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BIODIVERSITÀ
Montipora capitata
I ricercatori della Ohio University hanno studiato i coralli in laboratorio e poi sui fondali delle Hawaii
scoprendone la resilienza in condizioni climatiche estreme
Duri a morire, per fortuna. Nel mondo, ci ha ricordato di recente anche l'ultimo report
Ipcc (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), abbiamo un problema da non
sottovalutare: dagli anni Cinquanta abbiamo perso metà degli ecosistemi delle barriere
coralline e la perdita dei coralli, che garantiscono la vita a un quarto degli organismi degli
oceani, può incidere sull'esistenza di quasi un miliardo di persone che da loro dipendono
per cibo ed economie.
Più la crisi climatica avanza e aumentano le temperature dei mari, più si intensificano
sovrapesca e forme di inquinamento, più i coralli vanno in sofferenza, affrontano lo
sbiancamento come nella Grande Barriera corallina australiana e sono minacciati a tal
punto che entro fine secolo potremmo dover dire loro addio per sempre.
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Eppure, per fortuna, e questo è un ottimo segnale di speranza, alcuni sono davvero duri a
morire e al contrario dimostrano una straordinaria resilienza, resistendo all'aumento delle
temperature, all'acidificazione dell'acqua e allo sbiancamento. Ne hanno avuto prova i
ricercatori studiando tre tipi di corallo alle Hawaii che mostrano importanti segnali di
resilienza e aprono la via a una speranza di sopravvivenza.
Il team della Ohio University, guidato dalla biologa Rowan McLachlan, ha raccolto 66
campioni di tre diverse specie di coralli in quattro punti della barriera corallina alle
Hawaii, nel 2015. Come spiegato nello studio pubblicato su Scientific Reports, i coralli
delle tre specie (Montipora capitata, Porites compressa e Porites lobata) sono stati
posizionati in alcune vasche di controllo, dove sono state ricreate le condizioni oceaniche
con vari scenari. Uno di particolare acidificazione, uno di riscaldamento delle acque a +2°C
e uno con entrambe le caratteristiche. I campioni sono rimasti nelle vasche per
un'osservazione durata quasi due anni.
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Quello che gli esperti hanno scoperto è che le tre specie reagivano diversamente e in
media solo il 61% dei campioni di corallo riusciva a sopravvivere a condizioni più calde. In
particolare però una specie, la Porites compressa, ha dato segnali più incoraggianti: è
stata la più resiliente per esempio nella condizione combinata fra acidificazione e
riscaldamento ed è quella che sembra essere in grado di acquisire più energia e forza per
resistere alle future condizioni degli oceani. Anche dalla Porites lobata sono arrivati
segnali positivi.
Per questo, gli autori del paper suggeriscono che la resilienza delle specie di coralli Porites
alla temperatura e all'acidificazione e il loro ruolo nella costruzione della barriera
corallina, possono fornire "una speranza che alcuni ecosistemi della barriera corallina
riescano a sopravvivere nonostante il cambiamento degli oceani".
Le indicazioni che arrivano dalle Hawaii, inoltre, si uniscono a diverse recenti scoperte
che fanno ben sperare per il futuro di questi animali, nonostante sia necessaria una
costante azione per diminuire gli effetti antropici sui mari.
BIODIVERSITÀ
di
Giacomo Talignani
22 Gennaio 2022
Per esempio di recente, tra 30 e 70 metri di profondità, al largo di Tahiti sono state
individuate barriere coralline ancora intatte e rimaste protette, in quella zona dove filtra
poca luce e dove resistono anche le scogliere coralline pugliesi, proprio grazie alla
caratteristica di vivere in profondità e meno esposte ai problemi della più calda superficie.
Infine, mentre di recente scienziati americani hanno raccontato le soprrendenti capacità
di resistenza del corallo Staghorn, anche l'associazione ambientalista Greenpeace ha
appena annunciato di aver individuato alcuni coralli ancora vivi e in buone condizioni
persino nelle fredde acque del remoto mare di Weddell, durante una spedizione in
Antartide.
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