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Riassunto GUERRE CORSARE

NEL MEDITERRANEO di
Salvatore Bono
Storia Moderna
Università di Pisa (UNIPI)
17 pag.

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1

SALVATORE BONO
GUERRE CORSARE NEL MEDITERRANEO

“Turchi” un tempo veniva usato per dire mussulmani, mentre i corsari


erano magrebini, di Algeri, Tunisi, tripoli e altro.
Il corsaro era un combattente sotto le leggi di uno stato, di una o altra
bandiera. La preda più preziosa erano gli esseri umani, poi anche le merci
o le navi stesse. Anche gli europei praticavano la corsaneria, e come i
magrebini rubavano, depredavano e catturavano schiavi.
Corsari e pirati facevano incursioni anche lungo le coste e dentro terra, i
pirati però erano autonomi e rubavano per loro stessi.
I corsari ottenevano una patente o “lettera di corsa” dalle autorità statali,
era quindi un’attività legale, perciò i corsari dovevano seguire certe regole
e anche consegnare una parte del bottino ricavato.
I corsari catturati avevano un trattamento da prigionieri quali legittimi
combattenti mentre i pirati venivano puniti molto severamente. Spesso i
pirati diventavano corsari per sfuggire alla cattura e per farsi proteggere da
un qualche stato. Spesso però i corsari si comportavano da pirati.
Quando nei secoli XVI e XVIII i vari stati si estesero con i controlli sempre
più lontani, necessitarono di molti corsari per varie motivazioni, i corsari
avevano le basi nei porti di quegli stati che li proteggevano e ai quali in
pratica corrispondevano una quota dei profitti.
Le reggenze magrebine sono la prova o esempio più noto di entità statali
attive e durature come stati corsari. Quindi non è corretto definirli pirati
barbareschi. Tuttavia per le vittime, sia del mare che lungo le coste, essere
assaliti e colpiti o dai corsari o dai pirati era la stessa cosa.
La natura “statale”dei corsari barbareschi va riconosciuta sia che li si
consideri
reggenze o province dell’impero ottomano, sia che vengano considerati
indipendenti.
In tempi moderni la differenza tra corsari e pirati è stata più volte
rimarcata, anche, anche perché noi europei avevamo molti corsari.
Qualcuno tuttavia preferisce usare sempre il termine pirati per sottolineare
la crudeltà di questi stati barbareschi, ponendo l’accento sulla
contrapposizione tra “pirati” mussulmani e”resistenza cristiana”.
Come punto di partenza prenderemo il 1492, non per la scoperta
dell’America ma perché fu l’anno della resa, a gennaio, dell’emirato di
Granada, ultimo territorio islamico in Andalusia. Anno della riconquista
iberica. I sovrani cattolici di Spagna, Isabella e Ferdinando, vollero acquisire
alcune basi sulla costa magrebina per garantire la propria sicurezza, da
Melilla in Marocco nel 1497, fino a Tripoli nel 1510. Di conseguenza gli
spodestati musulmani andalusi, in parte rifugiatisi nel Maghreb, opposero
gesta corsare contro le coste iberiche.
Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l’impero ottomano divenne il
centro della potenza islamica nel Mediterraneo, per questo dominio usò
molto i corsari magrebini (quindi non pirati) che agivano sotto le

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dipendenze del sultano, ottennero ottimi risultati e si insediarono


principalmente ad Algeri.
Il fronte ispanico aveva dalla sua due coraggiosi corsari, i Cavalieri di Malta
e i toscani dell’Ordine di Santo Stefano, oltre a molti corsari “privati”.
Dopo una iniziale prevalenza ispanica nel Mediterraneo, si passò sotto il
dominio delle reggenze corsare e dell’impero ottomano: Tripoli, Algeri e
Tunisi. In Marocco i corsari restarono più indipendenti, pur appoggiando gli
altri.
L’avanzata ottomana verso l’Europa fu arrestata sotto le mura di Vienna nel
1529.
Tuttavia non dobbiamo limitare il conflitto tra gli ottomani e gli europei solo
in ambito religioso. Durante i secoli precedenti ci furono ottimi rapporti tra i
vari stati e anche lunghi periodi di pace. Persino o Stato della chiesa ebbe
rapporti pacifici con gli islamici. L’impero ottomano era un mondo
multiculturale dove vivevano diverse comunità cristiane. Sin dall’inizio
dell’espansione arabo islamica nella seconda metà del VII secolo i seguaci
delle altre religioni monoteistiche poterono restare fedeli al loro credo, solo
che non erano cittadini pari ai mussulmani, in più dovevano pagare una
tassa particolare e, ovviamente, i religiosi non potevano esercitare
proselitismo.
In Europa non c’era unità di intenti contro l’impero ottomano, anzi, nazioni
come la Francia, in guerra contro la Spagna, nel 1536 sancì un accordo con
gli ottomani. Anche i veneziani, che pensavano più al commercio,
mantenevano buoni rapporti con i mussulmani. Tuttavia anche tra gli
islamici le cose non erano sempre lineari, ad esempio gli Iraniani erano in
perenne conflitto con i Turchi.
Il culmine della prevalenza islamica ci fu dopo la disfatta spagnola nell’isola
di Gerba, in Tunisia, nel 1560. Dopo Gerba i Turchi si diressero verso Malta
ma furono fermati nel 1565.
Il pericolo, reale, dei Turchi fu fermato del 1571 con la battaglia di Lepanto
(in Grecia allo sbocco del Golfo di Corinto) quando gli europei, con il Papa e
Venezia, si unirono con la Lega Santa. Dopo Lepanto finì anche il
complesso di inferiorità (reale) dei cristiani di fronte ai mussulmani. Questo
però non portò a nulla perché vari stati erano presi ognuno dalle proprie
esigenze commerciali e politiche. La Spagna si preoccupava della ribellione
dei Fiamminghi, i Turchi dei Persiani.
Fatto è che le due superpotenze nel Mediterraneo stipularono un accordo
triennale di pace nel 1578 e da allora, e fino alla guerra di Candia (1645-
1669), più che altro si diffuse l’attività corsara e piratesca.
I corsari provocarono molti danni e gli europei cercarono l’intervento del
sultano turco, ma senza grossi risultati. Gli europei cercavano più che altro
una pace commerciale con le reggenze barbaresche. Anche gli ottomani
agli inizi del 600 cercarono accordi commerciali con l’Inghilterra. In tutte
queste situazioni internazionali i corsari barbareschi non perdevano
comunque occasione di fare bottino quando si presentava l’occasione. Gli
europei si lamentavano molto e a volte riuscivano a ottenere dei
risarcimenti.

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Vari cambi di fronte, attacchi contro i corsari sia da parte inglese che
olandese, guerra tra Ottomani e Veneziani con vittoria dei Veneziani 1645-
1669, ma pochi risultati concreti. Infine, dopo la metà del 600, Inghilterra e
Francia ottennero grandi risultati contro i porti e navi barbaresche. Nel
1676 l’Inghilterra distrusse il porto di Tripoli. Ma nel 1679 i Paesi Bassi
riallacciarono rapporti commerciali con il governo algerino causando molti
disagi al resto d’Europa.
I francesi nel 1681 1684 fecero guerra agli Algerini riuscendo a liberare
molti schiavi europei. Nel 1663 1664 ci furono nuove ostilità tra Austria e
Turchia con un nuovo assedio di Vienna nel 1683, intervenne di nuovo la
Lega Santa con la Polonia, Austria e Venezia fino a costringere i Turchi a
ritirarsi.
Sul finire dell’800 l’impero ottomano risulta sempre più debole rispetto agli
stati europei.
Ci fu l’occupazione dell’Egitto fatta da Napoleone e poi gli Inglesi. Comincia
anche l’influenza e il controllo coloniale europeo su gran parte del mondo
arabo nel Mediterraneo. La fine dell’attività corsara si può indicare nel
1830, quando la Francia occupa l’Algeria dando il via al colonialismo
europeo.

In tutto questo è poco opportuno parlare o richiamarsi alle religioni, poiché


in verità non ci sono nessi logici tra azione corsara e religione.
Anche se in passato lo facevano molti storici, in età moderna molti
spiegano la guerra corsara come unica possibilità rimasta ai magrebini di
ritagliarsi uno spazio d’azione e procurarsi risorse. La pirateria in fin dei
conti era già diffusa da molti secoli nel Mediterraneo e i barbareschi
avevano già una lunga esperienza.
I magrebini inoltre avevano necessità di attività corsare a causa
dell’arretratezza del paese, miseria e ritardo tecnico, anche poca marina
mercantile.
Anche se qualcuno parla di guerra santa o di jihad, in realtà era una
normale espansione territoriale di un impero che voleva crescere. Tuttavia
studiosi islamici non negano anche una spinta o motivazione religiosa alle
conquiste. Per loro è ben presente quanto i valori religiosi contino nella
dinamica delle società islamiche.
Altri storici islamici invece dicono che la ripresa della guerra corsare appare
piuttosto come una reazione all’espansione iberica sulla costa magrebina e
anche una risposta all’enorme diffusione del commercio europeo.
Quindi, mentre è corretto riconoscere il concorso del fervore religioso nella
guerra corsara sin da dopo la caduta di Granada del 1492, si possono
anche rilevare altre importanti circostanze socio economiche nel contesto
degli eventi.
Nelle riflessioni sul jihad studiosi mussulmani ed europei hanno evidenziato
le molte interpretazioni nel corso del tempo. Il re Hasan II nel 1997 disse: “
la parola jihad ha più significati, affermatasi nel corso storico, e la sua
traduzione è discussa. Il significato datole nel Corano presenta difficoltà di

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interpretazione poiché quella classica, di guerra santa offensiva, si oppone


a quella dei riformisti, di guerra difensiva o “guerra giusta”.

L’equipaggio di navi mercantili alla vista di un corsaro barbaresco se


valutava di non poter opporre resistenza, sceglieva di abbandonare la nave
salvando la propria libertà con la fuga a terra, anche perché in genere la
navigazione si svolgeva lungo le coste. Il cabotaggio.
Altrettanto era radicato il terrore dell’assalto corsaro nelle popolazioni
costiere, terrore trasmesso di generazione in generazione.
A uno dei vantaggi cui potevano contare i corsari barbareschi è stata
prestata poca attenzione, pur se ogni reggenza, e in ogni reggenza ogni
corsaro, operava in modo autonomo, vigeva molta solidarietà tra loro. La
corsa si praticava con una intesa cordiale tra corsari.
Tra i tratti che più caratterizzano le guerre corsare nel Mediterraneo, quella
tra barbareschi e stati europei, è rimasto meno evidenziato il più rilevante: i
diversi stati europei on intendevano stroncare l’attività corsara. Ogni stato
cercò, secondo proprie scelte politiche e militari, ci concludere accordi con
gli stati maghrebini per preservare la propria bandiera dalle insidie e dagli
attacchi dei barbareschi, trovando vantaggiosi che i corsari infastidissero la
navigazione commerciale degli altri paesi.
Stati del Nord Europa arrivarono a formali accordi e impegni per la fornitura
di materiali, specie verso la reggenza più temibile: Algeri. Per diversi
motivi, dopo Lepanto, e la riconquista ottomana di Tunisi, i governanti
europei non hanno mai discusso o concordato una lega santa o altre
associazioni volte a stroncare i barbareschi.
Senza considerare gli interessi dei molti mercanti, finanziatori e mediatori
europei dei vari stati, i quali condividevano il profitto ricavato dalla
commercializzazione delle prede e il riscatto degli schiavi. Molte merci
europee non trovavano riscontro nei mercati maghrebini e dunque ai
corsari on restava che rivenderle.
Ancor più in mano agli europei era il sistema dei riscatti di schiavi, da una
parte quelli negoziati dai religiosi di diversi Ordini che venivano nel
Maghreb per la redenzione, dall’altra i riscatti praticati con varietà di
accordi tra privati per la liberazioni di familiari. A mezzo contanti e anche
lettere di credito e o altre modalità. Vi era dunque una fitta rete di operatori
che lucravano sui riscatti.
Francesi e inglesi impedirono ai corsari di danneggiare le proprie navi ma li
lasciarono liberi di danneggiare gli altri. L’attività corsara europea mirava
soprattutto alla cattura di esseri umani, poi quella di merci e beni si di
pregio, ma alle persone non guardavano tanto per il riscatto quanto erano
alla ricerca di manodopera per i lavori più gravosi, a cominciare dai
rematori sulle galee. Oltre naturalmente donne e fanciulli per altri servizi.

E’ difficile stabilire grandezza e quantità delle navi, sia dei corsari che dei
corsari privati europei. Le attività corsare erano pratica da molti attori
doversi, dalle potenti flotte statali, come quelle guidate dal turco

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Barbarossa o dal genovese Andrea Doria, sino alle piccole unità che
agivano da sole.
Le navi nel 500 e nei primi del 600 erano prevalentemente a remi,
manovrate da braccia di centinaia di uomini abituati a simili sforzi.
Dal 600 inoltrato divennero sempre più diffuse le navi a vela e i barbareschi
dovettero farsi addestrare dai marinai del Nord Europa, olandesi e inglesi
specialmente, all’inizio le navi integravano il sistema propulsivo delle vele
con i remi.
Schiavi al re mo erano anche molti europei in maggioranza ucraini sulle
galere ottomane, ma anche occidentali come tedeschi o spagnoli. Anche
molti protestanti condannati per la loro fede religiosa.
In ogni squadra avevano un rango preminente due galere, la prima era la
Capitana e la seconda la Padrona, con maggior velatura e una poppa più
grande per ospitare le cabine del comandante o di personaggi illustri.
Il numero di uomini a bordo cresceva a seconda del tipo delle navi. I
corsari, specie i maghrebini, operavano in preferenza con galeotte e fuste,
imbarcazioni più piccole e snelle rispetto alle galere. Numerose unità delle
loro navi provenivano da cantieri di altri stati o erano le prede catturate,
poi adattate e rinnovate.
Un vascello di Danzica, che aveva portato il nome del sovrano Augustus III
Rex Poloniae, caduto in mani algerini, per tre anni – 1749 – 1751 divenne la
nave ammiraglia della reggenza maghrebina.
1Verso la fine del secolo il console francese ad Algeri, Vallière attestava che
il Re di Danimarca invia ogni anno come tributo alla reggenza di Algeri un
bastimento carico di palle, polveri, cordami ecc., così come faceva anche
l’Olanda. Ad attestare la collaborazione di stati europei per tenersi buoni i
corsari.

Tra i corsari del Mediterraneo i più conosciuti sono quelli barbareschi,


aggettivo introdotto nel linguaggio europeo fra il 500 e il 600 – cioè le tre
reggenze del Maghreb: Algeri, Tunisi e Tripoli, comunemente conosciute in
Europa come covo dei pirati. I turcologi e gli studiosi ottomani tendono a
considerarli come parte integrante dell’impero, mentre gli occidentali
tendono più a conferire loro una maggiore autonomia.
Algeri è stata per oltre tre secoli la capitale della guerra corsara
mediterranea da parte islamica, così come Malta alo stesso livello da arte
europea.
Nel 1533 il corsaro Barbarossa fu scelto come da Solimano il magnifico
quale kapudàn pascià, ammiraglio supremo della flotta ottomana e di
quelle con essa schierate in momenti di maggior impegno, come la
battaglia di Lepanto, dove sarà presente una squadra algerina di
dimensioni poco minori rispetto ai tempo del Barbarossa.
Al Algeri barbaresca l’autorità più elevata era il rappresentante del sultano,
nominato da Istanbul come beylerbey (governatore generale) o pascià,
ma i centri di potere erano la taifa, organizzazione che riuniva i raìs,
capeggiata dal capitano della taifa, di milizia turca.

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Altro grande centro della corsa mediterranea è stata l’antica città di Salè,
affiancata alla costa marocchina atlantica, sulla riva destra del fiume Bu
Regreg, mentre sul’altra riva si trova l’antica fortezza, la Kasbah, oggi
inglobata nella moderna Rabat.
Salè, dopo aver offerto riparo andalusi musulmani, dopo la conquista
spagnola di Granada, dovette la sua fortuna all’arrivo degli hornacheros,
i moriscos di Hornachos, città dell’Estremadura.
Sin dalla prima metà del 500 anche la flotta ottomana effettuò azioni
corsare, guidate da Khair ed-Din Barbarossa e poi da altri ammiragli,
persino nel 1620 le galere turche si presentarono nell’Adriatico. La flotta
ottomana era strutturata in diverse squadra. La squadra imperiale era al
comando del kapudàn pascià, carica a cui arrivarono Barbarossa e poi
Ulucciali.
In analogia ai barbareschi, troviamo da parte europea due Ordini
cavallereschi a carattere eminentemente marinaro e istituzionalmente
votati a contrastare i colleghi musulmani e a compiere parallele azioni di
rappresaglia e attacco. Il più antico è quello dei Cavalieri di Malta.
Al vertice c’era il gran maestro, eletto a vita e assistito da un Consiglio.
Alle risorse economiche per la sussistenza dell’Ordine contribuivano le
eredità di beni mobili e immobili e il denaro.
Nell’organizzazione dell’Ordine i corsari, a livello di capitani di nave,
ufficiali e combattenti, erano gli stessi cavalieri, impegni che divenne
preminente dall’insediamento a malta. Il carattere corsaro della loro attività
spiega bene il fatto che alcuni gran maestri potessero armare a titolo
personale una o più galere che si univano alle atre attività belliche ma i cui
proventi spettavano esclusivamente al gran maestro. Dal finire del 500 per
incrementare l’attività corsara contro i musulmani l’Ordine decise di
rilasciare le patenti di corsa anche ai laici.
In Toscana il 15 marzo 1561 il Granduca Cosimo I dei Medici istituì il Sacro
militare ordine marittimo dei Cavalieri di Santo Stefano, con sede a Pisa, il
porto della flotta era a Livorno. E’ ragionevole opportuno qualificare come
corsari anche gli appartenenti a suddetti Ordini impegnati nel
Mediterraneo.
All’estremità occidentale del Mediterraneo, sulla riva europea, altra
importante zona strategica era Gibilterra, dal 1713 possedimento
britannico. Gibilterra è stata anche ospitale rifugio di corsari, d’intesa con i
colleghi di Tetuàn (città del Marocco settentrionale), dove risiedevano
ricchi mercanti e finanziatori ebrei.

Nello scontro tra le varie fazioni di pirati il fattore religioso, il combattere


l’infedele, era poco presente, ciò si può affermare anche per i corsari
privati europei. Nel concreto operare di tutti i corsari era sempre presente il
calcolo di possibilità di successo prima di attaccare qualsiasi preda. Col
gtempo i barbareschi erano riusciti a incutere nelle potenziali vittime
sempre più timore e sfiducia nella possibilità di resistere all’aggressione,
così da indurle a preferire quasi sempre la resa.

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L’elemento essenziale che distingue un corsaro da un pirata è che il primo


è stato autorizzato a esercitare la corsa da un governo, quello in cui è
cittadino o da quello da cui ha ottenuto la lettera di corsa, o patente.
Le navi corsare potevano verificare, attraverso l’esame della
documentazione di bordo, l’effettiva nazionalità e la proprietà del carico di
altre navi che potevano essere eventuali vittime.
Per il rilascio della patente e dell’autorizzazione a issare la relativa
bandiera, ogni stato prevedeva una cera procedura attraverso cui
assicurarsi che il richiedente possedesse alcuni requisiti personali,
anzitutto probità, quindi assenza di precedenti condanne e poi le capacità
professionali.
Esistevano diversi tipi di contratti tra capitani, proprietari di navi e governi.
Ma come facevano i corsari, e più in generale tutti i diversi interessati a
controllare l’autenticità di documenti redatti da una parte o l’altra in
numerose lingue e con formule diverse? I corsari della reggenza, così come
altri responsabili di navi, si munivano di copie in bianco, senza il nome del
beneficiario, di attestati di vario tipo e controllavano ogni documento loro
esibito, sovrapponendolo alla copia in loro possessore constatandone,
controluce, la perfetta identità, come un qualunque insieme di segni.
Naturalemente spesso ne sorgevano discussioni. Spesso anche i passeggeri
si munivano di una specie di passaporto.
Ogni nave di corsaro privato doveva inalberare la bandiera dello stato dal
quale aveva ottenuto la patente, ma era pratica diffusa esibire astutamente
bandiere diverse da quella effettiva, per confondere capitani e raìs da
attaccare o dalle quali scappare.
L’organismo competente per decidere sulla legittimità di una presa o
dirimere altre controversie corsare era a Malta il Tribunale degli armamenti,
istituito nel 1605. Anche a Nizza fu istituito un Consolato del mare nel 1613.
Capitava a volte che due navi arrivassero sulla stessa preda, era usanza
allora confrontare il numero dei cannoni, chi più ne aveva, maggiore era la
sua parte.

L’allestimento e il controllo dell’attrezzatura era preoccupazioni del


capitano o del raìs, si riteneva che entrambi venissero dalla volontà divina,
da ingraziarsi anche mediante affidabili mediatori e rituali religiosi e magici.
L’attività corsara si adeguava alle previsioni del tempo, in modo da
incontrare più facilmente possibili prede, si usciva in mare dall’inizio della
primavera all’autunno, anche avanzato. Per rifornirsi d’acqua dolce i
corsari scendevano a terra ogni tre o quattro giorni, di solito in località a
essi note, perlopiù in piccole isole vicino alle coste.
Quando andavano in giro i cerca di prede i corsari maghrebini potevano
contare sulla forte solidarietà fra di loro e con gli ottomani, grazie alla quale
in caso di necessità riparavano in piena sicurezza anche nei porti di un altro
paese.
Nella logica della consueta fuga o resa delle vittime, senza resistenza o
senza a lungo protrarla, i barbareschi punivano duramente chi resisteva,
per scoraggiare sempre più ogni diverso comportamento e in fondo per

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eliminare o limitare i morti e i feriti e quindi con perdita di schiavi e


riscatti.

Al vertice delle flotte vi erano comandanti di vario tipo, dal capo supremo il
kapudàn pascià, grande ammiraglio, al qubtàn, generale delle
galere.
Al di là del titolo ad Algeri i comandanti delle forze marittime esercitarono
nel corso del tempo un potere di poco inferiore a quello del pascià, i due
grandi ammiragli prima designati ne sopravanzarono di fatto l’autorità. Nel
sovrintendere alla marina e dunque ai corsari, dai primi decenni del 600
acquisto più potere il “gran divano”, l’assemblea, molto affollata, fino a
2000 membri, dei responsabili militari e civili e dei ras. Più tardi
l’assemblea si ridusse e chiamata “divano” per distinguerla dalla
precedente.
A bordo delle navi maghrebine e ottomane con il compito specifico di
condurre l’assalto alle navi nemiche e di sopraffarne gli uomini armati e
tutti gli altri c’era una milizia armata, i giannizzeri. Milizia riservata come
regola ai turchi venuti dall’Anatolia, un privilegio ben difeso dagli
interessati, fonte di reddito più elevato derivato dalla spartizione del
bottino corsaro.
Il cancelliere del consolato francese ad Algeri nel 1718 ci informa del
reclutamento dell’equipaggio e dei militari fra turchi e mori (algerini): ogni
turco porta un fucile, una spada e una coperta e questo è tutto il suo
corredo, né altri oggetti né altro giaciglio. I giannizzeri sono posti al
comando di un Agà-Bachi, o un altro vecchio militare in qualità di Agha,
capo della milizia e giudice per i membri di essa. Il raìs non può dar caccia
a una nave senza il suo parere, né attaccare combattimento né decidere il
rientro. Nel corso degli anni, tuttavia, aumentò il guadagno del ras e
diminuì quello dei giannizzeri e degli altri marinai. Uno dei primi storici
barbareschi ha descritto in modo vivace l’eterogeneità etnico -
culturale del corpo dei giannizzeri: la milizia d’Algeri si reclutava
dappertutto, i suoi ranghi erano aperti a tutti, esclusi i neri e i figli
di nere anche se da turchi. Il cristiano, l’ebreo, un francese, uno
spagnolo, un moscovita, se si facevano musulmani e prendevano il
turbante, erano ammessi a tutte le cariche dell’invincibile milizia.

Molti europei si islamizzarono e moltissimi divennero raìs. Le vicende di


alcuni rinnegati sono state straordinarie, poiché da umili origini, attraverso
il successo e la ricchezza conseguiti con l’attività corsara, hanno fatto
carriera sino a ottenere ruoli nella vita politica e militare delle stesse
reggenze maghrebine e dell’impero ottomano.
I corsari in genere conducevano una vita semplice e morigerata, ma alcuni,
divenuti molto ricchi, abitarono in confortevoli dimore nel quartiere dei
corsari, vicino al porto, mentre i giannizzeri abitavano in caserme in un
altro quartiere.
A parte i convertiti all’islam inseritisi nella società maghrebina, operarono
attivamente a fianco dei barbareschi anche europei rimasti cristiani. Per

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lavorare con loro non era obbligatorio convertirsi: importava non tanto la
fede come sincerità interiore quanto dimostrare il passaggio da una società
all’altra come scelta convinta e duratura. I protestanti, in genere olandesi e
britannici, considerati nemici assoluti del Papa e dei papisti erano bene
accetti dai barbareschi.

Sulle galere e sulle altri navi a remi un compito molto importante era quello
dell’aguzzino, il quale doveva guidare il ritmo della voga, controllando
disciplina ed efficienza della ciurma con fermezza e anche con crudeltà per
ottenere il massimo impegno. A bordo delle navi c’era il timoniere, il capo
cannoniere, il cambusiere, il maestro d’ascia, il remolaro, il calafato.
Per ogni squadra europea erano previste anche altre figure, come il
cerusico, un auditore (giudice) e un notaio, oltre addetti ai pagamenti.
Figure comunque presenti anche nelle navi barbaresche.
Il compito più duro era naturalmente quello dei rematori, la vera forza
motrice della nave. Sulle galere si praticavano due tipi di voga: a terzarolo,
quando ogni rematore muoveva il suo remo coordinando i movimenti con i
compagni di banco, in tutto tre. Altra voga era a scaloccio, tutti i remato
ridi un banco 4 o 5 ma anche 6 o 7 muovevano un unico remo. Quando
incontravano navi con si scontravano i rematori speravano che l’altra
vincesse in modo tale che, forse, avrebbero riacquistato la libertà. Gli
uomini al remo erano in parte procurati dalla stessa guerra corsara, dalla
cattura e riduzione in schiavitù di uomini, passeggeri, ciurma, equipaggio,
selezionati per età e costituzione. L’impiego degli schiavi è stata una
innovazione dell’epoca moderna rispetto all’età precedente, quando i
rematori erano solo volontari retribuiti, ovvero condannati dalla giustizia a
un periodo di “galera” appunto.
Anche nelle flotte islamiche il palamento era costituito da analoghe
componenti: condannati alla galera, e questi erano meno di quanti non ve
ne fossero sulle navi europee; volontari musulmani, schiavi europei e anche
molti “orientali”, cioè ucraini, polacchi e moscoviti.

Dal 16 secolo la guerra corsara si intensifica molto rispetto ai secoli


precedenti poiché diventa, specie dopo la battaglia di Lepanto 1571, la
forma residua e costante delle ostilità fra i due blocchi politico militare
(ispano italiano e ottomano maghrebino).
Nei tre secoli e più di storia della guerra corsara mediterranea nell’arco
dell’età moderna, si possono individuare tre fasi, facendo riferimento ai
principali protagonisti, gli stati barbareschi.
La prima fase, più movimentata e drammatica, nel corso del 500, e definita
eroica, si intreccia con i grandi eventi del secolo.
Nella seconda fase si affermano e prevalgono i corsari privati, interessati
dunque solo al loro profitto, l’età mercantile, o età dell’oro che finisce nel
1699.
La terza fase, segnata dalla prevalente nazionalizzazione dell’attività
barbaresca, va dal 700 all’occupazione francese di Algeri, nel 1830.

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All’inizio di ogni primavera nelle località costiere dei paesi europei


rinnovavano i timori di sbarchi e razzie. Nel 1536 Barbarossa infastidì le
coste napoletane, l’anno dopo quelle pugliesi. Poi arrivò, già anziano, nel
1547 arrivò fino alla foce del Tevere.
A luglio del 1544 avvenne la più tragica incursione corsara, quella contro
l’isola di Lipari, che procurò ai musulmani, si dice, oltre 7000 schiavi. Altro
corsaro era Dragut, che fece moltissimi danni alle varie coste italiane.

Possiamo definire il periodo che va dalla riconquista musulmana di Tunisi


nel 1574 alla conclusione della guerra di Candia 1669 e forse fino alla pace
di Karlowitz del 1699 (La Lega Santa fu proposta da papa Innocenzo
XI nel 1684 e vi presero parte l'Impero asburgico, la Repubblica di
Venezia e la Confederazione polacco-lituana, a cui si aggiunse
la Moscovia nel 1686. L'alleanza fu creata per respingere, contrastare e
indebolire l'Impero ottomano nella speranza, quanto meno, di non
permettergli la permanenza in Europa) come l’età dell’oro della guerra
corsara.
Nel 1575 i corsari sbarcarono presso Livorno per raggiungere il santuario
mariano di Montenero guidati da un rinnegato, una tradizione racconta che
per un intervento miracoloso persero la vista, o forse l’orientamento, così
che vennero raggiunti e fatti prigionieri.
Nel decennio di Lepanto il grande ammiraglio corsaro era il calabrese
Ulucciali: sotto il suo comando la squadra ottomana, da lui riorganizzata
dopo la sconfitta di Lepanto, condusse con successo potenti forze al
comando di Sinàn Pascià alla riconquista della Goletta e di Tunisi nel 1574.
Nella nuova situazione di maggior equilibrio fra i due blocchi nel bacino
centrale del mediterraneo tornò intensa la guerriglia corsara.
Dagli ultimi decenni del 500 i barbareschi si spinsero con frequenza e
coraggio crescenti anche nell’Atlantico, partendo da Algeri o da Salè e
avendo spesso come meta le Canarie.
Per intensità e ardimento, all’apice delle imprese barbaresche, si collocano
due clamorose incursioni in Europa. Una nel luglio 1627 contro la lontana
Islanda e l’altra a Baltimora sulla costa orientale irlandese nel giugno 1631.
Protagonista fu il raìs Muràd il Grande.
Nello stesso periodo anche i corsari europei compivano numerose imprese .
dei corsari privati però è difficile sapere con precisione le faccende. Le
marine statali invece erano spesso ben documentate anche se avevano
tendenzialmente interesse a nascondere i propri profitti, sui quali dovevano
pagare le imposte. Era più conveniente vendere le prede prima di sbarcare.
Da parte europea razzie e incursioni non erano di solito condotte da unità
statali ma da corsari autonomi. Fra i più attivi i corsari di malta, il cui
spazio andava a oriente della Sicilia, nell’arcipelago greco e in levante.
Anche il magre era minacciato e colpito dai corsari europei, nel 1658 il
francese Thomas Piquet catturò sulla costa algerina circa 80 persone poi
vendute sul mercato di Livorno.
In ogni caso, dall’inizio del 700, almeno in Algeria, se anche l’attività
corsara ha conservato il precedente livello, ha rilievo molto inferiore il suo

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apporto all’economia, poiché una crescente produzione agricola, di grano e


altro, incrementa le esportazioni, la vivace ripresa corsara nell’età
napoleonica sarà un finale di anacronistici fuochi d’artificio.
L’attività corsara europea nel mediterraneo si rivolse o si intensificò anche
verso obiettivi più lontani, le coste della Terrasanta, facendo vittime tra gli
abitanti musulmani o ebrei, provocando rappresaglie da parte islamica ai
danni di religiosi che custodivano i Luoghi Santi e a rischio di pellegrini
cristiani.
Il timore di cadere preda dei turchi – in effetti si trattava di maghrebini o
musulmani delle coste adriatiche – continuava a metà del secolo a essere
così forte che capitani ed equipaggi erano pronti piuttosto a fuggire su
scialuppe, abbandonando la nave e il carico agli assalitori. Ordinanze del Re
di Napoli nel 1751 e 1859 imponevano ai capitani di consultare l’equipaggio
non appena vista una vela nemica, si sperava che la maggioranza cercasse
di difendere la nave.
A causa di minacce corsare dei secoli, l’isola di Ustica era stata
abbandonata e i barbareschi vi trovavano riparo e sosta.
Sino agi anni della Rivoluzione francese l’attività corsara fra europei e
barbareschi segnò un progressivo lento declino, anche per effetto di trattati
di pace e di commercio, per i musulmani forse è meglio indicare tregua, di
cui si è detto, tra stati europei e musulmani, anche se per vari motivi molti
accordi furono infranti, come quello del 1765 tra Toscana e Tunisi.
Vediamo invece che i tradizionali buoni rapporti dei barbareschi con la
Francia consentivano a qui corsari di operare contro le coste liguri, e in
generale tirreniche, anche muovendo da porti della Provenza. Uno
sciabecco algerino, con 18 cannoni e 140 uomini, nel giugno 1780 arrivò a
Bordighera, da Genova si mosse la galea, detta capitana, che raggiunse i
corsari li bombardò e li catturò. Genova festeggiò l’evento, ma i francesi
intervennero costringendo Genova a liberare 60 corsari e a risarcire il
vascello danneggiato con uno nuovo.
Verso la fine del 700 oramai il guadagno era quasi tutto relativo al carico a
bordo piuttosto che dagli eventuali schiavi catturati, il commercio infatti si
era molto diffuso, anche quello proveniente da oltre Gibilterra.
L’ultima fase della guerra corsara esercitata dai barbareschi e contrastata
da marine statali europee è stata finora poco indagata, a parte alcuni
clamorosi episodi, quindi è difficile offrirne una sintesi.
Nella situazione mediterranea una svolta radicale fu segnata dalla fine della
repubblica di Venezia del 1797 e della presenza dei Cavalieri di Malta 1798;
i maghrebini, specie i tunisini, si sentirono molto meno minacciati, specie
per la insperata sparizione dei cavalieri melitensi, e per contro incoraggiati
a rinnovate incursioni nel bacino mediterraneo occidentale. Le coste
italiane furono di nuovo meta principale di azioni barbaresche; nell’estate
del 1798, un promemoria degli armatori di Civitavecchia al Senato della
Repubblica romana lamentò la prodigiosa quantità di corsari usciti nella
stagione in corso.
Si può aggiungere che alla fine del secolo i corsari continuarono a infestare
la navigazione e con audacia inseguivano le loro prede anche sotto il fuoco

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delle batterie costiere. Lentamente poi le attività scemarono. Pur se i


barbareschi erano in declino rispetto all’epoca d’oro, i gravi scompigli in
corso in Europa fecero ritenere che vi fosse, almeno in alcune parti, come
nella penisola e isole italiane, una situazione di debolezza e confusione di
stati e governi tale da rendere possibili audaci progetti.
Negli anni 1815 1818, mentre al Congresso di Vienna i diplomatici
discutevano anche della questione barbaresca, i corsari maghrebini
continuavano le loro attività specialmente contro il regno delle Due Sicilie.
Nel febbraio 1815 si lamentano catture e tentativi di sbarco sulle coste
napoletane. Ma il declino era orami in corso e inevitabile.
Mentre così declinava il ruolo dei barbareschi, con sempre maggior
frequenza e con toni sempre più energici si levavano appelli di politici,
intellettuali e militari per un’azione risolutiva contro i corsari. Il protrarsi
delle loro attività era una umiliazione per l’Europa. La persistenza di
schiavi europei nel Maghreb, appariva una assurda contraddizione rispetto
all’impegno del movimento abolizionista contro la tratta e la schiavitù dei
neri, la prima già dichiarata illegale.
Si denunciava anche la convenienza per l’Inghilterra che “esistano le
piraterie delle Reggenze barbaresche, per così rendere favorita la propria
Marina”.
Nella primavera del 1816 gli inglesi decisero di imporre ai corsari
l’accettazione delle conclusioni di Vienna. Una forte squadra inglese,
presentatasi ad Algeri in maggio, ottenne solo la liberazione di alcuni
schiavi, ma le operazioni continuarono anche con l’appoggio degli Olandesi.
Purtroppo mancava ancora una ferma e concorde volontà politica europea.
La fine dell’attività corsara diventava sempre più inevitabile; anche se i
governi barbareschi cercarono di opporre resistenza facendosi forti della
loro fama con cui avevano terrorizzato per tre secoli le rotte nel
mediterraneo.
Nel 1824 ci provarono gli inglesi di fronte ad Algeri, ma con poco successo.
Nel settembre 1825la marina del regno di Sardegna condusse invece una
brillante operazione contro Tripoli. Anche il regno di Napoli bombardò
Tripoli nel 1828 costringendo la reggenza a firmare un accordo di pace.

Quando si parla di pirati e corsari si pensa subito alle Antille o al Mar dei
Caraibi. Quanto ai barbareschi si pensa ai pirati nel Mediterraneo. Non si
pensa invece ai corsari europei operanti nel Mediterraneo dell’età moderna
a servizio di uno o l’altro governo, specie di Francesi e Inglesi, in ostilità tra
loro o contro gli altri. Proprio un aspetto fra i meno facili da indagare è
costituito dalle intese, esplicite e formali o anche solo tacite o di fatto, che i
corsari europei nell’agire contro gli altri europei riuscirono a stabilire con
governi o con privati musulmani, per ricavarne aiuti e agevolazioni di vario
tipo, ovviamente ricambiati.
Un’attività corsara pressoché costante è stata quella derivata dalla
reciproca ostilità di cavalieri di malta e di veneziani, ne era alla base la
divergenza fra la ragion d’essere dell’ordine di Malta – contrastare la

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presenza musulmana nel Mediterraneo e difendere i paesi cristiani – e, per


contro, la direttiva politica essenziale di Venezia: tutelare la propria attività
commerciale degli scambi fra il Levante e l’Europa. Ma non soltanto i
melitensi si scontravano con i Veneziani, ma anche altre marine, come
quella di Sicilia, si scontrarono con i Veneziani per svariati motivi. Nel caso
di scontri e di vittoria contro corsari privati, europei o islamici che fossero,
e tanto più ovviamente contro i privati, i veneziani andavano per le spicce:
li giustiziavano tutti.

Per tutto il corso del 700 si incrementarono le operazioni corsare esercitate


da europei come fiancheggiamento di conflitti maggiori: spagnoli e francesi
si opposero a inglesi nella guerra di successione spagnola del 1701 1714 e
in quella di successione austriaca del 1740 1748; in alcuni scontri tra
francesi e spagnoli furono coinvolti anche i musulmani, persino con loro
beneficio.
Intorno alla metà del 700, mentre si riduceva la presenza di barbareschi nel
Mediterraneo, si accendeva un’altra guerra europea, quella dei 7 anni
1756 – 1763 . provocata da un ravvivato contrasto anglo francese in campo
coloniale. Nel conflitto l’impero asburgico, mediante l’abilità del conte di
Kaunitz, ambasciatore a Parigi, riuscì a concordare un’alleanza franco-
imperiale – alla quale poi si avvicinò la Russia – contro Inghilterra e Prussia,
un clamoroso “rovesciamento delle alleanze”, come è stato definito. Gli
eventi bellici si svolsero in uno scenario molto vasto, rispetto al quale il
Mediterraneo restò un fronte secondario e per questo vi agirono corsari di
ambo le parti. Nella primavera del 1756 una squadra francese conquistò
Minorca, in possesso inglese dal 1713, con tale facilità che l’ammiraglio
inglese al comando dell’isola fu condannato a morte.
Un’altra guerra, quella scaturita dalla dichiarazione di indipendenza, nel
luglio 1776, dalle 13 colonie del Nord America dalla madrepatria inglese e
dalla asciata degli USA, ebbe una diramazione mediterranea poiché a
sostegno degli insorti americani nel febbraio 1778 si schierò la Francia.
Contro l’Inghilterra si schierò anche la Spagna del 1778, interessata al
possibile recupero di Gibilterra e di Maiorca o meglio ancora Port Mahòn a
Minorca, recuperato in effetti dagli spagnoli nel 1782.
La guerra franco spagnola del 1778 1783 contro la Gran Bretagna si
manifestò nel Mediterraneo come guerra corsara, raggiungendo livelli
molto alti.
Nel quadro mediterraneo dalla seconda metà del 700 si trova una nuova
realtà, la Russia zarista, con l’arrivo dal Baltico passando da Gibilterra di
una potente flotta che annienta la flotta turca a Cesme, presso Smirne,
all’inizio del luglio 1770, anche qui ci furono molte attività corsare. Caterina
II assoldò molti marinai greci, esperti della zona, affinché contrastassero
con azioni corsare i colleghi turchi.
Altre attività vi furono dopo la Risoluzioni francese, dei Francesco contro
l’Austria e poi contro l’Inghilterra.
Non è possibile indicare una data precisa e sicura quale termine ultimo
dell’attività corsara dei barbareschi o degli altri corsari nel Mediterraneo, si

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può utilizzare come termine convenzionale la conquista francese di Algeri


del 1830.

Anche quando gli sbarchi corsari cessarono, se ne può conservare memoria


sulle coste italiane e degli altri paesi mediterranei: le torri costiere, molte
restaurate e comunque in un buono stato di conservazione, molte atre
invece sono andate distrutte. Si possono distinguere in torri di
avvistamento e di difesa, mote più le prime. Per tutti gli europei, erano tutti
“turchi” i musulmani che si potevano avvistare.
Torri saracene, si diceva e si dice ancora talvolta in Italia, con grave
inesattezza, poiché saraceno era l’appellativo usato nel Medioevo europeo
per indicare i musulmani, mentre le torri risalgono quasi sempre al 500 o
anche dopo. In Spagna dove sono altrettanto numerose sono chiamate
Torres de moros. Queste torri possono essere tonde o quadrate, quelle
quadrate erano più adatte all’avvistamento e anche alla difesa, quelle
tonde, più esili, e meno adatte all’artiglieria, solo da avvistamento.
Insieme alla Sicilia e alla Sardegna, la Corsica è stata fra le grandi isole più
colpite dalle incursioni corsare e si è quindi dotata di un gran numero di
torri litoranee di avvistamento e difesa.
Le torri furono molto utili, ma quando arrivava una grande squadra navale,
come quelle guidate dal Barbarossa, riguardava anche le città vicine alla
costa di discrete dimensioni, si pensò dunque alla difesa anche di queste. Il
Papa Paolo III decise di fortificare anche Roma. Dietro le vicende dei
progetti e delle costruzioni per la difesa delle città si scorge un quadro
impressionante di costanti e gravi difficoltà economiche per le istituzioni
responsabili. Un aumento delle tasse che portò anche a diverse
contestazioni da parte dei cittadini, tasse che spesso, per svariati motivi,
cadevano molto spesso solo sulla testa dei meno abbienti.

Attraverso studi si è accertato che la guerra corsara non ha portato a così


grandi guadagni come spesso si è creduto. Si trattava di profitti aleatori e
mediocri. Non vi è dubbio che le imposte sui raccolti, per quanto a volte
scarsi, procuravano risorse più sicure e abbondanti. Più sicure perché gli
scontri non erano sempre vittoriosi e quella guerra causava anche dei
morti. Spesso l’esito favorevole di uno scontro, con la cattura di un certo
numero di uomini e di un’imbarcazione e il suo carico, costava più o meno
la metà di vittime fra gli stessi vincitori. Forse, tutto sommato, i proventi
della guerra non erano per le reggenze che una voce in un bilancio con più
voci anche nelle entrate, ma certamente a trarre profitto dalla
commercializzazione delle prede erano in molti, anche fra gli stessi europei
residenti delle città maghrebine e operanti d’intesa con loro corrispondenti
nei porti europei bel collegati con città corsare.
La norma più diffusa per la spartizione del valore di ogni preda corsara –
toltone ciò che spettava allo stato e ad altri aventi diritto, e le spese – si
potrebbe definire, un fifty-fifty.

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Dall’attività corsara dunque l’erario pubblico di ogni stato traeva


apprezzabili entrate, poiché non solo riscuoteva i proventi dalle tasse di
concessione delle licenze per la corsa, ma si assicurava anche i diritti su
una parte del bottino e poi applicava tariffe doganali sulla vendita degli
schiavi.
Nei porti di arrivo dei corsari o in altri si ponevano in vendita le prede
sottratte all’altra parte – a Livorno, per esempio, quelle catturate su navi
musulmane – ma si vendevano anche quelle trovate su navi europee ad
opera di corsari europei legittimamente operanti. Nel commercio si
trasportava e si commerciava di tutto, ma in prevalenza prodotti agricoli.
Tuttavia non consideriamo solo episodi fortunati e uomini eccezionali: non
era una vita di facile arricchimento quella del corsaro, barbaresco o altri.
Anche nel caso di una cattura di valore non era scontato che si trovasse
presto un acquirente, specie su mercati maghrebini. La maggior parte dei
bottini veniva smerciata in Europa, anche perché le città maghrebine in
genere non avevano clientela adatta. Oppure trovavano mediatori nelle
reggenze che poi rivendevano in Europa. Talvolta gli stessi proprietari delle
navi depredate si affrettavano a rendere nota la loro disponibilità a
riacquistare il loro stesso carco, potremmo dire a riscattare il carico.
Parte di ogni preda era ovviamente la nave stessa catturata, da porre in
vendita con i suo carico, a volte però la nave era così malridotta che era
preferibile affondarla. Una delle precise finalità delle guerre corsare era di
fornirsi d’uomini anzitutto per le esigenze stesse di quel tipo di guerra, per
poi far fronte a tanti altri impieghi e necessità. Si catturavano anche donne,
anziani, fanciulli e bambini poiché anche loro in grado di lavorare e inoltre
donne e fanciulli venivano sfruttati come oggetto di compagnia e di piacere
sessuale. Altri inermi abitanti di una o dell’altra parte sono stati catturati e
ridotti in schiavitù, quando i corsari compivano sbarchi e incursioni in
località costiere o anche dell’interno. L’impiego più diffuso e duraturo degli
schiavi, in particolare negli stati europei, fu come galeotti, cioè rematori
sulle galere o navi simili. Però venivano utilizzati anche nelle città per
lavorio pesanti, di scavo o nelle miniere o nelle saline, ecc. Ad esempio gli
spagnoli li usavano per l’estrazione dell’argento nelle miniere di
Guadalcanal nella Sierra Morena o del mercurio. Dalla metà del 700 molti
schiavi maghrebini furono utilizzati per la costruzione della Reggia di
Caserta ad opera dell’architetto Vanvitelli. Il riscatto degli schiavi europei
ha costituito un’enorme operazione finanziaria che ha fornito risorse ai
corsari, sia privati sia ai governi degli stati barbareschi. Dalle operazioni di
riscatto traevano alt profitti i mediatori, i finanziatori e assicuratori europei.
Gli schiavi avevano due prezzi, uno per il passaggio di proprietà di uno
schiavo all’interno del mondo musulmano o anche europeo, l’altro era il
prezzo di riscatto per la restituzione. Il primo prezzo dipendeva dalle qualità
fisiche e intellettuali dello schiavo, l’aspetto fisico e l’età erano molto
importanti per le donne.

Gli autori europei, quando hanno cominciato a parlare dei corsari, più
spesso qualificandoli come pirati, senza applicare nessuna distinzione tra

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l’uno e l’altro, hanno guardato solo ai pirati barbareschi del Maghreb o


turchi, presentandone l’attività con accenti di deprecazione e di accusa. Le
attività degli europei in genere venivano taciute, o presentate come attività
di difesa.
Altro motivo di interesse verso il nostro tema ci sembra sia la necessità di
controbattere la strumentalizzazione, fatta ai nostri giorni da alcuni
ambienti statunitensi, della cattura e detenzione da parte di pirati
musulmani di schiavi europei e anche americani, tra fine 700 e inizio 800,
senza guardare la reciprocità. In molti autori si possono scorgere, se si sta
attenti alle parole usate, sostantivi, aggettivi, verbi, con sui si esprimono,
non solo simpatie e antipatie, ma anche il riconoscimento di analogie e
differenze, sino a parificare “pirati” di un tempo con i terroristi di oggi.
Ricordiamo che il nome barbareschi richiama la “barbarie”, ma è più
fondata la derivazione da - berber – gli abitanti dell’Africa settentrionale,
presenti prima dell’arrivo delle tribù arabe.
Nel Congresso di Vienna si discusse, accanto a problemi ben più rilevanti,
anche la questione barbaresca, conclusasi con l’occupazione francese di
Algeri nel luglio 1830, avvio del colonialismo europeo nel Mediterraneo, ma
l’evento fu allora celebrato in tutta Europa, come vittoria “cristiana” contro
la “barbarie” dei “pirati musulmani”.
Ci è voluto oltre un secolo per rendersi conto e accettare che tutto si era
svolto esattamente allo stesso modo dall’altra parte del mare, la nostra.
Nelle scelte e nella condotta di corsari d’altri mari è stato visto il
perseguimento di pratiche e ideali “democratici” e “libertari”, nell’intento di
attuare nel loro ambito un ordine sociale diverso. Markus Rediker ha ben
delineato il distacco dalla società occidentale e il desiderio di quei corsari di
rappresentare tutto ciò che veniva temuto, in un atteggiamento sarcastico,
sedizioso e irriverente verso governo, autorità, costumi di benpensanti. I
corsari atlantici sono stati così trasformati dagli storici in eroi ribelli e senza
causa, allegri, anarchici e ardenti democratici, proto marxisti e proto
capitalisti.
Gli storici maghrebini, a parte i pochi interessati ai temi guerra corsara, e
schiavitù, nell’ambito del Mediterraneo, sino a non molti anni fa,
apparivano per lo più restii a ricordare quei fenomeni poiché conservavano
ancora il complesso di imbarazzo e reticenza che la maggioranza degli
storici europei avevano già da tempo superato. Nella storiografia
maghrebina ha prevalso perciò la tendenza a considerare l’attività corsara
come un portato europeo, anche se esercitata dai maghrebini stessi.
Dopo l’11 settembre 2001il discorso pirati e corsari si è spesso collegato ai
terroristi. E’ stata diffusamente affermata una barbarian analogy, del tutto
incongrua, tra i terroristi islamici dei nostri giorni e i corsari maghrebini.
Analogia che ha trovato radici nella forza della memoria, mai superata,
negli USA, delle ostilità che coinvolsero la giovane ex colonia inglese e gli
stati maghrebini, fra l’altro con la riduzione in schiavitù presso i corsari di
alcune centinaia di cittadini americani.

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Ci sono state vari altri accostamenti storici: i pirati con i sottomarini


tedeschi della prima guerra mondiale. Oppure li schiavi di Algeri con i
campi di lavoro forzati nei Gulag sovietici.
Altro assurdo accostamento è quello tra le incursioni dei corsari barbareschi
con gli sbarchi sulle coste italiane o altri paesi europei da parte dei
migranti.
Tuttavia bisogna ricordare invece le attività piratesche di fronte alla
Somalia la Nigeria, l’ Indonesia. Le vicende attuali pur se in scenari lontani,
hanno contribuito a rinnovare l’interesse per le storie dei pirati e dei
corsari.

A far scorgere un grande nemico nei barbareschi ha contribuito la memoria


dei primi conflitti armati condotti dalla giovanissima nazione americana
verso gli stati maghrebini, da Algeri a Tripoli, fra il 1793 e il 1815, e della
cattura, di un gran numero di cittadini americani, forse 700, rispetto a oltre
un milione di europei, ridotti in schiavitù dai barbareschi. Una abbondante
memorialistica, prodotta da moltissimi schiavi americani, una volta tornati
in patria, suscitò sdegno e risentimento verso quei nemici, considerati
pirati, fuori da ogni legge e privi di ogni pietà. Questa demonizzazione
spiega il facile revival dei nostri giorni. Agli americani di oggi, sulla scorta
di quella memoria collettiva e della lettura di captivity tales, è parso ovvio
considerare quegli eventi come illegali sequestri di persona, esose richieste
di riscatto, ingiustificate punizioni e torture, crudeli esecuzioni, simili a
quanto oggi praticato dai terroristi islamici.

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