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Lo Spaziotempo di Minkowski: L'Universo in un foglio ***

2015-10-01 09:10:25 Vincenzo Zappalà

Questo articolo è stato inserito nella sezione d'archivio dedicata alla Relatività Ristretta, in Relatività, velocità della luce e
buchi neri.

Se la Relatività Ristretta (RR) permette di descrivere l'Universo e le leggi fisiche dei sistemi inerziali attraverso poche formule
fondamentali basate su un numero ristretto di postulati, lo spaziotempo di Minkowski e il corrispondente diagramma ce ne regalano
una visione grafica di grande generalità. Tutto l'Universo soggetto alla RR può essere rappresentato in un foglio di carta, utilizzando
due sole coordinate. Il diagramma di Minkowski permette di comprendere appieno e di visualizzare direttamente la RR. Le sue
applicazioni sono enormi e si estendono anche alla Relatività Generale.

Lo spaziotempo di Minkowski non è altro che un modello matematico in grado di rappresentare la Relatività Ristretta. Esso fornisce,
quindi, una visione grafica di tutti i principi della RR che, nel caso di uno spazio ridotto a una sola coordinata x (cosa che nella RR
non è limitativa, se questa direzione è quella del moto) permette di descrivere l'intero spaziotempo in un diagramma a due
coordinate, lo spazio e il tempo. I punti diventano eventi e le relazioni tra loro sono perfettamente descritte dai principi della RR.

Essendo legato alla RR, la sua validità decade quando lo spaziotempo diventa curvo e la RR deve essere sostituita dalla Relatività
Generale (RG). Lontano da corpi massicci, la rappresentazione di Minkowski rimane perciò un metodo essenziale per la descrizione
dell'interro spaziotempo. Ma la sua applicazione va ancora oltre, dato che in presenza di gravità (e quindi accelerazione) la
rappresentazione può essere utilizzata per descrivere intervalli infinitesimi attorno a ogni punto (l'accelerazione è data dal limite del
rapporto tra un intervallo infinitesimo della velocità e del tempo...). In altre parole, è come se la curvatura dello spaziotempo venisse
approssimata dalla sua tangente punto per punto.

In generale, quando la gravità è trascurabile lo spaziotempo diventa "piatto" e coincide perfettamente con quello di Minkowski. Per
questo motivo lo spazio di Minkowski viene spesso definito come uno spaziotempo piatto (anche se la sua geometria non è
euclidea). Ma lasciamo le considerazioni su spazi piatti e curvi a quando si affronterà la curvatura in generale.

L'utilità del diagramma di Minkowski

A parte l'importanza matematica e teorica, il saper disegnare su un diagramma di Minkowski vuol dire "leggere" direttamente e
graficamente tutto ciò che la RR ci ha insegnato: relatività della simultaneità, dilatazione dei tempi, contrazione delle lunghezze.
Esso si basa, ovviamente, sulla trasformazione di Lorentz e quindi su una semplice trasformazione di coordinate. Vedremo che
attraverso di lui risolveremo elegantemente il paradosso dei gemelli e potremo descrivere l'intero spaziotempo: passato, presente e
futuro saranno sotto i nostri occhi con una sola figura!

Costruiamolo lentamente insieme

Per iniziare, utilizziamo un sistema "interattivo". Invece di partire in quarta con la sua descrizione, vediamo di arrivarci attraverso il
vostro contributo, dopo aver già "digerito" le basi della RR. Avete ormai le capacità di affrontare da soli i vari punti. Piccoli quiz, su
cui ci si può soffermare e che si può cercare di risolvere, seguiti dalla descrizione vera e propria, ossia dalla soluzione. Un sistema
che, penso, riesca meglio a evidenziare le eventuali carenze ancora nascoste nella comprensione dei principi dell RR.

La simultaneità innanzitutto

Costruiamo uno spaziotempo a due dimensioni (t, x), apparentemente del tutto uguale a quello che è stato usato per spiegare la
relatività galileiana. L’asse verticale è il tempo t e l’asse orizzontale lo spazio x. Il sistema di riferimento S, considerato fermo, è
quello di color blu nella Fig. 1.

Un punto O che sta su di esso (in realtà dovremmo parlare di evento) si muove SOLO lungo l’asse del tempo t. Non ha velocità e
quindi lo spazio x percorso deve essere sempre zero. S’ è invece un sistema di riferimento che si muove con una certa velocità v
rispetto a S. La sua traiettoria nello spaziotempo (t,x), che possiamo chiamare linea di Universo, è una retta inclinata di un certo
angolo rispetto a quella verticale e questo angolo dipende direttamente dalla velocità di S’ rispetto a S.

Se fossimo nello spaziotempo di Newton e Galileo, il tempo si misurerebbe sempre lungo t per qualsiasi sistema inerziale. In altre
parole, il tempo di chi viaggia lungo S’ rimarrebbe sempre t. Ciò vuol dire che il tempo sarebbe assoluto. Stesso tempo vuole anche
dire che in qualsiasi sistema inerziale la simultaneità dei fenomeni si determinerebbe attraverso una retta parallela all’asse x (la
retta per la quale il tempo è costante).

La Fig. 1 illustra questa situazione galileiana che avevamo già affrontato in dettaglio. La retta AB determina la simultaneità sia per il
sistema S che per il sistema S’ in movimento rispetto a lui.
Figura 1

"Purtroppo" la relatività di Einstein ci ha dimostrato, utilizzando la trasformazione di Lorentz, che le cose non vanno affatto così,
soprattutto se le velocità relative sono paragonabili alla velocità della luce. In particolare, abbiamo imparato che ogni sistema di
riferimento S’ in movimento ha un suo tempo proprio che appare dilatarsi se visto dal sistema S. Nel nuovo spaziotempo di
Minkowski bisogna che questa caratteristica venga rappresentata correttamente. Per rendere tutto più semplice, l’unità di misura
dello spazio e del tempo è stata scelta in modo che la retta a 45° descriva un sistema che si muove alla velocità dalle luce. In altre
parole inseriamo il ben noto cono di luce, o -ancor meglio- la sua intersezione con il piano (t,x).

A causa della relatività del tempo, segue che l’asse t' del sistema S’ non può essere più l’asse t. Il nuovo tempo t’ di S’ deve essere
misurato da un orologio che viaggia insieme a S’ e, quindi, l’asse del tempo t’, relativo a S’, è proprio la traiettoria descritta da S’.
Questo orologio appare rallentare se visto nel sistema di riferimento S, ma su questo ci torneremo molto presto. A noi, adesso,
interessa ricavare il nuovo asse x’ relativo all’asse t’.

Questo nuovo asse è quello che deve rappresentare la simultaneità nel sistema S’. Infatti, l’asse x è quello che indica fenomeni
simultanei nel sistema (t, x), dato che gli eventi con t costante sono quelli che si ottengono lungo una retta parallela a x. La stessa
cosa non può certo capitare per il sistema S’. Il suo tempo scorre lungo S’ e non coincide più con t: ogni sistema ha il suo tempo,
dato che il tempo non è più assoluto. Inoltre sappiamo già bene, che anche la simultaneità è relativa ed è ora di mettere in pratica
questo concetto.

La domanda che vi faccio è quindi molto semplice concettualmente: “Come può fare S’ a disegnare nel sistema di riferimento S
della Fig. 1 la sua linea di simultaneità x’?”.

Aggiungiamo qualche nota “pratica”, illustrata in Fig. 2.

Figura 2

Il sistema S’ ha molti amici (a,b,c) nel Cosmo, anzi nello spaziotempo, e sono tutti disponibili ad aiutarlo. Essi sonofermi rispetto a
S e quindi descrivono anch’essi linee di Universo verticali. S’ porta con se una lampadina molto potente che accende quando si trova
in A (A è un evento in quanto è definito da uno spazio e da un tempo). La luce viaggia alla sua velocità costante ed è facilmente
descrivibile nel piano (t,x).

Non appena i vari e infiniti amici a, b, c, … ricevono il segnale di luce inviata da S’, quando era in A, inviano immediatamente un
segnale luminoso con la loro personale lampadina, altrettanto potente. L’operazione di tutti questi amici è del tutto inutile per S’,
tranne quella di uno solo. Il suo segnale, ricevuto da S’, gli permette di tracciare la sua retta di simultaneità. La domanda è: “Quale
dei suoi amici cosmici è l’unico utile allo scopo e quale ragionamento logico deve fare S’ per tracciare la sua linea di
simultaneità?”.

Una volta tracciata, il nostro sistema S’ capisce perfettamente come costruire questa retta, senza aver più bisogno dei suoi amici
spaziali. Gli basta conoscere l’inclinazione del suo asse del tempo t’ rispetto a t.

Il problema non è difficile come può sembrare a prima vista ed è essenziale per capire la logica del discorso. Risolvendolo si è già
fatto un passo decisivo per orientarsi nello spaziotempo di Minkowski, l’unico capace di descrivere graficamente la relatività ristretta
e le sue conseguenze. Chi ha voglia di pensare può già rendersi conto che superare questo piccolo quiz vuole anche dire aprire una
finestra enorme per la comprensione del celeberrimo paradosso dei gemelli!

Tracciamo l'asse x' graficamente

Andiamo avanti per gradi, partendo dalla situazione più ovvia e banale.

Vediamo come fare a costruire la linea di simultaneità per il caso più semplice, ossia per un sistema non in movimento. Cosa vuol
dire linea di simultaneità? Essa ci dice che tutti gli eventi che capitano su di lei devono essere simultanei, ossia devono avvenire
allo stesso tempo t. Se, ad esempio, t fosse proprio zero, il luogo di questi eventi dovrebbe avere sempre il valore t = 0. Nel caso
che l’asse del tempo sia disegnato in verticale ricadiamo nel caso classico,in cui l’asse di simultaneità è perpendicolare a t, ossia è
l’asse dello spazio x. Siamo nel sistema di riferimento S.

In questo sistema di riferimento, scegliendo convenientemente le unità di misura (ad esempio, anni e anni luce), la retta a 45° indica
la traiettoria di un punto che si muove alla velocità della luce.

Immaginiamo, però, di non sapere che l’asse x sia asse di simultaneità e di volerlo determinare sperimentalmente. A, che sta fermo
nel suo sistema di riferimento, si muove solo lungo l’asse del tempo t. Questo asse rappresenta la sua linea di Universo. A è
munito di un orologio e di una lampada che accende a un certo istante. Sia A la sua posizione al momento dell’accensione della
lampada.

Usiamo la Fig. 3. Il raggio di luce viaggia inclinato di 45° rispetto all’asse del tempo. Immaginiamo, ora , che gli infiniti punti che si
trovano lungo questa retta accendano un loro lampadina nel momento in cui vengono raggiunti dalla luce partita da A. Questa luce
“rinviata” raggiunge la retta t dopo un certo intervallo di tempo.

Figura 3

Più è lontano il punto, più tardi la luce lo toccherà e più tardi la luce rinviata dal punto toccherà la retta t. E’ indubbio, però, che
l’intervallo di tempo trascorso perché la luce tocchi il punto deve essere uguale all’intervallo di tempo perché la luce riemessa tocchi
la retta t. La luce viaggia a 45° ed è costante e, inoltre, i punti A e a (per esempio) non si sono mossi nello spazio, dato che sono
entrambi fermi. Se la distanza spaziale è sempre la stessa e la velocità è la stessa, anche il tempo impiegato deve essere lo
stesso!

Cosa deve fare allora A che ha inviato il suo segnale? Lo vediamo in Fig. 4.
Figura 4

Lui viaggia tranquillamente lungo t fino ad arrivare nel punto O. Non deve fare altro che guardare l’intervallo di tempo impiegato,
usando il suo orologio. A non si cura assolutamente dei segnali che gli rimandano i punti dello spazio. Lui deve lasciare trascorrere
un tempo uguale ad AO fino a giungere in B. Ossia deve essere sicuro che AO sia uguale a OB. O è per definizione il punto di
mezzo (lo ha misurato con il suo orologio). Tuttavia, il punto c che è stato capace di ricevere il segnale mandato da A e di rinviarlo in
modo che raggiunga la retta t in B, deve essere anche lui a “metà strada” esatta (il tempo di andata e ritorno DEVE essere uguale,
come detto prima). Ne consegue che quando la luce arriva in c deve essere trascorso lo stesso tempo che è servito ad A per
arrivare fino a O. Esso è ancora lo stesso tempo che O impiega per arrivare in B e che la luce di c impiega per arrivare fino a B. In
conclusione, il tempo dell’evento “c riceve e rinvia il segnale” e di quello “l’orologio di A arriva in O” devono essere identici.

La linea che congiunge due eventi che avvengono allo stesso tempo deve essere quella di simultaneità. Infatti, essa è proprio
definita come il luogo degli eventi che avvengono alla stessa ora. Nel sistema di riferimento usato, la linea di simultaneità è proprio
l’asse x, perpendicolare all’asse dei tempi.

Questa costruzione è più che infantile e non c’era certo bisogno di spiegarla così dettagliatamente. Tuttavia, ci serve per utilizzarla
pari pari quando andiamo a considerare un sistema S’ che si muove rispetto a S. Dobbiamo utilizzare lo stesso e identico
procedimento! Tutto diventa ovvio e banale…

Prima di cominciare, ricordiamo, però, che la velocità della luce è la stessa in ogni sistema di riferimento e tale è anche la traiettoria
che descrive. Comunque si muova il sistema S’, la luce viaggia sempre a 45° rispetto agli assi del sistema S. Ricordiamo, anche,
che tutto ciò che andiamo a vedere e costruire viene riferito al sistema S, che si considera fermo.

Consideriamo il sistema S’ che si muove con una certa velocità rispetto a S. Come già abbiamo imparato, descrivendo lo
spaziotempo galileiano, nel sistema di S questo movimento si può raffigurare con una retta inclinata di un certo angolo rispetto a t.
L’angolo si lega direttamente alla velocità, dato che essa non è altro che uno spazio diviso un tempo.

Abbiamo perciò un nuovo asse del tempo, quello che scorre lungo la retta t’. Un oggetto fermo in questo sistema è costretto, come
faceva chi era fermo in S, a descrivere l’asse del tempo t’. Anche il viaggiatore di t’ ha i suoi orologi che segnano lo stesso tempo
di quelli lungo t, ma che tali non appaiono nel riferimento S che li vede rallentare. Questo problema l’abbiamo già discusso e ci
torneremo sopra passando alle formule relative. Per adesso, poco importa come scorra il tempo su t’. L’importante è che chi viaggia
lungo t’ misuri il suo tempo senza problemi.

Così come aveva fatto il viaggiatore di S, così quello di S’ accende la sua lampadina in A’, sicuro che tanti amici gli rimanderanno
indietro il segnale non appena ricevuto (Fig. 5). Anche lui misura accuratamente il tempo tra A’ e O e poi aspetta che passi un tempo
OB’ uguale ad A’O. In questo modo è sicuro che O sia il punto di mezzo del suo percorso. Analogamente a quanto fatto da S, è
interessato solo e soltanto all’amico di cui riceve il segnale di ritorno esattamente in B’.
Figura 5

Facendo lo stesso ragionamento del viaggiatore di S, anche S’ può essere sicuro che il tempo impiegato dalla luce per andare da A’
all’amico c’ è esattamente lo stesso impiegato dal segnale luminoso di ritorno per partire da c’ e arrivare in B’. Infatti, S’ è rimasto
fermo spazialmente nel suo sistema di riferimento e quindi non può essere cambiata la distanza spaziale da c’. Se è uguale la
distanza ed è uguale la velocità della luce, anche il tempo dell’andata deve essere uguale al tempo di ritorno. Non può che
concludere che l’evento c’ che rimanda il segnale è simultaneo all’evento del passaggio di S’ da O. La retta di simultaneità deve
essere, quindi, quella che congiunge O con c’. (Fig. 6).

Figura 6

Notate che il punto fondamentale è proprio quello di aver considerato, in qualsiasi sistema di riferimento, sempre uguale la
traiettoria della luce, inclinata di 45° rispetto a t e x. Il sistema S’ ha svolto il suo compito che è perfettamente identico da quello che
ha fatto S. Tuttavia, dato che questo “lavoro” lo vediamo nel sistema di S, le linee di S’ subiscono una trasformazione (che è poi
quella di Lorentz!). Tanto t’ si avvicina alla traiettoria della luce, tanto fa anche l’asse x’.

E’ facilissimo dimostrarlo graficamente usando la Fig. 7.


Figura 7

I triangoli A’c’B’ e OHB’ sono rettangoli simili, per cui deve valere:

A’B’/OB’ = B’c’/B’H

Ma

A’B’/OB’ = 2 per costruzione.

Deve quindi anche essere:

B’c’/B’H = 2

Ossia H è il punto di mezzo tra B’ e c’. Ne segue che gli angoli formati da OH con t’ e con x’ devono essere uguali.

La trasformazione di Lorentz trasforma un sistema ortogonale in un sistema non ortogonale. Lo stabiliremo, ovviamente,
anche per via matematica e rigorosa.

La simmetria della trasformazione è immediatamente confermata, come mostra la Fig. 8.

Figura 8

Basta fare assumere a S’ il ruolo di S. E’ lui adesso a muoversi verticalmente e la sua linea di simultaneità x’ diventa ortogonale a t’.
Rispetto a lui, il sistema S si muove lungo una traiettoria diretta verso sinistra, inclinata dello stesso angolo che t’ sottendeva rispetto
a t. la velocità è solo cambiata di segno. S compie un lavoro identico a quello compiuto da S’ e trova la sua linea di simultaneità. Il
sistema S si trasforma in un sistema non ortogonale perfettamente simmetrico a quello che prima era S’.

Siamo riusciti a trasformare graficamente gli assi x e t di un sistema S fermo, negli assi x' e t' di un sistema in movimento rispetto a
S, ossia S'. In altre parole, abbiamo applicato la trasformazione di Lorentz. Nello stesso spaziotempo abbiamo rappresentato un
sistema che si muove rispetto a un sistema considerato fermo. Questo diagramma deve mostrare, per definizione, tutte le
conseguenze della RR.

Il signor Lorentz si arrabbia

Abbiamo disegnato le rette che individuano l’asse dei tempi t’ e quello di simultaneità x’ attraverso alcuni ragionamenti legati alla
costanza della velocità della luce. Tuttavia, il signor Lorentz mi ha scritto in privato, dicendomi che è alquanto arrabbiato.

Il suo messaggio, in sintesi, dice: “Ho fatto tanta fatica a dimostrare come la mia trasformazione possa servire perfettamente a
scrivere la relatività ristretta al signor Einstein; ho fatto altrettanta fatica a far capire al signor Minkowski come l’applicazione
puramente geometrica della mia trasformazione possa servire a disegnare tutti i concetti della relatività ristretta in un solo grafico.
Ebbene, cosa ho ottenuto nel vostro insignificante circolo? Una costruzione geometrica alquanto farraginosa in cui avete dovuto
scomodare un sacco di eventi sparsi nello spaziotempo. Sono abbastanza deluso!”
Che dire? Ha perfettamente ragione… Abbiamo giocato un po’ con l’invio di segnali luminosi che vanno avanti e indietro e abbiamo
messo da parte le formule della trasformazione di Lorentz che avrebbero semplificato il tutto. Abbiamo introdotto la matematica e lo
studio di funzioni proprio per applicarla al momento giusto e poi…. le lasciamo da parte quando potrebbero aiutarci! Senza tener
conto che, se avessimo continuato a non ricordarci della trasformazione del “nervoso” signor Lorentz, avremmo incontrato, tra non
molto, ben altre difficoltà nel trovare l’unità di misura comune a tutti i sistemi di riferimento in movimento rispetto a quello preso come
base del grafico.

Non ci resta che chiedergli scusa e porre rimedio. Ne viene fuori un nuovo piccolo quiz, più tecnico e meno empirico, di facilità
estrema…

Per introdurlo al meglio, basta che andiamo a recuperare quanto scritto dopo aver ricavato la trasformazione di Lorentz. Avevamo
trasformato il tempo in una coordinata uguale a una lunghezza spaziale. Era bastato introdurre la coordinata T = ct per avere un
tempo misurato in metri o una distanza misurata in secondi (a vostra scelta). In ogni modo, e con qualche banale passaggio
matematico, avevamo ottenuto una versione della trasformazione di Lorentz veramente simmetrica, che riporto di seguito:

x’ = γ(x – βT)

y’ = y

z’= z

T’ = γ(T – βx)

A questo punto possiamo dimenticarci di y e z dato che non subiscono modificazioni e limitarci a uno spazio tempo piano, in cui le
uniche due coordinate sono T e x (e T’ e x’). Sostituendo anche γ con il suo valore in funzione di β, si ha soltanto:

x’ = (x – βT)/(1 – β2)1/2

T’ = (T – βx)/(1 – β2)1/2

Bene, cosa ci dicono queste relazioni? Che il tempo e lo spazio sono strettamente collegati tra loro (Einstein ci perdoni se lo …
copiamo, e Galileo e Newton non si offendano se li smentiamo).

Non solo, però. Ci dicono subito quali sono i nuovi assi T’ e x’ e come si possano immediatamente disegnare nello
spaziotempo di riferimento (T,x), proprio ciò che avevamo ottenuto precedentemente in modo puramente grafico.

Basta ricordarci come si definiscono due assi come T’ e x’ e la soluzione è immediata. Vi chiedo quindi di ricavare in modo
analitico i due nuovi assi e determinare l’angolo che definisce la loro inclinazione, in funzione del solo parametro fisico che
contraddistingue il sistema S’ rispetto a S.

Anche la linea percorsa dalla luce diventerà ovvia… Insomma, un banale esercizio di studio di funzione, ma una funzione veramente
ridicola!

Troviamo T' e x' per via analitica

Rispondendo al quiz stabiliamo il vero inizio del diagramma di Minkowski. Tutto ciò che seguirà è una conseguenza del nuovo
sistema di coordinate.

Essendo una trasformazione di coordinate, essa deve dare luogo a un nuovo sistema di coordinate x’ e t’. Scusate la ripetizione, ma
il concetto è fondamentale. Teoricamente potremmo non sapere “cosa” siano i nuovi assi, anche delle linee qualsiasi. Tuttavia,
possiamo già anticipare che devono essere delle rette, dato che avevamo dimostrato che la trasformazione di Lorentz deve essere
lineare, ossia di primo grado.

Riscriviamo ancora la trasformazione di Lorentz (escludendo y e z) e, per poter lavorare sempre con lunghezze, introduciamo la
coordinata T = ct al posto di t, come già ampiamente descritto precedentemente. Il significato di tempo perde molto del suo carattere
“diverso”, dato che diventa del tutto uguale alla coordinata spaziale x e come lei può essere trattata e misurata.

Le due equazioni sono:

x’ = γ(x – βT) = (x – βT) /(1 – β2)1/2

T’ = γ(T – βx) = (T – βx) /(1 – β2)1/2

Esse ci dicono che se un evento ha coordinate x e T, in un certo sistema di riferimento, esso ha coordinate x’ e T’ in un altro sistema,
in movimento rispetto al primo con velocità v. Ricordiamo anche che β è uguale al rapporto tra la velocità del sistema e la velocità
costante della luce c. Ripetiamo, anche, che in tale sistema di unità, la velocità di un corpo è il rapporto fra uno spostamento (in
metri) e il tempo (anch’esso espresso in metri), ossia non è altro che il parametro adimensionale β.

L'abbiamo dimostrato facilmente con la semplice relazione:

v = ds/dT =ds/(cdt ) = (1/c) ds/dt = v/c = β.

Per come è stato costruito, risulta chiaro che la velocità della luce in questo sistema di coordinate assume un valore uguale a 1. Per
non cadere in confusione nello scrivere le formule, ci conviene, comunque, scrivere sempre c, anche se sappiamo che il suo valore
è unitario.

Torniamo alla nostra trasformazione che deve regalarci immediatamente le equazioni dei nuovi due assi x’ e T’ nel sistema di
riferimento x e T. E’ questo ciò che vogliamo! Ossia, vogliamo disegnare il sistema di assi x’ e T’ nel diagramma di partenza, che
ha coordinate x e T. Ne segue che dobbiamo trovare una T = g(x) e una T = f(x) che descrivano i due nuovi assi x’ e T’.

Per ottenere il risultato voluto dobbiamo ricordare molto bene il significato di una asse di un sistema di riferimento. Il primo asse è il
luogo dei punti per i quali la seconda coordinata è uguale a zero. Il secondo asse è il luogo dei punti per i quali la prima
coordinata è uguale a zero.

Facciamo un esempio esplicativo, utilizzando il ben noto sistema cartesiano ortogonale definito da x e y riportato in Fig. 9.

Figura 9

Cosa rappresenta l’asse x? proprio ciò che ho appena detto: il luogo dei punti del piano per cui la y è zero. In altre parole, l’asse x
può essere scritto analiticamente come:

y=0

Cosa rappresenta, invece, l’asse y? Banale! Il luogo dei punti del piano per cui la x è uguale a zero. In termini matematici:

x=0

Queste sono le equazioni dei due assi. Una retta passante per l’origine ha equazione:

y = mx = x tan α

Facciamo allora la stessa cosa per determinare le equazioni degli assi x’ e T’ nel sistema x e T.

Come possiamo definire l’asse T’. Facile… il luogo dei punti che hanno x’ = 0. Ma cosa significa porre x’ = 0 nella trasformazione
di Lorentz?

x’ = (x – βT)/(1 – β2)1/2 = 0

Escludendo, per adesso, il caso in cui β = 1, che porterebbe il denominatore a zero, la relazione precedente diventa:

x’ = x – βT = 0

In semplici parole, dire che la x’ è uguale a zero (ossia descrivere l’asse T’) vuole anche dire:

x – βT = 0

o, anche:

T = (1/β) x

Questa non è altro che l’equazione di una retta con coefficiente angolare c/v. Essa descrive il nuovo asse T’ nel sistema di
riferimento (x,T).

Dire che il coefficiente angolare è uguale a c/v, vuole anche dire che l’angolo α che la retta forma con l’asse x è tale che:

tan α = c/v

L’asse T’ non può quindi descrivere qualsiasi retta. Per α = 90°, abbiamo che c/v = ∞, ossia v = 0. L’asse T’coincide con l’asse T.
D’altra parte la faccenda è ovvia, dato che se v = 0 il nuovo sistema non si muove e quindi non subisce nessuna trasformazione!

Per α = 45°, la retta diventa T = x, ossia v = c. Questo è il massimo valore che può raggiungere la velocità v e non è ammissibile
avere angoli minori di 45° che vorrebbero dire velocità v maggiori di c.

Cerchiamo, adesso, l’asse x’. Esso deve essere definito, ponendo:


T’ = (T – βx)/(1 – β2)1/2 = 0

Ossia

T – βx = 0

E, ancora:

T = βx

Anche questa è una retta nel sistema x,T e ha coefficiente angolare β = v/c, ossia:

tan ϑ = v/c

Questa retta diventa l’asse delle x (T = 0) per v/c = 0 ossia per v = 0. Per v/c = 1 (valore limite) essa diventa nuovamente T = x, ossia
coincide con l’asse delle T’.

In generale, abbiamo trovato che:

tan α = c/v

tan ϑ = v/c

ossia:

tan α = 1/tan ϑ

ricordando che, per un angolo qualsiasi φ, vale la relazione:

tan (90 – φ) = 1/tan φ

Possiamo concludere che:

α = 90 – ϑ

Le due rette T’ e x’ sono, perciò, inclinate dello stesso angolo ϑ rispetto all’asse delle T e delle x, rispettivamente. Esse
coincidono per ϑ = 45°, ossia per v =c.

Più di tante parole, vale la Fig. 10 che mostra i due nuovi assi T’ e x’ ottenuti attraverso la trasformazione di Lorentz e disegnati nel
sistema considerato fermo (T, x).

Figura 10

Ripetiamo, ancora, quanto trovato: la trasformazione di Lorentz trasforma un sistema con assi ortogonali in un sistema con
assi non più ortogonali.

Ottenuto il nuovo sistema S’ (che è in movimento rispetto a S) è immediato definire le coordinate di un punto nel nuovo sistema. In
realtà, essendo ormai in uno spaziotempo a tutti gli effetti, il “punto” dovrebbe sempre essere indicato come “evento”. Se ogni tanto
ci “scapperà” il nome “punto”, ricordiamoci sempre del suo nuovo significato.

Come facevamo a determinare le coordinate di un punto P nel sistema x,y ? Si tracciava da P la parallela all’asse x e
l’intersezione con l’asse y ci dava l’ordinata y del punto P. Analogamente, si tracciava da P la parallela all’asse y e la sua
intersezione con l’asse x ci dava l’ascissa x. Lo abbiamo fatto centinaia di volte, quasi senza pensarci, come mostrato in Fig. 11.
Figura 11

Per determinare le coordinate di un evento P nel nuovo sistema S’, di assi x’ e T’, non ci resta che fare lo stesso. Dall’evento P si
traccia la parallela all’asse x’ e la sua intersezione con l’asse T’ ci dà il valore di T’. Analogamente, la parallela tracciata da P
all’asse T’ incontra l’asse x’ in x’. Un gioco da bambini, mostrato in Fig. 12. Nella stessa figura abbiamo anche inserito le
coordinate (T,x) dell’evento nel sistema S.

Figura 12

Sembrerebbe di avere concluso ben poco… ma pensiamo un attimo alle conseguenze che questa trasformazione ha causato
passando da un sistema a un altro o -ancor meglio- guardando dal primo sistema ciò che capita nel secondo. Non voglio anticipare
troppo, dato che toccheremo i vari punti con estrema calma. Tuttavia, cominciate a pensare al concetto di simultaneità. L’evento P è
simultaneo a tutti gli eventi posti sul segmento nero PT nel sistema S(T,x) ma è simultaneo a tutti gli eventi posti sul segmento blu
PT’ nel sistema S’(T’,x’). Già questo ci trasporta immediatamente al concetto di relatività della simultaneità…

Le unità di misura

Si potrebbe pensare che determinare le coordinate T’ e x’ di un certo evento P sia un gioco veramente banale, dato che non
dobbiamo fare altro che tracciare dall’evento le rette parallele all’asse x’ e all’asse T’. I punti in cui queste rette intersecano gli assi T’
e x’ sono le nuove coordinate. Sì, sì, tutto giusto… ma per misurare una coordinata bisogna conoscere l’unità di misura lungo
quell’asse. E noi non la sappiamo ancora, dato che non può certo essere uguale a quella con cui si misurava l’asse T e/o l’asse x. La
trasformazione di Lorentz non comprime soltanto gli assi verso la retta v = c (a 45°), ma DEVE anche cambiare l’unità di misura (le
vecchie e nuove coordinate sono strettamente legate tra di loro). Abbiamo davanti due strade per arrivare a un concetto
fondamentale del diagramma di Minkowski. Noi, per non farci mancare niente, le useremo tutte e due.

Stiamo molto attenti a ciò che andiamo a fare. Ogni passaggio sembra un’ovvia banalità, ma il risultato è invece del tutto inaspettato
o -quantomeno- ci introduce in uno spaziotempo che non è più euclideo. Seguiamo, quindi, i passaggi senza “snobbarli”
assolutamente, anche se cercheremo di essere ridondanti.

Torniamo al nostro sistema di riferimento ortogonale (x,y). In Fig. 13, prendiamo un punto P e cerchiamone le coordinate.
Facilissimo. Tracciamo da P la retta parallela all’asse delle y fino a che non incontri l’asse delle x. Otteniamo un punto Px. Utilizziamo
l’unità di misura che avevamo già predisposto e confrontiamola con la distanza OPx.
Figura 13

Questo procedimento ci fornisce l’ascissa xP del punto P che coincide proprio con OPx. Diciamo la stessa cosa con altre parole. Se
chiamiamo xP questa ascissa, la retta che abbiamo tracciato da P ha equazione:

x = x P = cost

Essa descrive il luogo dei punti che hanno ascissa costante, qualsiasi sia il valore di y. L’intersezione con l’asse x è il punto Px che
ha coordinate (xP,0). Se, il punto scelto avesse coordinate P(1,yP) la sua ascissa fornirebbe l'unità di misura dell'asse x. Stesso
procedimento per ricavare l’ordinata y e la sua unità di misura.

Risulta ovvio che il punto P(1,1) sta sulla retta a 45°…

No, non picchiatemi per la serie di frasi trite e ritrite che sembrano adatte per bambini delle elementari. Le ho scritte, perché, adesso,
le useremo pari pari per determinare l’unità di misura degli assi x’ e T’…

Disegniamo in Fig. 14, il nuovo sistema in movimento (x’,T’) nel piano definito da (x,T).

Figura 14

Per averlo potuto disegnare, vuol dire che conosciamo (ossia abbiamo scelto) sia β che γ, che sono, quindi costanti per il sistema
considerato. Consideriamo un evento P qualsiasi di coordinate (x,T). Cosa dobbiamo fare per trovare la coordinata T’ ? Lo sappiamo
molto bene: tracciare da P la retta parallela all’asse x’ fino a che incontri l’asse T’ in PT’. La “distanza” OPT’ dovrebbe essere
confrontata con l’unità di misura dell’asse T’, come fatto precedentemente per gli assi cartesiani x,y. Noi, però, non conosciamo
l’unità di misura. Vediamo di determinarla.

Scriviamo l’equazione della retta parallela all’asse x’, passante per P. Essa si ricava dalla relazione di Lorentz:

T’ = γ(T – βx) = cost

Essa è analoga alla x = xP = cost, scritta per il sistema (x,y), dove la costante è adesso la distanza OPT’ .

Ricaviamo T:
T = βx + T’/γ (con T’/γ = costante)

Questa è l’equazione di una retta passante per P descritta nel sistema di coordinate (x,y) che è quello che usiamo come riferimento.
Come volevamo trovare, essa è una retta parallela all’asse x’, la cui equazione era (ricordate?):

T = βx

Per costruire l’unità di misura lungo T’ ci basta imporre che T’ = 1. L’equazione della retta diventa:

T = βx + 1/γ

A questo punto basta portare la retta fino a intersecare l’asse T, su cui abbiamo già impostato l’unità di misura. Questa retta è
definita da x = 0 e quindi otteniamo:

T = 1/γ

Ma γ è una quantità nota e quindi è noto il valore di T. Questo valore è quindi misurabile facilmente sull’asse T. La strategia, allora, è
molto chiara:

Dato un certo valore di γ (e quindi di v/c) è immediato segnare sull’asse T il punto che corrisponde all’unita di misura dell’asse T’.
Per ottenere quest’ultimo basta tracciare dal punto (1/γ,0) la parallela all’asse x’. Dove essa incontra l’asse T’ si ha l’unità di
misura dell’asse T’.

Sì, lo so, l’ho fatta lunga e potevo cavarmela con una semplice frase. Tuttavia, seguendo questo ragionamento elementare, penso
che si riesca a comprendere perfettamente la deformazione dell’unità di misura.

La stessa identica cosa si può fare per determinare l’unità di misura sull’asse delle x’. Chi ha voglia, può cercare di ricavarla da
solo. Di seguito, comunque, vi è la soluzione…

x’ = γ(x – βT) = cost

Ricavando nuovamente T (dobbiamo sempre scrivere una retta nel sistema T,x)

x' = γx – γβT

γβT = γx – x’

T = x/β – x’/γβ (con x’/γβ = costante)

Questa è l’equazione di una retta passante per P descritta nel sistema di coordinate (x,T), che è quello che usiamo come riferimento.
Come volevamo trovare, essa è una retta parallela all’asse T’, la cui equazione era (ricordate?):

T = x/β

Per costruire l’unità di misura lungo x’ ci basta imporre che x’ = 1. L’equazione della retta diventa:

T = x/β - 1/β γ

A questo punto basta portare la retta fino a intersecare l’asse x, su cui abbiamo già impostato l’unità di misura. Questa retta è definita
da T = 0 e quindi otteniamo:

x/β - 1/β γ = 0

E ancora:

x = 1/γ

Ma γ è una quantità nota e quindi è noto il valore di x. Questo valore è quindi misurabile facilmente sull’asse x. La strategia, allora, è
molto chiara:

Dato un certo valore di γ (e quindi di v/c) è immediato segnare sull’asse x il punto di ascissa 1/γ che corrisponde all’unita di misura
dell’asse x’. Per ottenere quest’ultimo basta tracciare dal punto sull’asse x di ascissa 1/ γ la parallela all’asse T’. Dove essa incontra
l’asse x’ si ha l’unità di misura sull’asse x’.

Come vedete si ha una deformazione uguale a quella ottenuta per l’unità di misura di T’ (ho voluto usare le stesse parole della parte
precedente proprio per mostrare la similitudine).

Risulta ovvio che la retta che contiene il punto di coordinate T’ = 1 e x’ = 1 non può che essere la retta percorsa dalla luce.

Tuttavia, vale la pena anticipare un altro concetto molto importante: lo spaziotempo che sta “sotto” la retta che indica la traiettoria
della luce è uno spaziotempo molto particolare. Nessun evento che appartiene a questa parte di spaziotempo può avere una
qualsiasi connessione causale con l’evento O, origine degli assi. In poche parole, nessun evento può essere una conseguenza
dell’evento O.

Non andiamo oltre, ma chi vuol pensare può già capire cosa intendo dire… lo spaziotempo di Minkowski non si limita solo a
rappresentare la trasformazione di Lorentz, ma serve, soprattutto, a definire l’intero Universo relativistico (escludendo sempre
l’azione della gravità). Quest’ultima frase non vi faccia pensare che sia un esercizio puramente matematico e non realistico. La
relatività ristretta può essere applicata un po’ ovunque nell’Universo e viene soppiantata dalla relatività generale solo in prossimità di
grandi masse.
La figura che abbiamo riportato precedentemente non si è curata di calcolare esattamente i rapporti tra l’unità nel sistema (x,T) e
quella del sistema (x’,T’). Vale, però, il risultato generale che 1/γ < 1, sempre. Ma vale anche il risultato che l’unità rossa (su (x’,T’))
è più “lunga” dell’unita nera (su (x,T)), sempre. Per capire ancora meglio ciò che abbiamo ottenuto finora, costruiremo tra poco gli
assi e le relative unità di misura per vari valori di β = v/c. Ne vedremo delle belle e lo spaziotempo apparirà -finalmente- come spazio
non euclideo!

Unità di misura diverse per diverse velocità

L’esercizio da compiere è disegnare nel sistema S il sistema di coordinate S’(x’,T’) per una serie di velocità e determinare
sugli assi x’ e T’ l’unità di misura corrispondente. Una pura e semplice applicazione di quanto descritto nell’articolo precedente.

Scegliamo cinque velocità v e vediamo come si opera nel diagramma di Minkowski utilizzando la trasformazione di Lorentz.

β = v/c = 0.2

S’ si sta muovendo rispetto a S con una velocità che è pari a 2/10 della velocità della luce

Disegniamo gli assi T’ e x’ attraverso gli angoli α e ϑ che gli assi formano con l’asse x.

tan α = 1/β = 5.0

α = 79°

ϑ = 90 – α = 11°

Calcoliamo l’unità di misura su T’

γ = 1/(1 – β2)1/2 = 1.02

1/γ = 0.98

Questo valore rappresenta la T corrispondente al valore T’ = 1. In altre parole, per calcolare la “lunghezza” pari all’unità sull’asse T’
nel sistema S’, basta partire da un valore di T = 1/ γ sull’asse T e intersecare l’asse T’ con una retta parallela a x’. Il punto
intersezione P’(0,1) permette di calcolare la distanza unitaria sull’asse T’, che corrisponde al segmento OP’. La distanza unitaria
lungo un asse del tempo (misurata con un solo orologio) rappresenta il tempo proprio del sistema S’. Esso, infatti, indica il tempo
trascorso (misurato in metri) perché l’orologio “fermo” rispetto a S’ descriva il tragitto OP’ lungo l’asse T’. In realtà, l’orologio non si
muove, ma solo le sue … lancette!

Lo stesso procedimento può essere adottato per trovare l’unità di misura lungo l’asse x’. Si parte da x con il valore 1/γ e si interseca
l’asse x’ con una retta parallela a T’. Il punto Q’(1,0) permette di calcolare la distanza unitaria sull’asse x’, che corrisponde al
segmento OQ’.

Tracciando le rette vi accorgerete subito che è inutile rifare il calcolo per la x’. Basta, infatti prolungare la retta che passa da 1/γ e da
P’ (parallela all’asse x’) fino a incontrare la retta a 45° (v = c). Da quel punto si traccia la parallela a T’ e il punto d’incontro con x’
determina il segmento OQ’ che rappresenta l’unità dell’asse x’ (distanza propria).

Quanto fatto è rappresentato nella Fig. 15.

Figura 15

Attenzione! Non cerchiamo di confrontare le “misure” dei segmenti del piano di Minkowski come fossero segmenti euclidei. Ogni
asse ha una sua unità di misura e le distanze non si conservano. Vedremo molto meglio questo concetto in seguito…

β = v/c = 0.4
tan α = 2.5

α = 68°

ϑ = 22°

1/γ = 0.92

Si esegue un disegno (Fig. 16) con le stesse modalità di prima e si ottengono le due nuove unità di misura che segniamo attraverso i
due nuovi punti P’ e Q’. D’ora in poi non riportiamo più le figure ottenute caso e per caso, ma segniamo attentamente i due punti
finali P’ e Q’.

Figura 16

β = v/c = 0.6

tan α = 1.67

α = 59°

ϑ = 31°

1/γ = 0.80

β = v/c = 0.8

tan α = 1.25

α = 51°

ϑ = 39°

1/γ = 0.60

β = v/c = 0.9

tan α = 1.11

α = 48°

ϑ = 42°

1/γ = 0.44

A questi cinque casi particolari, ne possiamo aggiungere due ancora più particolari.

β = v/c = 0.0

α = 90°

ϑ = 0°

1/γ = 1

β = v/c = 1.0

α = 45°
ϑ = 45°

1/γ = 0

Con tutte le conseguenze del caso… Per v/c = 0, le unità di misura sono proprio quelle dell’asse T e x. Per v/c = 1, gli assi T’ e x’
coincidono con la retta percorsa dalla luce e l’unità di misura diventa… infinita.

Siamo ormai vicinissimi alla conclusione di questo approccio “empirico”. Basta segnare nello spaziotempo (T,x) i vari Punti P’ e Q’
trovati, nella Fig. 17. I luoghi di questi punti (ossia quelli che descrivono le unità di misura per le varie velocità) non sono altro che
due curve che hanno il vertice nei punti P’,Q’, P” e Q” (questi ultimi due ottenuti con valori negativi di T’ e x’ – notate come il “tempo”
T’ sia ormai diventato una lunghezza a tutti gli effetti) e che hanno le due linee della luce come asintoti.

Figura 17

Non è difficile dimostrare che esse sono iperboli equilatere…

Ripetiamo lo strano risultato trovato: una distanza unitaria, che normalmente siamo abituati a definire come una costante, varia in
funzione della velocità che si imposta e descrive una curva che è tutto meno che qualcosa che mantenga la distanza “classica”.
Potrei dire, in modo un po’ misterioso, che il nostro “cerchio” si è aperto, diventando un’iperbole…

Il cerchio si apre: l'invariante spaziotemporale

Facciamo un passo indietro e torniamo al nostro spazio normale descrivibile attraverso i punti che abbiano coordinate x,y,z in un
sistema cartesiano ortogonale. Per rimanere in una situazione simile a quella del diagramma di Minkowski, riduciamolo a un piano di
coordinate x e y (insomma, spostiamoci su Flatlandia). In questo piano consideriamo due punti qualsiasi di coordinate P1(x1,y1) e
P2(x2,y2). Non spaventa nessuno calcolare la distanza tra questi due punti. Ci viene in soccorso il teorema di Pitagora, che ci dice:

d2 = (x2 - x1)2 + (y2 - y1)2

Se, adesso cambiassimo (Fig. 18) il sistema di riferimento (ad esempio x’,y’) i due punti cambierebbero entrambi di coordinate e
diventerebbero P1(x’1,y’1) e P2 (x’2,y’2).
Figura 18

La loro distanza potrebbe essere nuovamente calcolata con il teorema di Pitagora nel nuovo sistema di riferimento, ma troveremmo,
senza ombra di dubbio, che:

d’2 = (x’2 - x’1)2 + (y’2 - y’1)2 = (x2 - x1)2 + (y2 - y1)2 = d2

Potremmo provare a calcolare la distanza eseguendo tutte le trasformazioni di assi cartesiani, ma troveremmo sempre che la
distanza rimane immutata. Possiamo concludere che essa è invariante rispetto al sistema di riferimento. Questo è ciò che capita
in uno spazio euclideo (chi avesse voglia, tanto per richiamare un po’ di matematica e geometria, potrebbe dimostrare la relazione
precedente…).

Divertiamoci ancora un po’ con questo invariante. Abbiamo ribadito che la distanza non dipende dal sistema di riferimento, per cui
possiamo considerare in un certo sistema un punto O e una distanza R. Da quanto sappiamo, nel piano euclideo, possiamo
disegnare senza problemi, in Fig. 19, il luogo dei punti che hanno la stessa distanza R dal punto O.

Figura 19

Ciò che viene fuori lo conosciamo molto bene! Non è altro che una circonferenza di centro O e di raggio R. Il piano euclideo
permette tante bellissime rappresentazioni. Questa è la più semplice, ma ne esistono molte altre che ben conosciamo, come le
coniche in genere e tante altre curve.

Studiamo ancora meglio la nostra circonferenza costruita come luogo di punti. Immaginiamo che il raggio sia una distanza unitaria,
ossia sia l’unità di misura. Ne segue che qualsiasi rotazione del sistema di riferimento ammette sempre la stessa unità di misura.

Un discorso analogo lo abbiamo appena fatto per il diagramma di Minkowski. In modo un po’ empirico, ci siamo costruiti il luogo dei
punti che mantiene la stessa unità di misura, attuando la trasformazione di Lorentz per diversi valori della velocità v. Abbiamo
trovato una circonferenza? Nemmeno per sogno. Abbiamo costruito una doppia iperbole equilatera con asintoti nelle rette con v =
c. C’è qualcosa che non va… o -quantomeno- siamo costretti a dire che il piano spaziotempo di Minkowski non può essere
euclideo, altrimenti avremmo dovuto trovare una circonferenza. Da qui non si scappa.

In altre parole, siamo stati capaci di trovare una “distanza” che rimane sempre uguale a se stessa (uguale a “1”, per esempio), ma
che descrive una curva ben diversa dalla circonferenza. Una distanza che nel nostro modo di vedere “classico” ci appare variabile
da caso a caso, ma che nello spaziotempo di Minkowski è costante.

Una distanza che non può avere niente a che fare con la distanza dello spazio euclideo. Non ci vuole molto a dimostrarlo,
considerando le equazioni che descrivono la trasformazione di Lorentz. Se calcoliamo la distanza “euclidea” (attraverso il teorema di
Pitagora) nel sistema S(T,x) e nel sistema S’(T’,x’) troveremmo due grandezze completamente diverse.

In parole matematiche:

T2 + x 2 ≠ T’2 + x’2

Un risultato questo che conosciamo già benissimo dato che abbiamo dimostrato che un asta rigida cambia la propria lunghezza a
seconda del riferimento usato (contrazione di Lorentz).

Possiamo, perciò, ribadire un paio di concetti già definiti molte volte: la trasformazione di Lorentz trasforma un sistema ortogonale in
un sistema non ortogonale e l’unità di misura è variabile da sistema a sistema. Tuttavia, questa unità di misura rimane costante nello
spazio non euclideo di Minkowski. Ciò che nel piano ortogonale “classico” ci sembra variabile, nel piano trasformato non euclideo di
Minkowski è costante. Proprio questo tipo di trasformazione causa le ben note dilatazione dei tempi e contrazione delle lunghezze.
D’altra parte, abbiamo visto che questa trasformazione si può ricavare considerando soltanto la relatività della simultaneità. Tutto
torna sempre al punto di partenza. Se rileggete i capitoli precedenti, trovate, infatti, che siamo riusciti a costruire gli assi trasformati e
le loro unità di misura, utilizzando solo il concetto di simultaneità relativa.

Abbiamo dedotto che la distanza euclidea NON si mantiene nel diagramma di Minkowski. In altre parole, la distanza calcolata con il
teorema di Pitagora, non è un’invariante nello spaziotempo. Tuttavia, siamo riusciti a trovare una curva che descrive il luogo dei
punti che mantengono una distanza spaziotemporale costante. Essa è l’iperbole che abbiamo ricavato precedentemente.

Ricordiamo ciò che avevamo già trovato dopo aver fatto conoscenza con l’orologio a luce:

c2 Δt’2 = c2Δt2 - Δx2

ossia:

ΔT’ 2 = ΔT2 – Δx2

O, partendo dall’origine:

T’2 = T2 – x2

Il primo membro non è altro che il tempo proprio misurato nel sistema S’. Ma il tempo proprio deve sempre essere lo stesso in
qualsiasi sistema di riferimento.

In realtà, T’ è un “intervallo”, dato che si è ottenuto moltiplicando il tempo per la velocità della luce ed è, quindi, diventato una
distanza a tutti gli effetti. Sarebbe più corretto dire che esso rappresenta la distanza percorsa dalla luce in un intervallo di tempo
proprio. Dimostriamo, comunque, che questo “intervallo” è invariante.

Si può dimostrare con pochi passaggi…

T’2 – x’2 = (T – βx)2/(1 – β2) – (x – βT)2/ (1 – β2) = (T2 + β2x 2 - 2βTx – x2 - β2T2 + 2βTx)/ (1 – β2) = (T2 + β2x 2– x2 - β2T2)/(1 – β2) =
(T2 (1 - β2) – x2 (1- β2))/(1 – β2) = T2 – x2

Il tempo proprio (l’intervallo di prima) è, quindi, una costante per qualsiasi sistema di riferimento. Se consideriamo come valore
costante proprio l’unità di misura, otteniamo la relazione.

T2 – x2 = 1

Essa descrive la curva luogo dei punti in cui il tempo proprio è uguale all’unità. Esattamente l’equivalente, nel piano x,T della
circonferenza nel piano x,y. Tale curva, nel piano x,T rappresenta, quindi, il luogo dei punti con distanza temporale unitaria per
qualsiasi sistema in movimento. Proprio ciò che avevamo trovato per via empirica.

L’equazione precedente è quella di un’iperbole equilatera che ha asintoti nelle rette y = x e y = -x. Se volete saperne di più,
basta che andiate a vedere nel capitolo relativo all’iperbole come “conica” nelle lezioni di matematica.

Inoltre, essa taglia l’asse T proprio nel punto T = 1. Basta, infatti, porre x = 0 e si determina che T = 1. Questa curva ci regala l’unità
di misura in tutti i sistemi S’ di coordinate T’ e x’. Infatti, abbiamo appena dimostrato che:

T2 – x2 = T’2 – x’2 = 1

E, quindi, per x’ = 0, avremo anche che T’ = 1.

In parole molto povere, l’intersezione dell’iperbole sopra descritta con qualsiasi asse T’ (relativo a un sistema S’ in movimento
rispetto a S), che ha come equazione T = x/β, indica l’evento che ha la stessa unità temporale rispetto a O. In pratica: l’iperbole con
la costante uguale a 1 ci dice dove risiedono i punti (eventi) che hanno la stessa “distanza” uguale a 1 rispetto a O. Scegliendo una
velocità v di spostamento di S’ otteniamo un asse T’. Il punto (o meglio l’evento) dove esso interseca l’iperbole ci regala l’unità di
misura sull’asse T’.

Non è quindi difficile comprendere perché le iperboli ottenute per vari valori della costante (1,2, 3,…) sono dette curve di
calibrazione. E’ estremamente interessante riassumere quanto detto finora, utilizzando proprio la figura disegnata da Minkowski,
riportata nella Fig. 20. Potete anche notare come l’asse trasformato x’ (quello di simultaneità) risulta tangente alla curva di
calibrazione nel punto intersezione prima costruito. Nella figura leggete t e t’ e non T e T’. Ma le cose non cambiano, dato che si
vede un 1/c che nel caso di T = ct, diventa proprio 1/1 = 1.
Figura 20

Cerchiamo, adesso, di fare attenzione e di non confonderci… I sistemi di riferimento che viaggiano con velocità v rispetto a quello
“fermo” subiscono una trasformazione che rende i loro assi non ortogonali e tali che l’invariante non è più la distanza pitagorica ma
qualcosa di diverso, ossia il tempo proprio o, meglio, la distanza percorsa dalla luce nell’intervallo di tempo proprio. Esso è anche
l’unità di misura dell’asse T’ di questi sistemi in moto e rimane, quindi, sempre uguale a 1. Tuttavia, variando v, essa appare diversa
se paragonata a quella del sistema fermo S. Ne segue che è estremamente interessante calcolare il fattore di variazione dell’unità di
misura rispetto a quella del sistema fermo, che è ortogonale per definizione (non ha subito nessuna trasformazione). Su di lui vale
ancora il teorema di Pitagora…

Passiamo al calcolo e i dubbi spariscono velocemente.

Consideriamo la Fig. 21, che è poi quella di Minkowski. Ciò che vogliamo calcolare è il rapporto, misurato nel sistema fermo S, tra la
lunghezza dell’unita di misura del sistema S’ e quella del sistema fermo S. L’unità di misura di T’ non è altro che l’intersezione tra la
retta T’ (ossia T = x/β) e le curva di calibrazione con la costante uguale a 1, ossia T2 – x2 = 1. Come vedete disegniamo tutto sul
piano x,T.

Figura 21

L'evento A’, intersezione tra T’ e la curva di calibrazione, è dato dal sistema

T2 – x2 = 1

T = x/β

Un sistema veramente banale che ci permette di ricavare velocemente il valore di T, ossia la coordinata di A’ nel sistema S.

Sostituendo la seconda equazione nella prima si ha:

x 2/β2 – x2 = 1

(x2 - β2x 2)/β2 = 1


x 2(1 - β2) = β2

x 2 = β2/(1 - β2)

x = β/(1 - β2)1/2

Sostituendo questo valore nella seconda equazione del sistema, abbiamo subito:

T = x/β = β/(β (1 - β2)1/2)

T = 1/(1 - β2)1/2

Queste sono le coordinate di A’ nel sistema ortogonale S.

Possiamo, quindi, calcolare la “distanza” A’O utilizzando il teorema di Pitagora (nel sistema (x,T) possiamo usarlo!):

OA’2 = x 2 + T2 = β2/(1 - β2) + 1/(1 - β2)

OA’ = ((1 + β2)/(1 - β2))1/2 > OA = 1

L’unità di misura di ogni sistema di riferimento in moto è maggiore dell’unità di misura del sistema “fermo” e subisce una dilatazione
che cresce con la velocità v. Possiamo dunque affermare che la trasformazione di Lorentz corrisponde a una rotazione degli assi e a
una dilatazione della unità di misura. E’ proprio questa dilatazione delle unità di misura la responsabile della contrazione delle
lunghezze e della dilatazione del tempo. Quest’ultima si vede già benissimo nella figura… ma non corriamo troppo. Ogni cosa a
tempo debito.

La costanza del tempo proprio rispetto al cambiamento degli assi, ci porta, però, alla definizione di qualcosa di ancora più generale:
la grandezza T2 – x2

Essa è invariante per tutto lo spazio di Minkowski e il suo significato può essere quello di una vera e propria “distanza”
spaziotemporale. Possiamo scriverla:

s2 = T2 – x2

Essa può assumere valori maggiori e minori di zero (non spaventatevi!). Il primo caso ci porta alla definizione del luogo dei punti
aventi lo stesso tempo proprio. Tuttavia, ponendo:

s 2 = T2 – x2 < 0

si entra nella zona che sta sotto alla retta descritta dalla luce (v = c). Ponendo:

T2 – x2 = - 1

Si costruisce l’altra iperbole, quella che determina l’unità di misura sull’asse delle x’.

Fermiamoci un attimo… Questa parte del diagramma di Minkowski ha un significato completamente differente da quella descritta
dall’iperbole precedente.

Basta riflettere sull’ultima formula scritta. Essa è in realtà il quadrato di un qualcosa (s). Malgrado ciò è stata posta uguale a meno 1.
E ciò sembrerebbe impossibile! Come fa un quadrato a essere negativo? Siamo entrati nel mondo dei numeri immaginari, ma non
reputo importante affrontarli, almeno in questo caso. Possiamo capire benissimo quali sono le conseguenze, studiando cosa capita
nelle varie zone del diagramma di Minkowski. In tal modo, esso diventerà qualcosa di ben più generale e descrittivo di una semplice
trasformazione di coordinate. Bisognerà, perciò, capire molto bene cosa s’intende per eventi, che tipi di eventi avvengono e come e
se possono essere connessi tra loro. Un discorso da fare con molta calma…

Per chi vuole cominciare a rifletterci sopra aggiungo questa frase molto esplicativa: “L’intervallo spaziotemporale (l'invariante) risulta
positivo o negativo a seconda che due eventi risultino più o meno vicini nello spazio quando vengono confrontati con lo spazio
percorso da un segnale luminoso”. Da ciò deriva il fatto che non tutti gli eventi possono realmente essere connessi tra loro… la
velocità della luce è una … severa maestra!

Ci torneremo, ci torneremo… abbiate pazienza. Tuttavia, abbiamo già in mano tutti i parametri per affrontare la dilatazione dei tempi
(immediata), la contrazione delle lunghezze (meno immediata) e il paradosso dei gemelli in modo essenzialmente grafico e molto più
completo di quanto fatto finora.

Divertiamoci un po’…

Il paradosso dei gemelli e Minkowski

Vi sono moltissimi modi per presentare, descrivere e risolvere il paradosso dei gemelli. Impostiamolo per quello che è, utilizzando un
approccio oltremodo intuitivo. Vi prego di non cercare di trarre affrettate conclusioni (sicuramente giuste) ma che sarebbe meglio
“toccare” al momento giusto e con la comprensione completa del diagramma di Minkowski.

Stabiliamo, per gradi, in cosa consiste veramente il paradosso. Abbiamo visto che il tempo per chi viaggia a grande velocità appare
scorrere più lentamente per un osservatore che sta fermo (o, meglio, che si considera fermo). Come al solito, immaginiamo che il
viaggiatore sia un astronauta e chi sta sulla Terra il suo gemello sedentario. Al momento di partire per le stelle essi devono perciò
avere la stessa età. Durante il volo, eseguito a velocità costante (sistema inerziale), il tempo del viaggiatore sembra, perciò, scorrere
al rallentatore rispetto a quello che viene misurato nel sistema terrestre.

Questo fatto non può certo meravigliarci dato che deriva direttamente dalla trasformazione di Lorentz e, di conseguenza, dalla
relatività della simultaneità. Già a questo punto nasce un problema che non si evidenzia mai abbastanza bene, nelle varie
trattazioni che si trovano un po’ ovunque. Quali sono veramente i due sistemi di riferimento? Si parla sempre di “chi sta sulla Terra” e
di “chi viaggia sull’astronave”, ma è bene definirli un po’ meglio. Ci aiuta la Fig. 22.

Figura 22

Mentre il viaggiatore (in rosso) rappresenta da solo il sistema di riferimento in moto S’ (non abbiamo bisogno di alti personaggi
solidali con lui), l’osservatore a Terra nel sistema S (in nero) ha bisogno di mettere al lavoro molti altri amici che riescano a
osservare ciò che capita al viaggiatore. Non facciamo, perciò, lo sbaglio di dire che è sempre lo stesso osservatore che vede il
viaggiatore. Ciò è impossibile, dato che la luce impiegherebbe un certo tempo per giungere fino a lui, complicando tutta la faccenda
(ne faremmo uso, in seguito, ma al momento evitiamo una possibile ulteriore confusione).

Interviene alla grande la definizione di sistema di riferimento. Esso è composto da infiniti osservatori, che si trovano in posizioni
diverse, ciascuno con il proprio orologio e distanziati attraverso un regolo unitario. Una struttura che si muove o che sta ferma (anche
se “star fermo” non ha un senso fisico) in modo solidale. Un sistema di riferimento va costruito molto bene, come avevamo fatto
all’inizio della descrizione della RR. Sono questi infiniti osservatori che possono verificare ciò che capita al viaggiatore che si muove
con velocità v e non certo solo il gemello sedentario. Questo fatto non va mai dimenticato.

Detto in parole che ormai conoscete molto bene, la vera differenza sta nel fatto che il viaggiatore (il sistema di riferimento in moto)
utilizza un solo orologio, il suo, mentre nel sistema fermo si è costretti a utilizzare molti orologi, ognuno coincidente con la
posizione raggiunta dal viaggiatore.

La Fig. 22 cerca di illustrare questa situazione. Il sistema S’ si muove rispetto al sistema S e durante il suo movimento basta un
unico orologio per scandire il tempo. In S, invece, devono essere utilizzati orologi diversi per effettuare il confronto. Si capisce molto
bene, quindi, che ricadiamo nuovamente nel problema della simultaneità che è relativa al sistema che si considera. E da questo
fatto si arriva facilmente, attraverso la trasformazione di Lorentz, a un tempo che appare scorrere più lentamente per l’orologio in
movimento rispetto a quello segnato dagli orologi degli osservatori fermi.

Nella Fig. 22 abbiamo inserito anche i due assi del tempo relativi ai due sistemi. Rispetto al tempo corrispondente agli orologi
dell’asse nero, che compiono un giro completo (loro sono comunque sincronizzati), l’orologio rosso compie solo un quarto di giro.
Questo è quello che conferma l’orologio posto in A quando vede passare il viaggiatore spaziale S’ con il suo orologio. Dato che
l’orologio della Terra T è sincronizzato con quello di A si dice, solitamente, che il gemello fermo in T vede scorrere più lentamente il
tempo del gemello sull’astronave. Il discorso è sicuramente valido, ma si rischia di perdere per strada il concetto di simultaneità che
deriva dall’uso di uno o di più orologi.

Anche se tutti gli orologi del sistema fisso sono stati sincronizzati, sappiamo ormai molto bene che essi appaiono NON sincronizzati
quando si assiste a un fenomeno che avviene su un sistema in movimento. Da ciò segue la relatività della simultaneità e la
dilatazione del tempo. Ripeto, nessuno sbaglia e gli orologi sono veramente sincronizzati nel sistema terrestre, ma essi appaiono
sfasati rispetto a quello del viaggiatore.

Scusate le continue ripetizioni, ma proprio in questo concetto sta il nocciolo vero di tutta la RR.

Finché tutto prosegue in questo modo, il rallentamento apparente continua e la dilatazione del tempo non smette assolutamente.
Tuttavia, basterebbe cambiare il sistema di riferimento dell’osservatore per ottenere lo stesso identico risultato. Non per niente la
trasformazione di Lorentz è perfettamente simmetrica. Se, infatti, fosse il viaggiatore a considerarsi fermo, egli sarebbe costretto ad
ammettere che è l’orologio terrestre a girare più lentamente. Questa volta, infatti, l’orologio della Terra (quello del gemello
sedentario) è più che sufficiente a descrivere il tempo del suo sistema che si muove solidalmente mentre scorre davanti
all’astronave. Il gemello dello spazio, invece, è costretto a utilizzare orologi solidali con il suo sistema, posti teoricamente lungo lo
spazio percorso dall’unico orologio del gemello terrestre. E’ adesso lui che si muove rispetto all’astronauta ed è il suo orologio che
sembra rallentare.

Il paradosso non è certo questo! La relatività speciale ci ha insegnato che la simultaneità e tutte le sue conseguenze sono relative al
sistema di riferimento usato per descriverle. Nessuno commette un errore, ma vede solo in modo diverso. I muoni ci hanno
insegnato che questa situazione, a prima vista assurda, non lo è per niente, dato che per entrambi i sistemi si ottiene lo stesso
processo fisico, in accordo con la relatività. Per uno si dilata il tempo, per l’altro si contare la lunghezza e tutto, alla fine, torna
perfettamente: il fenomeno fisico rimane inalterato.
Tuttavia, ricordiamolo ancora, se si vive in un sistema di riferimento le conseguenze della RR sono reali a tutti gli effetti. Se niente
cambia il movimento relativo, il “mondo” del viaggiatore spaziale e “quello” dell’osservatore stabile sulla Terra rimangono inalterati.
Ognuno vive la sua realtà e può anche misurarla facilmente.

Per avvicinarci ancora di più al paradosso dei gemelli, riprendiamo la Fig. 22 e trasformiamola nella Fig. 23. Sono solo cambiati gli
orologi! Invece di usare quelli “meccanici” o “atomici” vogliamo usare un orologio biologico: la crescita della barba. Essa si allunga
di una certa quantità in funzione del tempo. Se il tempo rallenta deve rallentare anche la sua crescita. Abbiamo preso la barba, ma
potevamo prendere il battito del cuore o qualsiasi altra funzione fondamentale del nostro corpo. Se ammettiamo che il cuore ha a
disposizione un certo numero N di battiti prima di farci addormentare per sempre, è ovvio che se rallenta il numero di battiti aumenta
il tempo necessario a raggiungere N. Insomma, si invecchia “veramente” di meno. La Fig. 23 è del tutto identica alla Fig. 22, anche
se adesso tutti gli amici del gemello sedentario si confrontano con la barba che cresce molto meno della loro e diventano sempre più
… tristi. Ancora una volta, il gemello sedentario non può confrontarsi direttamente con il gemello in volo. Lo può fare solo attraverso
la barba dei suoi amici che deve crescere esattamente come la sua (le barbe sono state… sincronizzate).

Figura 23

E’ inutile dire che se invertissimo i sistemi di riferimento sarebbe il gemello astronauta a vedere la sua barba crescere sempre di più.

Riflettendo su questi concetti e sulla loro origine non ci si deve sbalordire più di tanto dell’invecchiamento relativo, che è del tutto
simile alla dilatazione dei tempi relativa.

Insomma, alla fine si conclude che non c’è niente di male e niente di sconvolgente se sia il viaggiatore che l’osservatore terrestre
“vedano” la stessa cosa, ossia un loro invecchiamento precoce rispetto a chi si muove.

Queste considerazioni, che derivano direttamente dalla relatività della simultaneità (e non da un effettivo errore di sincronizzazione
degli orologi) ci fanno capire che non esiste nessun paradosso. Tutto è perfettamente spiegabile con la RR. In modo del tutto simile
alla favola del muone.

Il vero paradosso nasce quando il viaggiatore vuole confrontare il proprio orologio proprio con quello del fratello gemello sulla Terra
e non con uno dei tanti amici di quest’ultimo. Uno potrebbe dire che avendo continuato a viaggiare alla stessa velocità, anche se ha
invertito la direzione, dovrebbe rimanere sempre più giovane di chi è rimasto sulla Terra. Ma alla stessa conclusione si giunge
invertendo gli attori. Per il viaggiatore dovrebbe invecchiare di meno il gemello terrestre.

Fin qui non ci sarebbe nessun paradosso, anche se non vi sarebbe una vera soluzione. Quando s’incontrano cosa succede
veramente? Tornano alla stessa età? O cos’altro? Dato che nella RR tutto è perfettamente simmetrico, uno si potrebbe aspettare
che quando il viaggiatore torna al punto di partenza le differenze di tempo apparente si annullino in qualche modo.

E’ proprio a questo punto che nasce il paradosso, dato che quando i due gemelli s’incontrano è proprioil viaggiatore a essere
invecchiato di meno. Si è rotta la simmetria della RR? No, nemmeno per sogno, il vero motivo è che si è rotta l’inerzialità dei
sistemi di riferimento. Quello della Terra non ha mutato la sua velocità (o il suo star fermo, che è la stessa cosa), mentre l’astronauta
ha dovuto cambiar direzione. Sappiamo molto bene che anche solo cambiare direzione vuol dire introdurre un’accelerazione e tutta
la RR cade! La spiegazione sembra ovvia, anche se è un po’ come passare la castagna bollente al vicino… La RR non può
risolverlo e può pensarci la relatività generale che tratta proprio con le accelerazioni e che accetta la mancanza di simmetria.

Non pensiamo che sia un discorso veramente concluso. Ancora oggi si sta discutendo sulla necessità di passare realmente alla
relatività generale per superarlo. Sicuramente è più facile. Noi, però, dobbiamo ancora completare l’analisi della RR e non vogliamo
addentrarci nelle curvature dello spaziotempo (ogni cosa a suo … tempo). L’esercizio che cercheremo di fare è allora risolvere il
paradosso con la sola RR, tenendo, però, in conto che il sistema in movimento, pur rimanendo inerziale, ha cambiato direzione.
Assumeremo, però, che è mutata la direzione, ma non il modulo della velocità. Un’esperienza praticamente impossibile senza una
qualche forza che agisca sull’astronave, ma che si può ottenere, considerando trascurabili i pochi istanti necessari alla decelerazione
e all’accelerazione.

In altre parole, possiamo ricostruire perfettamente il viaggio di andata e ritorno solo attraverso la RR. La vera novità di questo
approccio, che utilizza il diagramma di Minkowski a piene mani, è quello di dimostrare che anche con la sola RR il risultato non è
simmetrico: il viaggiatore invecchia di meno e questo viene confermato sia dal sistema che viaggia sia dal sistema che è fermo!

Qualcuno potrebbe dirmi: “Non è assolutamente una novità. Tu stesso hai dimostrato in altri articoli che il cambiamento di direzione
comporta un’esauriente spiegazione della mancanza di simmetria finale”. Sì, avrebbe ragione… ma la vera novità è che questa volta
troveremo la medesima conclusione sia mettendoci nel sistema terrestre sia in quello del viaggiatore. L’importante è che i due
gemelli mantengano sempre un contatto “visivo” e facciano un po’ di conti.

E’ inutile continuare, dato che, per andare avanti, Minkowski non deve avere più segreti e deve anche essere introdotta la
composizione relativistica delle velocità.

Composizione relativistica della velocità

Il problema è:

Sia v la velocità con cui il sistema S’ si muove rispetto a S. Sia u’ la velocità con cui un punto P’ si sposta nel sistema S’. Vogliamo
sapere quanto vale la velocità u del punto P’ nel sistema S.

Come già detto, la relatività galileiana non avrebbe avuto problemi a scrivere:

u = u’ + v

Andiamo con ordine…

Come possiamo scrivere la velocità u’ nel sistema S’? Nessun problema, dato che stiamo lavorando in un sistema che può essere
considerato fermo come ormai sappiamo molto bene. Il significato di velocità è sempre lo stesso, per cui avremo:

u’ = Δx’/Δdt’

La cosa non cambia nemmeno se ci riferiamo al sistema S:

u = Δx/Δt

Ciò che veramente cambia è la relazione che esiste tra x e x’ e tra t e t’. Ci viene in aiuto la ormai ben nota trasformazione di
Lorentz. Scriviamola per un valore qualsiasi di x e di t

x = γ(x’+ βct’ ) = γ(x’+ vt’)

t = γ(t’ + βx’/c) = γ(t’+ vx’/c2)

Questa relazione vale per qualsiasi x e t e quindi si ha, per due qualsiasi valori x2, x1 e t2 e t1:

x 2 = γ(x2’+ vt2’)

x 1 = γ(x1’+ vt1’)

t2 = γ(t2’+ vx2’/c2)

t1 = γ(t1’+ vx1’/c2)

Indichiamo

Δx = x 2 – x1

Δt = t2 – t1

da cui

Δx = γ(Δx’ + vΔt’)

E, analogamente:

Δt = γ(Δt’ + vΔx’/c2)

E’ immediato allora scrivere la velocità u:

u = Δx/Δt = γ(Δx’ + vΔt’)/ γ(Δt’ + vΔx’/c2) = (Δx’ + vΔt’)/(Δt’ + vΔx’/c2)

Non ci resta, adesso, che dividere numeratore e denominatore per Δt’:

u = (Δx’/Δt’ + v)/(1 + vΔx’/Δt’c2)

ma, sappiamo che:

u’ = Δx’/Δdt’

Da cui:

u = (u’ + v)/(1 + vu’/c2)

Come al solito, è facilissimo ricavare u’ in funzione di u (basta inserire –v al posto di v)


u’ = (u - v)/(1 - vu/c2)

Non ci resta che provare che per v molto piccola si ritorna a Galileo…

Beh… nel denominatore si ha il rapporto v/c 2 che tende ovviamente a zero, da cui:

u = u’ + v

Controlliamo, anche, che valga sempre la costanza della velocità della luce. Sia, ad esempio, u’ = c (il famoso fotone lanciato nel
sistema S’). Si ottiene:

u = (c + v)/(1 + vc/c2) = (c + v)/(1 + v/c) = (c + v)/(c + v)/c = c

Anche nel sistema S il fotone viaggia alla velocità c, indipendentemente da quale sia la velocità relativa tra S e S’.

Lo stesso risultato lo otterremmo se imponessimo che anche v sia la velocità della luce (un esercizio che avevamo toccato nelle
discussioni sulla relatività della simultaneità… ricordate? Avevamo fatto viaggiare il treno a velocità c e avevamo acceso la
lampadina su di lui).

u = (c + c)/(1 + cc/c2) = 2c/2 = c

Come vedete ho ridotto al minimo le formule, ma, come sempre, la matematica permette di utilizzare approcci apparentemente
diversi che portano, comunque, allo stesso risultato fisico.

Bene, adesso siamo pronti ad affrontare il paradosso dei gemelli “in diretta" e mostrare senza bisogno della relatività generale che
sia il viaggiatore che il terrestre sono pienamente d’accordo su chi invecchia di meno.

Un consiglio: andatevi a rileggere i primi capitoli sul diagramma di Minkowski , dove si ricavano gli assi trasformati, le loro equazioni
e quelle che forniscono l’unità di misura… Ne avremo bisogno per fare un po’ di geometria analitica! Rette per un punto o poco di
più… (andate anche a rileggervi "tutto ciò che vorremmo sapere su una retta" QUI ).

Ah … dimenticavo! Ricordate di mettervi una bella tuta spaziale e di munirvi di un trasmettitore di segnali elettromagnetici per
scambiare informazioni con chi sta a terra… Le informazioni viaggeranno un po’ lentamente, ma sarete sicuri che la loro velocità di
propagazione sarà uguale per chi sta a terra e per chi sfida lo spazio! Ah… se non ci fosse stato Albert!

Manteniamo il contatto visivo e il paradosso si dissolve

Ho detto che i due gemelli possono fare a meno di conoscere la relatività ristretta e le sue formule per arrivare a un risultato
assolutamente non simmetrico (e questo non inficia assolutamente la RR). A loro basta mantenersi in contatto visivo o radio e
contare il numero di invii e di ricezioni dei segnali. In poche parole, sfruttano solo la costanza della velocità della luce. Noi, invece,
per costruire il disegno esplicativo dobbiamo conoscere bene ciò che capita nel diagramma di Minkowski e sfruttare la
trasformazione di Lorentz. Tuttavia, per far ciò, basta utilizzare solo e soltanto delle rette e le loro intersezioni: un gioco da ragazzi!

Una parola in più sulla simmetria che non si mantiene. Sappiamo benissimo che ogni formula della RR può essere tranquillamente
invertita. Quello che vede il sistema S’ deve essere visto anche dal sistema S. La trasformazione di Lorentz ce lo impone. Se per chi
viaggia è il gemello a terra che resta giovane, deve valere anche l’opposto: per chi sta fermo è l’astronauta a invecchiare di meno. Il
fatto che, alla fine, troviamo un risultato UNICO e non simmetrico non vuole assolutamente dire che la RR è da buttare. Vuole solo
dire che la sua applicazione ha evidenziato una situazione che non può far parte della RR. Ciò che noi stiamo per fare è dimostrare
che il risultato unico, intollerabile dalla RR, può essere trovato lavorando solo con lei…

Ci tengo a dirvi che considero questo metodo come la soluzione forse più intuitiva del celebre paradosso, dato che mostra
graficamente come sia realmente il viaggiatore a invecchiare di meno e come anche quest’ultimo non può che essere pienamente
d’accordo su questo risultato. Ovviamente, lo ripeto ancora, basterebbe dire che per tornare indietro è necessario decelerare e
accelerare, ma sarebbe sbrigativo e scaricherebbe sulla relatività generale il compito della dimostrazione. Basta, invece, considerare
trascurabile il periodo di tempo in cui si cambia velocità (cosa fisicamente plausibile) e tutto scorre secondo una logica
estremamente efficace e immediata.

Andrò avanti con molta “cautela” non tralasciando nessun passaggio, anche il più semplice. Per seguire l’intera faccenda è solo
necessario conoscere la trasformazione di Lorentz e la strana geometria del piano di Minkowski in cui oltre a una rotazione degli
assi, esiste un invariante che non segue la geometria euclidea (in altre parole, è facile tracciare la curva di calibrazione, la ormai ben
nota iperbole equilatera, luogo delle unità di misura degli assi trasformati da Lorentz). Tutto il resto è pura geometria aiutata da
banalissime formule.

Pronti… via!

Per ottenere il risultato voluto dobbiamo dimostrare che, qualunque sia il riferimento scelto, sia il gemello terrestre che quello
spaziale arrivano alla stessa identica soluzione: è l’astronauta che invecchia di meno. Se entrambi raggiungono la stessa
conclusione cade automaticamente il paradosso.

Gli assi t e x sono stati scelti come al solito, in modo da far sì che la traiettoria della luce sia sempre una retta inclinata di 45°. Per
semplicità di lettura, consideriamo come unità di tempo l’anno e come unità di distanza l’anno luce. Ne segue che possiamo
considerare c = 1 e scrivere il rapporto v/c semplicemente come v. Disegniamolo nella Fig. 24, anche se sarebbe del tutto inutile, ma
è bene partire dal banale per cercare di non fare mai salti concettuali troppo bruschi. Nella stessa figura inseriamo la traiettoria
dell’astronave. E’ immediato vedere a quale velocità sta andando: 3/5 di quella della luce. D’altra parte si nota subito che percorre 3
anni luce in 5 anni.
Figura 24

Abbiamo scelto questo valore dato che porta a numeri interi e più facilmente comprensibili. Tuttavia, troveremo le formule generali
che servono al nostro scopo e questa scelta apparirà subito molto utile.

Ricordiamo subito come si determina la retta tracciata in rosso. Nel sistema di riferimento della figura essa ha equazione:

t = x/β = x/v

Essa è una retta passante per l’origine di entrambi i sistemi e con coefficiente angolare uguale all’inverso della velocità
dell’astronave (c = 1, ricordiamo).

Fin qui, direi che tutto è estremamente banale e immediato (e già descritto precedentemente).

Lasciamo che l’astronave parta per il suo viaggio con v/c = 3/5 e occupiamoci di cosa si deve fare a terra e sull’astronave per
mantenere un contatto diretto e continuo.

L’impegno preso è inviare un segnale luminoso ogni anno. Ovviamente, il gemello terrestre lo invia ogni anno terrestre e il
gemello astronauta ogni anno trascorso secondo il suo orologio. Ripeto ancora, il tutto è visto nel sistema terrestre. Il tempo
dell’astronauta è, come già detto, anche il suo tempo biologico e quindi è più che ovvio che lui si riferisca al suo orologio per
mandare i segnali.

Attenzione: non esiste nessuna connessione tra l’arrivo del segnale sull’astronave e l’invio di quello di ritorno. Sia il gemello
terrestre che quello spaziale mandano i segnali a distanza di un anno esatto, ognuno misurato con il proprio orologio. Non
aspettano l’arrivo dei segnali del gemello per agire, ma lo fanno seguendo un ritmo predisposto fin dall’inizio. Tra poco, vedremo
che i segnali sembreranno talvolta simultanei. Non confondiamoci! Questo fatto deriva solo dalla scelta della velocità, ideale per
potere eseguire facilmente i calcoli necessari e per la grafica. Ribadiamo ancora, i due gemelli mandano i segnali solo e soltanto allo
scadere di un loro anno.

Nel piano di Minkowski, il gemello terrestre descrive, ovviamente, la retta verticale del tempo t, in quanto è considerato fermo. Allo
scadere esatto del primo anno manda il segnale al gemello. Quello che vogliamo trovare è il momento di arrivo di questo
segnale sull’astronave. Mettiamoci nei panni dell’astronauta: che bello non sentirsi completamente solo anche se la luce ha una
lentezza quasi insopportabile.

Disegnare graficamente quanto detto a parole è veramente immediato, dato che gli anni terrestri sappiamo bene come scorrono con
la scala decisa fin dall’inizio (anno e anno luce). Più difficile è trovare il momento di arrivo sull’astronave nonché sapere quando
l’astronauta deve inviare il suo segnale annuale. In poche parole, bisogna conoscere la scala del tempo lungo l’asse t’ che
rappresenta la traiettoria dell’astronave vista nel sistema terrestre.

La faccenda non ci crea grossi problemi, dato che già sappiamo benissimo come fare a trovare l’unità di misura su ogni traiettoria al
variare della velocità del sistema in moto. Lo abbiamo fatto sia graficamente che attraverso un po’ di matematica, definendo la ormai
famosa curva di calibrazione, l’iperbole che ci permette di descrivere il luogo dei punti che mantiene la stessa unità di misura. Essa
ci regala un invariante non euclideo che ci è stato e ci sarà molto utile.

Siamo, quindi, in grado di utilizzare la curva di calibrazione per determinare la “lunghezza” dell’anno dell’astronauta e poi, in qualche
modo, valutare graficamente il momento di arrivo della luce del gemello terrestre. Tuttavia, dato che vogliamo prendere sempre
maggiore dimestichezza con la geometria di Minkowski, ci dedichiamo a un problemino di geometria elementare, da svolgere nel
piano x,t. Ci serve anche come ripasso di molte cose che abbiamo imparato sulla retta.

Per trovare l’evento “arrivo sull’astronave della luce mandata dopo un anno da terra” basta trovare l’intersezione tra la retta
descritta dall’astronave e quella descritta dalla luce partita all’istante relativo al primo anno terrestre.

Le due rette (scritte nelle coordinate terrestri) sono:

t = x/v

t=x+1 …. (1)

La prima è la traiettoria dell’astronave, la seconda la traiettoria della luce che parte al verificarsi dell’evento (0,1). Ricordiamo, infatti,
che il coefficiente angolare deve essere uguale a 1 (retta a 45°) e che il termine noto deve essere uguale all’ordinata (t) relativa
all’ascissa (x) uguale a 0 (partenza del segnale). La stessa retta acquista subito un carattere più generale e può essere usata anche
per gli anni successivi, inserendo al posto di “1” i valori 2, 3, 4, … ecc. In parole povere la retta

t=x+N

dove N è un numero intero che vale 1, 2, 3, ecc. e permette di descrive tutte le traiettorie parallele della luce inviate da terra anno
dopo anno.

(1) è un sistemino veramente ridicolo, la cui soluzione ci fornisce le coordinate xA’ e tA’ del punto intersezione A’. In realtà, a noi
serve solo il valore di tA’, ma tanto vale risolverlo completamente.

Dalla prima equazione abbiamo che:

x = vt

sostituendo nella seconda:

t = vt + 1

t - vt = 1

t(1 - v) = 1

tA’ = 1/(1 - v)

sostituendo nella prima si ha:

x/v = 1/(1 - v)

xA’ = v/(1- v)

Quello che abbiamo trovato è la “componente” nel sistema terrestre x,t, mentre a noi interessa il valore t’A’ misurato lungo l’asse t’.

Ci viene in aiuto immediato la trasformazione di Lorentz che ci dice:

t’A’ = tA’/γ = tA’(1 – v2)1/2

Da cui:

t’A’ = (1 – v2)1/2/(1 - v) …. (2)

Questa formula ci dà il tempo di arrivo (misurato sull’orologio dell’astronave) del segnale inviato da Terra un anno dopo la
partenza da O.

Conoscere questo valore vuole anche dire determinare l’unità di misura sull’asse t’. Come vedete, siamo tornati alla curva di
calibrazione e cose del genere. La RR e la sua rappresentazione grafica è come una “frittata”: la si può girare come si vuole, ma i
risultati sono sempre gli stessi. Non è nemmeno difficile capire che la “componente” tA’ non fa altro che esprimere e determinare il
concetto di dilatazione del tempo. ma ci torneremo a suo… tempo. Torniamo al nostro segnale giunto, finalmente, sull’astronave.
Dopo quanto tempo dalla partenza da O il gemello vagabondo lo vede arrivare secondo il suo orologio? Avendo scelto per il nostro
viaggio v = 3/5 si ottiene, attraverso la (2):

t’A’ = 2

A questo punto è immediato sapere anche quando arriva il segnale del secondo anno terrestre e quello del terzo e via dicendo.
Basta inserire N = 2 , 3, … nella retta descritta dalla luce.

Non stiamo a riscrivere il sistemino (1), ma è immediato capire che il segnale terrestre arriva sull’astronave a un tempo locale che è
sempre doppio di quello di partenza da terra (sempre misurato localmente). Così il segnale del secondo anno terrestre arriva al
gemello astronauta dopo quattro dei suoi anni e quello dei tre anni terrestri dopo sei anni, tempo locale dell’astronave.

Ricapitoliamo… Cosa significano questi numeri? Dopo un anno dalla partenza, il gemello terrestre manda un segnale luminoso che
arriva sull’astronave del gemello spaziale dopo due dei suoi anni dalla partenza. Se il terrestre lo invia dopo due anni, questo arriva
sull’astronave dopo quattro ; se lo invia dopo tre arriva sull’astronave dopo sei, ecc.
Il risultato è sicuramente interessante e deriva dalla scelta fatta per v. Ad esempio, se avessimo scelto v =1/2 avremmo trovato un
valore di t’A’ uguale a 1.73, molto meno semplice da disegnare. La situazione non sarebbe comunque cambiata per il nostro scopo,
ma ci sarebbe stato una discordanza temporale tra l’arrivo dei segnali sull’astronave e sulla loro partenza. Ricordiamoci, infatti, che
anche l’astronauta deve mandare i suoi segnali cadenzati anno per anno.

La cosa importante è che abbiamo comunque trovato non solo il momento dell’arrivo dei segnali, ma anche la scala dell’asse t’.
Infatti, dato che OA’ deve essere uguale a 2 anni, la sua metà ci regala proprio l’unità su t’. Un altro metodo (ma in fondo è sempre la
stessa frittata girata come si vuole) per determinare l’unità di misura del sistema in movimento a seguito della trasformazione di
Lorentz.

Comunque sia, possiamo adesso procedere solo in modo grafico, senza più alcuna formula! Non dite che non siete contenti…
Segniamo in Fig. 25 quello che abbiamo appena trovato.

Figura 25

Attenzione: ho usato un metodo puramente geometrico per determinare i momenti di arrivo della luce. L’ho considerato più
immediato e molto utile per rinfrescare un po’ del “corso” di matematica. Tuttavia, date la trasformazione di Lorentz e la curva di
calibrazione si poteva ottenere la soluzione in vari modi. Tuttavia, il succo era ottenere il grafico risolvente e poco importa come
l’abbiamo ottenuto…

Qualcuno potrebbe dirmi: “Sì, va bene, l’astronauta manda il suo segnale ogni anno dei suoi, ma quando arriveranno questi segnali
sulla Terra?”. Come dicevo, possiamo risolvere la faccenda lavorando solo graficamente e il risultato apparirà immediato. Tuttavia,
se vogliamo fare i raffinati, la risposta si può dare anche senza tracciare linee sulla figura.

Le formule, che abbiamo usato precedentemente per trovare l’intersezione tra la traiettoria descritta dall’astronave e il segnale
annuale terrestre, possono essere usate tali e quali invertendo astronave e Terra (Fig. 26).
Figura 26

Sappiamo molto bene, infatti, che per l’astronauta è la Terra che viaggia a velocità –v. Se mettiamo t’ al posto di t, la traiettoria della
Terra sarà ribaltata rispetto a quella dell’astronave, ma anche la traiettoria della luce lo sarà. Il sistema di prima diventa perciò,
rispetto al sistema fisso astronave:

t’ = - x’/v

t’ = - x’ + 1

da cui si ottiene nuovamente:

t’ = vt’ + 1

Per trovare il valore nelle coordinate in movimento t (questa volta è il sistema terrestre che si muove) si applica pari pari la
trasformazione di Lorentz come prima e si ha nuovamente t = (1 - v2)1/2/(1 – v). Per v = - 3/5 si ottiene perciò ancora t = 2. Provare
per credere…

Ne segue che, a causa del valore della velocità scelta, il primo segnale terrestre arriva sull’astronave dopo due anni dal lancio ed è
concomitante con il lancio dall’astronave del suo secondo segnale che arriva a Terra dopo 4 anni dal lancio. A questo punto, come
dicevamo, la faccenda diventa una questione puramente grafica.

Disegniamo in Fig. 27 i primi anni di viaggio… e i segnali inviati e ricevuti dai due gemelli. Per una migliore visibilità, usiamo colori
diversi per la luce che parte da terra e luce che parte dall’astronave. La prima la coloriamo di blu, la seconda di verde.
Figura 27

Cosa possiamo concludere, per adesso? Che sia l’astronave che la Terra ricevono il segnale altrui ogni due anni. Tutto è
perfettamente simmetrico, come ci dobbiamo aspettare dalla RR. Dopo sei anni di viaggio, la Terra ha inviato sei segnali e ne ha
ricevuto tre; stessa identica cosa per l’astronave. I segnali inviati dopo i primi tre anni li abbiamo solo accennati per questioni di
spazio…

Potremmo andare avanti all’infinito e la situazione non cambierebbe assolutamente, in perfetto accordo con la RR. Potremmo anche
vedere molto bene la dilatazione dei tempi osservata per il sistema in moto. Basterebbe tracciare le parallele a x (linee di
simultaneità per il sistema Terra) o, simmetricamente, le parallele a x’ (non disegnato in figura) per determinare la dilatazione
perfettamente simmetrica dei tempi osservati sul sistema considerato in moto. Ma, tralasciamo questo aspetto (fondamentale) e
proseguiamo con il nostro viaggio. Lo analizzeremo successivamente andando a cercare dilatazione dei tempi e contrazione delle
lunghezze…

Il gemello astronauta decide di tornare a Terra dopo aver raggiunto una distanza da Terra (nel sistema terrestre) di 3 anni luce. Ciò
vuol dire che nel sistema Terra sono passati esattamente 5 anni. D’altra parte la velocità dell’astronave è proprio 3/5 di quella della
luce. Continuiamo, però, a disegnare il tutto nel sistema terrestre. L’inversione di marcia dell’astronave vuole allora dire che essa
inizia a muoversi con velocità -3/5.

Possiamo fare questo giochino sul diagramma di Minkowski? Sicuramente sì, dato che il tempo necessario a invertire la direzione (e
quindi la decelerazione e la successiva accelerazione) è del tutto trascurabile. Graficamente possiamo permettercelo
tranquillamente.

L’intero viaggio, con l’invio e il ricevimento dei segnali, è chiaramente mostrato in Fig. 28. Consideriamo anche come segnale
mandato quello relativo al punto di arrivo dell’astronave sulla Terra. In questa situazione entrambi i segnali partono e arrivano
simultaneamente dato che l’evento è unico.
Figura 28

Lascio a voi riflettere sulla figura. Ma risulta chiaro che le cose nel viaggio di ritorno cambiano drasticamente. Dopo l’inversione di
rotta i segnali arrivano con frequenza maggiore sia per l’astronauta che per il terrestre: ben due ogni anno locale (graficamente si
vede molto bene, ma si potrebbero anche calcolare gli istanti di arrivo, utilizzando sempre il solito sistemino iniziale). Tuttavia, una
differenza c’è… Il viaggiatore riceve per metà del viaggio (andata) i segnali del gemello ogni due anni, mentre li riceve ogni mezzo
anno per l’altra metà del viaggio (ritorno). Il terrestre, invece, riceve quelli dell’astronauta ogni due anni per ben otto dei suoi anni.
Solo dopo, comincia a riceverli ogni mezzo anno. La simmetria non si conserva di certo.

In conclusione, dal punto di vista dell’osservatore terrestre la situazione è abbastanza chiara. Lui ha mandato ben dieci segnali,
mentre ne ha ricevuto solo otto. Il gemello astronauta deve concludere, anche se con un po’ di sorpresa, che è proprio vero! Ha
ricevuto dieci segnali, mentre ne ha mandati solo otto. Per lui sono passati otto anni, mentre per il terrestre ne sono passati
dieci. Il gemello astronauta deve essere veramente più giovane! Il diagramma di Minkowski, con l’aggiunta di qualche segnale
luminoso, ha risolto il paradosso.

Per chi ha voglia di riflettere, questo cambiamento di frequenza nell’arrivo dei segnali luminosi rispecchia perfettamente l’effetto
doppler relativistico, che, nel caso di una sola coordinata, coincide perfettamente con quello ben noto a tutti noi. A suo tempo
potremo anche parlarne un po’ più estesamente.

Cosa ci resta ancora da fare? Dimostrare che il fenomeno dell’invecchiamento UNIVOCO può essere confermato anche cambiando
sistema di riferimento. In altre parole, il fenomeno deve rimanere lo stesso anche se si ci mette dal punto di vista dell’astronauta e si
descrive il viaggio sotto questa nuova luce. Un esercizio molto utile per “pasticciare” nel nostro “amico” diagramma.

Imponiamo, perciò, come sistema di riferimento “fisso” quello dell’astronave alla sua partenza e vediamo a che soluzione si arriva. Il
tutto è riportato in Fig. 29.
Figura 29

Per i primi quattro anni dell’astronave si segue la retta verticale. D’altra parte sappiamo benissimo che essa impiega quattro dei suoi
anni per arrivare al punto di cambiamento di rotta. Rispetto a questa linea verticale la traiettoria della Terra sarà determinata
costantemente dalla retta che corrisponde a una velocità -3/5. Anche su questo non ci piove, dato che abbiamo applicato soltanto la
RR. La Terra ovviamente percorre tre anni luce in cinque anni, così come faceva l’astronauta nel caso precedente.

Possiamo tracciare tranquillamente i segnali mandati dall’astronauta (luce verde) che colpiscono la Terra ognidue anni, in perfetto
accordo con quanto successo nel grafico precedente. Questo fatto capita per ben otto anni terrestri, analogamente a prima.

Ed ecco che giungiamo al punto chiave del nuovo grafico: l’astronave cambia rotta e lascia il sistema di riferimento iniziale. Quale
sarà la traiettoria descritta dall’astronauta rispetto alla linea di partenza? Beh… deve muoversi verso sinistra con velocità -3/5, ma
non basta. In questo modo si muoverebbe parallelamente alla Terra e noi vogliamo, invece, che torni a casa! Per ottenerlo dobbiamo
sommare un’altra velocità -3/5. Eccoci finalmente alla composizione relativistica delle velocità! Per ottenere la velocità con cui si
muove l’astronave rispetto alla traiettoria iniziale (durata 4 dei suoi anni) è necessario applicare la formula che abbiamo trovato nel
capitolo relativo proprio a questo argomento.

u = (u’ + v)/(1 + u’v)

che nel nostro caso, diventa:

u = (-3/5 -3/5)/(1 + 3/5 x 3/5) = - 6/5/(1 + 9/25) = - 6 x 25/5 x 34 = -6 x 5/34 = -30/34 = -15/17

La retta che descrive la traiettoria dell’astronave fino al suo ritorno a terra avrà quindi come coefficiente angolare -17/15. In realtà,
non vi era nemmeno bisogno di calcolarla… Quanto deve essere lungo il viaggio della Terra lo sapevamo già: 10 dei suoi anni.
Dopo quattro anni di astronave “ferma” basta congiungere l’evento (0,4) dell’astronave con l’evento corrispondente a dieci anni
terrestri…

Comunque sia, abbiamo ottenuto un bel triangolo spostato verso sinistra, in cui possiamo continuare a far partire e arrivare i segnali
luminosi tra astronave e Terra e viceversa.

Chi non ci crede, può anche provare a calcolare nuovamente i punti di partenza e di arrivo con le solite rette usate precedentemente,
ma troverà, ovviamente, ciò che si vede nella figura.

Dopo quattro dei suoi anni, il tempo sull’astronave scorre molto più lentamente rispetto a prima e raggiunge la Terra ogni mezzo
anno dei suoi. Quelli blu mandati da terra, dopo due volte che hanno raggiunto l’astronave ogni due anni (in modo speculare a
quanto successo con la Terra considerata ferma), iniziano anche loro a raggiungere l’astronave ogni mezzo anno. Non ci resta che
fare i conti e si trova, senza troppa sorpresa, che nuovamente l’astronave riceve dieci segnali da Terra (ossia sa che sulla Terra
sono passati dieci anni), mentre il gemello astronauta ne ha inviati solo otto (ossia è invecchiato solo di otto anni).

Abbiamo ritrovato lo stesso risultato di prima, pur avendo cambiato sistema di riferimento. Il diagramma di Minkowski ha permesso
di risolvere il paradosso (sempre che si tratti veramente di paradosso) in modo puramente grafico e estremamente “pratico”,
basandosi solo sull’invio e la ricezione di segnali luminosi mandati con cadenza annuale.

L’unica cosa che cambia macroscopicamente è la durata dell’intero viaggio misurata nel tempo di riferimento del tragitto iniziale
dell’astronave: ben 12.5 anni. Risultato assolutamente non imprevisto, dato che l’orologio della Terra deve andare più piano per tutto
il viaggio.

Quando il gemello torna a Terra sa benissimo di essere il più giovane, senza bisogno di effettuare calcoli vari. E’ bastato che
contasse quanti segnali mandava e quanti ne riceveva.

Oltre che a risolvere il paradosso utilizzando solo e soltanto la RR, dimostrando che non è lei che “sbaglia” ma è il tipo di viaggio che
non rispetta le sue regole, questo esercizio permette di divertirsi un “sacco” con il diagramma, cambiando per esempio le velocità…
Chi vuole provare può anche farlo, ma la resa grafica si complica non poco e temo possa confondere i meno preparati.

Se questo esercizio sarà compreso molto bene, diventerà veramente uno scherzo ricavare rapidamente dilatazione dei tempi e
contrazione delle lunghezze, lavorando solo graficamente sul diagramma.

Dilatiamo graficamente il tempo

Facciamo un passetto indietro per richiamare lo spazio a noi più comune, quello euclideo.

Immaginiamo che ci venga regalata una bella asta rigida di una certa lunghezza. Purtroppo, noi non abbiamo a disposizione nessun
“metro” per misurarla. Abbiamo solo un disegno perfettamente in scala 1:1 di una circonferenza avente raggio unitario. Non ci resta
che far coincidere un estremo dell’asta con il centro della circonferenza e guardare dove va a finire l’altro estremo. Se esso esce
dalla circonferenza possiamo dire che la nostra asta è maggiore dell’unità di misura; se rimane all’interno della circonferenza vale
il contrario.

Volendo, potremmo anche vedere di quanto l’asta è maggiore o minore del raggio unitario della circonferenza e stabilire in un modo
un po’ rozzo la sua lunghezza effettiva. Avendo a disposizione un sistema cartesiano accurato, potremmo ottenere molto di più. In
ogni modo il confronto con il raggio della circonferenza ci basta per avere una prima stima della lunghezza della nostra asta, se non
altro se è maggiore o minore dell’unità. Quanto detto è raffigurato con estrema semplicità in Fig. 30.

Figura 30

Molti di voi si saranno messi a ridere… Abbiamo usato un procedimento estremamente semplificato e rudimentale. Si poteva
certamente fare di meglio. Tuttavia, teniamo ben presente il procedimento usato, dato che con le opportune modifiche lo useremo
nel diagramma di Minkowski per ottenere immediatamente (o quasi) la visione grafica della dilatazione dei tempi e della contrazione
della lunghezza senza aver bisogno di usare formule matematiche.

Cerchiamo di essere un po’ più chiari: le formule, o qualcosa che si colleghi a loro, le abbiamo giù utilizzate (per via matematica e/o
grafica) per stabilire come si trasformano gli assi x e t (ho ripreso a usare t invece di T, dato che è solo una questione di unità di
misura; basta porre c = 1 e siamo a posto) quando un sistema si muove con una certa velocità v rispetto a uno considerato fermo e
per determinare l’unità di misura su tali assi. Stiamo, ovviamente, parlando dell’iperbole di calibrazione, il luogo dei punti che
descrivono l’invariante s2, ossia una vera e propria “distanza” spaziotemporale. Ricordiamo ancora che questa “distanza” non ha
niente a che vedere con la distanza classica del nostro mondo euclideo dove si disegnano i punti, ma ha un significato ben preciso
nello spaziotempo, diventato a tutti gli effetti un sistema in cui si misurano gli eventi. Qualcosa di estremamente più realistico e
completo.

Questa “distanza” assume lo stesso significato del raggio della circonferenza con la quale abbiamo iniziato l’articolo: essa ci regala il
luogo dei punti a distanza costante da una certa origine degli assi. Se qualcosa supera la curva di distanza unitaria vuole dire che la
sua “lunghezza” è maggiore dell’unità; se, invece, rimane all’interno della curva di calibrazione la sua “lunghezza” è minore.
Prima di passare alla parte “pratica” cerchiamo di notare ancora una volta come siamo già riusciti a trattare lo spaziotempo alla
stregua dello spazio quotidiano. Possiamo parlare di distanze e di lunghezze di segmenti che rappresentano qualcosa di ben più
generale, ossia di intervalli spaziotemporali. Il tempo è ormai diventata una coordinata del tutto equivalente a quelle spaziali.

Noi stiamo lavorando con uno spazio a una dimensione (x e/o x’), ma potremmo tranquillamente lavorare con uno spazio a tre
dimensioni, ossia definire un punto con le sue tre coordinate cartesiane x, y e z. A queste tre coordinate siamo ora perfettamente in
grado di aggiungerne una quarta, il tempo, che si va a mischiare con loro e diventa del tutto simile in uno spaziotempo in cui ogni
punto si è trasformato in evento.

Abbiamo in tal modo, anche se velocemente, introdotto il concetto di quadrivettore, la base matematica di tutto lo spaziotempo di
Minkowski. Esso permette di descrivere il moto di un corpo qualsiasi nello spaziotempo a quattro dimensioni, in cui ogni evento del
corpo è definito dalle quattro coordinate (x,y,z,t). Cerchiamo di capire appieno la grandezza e la generalità di questo approccio che
sembra oltremodo banale e quasi ovvio. Siamo riusciti a rappresentare perfettamente lo spaziotempo di Einstein, avendo la
possibilità di agire con quattro coordinate, misurabili con la stessa unità di misura (ad esempio il metro o -se si preferisce- il
secondo). Due esempi di questa eccezionale capacità che abbiamo acquisito.

Vi ricordate la solita rappresentazione del palloncino che si gonfia e che è gioia e dolore per chi si avvicina all’evoluzione del Cosmo?
Quante volte abbiamo detto: “Stiamo attenti a non confondere l’Universo con l’intero palloncino! L’Universo è solo la superficie
sferica (a due dimensioni), mentre il raggio della sfera si riferisce al tempo che scorre. Le traiettorie che attraversano la sfera sono
VIETATE, dato che sono del tutto estranee all’Universo fisico.” Adesso, possiamo invece dire che queste traiettorie sono
perfettamente definite, dato che rappresentano le linee di Universo, ossia le traiettorie di un evento caratterizzato sia dalle
coordinate spaziali che da quella temporale. Il passato, il presente e il futuro possono essere rappresentati con una sola figura, su
cui si possono effettuare tutte le misure che si vogliono, tenendo solo presente che questo spaziotempo non è più euclideo, ma
segue regole diverse. Imparate queste, niente è veramente precluso!

Usiamo un’altra analogia per comprendere il passo in avanti che è stato fatto. Immaginiamo di congelare il tempo e di fermare il
“tutto” in un certo istante (un po’ come la bella Addormentata nel Bosco). Esiste ancora l’Universo? Sicuramente sì.

Stelle, pianeti, galassie, alberi, uomini, atomi, elettroni, quark sono ancora loro e del tutto concreti. Esistono anche gli eventi che
però sono fissi, immobili, dei veri punti. La stessa cosa che capita a chi vive in uno spazio a due dimensioni (x,y) e che non può
assolutamente “alzarsi” o “abbassarsi” lungo l’asse z. Analogamente, chi vive in uno spaziotempo che conservi le tre coordinate
spaziali x, y e z continua a esistere, ma non può “alzarsi”, ossia non può andare avanti o indietro nel tempo (che ha lo stesso
identico significato dell’asse z nello spazio a due dimensioni). L’Universo fisico diventa allora l’acquisizione della dimensione in più,
del tutto simile all’asse z per gli abitanti di Flatlandia. Né più né meno. Lo spaziotempo di Minkowski permette proprio di descrivere e
di lavorare sulle quattro dimensioni in modo del tutto analogo a come siamo capaci di lavorare sulle tre, con un semplice diagramma
cartesiano. Un Universo statico, descritto spazialmente nelle tre dimensioni, diventa un Universo dinamico in evoluzione nelle
quattro dimensioni. Stiamo solo attenti a non pretendere troppo da questa coordinata in più. Essa viene utilizzata e legata alle altre
con estrema facilità, ma rimane comunque un qualcosa di speciale se la vediamo in modo diverso. Ad esempio come freccia
evolutiva legata all’entropia e via dicendo. Il tempo rimane sempre qualcosa di misterioso anche se trattabile matematicamente e
graficamente.

Torniamo, allora, “a bomba” e dedichiamoci a rappresentare, in modo grafico, quanto dimostrato dalla RR con l’ausilio della
trasformazione di Lorentz. Abbiamo bisogno di saper disegnare solo due cose: gli assi t’ e x’ trasformati (e lo sappiamo fare anche
graficamente senza alcun problema) e le curve di calibrazione che , in fondo, sono due semplicissime iperboli equilatere, curve alla
portata di tutti. Ovviamente, per fare questo dobbiamo conoscere il valore della velocità v del sistema in movimento, ma
assolutamente niente di più! Disegniamo, allora, in Fig. 31 quanto appena detto: un sistema di riferimento S’ che si muove con
velocità v rispetto a S e le due curve di calibrazione che ci dicono immediatamente come “viaggia” l’unità di misura al variare della
velocità. Una figura che abbiamo giù usato.
Figura 31

Per determinare con facilità le conseguenze della RR bisogna ricordarsi perfettamente i concetti di simultaneità relativa, quelli su cui
abbiamo “battuto duro” fino all’esaurimento. Per il sistema S la linea di simultaneità è l’asse x e tutte le sue parallele; per il sistema S’
è l’asse x’ e tutte le sue parallele. Ricordiamoci, inoltre, che la vera differenza tra ciò che vede un osservatore “fermo” e ciò che vede
chi è solidale con il sistema in movimento è legata sempre e comunque al numero di orologi che si stanno usando per eseguire le
misure. Cerchiamo, quindi di farli intervenire per aiutarci nella descrizione della nostra piccola impresa grafica. Immaginiamola come
una piccola avventura che poi “trascriveremo” in modo più serio.

Cominciamo con la dilatazione dei tempi, che è la più immediata e intuitiva. La RR ci dice che l’orologio di chi si muove è visto
rallentare se visto da un osservatore fermo. Nel primo caso S è fermo e S’ è in moto. Se ne deduce, come ormai dovremmo sapere
molto bene, che se siamo solidali con S’ basta un solo orologio per scandire il tempo, mentre nel sistema S ce ne vogliono molti.
Guardiamo la parte bassa della Fig. 32 , quella contenuta dentro il riquadro. L’orologio rosso è solidale con S’ e si muove verso
destra. Mentre effettua il percorso da A a B lui segna tranquillamente il tempo che passa. Nel sistema S,invece, vi è bisogno di usare
l’orologio azzurro quando l’orologio di S’ è in A e l’orologio verde quando arriva in B. So che ne abbiamo parlato varie volte, ma è
meglio continuare a ripetere quando si ha a che fare con il concetto base della simultaneità.

Figura 32

Finora abbiamo lavorato solo nello spazio e il tempo è stato misurato dagli orologi. E’ venuto il momento di introdurre l’asse del
tempo. L’orologio azzurro, mentre l’orologio rosso si è spostato verso destra, si è mosso lungo l’asse del tempo in verticale e si porta
in A1. Lui è infatti “spazialmente” fermo nel sistema S che è rappresentato dai due assi cartesiani t e x. Cosa fa, invece, l’orologio
rosso? Si muove sia spazialmente che temporalmente seguendo la legge della RR e quindi descrive il suo asse del tempo che è la
linea rossa. Perché questa linea è il suo asse del tempo? Perché rispetto a questa linea lui rimane FERMO, essendo solidale con S’.
Il sistema S lo vede andare verso destra, cambiando “spazio”, ma lui si sente perfettamente fermo lungo l’asse rosso.

In altre parole, l’orologio rosso gira tranquillamente segnando il suo tempo mentre il sistema S lo vede spostare sia in x che in t.
L’orologio verde entra in azione quando l’orologio rosso segna una certa ora misurata con il suo tempo. L’orologio verde lo segue
come un’ombra nello spaziotempo, muovendosi verso l’alto lungo una parallela all’asse t (lui è fermo nel sistema S) e si porta in B1.
A un certo momento decidiamo di controllare il tempo Δt’ (misurato perfettamente dall’orologio rosso lungo la linea rossa) e
chiediamo all’orologio verde di “mettersi d’accordo” con quello azzurro per dirci quanto tempo è passato, nel loro sistema S.

Loro sanno perfettamente di essere sincronizzati, per cui devono segnare lo stesso tempo. Qual è la linea di simultaneità per loro?
Quella parallela all’asse delle x. Per sapere il tempo passato Δt basta allora che si guardi l’ora segnata dall’orologio azzurro quando
è “in linea” con l’orologio verde.

Ah, come sarebbe bello applicare il teorema di Pitagora al triangolo ABB1 o AA1B1! E’, invece non possiamo farlo, dato che la
geometria di Minkowski non è euclidea… E’ necessario introdurre la curva di calibrazione, quella che ci dice quanto vale l’unità di
tempo su S e quanto vale su S’. Consideriamo, ad esempio, che Δt’ (AU’) sia proprio uguale all’unità di tempo su S’. E’ facile allora
tracciare la curva di calibrazione fino a che incontri l’asse x, ossia segni l’unità di tempo nel sistema S. Disegniamo la curva nera
sapendo che la ”distanza” spaziotemporale AU = AU’ = 1 deve rimanere costante (invariante relativistico). Non ci resta che guardare
l’ora segnata dall’orologio azzurro sincronizzato con quello verde. Come detto già prima, questa è quella segnata dall’orologio
azzurro in A1.

Risulta immediato che la “distanza” AA1 è DECISAMENTE più grande dell’unità di S (AU). In poche parole ciò che per l’orologio
rosso di S’ è 1, per S è decisamente qualcosa di maggiore di 1. Se ne conclude che per S il tempo di S’ scorre più lentamente.
Infatti, mentre per il “rosso” è passato solo 1, per il “nero” è passato un tempo maggiore di 1. Abbiamo utilizzato lo stesso
procedimento dell’inizio dell’articolo, con l’iperbole al posto della circonferenza.

Perché è successo tutto ciò? Solo e soltanto perché la simultaneità degli orologi di S è relativa al loro sistema. Per S’ non c’è stato
bisogno di utilizzare la simultaneità, avendo usato un solo orologio, ma per S invece sì, avendo dovuto utilizzare due orologi posti in
luoghi diversi. Pensateci bene, perché il succo di tutta la RR sta in questo concetto fondamentale.

Scusate se ho usato un sacco di parole e se ho quasi reso la misura del tempo misurato dall’orologio in moto, effettuata nel sistema
fermo, una specie di avventura o di favola. Come tutte le favole ha reso “concreti” dei processi geometrici e matematici. Non
prendete ciò che ho detto come “realtà” assoluta, ma solo come un metodo per rendere più “tattile” l’operazione da svolgere che è
ben più semplice e immediata.

La Riportiamo in Fig. 33. Disegniamo l’asse t’ di S’ e la curva di calibrazione. Consideriamo l’intervallo Δt’ = 1 (ma potevamo
prendere qualsiasi valore) che termina sulla curva di calibrazione unitaria. Tracciamo la perpendicolare all’asse t (questa
perpendicolare è l’asse di simultaneità per S) e troviamo il tempo t che definisce il tempo passato su t’ se osservato da S, ossia Δt.

Figura 33

Si vede immediatamente che Δt è maggiore dell’unità del tempo di S (sta sopra alla curva di calibrazione). Δt, misurato in S e relativo
a Δt’, è decisamente più lungo dell’unità. Il tempo t’ scorre più lentamente se visto da S! La dilatazione dei tempi viene disegnata con
una semplice proiezione…
Utilizzando la stessa identica figura possiamo dimostrare facilmente che il fenomeno della dilatazione dei tempi è perfettamente
simmetrico (Fig. 34). Non raccontiamo nuovamente la favola dei due orologi: ci basta ragionare sul grafico. Immaginiamo di
trasferirci su S’ e di voler misurare il tempo passato su S. E’ ovvio, adesso, che è S che si muove rispetto a S’ e che i due orologi
sono quelli di S’ e … via dicendo.

Figura 34

Cosa dobbiamo fare? Semplice. Consideriamo come intervallo di tempo da misurare su S’ quello unitario su S, ossia Δt = 1. Quale
sarà quello corrispondente su S’? Basta tracciare la linea di simultaneità per S’ (la stessa identica cosa che avevamo fatto per S) fino
a incontrare t’. OO1’ indica come il sistema S’ vede l’unità di tempo Δt = 1 di S. E’ immediato notare che OO1’ è decisamente più
“lungo” dell’unità di tempo OU’ di S’ e quindi per S’ è l’orologio di S che gira più lentamente. La simmetria è perfettamente rispettata.

Bene, vi consiglio di tornare a rileggere la parte romanzata precedente ed essa apparirà, adesso, decisamente più semplice e
comprensibile. Vi lascio il tempo di digerire tranquillamente questo “gioco” puramente geometrico, che ha bisogno di formule solo e
soltanto per disegnare la curva di calibrazione (che è sempre la stessa) e per calcolare la pendenza di t’ e x’. Dato che l’unica
variabile è v/c, potete divertirvi a vedere come aumenta la dilatazione dei tempi aumentando la velocità. Vedrete, anche, che per v =
c il tempo non scorre assolutamente per un sistema in movimento quando è visto da quello che si considera fermo. Ma, ripeto
ancora, questo NON vuol dire assolutamente che un oggetto che vada alla velocità della luce non si MUOVA e nemmeno che il suo
orologio non giri. Esso appare immobile solo per chi lo guarda da fuori…

La prossima volta costruiremo graficamente la contrazione delle lunghezze. Sembrerebbe banale e immediato, dato che esiste
anche la curva di calibrazione relativa all’unità dello spazio. Tuttavia, se si applicasse il procedimento appena usato troveremmo una
… dilatazione invece che una contrazione! Ancora una volta, solo una attenta riflessione sulla relatività della simultaneità può
sciogliere l’enigma.

Contraiamo le lunghezze

Accingiamoci a vedere, direttamente nel diagramma di Minkowski, come un’asta rigida in movimento viene vista contratta nel
sistema di riferimento considerato fisso. Ancora una volta è essenziale comprendere bene la differenza tra chi usa due orologi e chi
ne usa uno solo (anzi non lo usa per niente!).

Se nel sistema in moto S’ si pone un’asta rigida essa deve giacere nel relativo asse x’, ossia nell’asse dello spazio o se preferite
nell’asse di simultaneità (t’ = 0). La misura dell’asta, in questo sistema, è definita perfettamente dall’unità di misura e non ha
assolutamente bisogno di un orologio. Ricordatevi come Einstein aveva preparato perfettamente il suo sistema di riferimento
attraverso aste rigide e orologi sincronizzati...

Il sistema fermo S ha invece bisogno di due orologi (ovviamente sincronizzati tra loro) per misurare l’asta che si muove. In altre
parole, S deve misurare le due estremità dell’asta con due orologi diversi. Vediamo “rozzamente” cosa succede in Fig. 35.
Figura 35

L’asta A’B’ del sistema S’ si muove con velocità v. Per misurare la sua lunghezza da S, dobbiamo misurare il tempo in cui gli orologi
azzurro e verde di S vedono passare i due estremi dell’asta in movimento. Essi, ovviamente, misurano secondo la loro linea di
simultaneità che è rappresentata dai due trattini neri verticali. Né più ne meno quanto avevamo fatto per misurare la contrazione
delle lunghezze con l’orologio a luce…

Vediamo nella Fig. 36 come questo schema logico, estremamente semplificato, si trasforma nel diagramma di Minkowski. x e t sono
gli assi ortogonali di S, mentre x’ e t’ quelli “trasformati” di S’. Consideriamo l’asta rigida A’B’ solidale con S’ di lunghezza L’. Come
detto, essa giace sull’asse x’, per definizione. Al passare del tempo, gli estremi dell’asta si muovono lungo due assi paralleli all’asse
dei tempi t’, mantenendo costante la lunghezza L’ (è o non è RIGIDA?).

Figura 36

Cosa fanno due orologi A e B di S per potere misurare l’asta… Essi si spostano al passare del tempo lungo linee verticali. Quando
l’orologio verde, ad esempio, si trova in B1 e vede passare l’estremo B’, decide il tempo della misurazione t1. Nello stesso istante
l’orologio azzurro effettua la sua misura dato che sono sincronizzati e noi abbiamo bisogno che essi misurino i due estremi dell’asta
nello stesso istante.

Sappiamo bene, però, che la simultaneità è relativa e A1 misura l’estremo A’1 che non è simultaneo con B’ (ma con B’1) nel sistema
S’. In altre parole, i due orologi di S misurano gli estremi in due tempi diversi del sistema S’. Ne deriva che la lunghezza
dell’asta, nel sistema S, appare essere L.

Possiamo concludere subito che l’asta si è contratta se è vista nel sistema S? Sembrerebbe di sì, ma commetteremmo un errore
molto grave! Come già detto non possiamo confrontare lunghezze, corrispondenti a sistemi diversi, direttamente nella figura, ma
dobbiamo utilizzare le diverse unità di misura, quelle che vengono descritte dalla famosa iperbole di calibrazione. Solo tenendo
conto delle unità di misura possiamo dire se è veramente più lunga l’asta solidale con S’ o quella osservata e misurata da S.

Per semplificare il disegno facciamo una piccola considerazione. La lunghezza L tra A1 e B1 è esattamente uguale a quella riportata
nell’asse x. Eliminiamo quindi gli orologi e le altre linee che ormai hanno fatto il loro lavoro e portiamoci nella Fig. 37, estremamente
semplice e perfetta per la decisione finale.
Figura 37

In questa figura abbiamo “solo” aggiunto l’iperbole di calibrazione relativa all’unità di misura dello spazio (ossia delle lunghezze).
Poniamo anche, sempre per maggiore semplicità, che la lunghezza L’ dell’asta sia proprio l’unità. Adesso sì che possiamo renderci
conto della contrazione delle lunghezze! La lunghezza L viene confrontata, sullo stesso asse di riferimento x di S, con la distanza
unitaria di questo asse. Questa è un’operazione ammissibile dato che stiamo lavorando su un unico sistema.

Bene, nessun problema a concludere che L è veramente minore di 1! Possiamo, quindi, confermare graficamente, attraverso il
“nostro” diagramma di Minkowski, che una lunghezza L’ (unitaria) di S’ appare contratta nel sistema di riferimento S considerato
fermo.

Attenzione a non commettere un errore che viene fatto spesso. Per analogia con quanto eseguito nello studio della dilatazione dei
tempi, potremmo pensare di proiettare direttamente la lunghezza L’ sull’asse x. troveremmo una lunghezza MAGGIORE dell’unità.
Altro che contrazione… avremmo ancora una dilatazione!

L’errore sta nel fatto che prima di proiettare la lunghezza dobbiamo usare la simultaneità del sistema S. I punti da proiettare devono
essere, per quanto detto precedentemente, A’1 e B’. La differenza delle loro proiezioni è ancora una volta L minore dell’unità!

Il punto chiave da comprendere per non meravigliarsi più di tanto è il fatto che anche per la contrazione delle lunghezze la misura
dipende solo e soltanto dal tempo misurato da uno (o anche nessuno) oppure da due orologi. Gira e rigira questo è il concetto
fondamentale di tutta la RR.

Non ci resta, adesso, che dimostrare la perfetta simmetria della situazione, utilizzando la Fig. 38. Portiamoci sul sistema S’ e
vediamo come esso misura un’asta rigida solidale con il sistema S. L’asta unitaria si sposta lungo il tempo t, in modo perfettamente
verticale. Come fatto prima, dobbiamo misurare la sua lunghezza attraverso due orologi posti su S’, che hanno come linea di
simultaneità l’asse x’.
Figura 38

Ne consegue che la lunghezza misurata nel sistema S’ è L’ che giace proprio sull’asse x’ (o su una sua parallela, nel caso più
generale). In questo caso ci accorgiamo subito che il nostro occhio abituato, allo spazio euclideo, ci porterebbe a sbagliare
completamente! Il segmento L’ ci appare più lungo di L. E, invece, non è assolutamente vero e ce lo dimostra la curva di
calibrazione.

L’unità di misura su x’ è nettamente più lunga di L’, mentre L è proprio uguale all’unità. Ancora una volta abbiamo ottenuto una
contrazione delle lunghezze!

Ovviamente, tutto ciò che abbiamo trovato per via puramente grafica viene confermato dalle formulette regalateci dalla
trasformazione di Lorentz.

L'Universo degli eventi e altre storie

Senza entrare nei dettagli troppo tecnici che ci porterebbero alla radice quadrata di un numero negativo (ossia, ai numeri complessi
e immaginari), vedremo come, per via estremamente intuitiva, il diagramma di Minkowski permette di rappresentare l’Universo di
tutti gli eventi, passati, presenti e futuri, in una sola figura.

Basta saperlo dividere sapientemente attraverso il ben noto cono di luce. Vedremo anche perché il percorso rettilineo è quello più
lungo che congiunge due eventi (come già dimostrato dal paradosso dei gemelli) e, infine, risponderemo alla domanda: “Due eventi
possono invertire il loro ordine cronologico se osservati in sistemi diversi?”. La risposta sarà, “ovviamente”, sì.

Il diagramma di Minkowski dice molto di più di quanto siamo riusciti a descrivere finora. In qualche modo, ci siamo limitati a vedere
graficamente come si possono ottenere le più importanti conseguenze della RR: dilatazione dei tempi e contrazione delle lunghezze.
Siamo riusciti in tutto ciò introducendo una quantità fondamentale e assoluta: l’invariante spaziotemporale s2, che rimane sempre
uguale a se stesso pur cambiando sistema di riferimento.

E’ proprio questa specie di “distanza” che ci ha permesso di tracciare facilmente le iperboli di calibrazione. Un ruolo altrettanto
fondamentale nella descrizione grafica della RR viene giocata dal concetto di relatività della simultaneità. Essa è legata strettamente
al numero di orologi che si devono usare. Se ne usiamo uno solo stiamo utilizzando il tempo proprio che coincide con l’invariante
spaziotemporale. Non per niente, avevamo posto questo invariante uguale a 1 o a -1 per ottenere le curve di calibrazione che ci
regalavano il luogo dei punti che al variare del sistema di riferimento indicavano l’unità di misura. Ci eravamo accorti che il tempo
proprio è sempre visto scorrere più lentamente da un sistema considerato fermo, da cui seguiva, appunto, la dilatazione dei tempi.

Tutti questi concetti vanno compresi e incasellati bene nella propria mente per gustare al meglio la semplicità e le finezze dell’intera
teoria e della sua applicazione geometrica nel diagramma di Minkowski. Un diagramma che assomiglia (per i più anziani) alle tasche
di Eta Beta, amico alieno di Topolino, dalle cui piccole tasche usciva sempre di tutto e di più. Invito, perciò, tutti gli interessati a
leggere e/o rileggere attentamente tutti i capitoli precedenti, cercando di eliminare ogni dubbio.

La parte che conclude lo spaziotempo di Minkowski è, in realtà, la più semplice e intuitiva tra tutte, anche se ha già in sé le ricadute
più importanti da un punto di vista fisico. Essa ci porta all’interno dell’Universo degli Eventi, dove ogni evento acquista la sua vera
essenza nel contesto dell’intero Universo, sia esso passato, presente e futuro. Ci illuderà anche, per un attimo, di poter viaggiare
indietro nel tempo, ma sarà solo un attimo, perché ci accorgeremo subito che certe situazioni sono vietate dalla Natura e dalle leggi
della RR.

Ancora sulla simultaneità relativa

Come già ribadito, Il diagramma di Minkowski permette di comprendere in modo molto diretto tutti i fenomeni descritti in precedenza.
Richiamiamo ancora una volta, ad esempio, come sia immediato il fatto che eventi simultanei in un dato riferimento non lo siano più
in un diverso riferimento. Un concetto che deve essere compreso completamente e che si ricollega perfettamente al numero di
orologi che si devono usare. Ricordiamo ancora che il tempo proprio è il tempo che si misura con un solo orologio, solidale
con il moto del sistema di riferimento. Illustriamo, ancora, questi concetti nella Fig.re 39 e 40.

Nella Fig. 39 vediamo immediatamente che due eventi (A e B) simultanei nel sistema (x,T) non lo sono più nel sistema (x’, T’).
D’altra parte, gli eventi C e B sono simultanei nel sistema (x’,T’), ma non lo sono più nel sistema (x,T).

Figura 39

Nella Fig, 40 consideriamo il moto di un oggetto nel sistema (x’,T’). Esso utilizza solo l’orologio rosso per misurare il suo tempo
(tempo proprio). Quando capitano gli eventi A’ e B’, il sistema (x,T) è costretto a misurarli con due orologi diversi (azzurro e verde).
Analogamente, quando un oggetto si muove nel sistema (x,T), utilizza il solo orologio grigio per misurare il tempo dei vari eventi,
come A e B. Il sistema (x’,T’) deve invece utilizzare due orologi (giallo e marrone).

Figura 40

Sono cose che abbiamo già visto e rivisto, ma vale la pena richiamarle ancora una volta, per essere pronti al nuovo salto
concettuale.

L’Universo degli Eventi

Iniziamo attraverso un approccio “formale” che si riferisce soltanto all’invariante spaziotemporale. Riscriviamo ancora la formula che
lo definisce:

s 2 = T’2 = T2 – x2

Essa ci dice che l’invariante non è altro che il tempo proprio di un sistema che usa un solo orologio. Rappresentiamo quando detto
nella Fig. 41.
Figura 41

Consideriamo la situazione in cui s2 > 0. Cosa vuol dire questa condizione? Introduciamo i valori assoluti delle due quantità T e x
(abbiamo considerato l’inizio degli intervalli invarianti coincidente con l’origine degli assi; altrimenti avremmo dovuto considerare
delle differenze di x e di T).

Affinché l’invariante sia positivo è necessario che:

|T| > |x|

E’ stato necessario introdurre il valore assoluto perché altrimenti avremmo potuto avere T positivo e x negativo e sarebbe stato,
comunque, T > x, ma, eseguendo il quadrato avremmo potuto ottenere s2 = T2 – x2 < 0. Infatti, poniamo T = 3 e x = - 5. Avremmo:

32 – 52 = 9 – 25 = -16.

L’uso dei valori assoluti ci garantisce che se |T| > |x| deve anche essere T2 – x2 > 0. Tuttavia, se:

|T| > |x|

Segue che:

|x|/|T| < 1

Ossia:

v<1=c

Siamo nelle condizione dell’evento A1 con T = TA1 e x = xA = x A1

Attenzione a quello che dico: “La distanza spaziale (xA1) tra i due eventi O e A1 è sufficientemente piccola perché
l’informazione mandata da O possa sempre raggiungere A prima che A1 avvenga”.

Non spaventatevi, mi spiego meglio (anche se non sembra, ho detto una vera banalità…). E’ sempre possibile inviare
un’informazione luminosa tale che tocchi la verticale, passante per A e A1, in AC, con AC che precede temporalmente l’evento A1.

Cosa succede, in pratica, per gli eventi di tipo A1 (ossia quelli per cui s2 > 0)? Possiamo inviare un segnale luminoso (ossia
un’informazione) seguendo la retta che indica la velocità della luce fino a incontrare il punto A che si sta muovendo soltanto lungo
il tempo (ossia è immobile spazialmente nella sua linea di universo). Lo incontra in AC. C’è ancora tutto il tempo che si vuole prima
che avvenga l’evento A1. Siamo arrivati in anticipo e siamo sicuri che la nostra informazione luminosa raggiunga A prima che per A
si verifichi l’evento A1.

Ho raccontato questa piccola “avventura” in un modo che difficilmente si incontra nei testi, sperando di rendere il concetto della
zona in cui s2 è maggiore di zero ancora più chiara di quello che è. La situazione può essere espressa in modo molto più sintetico e
formalmente corretto: per ogni evento di tipo A1 esiste sempre un sistema di riferimento tale che O e A1 siano eventi legati
causalmente. In altra parole, per una certa velocità AMMISSIBILE (inferiore a c), O e A1 rappresentano due eventi “subiti” dallo
stesso punto. O, se preferite , è sempre possibile legare i due eventi attraverso un solo “oggetto” che misuri il tempo con un solo
orologio.

Possiamo facilmente limitare questa zona molto “reale”. Essa è ovviamente confinata dalla condizione:

|T| = |x|
Ossia

s2 = 0

e ancora:

|x|/|T| = c = 1

Questa è proprio la linea che descrive la traiettoria spaziotemporale della luce.

La parte di spaziotempo di Minkowski compreso tra le rette T = x e T = - x rappresenta il luogo di tutti gli eventi che possono essere
connessi al punto O. In poche parole rappresentano il suo FUTURO assoluto. Tutte le linee che vanno da O verso eventi interni a
questa zona rappresentano il possibile futuro di O. Queste linee sono le ben note LINEE DI UNIVERSO. Prolungando le rette della
luce verso la parte inferiore otteniamo una zona simmetrica rispetto all’asse x. Questa zona rappresenta il PASSATO assoluto di O.
In altre parole, ogni possibile evento del passato che può essere collegato ad O (all’istante T = x = 0).

Conviene riassumere quanto trovato finora. Dato un evento O e un evento A1 che appartenga alle zone appena definite, è sempre
possibile trovare un sistema di riferimento inerziale in cui gli eventi O e A1 avvengono nello stesso luogo e sono distanziati solo
nel tempo. Nella zona superiore l’evento A1 segue SEMPRE l’evento O, qualsiasi sia la sua posizione. La regione così individuata
rappresenta il futuro di O. Nella zona inferiore l’evento A1 precede SEMPRE l’evento O e siamo nel passato di O.

Fermiamoci un attimo a riflettere. Non abbiamo fatto altro che introdurre il cono di luce di O. Tuttavia, ci siamo già accorti che il
diagramma di Minkowski ha permesso di rappresentare in una sola figura TUTTO ciò che può aver causato O e che potrà essere
causato da O.

Ritornando all’invariate spaziotemporale, possiamo chiamare ogni intervallo tra O e un qualsiasi altro evento contenuto nelle due
zone appena descritte come intervalli di tipo tempo. Il nome deriva dal fatto che ogni intervallo di questo tipo può essere descritto da
un solo punto con un solo orologio (esiste sempre un sistema di riferimento che abbia OA 1 come asse T’).

Le due linee che corrispondono al valore zero dell’invariante sono le linee relative alla luce e gli intervalli che si misurano su di loro
si chiamano intervalli di tipo luce.

La Fig. 41 ha, però, molto altro da dirci.

Consideriamo la situazione:

s2 < 0

Essa si ottiene quando:

|T| < |x|

Ossia quando:

|x|/|T| = v > 1 = c

Siamo nel caso dell’evento A2. La distanza spaziale tra A2 e O è talmente grande che nessuna informazione può raggiungere
A2 prima che l’evento sia avvenuto. Per poterlo fare dovrebbe viaggiare più veloce della luce. Ne segue che l’informazione
luminosa incrocia la verticale passante per A, DOPO che l’evento A2 è già avvenuto. Sembra di essere in un film di Antonioni:
incomunicabilità, pura incomunicabilità!

Parlando in modo formale: per ogni evento di tipo A2 NON esiste mai un sistema di riferimento tale che O e A2 siano eventi legati
causalmente. In altra parole, per una certa velocità AMMISSIBILE, O e A2 rappresentano due eventi del tutto scorrelati.

Tuttavia, è sempre possibile trovare un sistema di riferimento in cui i due eventi siano simultanei (ossia abbiano la stessa x’). Le
parti a destra e a sinistra del cono di luce indicano eventi A2 che niente hanno a che fare con O da un punto di vista temporale, dato
che l’informazione non riesce a raggiungerne uno partendo dall’altro. Tuttavia, esiste sempre un sistema di riferimento nel quale i
due eventi avvengono nello stesso istante.

in parole ancora più povere, esse rappresentano il PRESENTE per un certo sistema di riferimento. Le due zone comprese tra le
linee di linee (a destra e a sinistra esternamente al cono di luce) possono essere considerate il PRESENTE di O.

Riassumendo:

Per un qualunque punto A2 possiamo tracciare un asse x’ che passi dall’origine O, cioè possiamo trovare un sistema di riferimento
inerziale in cui O e A2 avvengono nello stesso tempo e sono distanziati solo nello spazio. Possiamo, cioè, sempre trovare un
riferimento inerziale in cui gli eventi O e A2 appaiono simultanei.

Gli intervalli invarianti di queste zone sono chiamate, ovviamente, intervalli di tipo spazio.

Anche la parte del diagramma che sembrava del tutto estranea alla realtà, assume una sua consistenza fisica e reale, dato che
rappresenta tutto ciò che esiste nell’Universo e che non può avere contatti causali con O.

In Fig. 42 rappresentiamo, ancora una volta, i vari tipi di intervalli spaziotemporali e i relativi sistemi di riferimento.
Figura 42

In Fig. 43 riassumiamo l’Universo degli Eventi.

Figura 43

Giochiamo con Minkowski

Tutto l’Universo degli eventi è stato rappresentato nel fantastico diagramma di Minkowski, perfettamente in linea con le leggi della
RR. I “giochi” e gli esercizi che si possono compiere con queste semplicissime nozioni, legate strettamente alla definizione
dell’invariante spaziotemporale sono innumerevoli e vanno ben al di là della visione statica che appare. Nello stesso digramma si
può rappresentare la cinematica, la dinamica e la fisica più generale della RR. Non sarà cosa così ovvia e intuitiva, ma un giorno ci
potremo anche provare.

Vorrei, a questo punto, fare una constatazione molto importante concettualmente. La RR è riuscita a demolire i due principali
invarianti della fisica classica: la distanza tra due punti e la distanza tra due eventi nel tempo. Due concetti, che erano
considerati assoluti nella meccanica classica, diventano nella RR relativi al sistema di riferimento. Tuttavia, non tutto è relativo (come
si usa spesso dire a casaccio…). Innanzitutto non lo è la velocità della luce che è addirittura uno dei punti base di tutta la teoria. E
poi ecco comparire l’invariante spaziotemporale, una distanza tutta speciale che risulta costante per tutti i sistemi di riferimento.

Proprio questo invariante ha consentito di interpretare, dal punto di vista matematico, la realtà fisica collocandola in uno spazio a 4
dimensioni entro il quale la distanza tra due eventi viene definita attraverso tale intervallo. Noi ne abbiamo usato solo due,
trascurando y e z, ma sarebbe del tutto immediato inserire queste due coordinate. Non lo si fa sia per non creare figure visivamente
insostenibili, sia per la “scarsa” importanza che esse assumono, quando il movimento avviene solo lungo x.

Tutto sembrerebbe perfetto. Vi è solo una piccola mancanza di simmetria: il segno diverso che hanno, nell’invariante, la x e la T. Si
potrebbe anche eliminare l’asimmetria passando ai numeri complessi e inserire la radice quadrata di -1. Si otterrebbe una formula
perfettamente simile a quella del teorema di Pitagora. Tuttavia, per avere un risultato esteticamente migliore (è poi vero?) si
complicherebbero tragicamente le cose, dato che introdurre la radice quadrata di -1 può essere fatto con la giusta comprensibilità
solo dopo aver introdotto tutta la teoria dei numeri complessi. Preferisco decisamente, come ormai quasi tutta la Scienza ufficiale,
lasciare quel segno meno, poco aggraziato, se volete, ma decisamente più comprensibile per una divulgazione efficiente.

Uno strano teorema di Pitagora

Prima di chiudere questa seconda parte della RR, lasciatemi proprio parlare ancora un po’ dell’invariante e della sua “quasi”
analogia con il teorema di Pitagora. Così facendo troveremo un risultato a prima vista assurdo, ma che nella geometria non euclidea
di Minkowski ci porta immediatamente alla soluzione del paradosso dei gemelli.

Richiamiamo ancora una volta il teorema di Pitagora e confrontiamolo con l’invariante spaziotemporale nella Fig. 44. A sinistra
abbiamo il nostro spazio (x,y) euclideo e a destra lo spaziotempo (x,T) non euclideo.

Figura 44

Ricaviamo d dalla prima:

d = (y2 + x 2)1/2 = y (1 + (x/y)2)1/2

qualunque sia il rapporto x/y, la somma sotto radice quadrata deve essere maggiore di 1, così come la radice quadrata. Risulta
immediatamente che d > y. Beh… lo sapevamo già dalla stessa definizione di Teorema di Pitagora: l’ipotenusa è maggiore dei
cateti!

Passiamo allo spaziotempo di destra. Ricaviamo s:

s = (T2 - x2)1/2 = T (1 - (x/T)2)1/2 = T (1 - v2)1/2

Il rapporto tra x e T non è altro, infatti, che la velocità di un oggetto che si muove lungo OA’. Ricordiamo anche che s non è altro che
il tempo proprio di questo oggetto (misurato con il suo orologio).

v deve sempre essere minore di 1, da cui segue che la radice quadrata è un numero minore di 1. Si può facilmente concludere che:

s<T …. (1)

In poche parole, l’ipotenusa s dello “strano” triangolo spaziotemporale OAA’ è minore del cateto T, malgrado l’apparenza, dovuta al
nostro mondo euclideo, inganni.

Passiamo immediatamente alla Fig. 45 dove abbiamo inserito un triangolo AA’O’ sopra quello precedente.
Figura 45

Dalla parte euclidea a sinistra si ottiene immediatamente che:

OA’ + A’O' = 2d = 2y (1 + (x/y)2)1/2

E quindi:

OA’ + A’O' > OO’

Ancora una volta, non possiamo certo stupirci del risultato…

Non dobbiamo, però, nemmeno stupirci di ciò che succede nello spaziotempo, a destra (la velocità cambia di segno, ma non certo il
suo quadrato):

OA’ + A’O' = 2s = 2T (1 - v2)1/2

OA’ + A’O' < OO’

Questa apparente assurdità può essere espresso con una proprietà ben più generale: la lunghezza spaziotemporale tra due
eventi O e O’ è sempre maggiore di quella di una qualunque altra curva che congiunga i punti O e O’.

In realtà, noi abbiamo dimostrato la proprietà solo per una spezzata formata da due segmenti uguali tra loro. Non è difficile, però,
generalizzare quanto abbiamo trovato considerando una qualsiasi linea curva come composta da un numero molto grande di piccoli
segmenti. Per ognuno di essi varrebbe la (1). Anche se la velocità cambiano da punto a punto la disuguaglianza è confermata. In
pratica, non dovremmo fare altro che sommare la lunghezza di tutti questi trattini rettilinei. Qualcosa del genere:

s = Σ Ti (1 - vi2)1/2

E poi fare tendere a infinito il numero dei trattini. Il simbolo di sommatoria si trasformerebbe in quello di integrale e la curva sarebbe
approssimata perfettamente. Quando continueremo con la matematica ci potremo anche arrivare in modo ben più accurato.

Per adesso, ci basti aver dimostrato la proprietà attraverso due soli segmenti uguali tra loro: se vale per loro DEVE valere per
qualsiasi curva spezzata o continua.

La linea più corta è la più lunga e il paradosso dei gemelli

Raffiguriamo di nuovo quanto appena trovato in Fig. 46. Come dimostrato la linea verde è decisamente più corta di quella rossa.
Figura 46

La linea verde può rappresentare perfettamente quella di un astronave che si muove con velocità v fino a una certa distanza
spaziale dalla Terra rossa (che si muove verticalmente). Quanto abbiamo appena dimostrato ci dice senza ombra di dubbio che la
somma dei due tratti verdi (andata e ritorno) dell’astronave è minore del tratto rettilineo rosso. Ma, su quest’ultimo scorre il tempo
proprio della Terra, mentre sulla linea verde scorre quello dell’astronave. Se ne conclude che il tempo dell’astronave scorre più
lentamente e l’astronauta è veramente più giovane al suo ritorno a casa. Abbiamo risolto immediatamente il paradosso dei gemelli!

Vale, però, anche l’inverso. Sapendo che l’astronauta rimane più giovane, si può concludere subito che la linea verde è più “corta” di
quella rossa!

Si può viaggiare nel tempo con Minkowski?

Il diagramma di Minkowski può anche portarci a viaggi nel tempo? A prima vista sembrerebbe di sì. Consideriamo due eventi A e B
simultanei e spazialmente separati nel sistema (x,T). Vediamo come la stessa situazione si presenta in due sistemi (x’,T’) e (x”, T”)
caratterizzati da una velocità v uguale e di verso opposto rispetto a (x,T). I sistemi di riferimento risultano, quindi, ruotati in modo
simmetrico. Vediamo come si presentano su di loro le coordinate temporali di A e di B. Per trovarle bisogna ovviamente utilizzare gli
assi x’ e x”, come ormai sappiamo molto bene. Ci aiuta la Fig. 47.

Figura 47

Nel sistema (x’,T’) l’evento A segue l’evento B (gli eventi sono quelli che sono in qualsiasi sistema di riferimento; sono le loro
coordinate che cambiano). L’evento A precede, invece, l’evento B nel sistema (x”,T”). Accidenti! Ma allora basterebbe cambiare
sistema di riferimento (legati alla velocità) per potere tornare indietro nel tempo e modificare un evento prima che questo accada in
un alto sistema di riferimento. No, non illudiamoci, sarebbe troppo bello (?) e facile. Guardiamo meglio l’intervallo spaziotemporale
invariante AB. Esso è un intervallo per cui s2 < 0 e, perciò, non può esistere una connessione causale tra A e B. In nessun sistema
di riferimento un segnale di luce è in grado di andare da A a B prima che B accada.
Va bene, direi che possiamo fermarci qui. Di materiale per pensare ce n’è molto.

Un periodo di sospensione … relativistica e poi cercheremo di affrontare la dinamica e la fisica della RR, magari usando ancora il
diagramma di Minkowski (non ve lo assicuro, però…).

Appendice (piccola e buttata lì…)

Quanto detto finora si riferisce soltanto all’evento O e al suo Universo. Immaginiamo un altro evento O' in Fig. 48.

Figura 48

Per quanto detto precedentemente, essi non possono essere legati causalmente. Tuttavia, nel loro passato e nel loro futuro possono
avere avuto “contatti”. Basta rappresentare i loro due coni di luce. Essi hanno una parte comune sia nel passato che nel futuro. Ciò
vuol dire che nel passato un certo evento P può avere influenzato in qualche modo sia O che O', attualmente del tutto sconnessi. Lo
stesso capiterà nel futuro. Eventi come O e O' potranno influenzare un unico evento F. Un certo evento P del passato può benissimo
aver dato luogo sia a O che O', mentre un evento F del futuro può essere stato originato sia da O che da O'. L’evento P e l’evento F
sono, inoltre, collegati secondo una linea di tipo tempo, ossia la linea di universo PF. Tra le linee di universo che si incontrano
partendo da eventi del tutto sconnessi tra loro QUI e ORA vi sono anche le linee di tipo luce, ossia l’informazione… Pensateci un
attimo sopra… questa apparente banalità rimanda immediatamente al fenomeno dell’entanglement… F può contenere
l’informazione sia di O che di O'. D’altra parte O e O' possono avere, anche se irraggiungibili tra loro, l’informazione di P. Non
entriamo, comunque in un argomento che è ben più complesso di quanto possa sembrare. L’accenno serve solo a comprendere
quanto sia illuminante un diagramma come quello di Minkowski

QUI una serie di semplici esercitazioni svolte per prendere confidenza o consolidare la conoscenza del diagramma di
Minkowski

QUI si affronta il tema dell'invarianza delle aree spaziotemporali nel diagramma di Minkowski

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