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RAGGUAGLIO DI
DIRITTO PRIVATO ROMANO
Premessa
CAI'rroLo I
CAlnroLo Il
CAPITOLO III
CAPETOLO IV
CApIToLO V
CANTOLO VI
CAPITOI,o VII
CAPITOLO VITI
CAPETOLO IX
C..PEoLo X
CAPrE- oLo XI
LE OBBLIGAZIONI CONTRATTE
GArrrnI,o XII
CAPITOLO XIII
CI\PlToI.o XIV
LE OBBLIGAZIONI Dl RESPONSABILITÀ
CAPITOLO XV
Tavole sinortiche 13, 21, 31, 45, 53, 6!, 85, 117,143,171,189,225.227,259.285,307,
349, 369
Agli inizi del terzo millennio una riforma universitaria tanto sventata
quanto precipitosa ha datogli ultimi colpi ad un'opera di demolizione dell'in-
segnamento universitario italiano che cm stata iniziata poco pig di trent'anni
prima, nel 1969, da un improvvido provvedimento di demagogia populista.
Non è il caso che ne parli distesamente in questa sede, tanto più che l'ho già
ripetutamente fatto col dovuto rigore altrove. Qui in, resta solo da segnalare
che tra le maggiori vittime de/la riforma vi sono, per ciò che attiene agli studi
giuridici, le materie storia grafi che e, in particolare, le discipline dedicate al-
l'analisi del diritto romano pubblico e privato nelle sue strutture e nelle tra-
sfornazioni che queste subirono dal secolo VITI avanti Cristo al secolo Vi della
nostra era. La parola d'ordine del legislatore è stata quella di contrarie e ri-
dune al massimo, non senza favorevoli aperture alla possibilità di eliminarle
del tutto. Direttive di cui hanno tenuto coniprensibilmente conto, nella fisnga-
ia delle Università moltiplicatesi in Italia durante gli ultimi anni, quelle Fa-
coltà di giurisprudenza (o quasi) cui giova per avere clienti fare concorrenza
al ribasso.
Siccome la legge è la legc (sinché non viene abrogata), mi sonoforzato
di adeiiarmi ad essa col presente «Ragguaglio di diritto privato romano», il
quale è relativamente breve, ,io non vuol essere e non è una compiuentegui-
da turistica tra le curiosità giuridiche romane. E siccome oggi tutto ciò che è
anglosassone è di moda, mi spiegherò meglio citando il libricino fiinoso di
Lewis Carrol dedicato ad Ali ce nel Paese delle Meraviglie (piccolo capolavoro
di cui corre in italiano, tra le altre, una gustosa traduzione di Aldo 11usD.
Confesso cioè che mi sono pazientemente calato nei panni del Coniglio bianco
in occasione del processo contro il Rinte di cuori per l'zffizre delle pizzette ru-
bate. «Da (love devo iniziare, 1Waesta?11, chiese il coniglio, inforcando gli oc-
lo I'}&FMRSSA
chiali. «Inizia dal/inizio», disse il Re gravemente, «e va' ava nti finché non ar-
rivi alla fine: poi. fermati>,.
Proprio cosL Questo libro l'ho scritto perché sia letto senza troppa fatica
dal principio alla fine. poi basta. Sul/essenziale non vi si transige. ma in
cambio esso vi è raccontato integralmente in lingua italiana la più limpida
possibile. Il latino figura solo accompagnato dalla traduzione, quindi (per
usare l'agile linguaggio degli studenti) lo si può «saltare»; se non lo si salta, la
sua corretta pronuncia (le lunghe e le brevi, sapete) viene agevolata da oppor-
tuni accenti tonici. I brani stampati qua e là in caratteri tipografici pia picco-
li servono solo da ulteriore chiarimento e talvolta, per chi ne abbia voglia, da
maggiore (ma non indispensabile) informazione. Diciotto tavole sinottiche ri-
chiamano, lungo i1 percorso, le linee principali della narrazione.
Visto che ho citato il Paese delle Meraviglie, mi auguro che il lettore-stu-
dente si comporti dìJ*onte a queste pagine alla stessa condiscendente maniera
di .Alice: interessandosi con naturalezza alle apparenti singolarità degli antichi
romani e, quando gli viene, apertamente criticandole e discutendole. Al termi-
ne del non d1ffi ci/e viaggio egli sarà, quasi senza rendersene conto, un p0' cam-
biato. Un po'piil vicino al livello, non già del laureato comecchessfa in giuri-
sprudenza, ma (cosa ben diversa) de/giurista attento e cauto, che non si mera-
viglia di nessuna meraviglia.
Bibliografia zero. Per pia approfondite notizie sì può far capo alle se-
guenti opere dello stesso autore: Diritto privato romano (12'ed., 2001, con
supplementi bibliografici successivi) e Storia dei diritto romano (12 ed.,
1998). Ma è appena il caso di aggiungere che in qualunque biblioteca uni-
versitaria si trova facilmente di meglio.
A) SlnuIura dello r r -
metropolitano (sede nonnale dei cittadini
3MW teirocitr j pci-i itienziale (sede normale dei suddi Ci)
RLOZÌOne costitt,cnie
governo fILFIZiORO legisLativa (sciaItnente formai L\)
fLLn,.ione sanzicinatoria (specialm giudiziana)
i Funzione amministrati' a
soggetto alt i' o r pretesa (sci tu -ente da norme direttive)] con [acoli
J'ONU giuridico - od oneri annessi
E) Sirorturu dei rop-
(dir. sogaettivo)
[ h) azione (scatuivnte da norme sanzionatorie)
poni giiu*lici .suggetto passivo: Fa) obbligo (nei confronti della pretesa)
i
doi ?re g ridico b) si ggezi o ne (nei confronti dell azione)
{pubblici ( rlrr. pubblico)
oggetto: fonte di inte,esi soggettivi -
pri' ali (= dir. priraw)
.
(c5: usuFrutio) al cui soggetto urivo sono conferiti non solo poteri verso il soggetto
passivo, ma a nclle pure ri asso I ti i ('c oznes).
(6) Rapporti giuridici di debito sono rapporti (assoluti o relativi)
consistenti in un vincolo che si costituisce per effetto di un accadimento
considerato «lecito» dal diritto (cioè per effetto, come vedremo a suo tem-
po [n. 14], di un fatto giuridico involontario o di un atto giuridico lcd-
to). Rapporti giuridici di responsabilità sono rapporti giuridici relativi
(mai assoluti) consistenti in un vincolo clic Si pone a carico di uno o più
soggetti passivi determinati, a titolo di responsabilità (di penitenza) per
aver compiuto in pregiudizio del soggetto attivo un atto «illecito» (es.: la
8 IL DIRITTO PRIVATO ROMANO
I
I nazionale
In agi si ra ti: o) con irssperiui ti: consoli pretori, dii tatore; b)
govern ° co a polesios: censori edili (cLtnlli e l ebei), questori tribu-
ni della plebe (poteri estesi di inmercessio); e) promagistrati
I
popo la z.: cives Ronjat ti (senza limiti: 112 d. C. consiit. Ao to,rh no tra)
romana ternt.; cittadino (com e prima) e provincia le (irnper.n, Routan un:)
universale (con
principato) orga o i zzaz. repubblicana tradizionale (in decadenza)
C) Per classico _ governo
prt ,tceps Roo ramo: (con sua burocrazia)
(sec. 1-IR d. C.)
(s i
j•us vetus (tutte le fonti della vecchia repubblica)
[ordina m. stata le 4 lix swvunt: in te n'enti del rin cip e in particolare: orazlotaes in seno tu
e giuridico eiic:o, mandato, epistu[oe, resciipta;
in te rpret ar sis ceni a t rice della giurisprud. (sper, con li,, respo rideudi)
isis verso (essen zial mente, scritti dei giunsti prec bss ic i e classici iuta)
los ,jovrtiu (solo constif ulivi 115 mm penali: leges)
[ordinam statale I
e giuridico 4 F di le
es (codici Grecomiano e Erniogeniano [privati],
compilazioni reodosiano [ufficiale])
L
di mmv, o di iuta e lees (varie raccolte privare)
{hrstitutio,:es iusri:tion:
Cotpus luris g iitstin ianeo Digia seu Poi
Code, Insilino 'isis
Naveflae di Giustiniano e cl un
Tmoic E. 1 periodi storici del diritto nirnano cd i sistemi nuorenzaivi dcl rclativo diritto (a 5-6).
22 IL DIRInO PRfVATO ROMANO
to delle genti» (iusgentium), in dipendenza dal fatto che i suoi istituti era-
no comuni pressoché a tutte le genti civilizzate di quei tempi [n. 4].
(c) Il diritto pretorio o onorario (ius praetorium ve1 honorarium) fu
anchesso un diritto di origine giurisdizionale come quello scaturito dagli
interventi del pretore peregrino e dall'autorità dei «precedenti» giurisdi-
zionali (ed anzi lo stesso diritto delle genti fu, a stretto rigore, il prodotto
di un diritto pretorio). La sua specificità deriva peraltro da ciò: a) che esso
si formò nel periodo della grande crisi politica da cui fu affetta la repub-
blica nazionale tra la metà del sec. Il e la fine del sec. I a. C.; b) che in
questo agitato periodo, non funzionando regolarmente i comizi e non
provvedendo perciò le leggi pubbliche ad integrare o a modificare molte
normative ormai superate del diritto civile (sopra tutto di quello antico),
si videro costretti ad intervenire con soluzioni innovative i magistrati inve-
stiti della funzione giurisdizionale tra i cittadini, cioè il pretore urbano,
ancora una volta il pretore peregrino ed altri magistrati, tra i quali gli edili
curuli (addetti all'amministrazione della città di Roma) e i governatori
delle province (addetti anche a dirimere 'e controversie tra i cittadini ivi
residenti); c) che le varie nuove regole costituitesi in forza dell'autorità dei
precedenti» non ebbero carattere radicalmente abrogativo di quelle civili-
stiche ufficiali, ma ebbero solo carattere di «soluzioni alternativer> offerte
dai magistrati giusdicenti alle parti in causa purché esse fossero d'accordo
nel rimettersi ai loro criteri di giustizia (solitamente preannunciati da
(editti» emessi al momento dellentrata in carica).
Il diritto alternativo cosf venuto in essere si chiamò «diritto pretorio»
perché faceva capo sopra tutto ai pretori ed ai loro editti, ma fu anche chia-
mato diritto onorario» dal momento che scaturiva anche da altri magi-
strati giusdicenti e che le cariche pubbliche erano considerate e qualificate
«onori» (honores). Nel periodo classico, sopra tutto dopo il sec. I d. C., la
fioritura del diritto onorario si esaurf di pari passo con il sopravvento del
diritto di marca imperiale.
(cO Il diritto nuovo o aggiornato (lus novum) fu il diritto creato so-
pra tutto dai principi (o imperatori) nel corso dei periodi classico e po-
stclassico mediante «costituzioni imperiali» (eonstitutiònesprinctjìum) e al-
tri interventi loro e dei funzionari da loro dipendenti. Di fronte al pro-
gressivo affermarsi del principio che la volontà dei principe ha valore di
legge (<quod pr1ncpi placuit legis habet vzgòrem») i sistemi giuridici forma-
tisi nell'età arcaica o ad opera delle magistrature giusdicenti repubblicane
persero progressivamente ogni capacità di svilupparsi e di evolversi e pro-
26 IL DIRITTO PRIVATO ROMANO
sione limitata alle soie situazioni giuridiche attive (còrnrnode4: essa intese
cioè come patrimonio il complesso dei beni economici formanti oggetto
di godimento esclusivo del titolare (quae dòmini sunt e quac bonafidepos-
sielèntur) e l'insieme dei poteri diretti all'ottenimento od al mantenimento
di quei beni (quel che «est in actionibus petitionibus persecutionibus»): ciò
pur tenendo ben presente che il titolare stesso potesse essere gravato anche
da un separato <passivo» di debiti e gravami (incòmmoa'a). Viceversa in età
postclassica, molto pid opportunamente [n. 3], si ritenne che il patrimo-
nio fosse tutto l'insieme (l'univèrsitas, la globalità) delle situazioni del sog-
getto, comprensivo sia dei vantaggi che degli svantaggi (sia dei commoda
che degli incornrnod4.
Gli oggetti dei rapporti giuridici (è importante notarlo fin d'ora)
non costituivano per i romani delle entità appartenenti ad una categoria
sempre e necessariamente diversa da quella dei soggetti. Vi erano entità
che altro non potevano essere se non oggetti di diritti e doveri, ed erano
le cose inanimate e gli animali subumani; ma vi erano anche entità che
potevano essere, a seconda delle situazioni, tanto oggetti quanto soggetti
di rapporti giuridici, ed erano gli esseri umani (servi, Julii in potestate,
mulieres in manu, liberi in manelpio); e vi era infine la possibilità di ridur-
re ad oggetti (ovviamente, con particolari modalità e limitazioni) gli stessi
soggetti giuridici (ciò nell'ipotesi che fossero obligati, vincolati da un'obli-
gatio verso un creditore).
libertinità (cz-schiavi)
FL0 tini
extraromanità peregdni alicuius civ
Pereiamn dediticti
sesso femminile
Eaddicti
assoggettamento nexi
-J auctoritati
quasi Servilc persotlae
[redempti ab hostibus
- soggetti 11rn ita ti:
Soetri categorie Fper nota censoria
bassezza morale infamia
rsei fisci
condizione sociale -{ humilìores
Lfli glebae
[municipia
I
associazioni
collegia
soggetti un'nate- sodalitates
ridi Icoloniae
fondazioni rpiae causae
lhcmditas iacens
no le loro Famiglie e 'e loro più complesse organizzazioni a contatto coi pubblico, di
cui utilizzavano la fiducia, l'ordinamento giuridico (cominciando dal diritto onora-
rio) li sottopose tutti indistintamente, in caso di insolvenza, cioè di impossibilità di
Far fronte ai debiti assunti, alle procedure esecutive concorsuali sul loro patrimonio
[n, 26]. Inoltre le principali categorie furono regolamentate in modi più o meno in-
cisivi, sino a giungere ai vincoli nel pubblico interesse di cui parleremo tra breve.
del domino; c) gli «ex-liberti», cioè coloro su cui il patrono avesse perdu-
to il patronato per disposizione di legge o per rinuncia.
dini di cattiva condotta. Dal punto di vista del diritto privato, non poche
limitazioni di capacità a carico di persone moralmente riprovevoli furono
introdotte da leggi, da costituzioni imperiali e dall'editto del pretore.
CosE la legge Giulia sugli adulterii del 17 a. C. [n. 351 sanef la incapacità
dell'adultera colta in flagrante ad unirsi in matrimonio con un nato libero
(ingenuu4; la legislazione imperiale cristiana privò il padre di cattiva con-
dotta dell'amministrazione dei beni dei Figli e dell'esercizio dell'azione in-
tesa alla restituzione della dote spettante alla figlia; l'editto pretorio negò
la capacità di difendere nella fase magistratuale dei giudizio (postulare pro
aliis, e talora persino pro se) a numerose categorie di persone indegne.
La giurisprudenza classica dette un particolare risalto alle incapacità proces-
suali sancite dall'editto pretorio e chiamò usualmente infami (infames», di mala
fama, di cattiva reputazione) coloro che ne erano afflitti. Erano tali, in particolare:
la gente di malaffare, cioè gli esercenti attività turpi o socialmente disdicevoli (leno-
ni, meretrici, gladiatori attori ecc.); i militari disonorati, cioè licenziati dall'esercito
con disonore (cd. pi/rio inhonèsta); i dissoluti, cioè i violatori delle regole fonda-
mentali di un buon matrimonio (bigami, adultere colte in flagrante, vedove passate
troppo precipirosamente a seconde nozze); i malfattori, cioè i condannati per reati
(crirnina perseguiti dal diritto pubblico), o per taluni illeciti a reazione privata (de-
lieta dijlirtum, bona vi rapta, iniuria, dolus malus En. 85-87]), o per l'inosservanza
dei peculiari doveri di fedeltà ed onestà connessi a certi istituti (tutela fiducia, depo-
si/lan, societas, mandatum). Nel diritto giustinianeo, l'infamia, accresciuta di nuove
ipotesi, fu concepita come una categoria non pid solo processuale, ma generale di
minorazione della capacità giuridica e implicò numerosi altri effetti limitativi della
soggettività.
(fi La condizione sociale (condicio in civitate) iniluf in modi molte-
plici sia a vantaggio sia a svantaggio dei soggetti giuridici. Lasciando da
parte le implicazioni sul piano del diritto pubblico comportate dalle di-
stinzioni tra patrizi e plebei, tra nobili (nobiles) e non nobili (cd. ignòbilcs
o populares), tra honestiòres e humuliòres, e sorvolando sulla miriade di fat-
tispecie che possono segnalarsi in ordine al diritto privato dell'età classica
e di quella postclassica, riteniamo opportuno sottolineare che in periodo
postclassico l'assolutismo politico e la connessa statalizzazione dell'econo-
mia portarono alla formazione di arti e mestieri necessitati ed ereditari,
cioè di attività di lavoro specializzato obbligatorie non solo per chi le pra-
ticasse, ma anche per i suoi discendenti.
Tra i mestieri ereditari subirono limitazioni di capacità assai intense: a) quello
dei cd, schiavi del fisco (servi fiscO, cioè degli operai (formalmente liberi e cittadi-
ni) addetti alle officine statali; b) quello dei cd. coloni, anche chiamati «servi della
gleba» (servi g1èbc o adscripJciz, cioè delle persone addette alla coltivazione dei la-
I SO( CElTI GIURIDICI IMM,VFERTAI.I 11
(b') Tiipotesi delle pie cause o «opere pie» (piae cùusae) era quella di parti-
mciii destinati per testamento a scopi duraturi di pietà e affidati per questo fine
(causa) ad un ente corporativo o ad un ufficio (la chiesa, il vescovo ecc.) aventi la
qualira giuridica di successori a causa di morte (eredi, legatari, fedecommissari [n.
90-96]). Proprio perciò la giurisprudenza classica ritenne che, anche quando il te-
statore (il cd, «fondatore») non io avesse espressamente disposto, il lascito entrasse
a far parte del patrimonio generale del soggetto giuridico destinatario dei beni e
che quest'ultimo fosse caricato dell'onere (a titolo di modus [n. 191) di realizzare gli
scopi prefissati dal fondatore. Le cose non mutarono di molto in età postclassica,
nella quale il propagarsi della beneficenza privata e pubblica sorto l'influsso della
religione cristiana portò sopra tutto alla creazione di numerosi ospizi di vario gene-
re (per vecchi, per poveri, per pellegrini ecc.). Solo Giustiniano compi passi decisivi
sulla via del riconoscimento della soggettività giuridica alle istituzioni di beneficen-
za, accordando loro la capacità di ricevere legati e fedecommessi per testamento e
quella di stare in giudizio in nome proprio e a mezzo di rappresentanti.
(b2) Dipotesi dell'eredità giacente ()9crèditas iàccns) era quella del patrimonio
successorio in attesa di essere accettato o rifiutato dal chiamato all'eredità (quindi
provvisoriamente senza titolare [n. 94]). A rigor di diritto, il compendio patrimo-
niale era da considerarsi una res nut/fus, una cosa di nessuno, della quale il primo
venuto aveva il potere di impossessarsi, ma sin dalla età classica si avverti 'opportu-
nità) sia pure limitatamente a casi ed a fini del tutto speciali, di trattare l'hereditas
iacens come provvisoriamente sostitu riva essa stessa del soggetto giuridico che
avrebbe Finito per acquistarla. Muovendo da questi spunti, la giurisprudenza e gli
imperatori postclassici furono lentamente portati a ravvisare in essa una sorta di
soggetto giuridico «provvisorio. Giustiniano completò il processo evolutivo affer-
mando senza mezzi termini che lhereditas iacens fosse in ogni caso equiparabile al
titolare del patrimonio in cui si sostanziava (<dominae tocum bbtinep),
a) concretezta
I,) utilità
Requisiti - e) limitatezza
d) disponibilità privata
e) estraneità al soggetto attivo del mpporto
semplici o composte
divisibili o indivisibili
fruttifere o infruttifere
consurnabili o inconsurnabili
Le cose in particnlare
[ungibili o infungibili
mobili o immobili
màllcipi o non rnàrìcipi
commerciabili o non commerciabili (v. in)
Oggetti giuridici
[ nullius in bericie
[in dominio [n. 43]
Le res in conunercfo L in patrimonio -1 in possesso interdittalc [n. 30]
L in detenzione En. 291
rs e
divini religiosae
[sanctae
Le resexlra cot,mercunJ uno'
[publicae
bumani iurìs universitatis
T.woL IV: Gli oggetti giuridici, con particolare riguardo alle cnsc (e. 12-13).
ricchirono del litus mari! (lido del mare, battigia) che era invece piuttosto una rcs
publica.
(i) In base al criterio dell'appartenenza privata le cose in commercio
(e quindi astrattamente in patrimonio dei soggetti del privati) si distinse-
ro, al loro interno in: a) cose di effettiva appartenenza privata (res in b0-
nis akcuizgs), cioè concretamente appartenenti in punto di diritto ad uno
specifico soggetto privato; 6) cose di nessuno (re, nullfus in bonis, o res
nulliu4, cioè cose che non appartenessero o non appartenessero pid, in
concreto, a nessun privato {n, 44 sub gi.
La condizione delle cose di appartenenza privata poteva consistere
in una di queste tre specie: il) essere oggetto di dominio (civile, pretorio,
provinciale [n. 43-48]); 12) essere oggetto di possesso interdittale (posses-
si0 ad interdicta) riconosciuto dal pretore a certi soggetti in certe situazio-
ni [n. 301; i3) essere oggetto di detenzione possessio naturalis), esercitata
in luogo del domino e con pieno riconoscimento della situazione giuridi-
ca di domino della cosa [n. 29].
CAPITOLO III
SoDaARIo: 14. I] ordine giu rid co privato. - 5. La capacità di agire. - 16, Gli atti dì
tonomia privata, 17. la struttura dci negozi giuridici. - 18. La volontà nei negozi
giuridici. 19. Le clausole accidentali dei negozi giuridici. —20. La ostituzìone
nelFartivirà negoziale.
unisoggettivi rcolleuivi
D) go:i giuridici:
piggt [coniplessi
p io rila era I ii
(tra due o più parti)
funilatenli
[]ibera
forma (mani Fe- I 1per la prova
[stazione) Lvi neoi a a Fco n CO
per esistenza - dominante
[assorbente
ilausola
{hsolutìva
sopensiva1
± circostanza Iulura e incerta
F) Negozi giuri- condizionate
dici: eler!ren-
ti accidentali clausola riniiale ]_ ciirostanza at.,a e certa
terniioaje -t finale
materiale
G) Negozi giuridici:
soslitu:'one indiretta (per conto) o diretta (in nome e per conto)
I
presenta 'a Lnecessada n,lontaria o spontanea (gestione di negozio)
TAVOLA V: Quadro gcnemle dellondine giundìco pnh ato e delle sue cause (n. 14-19)
54 LA REALIZZAZIONE PACIFICA DELL'ORDINE PRIVATO
cioè il sistema (che sarebbe stato, oltre tutto, assai pregiudizievole per la
speditezza della vita giuridica) di accertare caso per caso se l'agente, al mo-
mento preciso della commissione dell'atto fosse effettivamente capace di
intenderlo e di volerlo (se avesse insomma la cd. «capacit'a naturale» di
agire). Fu ritenuta sufficiente, salvo evidenza contraria (es.: uno stato di
chiara ubriachezza), la capacità astratta di agire, cioè la sussistenza nel-
l'agente, al momento della commissione dell'atto, di alcuni requisiti che
astrattamente, in considerazione della normalità dei casi, facessero ragione-
volmente indurre la sua idoneità fisica e mentale. Solo nel tardo periodo
classico, e maggiormente nel periodo postclassico, si profilò sempre più
accentuata la tendenza a controllare in concreto, ove sorgessero dubbi o
contestazioni in proposito, il concorso dell'effettiva capacità di intendere e
di volere: la tendenza a ritenere invalido l'atto che risultasse concretamente
compiuto in istato, sia pur momentaneo, di incapacità naturale.
In ciò il diritto romano non fu lontano da quello che è l'orienta-
mento prevalente dei diritti moderni. Va segnalata invece la differenza tra
diritto privato romano e ordinamenti giuridici moderni, in ordine alla ti-
tolarità della capacità di agire, la quale fu riconosciuta non soltanto ai
soggetti giuridici> ma talvolta anche a persone totalmente prive di sogget-
tività. Ragion per cui bisogna distinguere tra: a) capacità di agire «regola-
re», cioè dei soggetti; b) «mera» capacità di agire di taluni non soggetti.
(a) Requisiti della capacità di agire regolare furono, in età storica:
a) l'età pubere; b) l'appartenenza al sesso maschile; c) la normalità psichi-
ca e fisica.
(a') La pubertà (pubèrtas) si aveva per conseguita, secondo l'opinio-
ne dominante, con il compimento degli anni 14 per i maschi e degli anni
12 per le femmine: gli «impuberi» (impzberes: maschi o femmine che fos-
sero) erano privi della capacità di fare testamento [n. 91] e della capacità
di compiere atti illeciti (quindi erano privi della responsabilità per i delit-
ti [n. 84] che avessero commessi), mentre per la commissione di atti leciti
erano approssimativamente differenziati in: a) infanti (infantes), inetti a
parlare distintamente (<qui fari non possunt») e quasi infanti (infantiae
pròximi, atti a esprimersi, ma non in modo sufficientemente affidabile);
b) fanciulli (infantia maiore4, ormai parlanti (fantes) con una certa affida-
bilità nella loro ragionevolezza. Gli ultrasettenni potevano compiere vali-
damente tutti quegli atti che determinassero un sicuro incremento del
patrimonio loro destinato (es.: l'occupazione di una cosa di nessuno, lac-
cettazione di una liberalità), ma per ogni altro arto negoziale (cioè per le
LA CAPACITÀ DI AGIRE 57
vista già dal diritto civile antico, in forza di esso, i sottoposti: a) potevano
intervenire, forse senza neanche l'autorizzazione del padre o padrone, nei
negozi traslativi di dominio [n. 44] o costitutivi di rapporti assoluti su
cosa altrui [n. 491, quando vi figurassero in veste di acquirenti o benefi-
ciari, essendo implicito che l'incremento patrimoniale relativo avrebbe
avvantaggiato automaticamente il padre o padrone; 6) potevano acquista-
re il possesso [n. 59-30] di una cosa, essendo implicito che l'atto sarebbe
andato a vantaggio del padre o padrone; c) potevano anche rivestire i
panni del creditore (stipulans) a Favore del padre o padrone nel negozio di
stipulazione (si-pulatio [n. 67]), ma presumibilmente solo dietro autoriz-
zazione (iussum) di quest'ultimo. Il diritto civile, invece: a) escludeva che
i sottoposti, pur se autorizzati, compissero validamente per il padre o pa-
drone atti (leciti) di alienazione o atti determinativi di obbligazioni
(quindi di passività patrimoniale) a suo carico; 6) stabiliva che per ogni
atto illecito (delictum) effettuato da un sottoposto (non importa se in sta-
to di incapacità di intendere e di volere) la responsabilità primaria rica-
desse sempre, inevitabilmente, sul padre o padrone, al quale era solo con-
cesso di liberarsene mediante «dazione a castigo» (noxac datio) del sotto-
posto all'offeso o ad un terzo che si assumesse per lui la responsabilità
stessa [n. 84].
(62) ilammissione dei sottoposti al compimento di taluni atti leciti
che implicassero un decremento del patrimonio del padre o padrone fu
prevista solo dal diritto onorario e dalla connessa riflessione giurispruden-
ziale del tardo periodo preclassico e del successivo periodo classico. Stante il
larghissimo ricorso che si faceva alla cooperazione dei sottoposti più capaci
(siafulii che servi) nella vita commerciale, il pretore ritenne equo che questi
ultimi creassero obbligazioni a carico dei loro padri o padroni, quanto
meno nei limiti delle «autorizzazioni» (esplicitamente o implicitamente)
ricevute o delle «contropartite attive» agli stessi procurate. I creditori dei
sottoposti furono perciò abilitati ad esercitare contro i rispettivi padri o
padroni 1e cd. «azioni adiettizie» (actiones adiccticiae qualitatis [n. 16]).
Lungo questa via si giunse sino al punto di ammettere che il sottoposto,
purché espressamente autorizzato, ben potesse alienare a terzi un cespite del
patrimonio del padre o padrone utilizzando il negozio non solenne della
«consegna» (traditio) ed altri modi di alienazione a forma libera [n. 44].
(63) IZammissione dei sottoposti all'assunzione di obbligazioni passi-
ve in proprio (cioè obbligazioni a proprio nome e a proprio carico) costi-
tui ovviamente il caso limite. A nostro avviso: a) la «responsabilità prima-
GLI ATtI DI AUIONOMIA PRIVATA 59
ria da atto illecito del sottoposto (e quindi la possibilità ch'egli fosse con-
venuto in giudizio) fu addossata direttamente ai figli ed agli schiavi solo
dal diritto tardo classico e postclassico, in connessione con la decadenza
delle azioni nossali; b) circa le «obbligazioni da atto lecito», bisogna invece
distinguere tra la situazione del figlio maschio e quella degli altri sottopo-
sti (fihiae, liberi in mancipio, npotes, servi): mentre questi ultimi rimasero
in ogni tempo incapaci di obbligare se stessi (sia per il presente sia per il
futuro) e furono ritenuti vincolati verso chi avesse fatto loro credito solo
da un'<obbligazione naturale» (ohtigztio naturalis [n. 59]) alla (eventuale)
restituzione, il figlio maschio (e di primo grado), essendo prevedibilmente
futuro successore del padre, usufruì di un trattamento speciale. Egli fu, in-
fatti, sin dall'età classica, considerato capace di assumere obbligazioni in
proprio (pro se), pur se probabilmente non poteva essere citato in giudizio
per il mancato loro adempimento e pur se sicuramente non poteva essere
assoggettato ad esecuzione forzata (cioè a ductio personale o a bonorum
venditio [n. 26]). solo per le obbligazioni da mutuo (mutuum [n. 70]) si
ammise il creditore a convenirlo in giudizio di cognizione per ottenerne la
condanna, sf da predisporre per tempo l'eventuale processo esecutivo; ma
l'intervento di un senatoconsulto Macedoniano del sec. I d. C. indusse il
pretore a concedere al figlio un'eccezione (cd. exceptio SC. Macedoniani)
intesa a paralizzare anche l'azione creditoria.
16. Gli atti di autonomia privata. Gli atti di autonomia del di-
ritto privato, piti precisamente denominati da noi moderni negozi giuri-
dici (da negòtium, che significa, ripetiamo, affare privato), causarono al-
meno i quattro quinti dell'ordine giuridico romano e furono largamente
intuiti e analizzati dai giuristi romani (sopra tutto a partire dal tardo peri-
odo preclassico). Ma la ricostruzione di una loro disciplina unitaria, che
variò peraltro non poco da un periodo all'altro (sopra tutto da quello
classico a quello postclassico), è frutto di un ardito (e rischioso) tentativo
compiuto dalla storiografia giusromanistica moderna allo scopo di colle-
gare in un tutto organico nozioni a prima vista isolate.
Dato che noi non riteniamo affatto inopportuno (come invece ri-
tengono altri autori) ricorrere allo schema del negozio giuridico per
chiarire le idee intorno alla vita del diritto privato romano, pensiamo sia
utile mettere ben in chiaro che esso: a) era un «atto giuridico», cioè rien-
trava nella categoria generale degli «atri», dei fatti giuridici posti in essere
volontariamente dai soggetti (presupponendo, dunque, la «capacità di
(0 LA REALIZZAZIONE PACIFICA DEIL?ORDrNE PRIVATO
agire» di chi Io compisse); b) era un atto giuridico «lecito», cioè non vie-
tato, né sanzionato dal diritto (implicava dunque che, se il soggetto giu-
ridico intendesse realizzare un cd. «negozio giuridico illecito», indirizzato
cioè ad un fine vietato dal diritto, l'ordinamento giuridico reagisse in
vari modi; o dichiarando il negozio privo di ogni effetto, o riducendo la
sua operatività ai soli effetti leciti, o anche talvolta limitandosi a punire
l'autore del negozio per il cattivo uso che avesse fatto dell'autonomia ri-
conosciutagli); i-) era un atto giuridico lecito produttivo di «effetti ordi-
nativi (relativi cioè esclusivamente a mettere ordine tra gli interessi del
suo o dei suoi autori); I) era un atto giuridico lecito produttivo di effetti
ordinativi «determinati dal suo o dai suoi autori» (espresso, dunque, da
soggetti autorizzati esplicitamente o implicitamente dall'ordinamento a
stabilirne gli effetti); e) era un atto giuridico lecito, produttivo di effetti
ordinativi «conformi alla volontà manifestata dal suo o dai suoi autori»
(subordinato, dunque, alla manifestazione esteriore della volontà, cioè
alla «forma» che la volontà assume per essere riconoscibile dai terzi); f)
era infine un atto giuridico lecito produttivo di effetti ordinativi confor-
mi, oltre che alla volontà manifestata dall'autore o dagli autori, anche
alla cd. «causa», cioè alla «funzione pratica che esso era obbietrivamente
in grado di realizzare».
Tanto premesso, è chiaro che, se di questo schema del negozio giuri-
dico non funzionava il meccanismo, si verificava una mancanza o impe-
dimento paralizzante. Mentre per indicare tale fenomeno i diritti moder-
ni sogliono ricorrere ai concetti di «validità» ed «efficacia (e quindi a
quelli di invalidità o nullità e di inefficacia) del negozio, i giuristi di
Roma, nella loro consueta tendenza al pratico, fecero ricorso principal-
mente al parametro, indubbiamente imperfetto, dell'utilità giuridica del-
l'atto, o meglio della sua «utilizzabilirà» ai fini della produzione di effetti
giuridici. In altre parole, i romani (e per essi i giuristi) ragionarono cosi;
per ogni azione umana «giuridicamente rilevante» ciò che è necessario e
sufficiente accertare è se essa sia effettivamente atta alla produzione di ef-
fetti giuridici o sia invece, alla resa dei conti, inetta a produrre gli effetti
voluti e sia quindi «inefficace». Il negozio efficace, pur potendo essere al
limite anche talvolta irregolare, era pertanto qualificato utile (utile); il ne-
gozio inefficace (valido o invalido che fosse) era invece qualificato inutile
(inutile, inàne, nul/lus momènti ecc.). Quanto al «negozio inutile>), si di-
stingueva tra inutilità iniziale o sopravvenuta, parziale o totale, tempora-
nea o perpetua: se l'inutilità era totale e perpetua, s( che non vi fosse pos-
GLI ATTI DI AUTONOMIA PRIVATA 61
oiziale
invalidità rcon effetti cx nunc
sopravvenuta lcon effetti cx tunc
I
r
totak -
riduzione
LParnk iconversione
tipi
di diritto (nullità)
_fgìudiziaria (annullamento)
1
r i snonbab le
5anatoria
i onvalesc enza
B) /n o fi/iM le acquiescenza
del negozio conferma
Lmti[ica
cause
r
H
pendenza di condizione sospensiva
pendenza dì tennine iniziale
Lifhpimc0t0 sopravvenuto
mertì inef.
ficacia r
dì diritto
tipi
H . risoluzione
giudrziana rscissione
Lltvocazione
TAvolA V1: A) Is capacità di agito (a. 15 e 20). - B) Cinutilità de] negozio giuridico (a. 16-19).
62 LA REALIZZAZIONE pAcrFrcA DELL'ORDINE PRIVATO
I negozi formali (cioè a forma vincolata) del diritto privato classico e post-
classre. saranno descritti nei capitoli V-XIV, ma è opportuno sin d'ora distinguerli
in quattro gruppi: a) negozi librali; b) negozi verbali; c) negozi documentali; i) ne-
gozi a forma complessa.
(al) 1 negozi librali (o «gesta per aes et Libram») erano quelli derivanti dall'anti-
chissimo diritto quirirario e dal pur esso molto antico negozio della «mancipazione»
(vi anczziatio) precivilistica [n. 28]. Essi servivano a Far acquistare ad un soggetto giu-
ridico (il inancipio acc2»iens) diritti assoluti sui sottoposti liberi, sulle cose màncipi,
sul patrimonio, eventualmente sulla stessa persona di un altro soggetto giuridico
consenziente. Siccome tali negozi si compivano con la cooperazione di un portatore
di bilancia (1ibriens: da libra, bilancia), il quale in antico pesava il bronzo non co-
niato (aes rude) dato in cambio dell'oggetto acquistato, Furono usualmente qualifi-
cati «librali». Tali: la mancipazione [n. 44], l'autovincolamento come ncxus [n. 10],
il pagamento librale [a. 62].
(a2) I negozi verbali erano caratterizzati dalla pronuncia di precise e inderoga-
bili espressioni orali (certa verba). Anche quando la pronuncia di queste formule si
verificava davanti a testimoti? (ed è da credere che Fosse unipotesi praticamente fre-
quentissima) la testimonianza degli astanti e la documentazione scritta del negozio
(cioè la testàtio) non costituivano req uisiti sostanziali. Il campo di esplicazione dei
negozi verbali fu duplice: (t) quello della costituzione, modificazione od estinzione di
rapporti obbligatori sopra tutto mediante stipulazione» (stipulatio [n. 67]); b) quel-
lo delle solenni disposizioni di ultima volontà nel «testamento» [n. 91]. Iiinverso
(l'actus contrarius) della stipulazione, utilizzato per estin guere il rapporto obbligato-
rio da esso creato, fu la cd, accettilazione verbale)) (acceptilatio verbis n. 62]).
(a3) I negozi documentali erano caratterizzati da una forma vincolata scritta
[n. 69], possono suddistinguersi in tre gruppi: a) un primo gruppo costituito dal-
66 LA REALIZZAZIONE PACIFICA DELL'ORDINE PRIVATO
ad oggetto la costituzione di una «dote» (dos): causa che disponeva di tre possibilità
di realizzazione negoziale [n. 371; b) il caso della causa transazionale (causa transac-
tienis), cioè della funzione sociale, resa sempre più frequente dall'incremento della
vita degli affari, avente ad oggetto la chiusura di una lite mediante reciproche con-
cessioni tra le parti: caso che poteva realizzarsi in molteplici modi negoziati e che
solo in periodo classico avanzato dispose (nei iimici, peraltro, del cd. «do UN) anche
di un apposito negozio bilaterale (la cd. transactio [n. 80]); c) il caso della causa di
donazione (causa donationis), cioè della funzione sociale avente ad oggetto una «li-
beralità, l'incremento del patrimonio di un beneficiano (il «donatàrius») per ef-
fetto di un corrispondente decremento del patrimonio di un beneficiante (il
«donàton), senza che vi fosse nessuna ragione di debito del secondo verso il primo
(nullo iure cogente»): finalità, quest'ultima, che, sino a quando una decisa svolta
non fu impressa dall'imperatore Costantino in periodo postclassico per il «patto di
donazione» (pactum donationis [n. 79]), poté essere realizzata mediante il ricorso a
negozi di ogni tipo, anche se formalmente a titolo oneroso (negozi traslarivi del
dominio o costitutivi di altri diritti reali, negozi costitutivi di obbligazioni del do-
nante verso il donatario, negozi estintivi di obbligazioni del donatario verso il do-
nante o persino verso un terzo creditore del donatario). Per disposizione dell'autore-
vole legge Cincia (do elonis et munèribus, 204 a. C.) furono tuttavia proibite le «do-
nazioni smodate» (cioè al di sopra di un certo limite: il cd. modus legis Cinciae) tra
«estranei» (non parenti, affini od altre persone di stretta familiarità), sia che avessero
carattere di liberalità morivate esclusivamente dal piacere di arricchire il beneficiano
(a{òna), sia che avessero carattere di liberalità motivate da doveri impegnativi solo
sul piano sociale (manera: cs., regali di nozze, regali di compleanno, contributi del
liberto a spese eccezionali sostenute dal patrono, «palmari» o premi speciali offerti
dai clienti agli avvocati in auspicio del loro maggiore impegno o in rapporto al
felice esito della loro difesa).
Una specie rilevantissima di negozi fittizi era quella dei negozi indiretti, cioè
palesemente intesi a creare un effetto giuridico diverso da quello indicato dalla ma-
nifestazione esterna: ipotesi nelle quali trovava luogo (se lecito) l'effetto giuridico
indiretto. Si trattava, di solito: a) di negozi di antica data che erano stati adattati a
diverse esigenze posteriori (si pensi alla mancipazione [n. 44], che da originario ne-
gozio di scambio di una cosa mancipi con un controvalore espresso in bronzo da
pesare divenne in tempi storici un negozio traslativo del dominio anche a titolo
gratuito o contro il pagamento di una simbolica moneta di minimo valore); b) op-
pure di negozi di data relativamente recente riversati alla meglio entro forme anti-
che (si pensi alla compera Fittizia del patrimonio ereditario effettuata nel procedi-
mento del testamento librale [n. 91]). Fenomeni tutti spiegabili al lume del tradi-
zionalismo caratteristico dei Romani.
(a2) Quando mancasse la evidenza del negozio fittizio, quando cioè
vi fosse una discordanza non evidente tra volontà e manifestazione,
l'orientamento dominante, sopra tutto in età preclassica e classica, fu di
non tenerne conto, e quindi di riconoscere come valido il negozio appa-
rente. Tuttavia, sia pure in casi singoli e non come regola generale, si ri-
tenne inutile il «negozio apparente» (e quindi inesistente la volontà mani-
festata, oppure valida la diversa volontà reale dell'autore o degli autori del
negozio), purché concorressero questi tre requisiti: che la causa della di-
scordanza (cioè la vis absoluta, l'errore di manifestazione ecc.) venisse
chiaramente provata; che il comportamento dell'autore della manifesta-
zione (interessato ad ottenere più tardi l'inutilizzazione del negozio) ap-
parisse oggettivamente scusabile; che non fossero lesi gli interessi dei ter-
zi estranei al negozio. Spunti, questi, che solo nell'evoluzione post-roma-
na si sono trasformati in regole di diritto.
In particolare, se in relazione ad un negozio bilaterale fosse interve-
nuto occultamente tra le parti un accordo simulatorio (inteso ad evitare
in tutto o in parte la produzione degli effetti scaturenti dal negozio appa-
rente), già la giurisprudenza classica manifestò una certa inclinazione
(esaltata poi dalla giurisprudenza postclassica) a conferirgli rilevanza tra le
parti: nel senso cioè che, ove della simulazione si fosse data sicura prova, il
negozio apparente (simulato) valeva di fronte ai terzi, ma era privo di ef-
fetti (in tutto o in parte) tra i suoi coautori, per i quali valeva il negozio
realmente voluto (e dissimulato).
Ipotesi del tutto anomala di accordo simularono fu costituita dalla intesa Fi-
duciaria (fiducia), cioè dalla corrispondenza puramente fiduciaria tra la volontà di
due o più soggetti per determinare, tra loro o rispetto a terzi, effetti giuridici non
previsti dall'ordinamento giuridico. Le esplicazioni principali di questa ipotesi furo-
no due: a) quella del vero e proprio «accordo tra due soggetti viventi, in forza del
Lk VOtONTÀ NEGOZIALE 71
(b) I problemi piú gravi, oltre tutto perché relativi ad ipotesi assai
frequenti, furono sollevati dalla formazione viziosa della volontà manife-
stata, cioè dal fatto che un soggetto si fosse indotto ad un negozio (unila-
terale o plurilaterale) senza la indispensabile libertà di valutazione o di
decisione. La rilevanza sempre pid accentuata di queste ipotesi si manife-
stò a partire dal periodo preclassico, in correlazione col diffondersi della
vita degli affari e col connesso moltiplicarsi delle questioni sollevate, a ri-
flessione pid fredda, dalle vittime della malformazione della volontà. Il
diritto civile offri in proposito possibilità di reazione molto scarse, salvo
che nei casi in cui la giurisprudenza riscontrasse errori vistosi nei quali
fosse incorso per sua inefficienza l'autore del negozio, e ne deducesse
l'inutilità totale o parziale del negozio stesso. Molto pid avanti si spinse il
diritto onorario a causa della frequente e vasta iniziativa dei magistrati
giusdicenci di intervenire contro coloro che eventualmente l'errore, o pid
in generale il vizio del volere, lo avessero scientemente provocato, o alme-
no favorito, in un altro soggetto (in una «vittima» del loro comportamen-
to non corretto, sostanzialmente illecito). Di qui la distinzione, divenuta
sempre piú netta e piú articolata nel corso del periodo classico, tra le ipo-
tesi: a) di dolo malevolo; b) di violenza morale; c) di errore non causato
né da dolo né da violenza morale.
(bi) Per dolo malevolo (dolus màlus) si intese il comportamento me-
scusabilmente malizioso di un soggetto (decèptor, raggiratore), nei riguar-
di di un altro soggetto (decèptus, raggirato), con cui fosse in trattative o in
rapporti giuridici già costituiti, esercitato allo scopo e con gli effetti di in-
durlo ad un'azione pregiudizievole ai propri interessi (<omnis calliditasfaL
lacia machinatio ad circumvenièndumfallèndum decipièndum àlterum
adhibita»). Lazione del raggiratore consisteva nell'aver superato i limiti di
una tollerabile «abilità negoziate» nella cura dei propri interessi (cioè i li-
72 Lk REALIZZAZIONE PACIFICA DELIJORDIN'E PRIVATO
miti del cd. dolus bonus), creando apparenze esteriori o situazioni psicolo-
giche tali da portare la vittima a prendere decisioni chiaramente contrarie
alla propria utilità economica e inducendola quindi, nel caso più frequen-
te, a concludere un negozio del tutto antieconomico. A questa larghissi-
ma accezione della figura del dolo si giunse, dalla giurisprudenza preclas-
sica e classica, non senza resistenze e discussioni; ma è certo che, quando
vi si pervenne, la repressione onoraria relativa costituf un'utilissima difesa
contro le più svariate violazioni del principio di correttezza nelle relazioni
intersoggettive [n. 871.
In età classica i mezzi giuridici intesi a combattere il dolus malta era-
no tre; a) 'eccezione di dolo» (cxceptio do/i); b) la «reintegrazione della
vittima decretata dal magistrato» (in integrum restitutio oh dolum); c) in ul-
tima analisi, l'azione di dolo» (actio de do/o) penale. Ma sia precisato su-
bito che questi mezzi si applicavano solo alle ipotesi (più gravi) di dolo
determinante (dolus causam dans), cioè di dolo che avesse determinato il
soggetto a concludere un negozio che mai avrebbe altrimenti concluso. Ai
casi di «dolo incidentale» (do/io [matta] incidens), cioè di raggiro che aves-
se indotto un soggetto a concludere il negozio a condizioni più onerose di
quelle che avrebbe diversamente voluto, sarebbe stato eccessivo applicare
rimedi troppo radicali e si provvide caso per caso, con espedienti vari, al
fine di realizzare una «riduzione» delle condizioni negoziali ad equità.
(h2) Per violenza morale (vis compu/slva) ovverossia per «timore nego-
ziale» (metus), si intese la situazione di oppressione psichica in cui taluno (il
coàctus, il costretto») avesse compiuto unattività giuridica, e in particolare
un'attività negoziale, subendo la ingiusta minaccia [n. 87] di altra persona
(controparte di un negozio bilaterale o terzo estraneo al negozio). Non sem-
pre, ovviamente, il timore negoziale aveva rilevanza giuridica; solo se esso
era stato determinato dalla minaccia di un male notevole (alla persona stessa
del coactus o alle persone di suoi stretti congiunti) e solo se il male minac-
ciato aveva carattere di illecito morale o giuridico, il pretore ritenne iniquo
che la vittima della minaccia subisse le conseguenze di una attività svolta in
istato di menomazione della sua volontà. Pertanto egli concesse anche alla
vittima (al coactus): a) un'<eccezione di timore (exceptio metto); /i) una
«reintegrazione d'autorità» (in integrum restitutio ol' metum); i) un'<actio
quod menu causa' penale.
(0) Lerrore di fatto (èrrorfactz) fu concepito come la ignoranza to-
tale o parziale di una circostanza di fatto, dalla quale fosse dipesa la dcci-
ione del soggetto a concludere i! negozio. Non si sortilizzb circa il punto
LA VOLONTÀ NEGOZL&LE 73
condizione potestativa negativa senza limiti di tempo, cioè della condizione so-
spensiva negativa rimessa alla volontà della persona che traesse vantaggio dal nego-
zio (es.: «lego cento a mia moglie se non si sposera»). In questa ipotesi gli effetti
del negozio non si sarebbero potuti produrre prima della morte del beneficiato,
perché non prima di allora si sarebbe avuta la sicurezza del verificarsi della condi-
zione (nell'esempio: mancai-e nuove nozze). Ad evitare questo inconveniente, il
giurista Quinto Mucio Scevola (sec. I a. C.) suggeri ai pretori la prassi, largamente
utilizzata, di concedere ai beneficiati l'immediato godimento delle attribuzioni
loro fatte, purché promettessero solennemente ai controinteressati, mediante una
stipulazione pretoria [n. 26] (cd. cautio 114uciana), il ripristino della situazione
originaria (restitzhio) nell'ipotesi che compissero in avvenire l'attività dedotta nega-
tivamente in condizione.
(a) Nel sistema del diritto civile antico (ius civile vetta), sorto in cor-
relazione ad un'economia agricola familiare di tipo autarchico, fortemente
restia agli scambi, il principio esclusivistico fu disapplicato solo in casi di
stretta necessità (es.: quello del curatore del pazzo) e nelle ipotesi affini di
particolare convenienza quali quelli, già indicati a suo tempo [n. 151, dei
sottoposti (liberi o schiavi) che compissero affari in luogo del padre o del
domino quando costoro fossero impegnati in guerra o nella vita politica.
Ai soggetti giuridici estranei alla famiglia era pertanto interdetto,
non solo di compiere atti diminutivi del patrimonio di un altro soggetto,
ma anche di compiere atti accrescitivi (cioè comportanti acquisti) di quel
patrimonio (<per extraneam personam adqu/ri non potest», si disse). È pe-
raltro probabile che si sia andato affermando nella pratica quotidiana, sin
dagli inizi del sec. III a. C., il ricorso da parte dei soggetti giuridici ad un
particolare tipo di soggetto estraneo, affinché li aiutasse ed eventualmente
li supplisse nell'amministrazione familiare: il procuratore o sovrintenden-
te (procuràtor) che era solitamente un liberto [n. 101 il quale esercitava,
con la palese fiducia del patrono, mansioni di «factotum» (procuràtor om-
nium bonorum): talora perché espressamente nominato dal patrono e ta-
laltra perché spontaneamente indottosi a curarne gli affari, sopra tutto in
ipotesi di sua assenza forzata, a causa del rapporto di patronato.
(b) La situazione cominciò ad essere alquanto diversa con la forma-
zione del sistema del diritto civile moderno (ius civile novu,n): sistema,
come sappiamo, venuto in essere in un'epoca di scambi economici assai
intensi e caratterizzato da negozi a forma libera. L'uso, per non dire la ne-
cessità, di concludere «negozi a distanza», tra soggetti che non fossero tra
loro a personale contatto (inter absèntes), valorizzò il ricorso allo scambio
di messaggi o all'invio di sostituti materiali, cioè alla negoziazione per let-
tera (per epistulam) o per mezzo di messaggero (per nuntium).
Ma non bastava. Spesso occorreva che alla negoziazione a distanza
provvedessero, con latitudine di poteri e di iniziative, persone di fiducia in
qualità di rappresentanti quanto meno indiretti. Di qui, nel quadro di
una vasta rete di rapporti di affari coperta dal contratto di mandato [n.
77], l'affermazione del mandato nell'interesse del mandante (cd. manda-
tum mea gratia). Questa prassi agevolò notevolmente l'inserimento parzia-
le dell'istituto del procuratore nel diritto privato: quando il procuratore
fosse stato espressamente incaricato del compimento di determinati affari
(uno o anche più) dal soggetto giuridico interessato agli stessi (nel caso
quindi del cd. «procuràtor unius rei»), era pronta a coprirlo la veste giuridi-
80 LA REALIZZAZIONE PACIFICA DELL'ORDINE PRIVATO
piedi. Per le obbligazioni assunte dal «capitano» nell'esercizio della sua funzione il
creditore aveva azione per l'intero (in sotidum) contro l'arniarore (l'exercitor navis).
L'azione istitoria (actia institoria) ebbe applicazione nell'ipotesi che un sog-
getto giuridico avesse preposto palesemente (cioè in modo che fosse chiaro a tutti)
un figlio, uno schiavo o un estraneo (servizi altrui o persona libera), alla gestione di
una bottega (tabèrna) o di una qualunque sua impresa commerciale fuori dell'am-
bito del commercio marittimo. Il nome di azione istitoria derivò dal fatto che inni-
tor (<preposto») veniva usualmente chiamato l'addetto alla gestione delle botteghe:
ciò che lo differenziava da un mandatario era la notorietà rispetto ai terzi della
preposizione all'attività commerciale praepositio negotiuioni.
Dazione tributoria (actio tributòria: in traduzione approssimativa, «asione di
attribuzione di parti») si applicò nell'ipotesi che un figlio o schiavo avesse impiega-
to, in tutto o in parte, in un certo affare, il «peculio» (peculium [n. 34]) a lui con-
cesso dal titolare della potestà, essendo quest'ultimo a conoscenza della sua specifi-
ca iniziativa. Se in dipendenza dell'affare si determinava uno stato di insolvenza, i
creditori erano ammessi ad ottenere dal pretore che il compendio del peculio (la
cd. nierxpeculiaris) ed i suoi eventuali successivi incrementi formassero oggetto di
una «distribuzione» proporzionale fra tutti (di una ad,ribatio a ciascun creditore di
una quota proporzionale al suo avere). Di compiere la ripartizione era incaricato,
ovviamente, il soggetto giuridico titolare del patrimonio di cui la merxpeculiaris fa-
ceva parte: l'aio tributoria era intesa appunto alla sua condanna nel caso che egli
avesse dolosamente attribuito meno del dovuto ad uno o pio creditori.
L'azione da benestare (actia quoti iussu) Ri concessa al creditore di un figlio o
schiavo contro il rispettivo padre o padrone nell'ipotesi che l'affare fosse stato com-
piuto per esplicito benestare dello stesso: nell'ipotesi cioè che il soggetto avesse
dato un espresso ordine (iussum) al sottoposto facendolo in qualunque modo sape-
re al creditore. AH'autorizzazìone preventiva era equiparata la successiva ratifica (i-a-
tihahitio).
Unione per il peculio (actio de peculio) fu accordata ai creditori del figlio o
dello schiavo contro il padre o padrone, nell'ipotesi che costui, pur non avendo
preposto il suo subordinato ad un esercizio commerciale e pur non avendolo auto-
rizzato ad un certo affare col contraente, avesse comunque assegnato al sottoposto
la gestione di un peculio, I creditori del sottoposto erano in tal caso ammessi ad
agire contro il padre o padrone nei limiti del patrimonio peculiare (dumt?ixat depe-
cullo).
L'azione per il ricavo (actio ne in reni verso) fu una variante dell'azione per il
peculio. Posto che un figlio o un schiavo privi di peculio, avendo contratto un'ob-
bligazione, avessero «riversato» in tutto o in parte il ricavo dell'affare (ad esempio,
L somma ottenuta in mutuo) nel patrimonio (nella «reo)) del loro padre o padrone,
si ammetteva il creditore ad agire contro quest'ultimo in ordine al ricavo da lui in-
Eroi ta ro e nei limiti dello stesso.
(c2) Per gestione di negozio in senso stretto (libera negotiorum alieno-
rum gestio) si intese dai giuristi la cd. «gestione d'affari» spontanea, cioè
82 LA REALIZZAZIONE PACIFICA DELEORDINE PRIVATO
Sommario: 21. La realizzazione coattiva dell'ordine privato. 22. Le procedure delle azio-
ni di legge. -. 23. Le procedure formulari. - 24. La struttura delle formule proces-
suali. - 25. Lo svolgimento del processo formulare. - 26, Gli istituti complemen-
tari delle procedure formulari. - 27, Le procedure straordinarie.
A) Processo giurisdì-
ionule: Iipi {Pesonale
di esecuzione
patrimoniale
[inrem i
sacramentum un pexonam
r•dichiarative i per iudicis (arbitrive)
postulationem
Lper condEctionem I
P, ],i, actiones J
Eper manus iniecrionem i
Lesecuve 4 ductio debitoris) I
3) Procedure romane
ordivarie (ordo {P capinnem T-
iudicioru
di cognizioneper formulas iudiciales
ordinana L(fasi in iure e apud iudicen)
cxhibitoria
[per formulns - ìntcrdìcta{reslìtutorìa
prohibitoria
inicerale
bonorum venditio
Ppcr
4
Ltionem
bonorum pnssessìo curn re
C) Procedure romane Ragni tio rnagistratuum re
straordinarie (cara
ordioem) cognitio pÌncipis (tutto i] processo in iuTa)
l'aro iuclìcis
Jpars pro actore }thema decid r ip
a pars pro reo endum tcondemnatio
D) fomufa r [iussum iud[caodi
di giudizio
h -[elementi accidentali:-[ demo ns tra tio, adiudicatì o.
'cripti, taxalio, exceptio (etc.)
TAVOLA VII: A) I tipi di processo giuridizionale (n al). -3) Le procedure ordinare: per azioni di
legge (n. 22) e formulari (i. 23-26). - C) Le procedure straordinrìe (a. 27) - D) Struttura
delle formule giudizrn!i (o. 24).
86 LA REALIZZAZIONE COATTIVA DELFORDINE PRIVATO
I sistemi procedurali che si seguirono (ma che per qualche tempo co-
esistettero e si fecero concorrenza tra loro) furono, nel lungo arco di tempo
della storia di Roma, i seguenti tre: a) quello delle procedure basate su
azioni di legge» (per legis actiones); b) quello delle ((procedure a impianto
formulare») (per formuLa); c) quello delle «procedure straordinarie» (extra
ordinem). Il terzo sistema, dilagato in periodo classico e in periodo po-
stclassico, va denominato «straordinario» (fuori dell'ordinario) a causa del
fatto che gli altri due costituivano la «giustizia privata ordinaria» (ordo iu-
diciorum privatorum) e furono sino alla fine riconosciuti formalmente
come tali.
Il procedimento in iure (cosi detto perché si svolgeva nel luogo in cui il magi-
strato sedeva su un palco detto trib4nale ivi impersonava l'autorità del iu4, serviva ad
instaurare la controversia nei suoi termini formali ed appunto perciò reclamava come
indispensabile la presenza di ambo le «parti» contrapposte: pertanto, se il Convenuto
rifiutava di seguire l'attore davanti al magistrato giusdicente quando riceveva da lui la
«citazione in giudizio (la vocatio in ius) attore, dopo aver fatto constatare il rifluto
da testimoni, poteva trascinarlo in ius a viva forza (operando nei suoi confronti una
«presa corporale, cioè una manus iniectia stragiudiziale), salvo che intervenisse uno
speciale girane (denominato vindex) ad assumersi la personale responsabilità della
sua comparizione ad altra data. Trovandosi finalmente i due davanti al magistrato (in
iure), se questultimo riteneva opportuno la remissione al giudice, la liti, contestatio
(letteralmente: la presa di conoscenza da parte di più testimoni) era il momento con-
clusivo essenziale acché il giudice fosse informato in modo preciso e incontestabile
dei termini della controversia (114.
Il giudice (iudex) o l'arbitro (arbiter) del procedimento di accertamento era
solitamente unico ed era un privato cittadino prescelto dal magistrato tra i nomi-
nativi iscritti in un'aggiornata «lista generale di persone atte (e disposte) alla fin-
zione giudicante (album irMicum) e senza avere particolare riguardo alle sue cogni-
zioni giuridiche, richiedendosi pie che altro in lui qualità di equilibrio e buon sen-
so. Tuttavia si formarono nell'antica Roma anche due collegi giudicanti specializ-
zati, che venivano eletti dai comizi tributi per tutto l'anno di carica del pretore: a)
il collegio dei centnmviri (centz,nviri), i quali giudicavano (talvolta al completo e
talvolta in commissione ristretta) talune controversie di maggiore risonanza sociale
(prevalentemente, questioni ereditarie [n. 93]); h) il collegio dei decemviri giudi-
ziali (decémviri srlitihns iudicandis) i quali erano veri e propri magistrati minori e
avevano il duplice compito di presiedere i giudizi centumvirali e di decidere in li-
nea esclusiva tutte le delicatissime questioni di accertamento della libertà o schiavi-
tù dì un individuo (cd. «processi di libertà» [n. 46]).
La sentenza (sententia ìudicìs) con cui si chiudevano i processi di cognizione,
anche se emessa su investitura ricevuta dal magistrato giusdicente, era pur sempre un
atto proveniente da un privato (o, nel caso dei centumviri e decemviri, da magistrati
di minimo livello): essa non poteva quindi coartare oltre certi limiti la persona del
soccombente e non poteva, in particolare, imporre a quest'ultimo di restituire al-
88 LA REALIZZAZIONE COATTIVA DELLOI4OINE PRIVATO