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Luigi Borzacchini

L’alba della Scienza moderna negli anni di Dante e la “scienza astrale”

Probabilmente non esiste nessun intellettuale tra Duecento e Trecento con la stessa larghezza e profondità
di cultura scientifica di Dante … Ma credo sia vano vedere Dante come un precursore di qualche teoria o
disciplina moderna. E credo che però Dante ha un ruolo speciale nei processi che hanno dato forma alla
scienza moderna.

Lo studio della scienza medievale è nato praticamente circa un secolo fa con l’opera di Pierre Duhem. Ed è
stato uno dei primi assalti alla idea, diffusa sin dal’Umanesimo, del Medioevo come ‘i secoli bui’ (Francesco
Petrarca). Duhem aveva riportato alla luce manoscritti di autori del Duecento e Trecento da lui battezzati ‘i
precursori di Galileo’, perché in essi apparivano critiche della filosofia naturale di radici aristoteliche e idee
(ancora solo in nuce) che avrebbero caratterizzato la scienza moderna. Sulla valutazione di queste novità
alcuni autori, soprattutto Anneliese Meier, hanno apportato correzioni, ma la tesi di base è ancora
sostanzialmente valida. Più discutibile un’altra tesi di Duhem: quella secondo cui la scienza moderna
sarebbe potuta nascere già nel Trecento se non fosse intervenuto il ‘clima antiscientifico’ del Rinascimento
a bloccarne lo sviluppo.

Comunque oggi – grazie a Duhem - stiamo riscoprendo la ricchezza dei processi storici che nel Tardo
Medioevo stavano ponendo le basi della Rivoluzione Scientifica, e stiamo anche abbandonando un’altra
tesi: che ci sia stato una sorta di sviluppo lento e continuo, quasi insensibile, della crisi dell’Aristotelismo e
di progressiva costruzione della nuova scienza: invece anche il Medioevo ha vissuto fratture, stagioni
diverse, transizioni radicali.

Infatti nei circa quattro secoli che vanno dal Duecento alla Rivoluzione Scientifica si possono rilevare
quattro periodi abbastanza nettamente distinti – anche se i limiti temporali sono solo orientativi - nella
storia della scienza:

- Il periodo dei Precursori di Galileo (metà del Duecento - metà del Trecento)
- La crisi del Trecento e l’Umanesimo (fino a quasi tutto il Quattrocento)
- Il Rinascimento (fine Quattrocento e Cinquecento)
- La Rivoluzione Scientifica (il Seicento).

Aveva ragione Duhem nel vedere nel secondo (e in parte anche terzo) periodo una crisi nello sviluppo della
Scienza, e penso che le critiche mossegli siano state più che altro al ‘reato di leso Rinascimento’. Ma aveva
torto a vederci una ‘colpa’ del Rinascimento, invece che un ‘merito’ nel Rinascimento, che in quella crisi
periodo mise in cantiere processi cognitivi cruciali per la nascita della nuova scienza, di cui troviamo in
Dante i primi segni. Quali?

Ci sono soprattutto due aspetti della nuova scienza che vengono in genere sottovalutati, e che si
svilupperanno in quegli anni, a partire da Dante:

- la scoperta della ricchezza dell’universo linguistico come costitutivo di una civiltà e come luogo di
creazione linguistica. Precedentemente il linguaggio era stato trattato come strumento tecnico per
comunicare. Mentre la Rivoluzione Scientifica sarà scandita dalla nascita del linguaggio geometrico-
meccanico e di quello algebrico - il seme universale di tutti i linguaggi scientifici, formali e artificiali,
della scienza moderna.
- la strutturazione della ‘filosofia naturale’ come “sistema” autonomo (pensiamo ai titoli dei libri di
Galileo, “dialogo sui due massimi sistemi del mondo”, e di Newton, “the system of the world”), cioè
una impalcatura autoreferenziale, complessa e coesa, fondata su se stessa e non come un sistema
di quaestiones isolate cui rispondere basandosi su metafisica o teologia.

Sono due aspetti che in Dante trovano il suo punto di partenza: il primo nella valorizzazione del volgare e
della sua ricchezza espressiva. Ed era un passaggio necessario: il latino scolastico era un linguaggio incapace
di descrivere il mondo tecnico che stava nascendo, e il volgare era ancora troppo povero per essere il
linguaggio della scienza. Il de vulgari eloquentia è quasi l’atto di nascita di questa riflessione.

E forse ancora più interessante il secondo. La Divina Commedia è un ‘poema naturalistico’. Continue le
descrizioni, le analogie, i riferimenti naturalistici, sempre ricchi di nozioni di filosofia naturale. Ci cono due
possibilità: o Dante voleva fare sfoggio di cultura, oppure è un narratore completamente e continuamente
immerso in un mondo naturale geografico, zoologico, botanico, geologico, meteorologico, ottico,
meccanico, linguistico, matematico.

E la Divina Commedia è ancor più un ‘poema astrale’: quasi in ogni canto il tempo e lo spazio sono scanditi
dagli astri, ed essi sono i soggetti unici (come intelligenze angeliche) del divenire naturalistico nel mondo
sublunare, una influenza limitata solo dal libero arbitrio. Tutte e tre le cantiche si chiudono con la parola
‘stelle’. Quello alla base della Divina Commedia è un sistema naturalistico autonomo – niente metafisica,
niente teologia - tranne che per la presenza lontana di Dio, che ha solo messo in moto i cieli: “l’amor che
move il sole e le altre stelle” (sembra Leibniz).

E’ un sistema centrato su una “scienza astrale”, che non ha niente a che fare con l’astrologia – a cui Dante
rimane nettamente contrario - , e che diventerà la forma matura della filosofia naturale dantesca. Per dare
una traccia immediata di questa evoluzione pensiamo al mutamento della spiegazione dantesca della
esistenza delle terre emerse: nell’Inferno (prima decade del Trecento) essa è ascritta in maniera molto
poco ‘naturalistica’ alla caduta di Lucifero, mentre oltre dieci anni dopo, nella ‘quaestio de aqua et terra’,
sarà dovuta alla distribuzione delle stelle fisse nel cielo.

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