare tanti aumenti di pena quante sono le offese
Si distinguono diversi orientamenti:
• altri ritengono che a prescindere dal numero delle persone offese dovrebbe essere
arrecate a soggetti non designati;
• Fiandaca e Musco ritengono vada applicato il regime del concorso di reati colposo e
applicato un aumento di pena
doloso,sempre che le offese non volute siano dovute a colpa dell’agente che erra
nell’esecuzione del reato.
2. Aberratio delicti
Art.83,1c “Fuori dai casi preveduti dall’art. precedente,se per errore nell’uso dei mezzi di
esecuzione del reato,o per un’altra causa,si cagiona un evento diverso da quello voluto,il
colpevole risponde a titolo di colpa,dell’evento non voluto,quando il fatto è preveduto dalla
legge come delitto colposo”.
Si ricorre in aberratio delicti quando per inabilità nell’esecuzione l’agente realizza un
reato che lede beni o interessi diversi rispetto a quelli inerenti al reato originariamente
preso di mira.
Es. Tizio lancia un sasso dal cavalcavia per colpire un’auto (reato di danneggiamento doloso)
ma colpisce una persona (reato di lesione).
Il dolo esula perché manca nel soggetto la volontà dell’evento diverso. L’art.83,1c stabilisce
che il soggetto risponde a titolo di colpa, quando il fatto è previsto dalla legge come
delitto colposo: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di responsabilità
oggettiva. La norma infatti non richiede esplicitamente che la produzione dell’evento diverso
sia determinata da colpa; la formula legislativa si limita a stabilire che l’evento non voluto
venga punito come se fosse colposo. In pratica si applica la disciplina della colpa solo per ciò
che riguarda el conseguenze sanzionatorie del reato,non per ciò che riguarda la
responsabilità,che resta oggettiva. Non vale obiettare che si tratta di casi in cui la colpa è
presunta, configurandosi una colpa per inosservanza di leggi ex art 43 (dal momento che
l’evento si verifica come conseguenza della violazione di una legge penale-QUESTA COSA
SI CAPIRA’ MEGLIO QUANDO SI STUDIERA’ LA COLPA): non tutte le norme penali
sanzionano la violazione di norme cautelari necessarie ad integrare la responsabilità colposa.
Perché l’evento diverso sia attribuibile al soggetto inoltre è necessario che ne sia
esplicitamente sanzionata la realizzazione colposa.
Il capoverso dell’art.83 prevede che “se il colpevole ha cagionato anche l’evento voluto,si
applicano le regole sul concorso di reati” per cui l’agente risponde di 2 reati,uno doloso e
l’altro colposo: questa è l’aberratio delicti plurilesiva, cui si riconduce l’ipotesi dell’art 586
(morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto) in cui la colpa concerne non il
fondamento della responsabilità (che rimane la responsabilità oggettiva) ma il piano delle
sole conseguenze sanzionatorie.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Un passo avanti è stato fatto con la rilettura dell’art.5 alla luce dell’art.27 Cost.
(interpretazione costituzionalmente orientata) che afferma il carattere personale della
responsabilità penale ed implica che non ci possa essere responsabilità se non c’è
colpevolezza e perché vi sia colpevolezza è necessario che l’agente sia in grado di cogliere il
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Quanto ai criteri per stabilire se l’ignoranza possa considerarsi inevitabile in base alle
• criteri soggettivi puri: fanno riferimento alle caratteristiche del soggetto agente
indicazioni della Corte sono individuabili:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
poco trasferiti)
criteri oggettivi puri: riguardano circostanze oggettive che rendono impossibile la
conoscenza della legge penale, a prescindere dalle caratteristiche personali del
soggetto. Sono i casi di assoluta oscurità del testo legislativo o di indicazioni
fuorvianti dell’autorità competente (es. autorizzazioni amministrative);possono
assumere rilevanza anche su un piano che precede quello della colpevolezza intesa in
senso stretto. Nel casi di assoluta oscurità del testo legislativo,ancor prima della
colpevolezza viene meno l’esistenza di un precetto penale giuridicamente
vincolante:il legislatore ha violato il principio di legalità e sufficiente determinatezza
della fattispecie,proprio perché non è riuscito a definire con chiarezza i contorni del
fatto di reato ed il cittadino non può essere chiamato a rispondere penalmente perché
non esiste l’obbligo di osservanza di un precetto inesistente o privo di contenuto
riconoscibile. Stesso discorso va fatto per il caso di mutamento improvviso di
indirizzo giurisprudenziale:il nuovo orientamento,per effetto del quale diventa illecito
un fatto prima considerato lecito,crea esso stesso il fatto di reato,introducendo in
pratica nell’ordinamento una nuova fattispecie incriminatrice,per cui non può essere
punito chi agisce nella convinzione che un determinato comportamento non
• criteri misti: tengono conto tanto delle circostanze oggettive che portano ad ignorare
costituisca reato,facendo leva sull’orientamento giursiprudenziale precedente.
la legge penale quanto delle caratteristiche personali del soggetto agente. In questo
caso si cerca di bilanciare esigenze individual- garantistiche con esigenze general-
preventive:l’obiettivo è di scongiurare da un lato l’abuso repressivo e dall’altro
l’eccesso di clemenza giudiziale.
Tra le circostanze oggettive vanno menzionate le indicazioni fuorvianti dell’autorità
competente;le autorizzazioni amministrative e le sentenze in contrasto l’una con l’altra:cioè
circostanze esterne all’agente che possono seriamente precludergli la comprensione della
regola di condotta da seguire in concreto.
Tra quelle soggettive:il livello di socializzazione e differenziazione culturale,nonché il ruolo
sociale e la cerchia professionale di appartenenza dell’agente. Da questo punto di vista è
applicabile il criterio dell’homo ejusdem professionis et condicionis originariamente
elaborato sul terreno della colpa:cioè il contenuto e la misura dei doveri di conoscenza
relativi al carattere illecito di una certa azione,vanno determinati in rapporto al diverso campo
di esperienza ed al diverso livello di socializzazione e cultura corrispondenti al tipo di agente-
modello,cui l’agente è ogni volta riconducibile.
Contemperando criteri oggettivi e soggettivi,l’incidenza delle circostanze oggettive
menzionate,va valutata alla stregua delle caratteristiche dell’agente:pertanto chi esercita una
particolare attività professionale è tenuto ad informarsi sulle leggi che ne disciplinano lo
svolgimento(perciò appare senza nessuna colpa il cittadino che esercitando la professione di
medico non era perito del settore delle armi per cui si è rivolto per un supplemento di
informazione alle autorità competenti che lo hanno invece fuorviato). La Cassazione in
particolar modo fa rigorosa applicazione degli obblighi di informazione settoriali mentre c’è
maggiore disponibilità a riconoscere l’efficacia scusante dell’ignoranza da parte dei giudici di
merito soprattutto nell’ambito delle contravvenzioni di scarsa gravità.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Parte della dottrina ritiene che cause di esclusione della colpevolezza legalmente
formali che presiedono all’imputazione penale:
previste siano stato di necessità e coazione morale, in entrambi i casi l’agente si trova
sotto la pressione di circostanze esterne che gli impediscono psicologicamente di
tenere un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto e farebbero apparire
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
esercizio di quella libertà(o diritto) non siano sottoposti a pena,ma è chiaro che se si tratti di
fatti socialmente dannosi devono ugualmente essere posti dei limiti.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
vi siano circostanze in grado di evidenziare una situazione eccezionale in cui il soggetto abbia
realizzato il fatto senza dolo o colpa.Tali orientamenti,giustificati da esigenze di economia
procedurale non sembrano fondati: l’elemento soggettivo va sempre accertato; inoltre ex
art.43,2c la distinzione tra dolo e colpa rileva anche per le contravvenzioni quando da questa
derivino conseguenze giuridiche ed ai fini della determinazione della pena:il giudice prima di
compiere una valutazione,dovrà accertare se sia stato commesso con dolo o colpa. Anche in
questo caso vigono i principi relativi all’accertamento psicologico,tuttavia esistono
contravvenzioni che per natura possono essere solo dolose (es.abuso della credulità popolare)
o solo colpose (es.rovina di edificio).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO IV
CIRCOSTANZE DEL REATO
1. Definizione
Si definiscono circostanze del reato quegli elementi che circum stant (stanno attorno) o
accedono ad un reato già perfetto e la cui presenza determina solo una modificazione della
pena edittale in termini quantitativi o qualitativi.
Si parla anche di elementi accidentali, per evidenziare che essi possono anche mancare
senza che il reato venga meno, diversamente dagli elementi essenziali senza i quali difetta la
stessa figura criminosa.
Regolamentando le circostanze il legislatore ha mirato ad un duplice obiettivo:tener conto
dell’insieme delle circostanze particolari che, incidendo in concreto sulla gravità dell’astratta
figura di reato,permettono di adeguare la pena ai singoli casi;inoltre questo adeguamento non
dev’essere lasciato alla discrezionalità del giudice ma si attui entro limiti legislativi
predeterminati.
Si discute sul fatto se l’elemento circostanziale integri una fattispecie autonoma
o,combinandosi con gli elementi costitutivi della reato-base,dia luogo ad una nuova
fattispecie penale complessa:partendo dalla teoria generale che ogni elemento che incide
sulla sanzione rientra tra i presupposti della conseguenza giuridica,si contesta la tradizionale
distinzione tra elementi accidentali ed essenziali del reato(rispetto la fattispecie
circostanziata,le circostanze sono elementi essenziali come gli altri).
La disciplina delle circostanze,innovata con la l. 251/2005, imita ora l’ideologia punitiva
statunitense della cd. tolleranza zero:una guerra al crimine che trasforma lo Stato sociale in
Stato penale ed identifica nei delinquenti recidivi dei veri e propri nemici dell’ordine
costituto. Si crea così una sorta di doppio binario: uno,più mite destinato ad i rei primari
(incensurati che delinquono per la prima volta);l’altro,più severo, per i recidivi. Questa
differenziazione ha carattere discriminatorio (alla prima categoria statisticamente
appartengono per lo più i colletti bianchi, alla seconda i soggetti emarginati).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Prima della riforma del ‘90 le circostanze venivano attribuite secondo un criterio
profonde modifiche:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Con la l.19/1990 il nuovo testo dell’art 59 stabilisce invece che “le circostanze
aggravanti sono valutate a carico dell’agente solo se da lui conosciute o ignorate per
colpa o ritenute inesistenti per errore colposo”.
La nuova disciplina ha dunque esteso il principio di colpevolezza alle aggravanti,
perché queste possano essere accollate occorre un coefficiente soggettivo,costituito o
dalla loro effettiva conoscenza o dallo loro colpevole ignoranza.
Per le attenuanti è rimasto inalterato il criterio di imputazione obiettiva,ciò si spiega
considerando che esse incidono favorevolmente sul trattamento punitivo e pertanto
non sollevano alcun problema di rispetto del principio di colpevolezza.
(Questa scelta è tesa a valorizzare le implicazioni scaturenti dalla sentenza cost.
364/1988,che anche se limitata al problema della scusabilità dell’ignoranza della
legge panale,dimostra come l’avvenuta costituzionalizzazione del principio di
colpevolezza impronti l’intero sistema penale).
Secondo una parte della dottrina tuttavia con la nuova disciplina il legislatore ha
previsto uan regola di imputazione soggettiva differenziata a seconda che l’aggravante
sia relativa ad un reato doloso o colposo:la conoscenza dell’elemento circostanziale
sarebbe richiesta solo se il reato è doloso mentre nel reato colposo è sufficiente che il
soggetto,pur potendola conoscere,non ne abbia conosciuto per colpa l’esistenza.
Secondo l’orientamento dominante invece ai fini dell’imputazione dell’aggravante
basta che il reo ne abbia ignorato per colpa l’esistenza;non importa se la circostanza
accede ad un reato base doloso o colposo;ci significa che la specifica colpevolezza
relativa alle circostanze aggravanti,esige in tutti i casi,come coefficiente minimo di
imputazione la colpa.
La rilevanza pratica dell’innovazione però è in realtà più modesta:anche prima della
riforma la regola dell’imputazione obiettiva subiva deroghe, sia esplicitamente
previste dal codice (art.60) sia implicite (vedi circostanze relative ai motivi
dell’azione). Inoltre la giurisprudenza di fatto teneva conto dell’atteggiamento
psicologico del reo per determinare la pena.
Tuttavia,alcune circostanze aggravanti possono essere state modellate dal legislatore
in un certo modo proprio perché originariamente pensate in un’ottica di attribuzione
oggettiva(per es. alcune circostanze estrinseche,che fanno leva su elementi che non
hanno nulla a che fare con la struttura del fatto tipico e che ne sono completamente
estranee:per es. la recidiva).
Disciplina ancora più aderente al principio di colpevolezza è prevista all’art. 60 per l’ errore
sulla persona offesa da un reato:“Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non
sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o
qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole (non basta, ai fini
dell’imputazione la mera conoscibilità). Sono valutati invece a favore del reo le attenuanti
erroneamente supposte riguardanti le qualità o i rapporti predetti.”
Es. Se Tizio ritiene di uccidere un nemico ed invece uccide il padre non si applica
l’aggravante del parricidio. Ai fini dell’applicabilità della norma sul parricidio sarebbe invece
necessaria la consapevolezza di indirizzare l’azione aggressiva verso il padre(non basta la
mera conoscibilità e quindi la colposa ignoranza della relazione parentale-come chiederebbe
l’art.59- dato che l’art.60 nel dare rilevanza all’errore non distingue tra quello colpevole e
quello incolpevole). Proprio per questo,l’art.60 prospetta rispetto ai casi di errore sulla
persona offesa,una regola di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti,che risulta
per il reo più favorevole di quella prevista oggi più in generale dal nuovo art.59,2c.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Stessa conclusione emerge sulla rilevanza che l’art.60 dà all’errore sull’esistenza di una
circostanza attenuante(es. Tizio che a causa di un errore percettivo,rivolge la propria azione
contro una persona diversa dal provocatore e lo uccide;Tizio beneficerà dell’attenuante della
provocazione come se avesse realmente ucciso il provocatore).
L’ult. c.dell’art 60 chiarisce che se si tratta di circostanze relative all’età o ad altre condizioni
o qualità fisiche e psichiche della persona offesa si applicano i generali criteri di imputazione
ex art. 59,2c.
diminuzione della pena dipendono dalla pena ordinaria. Si può arrivare ad una
importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad 1/3. Per esse vale la
regola che aumento e diminuzione, se intervengono altre circostanze, operano sulla
pena stabilita per la circostanza speciale e non sulla pena ordinaria del reato.
Dobbiamo capire adesso cosa s’intenda per CIRCOSTANZA AD EFFICACIA
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il giudizio di comparazione tra circostanze è stato oggetto della riforma del 2005 che proprio
per vincolare i giudice ad un maggiore rigore in sede di comparazione ha modificato l’art 69;
infatti è stato inserito un ult.c. aggiuntivo che introduce un divieto di prevalenza delle
• nei casi previsti dagli art.111 e 112,1c n4 relativi determinazione al reato di persone
non imputabili o non punibili.
Il legislatore non ha comunque vietato il giudizio di equivalenza tra circostanze concorrenti.
La nuova regola della preclusione legale di un giudizio di prevalenza a favore di recidivi
reiterati,suscita forti riserve(anche costituzionali),alla luce della ratio che dovrebbe ispirare il
giudizio di bilanciamento, cioè l’esigenza di apprezzare non solo la reale entità del fatto
criminoso, ma anche la personalità del colpevole,per adattare meglio la pena al caso concreto.
Alla luce di ciò,escludere un giudizio di piena comparazione la categoria dei recidivi reiterati
significa escluderli arbitrariamente dall’applicazione dei principi generali che impongono un
adeguamento concreto della pena alla personalità di tutti i colpevoli indistintamente:dal
principio di eguaglianza ai principi di individualizzazione del trattamento punitivo e
rieducazione ex art.27 Cost.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone; sevizie:
colpa cosciente,che tratteremo oltre)
inflizione di sofferenze non necessarie alla realizzazione del reato; crudeltà: inflizione
di sofferenze morali che oltrepassano i limiti del normale sentimento di umanità e che
appaiono superflue rispetto ai mezzi necessari per l’esecuzione del fatto delittuoso.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
condotta che integra questa circostanza è autonoma e successiva rispetto a quella che
dà vita al reato:occorre l’intenzione di aggravare. È un’aggravante di scarsa
applicazione giurisprudenziale:per es. chi, dopo avere ferito gravemente qualcuno,
rimuova (o tenti di rimuovere) la fasciatura per provocare un’emorragia (Cassazione
1939).
Natura controversa:soggettiva sotto il profilo relativo della preesistenza del proposito
criminoso, oggettiva se si valorizza il profilo della gravità del danno o del pericolo.
l’aver commesso il fatto con abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti ad una
pubblica funzione o a un pubblico servizio, o alla qualità di ministro di culto. Questa
aggravante non si applica quando l’abuso è elemento integrante del reato-base. Inoltre
non basata il mero possesso della qualifica di p.u. ecc., ma che tale qualifica abbia in
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
qualche modo agevolato l’esecuzione del reato(es.chi insegna in una scuola statale
abusando della sua posizione compie atti di libidine su alcune allieve). L’aggravante
non può essere applicata se l’abuso non è doloso;per cui si applica solo se
effettivamente conosciuta e voluta;ha natura soggettiva perché riguarda qualità
un pubblico servizio, o una persona rivestita della qualità di ministro del culto
cattolico o di culto ammesso nello Stato, o contro un agente diplomatico o
consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento della
funzione o del servizio. Vi è una tutela privilegiata a determinati soggetti dato lo
speciale ruolo rivestito. Il reato dev’essere commesso nell’atto o a causa delle
funzioni svolte dai soggetti passivi,ma non è necessario un rapporto di omogeneità tra
il reato e le funzioni in questione. Le nozioni relative a p.u. ecc. si ricavano dalla
legge o dal diritto internazionale.
Ha natura oggettiva perché riguarda la persona dell’offeso.
l’aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche o con abuso
di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione e di ospitalità. La ratio è
l’abuso di fiducia di chi commette il reato a danno di persone legate a lui da
particolari relazioni:la relazione di fiducia deve ritenersi presunta,cioè non serve di
volta in volta la prova della sua esistenza concreta.
L’abuso di autorità si ha quando si approfitti di una situazione di supremazia nei
confronti del soggetto passivo; l’abuso di relazioni domestiche quando le persone
coinvolte appartengono ad uno stesso nucleo familiare,anche se non legate da
reciproca parentela;le relazioni di ufficio possono consistere anche in relazioni di
mero fatto, indipendente dalla corrispondente qualifica giuridica,possono essere di
carattere temporaneo e l’ufficio è inteso come comunità di lavoro in cui sorgono
rapporti di reciproca fiducia.
In giurisprudenza il concetto di prestazione d’opera riguarda qualsiasi rapporto in
virtù del quale l’agente presti a qualunque titolo la propria opera a favore di altri.
Estensiva è anche
l’interpretazione dell’aggravante rispetto all’abuso di coabitazione e all’abuso di
ospitalità:per coabitazione s’intende non solo la convivenza ma anche la permanenza
non momentanea di 2 o più persone in un luogo idoneo alla vita domestica a
prescindere dal fatto che questa sia volontaria o imposta da ragioni esterne;per
ospitalità si ritiene sia sufficiente che il soggetto attivo venga accolto con il consenso
dell’ospitante.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• l’aver agito in stato d’ira, determinato dal fatto ingiusto altrui. Si tratta della
pacifistiche; concorre con la premeditazione. Tale circostanza ha natura soggettiva.
cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità,
o, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere
comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento
dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità.
La formulazione deriva da una integrazione del testo dell’art.62,n4 ad dalla
l.19/1990:elemento di novità è la considerazione del lucro e della sua entità,mentre in
precedenza la norma faceva solo riferimento al danno.
La circostanza aggravatrice del danno patrimoniale di rilevante gravità è stata
estesa,con il cp. del 30,ai reati determinati da motivi di lucro,mentre l’attenuante del
danno patrimoniale di speciale tenuità era in origine prevista solo per i reati contro il
patrimonio o che offendono il patrimonio:dopo la riforma c’è un rapporto simmetrico
tra l’attenuante e l’aggravante in questione,concedendo al giudice la possibilità di
valutare la tenuità del lucro quando il reato commesso sia stato concretamente
determinato da motivi di lucro.
La circostanza attenuante del danno di speciale tenuità è il rovescio dell’aggravante
del danno patrimoniale di rilevante gravità e sono adottabili analoghi criteri di
valutazione:il danno patrimoniale di speciale tenuità va valutato in relazione al valore
della cosa, mentre è criterio sussidiario il riferimento alle condizioni economiche del
soggetto passivo. Ai fini dell’accertamento, occorre guardare al momento della
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
colpevole, il fatto doloso della persona offesa. In questo caso sono necessari 2
elementi:
1. materiale: l'inserimento dell’azione nella serie delle cause che determinano
l’evento;
2. psichico: la volontà di concorrere alla produzione dell’evento.
Il concorso del fatto doloso dell’offeso non de’essere causa sopravvenuta, sufficiente
da sola a produrlo. Se fosse così,ex art.41,ult.c. si interromperebbe il nesso causale tra
l’evento e l’azione colpevole.
Tale attenuante è esclusa nei delitti sessuali in danno dei minori o degli incapaci di
intendere e volere,perché questi non sono in grado di dare un contributo volontario al
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
diretta a consentire una riduzione del minimo edittale della pena,se questo minimo si
riveli sproporzionato rispetto alla gravità del fatto ed alla personalità del
colpevole;così le circostanze generiche avrebbero la stessa funzione degli indici
generali di commisurazione della pena, vanificando la funzione autonoma dell’art.62-
consistente nel permette al giudice di cogliere un valore positivo del fatto, nuovo e
diverso rispetto ai valori considerati nell’art.62.Si tratta di circostanze diverse da
quelle previste tipicamente, applicabili indipendentemente dalla valutazione
complessiva del fatto e della personalità dell’agente; la loro funzione è quella di
dare rilevanza a fatti desumibili solo dai casi concreti e ciò implica che l’art.62-bis
si applichi anche se la pena base è irrogata in misura superiore al minimo,l’illecito sia
obiettivamente grave ed il reo abbia precedenti penali.
Anche in questo caso vige il principio del divieto della doppia valutazione:se un valore
attenuante può essere preso in considerazione,sia come criterio di commisurazione ex
art.133,sia come circostanza generica ex art.162-bis,lo si dovrà valutare una sola
volta(principio del ne bis in idem).
I valori attenuanti riconducibili alla generica previsione dell’art.62 però non possono essere
elencati esaustivamente.Il riconoscimento della natura circostanziale delle attenuanti
generiche,comporta che ad esse si applichi la disciplina delle circostanze in senso tecnico.
Le circostanze generiche si considerano sempre come una sola circostanza e sono
soggette al principio del bilanciamento ex art.69,2 e 3c.
La l. di riforma del 2005 ha aggiunto il 2c all’art.62-bis “Ai fini dell’applicazione del 1c non
si tiene conto dei criteri di cui all’art.133,1c n3 e 2c,nei casi previsti dall’art.99,4c in
relazione ai delitti previsti all’art.407,2c lett a) del cpp,nel caso in cui siano puniti con pena di
reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni” [cioè esso vieta, ai fini dell’applicabilità della
diminuzione di pena, una valutazione che tenga conto di parametri soggettivi, per i recidivi di
cui all’art 99,4c (recidiva reiterata), che siano autori di alcune tipologie delittuose previste
dall’art.407 cpp].
Critiche:l’obiettivo è di ridurre la discrezionalità del giudice nel concedere le circostanze
generiche anche ai recidi reiterati precludendogli di tenere conto dei criteri di
commisurazione della pena ex art 133 circa l’intensità del dolo e la capacità di
delinquere,implica che la valutazione giudiziale si incentrerà solo sugli altri parametri a
carattere oggettivo circa la gravità del danno o del pericolo causato alla persona offesa dal
132
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
11. La recidiva.
La recidiva,cioè la ricaduta nel reato è annoverata tra le circostanze inerenti la persona del
colpevole (art.69,4c e art.70,2c).
• reagire al rischio di una troppo scarsa applicazione della recidiva per effetto di un
Riforma del 2005:
• Modifica dei reati-presupposto(identificati adesso solo nei delitti non colposi) con
aumenti di pena più consistenti.
• recidiva semplice consiste nella commissione di un delitto non colposo a seguito della
L’art. 99 prevede 3 forme di recidiva, ma la riforma del 2005 ne ha aggiunta una quarta.
133
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
quali siano intervenute cause estintive di tutti gli effetti penali (es. riabilitazione).
recidiva aggravata consiste nella commissione di un delitto non colposo della stessa
indole(art.101)(cd. recidiva specifica) o di altro delitto non colposo entro 5 anni dalla
condanna precedente (cd.recidiva infraquinquennale) o durante o dopo l’esecuzione
della pena o nel tempo in cui in condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione
della pena. In questi casi la pena può essere aumentata fino a ½ ; se concorrono più
circostanze tra quelle che fanno da presupposto alla recidiva aggravata,l’aumento di
pena non può ma deve essere della metà.
Nell’ambito della recidiva aggravata (ed in particolare in quella cd. specifica)
assumono rilevanza anche i cd. reati della stessa indole,ex art.101 “sono tali non solo i
reati che violano una stessa disposizione di legge ma anche quelli che… presentano
nei casi concreti caratteri fondamentalmente comuni”. La stessa indole è implicita
nella violazione della stessa disposizione di legge,cioè lo stesso titolo di reato,e la
stessa indole ricorre tra la forma consumata e tentata o circostanziata di una stessa
figura criminosa.
Se si tratti di reati che violano disposizioni incriminatrici diverse,tra i reati stessi
dovranno intercorrere caratteri fondamentali comuni e questi andranno desunti da un
confronto dei reati sotto 2 profili:
1. dal punto di vista la natura dei fatti che li costituiscono (es.sussiste tra la
truffa, la frode in commercio, la bancarotta fraudolenta) occorre accertare
non un’omogeneità di astratte fattispecie legali,ma una sostanziale
omogeneità dei fatti concreti considerati nelle effettive modalità di
realizzazione e nei risultati lesivi che ne conseguono;
2. dal punto di vista dei motivi che determinano la commissione dei reati (es.
un danneggiamento e un omicidio tesi a realizzare una vendetta mafiosa)
•
bisogna verificare se alla base vi è una stessa motivazione psicologica.
recidiva reiterata consiste nella commissione di un delitto non colposo da parte di chi
già era recidivo. Dopo la riforma del 2005 l’aumento della pena è della ½ (e non più
fino alla ½ ) per la recidiva semplice; di 2/3 (e non più fino a 2/3) se la precedente
•
recidiva è aggravata o ex art.99,4c.
recidiva (reiterata) obbligatoria ex art.99,5c (introdotta con la riforma del 2005) si
riferisce al soggetto recidivo che commette uno dei delitti indicati nell’art.407,2c
lett.a) cpp.
Per la prima volta il catalogo di reati ex art.407 cpp viene preso a fondamento per
disciplinare un istituto di carattere sostanziale,tuttavia è chiara l’assenza di un nesso
tra queste tipologie di reati ed il giudizio di maggiore pericolosità legislativamente
presunta quando i delitti precedentemente commessi sono di modesta entità o non c’è
omogeneità tra i delitti precedenti e quelli successivi.
L’idea che la recidiva obbligatoria si basi su di una presunzione legale di pericolosità
non è sostenibile scientificamente;inoltre non è limitata ai casi di reiterazione ma
include quelli di recidiva aggravata ex 2c, rispetto ai quali la pena “ non può essere
•
inferiore ad 1/3 della pena da infliggere per il nuovo reato” (art.99,5c).
Art.99 ult.c. “in nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare
il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo
delitto non colposo”. Circa gli effetti,la recidiva comporta un aumento di pena e
ulteriori conseguenze minori in rapporto all’amnistia, all’indulto, alla sospensione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO V
DELITTO TENTATO
• Nei reati di evento oltre alla realizzazione della condotta serve anche la produzione
della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene).
dell’evento (es. omicidio:il reato è consumato solo nel momento in cui si verifica
l’evento morte di un uomo).
• stabilire quale norma applicare in caso di successione di leggi nel tempo (art.2),
Determinare il momento della consumazione di un reato rileva al fine di:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• il criterio dell’univocità(Carrara): sono preparatori tutti gli atti che, pur idonei alla
Per risolvere la questione sono stati proposti diversi criteri,3 i più importanti:
commissione del reato, erano equivoci; esecutivi invece gli atti univoci. La
tutti gli atti che rimangono nella sfera del oggetto attivo,esecutivi quelli che invadono
la sfera del soggetto passivo. Obiezioni:risulta generico lo stesso concetto di sfera del
soggetto passivo e questa sfera manca fin dall’inizio nei reati a soggetto passivo
• il criterio dell’azione tipica (teoria formale oggettiva):sono esecutivi solo gli atti che
pubblico o indeterminato;
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il legislatore del ‘30 ha cercato do trovare una soluzione alla questione abbandonando il
criterio dell’inizio dell’esecuzione.
L’art.56 disciplina gli elementi costitutivi del delitto tentato “chi compie atti idonei diretti in
modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si
compie o l’evento non si verifica”. La norma fa leva sul duplice requisito della idoneità ed
univocità degli atti.
causale e cioè gli atti posti in essere dovevano essere capaci di realizzare l’evento
preso di mira.
Obiezione:nel tentativo manca l’evento (non vi è quindi un rapporto di
causalità):manca nel delitto tentato l’evento del corrispondente delitto consumato.Se si
adotta un’ottica di tipo causale, il giudizio sull’idoneità dovrebbe compiersi ex post:
così non si avrebbe mai tentativo punibile, proprio perché il mancato verificarsi
dell’evento sarebbe prova dell’inidoneità degli atti compiuti a causarlo. Inoltre,ciò
presupporrebbe che tutti i reati presentino nella loro struttura un evento
naturalistico(ma sappiamo che non è così per i reati di mera condotta,l’idoneità va
per verificare l’idoneità occorre un giudizio ex ante e in concreto:il giudice cioè dovrà
porsi idealmente nella stessa condizione dell’agente all’inizio dell’attività criminosa
ed accertare se gli atti erano in grado di sfociare nella commissione del reato.
Questo accertamento è detto prognosi postuma perché,il giudizio prognostico è fatto
dopo la commissione degli atti di tentativo,ma ponendosi con la mente al momento
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Vi sono diversità di vedute circa il grado o livello di idoneità necessario per configurare
tentativo punibile: spesso ci si accontenta che gli atti posti in essere rendano possibile il
verificarsi dell’evento;altre volte della ragionevole possibilità di raggiungere il risultato;altre
volte si considera adeguata l’azione rispetto all’evento voluto;altre volte si esige la
verosimiglianza rispetto all’evento voluto;infine si richiede la probabilità di verificazione del
reato.
Si tace però sui criteri che dovrebbero presiedere la graduazione di probabilità,possibilità
ecc.;in assenza di indicazioni legislative precise,occorre fare riferimento al criterio
sostanziale della punibilità del tentativo: cioè impedire la messa in pericolo del bene protetto.
Posto che il pericolo presuppone la probabilità che l’evento lesivo si verifichi,per
ritenere che gli atti del tentativo mettano in pericolo il bene protetto bisogna accertarne
la rilevante attitudine a conseguire l’obiettivo(ATTENZIONE perché QUESTO è IL VERO
SIGNIFICATO DI IDONEITA’ NEL TENTATIVO):cioè devono essere sia più vicini alla
probabilità che alla mera non possibilità.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
6. Elemento soggettivo.
Nel nostro ordinamento il tentativo è punibile solo se commesso con dolo,non è
configurabile invece un tentativo colposo. Questa esclusione è spiegabile:partendo dal
concetto comune di tentativo ,come atto intenzionalmente diretto ad un risultato,ipotizzare un
tentativo “involontario” sembra incongruente.
Si discute se il dolo del tentativo sia identico o meno al dolo della consumazione,ciò ha dei
riflessi pratici:se si accoglie la tesi dell’identità strutturale ne deriva che il tentativo è
realizzabile con tutte le forme di dolo previste nell’ambito della consumazione,compreso il
dolo eventuale;ma proprio questo è oggetto di controversia:se Tizio dà fuoco ad una
palazzina prevedendo e accenttando il rischio che in quel momento ci sia una persona anziana
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
che anche il dolo del tentativo abbia una connotazione peculiare,che non
•
coincide con quella della consumazione.
resta ferma l’incompatibilità strutturale tra dolo eventuale e il requisito
dell’univocità della condotta, anche accogliendo una concezione oggettiva.
Nello stesso concetto di tentativo è insita una condotta orientata ad uno
scopo e non la mera accettazione del rischio di un evento possibile o
probabile. Ciò trova riscontro nell’inequivocità degli atti che concernono il
comportamento materiale a cui va correlate l’atteggiamento
psicologico,cioè la volontà diretta di conseguire il risultato criminoso
preso di mira.
La direzione finalistica dell’atto dev’essere certa sia sul piano materiale
che psicologico; mentre non sarà univoco un comportamento che l’agente
realizzi senza tendere a realizzarlo ma solo accettando il rischio che
questo si verifichi.
connota per l’assenza della volontà delittuosa sarebbe contraddittorio ammettere che il
il tentativo equivale già a consumazione e non si può ipotizzare un atto idoneo diretto
• Nei reati condizionati dipende dalla possibilità del verificarsi di una condizione
donna dopo il tentativo di aborto).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Escluso è il tentativo nei reati abituali :le singole azioni non hanno rilevanza penale
•
autonoma.
Nei reati permanenti il tentativo è possibile solo se la condotta positiva è frazionabile.
8. Tentativo e circostanze
• Tentativo circostanziato di delitto: si ha quando le circostanze si realizzano
Discussa è invece la questione dei rapporti tra tentativo e circostanze:si distingue tra :
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
2. l’idea stessa del “ponte d’oro”,si basa su concezioni psicologiche estranee alla realtà,
perché il soggetto che delinque è solitamente spinto da motivi di natura diversa e
spesso non capace di valutare razionalmente pro e contro delle sue azioni.
La ragione giustificatrice del fondamento sostanziale della desistenza può essere individuata
nell’ottica degli scopi di prevenzione generale e speciale della pena:chi torna di sua iniziativa
sui suoi passi,da un lato non è un esempio pericoloso per gli altri e dall’altro mostra di non
possedere una volontà criminosa così intensa da giustificare il ricorso ad una pena
rieducativa.
La distinzione tra desistenza e recesso si basa sulla distinzione tra il tentativo compiuto e
quello incompiuto(figure distinte in base ad un criterio ex post che si basa sull’esaurimento o
meno dell’azione esecutiva):la desistenza sussiste quando si recede da un’azione che non ha
ancora completato il suo iter esecutivo, si ha recesso quando l’azione criminosa si è
compiutamente realizzata ma l’agente riesce ad impedire il verificarsi dell’evento.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
rovescio il contenuto dell’art 56:il reato impossibile non sarebbe altro che tentativo
impossibile; in particolare è superflua la menzione dell’inesistenza dell’oggetto
perché la sua mancanza inciderebbe sull’idoneità dell’azione come requisito che va
accertato in concreto tenendo conto delle circostanze in cui il fatto si svolge (il
• Altra dottrina:l’art.49,2c ha portata generale,espressione del principio per cui non può
tentativo non idoneo non è punibile).
esservi reato senza lesione o messa in pericolo (offesa) effettiva del bene protetto
(concezione realistica); in caso di mancata corrispondenza tra tipicità ed offesa del
bene protetto di fronte a condotte conformi alla fattispecie incriminatrice ma innocue
perchè incapaci di ledere l’interesse protetto,il ricorso al 2c dell’art.49,legittimerebbe
una concezione realistica che,escludendo l’esistenza del resto,escluderebbe anche la
punibilità del fatto.
Questa tesi poggia su elementi desunti dal confronto tra la disciplina del reato
impossibile e del tentativo: l’art.56 parla di atti,mentre l’art.49 di azione; l’art.56 non
spiega come mai gli atti diretti in modo inequivoco a commettere una
contravvenzione rimangono impuniti se idonei a produrre l’evento,dato che il
tentativo non è configurabile nelle contravvenzioni,mentre possono portare
all’applicazione di una misura di sicurezza (l’art.49 è applicabile anche alle
contravvenzioni). Due obiezioni:l’art.49 non informando sulla natura degli interessi
tutelati,non aiuta a stabilire quando sussista la lesione o messa in pericolo del bene
protetto:è necessario desumere l’interesse tutelato dalle singole fattispecie
incriminatrici; (seconda obiezione) ma se è così allora sarà impossibile ipotizzare un
fatto conforme alla fattispecie incriminatrice ma che non sia lesivo dell’interesse
tutelato(che si desume da queste).
Alla luce di tutto ciò la vera funzione dell’art.49 è sancire l’irrilevanza penale del tentativo
assolutamente inidoneo in concreto a mettere in pericolo il bene:il pericolo insito nel
tentativo dev’essere veramente esistito come fatto,cioè come possibilità reale di offesa, perciò
il tentativo è escluso quando il fatto astrattamente idoneo,al momento dell’azione,a
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO VI
CONCORSO DI PERSONE
1. Premessa
Si parla di concorso di persone nel reato per indicare i casi in cui più persone concorrono
alla realizzazione di un medesimo reato. Il fenomeno è sempre più attuale per il crescere delle
forme di criminalità collettiva o organizzata.
E' necessario fissare alcuni criteri per differenziare l’istituto del concorso di persone da quello
affine ma distinto dell’associazione a delinquere.
Sono astrattamente ipotizzabili diversi modelli di disciplina del concorso criminoso; dal
punto di vista della configurazione normativa della fattispecie concorsuale, il legislatore si
alla fattispecie concorsuale tutte le condotte dotate di efficacia causale nei confronti
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
parte speciale con quelle sul concorso non nascerebbe una fattispecie plurisoggettiva
eventuale, ma tante fattispecie plurisoggettive differenziate quanti sono i
concorrenti: queste fattispecie avrebbero in comune il medesimo nucleo di
accadimento materiale, ma si distinguerebbero per l'atteggiamento psichico (per
ciascuna di esse è quello proprio del compartecipe che si considera) e per taluni
aspetti esteriori (che ineriscono soltanto alla condotta dell’uno o dell’altro
compartecipante).
In realtà sia la teoria dell’accessorietà che la teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale
sono in grado, seppure in diversa misura, di spiegare la punibilità delle condotte di mera
partecipazione.
Non mancano gli argomenti per controbattere alle critiche mosse alla teoria
• per quanto riguarda i reati ad esecuzione frazionata, si può rilevare che in questi casi
dell’accessorietà:
ciascuna condotta può ritenersi accessoria rispetto all’altra (es. caso rapina: A che
minaccia con la pistola accede a quella di B che sottrae il portafoglio, integrandone la
tipicità e viceversa). Lo schema dell’accessorietà permane, riferito però non ad una
condotta sia pure principale e ad una secondaria, ma a due condotte entrambe non
può sostenere che esso possa essere realizzato solo dal soggetto qualificato. Così se
per esempio è un inserviente e non il capo ufficio titolare della qualifica ad
appropriarsi di pubblico denaro si configurerà non un concorso di peculato, ma un
concorso in furto o in appropriazione indebita.
Sembra però che la teoria della fattispecie plurisoggettiva spieghi meglio il fenomeno sul
piano logico- formale: la fattispecie concorsuale dà vita ad una nuova tipicità ad essa relativa,
alla quale vanno rapportate le forme di partecipazione che da sole non integrerebbero le
fattispecie incriminatici di parte speciale. Non per questo sul piano logico-astratto
(sostanziale) la teoria plurisoggettiva appare sempre chiara: essa non è priva di difetti, infatti
non indica quali sono i criteri minimi di una partecipazione penalmente rilevante ovverosia a
quali condizioni le condotte di partecipazione, atipiche riguardo alla fattispecie incriminatrice
di parte speciale, divengono tipiche rispetto alla fattispecie concorsuale.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• pluralità di agenti
4. l’elemento soggettivo
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
autore (colui che compie gli atti esecutivi del reato), coautore (interviene
insieme ad altri nella fase esecutiva), complice (è il compartecipe che si limita
ad apportare un qualsiasi aiuto materiale nella preparazione o esecuzione del
reato).
Se è pacifica la responsabilità di chi nell’esecuzione del fatto assume il ruolo
di autore o coautore, meno ovvia appare la punibilità del semplice complice, si
dibatte infatti sui coefficienti minimi che ne giustificano l’incriminazione a
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
non può essere punito per assenza di dolo ogni qual volta abbia agito
con lo scopo di assicurare i colpevoli alla giustizia e non abbia
nemmeno accettato il rischio dell’effettiva consumazione del reato.
Nelle ipotesi specificatamente previste degli agenti che agiscono allo scopo di
reprimere lo spaccio di droga, il riciclaggio o il traffico di armi, si deve
ritenere un inquadramento di tali ipotesi sotto il paradigma della causa di
giustificazione, più in particolare come ipotesi speciali di adempimento di un
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Dal 1991 (aggiunte apportate dalle l.203/91 e 172/92) il testo dell’art 112 contiene 2 nuovi
comma che stabiliscono:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
o l’aumento di pena fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non
punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un
delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza
o un ulteriore aumento di pena se chi ha determinato o si è avvalso di persona non
imputabile o non punibile è il genitore esercente la potestà
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La giurisprudenza ordinaria quindi propende oggi per la tesi che i presupposti della
responsabilità ex art 116 siano due: il rapporto di causalità tra l'azione di ogni partecipe e il
reato diverso da quello programmato; la prevedibilità di tale reato diverso non voluto. In
ordine al secondo requisito si registrano due varianti interpretative:
o secondo parte della dottrina è sufficiente una prevedibilità in astratto: l’illecito non
voluto deve appartenere al tipo astratto di quelli che, in linea puramente logica, si
configurano come sviluppo del reato originariamente voluto (es. lesioni → omicidio)
o secondo altro orientamento è richiesta la prevedibilità in concreto: per stabilire se il
reato diverso effettivamente realizzato rappresenti un prevedibile sviluppo di quello
programmato, occorre analizzare il concreto piano d'azione dei concorrenti.
Per reato diverso deve intendersi quello avente un diverso nomen iuris: non è tale un reato
aggravato (es. furto con scasso) rispetto a un reato semplice.
L’art.116,2c prevede un’attenuante: se il reato commesso è più grave la pena è diminuita per
chi volle il reato meno grave.
Perchè si verifichi il mutamento del titolo di reato, è necessario che sia l’intraneo a porre in
essere l’attività esecutiva o l’esecutore può essere anche l’estraneo? Ad esempio se un
pubblico ufficiale agevola, lasciando aperta la cassaforte, il furto di un ladro comune, si
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Lo stesso art 117 prevede un’attenuante facoltativa a favore di chi volle il reato meno grave.
Tale attenuante è applicabile, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, solo
al soggetto ignaro della qualifica.
Nel silenzio della legge si ritiene che le circostanze diverse da quelle menzionate
soggiacciano alla regola generale di cui all’art 59 :
o le aggravanti (per le quali vige il principio di colpevolezza) si applicano solo ai
concorrenti che ne abbiano avuto conoscenza effettiva o soltanto potenziale;
o le attenuanti, per la loro rilevanza oggettiva, sono estendibili a tutti i partecipanti
(salvo quelle a carattere soggettivo menzionate nell'art.118).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Per quanto riguarda gli impropri, si discute se la condotta del concorrente, esente da pena in
base alla norma incriminatrice, possa sottostare alla disciplina del concorso eventuale. A
nostro avviso è da preferire l’orientamento tradizionale che nega comunque la punibilità del
concorrente non espressamente incriminato dalla norma incriminatrice di parte speciale,
rifacendosi al principio generale di legalità (nullum crimen sine lege).
Altro aspetto discusso riguarda l’applicabilità ai concorrenti necessari, punibili in base alla
norma incriminatrice di parte speciale, delle norme sul concorso eventuale relative alle
circostanze aggravanti e attenuanti. La giurisprudenza lo esclude, la dottrina oggi dominante
invece ritiene che tali norme siano applicabili anche al concorso necessario, a meno che non
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
espressamente derogate.
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PARTE III
IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
CAPITOLO I
IL REATO COMMISSIVO COLPOSO
SEZIONE I: TIPICITÀ
1. Premessa
Negli ultimi decenni si è assisto ad un impressionante aumento della criminalità colposa. Di
qui la necessità di un maggiore approfondimento dogmatico della struttura del delitto
colposo, che ha infine indotto la dottrina più recente a costruire la fattispecie colposa in modo
separato ed autonomo rispetto al modello doloso di reato.
Il reato colposo non costituisce soltanto una seconda e meno grave forma di colpevolezza da
affiancare al dolo.
Rappresenta un modello specifico di illecito penale dotato di struttura e caratteristiche proprie
che emergono già sul piano della tipicità e che si riflettono fin sul terreno della colpevolezza.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
colposo vi è azione penalmente rilevante finché è possibile muovere un rimprovero per colpa:
in altri termini, i presupposti dell’azione finiscono col coincidere con le condizioni che
rendono possibile l’imputazione colposa. Detto in breve: azione e colpa stanno e cadono
insieme. Dei reati dolosi, dunque, la coscienza e volontà consiste in un coefficiente
psicologico (colpa c.d. cosciente), ora con un dato normativo (colpa c.d. incosciente). In
quest’ultimo senso l’azione si considera «voluta» anche quando risulta soltanto «dominabile»
dal volere.
All’agente si rimprovera cioè di non aver attivato quei poteri di controllo che doveva e
poteva attivare per scongiurare l’evento normativo proprio perché il rimprovero si
fonda, essenzialmente, sul fatto che l’agente non ha osservato, pur potendolo, lo
standard di diligenza richiesto nella situazione concreta.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
ossia senza distinzione tra colpa grave e colpa lieve. Questo anche per evitare il
rischio che un aprioristico abbassamento del grado di perizia esigibile dal medico
comporti un'eccessiva indulgenza, con conseguente disparità di trattamento rispetto ad
altre categorie professionali.
2. colpa specifica (da fonte giuridica): sussiste quando vengono violate regole cautelari
poste da fonti giuridiche o scritte. L’art 43 (sopra menzionato) parla di leggi,
regolamenti, ordini o discipline: nel mondo moderno si assiste al fenomeno di una
crescente positivizzazione delle regole di prudenza, ai fini di disciplinare le situazioni
di pericolo più tipiche e più rilevanti.
Nel concetto di leggi potrà rientrare non una qualsiasi legge penale, ma soltanto quella
che abbia una specifica finalità precauzionale.
I regolamenti contengono norme a carattere generale predisposte dall’Autorità
pubblica per regolare lo svolgimento di determinate attività.
Gli ordini e le discipline contengono norme indirizzate ad una cerchia specifica di
destinatari e possono essere emanati da Autorità sia pubbliche che private (es.
disciplina interna di una fabbrica). Occorre di volta in volta verificare se le norme
scritte esauriscano la misura di diligenza richiesta all’agente nelle situazioni
considerate: solo in questo caso l’osservanza delle stesse esclude la responsabilità
penale. Ove invece residui uno spazio di esigenze preventive non coperte dalla
disposizione scritta, il giudizio di colpa può tornare a basarsi sull’inosservanza di una
generica misura precauzionale. Es. se un motociclista pur rispettando i limiti di
velocità prescritti si accorge che alcuni bambini giocano in mezzo alla strada deve
adottare ulteriori misure cautelari o in caso di incidente risponderà penalmente.
Le norme giuridiche a contenuto prudenziale possono essere:
o rigide: quando predeterminano in maniera assoluta la regola di condotta (es. fermarsi
col rosso)
o elastiche: quando la regola di condotta va specificata in base alle circostanze del caso
concreto (es. distanza di sicurezza dei veicoli va rapportata allo spazio di frenata).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Parte della dottrina penalistica sostiene che l’accertamento della colpa debba seguire due fasi:
si parla in tal senso di doppia misura della colpa.
o in sede di tipicità: si accerta la violazione del dovere obiettivo di diligenza
commisurato alla stregua dell’agente-modello;
o in sede di colpevolezza, rimarrebbe da verificare se il soggetto che ha agito in
concreto era in grado (secondo il suo individuale potere di agire) di impersonare il
tipo ideale di agente collocato nella situazione data.
Per fondare una responsabilità penale è necessario che entrambi i profili siano integrati.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
seconda che la condotta del terzo dia luogo a sua volta ad una
responsabilità colposa o dolosa.
o Nel caso di responsabilità colposa del terzo la dottrina ritiene che la
prevedibilità che il nostro comportamento possa agevolare la condotta colposa
di un terzo non è sufficiente a farci incorrere in una responsabilità penale,
poiché per il principio dell’affidamento ogni consociato deve poter confidare
nel rispetto da parte degli altri delle regole precauzionali (questo anche in
modo da circoscrivere l'ambito del dovere obiettivo di diligenza incombente
su ciascuno entro limiti il più possibile compatibili col carattere personale
della responsabilità penale).
Tale principio subisce delle eccezioni:
o quando le circostanze concrete lascino presumere che il terzo
non sia in grado di rispettare le regole di condotta,
o quando per la posizione di garanzia rivestita si ha l’obbligo di
controllare la condotta del terzo (es. l’infermiere deve impedire
al pazzo di compiere azioni pericolose);
Va affrontato in questa categoria anche il problema della
responsabilità colposa nelle attività di equipe. Es. un urologo
nel chiudere un’operazione dimentica una garza nel ventre della
paziente la quale decede: risponde di omicidio colposo anche il
chirurgo capo equipe allontanatosi poco prima? La regola
generale è che ogni partecipante ad un'attività medica di
equipe risponde solo del corretto adempimento dei doveri di
diligenza e perizia inerenti ai compiti che gli sono
specificamente affidati. Nello specifico, la responsabilità
colposa per il decesso del paziente potrà gravare anche sul
chirurgo capo equipe solo se la dimenticanza dell'urologo
direttamente responsabile è dovuta a una situazione di difficoltà
conosciuta o conoscibile da parte del capo.
o Nel caso di responsabilità dolosa del terzo (e quindi mancato impedimento del
comportamento doloso del terzo) vale a maggior ragione il principio di
autoresponsabilità per cui ciascuno risponde delle proprie azioni deliberate in
modo libero e responsabile.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Tra i correttivi proposti quello che più convince è il criterio dell’aumento del rischio: ai fini
del giudizio di responsabilità occorre verificare se l’inosservanza della regola di condotta ha
determinato un aumento del rischio di verificazione dell’evento lesivo.
1. Premessa
Anche nel caso del reato colposo, va accertata l’assenza di cause di giustificazione, ai fini
della formulazione del giudizio di antigiuridicità.
La tipicità ha anche qui una funzione indiziante rispetto all’antigiuridicità concepita come
assenza di cause di giustificazione.
La diversità strutturale tra reato doloso e colposo fa sì che per quanto riguarda quest'ultimo
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
non sono forse prospettabili tutte le scriminanti esistenti: si fa riferimento soprattutto alle
questioni riguardanti il consenso dell'avente diritto, la legittima difesa e lo stato di necessità.
La causa di giustificazione del consenso è stata in passato invocata anche per legittimare
l’attività medica e l’attività sportiva. Oggi invece si tende a ridimensionare la funzione
scriminante del consenso e a rinvenire il fondamento della liceità di tali attività nell’art 51cp
(autorità giuridicamente autorizzate) ed il consenso è richiamato quale condizione aggiuntiva
di legittimità (es. consenso del paziente nell'attività terapeutica) o per rendere legittime delle
condotte che fuoriescono dallo schema di quelle autorizzate (es. forme di violenza che
travalicano i limiti di quella autorizzata nello sport).
3. Legittima difesa
Secondo parte della giurisprudenza la legittima difesa è incompatibile con il delitto colposo
perché presuppone la volontà di ledere l’aggressore mentre nel reato colposo fa difetto
proprio la volontà dell'offesa. Tale assunto non convince: è ben possibile che nell’ambito
dell’azione difensiva si possa provocare anche un evento lesivo non voluto e che l'agente
avrebbe potuto evitare con l'uso della diligenza dovuta. Oltretutto sarebbe davvero strano se
l’ordinamento consentisse di ledere volontariamente l’aggressore (legittima difesa come
causa di giustificazione nel delitto doloso) e punisse invece le conseguenze involontarie di
un’azione difensiva (legittima difesa come causa di giustificazione nel delitto colposo).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Es. Tizio, attorniato da alcuni giovani che stanno per percuoterlo, estrae un’arma e li
minaccia: ma i giovani, anziché fuggire, tentano di disarmarlo per cui, nella colluttazione che
ne consegue, parte involontariamente un colpo che uccide uno degli aggressori.
4. Stato di necessità
È ammessa in maniera pacifica la configurabilità dello stato di necessità nel delitto colposo,
sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Es. Un padre alla guida dell’auto vede il figlio pedone in pericolo ed arresta bruscamente il
mezzo, provocando le lesioni di un motociclista che si scontra con il mezzo imprudentemente
abbandonato. La giurisprudenza in casi simili, tratta lo stato di necessità come esclusione
della colpa e non come causa di giustificazione.
Perché sussista lo stato di necessità occorre che l’azione necessitata violi il dovere obiettivo
di diligenza (è il caso dell'esempio del genitore).
In altre ipotesi invece, l'azione necessitata viola solo apparentemente il dovere di diligenza.
Ciò avviene ad es. nel caso dell’autista dell’autobus che per evitare un incidente freni
bruscamente provocando lesioni ai passeggeri: il comportamento del soggetto, essendo
diretto a tutelare anche il bene della persona che ne risulta offesa, realizza in concreto il
migliore adempimento possibile del dovere generale di prudenza posto a garanzia della
sicurezza della circolazione.
Distinguere tra i due casi è importante: non potrà riconoscersi il diritto all'indennità fissato
dall'art 2045 del codice civile (indennità prevista per la vittima di un fatto dannoso compiuto
in stato di necessità) quando il fatto tipico viene a mancare per la conformità del
comportamento necessitato alla regola precauzionale.
L'indennità si riconoscerebbe quindi solo al motociclista e non ai passeggeri dell'autobus.
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principiante che a lezione di guida, in una situazione di emergenza, non realizza la manovra
necessaria ad evitare il ferimento di un terzo.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE IV
IL REATO OMISSIVO
CAPITOLO I
IL REATO OMISSIVO
1. Premessa
Il modello tipico di illecito penale è tradizionalmente costituito dal reato di azione.
Coerentemente ad un’ideologia individualistico-liberale l’unico limite alla libertà d’azione del
cittadino era rappresentato dall’obbligo di non aggredire le altrui posizioni di interesse:
dunque fino a buona parte dell'Ottocento il reato omissivo costituisce l'eccezione.
Conformemente all’affermarsi del diverso principio solidaristico che fa obbligo non solo di
astenersi dal compiere azioni lesive, quanto di attivarsi per la salvaguardia dei beni altrui
posti in pericolo (esempio tipico: i datori di lavoro), si assiste al progressivo incremento delle
forme di responsabilità per omissione. A partire dai primi del Novecento comincia ad essere
oggetto di trattazione monografica il reato omissivo improprio, e una certa attenzione viene
dedicata, a seguire, anche allo studio del reato omissivo proprio.
Con il crescere dei reati omissivi aumenta anche l’attenzione della dottrina per tale figura di
reato che merita pertanto uno studio a sè stante e un'analisi separata che si preoccupi di porre
in evidenza le peculiarità strutturali.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Tale orientamento tende a generalizzare e non tiene in considerazione che una disamina più
approfondita consentirebbe di distinguere ipotesi di pura disobbedienza e ipotesi in cui le
fattispecie omissive sono poste a presidio di un quid del tutto assimilabile al concetto di bene
giuridico. Nulla impedisce che in certi casi possa assurgere alla dignità di bene meritevole di
protezione penale proprio l'interesse attuale al conseguimento di utilità future (es. beni
cosiddetti di prestazione, costituiti dalle disponibilità economico finanziarie necessarie ad
assolvere le funzioni tipiche di uno Stato sociale di diritto).
Il problema dunque non è più quello della compatibilità tra il diritto penale dell'omissione e
l'idea della protezione dei beni giuridici; si tratta invece di verificare di volta in volta se
l'interesse tutelabile mediante la creazione di una fattispecie omissiva abbia, nella stessa
coscienza sociale, raggiunto un tale livello di consolidamento da far apparire necessario e
legittimo il ricorso alla tutela penale.
comanda di realizzare.
L’omittente viene punito per non aver realizzato l’azione doverosa, e non per non aver
impedito il verificarsi dell’evento che eventualmente ne deriva. Così il reato di
omissione di soccorso di cui all’art 593 incrimina la semplice omissione
dell’assistenza alla persona in pericolo. Se ne consegue la morte è prevista
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
1. Situazione tipica
Il legislatore provvede a fissare gli elementi costitutivi della fattispecie omissiva propria.
La figura in esame è strutturalmente costituita da una situazione tipica, che può essere
definita come l’insieme dei presupposti da cui scaturisce l’obbligo di attivarsi. Es.
nell’omissione di soccorso la situazione tipica è costituita dalla condizione di pericolo in cui
versa il soggetto bisognoso di aiuto. Nel descrivere la situazione tipica, la norma
incriminatrice indica anche il fine cui deve tendere il compimento dell'azione comandata; il
contenuto dell'obbligo di agire a volte è specificato, a volte stabilito in forma generica.
Nel descrivere la fattispecie il legislatore può utilizzare elementi descrittivi (che in quanto tali
rinviano alla realtà naturalistica) o elementi normativi giuridici, così come nel reato
commissivo. E' andata aumentando nella nostra legislazione la tendenza a impiegare la
seconda tecnica normativa, ciò ha fatto sì che il settore dei reati omissivi propri si sia andato
connotando sempre più come un terreno privo di immediate connessioni con la comune realtà
naturale e sociale, caratterizzato da una certa artificiosità. Come vedremo, alla luce di questo
le fattispecie omissive proprie possono essere distinte in due sotto-categorie, a seconda che la
relativa situazione tipica sia “pregnante” o “neutra”: nel primo caso l'obbligo di attivarsi ha
per presupposto una realtà naturalistica o sociale immediatamente percepibile dal soggetto, a
prescindere dalla conoscenza che egli abbia dell'obbligo giuridico di agire; nel secondo caso
invece è difficile che il soggetto possa riconoscere di trovarsi nella situazione che lo obbliga
ad attivarsi in un determinato modo, se egli previamente non conosce la specifica norma
giuridica generatrice dell'obbligo di agire.
Nella capacità di agire intesa in senso più ampio rientrano anche le capacità intellettive: di
esse si terrà conto in sede di colpevolezza.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Inoltre, ove si tratti di doveri di agire che incombono su più soggetti, e che non
presuppongono necessariamente un adempimento di tipo personale, l'attivarsi da parte di uno
dei co-obbligati può far venir meno i presupposti della situazione tipica e, quindi, può rendere
penalmente irrilevante l'omissione di coloro i quali rimangono successivamente inattivi (es.
intervento di uno solo dei bagnanti che si accorgono che un bambino sta per annegare).
• Altra limitazione negativa riguarda quelle fattispecie penali che pongono l’accento su
colposi di pericolo; art 659 disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Un’ulteriore indicazione è data dal fatto che la norma dell’art 40 è inserita nella
parte da lui assistita.
• È discussa invece l’operatività dell’art 40 rispetto ad esempio ai reati posti a tutela del
pubblica.
• Si deve ritenere che i limiti individuati finora valgano anche per le ipotesi di concorso
amministratori e sindaci di società in vista dell'impedimento di reati societari).
5. Situazione tipica
Anche per il reato omissivo improprio la fattispecie obiettiva ricomprende la situazione
tipica intesa come il complesso dei presupposti di fatto che danno vita ad una situazione di
pericolo per il bene da proteggere e che pertanto rendono attuale l'obbligo di attivarsi del
“garante” (es. la presenza di un nuotatore inesperto in difficoltà obbliga il bagnino ad
impedire l'evento morte). Peraltro, data la mancanza di una previsione legale espressa di tutte
le componenti costitutive del reato omissivo improprio, il contenuto e lo scopo del dovere di
agire del garante possono specificarsi solo in rapporto alle circostanze del caso concreto,
grazie al lavoro di conversione operato dal giudice.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il grado di certezza raggiungibile nella causalità omissiva non può essere lo stesso del nesso
causale vero e proprio. Il giudizio è infatti effettuato in termini ipotetici. Ciò dovrebbe
indurre ad accontentarsi di richiedere, in sede di applicazione della formula della condicio,
che l'azione doverosa, ove compiuta, valga ad impedire l'evento con una probabilità vicina
alla certezza. Una simile opinione (ancora oggi maggioritaria) ha il merito di porre in
evidenza che dai giudizi prognostici esula per definizione ogni certezza assoluta: essa però
diventerebbe poco accettabile se la si intendesse nel senso che l'accertamento della causalità
omissiva dispenserebbe il giudice dal fare ricorso a criteri veramente attendibili. D'altra parte
vi sono casi di responsabilità omissiva in cui non ci si può accontentare di una probabilità
confinante con la certezza. Il campo in cui maggiormente si sono manifestate le
problematiche della causalità nel reato omissivo improprio è il settore della responsabilità
medica.
Va considerato che si tratta di un campo nel quale non si possono pretendere criteri di
giudizio assolutamente certi e le aspettative di protezione rafforzata dei beni primari della
vita e della salute possono far apparire giustificata l'affermazione di responsabilità penale
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
rigorosi, probabilmente a maggiore salvaguardia del bene della vita umana, per cui
perviene al riconoscimento della causalità omissiva anche in presenza di poche
• In altri casi ancora utilizza il criterio dell’aumento del rischio (o meglio della mancata
probabilità di successo dell'intervento sanitario indebitamente omesso.
diminuzione del rischio), per cui il nesso causale viene ravvisato se l’intervento del
medico avrebbe presumibilmente fatto diminuire il rischio di verificazione dell’evento
Caso: i genitori di una bambina affetta da talassemia, per motivi religiosi (abbracciano il
culto dei testimoni di Geova) decidono di interrompere la terapia di trasfusioni a cui la figlia
viene periodicamente sottoposta, non impedendone così la morte sopraggiunta per grave
anemia.
È qui chiaramente ravvisabile il collegamento causale tra il comportamento omissivo e il
decorso del male nella bambina (ai fini della responsabilità penale dei genitori basta che
l'omissione della terapia abbia favorito la mera accelerazione del decesso), per cui si deve
affermare l’esistenza del nesso di condizionamento, che viene stabilito non già tra
l'interruzione delle trasfusioni e l'evento letale concepito come evento astratto, bensì tra
l'interruzione predetta e la morte così come si è verificata hic et nunc.
7. La posizione di garanzia
Perchè la causazione e il mancato impedimento di un evento risultino penalmente equivalenti
non basta accertare il nesso di causalità ipotetica tra l'evento stesso e la condotta omissiva. Il
meno che la causalità ipotetica possiede rispetto alla causalità reale, deve infatti essere
compensato da un altro elemento, e tale ulteriore elemento consiste, secondo l'art.40, nella
violazione di un obbligo giuridico di impedire l'evento. Ovviamente il dovere di impedire
eventi lesivi a carico di beni altrui non può che rappresentare un'eccezione, poichè se fosse la
regola sarebbe gravemente sacrificata la libertà di movimento di ciascuno (nessun cittadino
può essere chiamato a rispondere per il semplice fatto che un suo possibile intervento
soccorritore avrebbe scongiurato la lesione di beni giuridici altrui). Il problema è dunque
quello di individuare gli obblighi giuridici di attivarsi, la cui violazione consenta
l'affermazione di responsabilità penale. Problema di non facile soluzione visto che in
deve essere espressamente previsto in fonti formali. In particolare sono rilevanti gli
obblighi di attivarsi che trovano fonte: nella legge (sia penale es. art 673 che
extrapenale es. obblighi nascenti dal diritto di famiglia), nel contratto (es. baby-sitter
che si impegna contrattualmente a sorvegliare un bambino in assenza del genitore),
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
nella precedente azione pericolosa (nel senso che chi compie un'azione pericolosa,
dopo assume, per ciò stesso, l'obbligo di impedirne le possibili conseguenze dannose a
carico di terzi → es. chi apre un buca sulla pubblica via è tenuto a prendere le misure
di sicurezza necessarie ad impedire che altri vi cadano); parte della dottrina ha esteso
l'ambito delle possibili fonti ricomprendendovi la negotiorum gestio e la
consuetudine.
Tale teoria è stata criticata, non essendo in grado di spiegare in modo appagante
perchè il diritto penale assimili l'omissione non impeditiva all'azione causale, e perchè
solo in alcuni casi. Ed inoltre essa cade in contraddizione nel momento in cui include
la precedente azione pericolosa tra le fonti formali visto che non esiste alcuna norma
giuridica esplicita in base alla quale possa affermarsi che il compimento di una
pericoli che possono minacciarne l’integrità, quale che sia la fonte da cui scaturiscono
(es. i genitori hanno l'obbligo di porre al riparo i figli minori da tutti i pericoli che li
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
vicinanze dell’edificio).
• quelle che trovano la loro fonte direttamente nella legge, e in particolare nel diritto di
Rientrano tra le posizioni di protezione penalmente rilevanti:
famiglia:
o il vincolo di protezione tra genitori e figli minori di cui all’art 30 della
Costituzione. La ratio di quest’obbligo di protezione sta nell’incapacità
naturale dei minori a difendersi dai pericoli. Di conseguenza l’obbligo non è
reciproco se non in casi eccezionali. La protezione è dovuta sia rispetto alle
aggressioni di terzi che rispetto a fatti naturali. L’obbligo impone di impedire
che i figli subiscano lesioni alla vita e all’integrità fisica (è escluso che
l’obbligo si estenda ai beni patrimoniali);
o il rapporto tra coniugi: l'obbligo di reciproca assistenza previsto dal codice
civile può tramutarsi in un obbligo di garanzia penalmente rilevante a
condizione che tra i coniugi sussista un rapporto di concreto affidamento circa
la reciproca protezione;
o posizioni di protezione sono previste dall’ordinamento penitenziario a carico
dei dipendenti dell’amministrazione penitenziaria a favore dei detenuti di cui
• quelle che scaturiscono da un atto di autonomia privata quale il contratto: es. genitori
sono tenuti a tutelare la vita e l’incolumità personale;
che affidano il figlio ad una baby sitter, bagnante inesperto e bagnino obbligato ad
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
reati da parte di altri soggetti (es. gli amministratori hanno l’obbligo di controllare ed
impedire la commissione di reati societari).
È discusso se si possa configurare una posizione di controllo sull’agire illecito dei terzi anche
a carico degli appartenenti alle forze dell’ordine. La giurisprudenza è per la risposta
affermativa. Di diverso avviso la dottrina, che sostiene invece che è vero che a loro è affidato
il compito di impedire la realizzazione di reati, ma è anche vero che tale dovere è troppo
generico per soddisfare le esigenze di determinatezza proprie del rapporto di garanzia: non si
può configurare infatti una posizione di garanzia rispetto a tutti i beni di tutti i consociati.
Inoltre la funzione di prevenzione che lo Stato esercita a mezzo delle forze dell'ordine non
muove affatto dalla premessa che tutti i cittadini siano individui irresponsabili, da tenere sotto
continuo controllo ricorrendo alla predisposizione di appositi garanti. Esclusa quindi, in linea
generale, una posizione di garanzia degli appartenenti alle forze dell'ordine, potrà invece
configurarsi in presenza di particolari condizioni che conferiscano maggiore determinatezza e
specificità agli obblighi di contenuto impeditivo (es. risponderebbe di concorso mediante
omissione l'agente di scorta ad un uomo politico che rimanesse volutamente inattivo di fronte
agli assassini del soggetto da proteggere).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Altri casi problematici riguardano i reati dolosi, ad esempio i casi di impedimento di azioni
soccorritrici altrui o di interruzione di un personale intervento soccorritore.
Es. della prima tipologia → Caio minaccia Tizio con una pistola, impedendogli di portare
Sempronio all’ospedale. Caio risponderà di omicidio mediante azione e non di omissione di
soccorso, poiché egli non si limita a non prestare aiuto ma annulla anche strumenti di
salvataggio altrui.
Es. 1 della seconda tipologia → A, accorgendosi che B è caduto in un pozzo, gli lancia una
fune ma poco dopo se ne pente e la ritira; si configura omissione di soccorso se A ritira la
fune prima che questa abbia raggiunto B, se invece la fune è sottratta nel momento in cui B
sta già per servirsene si configura omicidio doloso mediante azione.
Es. 2 della seconda tipologia → In alcuni casi definire il fatto come azione o come omissione
non ha rilevanza. È il caso del medico che applica ad un paziente la macchina cuore-polmoni
ma poco dopo la disattiva senza ragione. Il medico risponderà in ogni caso di omicidio
trovandosi nella posizione di garante dell’ammalato.
II. ANTIGIURIDICITÀ
Relativamente alle cause di giustificazione valgono le stesse regole del reato commissivo
(salvo che sarà più difficile configurare la loro sussistenza): l'antigiuridicità esplica la
funzione di convalidare l'illiceità indiziata dalla conformità al tipo, dunque se sussiste una
causa di giustificazione l'omissione tipica non risulta antigiuridica e la punibilità viene meno.
Le cause di giustificazione più frequentemente applicate sul terreno dei reati di azione (come
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
ad es. legittima difesa ecc) non accedono altrettanto facilmente alla realizzazione di un reato
omissivo (infatti sembra assurdo pensare di poter invocare la legittima difesa come
giustificazione di un'omissione): possono farlo solo in presenza di circostanze molto
particolari, forse più astratte che suscettive di verificarsi nella realtà.
E' più facile configurare omissioni giustificate dallo stato di necessità. Es. omissione di
soccorso perché il salvataggio metterebbe in pericolo la propria vita.
III. COLPEVOLEZZA
1. Premessa
Anche la struttura della colpevolezza nei reati omissivi è fondamentalmente analoga a quella
già esaminata nello studio del reato di azione, salvo alcune peculiarità.
Con specifico riferimento ai reati omissivi impropri si prospetta il problema (che assume
rilevanza ai fini della graduazione della colpevolezza) dell'equiparabilità del cagionare al non
impedire sotto il profilo dello stesso trattamento sanzionatorio. Una dottrina minoritaria, ad
esempio, sostiene che in materia di reati omissivi la colpevolezza sia meno grave dal
momento che lasciare le cose come stanno implica una carica di minore pericolosità, onde se
ne è dedotto che i delinquenti per omissione meriterebbero un trattamento punitivo meno
severo.
2. Dolo omissivo
Nel settore dei reati omissivi, la ricostruzione degli aspetti strutturali e contenutistici del dolo
risulta complessa e delicata. Ciò vale in particolare per le ipotesi omissive proprie, in quanto
caratterizzate dall'assenza non solo di una condotta positiva ma anche di un evento
naturalisticamente percepibile: perchè sia individuabile il dolo diventa essenziale la
conoscenza della norma, essendo il disvalore del fatto incentrato tutto sulla condotta
normativamente descritta. Fino a che punto è possibile dunque avere la coscienza e volontà di
omettere, senza conoscere previamente la legge penale che impone di attivarsi in un
determinato modo?
A tal proposito occorre distinguere i reati omissivi propri in due categorie:
o fattispecie con situazione tipica pregnante: sono i casi in cui l’obbligo di attivarsi ha
per presupposto una realtà immediatamente percepibile a prescindere dalla conoscenza
dell’obbligo di agire. Es. nell’omissione di soccorso la visione di un ferito provoca la
spinta psicologica ad agire anche se il soggetto ignora l’esistenza della norma che
punisce l’omissione di soccorso
o fattispecie con situazione tipica neutra: sono gli illeciti di creazione legislativa a cui
non preesiste un disvalore socialmente percepibile. In questi casi parte della dottrina
ritiene che per la sussistenza del dolo occorra la conoscenza del comando penale, in
deroga all’art 5 cp (“Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge
penale”). Perchè l'omittente risponda a titolo di dolo in generale occorre non solo la
conoscenza dei presupposti (c.d. situazione tipica) del dovere di attivarsi, ma anche la
consapevolezza della possibilità di agire nella direzione voluta dalla norma: infatti
senza quest'ultimo elemento, l'omissione non può mai esprimere il significato di una
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Nei reati omissivi impropri il dolo abbraccia anche i presupposti di fatto della posizione di
garanzia, rappresentando questa un fondamentale elemento costitutivo del fatto tipico. Es. La
baby-sitter non risponde di omicidio doloso se non riconosce nel bambino che sta annegando
quello che le è stato affidato. Entra a far parte del dolo la conoscenza dell'obbligo extrapenale
di agire, derivante ad es. da un contratto: tale conoscenza può a sua volta costituire un
presupposto indispensabile perchè il soggetto si renda conto di rivestire una posizione di
garanzia, sicchè un errore in proposito, convertendosi in un errore sulla situazione tipica, è in
grado di dispiegare efficacia scusante ex art 47 ultimo comma.
3. Colpa
Anche la ricostruzione della colpa solleva problemi particolari nelle fattispecie omissive. Il
difetto di diligenza può riferirsi al mancato riconoscimento della situazione tipica da parte
dell'omittente (es. datore di lavoro che per superficialità non si accorge che la natura del
processo produttivo impone di adottare determinate misure di sicurezza, può rispondere del
delitto di omissione colposa di cautele contro infortuni sul lavoro) oppure all'errata scelta
dell'azione doverosa da compiere.
L’adempimento del dovere di diligenza presuppone ovviamente che il soggetto obbligato
abbia la possibilità di agire (in senso fisico) nel senso richiesto. Tale possibilità di agire si
articola in:
o conoscenza o riconoscibilità della situazione tipica
o possibilità obiettiva di agire
o conoscenza o riconoscibilità del fine dell’azione doverosa
o conoscenza o riconoscibilità dei mezzi necessari al raggiungimento del fine medesimo
Per stabilire se la condotta omissiva si ponga in contrasto col dovere oggettivo di diligenza,
basta valutare la possibilità di agire alla stregua di un modello di agente avveduto che, posto
nella situazione data, sia in grado di riconoscere la situazione tipica e agire nel senso voluto
dall'ordinamento.
In un secondo momento (cioè in sede di colpevolezza) si terrà in conto ai fini della
rimproverabilità dell’omissione delle capacità effettive dell’omittente sotto il profilo psico-
fisico.
Nell'ambito dei delitti omissivi impropri è da rilevare che, quanto a contenuto, dovere di
diligenza e obbligo di impedire l'evento finiscono, nell'ipotesi concreta, con l'intersecarsi e
coincidere: il garante cioè è tenuto a fare, per impedire la verificazione di determinati eventi,
quanto gli è imposto dall'osservanza delle regole di diligenza dettate dalla situazione
particolare.
4. Coscienza dell'illiceità
Nell'ambito dei reati omissivi la coscienza dell'illiceità equivale alla conoscenza del
comando di realizzare una determinata azione: tale conoscenza effettiva però non è
richiedibile ai fini della punibilità. Ai fini della sussistenza della colpevolezza è sufficiente la
possibilità di conoscere il precetto penale.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Per i reati omissivi occorre verificare con maggiore rigore la possibilità di conoscere il
precetto perché di regola l’obbligo di agire è percepito con minore immediatezza rispetto a
quello di non agire: dunque nei reati omissivi la possibilità di non conoscere il precetto
penale va sempre presa in considerazione, mentre in quello dei reati commissivi tale
possibilità è da tenere in conto solo in presenza di circostanze oggettive.
IV. TENTATIVO
1. Il tentativo
È pacificamente riconosciuto che il tentativo nei reati omissivi impropri è configurabile. Si
ha tentativo di omissione quando l’evento non si verifica per circostanze indipendenti dalla
volontà dell’agente. Es. la madre non nutre il figlio ma questi non muore per l’intervento
della vicina.
Potrebbe sorgere un dubbio circa l’individuazione del momento iniziale dell’omissione
punibile. Si deve ritenere che l’omissione tentata assume rilevanza penale quando provoca un
pericolo diretto per il bene tutelato.
Più controversa è la questione circa la configurabilità del tentativo per i reati omissivi
propri.
o L'opinione negativa in merito fa leva sul rilievo decisivo attribuito al termine di
adempimento: se il termine utile per compiere l’azione prescritta non è ancora
scaduto, l’azione dovuta è ancora possibile; se il termine è scaduto il reato è già
perfetto.
o Parte della dottrina ritiene che comunque il tentativo sia configurabile tutte le volte in
cui il soggetto compie atti positivi diretti in modo non equivoco a non adempiere al
comando d’azione. Es. Il pubblico ufficiale si reca all’estero al fine di non essere
presente nel tempo e nel luogo in cui dovrebbe compiere un atto d’ufficio, ponendo in
essere così un tentativo di omissione di atti d’ufficio.
V. PARTECIPAZIONE CRIMINOSA
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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PARTE V
LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA
CAPITOLO I
RESPONSABILITÀ OGGETTIVA
1. Premessa
I normali criteri di imputazione soggettiva di un fatto al suo autore sono colpa e dolo.
L’art 42,3c aggiunge poi che “la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a
carico dell’agente, come conseguenza della sua azione o omissione”.
Il legislatore allude qui alla responsabilità oggettiva. Si tratta di quell’ipotesi in cui l’evento
viene posto a carico dell’autore in base al solo rapporto di causalità materiale,
indipendentemente da qualsiasi legame psicologico. Vengono dunque introdotte vistose
eccezioni al principio di colpevolezza.
Le ragioni politico-criminali sottese a quest’istituto sono diverse e possono variare nel corso
del tempo in relazione alle diverse esigenze di tutela e alle diverse concezioni della funzione
del diritto penale. L’origine della responsabilità oggettiva si fa risalire al principio di matrice
canonistico medioevale “qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu” (chi si sia posto in
una situazione di illiceità, risponde anche per un evento successivo da lui non voluto). Si è
chiamati dunque a rispondere di tutte le conseguenze derivanti oggettivamente dalla propria
precedente attività illecita, non importa se volute o meno, prevedibili o meno. L'influenza di
tale principio è oggi ravvisabile soprattutto nelle ipotesi del delitto preterintenzionale e dei
reati aggravati dall'evento: ipotesi in cui viene accollato all'agente, sulla base del mero nesso
di causalità materiale, l'evento più grave oggettivamente derivante da una precedente azione
diretta alla realizzazione di un evento meno grave.
Successivamente, in età illuministica, al principio del versari in re illicita si affida una
funzione di prevenzione generale: nel senso che la consapevolezza, da parte del potenziale
autore, che l'ordinamento gli addossa tutte le conseguenze materialmente connesse alla sua
azione illecita, dovrebbe costituire un fattore capace di inibire la spinta criminosa. Questo
dovrebbe giustificare il mantenimento di alcune forme di responsabilità oggettiva. Senonchè
il convincimento relativo alla spiccata efficacia generalpreventiva della responsabilità
oggettiva, a ben vedere, risulta più presunto che dimostrato, non è suffragabile infatti sul
piano empirico. In più è poco realistico ipotizzare che la maggior parte dei potenziali rei
siano così esperti in diritto penale da poter cogliere la sottile distinzione tra responsabilità
colpevole e oggettiva e da lasciarsi perciò condizionare dal surplus di deterrenza che si
vorrebbe connesso alla seconda.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
l’entrata in vigore del codice Rocco si riteneva sufficiente in questo settore la coscienza e
volontà della condotta indipendentemente dalla prova del dolo o della colpa. Un simile
orientamento è stato abbandonato.
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divisione dei compiti all’interno dell’azienda giornalistica (quanto più articolata e complessa
è la struttura organizzativa tanto meno esigibile appare un diffuso e capillare controllo
personale del direttore), dall’altro della natura informativa o valutativa dello scritto (il
controllo del direttore dovrà essere più rigoroso rispetto alla veridicità delle notizie e meno
attento per le valutazioni di commento dell’autore). Deve ritenersi che l’art.57 prevede una
figura autonoma di reato, come si deduce dall’inciso “fuori dei casi di concorso”. Si dovrà
cioè ritenere che la responsabilità omissiva del direttore per il fatto dell’autore dell’articolo
non sia da riportare alla fattispecie del concorso omissivo. Se però il direttore omette il
controllo non per negligenza ma con la precisa volontà di assecondare la pubblicazione di un
articolo di contenuto illecito, c’è concorso doloso.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Si configura con riguardo a queste ipotesi un dubbio più che fondato di legittimità
costituzionale dal momento che l'attribuzione a titolo puramente oggettivo delle condizioni
intrinseche di punibilità finisce col contrastare col principio della responsabilità personale
colpevole (art 27 Cost.); tali condizioni rientrano certamente nell'ambito degli elementi
significativi di fattispecie e pertanto dovrebbero essere soggettivamente imputabili all'agente
almeno a titolo di colpa.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE VI
CONCORSO DI REATI E CONCORSO
APPARENTE DI NORME
CAPITOLO I
CONCORSO DI REATI
1. Premessa
Normalmente ad una condotta umana corrisponde un reato; a più condotte corrispondono
più reati. Può però accadere che nei confronti di una medesima condotta confluiscano più
norme incriminatrici: tale confluenza può dar luogo a un vero e proprio concorso di reati o ad
un concorso apparente di norme.
Il concorso di reati si distingue in:
o concorso materiale di reati: si ha quando uno stesso soggetto con più azioni o
omissioni realizza più reati. In tal caso si applicano tante pene quanti sono i reati.
o concorso formale di reati: si ha quando uno stesso soggetto commette più reati con
una sola azione o omissione. In tal caso si applica la pena per la violazione più grave
aumentata fino al triplo.
Fenomeno diverso dal concorso di reati è il concorso apparente di norme, che ricorre
quando solo in apparenza la stessa condotta è riconducibile a più fattispecie incriminatrici,
poiché in realtà integra un solo reato.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
duplice requisito della contestualità degli atti (cioè se si susseguono nel tempo senza
apprezzabile interruzione) e della unicità del fine. Accanto a questo criterio e per evitarne
applicazioni arbitrarie, occorre sempre tenere presente il significato normativo delle
fattispecie che vengono in questione.
Dunque nel caso appena citato del ladro che ruba più oggetti, si avrà unità d'azione.
Se invece Tizio ruba un’arma per costringere subito dopo una donna ad avere rapporti carnali
con lui, si avranno due disgiunte azioni di furto e violenza carnale.
Gli stessi criteri valgono per i reati omissivi impropri, per cui esiste una sola omissione se il
garante poteva impedire i diversi eventi soltanto attivandosi contemporaneamente, mentre si
configurano diverse omissioni se dopo il verificarsi del primo evento gli altri potevano ancora
essere impediti.
Nell’ambito dei reati omissivi propri si verifica una pluralità di omissioni se l’omittente
viola contemporaneamente più obblighi di condotta, ma i diversi obblighi potevano essere
adempiuti uno dopo l’altro.
4. Concorso materiale
Nell’ambito del concorso materiale si distingue tra:
o concorso materiale omogeneo: sussiste quando con più azioni o omissioni si viola
più volte la stessa norma incriminatrice (es. Tizio uccide Caio e dopo qualche tempo
uccide Sempronio);
o concorso materiale eterogeneo: sussiste quando con più azioni o omissioni si
violano diverse norme incriminatrici (es. Tizio ruba un’arma e poi con questa
commette una rapina).
Il legislatore ha previsto il regime del cumulo materiale (tot crimina, tot poenae) per cui si
cumulano le pene previste per ciascuno dei reati commessi (la disciplina è più rigorosa
rispetto a quella del codice Zanardelli che prevedeva invece il cumulo giuridico). Il
legislatore del '30 ha tuttavia ritenuto opportuno introdurre alcuni temperamenti diretti a
stabilire dei limiti invalicabili di pena (art 72-79).
Inoltre in seguito alla riforma del 1974 che ha esteso la figura del reato continuato anche alle
ipotesi di violazione di norme incriminatrici eterogenee, l’area di operatività del concorso
materiale tende a ridursi. Infatti se i diversi reati commessi dallo stesso soggetto sono avvinti
da un medesimo disegno criminoso, in luogo della disciplina del cumulo materiale delle pene
subentra il più mite regime del cumulo giuridico.
Va condiviso l’orientamento oggi prevalente che nega al concorso materiale di reati una
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
o il fatto che chi pone in essere più reati con una sola condotta mostra una pericolosità
sociale minore di chi lo fa con diverse condotte.
In realtà questa seconda motivazione non è stata oggetto di verifica critica; inoltre nel
reintrodurre il cumulo giuridico il legislatore non ha esplicitato se tale regime sia applicabile
anche nei casi in cui le pene previste per i reati in concorso siano di specie diversa (pena
detentiva e pena pecuniaria), da qui anche l'incertezza sull'applicabilità del cumulo giuridico
nel caso di concorso formale tra delitti e contravvenzioni.
Il ritorno ad un ingiustificato e irragionevole furore repressivo va registrato con riferimento al
soggetto recidivo reiterato obbligatorio per effetto della riforma del 2005.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
anche in presenza della commissione di reati diversi, non importa se dotati di caratteri
fondamentali comuni o del tutto eterogenei tra loro (sarebbe più corretto dunque
parlare di continuazione di reati, piuttosto che di reato continuato);
o unicità del disegno criminoso: in proposito si contrappongono due orientamenti
ermeneutici, inclini rispettivamente ad ampliare o a restringere il significato di
“medesimo disegno criminoso”.
Secondo il primo orientamento, il termine ha un'accezione intellettiva → per medesimo
disegno criminoso si intende una mera rappresentazione mentale anticipata dei singoli episodi
delittuosi poi di fatto commessi dallo stesso agente, ossia una programmazione dei singoli
reati; non deve però trattarsi di un programma generico di attività delinquenziale, sarà invece
necessario un programma iniziale che inglobi in sé i diversi reati nei loro elementi essenziali;
Per altra parte della dottrina occorre oltre all'elemento intellettivo, un ulteriore elemento
finalistico costituito dall'unicità dello scopo (il programma deve essere rivolto alla
realizzazione di un obiettivo unitario, dunque i diversi reati devono porsi in un rapporto di
interdipendenza funzionale che deve obiettivarsi in una trama di segni esteriormente
riconoscibili). Tale tesi appare preferibile dal momento che l’unicità di scopo rappresenta
l’elemento distintivo del reato continuato rispetto alla fattispecie del concorso di reati.
La continuazione è incompatibile con i reati colposi proprio perché al fine di configurare
l’unicità di scopo occorre che i singoli episodi siano sorretti dalla volontà di commetterli (cioè
il dolo).
La continuazione è invece compatibile con le contravvenzioni (se dolose).
9. Regime sanzionatorio
Abbiamo detto che l’art 81,1c stabilisce anche per il reato continuato come per il concorso
formale di reati il regime del cumulo giuridico: si applica la pena che dovrebbe infliggersi per
il reato più grave, aumentata fino al triplo. L'ultimo comma precisa però che la pena non può
essere comunque superiore a quella che sarebbe applicabile sommando le singole pene
previste per i reati in concorso (giustamente, altrimenti non vi sarebbe riscontro della minore
severità del cumulo giuridico rispetto al cumulo materiale).
• Secondo un primo orientamento preferibile, per accertare quale sia la violazione più
Un primo problema riguarda l’individuazione della violazione più grave.
grave occorre fare riferimento alla previsione legislativa astratta e quindi alla qualità e
quantità delle sanzioni applicabili per i singoli reati in continuazione (dunque è
violazione più grave quella per cui è prevista una pena qualitativamente più grave,
cioè la pena detentiva rispetto a quella pecuniaria; è violazione più grave quella per
cui è prevista una pena quantitativamente più grave, cioè quella avente il massimo più
elevato) nonché alle circostanze attenuanti e aggravanti, alla recidiva, allo stadio di
concreto, tenendo conto non solo del titolo di reato e della pena edittale ma di tutti
quegli elementi che incidono sulla valutazione del fatto (art 133); per cui la violazione
più grave è quella che ad un esame complessivo dei vari fatti concreti risulta più
gravemente punita (e non “punibile”). Accogliendo questo indirizzo si rischia di
stravolgere la valutazione operata dal legislatore in merito all'obiettiva gravità delle
diverse figure delittuose.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Un secondo problema riguarda il caso di applicabilità del cumulo giuridico nei casi in cui i
reati commessi siano puniti con pene eterogenee (reclusione e arresto; multa e ammenda).
La dottrina è orientata per un’applicazione ampia del cumulo giuridico, sul presupposto che
tale soluzione estensiva sia imposta dalla stessa ratio del reato continuato.
La giurisprudenza invece ha mostrato orientamenti contraddittori; soprattutto in passato
tendeva a escludere la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ritenendo che in
questi casi il cumulo giuridico violerebbe il principio di legalità delle pene, comportando
l’irrogazione di una pena diversa da quella prevista per ciascun reato. Successivamente sono
emersi invece orientamenti favorevoli ad ammettere la continuazione, sia pure entro limiti
non sempre coincidenti; occorre distinguere a seconda che la diversità riguardi il genere o la
• Nel caso di reati puniti con pene di specie diversa (es. reclusione e arresto, o multa e
specie della pena:
• Resta oggi controversa l'ammissibilità della continuazione nel caso di reati puniti con
che l’applicazione estensiva del cumulo giuridico risponde al principio del favor rei.
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CAPITOLO II
CONCORSO APPARENTE DI NORME
1. Premessa
In taluni casi, il confluire di più norme incriminatici nei confronti di un medesimo fatto non è
reale, ma soltanto apparente: non si ha dunque concorso di reati ma unicità di reato, essendo
una sola la fattispecie incriminatrice veramente applicabile all'ipotesi di specie; è il fenomeno
del concorso o conflitto apparente di norme.
Caso: Tizio si impossessa di un oggetto di tenue valore per provvedere ad un grave ed
urgente bisogno. La fattispecie parrebbe riconducibile sia alla fattispecie di furto comune (art
624) che a quella di furto in stato di bisogno (art 626,1c n2).
Per individuare i casi di concorso apparente di norme sono utilizzati tre criteri:
1. specialità
2. sussidiarietà
3. consunzione (o assorbimento)
Di questi solo il primo (criterio di specialità) trova esplicito riconoscimento nel nostro codice
penale (art 15), gli altri due costituiscono invece frutto di elaborazione dottrinale.
2. Specialità
L'art 15 stabilisce il principio della prevalenza della legge speciale rispetto alla legge
generale: “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano
la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla
disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.
Una fattispecie è speciale quando contiene, oltre a tutti gli elementi costitutivi di quella
generale, ulteriori elementi specializzanti e di conseguenza, se la norma speciale mancasse, i
casi verrebbero ricondotti alla norma generale. In riferimento al caso sopra menzionato è
chiaro che sussiste rapporto di specialità e dunque deve prevalere la norma sul furto in stato
di bisogno.
Un rapporto di specialità sussiste anche tra rapina (art 628) e violenza privata (art 610);
infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale (art 578) e omicidio (art 575).
Va precisato che il rapporto di specialità può intercorrere non solo tra norme incriminatrici,
ma anche tra norme incriminatrici da un lato e norme di liceità dall'altro (es. le disposizioni
che dichiarano lecito l'arresto facoltativo sono speciali rispetto a quella che incrimina il
sequestro di persona).
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Altro indirizzo sostiene che il concetto di stessa materia faccia riferimento non solo
meramente logico-formale).
alle ipotesi nelle quali un medesimo fatto rientra in più norme incriminatrici, ma
anche a quelle in cui un medesimo fatto concreto è riconducibile a più figure
criminose anche se tra le stesse non esiste in astratto un rapporto di genere a specie (si
parla di specialità in concreto). Es. tra il millantato credito e la truffa non esiste un
rapporto di genere a specie ma in concreto può accadere che la truffa venga realizzata
millantando credito come nel caso in cui Tizio si faccia dare del denaro da Caio
illudendolo di poter influenzare il giudice a pronunciare la sua scarcerazione. Tale
fatto integra il millantato credito perché lesivo del prestigio della pubblica
amministrazione e la truffa in quanto lesivo di un interesse patrimoniale privato; solo
che la truffa appare come una semplice modalità esecutiva del millantato credito,
onde sembra da escludere che sussista un reale concorso di reati. Nelle ipotesi di
specialità in concreto si applica la norma che prevede il trattamento più severo, quindi
nel nostro caso la norma che punisce il millantato credito.
Contro tale orientamento si può obiettare che il rapporto di specialità tra le norme o
• Altra parte della dottrina estende infine il rapporto di specialità anche alle cosiddette
esiste o non esiste, ma non può dipendere da un fatto concreto.
ipotesi di specialità reciproca o bilaterale (cioè ai casi in cui nessuna delle norme può
dirsi speciale rispetto all’altra perché entrambe presentano elementi specializzanti ed
elementi generici rispetto all’altra). È quanto accade ad esempio nelle fattispecie di
aggiotaggio comune o societario che presentano il nucleo comune degli atti di
aggiotaggio. L’aggiotaggio comune richiede il dolo specifico (il fine di turbare il
mercato interno), ma può essere realizzata da chiunque, mentre per l’aggiotaggio
societario è sufficiente il dolo generico, ma può essere realizzato solo da soggetti che
rivestono determinate qualifiche (es. amministratori).
Anche qui si applicherà il trattamento sanzionatorio più severo.
A tale orientamento si può obiettare che il rapporto di specialità è tale se può
ravvisarsi una norma generale più ampia e una speciale che ne rappresenti un
sottoinsieme: non è tale se la relazione opera anche in senso inverso (come appunto
avviene nella specialità reciproca).
È quindi preferibile ritenere che il rapporto di specialità sussiste solo tra fattispecie astratte e
in senso univoco. Il concetto di stessa materia di cui all’art 15 sta semplicemente ad indicare
il presupposto della medesima situazione di fatto, sussumibile, a prima vista, sotto più norme.
Negare la validità dei diversi correttivi proposti dalla dottrina al principio di specialità non
significa comunque affermare che esso sia in grado di soddisfare tutte le esigenze e
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
disconoscere la necessità di fare ricorso ad altri criteri per risolvere i casi dubbi.
3. Sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà è tra i criteri più consolidati di risoluzione del conflitto
apparente di norme. Intercorrerebbe tra norme che prevedono stadi o gradi diversi di offesa di
un medesimo bene, in modo che l’offesa maggiore assorbe la minore e di conseguenza
l’applicabilità dell’una è subordinata alla non applicabilità dell’altra.
In alcuni casi è lo stesso legislatore che prevede il rapporto di sussidiarietà tramite l’utilizzo
di una clausola di riserva (es. art 323 “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”).
Altre volte essa è tacita, come tra le fattispecie di atti osceni (art 527) e atti contrari alla
pubblica decenza (art 726).
Obiezioni: la riserva principale che si può nutrire nei confronti del criterio della sussidiarietà è
che esso non sempre risulta facilmente distinguibile dal criterio dell'assorbimento. E' invece
respinta l'obiezione secondo cui il criterio della sussidiarietà finisce col risolversi in un
doppione del principio di specialità: quest'ultimo presuppone infatti un rapporto di genere a
specie tra i rispettivi elementi delle fattispecie astratte e perciò non si identifica col primo che
implica invece l'assorbimento di un fatto meno grave in uno più grave lesivo dello stesso
bene, anche se le rispettive fattispecie incriminatrici astratte contengono elementi
strutturalmente del tutto diversi.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
il reato di favoreggiamento.
La giurisprudenza in realtà è incline a disattendere il principio dell’assorbimento e a ravvisare
in questi casi il concorso di reati piuttosto che il concorso apparente di norme. Tale
atteggiamento rigoristico si giustificherebbe solo nell'ambito di un contesto ordinamentale
diverso da quello vigente.
aggressioni di crescente gravità nei confronti di uno stesso bene. Es. Tizio prima
• Si parla invece di antefatto non punibile per indicare i casi in cui un reato meno
ferisce e poi uccide Caio
grave costituisce mezzo ordinario di realizzazione di un reato più grave. Es. possesso
• Il postfatto non punibile indica invece quella condotta criminosa susseguente il cui
di chiavi false e grimaldelli per commettere un furto.
disvalore è incluso già nella condotta precedente che integra un reato più grave. Es.
spendita di monete rispetto alla realizzazione di monete contraffatte.
6. Reato complesso
L’art.84 stabilisce che le disposizioni sul concorso di reati non si applicano quando la legge
considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che
costituirebbero, per se stessi, reato.
Tale norma disciplina il reato complesso, il quale consiste in una unificazione legislativa
sotto forma di identico reato, di due o più figure criminose, i cui rispettivi elementi costitutivi
sono tutti ricompresi nella figura risultante dall'unificazione.
Es. la rapina ricomprende il furto e la violenza privata; il furto aggravato dalla violazione di
domicilio è composto dal reato di furto e di quello di violazione di domicilio.
Non ha invece senso la categoria, creata da parte della dottrina, dei reati complessi in senso
lato, che sussistono quando un reato abbraccia in un reato meno grave più elementi ulteriori
che di per sè non costituiscono reato (es. violenza carnale che nasce dall’unificazione del
reato di violenza privata più l’elemento ulteriore della congiunzione carnale che non
costituisce reato).
In questi casi l'esclusione della norma più generica (nell'esempio la violenza privata) e la
conseguente applicazione della sola norma speciale (la violenza carnale) conseguono alla
diretta operatività del principio di specialità ex art.15.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE VII
LE SANZIONI
CAPITOLO I
I PRESUPPOSTI TEORICI E POLITICO-CRIMINALI DEL
SISTEMA SANZIONATORIO VIGENTE
1. Premessa
Parlare di sanzione penale equivale ad evocare l'idea di un castigo inflitto all'autore di un
fatto illecito. Che la pena consista, per sua natura in uno strumento di afflizione, è
affermazione così ovvia che nessuno oserebbe contestarla.
Ma il momento afflittivo implicito nella pena può essere strumentalizzato per il
raggiungimento di fini diversi che mutano in funzione delle più generali concezioni della
società e dello Stato che via via emergono nel corso dell'evoluzione storica. Tale evoluzione
influisce anche sulle tecniche di volta in volta adoperate per punire l'autore dell'infrazione
(es. passaggio dalle pene corporali alla pena detentiva, alle pene alternative).
I sistemi penali moderni però, in conseguenza del processo evolutivo, non si basano più sulla
sola pena, ma il concetto di sanzione penale oggi si estende fino a ricomprendere la misura di
sicurezza, una misura ulteriore che consegue pur sempre alla commissione di un reato, ma la
cui funzione si differenzia da quella della pena in senso stretto, in quanto lo scopo precipuo
sarebbe quello di risocializzare l'autore di un reato in quanto soggetto socialmente pericoloso.
sanzione penale deve servire a compensare la colpa per il male commesso. L'idea
retributiva implica anche il concetto di proporzione perché la risposta sanzionatoria
consociati dal compiere fatti socialmente dannosi, nella convinzione che la minaccia
della sanzione operi dal punto di vista psicologico come controspinta alla spinta
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• gli aderenti alla Scuola Classica difendevano la concezione retributiva della pena, sul
Positiva:
• i seguaci della Scuola Positiva respingevano l'idea retributiva della pena in quanto
presupposto dell'esistenza del libero arbitrio;
una misura di sicurezza, aventi come presupposto l'una la libertà del volere a la
colpevolezza, l'altra la tendenza deterministica a delinquere e la conseguente
pericolosità sociale, sembra supporre una concezione dell'uomo come essere diviso in
due parti: libero e responsabile per un verso, e come tale assoggettabile alla pena;
determinato e pericoloso per l'altro verso, e come tale assoggettabile alla misura di
• Interferenze di disciplina --- l'art 133, nel regolare il potere discrezionale del giudice
sicurezza.
nella commisurazione della pena, stabilisce che si deve tenere conto anche della
capacità a delinquere del colpevole, desunta da una serie di indici relativi alla sua
personalità e al suo ambiente di provenienza. A sua volta l'art 203, relativo
all'accertamento della pericolosità quale presupposto della misura di sicurezza,
dispone che la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle stesse
205
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
circostanze indicate dall'art 133. Per il giudizio di pericolosità rilevano dunque quegli
stessi elementi che servono per la quantificazione della pena, ma, se così è, finiscono
con lo sfumare le differenze di presupposti applicativi tra pene e misure di sicurezza,
•
e diventa di conseguenza artificioso il principio del doppio binario.
Identità di contenuto afflittivo nella concreta prassi esecutiva --- La pretesa
distinzione tra le due forme di sanzioni, basata sull'intento di attribuire alle pene e alle
misure modalità di esecuzione diverse, corrispondenti alla differenza di obiettivi
politico-criminali rispettivamente perseguiti, si rivela alla prova dei fatti una
mistificazione. Tra pene e misure di sicurezza esiste infatti, sul piano del trattamento,
una sostanziale identità di contenuto afflittivo.
Premesso tutto ciò, si tratta di segnalare i reali limiti della presa di posizione costituzionale
tutte le funzioni cui oggi la sanzione penale assolve: la rieducazione assolve un ruolo
primario nelle fasi dell'esecuzione e della commisurazione giudiziale della pena, ma
non nella fase della minaccia, in cui è perseguito l'obiettivo della prevenzione
• La genericità del concetto di rieducazione, sia pure assunto a criterio ispiratore non di
generale.
206
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Una delle principali obiezioni fa leva sul rilievo che l'idea rieducativa non consente
nel suo significato e nei suoi limiti, in modo da fugare equivoci e controbattere alle obiezioni.
sanzione (come misura rieducativa) sarebbe poco comprensibile dal punto di vista di
un diritto penale del trattamento, questo perchè l'esigenza di venire sottoposti a un
trattamento rieducativo potrebbe già derivare dal semplice fatto di comportarsi da
vagabondi o mendicanti, di esercitare la prostituzione o di atteggiarsi a persone
moleste per la collettività, a prescindere dunque dalla commissione di specifici fatti
delittuosi.
Sulla base di quest'ultima obiezione (il cui fulcro sono i dubbi in merito a una stretta
connessione tra rieducazione e diritto penale del fatto), si è sviluppata una prospettiva
teorica pur favorevole al principio di rieducazione, la quale ha però sostenuto che l'idea
retributiva rappresenta un momento logico ineliminabile della pena. La retribuzione
offrirebbe la garanzia che il diritto penale mantenga l'imprescindibile nesso con il fatto di
reato e in tal modo preservi la libertà del singolo da una illimitata possibilità di intervento
statuale. Posto che il concetto stesso di retribuzione evoca un rapporto di corrispondenza tra
gravità del male commesso e intensità della risposta sanzionatoria, il suo mantenimento
permetterebbe di dosare le sanzioni in maniera corrispondente all'obiettivo disvalore dei reati
commessi.
viene considerata come idea astratta. Considerata invece come idea che vive nella
realtà ed acquista perciò uno spessore socio-psicologico, la retribuzione esprime le
istanze emotive di punizione emergenti nei contesti storico-sociali di volta in volta
considerati. Col pretendere di rinvenire nell'idea retributiva una garanzia contro i
possibili eccessi di una illimitata rieducazione, tale prospettiva astratta e idealistica
• In realtà l'inserimento della rieducazione nella prospettiva del diritto penale del fatto è
rischia dunque di fare affidamento su parametri irrazionali e incontrollabili.
207
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
infatti uno dei criteri-guida che presiedono allo stesso funzionamento dello Stato di diritto.
All'interno di un'ottica di prevenzione generale, la minaccia di una pena eccessivamente
severa o sproporzionata può suscitare sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore e
alterare nei consociati la percezione di quella corretta scala di valori che dovrebbe riflettersi
nel rapporto tra singoli reati e le sanzioni corrispondenti.
Dal lato della prevenzione speciale, un trattamento rieducativo correttamente inteso
presuppone che il destinatario si renda consapevole del torto commesso ed avverta coma
giusta e proporzionata la sanzione inflitta.
Perché il processo rieducativo possa avere corso senza tradursi in una imposizione coercitiva
nei confronti del destinatario, occorre che vi sia la disponibilità psicologica di quest'ultimo: è
in questo senso che va colto l'autentico significato del verbo tendere dell'art.27. Dal momento
che non può essere coercitivamente imposta, la rieducazione trova un ostacolo nell'eventuale
rifiuto opposto dal soggetto destinatario della sanzione.
Una simile tensione conflittuale tra esigenza rieducativa e indisponibilità psicologica del reo
si fa più acuta e grave nei casi in cui il delitto costituisce il frutto di una scelta politico-
ideologica che si pone e pretende di porsi in contrasto con i principi ispiratori
dell'ordinamento: sono queste le uniche situazioni nelle quali il principio rieducativo entra
veramente in crisi. Ma ciò accade perché è necessario rispettare un altro valore dotato di
rilevanza costituzionale: l'autonomia morale dell'individuo.
Al di fuori di queste ipotesi-limite, in una società pluralistica come la nostra, se non si può
pretendere l'adesione di tutti ai valori dominanti, si può però esigere il rispetto delle forme
minime della vita in comune.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
pena e la prospettiva della rieducazione, la legge n. 1634 del 1962 ha modificato l'art
176: il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale
quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. La miniriforma del 1986 ha esteso
anche agli ergastolani la possibilità di beneficiare della semilibertà e della liberazione
• riforma dell'ordinamento penitenziario: con legge n. 354 del 1975; i punti più
quest'ultimo adempimento dovrebbe fungere da stimolo alla rieducazione.
• sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: legge n. 689 del 1981; nel
condizioni di accesso alle misure alternative.
convincimento che le pene detentive brevi producano effetti più desocializzanti che
rieducativi, la loro sostituzione con sanzioni di altro tipo serve ad evitare che il
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
soggetto subisca il contagio criminale prodotto dall'impatto con la realtà carceraria.
pena pecuniaria: legge n. 689 del 1981. Il nuovo meccanismo di commisurazione
della pena in base alle condizioni economiche del reo tende a far sì che quest'ultimo
avverta la pena come più giusta e proporzionata, con la conseguenza che può
risultarne agevolato il processo di riacquisizione del rispetto dei valori offesi.
L'idea che lo scopo della pena sia di impedire che vengano commessi in futuro reati, idea
risalente a Protagora e Seneca, è stata oggetto di un'elaborazione in chiave psicologica nel
1800. Secondo questo modello si presume che l'uomo sia un essere razionale che prima di
agire fa un bilanciamento tra pro e contro della scelta criminale: tale bilanciamento dovrebbe
risolversi in una rinuncia al delitto tutte le volte in cui la prospettiva di sofferenza che si
affaccia alla rappresentazione mentale anticipata della pena, superi l'attrattiva di possibili
guadagni connessi all'atto criminoso (minaccia della pena come controspinta psicologica
alla spinta criminosa).
Tale modello è stato criticato in tempi recenti: l'uomo delinquente non è un calcolatore che
valuta razionalmente i motivi del proprio agire ma è soggetto a stimoli inconsci e
difficilmente controllabili.
210
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
disapprovazione legale;
presupposto di efficacia è costituito da un buon livello di credibilità del sistema
penale complessivo, essendo da escludere che stimoli all'osservanza dei precetti un
sistema percepito come ingiusto o inefficace.
Ma anche a prescindere dal problema delle condizioni di efficacia, ci sono due riserve:
a. da un lato la prospettiva della prevenzione generale positiva si presta a rilegittimare la
concezione retributiva della pena, che troverebbe una nuova giustificazione empirica
sul terreno della prevenzione, nell'essere funzionale alla canalizzazione delle spinte
aggressive individuali e collettive scatenate dal delitto, con conseguente effetto di
pacificazione sociale;
b. dall'altro lato finisce col privilegiare la soddisfazione dei bisogni collettivi di stabilità
e sicurezza; passa così inammissibilmente in secondo piano la funzione rieducatrice
che la pena dovrebbe esercitare nei confronti dei soggetti che hanno già delinquito.
Se opera nel triplice momento della minaccia, dell'inflizione e dell'esecuzione della pena, la
Piuttosto, quando si parla di retribuzione, oggi ci si riferisce non alla prospettiva degli scopi
della pena, ma a qualcosa di diverso. L'idea retributiva implica infatti l'idea di proporzione tra
entità della sanzione e gravità dell'offesa arrecata, tra misura della pena e grado della
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
colpevolezza. Nello stesso tempo, tale proporzione consente, nella complementare prospettiva
della prevenzione sociale, che il reo avverta la pena come giusta e che perciò assuma un
atteggiamento di maggiore disponibilità psicologica verso il processo rieducativo.
Una maggiore accentuazione, o addirittura un revival, dell'idea retributiva, si registra
nell'ambito di recenti tendenze neoretribuzionistiche, che prendono spunto dalla presunta crisi
dell'ideologia del trattamento rieducativo. Secondo tali tendenze, l'idea retributiva troverebbe
una base empirica nei bisogni emotivi di punizione esistenti nella società e in ciascun
individuo di fronte alla perpetrazione dei reati.
Lo spettacolo di chi delinque costituisce un esempio potenzialmente contagioso, essendo vivo
nell'inconscio di ciascuno il desiderio di trasgredire le proibizioni. La reazione punitiva dello
Stato nei confronti del delinquente mentre da un lato canalizza l'aggressività suscitata nei
cittadini dalla commissione dell'atto criminale, dall'altro rafforza la loro fedeltà ai valori
tutelati.
La moderna teoria retributiva pretende di spiegare sulla base di principi desunti dalla
psicologia sociale, il reale meccanismo mediante il quale la minaccia e l'inflizione della pena
rafforzano la coscienza morale dei consociati e contribuiscono a preservare l'integrità dei beni
giuridici protetti. Critiche --- Il recente recupero di una funzione satisfattorio-stabilizzatrice
della pena intesa in senso retributivo, desta allarme. I bisogni emotivi irrazionali e contingenti
di punizione lasciano il trattamento punitivo in balia delle spinte più incontrollabili: riemerge
così il rischio di punizioni terroristiche non proporzionate alla gravità del reato. L'idea
retributiva finisce con l'assecondare tendenze regressive che la privano proprio di quella
funzione di limite o garanzia che dovrebbe invece teoricamente assolvere in vista della tutela
del singolo destinatario della sanzione.
D'altra parte tra i compiti di un diritto penale moderno e razionale rientra anche quello di
filtrare criticamente le istanze di punizione emergenti dai contesti sociali.
Ma la principale obiezione è che questa impostazione proprio perché privilegia la funzione
positiva che la pena assolve per la società, si disinteressa del destino del singolo delinquente,
dimenticando così la corresponsabilità della società nella genesi del delitto. Invece è proprio
con la presa d'atto di questa corresponsabilità che si può ravvisare nella pena uno strumento
razionale capace di incidere positivamente anche sul singolo individuo delinquente: ed è
proprio questa persistente tensione verso il finalismo rieducativo, che pone lo Stato in una
condizione di superiorità morale che lo legittima a punire chi ha delinquito.
della coercizione fisica (es. un uomo tenuto in carcere) o anche attraverso forme di
interdizione giuridica, che impediscano al reo di continuare a svolgere attività che
hanno occasionato la commissione di delitti (es. divieto di contrattare con la pubblica
componente afflittiva insita nella punizione, l'emenda morale del delinquente (emenda
212
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
= correzione);
risocializzazione: nei tempi moderni si assume come criterio-guida questo tipo di
rieducazione. La prospettiva della risocializzazione presiede alla fase esecutiva della
pena: è durante l'esecuzione della pena che si procede al trattamento individualizzato
del colpevole, al fine di favorirne il più possibile il riadattamento. In realtà l'idea
rieducativa svolge un ruolo decisivo anche nella fase antecedente dell'inflizione o
commisurazione giudiziale della pena: nella scelta del tipo e dell'entità della sanzione
il giudice deve farsi guidare soprattutto dalla preoccupazione di incidere sulla
personalità del reo in modo da favorirne il recupero.
Dominante fino alla prima metà degli anni Settanta, l'ideologia della risocializzazione è
entrata in crisi negli ultimi tempi. Questa inversione di tendenza muove dalla presa d'atto di
un presunto fallimento degli sforzi sinora compiuti sul piano della concreta realizzazione del
finalismo rieducativo: indagini statistiche compiute in USA e Svezia proverebbero che le
possibilità di ricadere nel delitto permangono invariate.
In realtà che i dati sperimentali disponibili siano così univoci e probanti è ancora da
dimostrare, e anche se fossero tali, il fallimento riguarderebbe un trattamento inteso
soprattutto nell'accezione specifica di terapia della personalità, condotta da esperti in
psicologia secondo criteri scientifici. Ma l'ideologia della rieducazione può essere tradotta in
atto attraverso tecniche variamente articolate, che non presuppongono necessariamente
un'adesione al modello medico.
Senza contare che le risultanze disponibili non sono neppure così decisive da dimostrare il
fallimento dello stesso trattamento: tale tecnica infatti lungi dall'essere stata sinora applicata
in maniera generalizzata, è stata circoscritta a piccoli gruppi di detenuti ben selezionati e
all'interno di istituti modello.
Il sistema penale di uno stato democratico e pluralistico non può pretendere di trasformare il
delinquente né in un santo né in un onesto ragioniere: la prevenzione speciale come
risocializzazione costituisce solo una tecnica finalizzata all'obiettivo primario della
protezione dei beni giuridici.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
di privazione della libertà personale sofferta senza causa (o perchè alla carcerazione
preventiva non seguiva la condanna o perchè il condannato risultava successivamente
innocente) dall'ammontare della misura di sicurezza da applicarsi dopo la pena.
La Costituzione ha implicitamente prefigurato un sistema monistico di sanzioni: per esso ad
un reato deve corrispondere una sola sanzione orientata in senso rieducativo. Se tale sanzione
unica debba poi rivestire i caratteri della pena o della misura di sicurezza, è una scelta da
operare in funzione delle caratteristiche soggettive dei destinatari della sanzione: in questo
senso, le pene andrebbero applicate ai delinquenti psicologicamente normali, le misure di
sicurezza ai delinquenti affetti da turbe psicologiche e in quanto tali bisognosi di terapia.
214
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Alcune importanti novità sono state introdotte dalla normativa in tema di criminalità
organizzata di stampo mafioso emanata nel 1991-1992: il legislatore ha individuato nel
campo dell'esecuzione della pena il terreno privilegiato d'intervento contro la criminalità
organizzata, creando un circuito penitenziario ben differenziato per i soggetti che vi fanno
parte: da un lato, un irrigidimento del trattamento penale, che inasprisce la vita carceraria;
dall'altro, sconti di pena in forma di attenuanti e immediato accesso alle misure alternative e
agli altri benefici penitenziari per i detenuti ammessi allo speciale programma di protezione
che decidono di collaborare con la giustizia per l'individuazione degli altri associati autori di
reati. Funzionale all'obiettivo pratico di scompaginare le organizzazioni di stampo mafioso,
questo modello di disciplina differenziata entra in conflitto con i principi generali sottostanti
al trattamento relativo ai delinquenti comuni: può apparire eccessivo precludere ogni
beneficio penitenziario ai mafiosi irriducibili, mentre la disponibilità a collaborare con la
giustizia non è affatto indice sicuro di pentimento, ma può essere frutto di un calcolo
utilitaristico strumentale a evitare i rigori del carcere.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO II
LE PENE IN SENSO STRETTO
1. Le pene principali
Il nostro diritto positivo distingue le pene in principali ed accessorie.
L'articolo 17 dispone che le pene principali stabilite per i delitti sono: la pena di morte,
l'ergastolo, la reclusione e la multa; e che le pene principali stabilite per le contravvenzioni
sono l'arresto e l'ammenda.
A sua volta l'articolo 18 definisce pene detentive o restrittive della libertà personale
l'ergastolo, la reclusione e l'arresto; pene pecuniarie la multa e l'ammenda.
Infine l'articolo 20 precisa che le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di
condanna, e quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.
Accanto a quelle suindicate previste dal codice, il d.lgs. 274/2000 ha introdotto due nuove
pene principali di applicazione limitata ai soli reati di competenza del giudice di pace, e cioè
la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità. I reati cui si applicano queste nuove
sanzioni penali sono tassativamente indicati dall'art 4 del decreto (es. furti punibili a querela,
ingiuria, percosse, ecc).
uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento
notturno. Il condannato può essere ammesso al lavoro all'aperto.
Controverso è il problema della compatibilità dell'ergastolo con i principi della
Costituzione e in particolare con il principio di rieducazione espresso dall'art 27
216
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
comma 3: la Corte costituzionale l'ha ritenuto legittimo perché funzione della pena
non è solo il riadattamento sociale, ma pure la prevenzione generale, la difesa sociale
e la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati delinquenti. Senonchè la
natura perpetua dell'ergastolo è comunque andata sempre più ridimensionandosi, per
cui il problema della sua costituzionalità ha finito con lo sdrammatizzarsi. Infatti il
condannato all'ergastolo può, se ha tenuto un comportamento tale da far ritenere
sicuro il suo ravvedimento, essere ammesso alla liberazione condizionale dopo aver
scontato 26 anni di pena. Inoltre sul carattere astrattamente perpetuo dell'ergastolo
hanno inciso ulteriori interventi.
o Sentenza n. 274 del 1983: ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il
divieto di ammettere i condannati all'ergastolo al godimento degli sconti di
pena consentiti dall'istituto della liberazione anticipata, con conseguente
riduzione dei tempi necessari ai fini della liberazione condizionale.
o legge n. 663 del 1986: ha esteso espressamente agli ergastolani l'applicabilità
dei due istituti della semilibertà e della liberazione anticipata. Tale legge
consente che, ai fini del computo dei 20 anni di pena espiata che fanno da
presupposto all'ammissibilità al regime di semilibertà, possano venir detratti
45 giorni per ogni semestre di pena scontata se il condannato partecipa
all'opera di rieducazione. Dopo 10 anni sono concedibili permessi-premio per
non più di 45 giorni all'anno. Il tempo trascorso in permesso è computato a
ogni effetto nella durata della pena espiata.
o Sentenza n. 168 del 1994: la Corte Costituzionale ha ravvisato
un'incompatibilità insanabile tra la pena perpetua e la minore età, facendo leva
sul particolare significato che la rieducazione finisce con l'assumere ove venga
riconsiderata alla stregua della speciale protezione che l'art.31 Cost. accorda a
infanzia e gioventù.
La Corte ha inoltre affermato che in linea di principio, previsioni sanzionatorie fisse
non appaiono in armonia con il volto costituzionale del sistema penale (sarebbe
necessaria dunque una commisurazione individualizzata della sanzione punitiva)
salvo che appaiano proporzionate all'intera gamma di comportamenti riconducibili
allo specifico tipo di reato; da questo punto di vista si tratta dunque di verificare se le
attuali previsioni normative dell'ergastolo risultino, sebbene prive di elasticità (e
quindi fisse), proporzionate o congrue rispetto all'intera gamma dei fatti tipizzati nelle
24 anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro
e con l'isolamento notturno. Il condannato, che ha scontato almeno 1 anno, può essere
ammesso al lavoro all'aperto.
La reclusione è la pena temporanea per i delitti. I limiti, minimo e massimo, sono
invalicabili solo per il giudice nella scelta della pena da irrogare nel caso concreto. Il
legislatore invece può fissare liberamente tali limiti (ad es. nella recente legislazione
dell'emergenza, per il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione la pena
può estendersi tra i 25 anni e i 30).
La legge n. 354 del 1975 disciplina l'esecuzione della reclusione sulla base di alcuni
principi:
o l'esecuzione della pena avviene nelle case di reclusione;
o è previsto l'obbligo del lavoro e dell'isolamento notturno;
o il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della
217
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Multa: L'art 24 statuisce che la pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di
è modo di affidare il figlio ad altri che alla madre.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Pene introdotte dal d.lgs. n. 274 del 2000, di applicazione limitata ai soli reati di
competenza del giudice di pace.
• Lavoro di pubblica utilità: L'art 54 dispone che il lavoro di pubblica utilità consiste
superiore a 45. Il condannato non è considerato in stato di detenzione.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Per quanto riguarda la funzione svolta, l'opinione tradizionale ritiene che esse tendano ad un
obiettivo di prevenzione generale o di difesa sociale. Recentemente però la dottrina ha
giustamente cominciato ad evidenziarne anche una funzione di prevenzione speciale perché
fungono da misure volte a evitare che il reo ricada nel delitto.
Esse sono comunque fortemente afflittive e limitative anche di diritti costituzionalmente
garantiti. In origine non erano sospendibili condizionalmente e pertanto spesso svolgevano di
fatto un ruolo sostitutivo delle pene principali, quale unica sanzione concretamente applicata
al condannato. Tale disciplina è stata però innovata nel 1990 introducendo il principio
antitetico della sospendibilità delle stesse pene accessorie. C'è stato questo mutamento per
l'esigenza di rendere più omogenea la rispettiva disciplina delle pene principali e delle pene
accessorie, anche se questo finisce con l'accentuare la tendenza indulgenzialistica del nostro
sistema sanzionatorio.
Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee. Quando la legge stabilisce che la
condanna comporta l'applicazione di una pena accessoria, e la durata di questa non è
espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata uguale a quella della pena
principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione per insolvibilità del
condannato. Tuttavia in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e massimo stabiliti
per ciascuna specie di pena accessoria.
La mancata osservanza delle pene accessorie è sanzionata penalmente dall'art 389: vale per
tutte le pene accessorie e c'è la previsione della sola pena della reclusione.
220
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Interdizione legale: Si tratta della pena accessoria per i delitti di maggiore gravità.
violazione del dovere di controllo posto a carico del direttore responsabile.
Priva il soggetto della capacità di agire: ad essa si applicano le norme della legge
civile sull'interdizione giudiziale (in ordine alla disponibilità ed all'amministrazione
dei beni, nonché alla rappresentanza negli atti relativi), però con un limite: lo stato di
interdizione legale non impedisce ai detenuti l'esercizio dei diritti loro riconosciuti
dall'ordinamento penitenziario.
L'interdizione legale segue ope legis alla condanna alla pena dell'ergastolo, nonché
alla reclusione per almeno 5 anni. La condanna produce, durante la pena, la
• Interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese: Questa
sospensione della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti.
221
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Decadenza o sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori (art 34) � Tale
causa o nell'esercizio di un'attività imprenditoriale.
pena consiste nella privazione della capacità di esercitare diritti e doveri che la legge
ricollega alla posizione di genitore.
La decadenza dalla potestà importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore
spetti sui beni del figlio; essa consegue ipso iure alla condanna all'ergastolo e alla
condanna per determinati delitti, in particolare contro la moralità pubblica e il buon
costume.
La sospensione dall'esercizio della potestà importa anche l'incapacità di esercitare,
durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio; essa
consegue alla condanna alla reclusione per almeno 5 anni; la condanna per delitti
commessi con abuso della potestà dei genitori importa la sospensione dall'esercizio di
essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.
contenuto afflittivo identico alla interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese. Il legislatore ha ritenuto opportuno far conseguire alla
condanna all'arresto questa pena, in considerazione del notevole disvalore penale di
alcune contravvenzioni.
Consegue ad ogni condanna all'arresto per contravvenzioni commesse con abuso dei
poteri o violazione dei doveri inerenti all'ufficio e può avere una durata compresa tra
15 giorni e 2 anni.
222
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
contravvenzioni. Questa pena deve essere ordinata dal giudice e viene eseguita mediante la
pubblicazione, di regola per estratto e sempre una sola volta, della sentenza di condanna in
uno o più giornali stabiliti dal giudice, ed a spese del condannato.
Consegue alla condanna per delitti o contravvenzioni nei casi stabiliti dalla legge.
La sentenza di condanna alla pena dell'ergastolo, inoltre, è pubblicata mediante affissione nel
comune ove è stata pronunciata, in quello in cui fu commesso il delitto e in quello in cui il
condannato aveva l'ultima residenza.
Problemi di costituzionalità di questa pena accessoria sono stati prospettati in dottrina, con
riferimento al principio di umanità di cui all'art 27 comma 3° della Costituzione.
• Libertà controllata: E' la misura sostitutiva delle pene detentive fino a 1 anno.
Ha contenuto parzialmente analogo a quello della semilibertà.
Comporta:
o il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione
concessa di volta in volta e solo per motivi di studio, lavoro, famiglia e salute;
o l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di
223
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
contenente le prescrizioni imposte.
Pena pecuniaria: E' la sanzione sostitutiva delle pene detentive fino a 6 mesi. Si
presenta come multa o ammenda, secondo la specie della pena detentiva sostituita.
Il ragguaglio tra la pena detentiva e le misure in esame varia a seconda del tipo di sanzione
sostitutiva: 1 giorno di detenzione equivale ad 1 giorno di semidetenzione e a 2 giorni di
libertà controllata o a 38,73 € (75000 lire) di multa o di ammenda.
Le sanzioni sostitutive si applicano in presenza di condizioni oggettive (pena in concreto
irrogata dal giudice e tipo di reato) e soggettive (precedente condanna superiore a due anni,
ecc) fissate dalla legge.
L'applicazione delle sanzioni sostitutive è affidata dalla legge al potere discrezionale del
giudice. Possono essere applicate d'ufficio o su richiesta dell'imputato (mediante l'istituto del
patteggiamento).
Esse possono essere revocate o convertite in caso di inosservanza delle prescrizioni imposte al
condannato.
224
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale, ma non le pene
•
accessorie né le obbligazioni civili derivanti da reato.
Affidamento in prova per tossicodipendenti e alcooldipendenti: Particolare ipotesi
di affidamento in prova al servizio sociale previsto in considerazione delle specifiche
peculiarità legate allo stato di dipendenza del condannato. Si applica su domanda
dell'interessato che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda
sottoporsi e che deve scontare una condanna entro il limite dei 4 anni. Mira a
proseguire o a concordare l'attività terapeutica sulla base di un programma stabilito
con una unità sanitaria locale o con un ente privato, associazione o cooperativa ad hoc
previsti. Con tale misura si sono volute evitare le conseguenze negative derivanti
dall'interruzione del programma di attività terapeutica in corso, o dall'impedimento
•
dell'inizio del programma.
Detenzione domiciliare: Dal punto di vista della natura giuridica, più che una misura
alternativa alla detenzione in senso proprio costituisce una mera modalità di
esecuzione della pena per talune categorie di condannati nei confronti dei quali la
sanzione penale normalmente eseguita non svolgerebbe alcuna funzione
risocializzante. Il tribunale di sorveglianza stabilisce le prescrizioni e le modalità
esecutive. Essa è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge e alle
prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.
Una forma speciale di detenzione domiciliare riguarda i soggetti affetti da HIV in fase
•
di cura.
Semilibertà: Consiste in una parziale limitazione della libertà personale, alternata con
un periodo di libertà. L'art 48 dell'ordinamento penale afferma che la semilibertà
consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno
fuori dall'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al
reinserimento sociale. Anche questa misura rappresenta una modalità di esecuzione
della detenzione, in quanto attenua lo stato di privazione della libertà. Può essere
concessa ab initio per le pene detentive brevi e anche per quelle di lunga durata. Il
tempo trascorso in semilibertà è sempre considerato come pena detentiva
effettivamente scontata. Essa può essere revocata se il soggetto si dimostra inidoneo
al trattamento o rimane assente dall'istituto senza giustificato motivo per un massimo
di 12 ore (se l'assenza si protrae invece per un tempo maggiore, viene considerata
•
evasione e punita con la reclusione).
Liberazione anticipate: L'art 54 dell'ordinamento penitenziario dispone che al
condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di
rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del suo
più efficace reinserimento nella società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo
semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di
custodia cautelare o di detenzione domiciliare.
Questa progressiva riduzione di pena persegue l'obiettivo di agevolare il trattamento
penitenziario, incentivando la partecipazione del detenuto con il prospettargli la
concreta possibilità di una liberazione anticipata: essa ha dunque un carattere
premiale, e va considerata come un momento del trattamento penitenziario,
•
progressivo e individualizzato.
Permessi premio: Si concedono ai condannati che hanno tenuto regolare condotta
(hanno manifestato cioè senso di responsabilità e correttezza nella vita carceraria) e
che non risultano socialmente pericolosi, per consentire loro di coltivare interessi
affettivi, culturali o di lavoro. L'esperienza dei permessi premio è parte integrante del
225
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
doppio binario tra i condannati per reati comuni e i condannati appartenenti alla
criminalità organizzata o eversiva, fatte salve le eccezioni per coloro che collaborano
con la giustizia e, a certe condizioni, per coloro nei confronti dei quali può escludersi
in maniera sicura l'attuale esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata
medesima.
L'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla
detenzione (fatta eccezione per la liberazione anticipata), possono essere concessi ai
detenuti per delitti commessi al fine di agevolare l'attività di associazioni mafiose,
solo nei casi in cui essi collaborino con la giustizia.
Riguardo a detenuti per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione
dell'ordinamento costituzionale, tali benefici possono essere concessi solo se non ci
sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità
organizzata.
Questa disciplina vuole costituire un forte deterrente contro la pericolosità sociale di
questi delinquenti, sollecitandoli all'uscita dall'associazione criminale mediante
incentivi premiali.
226
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO III
LA COMMISURAZIONE DELLA PENA
• quadro edittale della pena (in questo senso il giudice deve fissare la pena tra un
incontro a limiti legislativamente predeterminati:
• tendenza giurisprudenziale a svilire l'obbligo della motivazione ex art 132: sia nella
libero il potere di determinazione giudiziale della sanzione:
determinazione in concreto delle pene, sia nella concessione dei vari benefici i giudici
per lo più esercitano la loro discrezionalità in maniera quasi incontrollata; e la stessa
Cassazione tende a convalidare le scelte sanzionatorie operate dai giudici di merito,
salvi i casi di palese contrasto tra motivazione adottata ed elementi obiettivi acquisiti
• l'art 133 solo apparentemente indica criteri di commisurazione della pena capaci di
agli atti dei procedimenti;
vincolare il potere discrezionale del giudice: tale disposizione non riesce in realtà a
fornire indicazioni univoche perché fa riferimento a fattori (dalla gravità del reato alla
capacità a delinquere) che assumono un significato e una rilevanza diversi, a seconda
della finalità prevalente che l'interprete assegni alla pena in sede commisurativa;
L'attribuzione al giudice di un potere di scelta della misura concreta della sanzione risulta
peraltro compatibile col rispetto del principio di legalità; la Corte Costituzionale di recente si
è spinta addirittura oltre, affermando il principio della tendenziale illegittimità delle pene
fisse.
227
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
1) Criteri finalistici: Il primo nodo, che il giudice si trova a dover sciogliere riguarda
l'individuazione dei fini da raggiungere mediante l'irrogazione della pena. Problema
non sempre di facile soluzione perché spesso può accadere che, a seconda che si
privilegi rispettivamente la finalità di prevenzione generale o speciale o retributiva,
risultino adeguate al caso concreto misure di pena diverse tra loro: da qui l'esigenza di
istituire una gerarchia tra i diversi scopi della pena, anche in vista di un superamento
delle eventuali antinomie riscontrabili nella fase commisurativa.
3) Criteri logici: Ultima fase dell'iter, caratterizzata dalla valutazione del rispettivo peso
degli indici fattuali ai fini di un giudizio sulla complessiva gravità del reato e di un
corrispondente dosaggio della sanzione fra il massimo e il minimo edittali.
L'art 133 comma 1, stabilisce che nell'esercizio del potere discrezionale il giudice deve tener
• dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra
conto della gravità del reato desunta:
• dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
modalità dell'azione;
• La gravità del danno o del pericolo si valuta assumendo a punto di riferimento l'offesa
aggravanti.
228
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
lesione o il grado di probabilità della sua verificazione.
L'intensità del dolo si misura considerando la forma in cui esso si manifesta: la
volontà colpevole appare di intensità maggiore nel dolo intenzionale e
progressivamente meno grave nel dolo diretto e nel dolo eventuale. Quanto al grado
della colpa, per accertarlo occorre fare riferimento ad una serie di criteri quali il
quantum di esigibilità della condotta doverosa e il quantum di divergenza tra la
condotta tenuta e la regola precauzionale applicabile nel caso concreto.
• dai precedenti penali e giudiziari e dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al
Schematizzando le contrapposizioni emerse all'interno del dibattito teorico, una prima linea
divisoria va tracciata con riferimento al tipo di soluzione data al problema del rapporto
• alcuni autori proiettano nel passato la capacità a delinquere: essa consiste in una sorta
temporale tra capacità a delinquere e reato:
di attitudine al reato commesso nel quadro del giudizio di colpevolezza; parte della
dottrina si sforza di riportare la capacità criminale sul terreno della colpevolezza, per
cui interessa valutare la personalità morale del reo quale si esprime nel fatto
commesso, in vista di un giudizio di riprovevolezza sufficientemente individualizzato.
Il nesso capacità criminale-colpevolezza è tuttavia contestato da qualche autore pur
• altri autori proiettano nel futuro la capacità a delinquere: essa viene identificata con
propenso a riferire l'elemento in esame al passato, cioè al reato già commesso.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
l'attitudine a commettere nuovi fatti delittuosi e con una nozione vicina a quella di
pericolosità quale presupposto dell'applicazione di una misura di sicurezza; mentre
qualche autore inclina a identificare capacità a delinquere e pericolosità sociale, altri
propongono una distinzione quantitativa perché tra i due concetti correrebbe uno
spartiacque costituito dalla diversità di grado intercorrente tra la mera possibilità e la
• tesi della duplice funzione della capacità a delinquere: una funzione di graduazione
probabilità che il medesimo soggetto violi in futuro la legge penale.
della colpevolezza, sul presupposto che tanto più riprovevole è il fatto, quanto
maggiore è l'attribuibilità morale del fatto stesso all'autore; e una funzione
prognostica, diretta ad accertare la potenzialità criminosa del soggetto in una
prospettiva di prevenzione speciale.
Stabilire quale delle tre interpretazioni sia la più giusta non è agevole: in mancanza di
indicazioni univoche ricavabili dall'art 133, si è costretti a ricostruire il significato della
capacità a delinquere mediante il richiamo di elementi esterni, che a loro volta rimandano alle
concezioni di fondo proprie di ciascun autore.
• Vita e condotta del reo antecedenti al reato: il giudice prima di pronunciarsi sulla
istintuali.
particolarmente significativi proprio in ragione del loro rapporto di vicinanza col reato
commesso (es. mostrare compiacimento durante la commissione del fatto delittuoso, o
al contrario mostrare rimorso dopo la consumazione del reato, o esitazione prima di
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
arbitrari e capaci di avere un'efficacia vincolante sul terreno giuridico, è necessario tentare un
• L' art 27, comma 1° della Costituzione, come abbiamo visto, ha implicitamente
approccio in chiave costituzionale ai problemi della commisurazione della pena.
anche sotto la diversa angolazione del divieto di responsabilità per fatto altrui. Il
problema si pone quando si tende a scoraggiare l'eventuale valorizzazione giudiziale
dell'indice della gravità del danno o del pericolo per far prevalere, al momento della
concreta irrogazione della pena, preoccupazioni di prevenzione generale (es. è il caso
del giudice che, al fine di evitare il frequente ripetersi di incendi dolosi in una zona
boschiva, applichi all'autore di un singolo episodio di incendio una pena così severa
da tendere a scoraggiare altri eventuali incendiari, ma sproporzionata rispetto al grado
della colpevolezza manifestata nel fatto oggetto di giudizio).
La scelta di irrogare pene esemplari, che fungano da ammonimento verso tutti i
consociati, finisce col cozzare con questo divieto, perché esaspera il ruolo di capro
espiatorio del singolo delinquente: il reo viene così a scontare una pena di misura
eccedente la sua colpevolezza in vista dell'esigenza di impedire la reiterazione di fatti
analoghi da parte di terzi soggetti. Risulta dunque confermato che il soddisfacimento
di istanze di prevenzione generale non può mai giustificare l'inflizione di un
• Anche l'art 27, comma 3° è abbastanza esplicativo sulla fase della commisurazione
ammontare di pena sproporzionato rispetto alla colpevolezza del fatto singolo.
della pena: esso afferma il fondamentale principio secondo cui le pene devono
tendere alla rieducazione del condannato: sarebbe illusorio confidare nell'efficacia
rieducativa della pena nella fase dell'esecuzione, se già a livello di irrogazione, il
giudice non si preoccupasse di scegliere una sanzione idonea sia nel tipo che nella
misura a favorire la risocializzazione del reo.
La necessaria operatività del principio di rieducazione nella fase irrogativa, produce
conseguenze sul piano dell'interpretazione del 2° comma dell'art 133. L'esigenza di
realizzare il finalismo rieducativo sollecita una ricostruzione della categoria della
capacità a delinquere in chiave di prevenzione speciale: il giudizio sull'attitudine del
reo a commettere reati dovrà essere proiettato nel futuro e fungerà da criterio di scelta
di una pena da determinare sia nel tipo che nella misura, in vista del reinserimento
sociale dell'agente. Il soddisfacimento di istanze di risocializzazione del reo troverà
sempre come limite il rispetto del principio del carattere personale della responsabilità
penale: neppure l'applicazione della pena volta a risocializzare potrà spingersi oltre la
misura della colpevolezza (una pena eccedente rispetto al grado della colpevolezza
non sarebbe infatti compresa dal condannato che la vivrebbe come ingiusta, per cui
risulterebbe pregiudicata la prospettiva del recupero sociale). Il giudice potrà però
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
applicare una pena meno elevata rispetto a quella che sarebbe giusto infliggere,
ogniqualvolta egli ritenga che ciò serva a facilitare il processo di reinserimento sociale
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
chiave generalpreventiva della sanzione, non per questo escludono che il livello massimo
della pena debba pur sempre orientarsi al grado della colpevolezza.
Le divergenze tra i due contrapposti orientamenti risultano dunque sul piano pratico meno
marcate di quanto a prima vista potrebbe sembrare: finchè la pena concretamente irrogata non
fuoriesca comunque dai limiti massimi della colpevolezza, l'eventuale irrigidimento di pena
determinato da preoccupazioni generalpreventive non presenterà proporzioni così
macroscopiche da far apparire la scelta irrogativa come una vera e propria sentenza esemplare.
È da condividere comunque la posizione di quegli autori che sollecitano una riforma dell'art
133 volta a recepire criteri finalistici di commisurazione della pena di derivazione
costituzionale.
Il nuovo art 133 bis dispone al 1° comma che nella determinazione dell'ammontare della
multa o dell'ammenda il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall'art 133,
anche delle condizioni economiche del reo, che vengono incluse tra i criteri di
commisurazione della pena pecuniaria già all'interno degli spazi edittali. A differenza infatti
della pena detentiva che incide su un bene (la libertà personale) tendenzialmente omogeneo,
la pena pecuniaria sacrifica un bene di fatto assai disomogeneo come il patrimonio: un
identico ammontare di pena, quale conseguenza sanzionatoria di un identico fatto di reato,
colpisce evidentemente in maniera tanto più diseguale quanto maggiore è la sproporzione
rilevabile nella situazione economica dei condannati.
Il primo comma dispone che il giudice dovrà tener conto delle condizioni economiche del reo
in aggiunta ai criteri indicati nell'art 133. Ciò vuol dire che il legislatore, tra i modelli di pena
pecuniaria in astratto adottabili, ha continuato a prescegliere quello più tradizionale della
somma complessiva, nel quale gli indici di commisurazione sono quelli generali della gravità
del reato e della capacità a delinquere. Questa scelta disattende le indicazioni politico-
criminali provenienti dalla dottrina, che propende per il diverso modello dei tassi giornalieri,
un sistema che separa in 2 autonomi momenti la fase della commisurazione: nel primo
momento viene fissato il numero dei tassi sulla base dei criteri generali, mentre nel secondo si
determina l'ammontare del tasso giornaliero sulla base delle condizioni economiche del reo.
L'accoglimento di un simile sistema avrebbe costretto i giudici a tenere veramente conto delle
condizioni economiche del colpevole, cosa che oggi si rivela problematica e perciò non
sempre avviene.
Nella formula normativa, il legislatore tace sugli indici di cui il giudice deve tenere conto in
sede di valutazione delle condizioni economiche del condannato, spetta dunque agli interpreti
• il giudice deve, in primo luogo, riferirsi al reddito dell'autore del reato al momento
suggerire criteri di valutazione:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
situazione economica del reo: anche perché si deve evitare il rischio di una deviazione
dai fini della pena pecuniaria, sotto forma di mascherate confische in obbedienza a un
malinteso intento di perequazione economico-sociale. Parte della dottrina propone di
tener conto solo dei beni patrimoniali il cui valore superi uno standard medio rispetto
alla contingente situazione economico- sociale (da questo punto di vista non si
dovrebbe ad esempio tener conto della proprietà di una casa per l'abitazione del reo e
pecuniarie gravanti sul reo (es. obblighi di alimenti nei confronti di familiari).
L'accertamento del reddito, in assenza di indicazioni normative, non può che essere rimesso
ai poteri di indagine del giudice e ai generici accertamenti di polizia giudiziaria; ma un ruolo
rilevante deve essere attribuito alle dichiarazioni fornite dallo stesso condannato.
L'art 133 bis dispone al 2° comma che il giudice può aumentare la multa e l'ammenda
stabilite dalla legge fino al triplo o diminuirle fino a 1/3 quando, per le condizioni economiche
del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace (cioè se non provoca un sensibile
sacrificio al reo) o che la misura minima sia eccessivamente gravosa (cioè se comporta un
sacrificio economico intollerabile).
L'inefficacia e l'eccessiva gravosità vanno determinate in funzione degli scopi di afflizione e
intimidazione-ammonimento, che sono tipici della sanzione pecuniaria. Ma sono valutazioni
assai difficili perché sull'incidenza della pena pecuniaria influiscono anche dati di natura
psicologica; ci si dovrà affidare necessariamente all'attenta e saggia valutazione del giudice.
L'art 58 comma 1° della legge citata, dispone che: il giudice, nei limiti fissati dalla legge e
tenuto conto dei criteri indicati nell'art 133, può sostituire la pena detentiva e tra le pene
sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato.
Dopo aver fissato la pena secondo i criteri tradizionali, il giudice dovrà dunque valutare se
sussistono i presupposti per l'adozione delle misure sostitutive, e in caso affermativo scegliere
(sempre che non si tratti di pena detentiva breve superiore ai tre mesi) la misura più idonea al
reinserimento sociale del condannato.
Nel pronunciarsi sull'an della sostituzione (cioè sul SE applicare una pena sostitutiva), gli
indici forniti dall'art 133 dovranno essere valutati al fine di stabilire se la personalità del reo
possa risultare danneggiata dall'applicazione di una pena detentiva breve.
Nel pronunciarsi sul quomodo della sostituzione (cioè sul COME applicare una pena
sostitutiva), il giudice dovrebbe seguire come criterio l'idoneità a favorire il reinserimento
sociale del condannato, dovrà pertanto accertare quantomeno quale sanzione sostitutiva sia
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il 3° comma obbliga il giudice a indicare specificamente i motivi che giustificano la scelta del
tipo di pena irrogata per rendere più trasparente e controllabile l'esercizio del potere
discrezionale nella scelta della sanzione sostitutiva.
nel corso del trattamento quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento
accerti che i condannati abbiano tenuto regolare condotta e non risultino di particolare
• Detenzione domiciliare.
pericolosità sociale.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO IV
LE VICENDE DELLA PUNIBILITÀ
Ciò premesso, si tratta di precisare la posizione delle condizioni obiettive di punibilità rispetto
alla struttura del fatto di reato.
L'evento-condizione può in concreto anche essere lambito dalla volontà del reo, ma
l'esistenza di un tale nesso psichico non costituisce requisito indispensabile ai fini della
punibilità del fatto (infatti il legislatore afferma che il colpevole risponde anche se l'evento
che integra la condizione obiettiva non è da lui voluto): non di rado l'evento-condizione
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
consiste nel fatto di un terzo per cui sarebbe irragionevole pretendere che la volontà
dell'agente abbracci eventi che, proprio perché realizzati da altri, sfuggono al suo potere di
signoria.
Escluso quindi che la condizione obiettiva debba costituire oggetto di volontà da parte
dell'agente, rimane da precisarne il rapporto con l'azione penalmente rilevante: in altri
termini, ci si deve chiedere se la condizione obiettiva di punibilità debba essere legata
all'azione tipica da un rapporto di causalità materiale. Se in linea di puro fatto nulla impedisce
che la condizione obiettiva di punibilità derivi causalmente dall'azione, non si può invece
pretendere che il nesso causale rappresenti sempre un requisito indefettibile.
La condizione di punibilità risale in alcuni casi alla condotta libera e consapevole di un terzo,
la quale difficilmente si atteggia a diretta conseguenza causale del comportamento dell'agente.
Da queste premesse si ricava che le condizioni obiettive di punibilità costituiscono
avvenimenti incerti e futuri, che fanno sì parte della fattispecie astratta, ma che sono estranei
sia al fatto materiale, sia alla colpevolezza.
Infine, quanto all'incidenza della condizione di punibilità sul piano degli interessi tutelati, è
fondamentalmente da condividere quell'orientamento che inclina a distinguere le condizioni
Senza dubbio oggi l'istituto delle condizioni obiettive si espone a riserve critiche. Se è vero
che non di rado l'introduzione di una condizione obiettiva si spiega con l'intento di superare le
difficoltà di accertamento del dolo rispetto all'evento-condizione, ciò deve indurre a riflettere
sui limiti di compatibilità di una tale scelta legislativa con il principio della responsabilità
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
personale.
Vi è il rischio che il ricorso alla categoria delle condizioni obiettive di punibilità rappresenti
una sorta di comodo alibi per sottrarre alla disciplina del dolo e della colpa elementi del fatto
delittuoso. Il problema della compatibilità tra le condizioni obiettive di punibilità e il
principio di colpevolezza si aggrava quanto più si tratta di eventi condizionanti che hanno la
capacità di incidere sull'offesa insita nel fatto tipico, approfondendola o aggravandola.
In proposito la sentenza costituzionale n. 364 del 1988 ha sancito il fondamentale principio
secondo cui la colpevolezza, almeno nella forma minima della colpa, deve coprire tutti gli
elementi significativi del fatto, cioè quelli da cui dipende il disvalore dell'offesa tipica. Non
possono sottrarsi dunque al principio di colpevolezza le condizioni di punibilità intrinseche,
quali accadimenti capaci di incidere sull'offesa insita nel fatto tipico, e il principio di
colpevolezza potrà considerarsi rispettato ove tali condizioni siano, sul piano soggettivo,
coperte quantomeno dalla colpa.
Infatti l'art 44, ammettendo che l'evento condizionale possa essere anche non voluto, esclude
solo che il dolo costituisca necessario presupposto di imputazione dell'evento medesimo; ma
nulla dice sulla colpa, e ciò non impedisce che l'interprete ne richieda la presenza in una
prospettiva di ricostruzione in chiave costituzionale dell'istituto.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
È improprio in realtà parlare di estinzione del reato, perché se si ha riguardo alla valutazione
giuridica, il reato estinto continua a produrre alcuni effetti anche dopo l'avvenuta estinzione
(di esso si tiene conto, ad esempio, ai fini della dichiarazione di abitualità e professionalità nel
reato).
Le cause di estinzione del reato vengono variamente classificate dalla dottrina sulla base di
• esse possono essere generali se collocate nella parte generale del codice e perciò
criteri eterogenei:
incondizionate (es. morte del reo prima della condanna) a seconda che tra i requisiti
fondamento omogeneo: fatti naturali in cui è del tutto irrilevante la volontà umana,
atto di clemenza, comportamento dello stesso autore.
• hanno efficacia personale, nel senso che operano solo nei confronti della persona cui si
Le regole comuni alle cause di estinzione possono così enuclearsi:
• devono essere dichiarate immediatamente dal giudice in ogni stato e grado del
riferiscono, salvo che la legge disponga diversamente;
• sottostanno al principio del favor rei nell'ipotesi di concorso tra più cause estintive,
processo, salvo sia evidente il proscioglimento nel merito;
nel senso che l'effetto estintivo del reato o della pena dovrà essere prodotto dalla
causa comparativamente più favorevole.
Esse hanno natura sostanziale, e non più processuale (salvo la remissione della querela, che
infatti viene trattata in procedura penale).
• ma la dottrina prevalente è orientata per la tesi che la morte del reo non impedisce
costituisce il normale presupposto per l'applicazione di una misura di sicurezza;
l'adozione della confisca, la quale esclude il ricorso all'art 210, che afferma la regola
dell'inapplicabilità delle misure di sicurezza a seguito del fenomeno estintivo.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La morte del reo non esclude il proscioglimento nel merito quando il giudice riconosce che il
fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso o che il fatto non costituisce reato o
non è previsto dalla legge come reato; non esclude neanche la possibilità per il giudice civile,
in sede di accertamento incidentale del fatto ai fini del risarcimento dei danni anche morali, di
valutare autonomamente la fattispecie accogliendo la pretesa risarcitoria.
Nell'ipotesi di fondato dubbio sull'esistenza in vita dell'imputato, il giudice deve sospendere il
procedimento (es. dichiarazione di assenza).
4. L'amnistia propria
L'amnistia è un provvedimento generale ed astratto, con il quale lo Stato rinuncia a punire un
determinato numero di reati.
L'art 151 stabilisce che l'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare
l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Il codice prevede una disciplina unitaria per l'amnistia propria e per quella impropria,
mentre sarebbe stata più opportuna una regolamentazione separata: infatti la prima, che si
verifica allorchè il provvedimento di clemenza giunga prima della condanna definitiva,
rappresenta una causa estintiva del reato; mentre la seconda, che presuppone la condanna
definitiva, è una causa di estinzione della pena.
Viene tradizionalmente considerata una causa di clemenza e giustificata, sul piano
dell'opportunità pubblica, dalla presenza di situazioni oggettivamente eccezionali e per certi
versi irripetibili (ad esempio viene usata per fronteggiare l'altissimo tasso di inflazione
carceraria rispetto alla capienza degli istituti penitenziari). Secondo l'originaria formulazione
dell'art 79 Cost. veniva concessa sulla base di una legge di delegazione del Parlamento, che il
Presidente della Repubblica successivamente ratificava (dunque fondamentalmente
quest'ultimo non aveva potere di ingerenza), in realtà vedremo come tale articolo sia stato
riformato.
L'uso frequente di questo strumento fatto nel nostro Paese spiega l'atteggiamento di ostilità
che nei suoi confronti è andato sempre più diffondendosi sia nell'opinione pubblica che
nell'ambito degli studiosi. Appaiono frustrate la funzione intimidatrice e di deterrenza della
pena e l'esigenza di rieducazione del reo, in quanto il beneficio è fruibile senza che esso sia
preceduto da una positiva prognosi circa le chances di reinserimento sociale del beneficiario.
In realtà dietro tale fenomeno si possono individuare delle ragioni che attengono al sistema
penale nel suo complesso: ad esempio il bisogno di amnistia funge sia da surroga di mancata
riforma, necessaria alla giustizia per adempiere alla sua funzione, sia da forma di
decriminalizzazione surrettizia, nel senso che equivale al riconoscimento della sostanziale
inoffensività dei reati amnistiati.
L'amnistia può assolvere pure una funzione di pacificazione sociale, necessaria in alcuni
momenti della vita del paese perché, limitando l'efficacia della legge penale dopo un periodo
di gravi conflitti sociali, opera come strumento di ricomposizione: in questo senso si può
forse affermare che essa finisce con lo svolgere di fatto e indirettamente anche una funzione
di recupero sociale. La ragionevolezza di un provvedimento di clemenza dipende dal rapporto
strumentale che si instaura fra esso e le finalità proprie della legislazione generale del settore
cui si riferisce.
Per reagire al disinvolto uso che se ne è fatto, è stato riscritto l'art 79 Cost. con la legge
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Il canone del tempus commissi delicti, che serve a determinare l'applicabilità dell'amnistia
ad un determinato, singolo delitto, si atteggia diversamente a seconda del tipo di reato preso
• delitto tentato: si deve considerare il momento in cui si sono realizzati gli atti idonei
dell'evento o del mancato compimento dell'azione dovuta;
della stessa. Nel caso in cui dovessero rimanere margini di incertezza, bisogna
• concorso di reati: l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è concessa. Anche per
privilegiare il favor rei;
l'amnistia vale il principio che essa non si estende al reato complesso di cui il reato
amnistiato rappresenta elemento costitutivo o circostanza aggravante (così ad esempio,
l'amnistia concessa per la violenza privata non estinguerà il delitto di rapina).
La legge che contiene l'atto di clemenza deve indicare i reati amnistiati: vengono utilizzati a
questo scopo diversi criteri di selezione, quali il numero dell'articolo, il nomen juris o il tetto
di pena entro il quale è concedibile il beneficio. Nel nostro sistema, si è fatto uso in passato di
tutti e tre i criteri congiuntamente (anche se quello del tetto della pena può creare problemi
per l'influenza che su di esso possono esercitare le circostanze aggravanti e attenuanti).
L'amnistia non è applicabile, salva diversa volontà legislativa, nel caso in cui il soggetto
autore del reato astrattamente ricompreso nel provvedimento sia stato dichiarato dal giudice
recidivo aggravato e reiterato oppure delinquente abituale, professionale o per tendenza: tali
dichiarazioni di delinquenza qualificata devono essere già definitivamente adottate al tempo
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
in cui l'amnistia entra in vigore. Va notato che l'art 151 limita la sua sfera di efficacia ai
delinquenti, con conseguente esclusione dei contravventori qualificati, per i quali l'amnistia è
applicabile.
L'amnistia sia propria che impropria può essere subordinata a condizioni o a obblighi, che in
virtù del principio di legalità devono comunque essere espressamente previsti dalla legge.
L'amnistia è rinunciabile. In caso di rinuncia all'amnistia, il giudizio prosegue nelle forme
regolari e può sfociare sia in una pronuncia di condanna che di assoluzione.
5. La prescrizione
Al decorso del tempo l'ordinamento ricollega di solito effetti giuridici. Nel diritto penale il
decorso del tempo può avere effetti sia sul reato, sia sulla pena.
La prescrizione del reato è una causa estintiva costituita appunto dal decorso del tempo
senza che alla commissione del reato segua una sentenza di condanna irrevocabile. Con il
decorso del tempo appare inutile e inopportuno l'esercizio della stessa funzione repressiva,
perché vengono a cadere le esigenze di prevenzione generale che presiedono alla repressione
dei reati: esse a poco a poco si affievoliscono fino a spegnersi del tutto.
Tuttavia, in una prospettiva di valorizzazione dei diritti fondamentali dell'uomo, insieme con
la necessità di garantire il diritto costituzionale alla difesa in giudizio (e nello specifico il
diritto ad ottenere il riconoscimento dell'innocenza), la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità dell'art 157, nella parte in cui non consentiva la rinunciabilità della prescrizione.
Nell'attuale formulazione dunque, la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile
dall'imputato.
Per alcuni reati è in ogni caso stabilita l'imprescrittibilità: sono quelli per cui è prevista la
pena di morte e dell'ergastolo, e ciò in considerazione della loro gravità, del fatto che più a
lungo durano nel ricordo degli uomini e quindi non attenuano l'interesse statale alla loro
repressione.
La disciplina giuridica della prescrizione è stata radicalmente riformata nel 2005: si è voluta
soddisfare l'esigenza di assicurare maggiore certezza nel calcolo del tempo dell'oblio,
rimediando all'inconveniente di far dipendere tale calcolo anche da una postuma valutazione
giudiziale ampiamente discrezionale.
criterio delle classi di gravità dei reati individuate per fasce di pena e lo sostituisce
con il nuovo criterio della pena massima edittale di ciascun reato, ma
contemporaneamente introduce una soglia minima inderogabile di tempo di almeno 6
anni se si tratta di delitto e di almeno 4 anni se si tratta di contravvenzione, ancorchè
• commi 2° e 3°: allo scopo di rendere più certo ex ante il tempo necessario a
puniti con la sola pena pecuniaria.
• comma 2°: detta una disciplina differenziata per i recidivi, stabilendo che ai fini del
pena previsto per l'aggravante.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria e quelle a effetto speciale
e che si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto. Dunque nei casi in cui la
recidiva opera come circostanza aggravante, con un aumento della pena superiore a
1/3, occorre calcolare ai fini della prescrizione anche questo ulteriore aumento. Solo la
recidiva semplice, per la quale si è mantenuto l'aumento di pena fino a un terzo, sfugge
• comma 6°: prevede un raddoppio degli ordinari tempi di prescrizione per alcune
a questo meccanismo di allungamento dei tempi prescrizionali.
Sulla decorrenza del termine per la prescrizione (il cosiddetto dies a quo) il codice
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• nei casi di sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di
impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell'imputato o del suo difensore.
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. In
caso di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui
l'Autorità competente accoglie la richiesta.
L' interruzione è un effetto giuridico per il quale, in presenza di alcuni atti giuridici, il
termine di prescrizione già decorso viene meno e comincia a decorrere ex novo et ex integro.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Oblazione comune: l'art 162 dispone che nelle contravvenzioni, per le quali la legge
stabilisce la sola pena dell'ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima
dell'apertura del dibattimento, o prima del decreto di condanna, una somma
corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la
contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il
reato.
Si individua tradizionalmente la ratio dell'istituto nell'esigenza dello Stato di definire
con economia e sollecitudine i procedimenti concernenti i reati di minima importanza.
Più controversa è la qualificazione dogmatica di questa forma di oblazione: secondo
un orientamento, essa determina la trasformazione o la riduzione dell'illecito penale in
illecito amministrativo; secondo un altro, essa costituisce una forma volontaria di
esecuzione della pena. Queste tesi però trascurano di considerare un dato rilevante,
cioè che l'ordinamento riconosce alla manifestazione di volontà del contravventore il
potere di estinguere il reato: sembra perciò più corretto considerare l'oblazione una
causa estintiva.
L'oblazione (giudiziale) di cui stiamo parlando non va confusa né con l'oblazione in
via amministrativa, che va eseguita presso l'autorità amministrativa, né con l'oblazione
in via breve prevista dal codice della strada e da alcune leggi finanziarie.
L'oblazione giudiziale si applica in presenza delle seguenti condizioni:
o che si tratti di contravvenzione per la quale la legge stabilisce la sola pena
dell'ammenda di qualsiasi ammontare;
o che il contravventore presenti domanda di ammissione all'oblazione prima
dell'apertura del dibattimento o del decreto penale di condanna;
o che il contravventore adempia tempestivamente all'obbligo di pagamento
assunto, obbligo che ammonta a 1/3 del massimo dell'ammenda previsto dalla
legge.
In presenza di queste condizioni l'applicazione dell'oblazione è automatica.
L'oblazione equivale ad una depenalizzazione di fatto.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• la prima rende virtuale il cumulo tra pena detentiva e pena pecuniaria ai fini del
La legge n. 145 del 2004 ha introdotto 2 deroghe alla disciplina:
calcolo del requisito del limite massimo di pena sospendibile, nell'ipotesi in cui a
seguito della conversione di pena pecuniaria sia superata la soglia massima di
concedibilità del beneficio, con l'evidente finalità di incentivare il ricorso al
• una sentenza di condanna a pena detentiva, o a pena pecuniaria che, sola o congiunta a
I presupposti di applicazione della sospensione condizionale ordinaria della pena sono due:
Il limite oggettivo di pena è stato elevato con riforma del '74: la pena detentiva o quella
pecuniaria, da sola o congiunta a pena detentiva (e ragguagliata ex art 135), non può essere
superiore a due anni. Se si tratta di minore di 18 anni il limite è di 3 anni. Se si tratta di
giovani adulti (maggiorenni di età compresa tra i 18 e i 21 anni) o di ultrasettantenni, il limite
è di 2 anni e 6 mesi.
Se la pena concretamente inflitta non supera tali limiti, il giudice concederà la sospensione
condizionale della pena qualora, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'art 133, presuma
che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Questo presupposto viene nella pratica deplorevolmente obliato. Eppure esso esprime
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
l'essenza stessa dell'istituto: il giudizio di non pericolosità del condannato infatti consente di
considerare, ai fini della prevenzione speciale, sufficiente la sola sentenza di condanna e non
anche la sua esecuzione.
La prima deroga prevista dal nuovo art 163 permette la concessione della sospensione
condizionale nell'ipotesi in cui i limiti massimi di pena siano superati per effetto della
conversione della pena pecuniaria: essa sterilizza ai fini della concessione del beneficio la
conversione della pena pecuniaria, se la pena detentiva rimane nei rispettivi limiti previsti
dalla legge. La conversione resta un dato virtuale che non paralizza la concessione della
sospensione condizionale, se la pena detentiva non supera i 2 anni per i delinquenti normali, i
2 anni e 6 mesi per i giovani adulti e gli ultrasettantenni, i 3 anni per i minori di 18 anni.
La seconda deroga prevista dal nuovo art 163, concerne l'ipotesi in cui il giudice applichi
una pena detentiva non superiore a 1 anno e il colpevole adempia gli obblighi risarcitori: essa
riduce sensibilmente il tempo necessario a produrre l'effetto estintivo del reato da 5 anni a 1
anno.
• a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è
condizioni ostative. L'art 164 comma 2, stabilisce che essa non può essere concessa:
La sospensione condizionale è revocata di diritto se, nei termini durante i quali la condanna
rimane sospesa, il condannato:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta
• riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pene che, cumulate
una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostogli;
Quanto agli effetti, la concessione della sospensione condizionale sospende la pena principale
per il periodo di 5 anni, se la condanna è per delitto; e di 2 anni, se la condanna è per
contravvenzione.
Se nei termini stabiliti il condannato non commette un delitto o una contravvenzione della
stessa indole e adempie agli obblighi imposti, il reato è estinto. L'effetto estintivo concerne la
pena, mentre cessa l'esecuzione delle pene accessorie. Restano però in vita gli effetti penali
della condanna. Sono sospendibili condizionalmente anche le pene accessorie.
• che il colpevole, al tempo della commissione del reato, non abbia compiuto i 18, ma
I presupposti di applicazione del perdono giudiziale sono:
• che non sia stato già condannato a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta
abbia compiuto i 14 anni;
• che il tribunale dei minorenni ritenga di poter applicare in concreto una pena detentiva
professionale;
non superiore a 2 anni, o una pena pecuniaria non superiore a 1549,37 € anche se
• che il giudice presuma che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
congiunta a detta pena;
La concessione di tale beneficio presuppone l'accertamento del fatto e della responsabilità del
minore: sebbene la sentenza che applica il perdono giudiziale sia una sentenza di
proscioglimento, si tratta pur sempre di una sentenza che ha accertato la presenza di tutte le
condizioni necessarie per un rinvio a giudizio o per una condanna. La concessione del
perdono giudiziale è possibile non solo quando il minore abbia commesso un reato, ma anche
qualora abbia commesso più reati, legati o no dal vincolo della continuazione. La Corte
costituzionale ha infatti dichiarato l'illegittimità dell'art 169, sia nella parte in cui non
consentiva che potesse estendersi il perdono ad altri reati che si legano con il vincolo della
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
continuazione a quelli per i quali è stato concesso, sia nella parte in cui escludeva che potesse
concedersi un nuovo perdono in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di
perdono e di pena che, cumulata con quella precedente, non superava i limiti per
l'applicabilità del beneficio.
Per quanto riguarda gli effetti, con il passaggio in giudicato della sentenza che concede il
perdono giudiziale, il reato è estinto. La concessione del perdono è sempre incondizionata ed
irrevocabile. La concessione del perdono impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza,
ad eccezione della confisca obbligatoria.
Con la legge di riforma del processo penale minorile (448/1988) sono stati introdotti due
• Non luogo a procedere per irrilevanza del fatto: se nell'ambito delle indagini
nuovi istituti:
• Sospensione del processo con messa alla prova: viene disposta dal giudice quando
di tale requisito è affidata sostanzialmente alla discrezionalità del giudice.
ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito di una prova, nel corso
della quale il minore viene affidato ai servizi minorili dell'amministrazione della
giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle
opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Si persegue così l'obiettivo
di consentire la formulazione di un serio giudizio prognostico sul reinserimento
sociale del minore a seguito dell'avvenuta interiorizzazione di modelli di
comportamento socialmente apprezzabili. Il giudizio prognostico rappresenta a sua
volta l'esito di una complessa valutazione che si fonda sull'esame della personalità del
minore, sulla condotta di vita precedente, contemporanea e successiva al reato, sulle
modalità del fatto criminoso, sui motivi a delinquere e su ogni altra circostanza idonea
a fornire indicazioni sullo sviluppo delle sue strutture psichiche e comportamentali;
devono essere inoltre tenute in considerazione le indicazioni specifiche,
eventualmente impartite dal giudice col provvedimento di sospensione, che mirano a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con
la vittima del reato. All'accertamento dell'esito positivo della prova segue la
dichiarazione giudiziale di estinzione del reato.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
251
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• Estinzione della pena della reclusione: avviene con il decorso di un termine pari al
doppio della pena inflitta con il provvedimento di condanna. Se però si tratta di
reclusione il cui raddoppio equivale a un tempo inferiore a 10 anni, l'estinzione
avviene in 10 anni. Se invece il doppio supera i 30 anni, l'estinzione avviene alla
13. L'indulto
L'indulto è un provvedimento di carattere generale, espressione di un potere di clemenza, che
condona in tutto o in parte la pena, o la commuta in una pena di specie diversa ma dello
stesso genere. Anche l'indulto viene concesso con legge deliberata a maggioranza dei 2/3 dei
componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale e si riferisce ai
• indulto proprio: quando il condono interviene nella fase esecutiva rispetto ad una
reati commessi antecedentemente alla presentazione del disegno di legge. Si distingue:
cognizione. Limita i suoi effetti alle pene principali, e non estingue né le pene
accessorie né gli effetti penali della condanna, salvo che il decreto disponga altrimenti.
Se l'indulto si limita a condonare o a commutare la pena, non fa cessare le misure di
sicurezza.
Se invece condona completamente la pena inflitta con la sentenza di condanna, fa cessare di
diritto l'esecuzione delle misure di sicurezza conseguenti ad una condanna alla reclusione per
un tempo superiore a 10 anni, o l'esecuzione della confisca.
Nessun limite oggettivo è previsto dalla legge per l'applicabilità dell'indulto, anche se di
solito il condono è limitato ad una determinata quantità di pena, sia detentiva che pecuniaria:
entro questi limiti esso si applica alla sentenza di condanna per qualsiasi tipo di reato.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
La legge di concessione prevede però spesso per determinati reati l'esclusione dell'indulto o
una misura di pena diversa ed inferiore a quella generalmente prevista.
La legge può altresì stabilire limiti soggettivi differenti, per coloro che per la medesima
condanna hanno goduto o possono godere di precedenti indulti.
Esso può essere sottoposto a condizioni o obblighi, e non può essere applicato ai recidivi nei
casi di recidiva aggravata o reiterata, né ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza,
salvo che sia disposto diversamente.
14. La grazia
La grazia, tipica espressione dell'indulgentia principis, condona in tutto o in parte la pena
inflitta, o la commuta in un'altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene
accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della
condanna.
È un provvedimento di esclusiva prerogativa del Presidente della Repubblica e non necessita
di leggi di concessione.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
aver scontato almeno 4 anni di pena e non meno di % della pena inflittagli.
Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione quando abbia scontato
almeno 26 anni di pena.
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle
obbligazioni civili derivanti dal reato (es. risarcimento danni), salvo che il condannato
dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle.
• che il condannato non abbia già usufruito del beneficio per la medesima pena.
La concessione della liberazione è affidata alla competenza del tribunale di sorveglianza.
16. La riabilitazione
La riabilitazione svolge la funzione di reintegrare il condannato, che abbia già scontato la
pena principale, nella posizione giuridica goduta fino alla pronuncia della sentenza di
condanna.
L'art 178 dispone che la riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale
della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti.
Il riabilitato riacquisisce la capacità giuridica perduta a seguito della condanna e viene rimesso
in condizioni di svolgere la sua normale attività nella società.
La legge n. 145 del 2004 ha ridotto il tempo necessario per godere del beneficio e ha fissato
un termine ancora più breve nell'ipotesi di sospensione condizionale. Ma ha anche aumentato
significativamente il limite massimo previsto per la revoca.
• che siano decorsi 3 anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in
La riabilitazione viene concessa in presenza delle seguenti condizioni:
• che il condannato, abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta durante il
altro modo estinta;
periodo di
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
•
tempo indicato;
che non sia stato sottoposto a misure di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione
• che abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di
dello straniero dallo Stato o di confisca, o che il provvedimento sia stato revocato;
Se il riabilitato commette entro 7 anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena
della reclusione per almeno 3 anni o un'altra pena più grave, la sentenza di riabilitazione è
revocata di diritto: come conseguenza della revoca, rivivono le pene accessorie e gli altri
effetti penali della condanna.
La riabilitazione può aver luogo anche nel caso di sentenza straniera di condanna.
Una riabilitazione speciale per i minori, che può essere concessa dopo il 18° e prima del 25°
anno di età, presuppone che il minore non sia sottoposto a pena o misura di sicurezza e che
risulti completamente emendato e degno di essere ammesso a tutte le attività della vita sociale.
• che con la condanna sia inflitta una pena detentiva non superiore ai 2 anni o una pena
pecuniaria non superiore a 516 €, o congiuntamente una pena detentiva non superiore
a 2 anni e una pena pecuniaria che, convertita e cumulata, priverebbe
complessivamente il condannato della libertà personale per un tempo non superiore a
• che il giudice consideri il condannato meritevole del beneficio, avuto riguardo alla
30 mesi;
Il giudice non deve pronunciarsi sulla concessione del beneficio nei casi di condanne ope
legis non soggette ad iscrizione o che non debbono essere menzionate nei certificati rilasciati
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
ai privati.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO V
LE MISURE DI SICUREZZA
1. Premessa
L'introduzione delle misure di sicurezza detentive viene di solito considerata una delle più
significative novità della codificazione del 1930. Mentre la pena incentrava in sé la funzione
retributiva e di prevenzione generale, la misura di sicurezza veniva ad assolvere una funzione
di prevenzione speciale, in quanto finalizzata alla rieducazione e alla cura del soggetto
socialmente pericoloso (c.d. sistema del doppio binario).
Ad esse venne originariamente attribuita natura amministrativa, e infatti quale mezzo di
profilassi avente come scopo la tutela della collettività mediante la neutralizzazione
dell'individuo pericoloso, la misura di sicurezza veniva inquadrata nell'ambito dell'attività di
polizia (un'attività amministrativa tipicamente finalizzata alla difesa preventiva della società).
Oggi la dottrina respinge tale tesi e considera la misura di sicurezza una sanzione criminale di
competenza del diritto penale: di fatto è afflittiva forse più della sanzione detentiva e viene
applicata mediante un processo giurisdizionale.
In seguito al riconoscimento costituzionale del finalismo rieducativo delle stesse pene in
senso stretto, è venuta ormai meno però quella distinzione di scopi che in origine giustificava
lo sdoppiamento del sistema sanzionatorio. La stessa pena dovrebbe farsi carico di
neutralizzare la pericolosità del reo e impedirne la ricaduta nel delitto (da questo punto di
vista diventa dunque un problema continuare a legittimare la sopravvivenza delle misure di
sicurezza, che spesso vengono infatti considerate come residuali).
• i soggetti semi-imputabili
• i soggetti non imputabili.
Alle prime due categorie le misure si applicano cumulativamente con la pena; alla terza si
applicano in modo esclusivo.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
L'art 202 stabilisce che le misure di sicurezza possono essere applicate solo alle persone
socialmente pericolose, le quali abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.
La consapevolezza che la stessa misura di sicurezza incide pesantemente sulle libertà del
singolo, ha indotto il legislatore a essere cauto, a preoccuparsi degli eventuali arbitri connessi
all'accertamento giudiziale del manipolabile requisito della pericolosità sociale: da questo
punto di vista il pregresso reato dovrebbe assolvere la funzione di indice obiettivamente
visibile, di sintomo sufficientemente rivelatore della pericolosità del soggetto.
Questo principio subisce 2 eccezioni tassativamente stabilite dalla legge: il giudice può
applicare una misura di sicurezza sia nell'ipotesi del reato impossibile sia nel caso di accordo
criminoso non eseguito o istigazione a commettere un delitto, se l'istigazione non viene
accolta.
Si tratta di ipotesi denominate "quasi-reato", si è in presenza cioè di un'azione che, pur non
avendo carattere di reato, si manifesta in modo talmente prossimo al reato da permettere di
riconoscere in essa un indizio sicuro di pericolosità sociale.
L'interpretazione della locuzione "fatto previsto come reato" non pone problemi: è necessario
che il fatto sia conforme ad una figura criminosa e che non esistano al contempo delle cause
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
di giustificazione.
In realtà tale innovazione è intervenuta in una fase storica nella quale ad essere caduta in crisi
è la stessa categoria della pericolosità sociale. Ciò si può trarre dalla stessa prassi applicativa:
vi è un crescente orientamento astensionistico dei giudici, che tendono ad esempio ad
astenersi da dichiarazioni giudiziali di abitualità e professionalità nel reato, e se ciò si
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
consoliderà in futuro si finirà con l'assistere a una sorta di soppressione di fatto delle misure
di sicurezza potenzialmente applicabili ai rei capaci di intendere e di volere.
A determinare tale crisi della pericolosità sociale contribuisce anche la crescente presa d'atto
delle incertezze e difficoltà connesse al suo accertamento concreto in sede giudiziale.
La verifica giudiziale della pericolosità sociale ripropone il problema, oggi particolarmente
dibattuto, dei limiti di validità scientifica della prognosi criminale cioè del giudizio che tende
a predire il futuro comportamento criminale del reo. In realtà i metodi di prognosi criminale
sono vari e alcuni vantano una maggiore dignità scientifica. Ma la possibilità di emettere
giudizi predittivi dotati di un minimo di affidabilità, deve in ogni caso fare i conti con le
condizioni di praticabilità offerte dalle strutture processuali: e il processo vigente lascia
emergere pochissimi dati empirici utili al giudizio prognostico, per cui la piattaforma
conoscitiva della prognosi resta in gran parte costituita solo da elementi documentali.
Ciò spiega come mai il metodo di accertamento più diffuso sia quello intuitivo: il giudice si
forma un quadro generale della personalità dell'imputato sulla base della sua esperienza e
della sua personale attitudine a conoscere gli uomini.
La base di questa prognosi intuitiva è costituita dagli elementi indicati dall'art 133. Ma essi
sono troppo generici: lo stesso art 133 omette di additare il criterio alla cui stregua il giudice
deve valutare gli elementi ivi menzionati. Dunque il giudizio di pericolosità spesso risulta
soggettivamente arbitrario e perciò assai poco affidabile.
• Delinquente abituale:
aggiunta alla pena.
Viene descritto dal legislatore sulla base della legge dell'esperienza, per la quale la
ripetizione di un determinato comportamento attenua sempre più i freni inibitori e
rende perciò più facile la commissione di reati.
In base alla disciplina precedente, si distinguevano 3 forme di abitualità:
o abitualità nel delitto presunta dalla legge;
o abitualità nel delitto ritenuta dal giudice;
o abitualità nelle contravvenzioni;
L'art 31 della legge n. 663 del 1986 ha abrogato l'abitualità presunta.
L'abitualità nel delitto vigente nell'ordinamento è dunque quella dichiarata dal giudice
nei confronti di chi, dopo essere stato condannato per 2 delitti non colposi, riporta
un'altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e
della gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e
del genere di vita del colpevole, ritiene che egli sia dedito al delitto. L'essere dedito al
delitto significa che il soggetto deve aver acquisito una struttura della personalità che
inclina alla commissione di reati: pertanto non potrebbe non essere considerato
pericoloso.
Circa l'abitualità nelle contravvenzioni, l'art 104 dispone: chi, dopo essere stato
condannato alla pena dell'arresto per 3 contravvenzioni della stessa indole, riporta
condanna per altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato
contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del
• Delinquente professionale:
colpevole, lo ritiene dedito al reato.
Per l'art 108 è dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o
delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo contro la vita o
l'incolumità individuale, e riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi la sua
causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole. Tale disposizione non si
applica se l'inclinazione al delitto è originata dall'infermità.
Il delinquente per tendenza non trova riscontro nella realtà naturalistica: per questo da
tempo la dottrina più avveduta ne denuncia l'inconsistenza criminologica e ne propone
l'estromissione dal codice.
Secondo la tipizzazione normativa, può essere qualificato delinquente per tendenza
anche il delinquente primario purchè abbia commesso un delitto di sangue (in cui la
vita o l'incolumità personale sia oggetto di tutela anche indiretta).
Deve trattarsi di soggetti capaci di intendere e volere che manifestano mancanza di
senso morale e che delinquono per un'istintuale malvagità.
261
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Dopo la prima proroga, il riesame della pericolosità può essere compiuto anche prima della
scadenza della durata quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato.
La revoca anticipata prima del decorso della durata minima originaria è di competenza della
sezione di sorveglianza.
• coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro:
• coloro che, essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, e
non essendo più sottoposti a misure di sicurezza, commettono un nuovo delitto non
colposo, che sia nuova manifestazione dell'abitualità, della professionalità o della
• i condannati, per delitto non colposo, a una pena diminuita per infermità psichica, per
assegnati:
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• i condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza, qualora sia
abituale, o sotto l'azione di stupefacenti all'uso dei quali siano dediti, quando non
debba essere ordinata altra misura di sicurezza detentiva o non possa essere applicata
•
la libertà vigilata;
i sottoposti ad altra misura di sicurezza detentiva se colpiti da infermità psichica che
•
non richieda il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario;
le persone in stato di infermità psichica alle quali non possa essere applicata la libertà
vigilata per impossibilità o inopportunità di affidarle ai genitori o a coloro che
abbiano obbligo di provvedere alla loro educazione o assistenza, e le persone in stato
di infermità psichica che durante la libertà vigilata si rivelino di nuovo pericolose.
Un'infermità fisica autorizza l'applicazione della normativa dell'art 89 (pena diminuita causa
ridotta capacità di intendere e di volere) solo quando si risolva in un'alterazione delle funzioni
intellettive, affettive e volitive suscettibile di essere considerata a livello di infermità psichica.
La durata minima dell'assegnazione oscilla tra 6 mesi e 3 anni ed è proporzionata alla pena
stabilita dalla legge in astratto.
Essa non è compatibile con altra misura di sicurezza detentiva perché le altre misure attuano
lo scopo della custodia ma non tendono alla cura dell'internato.
In via eccezionale, è prevista la possibilità di applicarla prima dell'esecuzione della pena se il
giudice lo ritiene opportuno, tenuto conto delle particolari condizioni di infermità psichica del
condannato, per impedire che l'immediata esecuzione della pena possa ulteriormente
aggravarne le condizioni psichiche.
Il provvedimento di ricovero del condannato seminfermo psichico è subordinato al previo
accertamento, da parte del giudice, della pericolosità sociale derivante dalla infermità
medesima.
La durata è determinata sulla base del criterio della gravità astratta del reato.
È di 10 anni se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena dell'ergastolo; è di 5 anni se
prevede la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 10 anni; è di 2 anni in tutti gli altri
casi.
Anche in questo caso la condizione di pericolosità deve essere sempre previamente accertata
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Alla crisi della perizia psichiatrica si aggiunge l'irreversibile fallimento del trattamento
custodialistico tipico dell'ospedale psichiatrico giudiziario, cioè dell'unica misura oggi
applicabile all'infermo giudicato socialmente pericoloso. In tali istituti vi è infatti una sorta di
perversa attitudine a provocare fenomeni di disgregazione morale e di abbrutimento spirituale.
• ai minori tra i 14 e i 18 anni condannati per delitto durante l'esecuzione di una misura
• ai minori di 18 anni quando sia cessata l'infermità psichica: il giudice accerta che la
di sicurezza precedentemente applicata per difetto di imputabilità;
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
nuova forma del collocamento in comunità: il giudice ordina che il minore sia affidato a una
comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle
attività di studio o di lavoro o ad altre attività utili per la sua educazione.
Il minore non imputabile può essere sottoposto a misura di sicurezza solo quando per le
specifiche circostanze del fatto e per la sua personalità, sussiste il concreto pericolo che
commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la
sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale o gravi delitti di criminalità organizzata.
L'applicabilità di misure di sicurezza ai minori tende comunque a prospettarsi come
eventualità del tutto eccezionale.
Il codice penale non contiene un'elencazione tassativa delle prescrizioni che devono essere
imposte al vigilato ai fini di una individualizzazione della misura sia sotto il profilo
personale, sia sotto quello familiare ed ambientale. E' previsto solo l'obbligo per il vigilato di
non trasferire la propria residenza o dimora in un comune diverso da quello che gli è stato
assegnato, nonché quello di informare gli organi di vigilanza di ogni mutamento di abitazione
nell'ambito del comune.
La legge prescrive che la vigilanza deve essere esercitata in modo da non rendere malagevole
alla persona di attendere al lavoro con la necessaria tranquillità.
La durata minima è di 1 anno. La durata è di almeno 3 anni se è inflitta la pena della
reclusione per almeno 10 anni, e qualora per effetto di indulto o di grazia non debba essere
eseguita la pena dell'ergastolo.
La sottoposizione alla libertà vigilata è obbligatoria nei casi previsti dall'art 230 (sempre
previo accertamento in concreto della pericolosità sociale del vigilando), mentre è facoltativa
per quelli previsti all'art 229.
Riguardo ai soggetti di età minore, è applicabile mediante prescrizioni inerenti alle attività di
studio o di lavoro ed eventualmente sotto forma di permanenza in casa.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
E' una misura di sicurezza che consiste nel divieto di soggiornare in uno o più comuni o in una
o più province designati dal giudice e si distingue dal divieto di soggiorno come misura di
prevenzione per un più accentuato carattere rieducativo.
Si applica facoltativamente al colpevole di un delitto contro la personalità dello Stato o contro
l'ordine pubblico, o di un delitto commesso per motivi politici o occasionato da particolari
condizioni sociali e morali esistenti in un determinato luogo.
La durata minima è di 1 anno. In caso di trasgressione ricomincia a decorrere il termine
minimo e può essere ordinata la misura della libertà vigilata.
Questa misura però solleva dubbi di costituzionalità perché l'art 16 Cost., nel sancire la
libertà di circolazione e di soggiorno, ammette solo limitazioni legislative di carattere
generale per motivi di sanità o sicurezza ed espressamente stabilisce che nessuna restrizione
può essere imposta per ragioni politiche.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
• ai liberati dalla casa di lavoro o dalla colonia agricola se il giudice non ordina la libertà
Si applica:
Per principio generale la confisca è facoltativa. Essa può essere applicata solo nel caso di
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
sentenza di condanna, sul presupposto dell'accertata pericolosità della cosa con riferimento
all'uso che il reo può farne avendone la disponibilità: la pericolosità della cosa richiede l'uso
diretto e necessario di essa per commettere il reato.
• cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche
se non è stata pronunciata condanna.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
estintive della pena tuttavia non impediscono l'esecuzione delle misure di sicurezza già
ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla reclusione superiore a 10
anni. In tal caso si sostituisce alla colonia agricola e alla casa di lavoro la libertà vigilata.
Se per effetto di indulto o grazia non debba essere eseguita, in tutto o in parte, la pena
dell'ergastolo, il condannato è sottoposto a libertà vigilata per almeno 3 anni.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
CAPITOLO VI
LE SANZIONI CIVILI
1. Premessa
Un comportamento umano, oltre che costituire un fatto di reato, può anche realizzare un
illecito civile: tutte le volte che si verifica il fenomeno della doppia valutazione, accanto alla
conseguenza penale saranno dunque applicate le sanzioni civili (es. il cagionare la morte di
un uomo da un lato configura il reato di omicidio, dall'altro costituisce illecito civile e obbliga
al risarcimento).
2. Le singole sanzioni
• Le restituzioni
La restituzione consiste nella reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla
commissione del reato. L'art 185 comma 1 stabilisce che ogni reato obbliga alle
restituzioni a norma delle leggi civili. L'obbligo alla restituzione presuppone solo la
possibilità, naturalistica o giuridica, della restitutio in integrum. Può avere a suo
oggetto sia cose mobili, sia anche cose immobili di cui si sia venuti in possesso.
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
essere anche una persona diversa dal titolare del bene penalmente tutelato (es. nel caso
di omicidio).
Una forma particolare del risarcimento del danno non patrimoniale è la pubblicazione
della sentenza di condanna (a spese del colpevole). Si tratta di un istituto diverso dalla
pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna. L'obbligo della
pubblicazione è indivisibile.
Obbligati al risarcimento del danno sono sia l'autore del reato, sia coloro i quali
devono rispondere per il fatto di lui.
Controversa è la questione relativa alla natura giuridica di tale risarcimento: da un lato
esso presenta un carattere privato in quanto tende al riequilibrio delle situazioni
giuridiche tra i privati, e dall'altro possiede un indubbio carattere afflittivo, il che lo
Nel nostro ordinamento sono previste alcune ipotesi di responsabilità civile quale
garanzia dell'adempimento delle sanzioni della multa e dell'ammenda.
Si tratta dell'obbligazione civile per la multa e per l'ammenda, cioè di una forma di
responsabilità civile di carattere sussidiario e che serve a corresponsabilizzare in
qualche misura il datore di lavoro e, in particolare, la persona giuridica specie in un
sistema in cui ancora non vige il principio societas delinquere potest.
o L'obbligazione civile per la multa e per l'ammenda inflitta a persona
dipendente è disciplinata dall'art 196, per il quale nei reati commessi da chi è
soggetto all'altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita di tale
autorità è obbligata, in caso di insolvibilità del condannato, al pagamento
dell'ammontare della multa o dell'ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di
violazioni di disposizioni che essa era tenuta a far osservare e delle quali non
debba rispondere penalmente. Qualora la persona preposta risulti insolvibile,
si applicano al condannato le disposizioni dell'art 136 (conversione della
pena).
o L'obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e
delle ammende è prevista nell'art 197, per il quale gli enti forniti di personalità
giuridica, eccettuati Stato, regioni, province e comuni, qualora sia pronunciata
condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza o l'amministrazione o
sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca
violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole o sia
commesso nell'interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento,
in caso di insolvibilità del condannato, dell'ammontare della multa o
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
somme o cose a lui dovute nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento, può
essere chiesto dal pubblico ministero in ogni stato e grado del processo, se vi è
fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento
della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta
all'erario dello Stato.
Esso produce l'effetto di rendere privilegiati i crediti di cui si è appena detto, rispetto ad ogni
altro credito non privilegiato di data anteriore e rispetto ai crediti sorti posteriormente, salvi in
• L'azione revocatoria: sono soggetti ad azione revocatoria gli atti fraudolenti compiuti
ogni caso i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento di tributi.
viene effettuato in 2/5 della medesima e salvo che l'adempimento delle obbligazioni
civili sia altrimenti eseguito.
272
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
PARTE VIII
GLI STRUMENTI AMMINISTRATIVI DI
CONTROLLO SOCIALE
CAPITOLO I
IL DIRITTO PENALE AMMINISTRATIVO
1. Premessa
Si è già accennato come sia andato emergendo, negli ultimi tempi, un orientamento di politica
criminale incline a trasformare le ipotesi meno gravi di reato contravvenzionale in
corrispondenti illeciti amministrativi, sanzionati con una pena pecuniaria (c.d.
Depenalizzazione). Questo per tentare di far fronte agli inconvenienti di un'eccessiva
proliferazione di reati, e in primo luogo per ridurre il numero di procedimenti davanti al
giudice penale favorendo così il buon funzionamento della macchina giudiziaria (che può
concentrarsi sulla repressione dei delitti più gravi). Lo sviluppo della società industriale ha
infatti portato ad un fenomeno di ipertrofia del diritto penale e alla necessità di tutelare un
numero crescente di interessi collettivi: ma più frequentemente si ricorre alla pena, tanto meno
questa riesce ad esercitare un'efficacia realmente dissuasiva nei confronti dei consociati.
Si è tentato dunque di delimitare l'area della rilevanza penale entro lo spazio segnato
dall'esigenza da un lato di prevenire e reprimere le macrolesioni dei beni essenziali alla
collettività; dall'altro lato, di estromettere dal sistema penale dei reati contravvenzionali
incentrati su microlesioni che non sembrano più giustificare il ricorso alla pena.
C'è da dire che fino alla seconda metà del 18° secolo vi era l'opposta tendenza a trasferire nel
campo penale molti degli illeciti aventi natura di contravvenzioni amministrative durante
l'ancien regime: questo passaggio era sollecitato dall'esigenza di apprestare una più efficace
garanzia dei diritti dei cittadini nei confronti degli eventuali abusi della pubblica
amministrazione. Bisogna dunque evitare che l'attuale fenomeno della depenalizzazione,
laddove non fosse accompagnato da opportune garanzie, potrebbe rappresentare una sorta di
ritorno a tecniche ormai superate del passato, inaccettabili proprio perchè non
sufficientemente rispettose dei fondamentali diritti del singolo.
La legge 689 del 1981 contenente "Modifiche al sistema penale", oltre a depenalizzare
quasi tutti i reati (delitti e contravvenzioni) puniti con la pena pecuniaria della multa o
dell'ammenda (esclusi però i reati previsti dal codice penale e da alcune leggi speciali
finalizzati alla tutela di beni di particolare rilievo sociale) ha introdotto anche una serie di
principi destinati a regolare la materia dell'illecito depenalizzato.
Ne è derivata la nascita di un nuovo sistema di illecito, che alcuni collocano in posizione
intermedia tra sistema penale e sistema degli illeciti amministrativi (seppure in stretto
collegamento col primo), e che altri non esitano a definire come sottosistema penale. La prima
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
Nel 1999 sono stati poi depenalizzati con decreto legislativo una serie di reati del codice
penale (tra cui l'ubriachezza) e di reati previsti in leggi speciali (nel settore della circolazione
stradale, della navigazione, degli alimenti, degli assegni).
• Come già detto, la maggior parte dei principi della nuova disciplina è di ispirazione
non in forza di una legge entrata in vigore prima della violazione" (si tratta
dell'esplicito riconoscimento del duplice principio della riserva di legge e
dell'irretroattività); qui il termine legge va interpretato come comprensivo anche
della legge regionale, a differenza di quanto avviene in campo strettamente
• i criteri che stanno alla base della disciplina del concorso di persone ("ciascuno
soggiace alla sanzione disposta per la violazione") e del concorso formale di
violazioni (vale la disciplina del cumulo giuridico: "il soggetto soggiace alla
274
Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
•
esame;
gli indici di commisurazione della sanzione, che fanno riferimento sia alla gravità
della violazione che alla personalità dell'agente, che alle sue condizioni
• la disciplina del concorso apparente di norme, per cui la legge 689/1981 fissa il
economiche, e richiamano pertanto quelli previsti per i reati all'articolo 133 c.p.;
principio di specialità (si tratta di una norma discussa dal momento che comporta il
rischio di svuotamento delle norme penali più generali: la norma infatti dispone
che, in caso di convergenza su di un medesimo fatto di una norma penale e di una
norma amministrativa, o di più norme amministrative, si applichi la norma
speciale, salvo il caso si tratti di norma amministrativa di fonte regionale, nel qual
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CAPITOLO II
LE MISURE DI PREVENZIONE
1. Premessa
Si tratta di misure specialpreventive, tradizionalmente considerate di natura formalmente
amministrativa, volte ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di
soggetti considerati socialmente pericolosi. Sono anche definite misure ante delictum dal
momento che vengono applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente
reato. In questo si differenziano rispetto alle misure di sicurezza.
Tali misure sono state a più riprese tacciate di incostituzionalità dal momento che incidono
sulla libertà personale prescindendo dall'oggettiva commissione di un reato, fondandosi su di
un semplice sospetto o indizio di pericolosità (tanto che spesso sono state considerate una
sorta di surrogato rispetto a una repressione penale inattivabile per mancanza dei normali
riscontri probatori). E' pressochè unanime in dottrina l'opinione che, nonostante la loro
denominazione formale di misure di prevenzione, le tradizionali misure personali non siano
mai riuscite a sortire un effetto autenticamente preventivo/rieducativo; anzi, di fatto esse sono
state non di rado utilizzate come strumento di controllo sociale di tipo sostanzialmente
repressivo. Inoltre il legislatore ha finito col contemplare tipologie soggettive, come nel caso
degli "oziosi e vagabondi", di dubbia consistenza criminologica e dai contorni incerti, per cui
la qualifica di pericolosità ha finito con l'essere fittiziamente e ideologicamente sovrapposta a
soggetti emarginati censurabili solo in base ad un opinabile giudizio di demerito sociale.
Il testo principale in materia di misure di prevenzione è quello della legge 1423 del 1956, così
come modificato ed integrato dagli interventi legislativi succedutisi fino ai nostri giorni (vedi
in particolare legge Rognoni-La Torre e legge Reale).
• coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano dediti abitualmente
le seguenti tre tipologie soggettive:
• coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di
a traffici delittuosi;
fatto, che vivano abitualmente (anche in parte) con i proventi di attività delittuose;
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• coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto,
che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo
l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità
pubblica.
Questa nuova disciplina risulta caratterizzata da due aspetti. In primo luogo va segnalata
l'aggiunta degli "elementi di fatto" quale base dell'accertamento richiesto ai fini
dell'applicazione delle misure preventive, per cui almeno in linea teorica non dovrebbero mai
ritenersi sufficienti meri sospetti o labili indizi di pericolosità; di fatto è tuttavia possibile che
la prassi continui a orientarsi in senso meno garantistico, dato che se il giudice della
prevenzione esigesse indizi eccessivamente corposi, vi sarebbero tutti i presupposti per
promuovere un normale processo penale. In secondo luogo, tutte le categorie di destinatari
sono individuate in base al riferimento ad attività potenzialmente costituenti illecito penale: il
legislatore dell'88 invece di riformulare le fattispecie di pericolosità in base alle più moderne
conoscenze criminologiche, ha così finito col ridurre il ruolo della prevenzione personale alla
sola funzione di surrogato della normale repressione penale.
consentita dopo che il questore, nella cui provincia la persona dimora, ha provveduto
ad avvisare oralmente la stessa che esistono sospetti a suo carico, indicando i motivi
che li giustificano; il questore invita la persona a tenere una condotta conforme alla
legge e redige il processo verbale dell'avviso (al solo fine di dare allo stesso data
certa).
Costituisce dunque presupposto per la richiesta di applicazione della sorveglianza
speciale nei confronti degli avvisati che non abbiano recepito l'ingiunzione a mutare
vita. Questa misura è stata introdotta nel 1988 in sostituzione della vecchia e
discreditata diffida, inefficace ed inutilmente vessatoria, di cui riprende i caratteri
basilari, emendati dai principali inconvenienti. A differenza della diffida ha efficacia
temporanea (limitata a 3 anni). In qualsiasi momento l'interessato potrà richiederne al
• rimpatrio con foglio di via obbligatorio: qualora le persone indicate nell'art.1 siano
questore la revoca.
nell'art.1 che nonostante l'avviso orale (primo presupposto) non abbiano cambiato
condotta (secondo presupposto), quando siano pericolosi per la sicurezza pubblica
(terzo presupposto).
La misura consiste sostanzialmente in una sanzione per l'inottemperanza all'obbligo di
cambiare
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Fiandaca e Musco DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Settima Edizione
3. La prevenzione antimafia
Ai fini della prevenzione antimafia l'applicabilità della misura della sorveglianza speciale
(nonché dell'obbligo o del divieto di soggiorno) è stata estesa anche agli indiziati di
appartenere a associazioni mafiose (1965). In riferimento a questi casi la misura ha subito
degli adattamenti: non sarà necessario il precedente avviso orale del questore.
Sempre al fine di potenziare la prevenzione antimafia sono inoltre state introdotte nel 1982,
con la legge Rognoni-La Torre, nuove misure preventive di natura patrimoniale, una
tipologia ritenuta la più idonea a combattere le organizzazioni mafiose. Da un lato,
l'esperienza giudiziaria ha infatti contribuito a dimostrare che il vero tallone d'Achille della
mafia è rappresentato dalle tracce documentali lasciate dalla grande circolazione di denaro
connessa allo svolgimento delle attività criminose. Dall'altro, poichè le organizzazioni di
stampo mafioso hanno come principale obiettivo l'accumulazione di ingenti capitali, è
ragionevole presumere che la maggior efficacia preventiva sia potenzialmente esercitata da
misure rivolte a impedire od ostacolare l'acquisizione di ricchezza.
Le nuove misure sono il sequestro e la confisca dei patrimoni di sospetta provenienza illecita.
Esse sono applicabili indipendentemente dalle misure personali (principio di reciproca
autonomia), indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto al momento della
richiesta (ciò a causa della pericolosità intrinseca dei patrimoni riconducibili ai contesti
associativi criminali), e possono essere disposte anche nel caso di morte del soggetto
proposto per la loro applicazione (nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento
• Sequestro: consiste in una misura provvisoria di tipo cautelare disposta dal Tribunale,
esso prosegue nei confronti degli eredi o degli aventi causa).
anche d'ufficio, che si applica sui beni di soggetti nei confronti dei quali è stato
iniziato un procedimento e che, sulla base di sufficienti indizi (es. valore
sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica svolta), si ha
devoluzione dei beni sequestrati, di cui non sia stata dimostrata la legittima
provenienza, allo Stato.
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Una critica può essere mossa al sistema Rognoni-La Torre. Dal momento che i presupposti
dell'applicazione del procedimento di prevenzione per l'indiziato di mafia sono gli stessi del
processo penale, si rischia una sovrapposizione di procedimenti. La fattispecie penale e quella
di prevenzione sono infatti differenziabili solo alla stregua del diverso livello di prova
raggiungibile circa l'appartenenza dei singoli associati all'associazione: più precisamente,
mentre al processo penale finisce col corrispondere l'area probatoria avente come estremi
l'indizio suscettivo di approfondimento e la prova vera e propria, il processo di prevenzione
dovrebbe invece ricomprendere l'area che va dal sospetto oggettivamente suffragato all'indizio
confinante con quello sufficiente ad attivare la normale repressione penale. Ma nella prassi è
difficile tracciare demarcazioni nette, di qui la problematicità della situazione: è dunque
necessario un migliore coordinamento.
Nel 1989 è stata introdotta una nuova misura: la cosiddetta Daspo, cioè il divieto di accedere
nei luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive a carico di coloro che siano stati coinvolti
in episodi di violenza negli stadi o vi si rechino portando armi improprie. La misura è stata
estesa nel 1993 anche ad una serie di altri casi, in conseguenza del dilagare dell'allarme
sociale rispetto al fenomeno degli hooligans.
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• il principio di risocializzazione, che non può dirsi osservato da una disciplina che
strutturate sul sospetto o sull'indizio;
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