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2, 9 e 16 ottobre 2010

Conservazione della biodiversità


e piante officinali
del Parco Adda Sud
Prof. Riccardo Groppali
Direttore del Parco Adda Sud

Consorzio Parco dell’Adda Sud


Viale Dalmazia, 10 - 26900 Lodi
Tel.: 0371 411129 - Fax: 0371 417214
www.parcoaddasud.it - info@parcoaddasud.it
1. Biodiversità e sua conservazione

Le specie animali e vegetali che vivono sulla Terra sono almeno 30.000.000:
questo patrimonio di complessità straordinaria, che costituisce la biodiversità
dei differenti ambienti, sta subendo l’attacco da parte dell’uomo e delle
alterazioni ambientali che esso provoca. Noi siamo infatti la prima specie
vivente che è in grado di danneggiare in modo irrimediabile l’ambiente ospite.
Si ipotizza perciò che nel corso di questo secolo potrebbe estinguersi circa la
metà delle specie che ora costituiscono fauna e flora del nostro pianeta.
L’uomo deve quindi modificare rapidamente il suo atteggiamento e la sua
impostazione culturale tradizionale. Anche se la nostra specie, operando
valutazioni puramente economiche e che non computano le conseguenze a
medio-lungo termine, può rinunciare ad ambienti ben conservati per
trasformarli in campi e città, non va mai sottovalutata l’importanza della
conservazione della natura, anche per un suo sfruttamento razionale futuro.
Infatti non può essere in alcun modo definito logico distruggere ciò che non si
conosce, che non si è in grado di ricostruire e che tra l’altro può fornire vantaggi
in numerosi campi, come possono dimostrare alcuni esempi:
• negli anni Settanta è stato scoperto in un’area della montagna messicana,
minacciata dalla messa a coltura, un mais selvatico perenne ed
estremamente resistente alle malattie: i geni di questa pianta hanno
permesso di incrementare produttività e resistenza di alcune varietà
coltivate, ma purtroppo negli ultimi anni il patrimonio genetico dei mais
nativi messicani, anch’essi resistenti e frugali, è stato contaminato
dall’ibridazione con varietà americane geneticamente modificate;
• dalla pervinca rosea del Madagascar sono state estratte sostanze attive
contro tumori prima incurabili, mentre un’altra specie di pervinca
malgascia – non ancora studiata a livello farmacologico – è alle soglie
dell’estinzione per la messa a coltura dell’area che ne ospita l’ultima
popolazione;
• il fagiolo della Nuova Guinea, commestibile in ogni sua parte e dotato di
notevole rapidità di crescita in ambienti caldi, potrebbe – se studiato per
adattarlo a forme moderne di coltivazione – contribuire a risolvere i
problemi di sottonutrizione in vaste aree del mondo.
Inoltre sono in corso di sperimentazione, con risultati spesso entusiasmanti,
numerose sostanze derivanti da animali (veleni di molluschi marini e anfibi
come antidolorifici, componenti della saliva di sanguisughe e di vampiri come
anticoagulanti) e da piante (farmaci da specie d’impiego tradizionale in varie
parti del mondo), oppure utilizzate per nuovi profumi e per differenti scopi
industriali, come le specie che potrebbero risolvere alcuni problemi di
approvvigionamento di alimenti e di materie prime (a rapida crescita per
produrre carta e biomasse, destinabili anche a ottenere energia): è quindi
d’importanza fondamentale non danneggiare questo patrimonio prima di
conoscerne tutte le potenzialità, anche soltanto per sfruttarle eventualmente in
futuro.
Ogni semplificazione ambientale irreversibile, ogni perdita anche delle razze
domestiche di animali e delle varietà delle piante coltivate in passato, non è
recuperabile: semplicemente si dovrà fare a meno di tale patrimonio, con
conseguenze che non possono essere valutate oggi.
La tutela della massima varietà biologica degli ecosistemi (a partire
ovviamente da quelli in miglior equilibrio) costituisce l’unico metodo realmente
efficace per garantire una loro conservazione durevole. Invece in passato si
tendeva spesso a privilegiare un solo aspetto della gestione di ambienti protetti,
sacrificandone di fatto altri non meno importanti: ogni ecosistema può però
funzionare validamente soltanto se vi sono presenti tutte le sue componenti,
anche quelle erroneamente considerate minori, ciascuna delle quali è
fondamentale per la sopravvivenza delle altre.
Ad esempio le piante fiorite dipendono dagli insetti impollinatori che le
fecondano, quelle che producono frutti o bacche non possono fare a meno degli
animali frugivori per la loro disseminazione, e tra predatori e prede e tra
erbivori e piante si instaura quella serie di rapporti di grande complessità che
sta alla base degli equilibri naturali.

2. Parchi e conservazione della natura

Per contrastare un degrado ambientale ormai evidente e in ulteriore


diffusione, è diventata ormai concezione comune che il primo passo della
protezione della natura consista necessariamente nella tutela, la più rigorosa
possibile, di aree particolarmente interessanti classificate come Parchi (con
estensione ampia) o Riserve (di superficie più ridotta). Per questo in ogni paese
del mondo sono state ormai istituite aree protette appartenenti a queste
categorie, allo scopo di salvaguardare almeno il patrimonio ambientale più
prestigioso: si tratta però semplicemente della prima misura finalizzata a una
protezione della natura realmente efficace, mentre le scelte successive sono
molto più problematiche.
Infatti la salvaguardia di piccoli ambiti, anche se di elevato interesse
scientifico, non può né deve sostituirsi alla buona gestione ambientale
dell’intero territorio: aree circondate da vasti spazi divenuti inospitali per la
fauna e la flora spontanee finiscono per non avere alcun rapporto né scambio di
popolazioni con quelle simili, finendo per subire l’estinzione delle specie più
esigenti per eventuali danni ambientali oppure semplicemente per i troppi
incroci tra consanguinei. Inoltre nelle aree protette la salvaguardia va
considerata come valore primario, cui adattare con intelligenza pratica le giuste
necessità delle persone che vi abitano e lavorano. Infatti esse dovranno –
semplicemente per prime, perché il corretto governo del territorio dovrà poi
estendersi anche fuori dai Parchi – modificare alcune abitudini, magari
culturalmente consolidate ma non corrette per una gestione ambientale a lungo
termine.
Bisogna quindi operare un salto di qualità, considerando Parchi e Riserve
semplicemente come i primi laboratori d’una corretta gestione ambientale, che
successivamente – e si spera anche in tempi brevi – verrà estesa anche alle aree
esterne, che attualmente vengono semplicemente lasciate a loro stesse,
sottoposte cioè alle forme di governo spesso distruttive e anche prive di
possibilità di recupero che tutti abbiamo imparato a conoscere.

3. Appunti di storia dei rapporti tra vegetazione e uomo

L’uomo ha sempre visto nella natura una fonte inesauribile di beni, come
dimostrano numerosi esempi di sfruttamento eccessivo e di danni irreparabili
fin dalla prima organizzazione della società umana; inoltre ormai la pressione
sull’ambiente è diventata praticamente insostenibile per la continua crescita
della popolazione mondiale e della richiesta di beni.
Di fronte a dati innegabili, che vanno dalle estinzioni di massa al
riscaldamento globale, si tende però a vedere i nostri antenati come
amministratori più saggi delle risorse disponibili, dalla cui cultura materiale si è
ormai operato un distacco così netto e rilevante da aver originato numerose
delle conseguenze negative attuali. Purtroppo invece non è affatto così, e
l’indispensabile inversione di tendenza dovrà quindi avere basi completamente
nuove.
Ad esempio quando 11.000 anni fa i primi nuclei di cacciatori-raccoglitori
raggiunsero l’Alaska dalla Siberia, camminando sul mare ghiacciato, si
trovarono di fronte un enorme territorio che non conosceva ancora la loro
presenza: in 1.000 anni questi uomini raggiunsero l’estremità meridionale delle
Americhe, provocando con la caccia l’estinzione del 73% dei generi di
mammiferi nel nord e l’80% nel sud. Peraltro anche gli agricoltori primitivi
hanno adottato il medesimo atteggiamento completamente privo di
lungimiranza nei confronti delle risorse ambientali, come dimostra ampiamente
l’esempio della città di Petra, nata come villaggio oltre 9.000 anni fa e poi
abbandonata, per essere scoperta nel 1812 ormai del tutto priva di abitanti. Al
momento del primo insediamento umano il sito era circondato da foreste, che in
epoca romana erano state ormai completamente abbattute, fino a un completo
inaridimento nel 900: per contrastare gli effetti della gestione errata precedente
vennero realizzate cisterne per raccogliere l’acqua piovana e una fitta rete di
canalizzazioni, rese però rapidamente inutilizzabili dalle modificazioni del
clima locale provocate dall’uomo. In ambienti aridi sulle aree private della
copertura vegetale si originano infatti correnti d’aria calda per il riscaldamento
solare delle rocce scoperte, che tendono a dirottare le nubi e a ridurre quindi la
ricaduta di piogge. Nell’ultima fase di vita della città l’ambiente circostante
divenne perciò utilizzabile soltanto per l’allevamento delle capre, che con il loro
pascolo contribuirono a distruggere la vegetazione rimasta e a determinare
l’abbandono della città.
Eppure dalle piante verdi derivano beni e servizi indispensabili alla nostra
sopravvivenza, a partire dalla fornitura di ossigeno. La storia dell’agricoltura,
base della civiltà umana che si è affermata maggiormente a livello mondiale,
dimostra ampiamente come l’uomo dipenda dalle piante coltivate per la sua
alimentazione, e non soltanto per questa. Sono infatti note e ampiamente
utilizzate piante che forniscono sostanze inebrianti (alcool, tabacco e droghe),
spezie per insaporire i cibi, fibre tessili e coloranti, elementi ornamentali (fiori e
piante in case e giardini), farmaci e principi attivi (come la caffeina), profumi,
insetticidi e repellenti contro specie dannose a salute ed economia umane,
sostanze di base per l’industria (legname e cellulosa).
Un esempio dell’importanza di alcuni vegetali nella storia dell’umanità è
visibile ancor oggi in alcuni paesaggi dell’Italia settentrionale con il gelso, le cui
foglie alimentano il baco da seta in Cina a partire da forse 9.500 anni fa: la seta
ottenuta e il suo commercio hanno coinvolto tutto il mondo. L’origine
dell’insetto è oscura, tanto che la specie non sarebbe più in grado di riprodursi
senza essere accudita dall’uomo, ma l’interesse per la seta era tale che vennero
emanate svariate leggi in Occidente per contenerne la costosa diffusione e che il
monopolio della sua produzione venne mantenuto a lungo e con ogni mezzo
dalla Cina. Le alleanze cinesi con sovrani barbari della periferia del loro impero
comportarono però la diffusione del baco, che faceva sempre parte della dote
delle principesse che venivano date loro in matrimonio per suggellare alleanze
politico-militari. Soltanto nel 536 alcuni monaci inviati segretamente
dall’imperatrice bizantina Teodora riuscirono a contrabbandare le uova del
baco, permettendo il suo allevamento e di seguito la nazionalizzazione della
produzione di seta per garantire forti introiti all’erario imperiale. Gli arabi
conquistatori di Bisanzio diffusero poi la sericoltura in Spagna e Sicilia, da dove
dopo la riconquista cristiana venne diffusa in Valpadana e in altre parti
dell’Italia. La coltivazione del gelso, periodicamente capitozzato per la
produzione delle foglie, prese il posto al margine dei campi della vite maritata
di origine etrusca e poi romana, per perdere poi d’interesse economico in
seguito al miglioramento dei trasporti internazionali, con il ritorno della
concorrenza da parte della seta orientale.
Un esempio di maggior portata è fornito dalla canna da zucchero, che iniziò a
far conoscere in Europa un dolcificante alternativo al miele, ma molto più forte,
solo dopo la prima crociata. Per soddisfare a una richiesta sempre maggiore ne
vennero realizzate grandi piantagioni nelle aree climaticamente più favorevoli,
e nelle Americhe a partire dal Sedicesimo Secolo: una volta esaurita la risorsa di
manodopera delle popolazioni locali ridotte in schiavitù, vennero usati per
questa coltivazione gli schiavi rapiti nell’Africa. Ebbe così inizio il Grande
Circuito sul quale si basò la potenza raggiunta da Inghilterra e Francia: con
notevoli guadagni a ogni passaggio l’Europa esportava in Africa manufatti a
buon mercato (determinando anche una forte spinta alla nascita dell’industria
per la loro produzione) che servivano per acquistare schiavi, trasportati nelle
Americhe a produrre beni (zucchero e minerali) che tornavano poi in Europa. In
questo modo, garantendo l’arricchimento straordinario di alcuni paesi europei e
la loro espansione coloniale in tutto il mondo, l’Africa venne privata di almeno
50.000.000 di uomini, donne e bambini. Le popolazioni africane hanno quindi
vissuto a lungo sotto la minaccia costante di aggressione e sono state
periodicamente private di quantità più o meno rilevanti di persone.
Considerando che in mancanza di scrittura la trasmissione delle conoscenze era
verbale, ciò ha determinato anche la distruzione sistematica della cultura locale,
che era affidata a persone che ricordavano pratiche magiche e rituali,
avvenimenti storici e genealogie di famiglie, e che finivano anch’esse per essere
deportate in schiavitù.

4. Dal giardino dei semplici ai farmaci moderni

I nostri parenti più stretti, come vari altri mammiferi, utilizzano piante
contenenti principi attivi per combattere malattie o contrastare squilibri
fisiologici: nulla di strano quindi che anche la nostra specie usi piante o loro
parti per le medesime finalità, con prove certe a partire dall’Età del Bronzo.
Anche se nelle culture materiali del passato la componente magico-rituale
aveva una grande importanza terapeutica, la maggior parte delle piante che
venivano impiegate contengono effettivamente principi attivi.
Il primo approccio scientifico riguardante i farmaci di origine vegetale può
essere fatto risalire al greco Ippocrate e soprattutto al romano Galeno, con il
medico che elaborava personalmente i preparati per i suoi pazienti. In seguito
ebbe notevole importanza la cultura medica araba, sulle cui conoscenze si basò
in Italia la Scuola Salernitana: l’evoluzione tecnico-scientifica portò quindi alla
preparazione di farmaci così complessi da richiedere veri e propri specialisti
nella persona dei farmacisti, che inizialmente esercitavano nei monasteri.
Nacquero così anche i Giardini dei Semplici, nei quali venivano coltivate le
essenze di base (cioè i principi attivi “semplici”) per la cura delle malattie. Il
primo è stato istituito nel 1545 nell’Università di Padova per volere della
Repubblica di Venezia, seguito dall’orto universitario di Pisa a da quello di
Firenze, realizzato per volontà di Cosimo I dei Medici.
Nell’età moderna, con l’approfondimento delle conoscenze botaniche, mediche
e chimiche, i farmaci d’origine vegetale vennero testati e se efficaci riprodotti in
laboratorio, senza rendere più necessaria l’estrazione dalle piante d’origine. I
prodotti naturali vennero quindi abbandonati, per ritornare solo recentemente a
essere oggetto d’un diffuso interesse da parte del pubblico, che tende però a
utilizzarli nell’erronea convinzione che non possano essere mai pericolosi per la
salute.
Ciò ha permesso ai prodotti naturali (o ritenuti oppure pubblicizzati come tali)
di conquistare una discreta quota di mercato, anche con esercizi commerciali
dedicati alla loro vendita, come le erboristerie.
Allegato - Alcune piante officinali del Parco Adda Sud

I dati presentati di seguito sulle piante officinali del Parco, derivanti in


massima parte da “Le piante della salute” (Bianchini F. & Corbetta F., 1975 -
Mondadori, Milano), segnalano quelle più pericolose per la loro forte
velenosità: non va comunque dimenticato che ogni principio attivo, anche se
naturale, dev’essere trattato e soprattutto utilizzato con estrema prudenza e con
la completa conoscenza dei suoi effetti.
Inoltre alcune delle specie elencate sono protette per la loro rarità, ricordando
che comunque la raccolta di qualsiasi pianta – in particolare nelle aree destinate
alla conservazione della natura – dev’essere assolutamente rispettosa
dell’ambiente: una quantità pur modica di prelievi, moltiplicata per un numero
elevato di fruitori, può provocare facilmente danni diretti (con la scomparsa
locale delle specie oggetto di prelievo) e indiretti (con calpestìo del suolo e
disturbo per la fauna).

Achillea Achillea millefolium = coleretica, tonico-stomachica, antispasmodica,


antibatterica.
Agrimonia Agrimonia eupatoria = coleretica e colagoga, cura di gastriti;
esternamente collutorio, risolvente, decongestionante, blando anestetico.
Alchechengio Physalis alchechengi = lassativo, rinfrescante, diuretico, antiurico,
antiossalurico e antigottoso.
Altea Althaea officinalis = contro catarro delle vie respiratorie, gastrite, enterite,
dissenteria, in gargarismi contro infezioni orali e faringee.
Anemoni Anemone nemorosa e ranunculoides = narcotico-sedative, diuretiche,
espettoranti (pericolose).
Aquilegia Aquilegia vulgaris = cicatrizzante (pericolosa).
Aristolochia Aristolochia clematitis = lassativo drastico (pericolosa).
Asparago Asparagus officinalis = diuretico, contro idropisia, reumatismi, gotta,
affezioni cardiache.
Bardana Arctium lappa = contro foruncolosi, seborrea, eczemi e acne.
Betonica Stachys officinalis = contro catarro, flatulenza, affezioni all’apparato
urinario, per uso esterno cicatrizzante.
Biancospino Crataegus monogyna = regolatore cardiovascolare, vasodilatatore.
Bocca di lupo Melittis melissophyllum = sedativa e antispasmodica, diuretica e
antisettica delle vie urinarie.
Borsa del pastore Capsella bursa-pastoris = terapia di metrorragie e menorragie.
Brionia Bryonia dioica = purgativa drastica, diuretica, espettorante (pericolosa).
Camepizio Ajuga chamaepitys = diuretico e antiartritico.
Camomilla Matricaria chamomilla = sedativa, antispasmodica gastro-intestinale,
emmenagoga.
Canapa acquatica Eupatorium cannabinum = incrementa la secrezione biliare.
Celidonia Chelidonium majus = batteriostatica, antiblastica e spasmolitica per
malattie di fegato e vie biliari (pericolosa).
Cicoria Cichorium intybus = depurativa, amaro-tonica, stomachica, colagoga,
lassativa, ipoglicemizzante.
Cimicina Geranium robertianum = collutorio, cura delle contusioni.
Consolida maggiore Symphytum officinale = cicatrizzante e astringente.
Coridale Corydalis cava = narcotica e anestetica (pericolosa).
Corniolo Cornus sanguinea = blando astringente, corteccia tonica e febbrifuga.
Crespino Berberis vulgaris = emostatico e astringente, deprimente respiratorio,
stimolante cardiaco, vasodilatatore e ipotensivo, blando anestetico,
antiprotozoico e antibatterico.
Dulcamara Solanum dulcamara = depurativa del sangue, leggermente diuretica,
lassativa, diaforetica, antispasmodica in reumatismi, stimolante in
mestruazioni irregolari, espettorante (pericolosa).
Edera Hedera helix = emetica, antinevralgica, balsamica ed espettorante per
bronchiti catarrali croniche.
Edera terrestre Glechoma hederacea = espettorante e fluidificante del catarro.
Ellebori Helleborus niger e viridis = cardiotonici (pericolosi).
Equiseto Equisetum arvense = diuretico, emostatico, rimineralizzante,
astringente.
Erba morella Solanum nigrum = sedativa, antispasmodica, narcotica e antisettica,
in dermatologia antiseborroica, antieczematosa, sedativa del prurito
(pericolosa).
Farfara Tussilago farfara = emolliente e bechica, calma la tosse e facilita
l’espettorazione.
Favagello Ranunclus ficaria = riduzione e cicatrizzazione di emorroidi e ragadi
(pericoloso).
Felce maschio Dryopteris filix-mas = antielmintico (pericoloso).
Fior di stecco Daphne mezereum = energico vescicatorio e starnutatorio
(pericoloso).
Fitolacca Phytolacca americana = emetica, purgativa e depurativa (pericolosa).
Frangola Frangula alnus = purgante (pericolosa).
Fumaria Fumaria officinalis = depurativa, tonica, diaforetica (pericolosa).
Fusaggine Euonymus europaeus = purgante drastica (pericolosa).
Galega Galega officinalis = galattogena, ipoglicemizzante.
Gelso nero Morus nigra = espettorante e lassativo (frutti), astringente e
ipoglicemizzante (foglie).
Gramigne Agropyron repens e Cynodon dactylon = depurative e diuretiche,
sudorifere ed emollienti, contro infiammazioni uro-genitali.
Iperico Hypericum perforatum = vasodilatatore, ipotensivo.
Lantana Viburnum lantana = collutorio.
Linaiola Linaria vulgaris = per pomate contro foruncolosi, fistole ed emorroidi.
Luppolo Humulus lupulus = sedativo nervoso, anafrodisiaco, batteriostatico.
Malva Malva sylvestris = emolliente.
Menta acquatica Mentha aquatica = antinevralgica, antispasmodica.
Mercorella Mercurialis annua = diuretica e lassativa.
Mughetto Convallaria majalis = cardiotonico e cardiocinetico (pericoloso).
Ninfea Nymphaea alba = sedativa sessuale (pericolosa).
Noce Juglans regia = astringente, contro eritemi e dermopatie.
Ortica bianca Lamium album = astringente intestinale e uterino, emostatico;
vulneraria per uso esterno.
Orniello Fraxinus ornus = blando purgante, rinfrescante, regolatore intestinale
(mannite).
Ortiche Urtica dioica e urens = astringenti, antidiarroiche, emostatiche,
ematopoietiche, cardiotoniche e ipertensive, diuretiche e decloruranti,
galattogene, ipoglicemizzanti.
Pallon di maggio Viburnum opulus = emmenagogo, in disturbi della menopausa,
antiabortivo.
Papavero Papaver rhoeas = blando sedativo, calmante di tosse e pertosse,
espettorante per bronchiti.
Parietaria Parietaria officinalis = diuretica, emolliente.
Persicarie Polygonum hydropiper, lapathifolium e persicaria = emostatiche.
Pervinca Vinca minor = collutorio, per uso interno tonica e diuretica, depurativa
e antiscorbutica.
Piantaggini Plantago lanceolata, major e media = diuretiche, topiche e astringenti.
Pioppo nero Populus nigra = febbrifugo (corteccia), unguento populneo contro
ragadi ed emorroidi (gemme).
Polmonaria Pulmonaria officinalis = blando emolliente ed espettorante.
Pungitopo Ruscus aculeatus = diuretico e aperitivo.
Querciola Teucrium chamaedrys = stimolante, diuretica, antisettica.
Ranuncoli Ranunculus acris, bulbosus e repens = azione revulsiva molto violenta
(pericolosi).
Salcerella Lythrum salicaria = antibatterica e antiamebica in dissenterie, per uso
esterno collutorio ed emostatico.
Salice bianco Salix alba = antipiretico, antireumatico, sedativo, anafrodisiaco.
Salvastrella Sanguisorba minor = astringente intestinale.
Salvia dei prati Salvia pratensis = contro sudorazione eccessiva e periodici stati
depressivi.
Sambuchi Sambucus ebulus e nigra = sudoriferi, diuretici, lassativi, antireumatici,
antinevralgici.
Saponaria Saponaria officinalis = espettorante, antireumatica, depurativa del
sangue.
Senape bianca Sinapis alba = lassativa.
Senecione Senecio vulgaris = contro amenorrea e dismenorrea (pericoloso).
Sigillo di Salomone Polygonatum multiflorum = emetico ed espettorante, per uso
esterno contro ecchimosi, contusioni e dolori da artrite e reumatismi
(pericoloso).
Spincervino Rhamnus catharticus = purgante drastico (pericoloso).
Stramonio Datura stramonium = antinevralgico, antispasmodico, antiasmatico,
antireumatico (pericoloso).
Tamaro Tamus communis = vulnerario.
Tanaceto Tanacetum vulgare = balsamico, espettorante, febbrifugo e
antielmintico (pericoloso).
Tarassaco Taraxacum officinale = contro insufficienza epatica, gastriti, malattie
renali e colecistiti, dispepsie, amaro-tonico e depurativo.
Tigli Tilia americana, cordata, platyphyllos e x vulgaris = antispasmodico per asma,
tosse convulsa e bronchiti.
Timo serpillo Thymus serpyllum = antisettico intestinale e bronchiale, colagogo,
coleretico, balsamico ed espettorante.
Tormentilla Potentilla reptans = antidiarroica, stomachica, tonica, febbrifuga.
Valeriana Valeriana officinalis = antispasmodica, sedativa, leggermente narcotica,
antiepilettica, carminativa.
Verbaschi Verbascum phlomoides e thapsus = per clisteri antinfiammatori della
mucosa intestinale.
Viola mammola Viola odorata = espettorante, vomitiva, lassativa.
La cura e la salute
delle piante aromatiche
e officinali
Fabiano Oldani
Floricoltura Oldani
PIANTE AROMATICHE E OFFICINALI

Piante aromatiche o piante medicinali?

Vengono considerate aromatiche quelle piante dotate di una o più sostanze


che conferiscono odori o sapori e che vengono impiegate nella preparazione di
bevande, profumi, cosmetici e per condire alimenti.
Secondo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
“pianta medicinale è ogni pianta che contiene, in uno o più dei suoi organi,
sostanze che possono essere utilizzate ai fini terapeutici o che sono i precursori
di sintesi chemiofarmaceutiche”.
Tuttavia queste corrette definizioni non sempre trovano riscontro nella
letteratura corrente, poiché spesso le piante aromatiche e le piante medicinali
vengono riunite in un solo termine “piante officinali”.
In Italia il termine “pianta officinale” è utilizzato anche dalla farmacopea
ufficiale che elenca più di 80 specie botaniche per le quali sono riportati i tipi di
droga, di estratto e le modalità per ottenerle.
Alcune piante, per la natura dei principi attivi che contengono, possono
essere utilizzate sia per uso medicinale che aromatico che cosmetico, altre
invece sono impiegate solo come aromatiche o solo come medicinali.

C’era una volta ...

Nell’antichità la convinzione che le erbe contenessero tutti i medicamenti


necessari all’uomo per le sue malattie non era separata dalla visione magica né
da quella religiosa; sia nell’ambito quotidiano di medicina spicciola ricavata
dall’orto e dal bosco, sia per una medicina più sapiente che spesso debordava in
magia o addirittura in riti di stregoneria.
C’è stato un tempo in cui l’uomo conosceva le piante e stava loro vicino:
spesso le considerava magiche ed ornava gli altari dei suoi dei, oppure cingeva
la fronte dei più puri con corone vegetali.
Anche per il bambino malato, per il padre affaticato, per la madre stanca di
tessere c’era sempre un rimedio nelle erbe custodi di semplici virtù: a volte
bastava un ramoscello o un piccolo mazzo di fiori ed anche se ciò non liberava
dal male era pur sempre simbolo di buon auspicio.
Quando la campagna rasentava i limiti dei borghi cittadini era cosa comune
trovare ai margini dei fossati melissa, malva, borragine. Ora, con l’avanzare
della cementificazione verso la campagna, molte erbe sono scomparse o
comunque sono andate dimenticate. Il legame tra l’uomo e le erbe si è molto
affievolito, mentre bisogna convincersi che anche solo la contemplazione di una
pianta creerebbe una maggiore serenità al nostro spirito di uomini del terzo
millennio, sempre di fretta e sempre stressati.
In passato le piante aromatiche venivano posizionate all’interno degli orti di
campagna, pronte all’uso, oggi sono spesso rilegate ad un piccolo angolo del
balcone di casa o del giardinetto del condominio, spesso coltivate in vaso; sono
pur sempre fonte di colore e di profumo per i nostri sensi e per questo è
importante imparare a conoscerle, distinguerle e apprezzarne le grandi qualità.
La maggior parte di esse esercita i più benevoli effetti sulla digestione,
favorendo la secrezione dei succhi digestivi, a cominciare dalla saliva,
stimolano l’intestino e facilitano l’assimilazione dei cibi.
Ma il potere delle spezie non si ferma allo stomaco. Esse favoriscono la
distensione nervosa nei periodi di esaurimento e di irritabilità, portano sulla
tavola numerose vitamine e altre sostanze indispensabili che spesso i prodotti
animali non ci danno in quantità sufficiente.
Impiegare le erbe aromatiche è come ricevere un aiuto dalla natura e dalle
sue forze armonizzatrici, fattore importante nella vita movimentata che
conduciamo.
... voi cosa ne pensate!?!

Conoscere le piante officinale è uno stimolo per tutti e cinque i sensi: …


Il condimento di una pietanza non deriva solo dal sale, olio e aceto come
siamo tutti abituati, ma bensì anche dall’uso di spezie che conferiscono al nostro
cibo un sapore piacevole, un profumo appetitoso e con un po’ di fantasia anche
un tocco estetico al nostro piatto.
Indubbiamente il più immediato è il gusto che ci regalano a tavola … cosa
sarebbe l’arrosto senza un ramoscello di rosmarino o un brasato senza
l’alloro?!? ... e la pasta al pesto senza il basilico?!
Non secondario è il profumo che emanano, specialmente da fresche, anche
solo appena mosse dal vento le piante di mirto in Sardegna o le lavande della
Provenza, esso ci ha indotto alla produzione di incensi e oli essenziali per
profumare l’ambiente domestico … e la vista?! ... quanti conoscono le varietà
purpurea e multicolore della Salvia Officinale? E il Basilico rosso?
E naturalmente ancora la lavanda con i suoi fiori di diversi colori! Ecco, messe
insieme basta un poco per immaginare un aiuola vivace e variopinta.
Anche il tatto vuole la sua parte naturalmente, avete mai provato a
riconoscere le piante ad occhi chiusi solo toccando le foglie? Può essere un gioco
divertente … sempre che non vi “tocchi” l’ortica!
Lamiaceae (Labiatae)

Le Lamiaceae sono rappresentate da circa 3000 specie diffuse in tutte le parti


del mondo, ma particolarmente nella regione mediterranea, che rappresenta il
principale centro di differenziazione della famiglia. Le Lamiaceae
comprendono sia forme erbacee, annuali (finocchietto selvativo) e perenni
(menta), che forme legnose (rosmarino). L’apparato vegetativo è caratterizzato
dal fusto di forma quadrangolare, dalle foglie opposte e dalla presenza di
ghiandole contenenti oli eterei che emanano caratteristici aromi. I fiori sono
riuniti in infiorescenze costituite da fascetti sovrapposti; ciascun fascetto è
provvisto di 2 foglie bratteali e, talvolta, sono presenti bratteole alla base dei
singoli fiori. Il calice è costituito da 5 sepali saldati a formare un tubo.
Il frutto è racchiuso dal calice persistente, mentre i fiori, salvo rare eccezioni,
sono ermafroditi e la loro fecondazione è operata da ditteri e imenotteri
(famiglie di mosche, formiche e api) attirati dal profumo intenso.
Le Labiatae, come si è detto sono molto diffuse nella regione mediterranea,
dove sono usate tradizionalmente come piante aromatiche e, a questo scopo
coltivate o raccolte, in taluni casi, in natura. Tra le più conosciute si ricordano il
basilico (Ocimum basilicum), il rosmarino (Rosmarinus officinalis), l'origano
(Origanum heracleoticum), la maggiorana (O. majorana), la salvia (Salvia
officinalis), il timo (Thymus vulgaris), la menta (Mentha piperita), la melissa
(Melissa officinalis), la nepetella (Calamintha nepeta); di alcune specie, quali
l'issopo (Hyssopus officinalis) e la lavanda (Lavandula angustifolia), si conoscono e
si sfruttano le proprietà medicinali.
Allo stato spontaneo le Labiatae rivestono notevole importanza, la maggior
parte di loro preferisce gli ambienti aperti e soleggiati, entrando nella
costituzione di macchie mediterranee, pascoli aridi pianeggianti e montani.
basilico lavanda melissa

timo origano menta


ROSMARINO - Rosmarinus officinalis

Appartiene alla famiglia delle labiatae, il suo nome deriva da "ros" rugiada,
balsamo, rosa o da "rhus" che significa arboscello e da "marinos", marino,
ovvero che cresce vicino al mare. In poche parole significa rugiada del mare
questo chiaro se si considera che originariamente il rosmarino cresceva lungo le
coste del Mediterraneo. Volgarmente viene chiamata anche ramerino,
acciughero, erba acciuga. In Grecia viene chiamato Lasmari oppure
Dendrolibano.
Nelle regioni meridionali del mediterraneo il suo profumo è molto
accentuato e in passato veniva usato al posto dell'incenso.
È la pianta mediterranea per eccellenza, legata com’è al mare, al sole e al
calore. Il suo profumo evoca l'estate il calore, i buoni aromi della cucina; nella
sua semplicità strutturale è una pianta di tutto rispetto e carica di dignità, ideale
in macchia di più cespugli che,compatti, formano quasi delle aiuole odorose.
Arbusto con foglie sempreverdi, legnoso e molto ramoso. Ha portamento
eretto e arriva ad un'altezza considerevole, sfiorando i 2 mt. Foglie lineari,
piccole, coriacee di color verde scuro nella pagina superiore e biancastra in
quella inferiore. I fiori sono riuniti in gruppetti all'ascella delle foglie sulla
sommità dei rami, hanno una corolla azzurra con una strutture tipica delle
labiatae.
Il rosmarino cresce spontaneamente in Europa, Asia e Africa lungo le coste
marine o sulle alture in prossimità del mare. In Italia lo troviamo naturalizzato
anche attorno ai laghi come il Garda e l'Iseo. Predilige luoghi rupestri sassosi o
arenosi, irti e soleggiati fino agli 800 s.l.m..
Anticamente veniva usato in Egitto per bagni di purificazione dei rituali
dedicati alle divinità, in quanto era considerato simbolo di immortalità
dell'anima e nelle corone funebri era presente assieme a Mirto e Alloro. I latini
lo utilizzavano per incoronare le statuette dei lari protettori della casa. In Sicilia
era considerata pianta funebre e i suoi rametti venivano passati sulle salme
prima di seppellirle.
Solo dopo l'anno mille si cominciò a sfruttare per usi terapeutici. Si dice che
Napoleone lo usasse per il suo potere di favorire la concentrazione della mente,
fino a consumarne “60 boccette” al mese!
Nel XVI secolo si diffuse in Europa un liquore prodotto dalla regina Isabella
d'Ungheria, ispirata, si dice, ad un angelo. Era un distillato derivato dalla
macerazione di fiori di rosmarino nell'alcol ed era considerato un elisir di
giovinezza. In Inghilterra si ritiene che un rametto di rosmarino portato
all'occhiello dell'abito favorisce qualsiasi impresa.
Il tempo balsamico del rosmarino coincide con l'inizio della fioritura per usi
alimentari, mentre in piena fioritura per la destinazione a olio essenziale.

Coltivazione

Richiede una posizione soleggiata al riparo di muri dai venti gelidi; terreno
leggero,a base morbosa, sabbioso e ben drenato; poco resistente ai climi rigidi e
prolungati, non sopporta molto la neve.
Si può coltivare in vaso sui terrazzi, accertandosi di godere di un drenaggio
ottimale, rinvasando ogni 2-3 anni. La dimensione del vaso deve essere
proporzionata in quanto eccessivi diametri sono inutili; piuttosto considerare
che per un rosmarino è meglio un vaso profondo (accomoda meglio le radici) e
per una menta o timo o maggiorana meglio una ciotola larga (trovano spazio i
rizomi e la naturale crescita tappezzante). Riguardo al substrato si consigliano
miscele di terricci già pronti a base di torba e contenenti inerti (pomice e lapillo
vulcanico) per favorire la percolazione dell’acqua; diffidare di terricci a basso
costo che potrebbero contenere ‘compost’ di dubbia provenienza; esso da
ottimo prodotto per la struttura del terreno può essere dannoso in vaso dove,
nei suoi naturali processi di decomposizione, innesca reazione di eccessiva
umidità e salinità. Consigliato l’uso di un fertilizzante liquido miscelato
all'acqua durante le annaffiature almeno nei periodi di primavera-estate!
In primavera è consigliato rinnovare l’arbusto cimando i getti principali, ….
arrosto a parte … questa pratica aiuta la pianta ad ottenere un aspetto
cespuglioso senza dover ricorrere ad interventi drastici di potatura.
La riproduzione avviene tramite talea apicale e non, o per seme.
La pianta forma i nuovi germogli in marzo aprile, circa in coincidenza del
periodo ottimale di taleaggio; … potremmo unire l’utile al dilettevole!
Per gli appassionati: prelevate un frammento di circa 6 cm da piante vigorose
interratelo per almeno 1/3 della sua lunghezza in un miscuglio di torba e sabbia
(presente in commercio come terriccio per tappeti erbosi), irrigate
abbondantemente una volta e successivamente nebulizzate giornalmente la
talea;con luce e temperatura sopra i 15° in 8 settimane potrebbe essere pronta
per il trapianto.
L’altro metodo di riproduzione è la semina: verso aprile-maggio, in un
contenitore con il medesimo terriccio sopraccitato seminare a spaglio, irrigare,
coprire con tessuto non tessuto, con temperature medie di 18° si potrebbe essere
pronti ad un trapianto in settembre o nella primavera successiva per ritardi di
germogliazione; in caso di piante adulte si moltiplica anche per divisione.

Utilizzo

Il Rosmarino viene utilizzato:


• In cucina o nell'industria degli insaccati come pianta aromatica.
• Come pianta ornamentale nei giardini, per bordure, aiuole e macchie
arbustive, o per la coltivazione in vaso su terrazzi.
• Le foglie, fresche o essiccate, per l'olio essenziale.
• Nell'industria cosmetica come shampoo per ravvivare il colore dei capelli
o come astringente nelle lozioni; nelle pomate per le proprietà toniche.
• Come insettifugo o deodorante ambientale nelle abitazioni, anche
bruciando i rametti secchi.
• In profumeria, l'olio essenziale ricavato dalle foglie, viene utilizzato per
la preparazione di colonie, come l'Acqua d'Ungheria.
• I fiori sono particolarmente melliferi e il miele di rosmarino resta una dei
più costosi per la scarsa disponibilità di piante in natura.

Proprietà medicinali

• Per uso esterno il macerato di vino applicato localmente è antireumatico;


mentre il macerato di alcool revulsivo, viene usato per frizioni anche del
cuoio capelluto; possiede qualità analgesiche e quindi viene applicato
per dolori reumatici, artriti.
• L'infuso viene utilizzato per gargarismi, lavaggi e irrigazioni
cicatrizzanti; o per cataplasmi antinevralgici e antireumatici; aggiunto
all'acqua da bagno serve come corroborante, purificante e per tonificare
la pelle.
• I fiori raccolti da Maggio ad Agosto, hanno proprietà simili alle foglie; in
infuso per uso esterno sono vulnerari, stimolanti, curativi della leucorrea
e per la lotta ai pidocchi pubici.
• Farmacologicamente, si prepara un'essenza e un'acqua contro l'alopecia o
pomate per gli eczemi.
• Dalle foglie, in corrente di vapore, si estrae l’olio essenziale di rosmarino,
per un 1% in peso, liquido incolore o giallognolo, contenente pinene,
canfene, cineolo, eucaliptolo, canfora e borneolo. A seconda del
chemotipo della pianta vengono ottenuti diversi oli essenziali: uno ricco
in eucaliptolo, un altro ricco di canfora ed infine uno in cui abbondano il
borneolo e i suoi derivati. Questi tre oli essenziali hanno differenti azioni
farmacologiche in quanto il primo ha attività balsamica, il secondo
antinfiammatoria (soprattutto per uso locale) e l'ultimo è essenzialmente
un antispastico.
• Nell'uso farmacologico comune l'olio viene usato come eupeptico,
eccitante, antisettico sedativo, e i suoi preparati contro gli stati
depressivi, restituendo vigore intellettuale e fisico alle persone
indebolite.

Controindicazioni!

Il rosmarino (specie l'olio essenziale ricco di canfora) è controindicato in


persone che soffrono di epilessia. Causa infatti, specialmente in casi
d’iperdosaggio, irritazioni, convulsioni , vomito e principi di paralisi
respiratorie.

Preparazioni secondo costumi popolari

Infuso: tonificante e corroborante per le dispepsie gastriche e anticolitico.


20gr per litro d'acqua calda, filtrare e bere molto caldo. Posologia: 2-3 volte al
giorno, fino a scomparsa dei sintomi.
Tintura madre: antispasmodica e digestiva. Si ottiene macerando per 4-5
giorni 20gr di foglie in 100gr di alcool a 60°. Quindi occorre filtrare senza
aggiungere altro. Posologia: dalle 15 alle 30 gocce dopo i pasti fino a scomparsa
dei sintomi.

Ippocrate citava ”… il medico cura madre natura risana …”

Quanto scritto su “Proprietà Medicinali”è a solo scopo informativo ed è


tratto da pubblicazioni, attendibili o meno, in internet. Siate prudenti con gli
esperimenti e … sana cucina a tutti!
Consigli per l’uso salutare
di alcune specie di piante
presenti nel Parco Adda Sud
Dott. Fausto Mearelli
Erbamea
O
ggi siamo molto più consapevoli del fatto che l’utilizzo delle
piante medicinali trova il suo ambito di applicazione nel
mantenere lo “stato di benessere ”cioè “curare la salute” prima che
sopravvenga lo stato di malattia.
Da qui l’importanza, ad esempio, di assumere piante immunomodulanti che
aiutano a mantenere efficienti le difese immunitarie, o piante tonico-adattogene
che ci rendono più “vitali” e pronti ad affrontare gli stress psico-fisici che ci
accompagnano quotidianamente, e anche antiossidanti (polifenoli del tè verde e
dei semi d’uva, flavonoidi di frutta e verdura) che mantengono in buono stato
le strutture cellulari sottoposte a stress ossidativo da parte dei radicali liberi.
Le piante medicinali ci vengono incontro in situazioni di malessere, in quegli
stati non ben definibili in cui una persona non si sente del tutto sana ma
neppure francamente ammalata.
Ognuno di noi conosce per esperienza queste alterazioni che vanno da un
raffreddore ad un problema digestivo, o a un nervosismo passeggero che non ci
lascia dormire tranquilli.
E’ proprio in questi casi che l’uso delle piante, al posto di un più potente
farmaco, può tornare vantaggioso.
Un atteggiamento responsabile prevede di ricorrervi per trattare disturbi non
gravi e senza mai interrompere eventuali terapie farmacologiche in atto senza
prima il parere del medico che le ha prescritte.
E’ quindi auspicabile, in un immediato futuro, da un lato un accrescimento
della consapevolezza degli individui rispetto alle decisioni sulla propria salute,
cosa che coinvolge anche direttamente scelte di stile di vita, e dall’altro
l’abbandono da parte del medico di una medicina essenzialmente paternalistica.
Le piante e l’ecosistema

Le piante sono apparse sulla Terra più di 400 milioni di anni fa, e fin da
allora hanno rappresentato la fonte di base della catena alimentare: se ne
nutrono infatti erbivori e onnivori, che a loro volta rappresentano il cibo dei
carnivori.
Per affrontare le avversità ambientali e sopravvivere ad erbivori e parassiti le
piante hanno dovuto elaborare particolari strategie, tra cui quella chimica.

Le piante, come gli animali, producono ed utilizzano molecole per propositi


che comprendono la difesa, l’aggressione, la comunicazione e la riproduzione.

Le piante: una grande industria chimica!


Ad esempio, per difendersi dagli erbivori, le piante elaborano sostanze come
gli alcaloidi, che intossicano i quadrupedi, oppure i lattoni sesquiterpenici e
gli iridoidi, che conferiscono cattivo sapore alle parti vegetali, o i tannini, che,
oltre a dare un sapore amaro, provocano la comparsa di disturbi, anche gravi,
in funzione della quantità ingerita.
I tannini, se ingeriti in grande quantità (oltre il 50% della dieta), possono
infatti provocare gravi disturbi agli animali da pascolo, come capre e mucche,
perché si legano alle proteine delle mucosa gastrica ed intestinale coagulandole.
L’industria sfrutta proprio questa particolare proprietà dei tannini per la
concia delle pelli.

MEDICINA TRADIZIONALE

L’uomo, convivendo assieme alle piante, ha imparato empiricamente a


sfruttarne le proprietà.
Così ogni cultura ha sviluppato i propri farmaci tradizionali per curare
particolari disturbi.
Alcuni di questi non sono più efficaci della proverbiale “acqua fresca”,
mentre altri contengono molecole di nota attività farmacologica.

L’utilizzo cosciente di piante medicinali è estremamente vario: si va dalle


500-600 specie della tradizione Occidentale alle 3000 della medicina tradizionale
Ayurvedica (India), fino a raggiungere le 5000 di quella Cinese.

IERI E OGGI

Quando si utilizzano le piante bisogna essere consapevoli che il loro uso può
comportare, in alcuni casi, problemi di tipo tossicologico anche non
immediatamente evidenziabili.
Per cui bisogna usare solo le piante che conosciamo bene oppure affidarci a
persone qualificate ed esperte.

Verga d’oro Inula viscosa

Per poter essere utilizzate le piante medicinali sono trasformate in estratti:


infusi, decotti, estratti alcolici, estratti secchi ecc.

In fitoterapia l’attività della pianta medicinale non è attribuita ad un


principio attivo puro (come nei farmaci) ma un fitocomplesso, cioè un insieme
di sostanze che agiscono in sinergia.

Le preparazioni

INFUSO

per preparare un infuso si mettono generalmente 2-3 g di pianta secca,


contusa o in taglio tisana, in un recipiente provvisto di coperchio, contenente
150 ml di acqua bollente.
Si mescola, si chiude il contenitore e si lascia infondere (agitando di tanto in
tanto) per 10 - 15 minuti. Infine si filtra e si beve.
Per fare infusi si utilizzano di solito le parti tenere delle piante come foglie e
fiori.

DECOTTO

Il termine decotto deriva dal latino decoquere, cuocere, e indica un estratto


ottenuto per cottura prolungata.
La decozione si utilizza per semi, radici, legni e cortecce, con tessuti compatti
e poco permeabili, in cui l’acqua ha difficoltà a penetrare ed a solubilizzare i
principi attivi.
Non si applica a piante contenenti principi attivi volatili, come gli oli
essenziali, perché durante l’ebollizione evaporano.
Per fare un decotto si mettono in un recipiente, con coperchio, 2-3 g di pianta
in 150 ml di acqua fredda, si porta ad ebollizione, e si lascia bollire per circa 10-
15 minuti, agitando di tanto in tanto.
Quindi si ritira dal fuoco, si lascia riposare alcuni minuti, mescolando più
volte, si filtra e si beve.

Infusi e decotti devono essere consumati al momento della


preparazione, perché non si conservano.

ESTRATTO IDROALCOLICO

è una soluzione di principi attivi di piante medicinali, che si ottiene


estraendo una pianta, generalmente essiccata, ma anche fresca, con alcol etilico
ad una determinata gradazione alcolica.
Il rapporto ottimale di estrazione è di 1:5, cioè una parte di pianta e 5 di alcol
alla gradazione scelta.
Il grado alcolico della soluzione da utilizzare dipende dalle caratteristiche
chimico-fisiche dei principi attivi che si vogliono estrarre: se la pianta contiene
prevalentemente mucillagini e tannini è consigliabile scegliere alcol a 20-30°,
per saponine e flavonoidi 45-60°, per oli essenziali 60-70°, per resine ed
oleoresine 70-90°.
La preparazione deve essere lasciata macerare per 20-30 giorni in un
contenitore ben chiuso, agitando 1 volta al giorno. Al termine della macerazione
si recupera la parte liquida, premendo bene anche la pianta.
Si fa quindi riposare la miscela per almeno 48 ore, e poi si filtra.
Gli estratti idroalcolici devono essere conservati al riparo dalla luce e da fonti
di calore, in recipienti ben chiusi.
Si conservano a lungo, anche 5 anni, grazie alla presenza dell’alcol che
impedisce a batteri e muffe di crescere.

ESTRATTO OLEOSO

è ottenuto utilizzando un olio vegetale (mais, girasole, sesamo, mandorle,


oliva ecc.) e una droga secca tagliata e contusa, eccezionalmente fresca, come
nel caso dell’Iperico.
Gli oli vegetali sono dei buoni solventi per i principi attivi apolari e poco
polari contenuti nei tessuti vegetali, quali: oli essenziali, carotenoidi, tocoferoli e
steroli.

Nell’estrazione il rapporto Droga/solvente è 1:3 o 1:5, a seconda del peso


specifico della droga da estrarre.
Il tempo di estrazione è di 20-30 giorni, e la preparazione deve essere agitata
tutti i giorni. Può essere fatta a temperatura ambiente o in recipienti riscaldati a
bagnomaria a 40-60°C.
Al termine si recupera l’olio e si filtra.
Gli estratti oleosi devono essere conservati in un luogo fresco e asciutto, in
recipienti ben chiusi, piccoli e pieni ed al riparo dalla luce.
Gli estratti oleosi tendono col tempo ad irrancidire, cambiando sapore ed
odore; per questo è consigliabile addizionarli con un antiossidante come la
vitamina E (0,2-0,5%).
Se ben conservati possono essere utilizzati fino a due anni dalla
preparazione.

Gli estratti oleosi si utilizzano prevalentemente per uso esterno ed entrano


spesso nelle formulazioni cosmetiche.

Tra i più usati ricordiamo:

Calendula fiori Lenitiva, antiarrossante, emolliente

Camomilla fiori Lenitiva, antiarrossante, emolliente

Carota radice Ammorbidente, lenitiva

Elicriso infiorescenze Antiarrossante

Giglio fiore e/o bulbo Antirughe, rassodante

Iperico somm. fiorite Antirughe, rassodante, riepitelizzante,


dopo-sole
SCIROPPO

Nelle vecchie Farmacopee il termine “sciroppo” era riservato a preparati di


consistenza liquida a base di saccarosio.
Oggi questo termine viene esteso a tutte le preparazioni liquide contenenti
come base vari zuccheri (saccarosio, glucosio, fruttosio ecc.).

Lo Sciroppo di zucchero (saccarosio) si prepara sciogliendo a


caldo (bagnomaria) 66,5 g di zucchero in 33,5 g di acqua.

E’ possibile preparare in casa uno “sciroppo fitoterapico”contenente principi


attivi vegetali sostituendo all’acqua da utilizzare nella preparazione dello
sciroppo un infuso o un decotto di una pianta.

Per esempio se volete preparare uno sciroppo per la tosse:


portate ad ebollizione 1/2 litro di acqua, spegnete il fuoco e mettete in infusione 10 g
di petali di Papavero + 10 g di fiori di Verbasco + 10 g di foglie di Piantaggine + 5 g di
semi di anice ben contusi.
Lasciate in infusione 20 minuti e poi filtrare spremendo bene anche le piante.
Nel liquido così ottenuto sciogliete lo zucchero rispettando la proporzione di 2 a 1,
per esempio: 200 g di zucchero + 100 g di infuso.
Conservate lo sciroppo in piccole bottiglie, ben chiuse e al fresco.
EQUISETO
(Equisetum arvense L. e Equisetum telmateia Ehrh.)

L’Equiseto, conosciuto anche col nome di “coda cavallina” è una pianta


singolare.
Come le felci non presenta fiori e semi. Si riproduce infatti attraverso delle
spore pulverulente, che sono liberate dall’involucro che le contiene che si
contrae per effetto della temperatura esterna.
Inoltre, sulla stessa pianta, compaiono in tempi diversi due tipi di fusti:
all’inizio della stagione primaverile, cresce un fusto corto e rossastro fertile
che porta le spore per la riproduzione, poi questo avvizzisce e spunta un fusto
verde molto ramificato, diviso in segmenti, sterile, che è quello che viene
raccolto come pianta medicinale.
Per la presenza elevata di silice, che ne rende ruvidi e rasposi i tessuti, gli
Equiseti erano un tempo impiegati per levigare artigianalmente legno e marmo
e per lucidare in casa gli oggetti di metallo.
Gli antichi romani confezionavano invece con la polvere dei fusti sterili
essiccati di Equiseto mescolata ad argilla ed olio di oliva un “sapone” per pulire
il corpo.
Nella Maremma Senese era tradizione che nel periodo della Quaresima si
raccogliessero i fusti fertili privati degli sporangi, che dopo essere stati scottati
in acqua bollente, venivano infarinati e fritti nell’olio.
Anche in altre zone di Italia venivano consumate come alimento queste parti
della pianta.
In agricoltura biologica l’Equiseto viene impiegato sotto forma di macerato o
di decotto per combattere attacchi di muffe ed insetti dannosi per le colture.

UTILIZZO FITOTERAPICO DELL’EQUISETO


parte usata: fusti sterili
L’Equiseto ha una buona attività diuretica e può essere utilizzato in caso di
cistite, renella e ipertrofia prostatica benigna.
Se ne prepara un decotto al 3% per 10 minuti.
Lo stesso decotto può essere utilizzato per applicazione esterna su piaghe e
ulcere della pelle.
La polvere della pianta viene utilizzata come remineralizzante per le ossa e i
denti, anche se non ci evidenze scientifiche di questa attività.

PIOPPO
(Populus spp.)

Il pioppo è la pianta caratteristica del paesaggio rurale italiano.


Il legno fornisce un ottimo carbone vegetale ed è usato anche nell’industria
cartaria e per la fabbricazione di compensati e mobili.
Nella tradizione popolare emiliana vi era l’usanza, alla nascita di una
femmina, di allestire un pioppeto di dimensioni proporzionali alle risorse
economiche della famiglia, da abbattere al momento del matrimonio per
conferire la dote.

UTILIZZO FITOTERAPICO DEL PIOPPO


parte usata: gemme
Anticamente con le gemme secche di pioppo e le foglie di papavero,
belladonna e giusquiamo, addizionate di grasso di maiale, veniva preparato il
famoso “unguento populeo” per la cura delle emorroidi.
Una variante contadina è quella di pestare bene solo le gemme e addizionarle
al grasso di maiale e olio caldi e cera d’api fusa. Questo unguento serviva per
curare il “mal della coppa” delle bestie da tiro.
Per prepararlo in casa:
si prendono le gemme secche e si mettono a macerare nell’olio di oliva caldo (1 parte
di gemme e 5 di olio) per 1 settimana, tenendo la preparazione a bagnomaria. Quindi
filtrare l’olio con un colino e aggiungere un 15-20% di cera d’api fusa.
L’infuso al 3% per 15 minuti veniva utilizzato come uricosurico nelle
infezioni delle vie urinarie e nelle bronchiti.

OLMO
(Ulmus glabra Huds.)

Il legno dell’Olmo è particolarmente elastico e


resistente all’acqua, per tale motivo viene
impiegato da sempre per realizzare imbarcazioni,
palafitte, pale di mulini e strumenti agricoli.
Con la corteccia essiccata si possono inoltre
ricavare stuoie e corde, o addirittura una tintura
naturale per tingere di giallo la lana.
Un tempo le foglie nuove erano utilizzate come
foraggio per i bovini da giogo e vacche da latte, ma
le dosi dovevano essere fatte con cognizione di
causa, perché un abuso poteva provocare una seria
intossicazione, con esiti anche mortali.

UTILIZZO FITOTERAPICO DEL L’OLMO


parte usata: corteccia fibrosa
I medici dell’antichità classica utilizzavano la corteccia fibrosa (chiamata
libro) per trattare le dermatopatie più ostinate.
Fino a qualche decennio fa l’olmo era usato come rimedio di eccellenza per
acne, foruncolosi, eczemi, impetigine, pruriti in generale, herpes e afte.
La terapia prevedeva l’assunzione per tempi prolungati del decotto della
corteccia fibrosa, accompagnata dall’applicazione esterna di un unguento.
Si può preparare come decotto al 3% per 20 minuti, di cui se ne dovrebbero
bere tre tazze al giorno.
Per preparare l’unguento sciogliere a bagnomaria 50 g di cera d’api,
aggiungere 200 g di olio extra vergine d’oliva e mettere 100 g di corteccia
finemente contusa. Mantenere caldo a bagnomaria per almeno 1 ora, filtrare e
versare nei vasetti.

LUPPOLO
(Humulus lupulus L.)

E’ una pianta dioica, utiilizzata in passato come


rampicante decorativo per pergolati, ma sicuramente più
nota per il suo uso nella fabbricazione della birra, cui
conferisce il gusto amaro.
Ignorata dalla medicina greco-romana, viene citata da Mattioli (fine 1500) che
ne riporta l’uso di mangiarne i teneri germogli crudi o cotti , che purificano il
sangue e sono lassativi; mentre il decotto dei fiori è utile per allontanare la
febbre.
I tedeschi tramandano l’uso popolare di imbottire il cuscino con le
infiorescenze femminili essiccate per favorire il sonno.
In alcuni paesi, a primavera, si consumano i germogli cucinati come gli
asparagi.
Famoso è il riso con i bruscandoli o bruscanzoli, sempre preparato con i
germogli.

UTILIZZO FITOTERAPICO DEL LUPPOLO


parte usata: fiori femminili
Il luppolo viene utilizzato fin dai primi anni del ‘900 per la sua attività
calmante.
Anche modernamente è usato come sedativo nell’irrequietezza,
nell’irritabilità ed nell’insonnia. In questo caso è preferibile utilizzare un
estratto secco o idroalcolico.
L’estratto idroalcolico si prepara mettendo in macerazione 100 g di fiori
freschi di luppolo in 300 ml di alcool a 50° in un vaso di vetro a chiusura
ermetica. Si tiene in macerazione 15 giorni, agitando la preparazione
quotidianamente, poi si filtra e si conserva in una bottiglia ben chiusa. Se ne
assumono 60 gocce in poca acqua due – tre volte al giorno.
Preparato come infuso (0,5 g in una tazza d’acqua bollente per 15 minuti; poi
filtrare e bere) è consigliato invece per stimolare l’appetito e nella dispepsia
gastrica.
ORTICA
(Urtica dioica L. e Urtica urens L.)

L’ortica è una pianta erbacea di cui nel parco se ne


possono trovare 2 specie: Urtica dioica e Urtica urens,
che hanno le stesse proprietà.
I loro germogli e le foglie sono un’eccellente
verdura da cucina, che si prepara come gli spinaci, e
può essere mangiata da sola o in minestre, paste e
frittate.
E’ nota a tutti per le sue
proprietà urticanti, dovute ai peli che numerosi
ricoprono foglie e steli e contengono piccole quantità
di acetil colina, serotonina, acido formico ecc.

L’uso dell’ortica come emostatico efficace per


emorragie nasali e uterine, già indicato da Plinio, si è
popolarmente tramandato per secoli.

UTILIZZO FITOTERAPICO DELL’ORTICA


parte usata: foglie e radice

Le foglie, sottoforma di infuso, 1,5 g in 150 ml di


acqua per 10 min., sono utilizzate tradizionalmente
come antinfiammatorio nel trattamento delle
malattie reumatiche.
Come diuretico aumenta il volume urinario e
l’eliminazione di cloruri ed urea. In questo caso si
consiglia l’assunzione di 1 tazza 3 volte al giorno.
La radice, sotto forma di decotto, 1,5 g in 150 ml
di acqua, è usata per trattare i disturbi della
minzione associati ad iperplasia prostatica benigna.
L’ortica è però sicuramente a tutti nota come rimedio per la caduta dei
capelli.
Proprietà ben nota allo stesso Plinio, che scriveva “defluvia capitis semine illito
cohonestari …”
Modernamente sappiamo che i principi attivi della radice dell’ortica bloccano
l’enzima 5-alfa reduttasi, che trasforma il testosterone in diidrotestosterone,
sostanza che causa l’alopecia androgenetica.
Una preparazione casalinga di lozione per frenare la caduta dei capelli è la
seguente:
Mettere a macerare 100 g di radice d’ortica essiccata e ben tagliata in mezzo litro di
alcol a 30° e 10 g di glicerina, in un vaso di vetro a chiusura ermetica.
Lasciare in macerazione 3 settimane agitando il contenitore tutti i giorni.
Quindi colare, filtrare e conservare in un flacone ben chiuso.
Utilizzare quotidianamente per frizionare il cuoio capelluto.

PARIETARIA
(Parietaria officinalis L.)

E’ una pianta erbacea perenne che cresce preferenzialmente sui vecchi muri.
Il suo nome parietaria si riferisce appunto a questo.
E’ chiamata anche “erba vetriola”, perché un tempo si utilizzava per pulire
bottiglie e vetrate.
Usata già da Dioscoride, la medicina popolare l’ha da sempre utilizzata come
potente diuretico contro cistiti, uretriti, prostatiti, renella, piccoli calcoli renali e
nella ritenzione idrica.
Le foglie pestate nel mortaio erano usate topicamente per le malattie della
pelle e sulle ragadi anali.

UTILIZZO FITOTERAPICO DELLA PARIETARIA


parte usata: foglie
L’uso polare trova anche oggi conferma: l’infuso, 2 g di foglie in 150 ml di
acqua per 15 minuti, è usato in caso di litiasi renale, renella, infiammazioni delle
vie urinarie, Iperuricemia e ritenzione idrica.
L’infuso, per le sue proprietà emollienti, può essere usato anche in presenza
di tosse secca.

PEPE D’ACQUA
(Persicaria hytdropiper L.)

E’ utilizzata dalla medicina popolare ed usata da alcuni guaritori per trattare


le emorroidi, sotto forma di decotto da bere 3-4 volte al giorno.
PORTULACA
(Portulaca oleracea L.)

E’ un’erba infestante dei campi e


degli orti.
Non è utilizzata dalla medicina
popolare.
Si trova su qualche testo di
fitoalimurgia come ingrediente di
insalate a cui conferisce un gusto particolare.
Nella medicina Ayurvedica viene usata come diuretrico, antiemorragico,
antidissenterico e antielmintico.
In Cina è utilizzata nelle appendiciti.
E’ una pianta ricca di noradrenalina, dopamina e levodopa, per cui è molto
utile per chi soffre di Parkinson.

RANUNCOLO
(Ranunculus bulbosus L. e Ranunculus acris L.)

I ranuncoli da freschi sono molto irritanti per la pelle. La medicina popolare


li ha utilizzati solo per uso esterno per quella che viene definita la “cura della
donna di Cassano”.
In caso di sciatica si applica per 2-3 ore, sul piede della gamba colpita,
all’altezza del tarso, il bulbo o la parte aerea fresca e contusa del ranuncolo. Si
forma una grossa vescica con la pelle assottigliata e piena di liquido sieroso, che
deve essere incisa e disinfettata.
Solitamente il risultato del trattamento è buono.

IPERICO
(Hypericum perforatum L.)

L’iperico noto anche col nome di “Erba di San Giovanni” è una pianta
erbacea, alta fino a 70 cm, comune nei prati e lungo le strade. Fiorisce alla fine
di giugno, e viene tradizionalmente raccolta il 24 giugno, il giorno di San
Giovanni appunto.
La medicina popolare l’ha utilizzata, ad uso interno, per trattare cistiti e
affezioni bronchiali.
Il suo uso più noto è stato però soprattutto quello esterno, su scottature,
ustioni, punture, ulcere e piaghe di diversa specie.
Con le sommità fiorite fresche veniva preparato un macerato oleoso,
chiamato impropriamente “olio di Iperico”.
Preparazione dell’olio di Iperico
Mettere a macerare al sole 100 g di infiorescenze fresche di Iperico in 700 g di olio di
extravergine oliva, in un recipiente di vetro trasparente a chiusura ermetica. Lasciare a
macerare per oltre 1 mese, agitando tutti i giorni. Colare quindi l’olio, che avrà assunto
un colore rosso rubino, e metterlo in un flacone ben chiuso, al riparo dalla luce.
Durante la macerazione sarebbe opportuno aggiungere lo 0,2% di Vitamina E come
antiossidante.
UTILIZZO FITOTERAPICO DELL’IPERICO
parte usata: sommità fiorite
A partire dagli anni ’70 l’Iperico è stato studiato per le sue proprietà
antidepressive, dopo che in Germania ne è stato constatato l’effetto positivo su
pazienti affetti da depressione lieve e moderata. A ciò hanno seguito
numerosissimi lavori clinici.
In Germania esistono in commercio numerosi farmaci a base d’Iperico.

PAPAVERO
(Papaver rhoeas L.)

E’ una pianta comunissima sia nei terreni


incolti che come infestante di quelli coltivati. E’
popolarmente nota anche col nome di
“rosolaccio”.
Nelle campagne le foglie tenere venivano
un tempo mescolate crude all’insalata e i germogli e le giovani piante si
consumavamo lessate, anche aggiunte alle polpette di carne.
Fin dall’antichità questo fiore è stato associato al sonno.
Un tempo era consuetudine, ad esempio, mescolare il succo fresco della
pianta al pan cotto per favorire il sonno dei bambini.
L’infuso dei petali del fiore è da sempre utilizzato come calmante del sistema
nervoso e come sedativo della tosse. Il cataplasma è consigliato contro le
infezioni degli occhi e nel mal di denti.

FUMARIA
(Fumaria officinalis L.)

Deve il nome al suo colore grigiastro e ad una credenza popolare: si diceva


che la pianta non nascesse dal seme ma fosse un’”emanazione” della terra. E’
diffusa un po’ ovunque in Italia, nei campi incolti e nelle vigne.
Già nell’antichità era nota per le sue proprietà
medicinali: Dioscoride e Galeno mettevano in
evidenza il suo effetto benefico sulla secrezione
biliare.
Oggi la parte aerea fiorita della pianta viene
utilizzata per le sue proprietà coleretiche,
colagoghe, depurative e diuretiche, anche per il
trattamento di eczemi, acne e psoriasi.

SEMPREVIVO
(Sempervivum sp.)

Il Sempervivum è un genere di piante che


comprende circa 40 specie, spesso difficili da
distinguere.
Il nome deriva dal latino semper, "sempre" e
vivum, "vivo", ed è legato al fatto che queste
piante, oltre a mantenere le foglie durante
l'inverno, riescono a crescere in condizioni anche
molto difficili. Sono capaci infatti di
immagazzinare acqua nelle foglie e di
sopravvivere anche sui terreni assolati e sassosi.
Esse si sviluppano a rosette e ogni rosetta si propaga per mezzo di rosette
laterali. In genere prima di fiorire le piante devono crescere per alcuni anni.
Le foglie sbucciate della cuticola possono essere considerate una sorta di
“pronto di soccorso” per i problemi di infiammazione alla pelle e le scottature.
ROSA CANINA
(Rosa canina L.)

Chiamata anche “rosa di macchia” è un arbusto comune nelle campagne e


nelle colline. Deve il suo nome alle presunte attività attribuitegli nel Medioevo:
si credeva che la radice fosse in grado di curare dalla rabbia derivata dal morso
dei cani.
Dentro ai cinorrodi è presente una peluria molto irritante che i ragazzi di
campagna usavano, per scherzo, buttare nelle scollature delle ragazze.
Le bacche sono ricche di Vitamina C, e con esse si possono fare degli infusi
gradevoli. I semi erano usati un tempo come diuretico.
La rosa canina è anche utilizzata in cucina: con le bacche si preparano infatti
buone marmellate.

BIANCOSPINO
(Crataegus sp.)
E’ un arbusto alto 2-5 m, spinoso e spesso
molto ramificato. I fiori bianchi sono disposti
in un’infiorescenza a corimbo. Talvolta in
campagna viene confuso con il prugnolo
(Prunus spinosa), che però, a differenza del
biancospino, prima fiorisce poi mette le foglie.
La specie più diffusa in Italia è il Crataegus
monogyna; è presente anche il C. oxyacantha. Le
varie specie di Crataegus danno origine ad
ibridi così facilmente, che spesso non è
possibile una loro determinazione precisa. In fitoterapia vengono comunque
usate tutte le specie, l’una per l’altra.
Anticamente le proprietà del Biancospino non erano conosciute: era talvolta
utilizzato come diuretico e astringente.
Dai frutti essiccati nel tardo Medioevo si ricavava una farina, che in tempi di
carestia era mescolata in piccola quantità a quella dei cereali. Con le bacche
fermentate si preparava anche una sorta di grappa.

UTILIZZO FITOTERAPICO DEL BIANCOSPINO


parte usata: foglie e fiori
Solo dai primi del ‘900 alcuni medici Americani hanno scoperto l’interessante
azione cardiaca del Biancospino.
Il suo utilizzo è indicato nelle fasi iniziali dell’insufficienza cardiaca,
soprattutto coronarica e miocadica lieve (stadi I e II, secondo la New York Heart
Association), nel cuore senile che non richieda ancora somministrazione di
glicosidi cardiotonici, contro la sensazione di oppressione cardiaca e per lievi
alterazioni bradicardiche.
Preparati
• Infuso: 2 g di foglie e fiori in infusione per 10 minuti in 150 ml di acqua
bollente; assumere 2-3 tazze al giorno lontano dai pasti.
• Estratto idroalcolico: 90 gocce in poca acqua 2-3 volte al giorno lontano
dai pasti.
• Estratto secco: 150 mg 2-3 volte al giorno lontano dai pasti.

GALEGA
(Galega officinalis L.)

E’ una pianta cespugliosa, perenne


che forma grandi ciuffi nei prati ombrosi
ed è comune nelle pianure di tutta
l’Italia. Fiorisce da giugno ad agosto con
piccoli fiori violetti simili a quelli del
fagiolo.
Presso i vecchi medici aveva reputazione di sudorifera, vermifuga e da
consigliare per le febbri pestilenziali.
Oggi la Galega è usata esclusivamente per la sua attività galattogena sia nella
donna che nelle vacche da latte.
Per stimolare la montata lattea si può preparare un infuso con la sola Galega
o con la Galega assieme ad altre piante: Galega 40%+Finocchio 20%+ Anice
20%+ Carvi 10%.

MELILOTO
(Melilotus officinalis (L.) Pall.)

E’ una pianta spontanea facile da trovare sia nei


campi coltivati che nei terreni incolti. In Italia sono
presenti anche il Melilotus altissimus che viene usato allo
stesso modo, mentre il M. albus e il M. dentatus si
distinguono perché privi di odore.
E’ da sempre utilizzato fin dall’antichità come antispasmodico, sedativo
leggero e per l’insufficienza circolatoria degli arti inferiori.
Anche la Commissione E del Ministero della Salute Tedesco ne indica l’uso
per: insufficienza venosa cronica, dolori e pesantezza alle gambe, crampi
notturni, gonfiori e prurito alle gambe.
L’infuso è adatto come collirio ad azione antinfiammatoria per le irritazioni
della congiuntiva.

SALICE
(Salix sp.)

I salici sono alberi o arbusti con foglie lanceolate che crescono in genere
lungo i corsi d’acqua. Si utilizza in fitoterapia la corteccia di varie specie di
Salice, quali: S. purpurea, S. daphnoides, S.fragilis, S. alba ecc..
Fin dall’antichità, da Plinio in poi, alla corteccia del Salice sono state
riconosciute proprietà antinfiammatorie, antipiretiche ed astringenti. I fiori
erano invece usati come antispasmodici e leggeri calmanti.
Studi moderni hanno dimostrato che il salice contiene salicina e che i suoi
estratti possono essere utilizzati per lievi malattie febbrili, sindromi influenzali,
disturbi reumatici acuti e cronici, lievi cefalee e dolori di origine flogistica.
Per avere dei buoni risultati è importante assumere la giusta dose di principi
attivi: in questo caso almeno 120 mg di salicina 2 volte al giorno.
La Salicina è priva di effetti collaterali.
Il decotto di salice è però ricco di tannini che possono dare fastidio allo
stomaco.

TIGLIO
(Tilia sp.)

I tigli sono alberi che


possono raggiungere i 30
m di altezza e vengono
spesso piantati a scopo
ornamentale nelle città.
Del tiglio si utilizzano i
fiori con la brattea.
Le specie da cui si
raccolgono sono Tilia
platyphyllos, T. cordata e loro ibridi Tilia x vulgaris, anche se in commercio se ne
trovano anche altre come la T. tomentosa.
La medicina popolare utilizza i fiori di Tiglio come antispastico e sedativo
leggero.
Essendo ricchi di mucillagini sono usati, sotto forma di infuso, per le
infiammazioni delle prime vie aeree e nelle tossi secche e anche come
diaforetico in caso di febbre.
L’infuso di Tiglio è adatto anche per i bambini irrequieti.
MALVA
(Malva sylvestris L.)

Malva sylvestris ssp. mauritiana


La Malva è una pianta erbacea perenne alta fino a 80 cm con caratteristiche
foglie palminervie. Si utilizzano le foglie ed i fiori ricchi di mucillagini.
Nota ai Greci con il nome di malachè, che vuol dire molle, la Malva era
considerata un medicamento mucillaginoso emolliente.
I Romani la chiamavano invece già Malva, parola derivata dal verbo mollire,
che alludeva chiaramente alle proprietà emollienti.
Anche modernamente si usa per alleviare l’irritazione delle mucose
orofaringee e per i catarri delle vie respiratorie superiori. E’ utile anche nelle
infiammazioni dell’apparato gastrointestinale.
La medicina popolare ne contemplava anche l’uso esterno, come impacco,
per il trattamento delle ferite, e nelle infiammazioni del cavo orale, in
particolare di origine dentaria, sottoforma di foglie leggermente decotte e
tenute in bocca in corrispondenza della zona tumefatta: cicca di Malva.
Le foglie ancora tenere possono essere lessate e mangiate come gli spinaci.

CENTAUREA
(Centaurium erythraea Raf.)

Il nome popolare “cacciafebbre”ne indica la sua proprietà febbrifuga, mentre


quello di “erba biondella”, la sua presunta capacità accentuare i riflessi biondi dei
capelli . In Germania la chiamano “erba dai mille fiorini”per indicarne il valore.
Il nome “fiele della terra” rappresenta bene il suo sapore amaro e puro, spesso
sfruttato nella preparazione di amari e aperitivi.
L’infuso (1g in 150 ml di acqua) è indicato nella debolezza generale e
convalescenze, nelle dispepsie e nelle parassitosi intestinali.
Per le stesse indicazioni si può preparare un “vino di Centaurea”:
mettere a macerare 8 giorni 60 g di sommità fiorite fresche di Centaurea in un litro
di vino bianco, filtrare e conservare ben tappato al fresco. Bere un bicchierino prima di
ogni pasto.
Un decotto al 10 % può essere usato per lavare capelli e cuoi capelluto nelle
infestazioni da pidocchi.

CAMOMILLA
(Matricaria recutita L.)

E’ sicuramente il rimedio popolare


più apprezzato sin dall’antichità. La
sua storia inizia dagli Egizi che la
consacrarono al Dio Sole in segno di
riconoscenza per la sua efficacia. Fu in
seguito adoperata da Ippocrate e da
Galeno e soprattutto da Castore
Durante, medico del XVI sec.
Oggi si utilizza come antispastico
gastrointestinale e nelle infiammazioni
della mucosa dell’apparato
gastrointestinale (infuso!!!). E’
particolarmente efficace nel
trattamento della gastrite e nella
prevenzione dell’ulcera gastroduodenale.
Per via inalatoria (suffumigi) si usa nelle infiammazioni delle vie aeree.
Ad uso esterno si consiglia nel trattamento di dermatopatie di origine
batterica, disturbi gengivali e del cavo orale.
Come calmante e blando sedativo la sua attività è controversa.

Piantaggine

Plantago lanceolata Plantago major


La piantaggine è una pianta infestante diffusissima in Italia. Non attrae
particolarmente per i suoi colori, per il suo profumo e per i suoi fiori, ma è stata
da sempre utilizzata fin dall’antichità sia per uso esterno che interno.
L’origine etimologica del suo nome per alcuni è da ricercare nel termine
latino Planta (pianta) e da ricondurre alla somiglianza delle foglie con la pianta
del piede, per altri nel significato letterale del suo nome latino "pianta che
agisce“, in allusione alle proprietà medicinali che gia i Romani attribuivano alla
Piantaggine.
I nomi dialettali: Orecchione, Orecchie di coniglio, Orecchie di lepre, fanno
chiaramente riferimento alla forma delle foglie.
Il decotto delle foglie è stato utilizzato dalla medicina popolare come
astringente nelle dissenterie o per gargarismi nel mal di gola, nelle affezioni
della bocca e nelle infiammazioni delle vie aeree superiori. Le foglie fresche
venivano applicate su ferite e contusioni ed il succo delle foglie sugli occhi
arrossati.
Il succo ha una forte attività battericida che l’infuso ed il decotto non
possiedono.
In Germania esistono varie preparazioni a base di Piantaggine autorizzate
dal Ministero della Salute per il trattamento delle malattie dell’apparato
respiratorio e delle infiammazioni orofaringee.
Sciroppo di Piantaggine per la bronchite
Ricetta tradizionale del Trentino
Nel periodo estivo, in un vaso a chiusura ermetica si dispongono alternati uno strato
di foglie fresche di Piantaggine lanceolata e uno di zucchero, fino a riempire il
contenitore. Si chiude il vaso e si sotterra nell’orto. All’inizio della cattiva stagione si
dissotterra il vaso in cui nel frattempo si sarà formato uno sciroppo.
Lo sciroppo si conserva in una bottiglia ben chiusa e si consuma a cucchiai
all’occorrenza durante l’inverno.

Bardana
(Arctium lappa L.)
La Bardana era già nota a Virgilio e a Galeno. Era già presente in uno dei
primissimi erbari stampati: l’Herbarium Apulei, in cui le si attribuivano proprietà
curative in un numero infinito di malattie.
In Giappone la Bardana è coltivata e selezionata perché le radici sono
consumate come ortaggi con il nome di gobo.
Fin dal 1700 la sua radice è stata utilizzata come diuretico-depurativo,
mentre le foglie fresche e schiacciate sono state applicate su piaghe, ulcere,
eruzioni cutanee, tigna, crosta lattea ecc.
La Commissione E del Ministero della salute Tedesco ne da indicazione come
diuretico e depurativo del sangue, per il trattamento della gotta e dell’artrite e,
ad uso esterno, per trattare pelli impure, ittiosi e psoriasi.

Tarassaco
(Taraxacum officinale Weber)

Il Tarassaco non risulta conosciuto nell’antichità, se ne parla nei testi a partire


dal XV sec. come pianta depurativa, diuretica febbrifuga e lassativa.
Oggi è considerato un ottimo diuretico, coleretico e colagogo, da utilizzare
nelle piccole insufficienze epatiche e nelle colecistopatie. E’ utile nelle dispepsie
e in chi ha difficoltà a digerire cibi grassi.
Le foglie si consumano sia fresche come insalate che cotte.
I boccioli fiorali, conservati sotto sale, possono essere usati al posto dei
capperi.
Appunti:
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