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Ringraziamenti: 


Queste dispense non sarebbero state realizzate senza l’aiuto di Marco Cecchetti e Manuele
Corradossi, compagni di mille battaglie.

Misure Meccaniche Matteo B. 1


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MISURA DI UNA GRANDEZZA FISICA

La misura è un prelievo di informazioni che descrivono un certo fenomeno ed è


unʼoperazione che si fa attribuendo un valore numerico alle grandezze che lo
caratterizzano. In particolare, questo valore numerico è il risultato di un confronto fra la grandezza
presa in esame ed una grandezza omogenea (della stessa specie (lunghezza con lunghezza ,
massa con massa , tempo con tempo , ecc.) che viene presa come riferimento, detta unità di
misura. L'operazione di confronto deve stabilire quante volte la grandezza di riferimento è
maggiore o minore della grandezza da misurare. La misura della grandezza fisica è rappresentata
da un valore numerico, seguito dal simbolo dell'unità di misura scelta per misurarla.

Le grandezze di cui si parla in questo contesto (ossia quelle misurabili) sono dette “grandezze
fisiche” e costituiscono delle classi di equivalenza (ossia insiemi di elementi dello stesso tipo) che
godono della proprietà di ordinamento.

Le grandezze fisiche propriamente definite si definiscono completamente con tre


caratteristiche:
- La specie (definisce qualitativamente la grandezza)
- La misura (definisce quantitativamente la grandezza)
- L’unità di misura (// // // // // //)

Eseguire una misura comporta avere a disposizione un dispositivo, che può essere semplice o
complicato, ed una procedura, atti a produrre il valore attribuibile in un istante ben preciso alle
grandezze osservabili.

DEFINIZIONE DI MISURA
Possiamo dare due definizioni di misura:
- Una tradizionale: una misura consiste in un confronto fra la grandezza fisica in esame ed
un’altra della stessa specie scelta come unità.
- Una esaustiva: ogni processo che porta ad assegnare dei numeri ad aspetti di oggetto o eventi
in accordo a certe regole non casuali.

Le misure si fanno su un aspetto di un fenomeno (oggetto della nostra osservazione).


Per fare una misura devo avere un dispositivo ma, nei casi più complicati, non mi basta, ho
bisogno di un modello del fenomeno e inoltre devo sapere perché faccio la misura, ossia devo
conoscere lo scopo dell’osservazione e della misura. Esso misura permette infatti di scegliere
intelligentemente il dispositivo e la precisione da usare nella misura, per evitare sprechi e costi
eccessivi. (Ad esempio se voglio misurare la potenza in un banco di prova di un motore devo
sapere bene cosa misurare per evitare misure superflue).

Avere in mente un modello è importante anche per sapere cosa influisce su un fenomeno e
dunque come tenere d’occhio l’incertezza. Inoltre conoscendo il modello del nostro fenomeno
si evitano molte misure inutili, i cui valori possono essere dedotti semplicemente dal modello
stesso.

DIFFERENZA TRA SPERIMENTAZIONE E MISURA:


La sperimentazione è l’interazione tra il sistema oggetto e l’osservatore con lo scopo di prelevare
informazioni. Essa si fa su un sistema in cui non si ha un modello ben preciso, può capitare quindi
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di fare misure inutili, perché non si sa bene dove si andrà a finire. La sperimentazione è dunque un
concetto più ampio della misura.

La misura consiste nel prelevare informazioni e poi attribuire numeri a caratteristiche del reale in
modo da descriverle; come abbiamo detto in precedenza è l’insieme dei processi che porta ad
assegnare valori ad aspetti di un fenomeno.

GRANDEZZA FISICA:
Una grandezza fisica è una classe di equivalenza (ossia un insieme di elementi equivalenti) di
proprietà fisiche che possono essere misurate mediante un rapporto reciproco.
Condizione necessaria perché una (classe di equivalenza di) proprietà sia misurabile è
quella di poter stabilire una relazione d’ordine fra quelle proprietà in sistemi diversi, cioè
poter giudicare quale sistema “esibisce più” proprietà dell'altro.
Se tale confronto può essere basato sul rapporto fra le proprietà dei due sistemi, allora la classe di
equivalenza di quelle proprietà costituisce una grandezza fisica.
In questo caso, è possibile scegliere la proprietà di un particolare sistema ed eleggerla a
unità di misura per quella grandezza fisica.
Fissata l'unità di misura, la quantità di tale grandezza potrà essere specificata da un valore
numerico ottenuto dal rapporto con la proprietà scelta come campione di riferimento e un‘unità di
misura.

Si dicono estensive le proprietà fisiche di un materiale che dipendono dalla dimensione del
campione (es: massa, peso, energia…).
Si dicono intensive le proprietà fisiche che non dipendono dalla dimensione del campione
(peso specifico, pressione, temperatura…).

MISURA:
Grandezza—> Catena di misura—> Misura

In pratica ,per misurare, devo prelevare informazioni tramite un dispositivo, con una procedura
definita.

Esistono procedure di prova normalizzata e non normalizzate.


Non tutte le attività di misura possono essere normalizzate, ma la norma indica comunque
come sviluppare la procedura e indica le modalità operative di prova e/o taratura. Ad
esempio la norma prescrive le condizioni ambientali richieste e la descrizione dettagliata della
procedura.
Vanno indicati in seguito i criteri e i requisiti per l’approvazione/rifiuto. Vanno indicate le incertezze
o le procedure di stima dell’incertezza.
Nella norma ci sono anche dei prerequisiti per i laboratori (personale, metodi, attrezzature,
condizioni ambientali) e per il personale, che in alcuni casi deve essere obbligatoriamente
certificato.

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GENERALITÀ SUGLI STRUMENTI DI MISURA:

CATENA DI MISURA:
La catena di misura è un sistema composto da una successione di strumenti ed altre
apparecchiature, collegate in modo da poter elaborare il segnale di misura, dalla grandezza
d'ingresso (il misurando) fino all'ottenimento della lettura in uscita (la misura vera e
propria).

La catena inizia quando un elemento sensibile primario entra in contatto con l’azione del
fenomeno che vogliamo misurare e modifica il suo stato fisico secondo un principio fisico ben
preciso (ad esempio la seconda legge di Ohm), fornendo dunque un segnale in uscita.

L’elemento di trasmissione e conversione è il trasduttore, che modifica il segnale in ingresso


convertendo l’energia con cui il sensore passa l’informazione. Esso lavora secondo delle
precise curve caratteristiche e, seguendo tali curve, elabora il segnale proveniente dal sensore
restituendolo sotto forma diversa in uscita.
I trasduttori possono essere attivi -quando l’energia assorbita dal processo di misurazione è
ottenuta per il funzionamento del trasduttore stesso e dunque per ottenere un segnale di misura-
oppure passivi, quando è necessario prelevare energia da una fonte esterna per far funzionare il
trasduttore e ottenere un segnale di misura.
Esempi di trasduttori sono: termocoppie e molle.

N.B. In alcuni testi la classificazione è opposta.


Il fatto di essere attivi o passivi non comporta che uno strumento sia migliore di un altro, tuttavia il
fatto di prendere energia dall’esterno può essere sfruttato per aumentare la sensibilità, anche se a
volte è proprio necessaria per farli funzionare.
D'altra parte l’energia ausiliaria può essere fonte di disturbi. Ad esempio è tipica ritrovare la
frequenza di rete (50hz) sui trasduttori passivi che sono alimentati dalla rete elettrica, tale
interferenza può modificare la misura.

La catena prosegue poi con il condizionamento.


Il condizionatore è un circuito o un sistema elettronico in grado di modificare le
caratteristiche del segnale (es: amplificatore) che viene quindi trasferito.

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Il segnale poi può essere processato, viene cioè trattato per renderlo più adatto ad altre
elaborazioni (esempi: filtro passa alto, passa basso, convertitore analogico-digitale).
Infine deve esserci una parte della catena di misura che ha il compito di farci vedere il segnale, e
poi registrarlo (cioè memorizzarlo) - visualizzazione e registrazione segnale.

Le misure vengono fatte, in genere, per tre motivi.


1) Monitoraggio di operazioni e processi: cioè si effettuano misure per tenere sotto controllo
delle grandezze in un processo.
2) Controllo di operazioni e processi in retroazione: in un sistema dinamico si effettuano
misure per poi tenere conto dei risultati e modificare le caratteristiche del sistema in base ad
esso. (Sonda Lambda).
3) Analisi nell’ingegneria sperimentale.

Quando scegliamo un sensore per una certa applicazione bisogna valutare le sue prestazioni, in
termini di:
- Range
- Sensibilità
- Accuratezza
- Linearità
- Costo
- Stabilità
- Risposta in frequenza
- Resistenza all’influenza dell’ambiente sulla misura

Esempio 1 : TERMOMETRO
Nel termometro l’elemento sensibile è il mercurio che si dilata all’aumentare della temperatura.
L’elemento modificatore è sempre il mercurio, la variazione di volume si traduce in una variazione
dell’altezza del livello (energia termica in energia di deformazione). L’elemento rivelatore è ancora
il mercurio che permette di leggere la temperatura. Il principio fisico è la legge di dilatazione
termica V=V0(1+∆t)
A rigore se non tariamo lo strumento ma utilizziamo solo il principio fisico non consideriamo alcuni
aspetti e commettiamo degli errori.

Esempio 2 : IL DINAMOMETRO A MOLLA


Nel dinamometro a molla il principio fisico è la legge di Hook F= k ∆x.
L’elemento sensibile è la molla, che si allunga a causa della forza peso esercitata dall’oggetto da
studiare, l’elemento modificatore è sempre la molla, l’elemento rilevatore è sempre la molla con la
scala graduata.

Esempio 3: TRASDUTTORE DI PRESSIONE


L’elemento sensibile primario è il pistone, che svolge anche la funzione
di convertitore della variabile osservata, in quanto converte la pressione
del fluido (forza per unità di area) in una forza risultante sul cielo
(porzione superiore) del pistone. La forza è poi trasmessa alla molla per
mezzo dell’asta collegata al pistone, che converte la forza in uno
spostamento ad esso proporzionale. Lo spostamento del pistone è poi
amplificato (manipolato) attraverso una serie di leveraggi, per produrre
uno spostamento dell’indicatore
di entità maggiore. L’indicatore e la scala indicano la pressione, quindi
svolgono la funzio5ne di elementi di presentazione dati.

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Esempio 4: TERMOMETRO A PRESSIONE

Il bulbo riempito di fluido manometrico funziona da sensore primario
e contemporaneamente da convertitore della variabile osservata,
dal momento che una variazione di temperatura comporta un
incremento di pressione all’interno del bulbo, a causa
dell’espansione termica impedita, del fluido che lo riempie. La
pressione viene trasmessa, per mezzo di un sensore di pressione
del tipo a tubo di Bourdon (tubo capillare di metallo), che converte
la pressione in spostamento (trasduttore). Questo spostamento
viene manipolato per mezzo di connessioni a leveraggi, per produrre uno spostamento
dell’indicatore di entità maggiore. Una scala ed un puntatore servono per la presentazione dei dati.

CAMPI DI APPLICAZIONE DELLO STRUMENTO DI MISURA

- Misura di laboratorio (progettazione, ricerca e sviluppo)


- Controllo: consiste nel misurare determinate grandezze fisiche e nel regolare il funzionamento
in base al confronto delle misure con i parametri di riferimento.
- Monitoraggio: si tiene sotto controllo e si valutano gli aspetti di un fenomeno
- Diagnostica: mira a cercare anomalie
- Collaudo: verifica sperimentale del rispetto delle specifiche di progetto.
- Identificazione di modelli fisico matematici: si fanno delle misure per capire che leggi fisiche ci
sono dietro un fenomeno

Riassumendo:
- Sensore - elemento sensibile primario a contatto con il fenomeno, in grado di modificarsi a
seconda della grandezza del fenomeno che vogliamo misurare secondo un principio fisico.
- Trasduttore: elemento di conversione
- Elementi manipolatori: condizionatore e processore
- Elementi di visualizzazione e registrazione.

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TIPOLOGIE DI TRASDUTTORI E STRUMENTI DI MISURA

STRUMENTI ANALOGICI O DIGITALI


Analogici: forniscono un segnale continuo, si muovono in analogia alla grandezza da misurare.
Una grandezza misurata con uno strumento analogico può assumere un numero infinito di
valori, variando con continuità.
Digitale: il valore elettrico della grandezza fisica viene convertito in un numero finito (digit),
mediante un processo detto campionamento. Una grandezza misurata con uno strumento digitale
varia “a salti”e può avere un numero finito di valori.

STRUMENTI LINEARI O NON LINEARI


Tale suddivisione si basa sulla linearità del principio fisico su cui si fonda il funzionamento dello
strumento.

CLASSIFICAZIONE IN BASE AL PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO: A DEFLESSIONE E PER


AZZERAMENTO
Nello strumento per deflessione non si ha un campione di riferimento, ma la grandezza da
misurare provoca una reazione sullo strumento. L’effetto oppositivo dello strumento cresce fino a
quando si raggiunge l’equilibrio. Raggiunta tale condizione si legge la misura confrontando la
deflessione dello strumento rispetto alla condizione di riposo, leggendo lo spostamento di un
indice. (es: dinamometro)

Nello strumento per azzeramento si porta l’indicatore a zero grazie a un campione di


riferimento, portandosi in equilibrio con esso. (es: bilancia a piatti).

STRUMENTI ASSOLUTI O TARATI


Uno strumento si dice assoluto quando la sua scala è basata su leggi fisiche o geometriche,
senza una taratura.
Uno strumento si dice tarato quando la sua scala è determinata mediante un confronto con
un campione o con uno strumento assoluto, mediante il processo di taratura.

SCHEMA DI OSSERVAZIONE/STRUMENTAZIONE (?)


Uno strumento di misura può essere:
- Rigido—> Strumento che può fare solo quello per cui è stato concepito, ad esempio un
Hardware (parti non modificabili di un elaboratore dati), un termometro, un metro.
- Programmabile—> Strumento che può essere modificato, ad esempio un software (insieme
di istruzioni modificabili di un elaboratore dati), un multimetro (voltmetro-amperometro)
- Adattabile—>I.A. (intelligenza artificiale), in grado di riconoscere il segnale in ingresso e
agire di conseguenza. Un esempio è lo strumento con cui si misura la pressione del sangue.
Ci sono degli algoritmi che regolano il funzionamento del dispositivo.

PRINCIPI FISICI:
- Leggi spostamento-deformazione (Hook, Newton)
- Effetto meccanico-capacitivo (C ∝ ε * A/d) spostando le armature di un condensatore con la
grandezza in entrata si ha in uscita una diversa capacità.
- Effetto meccanico-resistivo (II legge di Ohm) al variare della grandezza in entrata si modifica la
resistenza e si ottiene un valore in uscita.
- Effetto induttivo

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- Effetto piezoelettrico (cristalli che se sono scarichi sono elettricamente neutri, se sollecitati le
cariche si dispongono in maniera ordinata e
generano una differenza di potenziale, le
celle di carico si basano su questo principio)
- Trasduttore a riluttanza (LVDT)
- Trasduzione ottica (es. encoder, un
dispositivo elettromeccanico che converte la
posizione angolare del suo asse rotante in
brevi impulsi elettrici, che necessitano di
essere elaborati da un circuito di analisi del segnale sotto forma di segnali numerici digitali.)
- Metodi Sonori- Ultrasonori (radar, sonar)
- Effetto Seebek (termocoppie)

STRUMENTO
Indipendentemente dai principi fisici e dagli elementi funzionali presenti, spesso si può usare uno
schema semplificato per descrivere uno strumento

MISURE DIRETTE O INDIRETTE:


Una misura è diretta quando è ottenuta tramite un confronto diretto della grandezza con la
sua unità di misura
Una misura è indiretta se si ottiene mediante la misura diretta di altre grandezze, combinate
tramite formule.

MISURE STATICHE E DINAMICHE


Una misura si dice statica se, ammesso che la
strumentazione sia precisa, non mi aspetto che vari nel
tempo. Basterebbe dunque fare un’unica misura in un
determinato istante di tempo, per determinarla
univocamente.
Una misura si dice dinamica se mi aspetto che vari nel
tempo.
Nelle misure dinamiche occorre distinguere fra dominio del
tempo e dominio della frequenza. Quest’ultimo, detto spettro,
ci dice che valori di frequenza sono presenti nel segnale della grandezza.
Per una misura dinamica servono strumentazioni in grado di fare diverse misure in istanti di tempo
ravvicinati. Es: oscilloscopio.
Per le misure dinamiche di solito si parla di acquisizioni.

Le misure statiche si usano per grandezze tempo-invariati.


Lo strumento dovrebbe essere sensibile alla grandezza da misurare, insensibile ai disturbi (di
solito T) e trasparente per il fenomeno in osservazione cioè deve essere poco invasivo. Per il
principio di Heisenberg è impossibile teoricamente avere 0 influenza sulla misura, lo strumento
deve avere però influenza trascurabile sul fenomeno che misuriamo.
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EFFETTI DI CARICO (INFLUENZA) SUL SISTEMA
L’inserimento del nostro strumento nel sistema che vogliamo misurare comporta un prelievo di
energia.

Nel caso dei circuiti elettrici, qualunque strumento inseriamo all’interno del circuito non è
ideale e perciò influisce sul circuito.

Esempio: VOLTMETRO
Inserendo il voltmetro modifico il circuito e quindi il valore di tensione che io vorrei misurare. Per
avere una misura abbastanza accurata devo avere un voltmetro con resistenza più elevata
possibile. Intuitivamente se passasse corrente nel voltmetro avrei una caduta di tensione e
dunque una misura non accurata.

Esempio: AMPEROMETRO
Per quanto riguarda l’amperometro invece, la resistenza deve essere la più piccola possibile
per non influire sulla misura.

Un altro esempio di effetti di carico può essere l’utilizzo di un termometro a mercurio per misurare
la temperatura di un oggetto. Il termometro inevitabilmente influisce sulla temperatura dell’oggetto,
sottraendo o fornendo calore per raggiungere l’equilibrio termico. La rilevanza dell’effetto dipende
dalle capacità termiche.
Infine possiamo citare anche i misuratori di portata che alterano il flusso del fluido.

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CARATTERISTICHE DI UNO STRUMENTO DI MISURA

PARAMETRI CARATTERISTICI
- Range: Intervallo da valore minimo a valore massimo in ingresso e intervallo fra valore minimo
e massimo in uscita.
- Span: differenze Imax- Imin ; Umax- Umin
- Risoluzione: minimo incremento in ingresso cui corrisponde una variazione apprezzabile
in uscita.

La risoluzione è indipendente dall’errore, è possibile che uno strumento con risoluzione 1
micrometro abbia un errore maggiore, magari dovuto al fatto che la scala sia sballata.
- Caratteristica: funzione di trasferimento, detta anche legge di corrispondenza fra Ingresso e
Uscita. Il grafico della funzione nel piano I (ascissa) U (ordinata) è detta curva caratteristica.
- Sensibilità: pendenza della curva
caratteristica, varia nel campo di misura, è
la derivata dell’uscita rispetto
all’ingresso. 

La sensibilità non è sinonimo di precisione o
di qualità di uno strumento, tuttavia con
un’alta sensibilità si vedono meglio le
variazioni.

La sensibilità può essere espressa in forma dimensionale (assoluta) o adimensionale (relativa). 

La sensibilità assoluta non è modificabile, tipicamente è quella dei trasduttori attivi
(esempio nel

dinamometro a molla). 

La sensibilità relativa è tipicamente data rispetto al fondo scala (valore massimo misurabile da
uno strumento di misura) o rispetto all’alimentazione (quantità di energia aggiuntiva che
fornisco) e permette di confrontare strumenti di taglia diversa e diverso fondo scala.

La sensibilità può essere aumentata o tramite amplificatori o, nei trasduttori passivi, tramite
l’aumento dell’energia in entrata.
- Soglia: la soglia è il valore minimo che si riesce a misurare, ossia il valore minimo prima
del quale lo strumento ha sensibilità nulla. Dopo aver superato la soglia, generalmente si ha
un tratto a sensibilità costante; successivamente la sensibilità diminuisce fino ad arrivare alla
saturazione.
- Saturazione: valore oltre il quale lo strumento non ha sensibilità.


Osservazione: Sogli e saturazione sono due concetti diversi, la soglia è un valore unico, la
risoluzione è una caratteristica della risposta dello strumento, presente lungo tutta la curva di
sensibilità.

Oltre alla saturazione bisogna tenere conto anche del valore massimo di rottura, che è in genere
maggiore della saturazione.
Il fondo scala, in generale, dovrebbe essere un valore precedente e più lontano possibile dalla
saturazione.

LINEARITÀ
Data una serie di valori con andamento lineare, possiamo caratterizzare la linearità di questi valori
in tre modi, attraverso due parametri che dipendono da come calcoliamo la retta di
approssimazione.
1) Linearità dei punti estremi: Si caratterizza con da due valori calcolati rispettivamente sulla
successione di ingresso crescente e decrescente. Essi rappresentano la max deviazione
percentuale (sul F.S.) dell’uscita rispetto alla retta passante per i punti “origine” e “F.S.

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2) Linearità media: Si caratterizza con due valori calcolati
rispettivamente sulla successione di ingresso crescente
e decrescente, come max deviazione percentuale
rispetto alla retta mediana che costituisce l’asse della
fascia rettilinea che include l’andamento grafico
isteretico.
3) Linearità ai minimi quadrati È caratterizzata da due
valori calcolati rispettivamente sulla successione di
ingresso crescente e decrescente, come massima
deviazione percentuale rispetto alla retta che minimizza
l a sommatoria dei quadrati degli scostamenti fra essa
stessa e i punti rappresentativi delle misure

ISTERESI
La curva caratteristica deve essere valutata "a salire” e
“a scendere”; si nota infatti che vi è differenza nei risultati
delle stesse misure in questi due casi.
La differenza di risposta con ingressi crescenti
(andando in su) e con ingressi decrescenti (andando
in giù) è detta isteresi.
Essa fornisce una indicazione dell'attitudine di un
trasduttore a produrre la stessa uscita sia nel caso che
l’ingresso di riferimento sia raggiunto da valori inferiori
sia che venga raggiunto da valori superiori. L’isteresi è
quantificata come valore massimo della differenza tra l’uscita assunta nella fase crescente
e l’uscita assunta nella fase decrescente in corrispondenza della stessa grandezza in
ingresso. 

Le cause dell’isteresi sono dovute al fatto che l’acquisizione della misura non è istantanea e quindi
se l’ingresso varia rapidamente il sensore ritarda nella risposta e dunque è ancora influenzato dalla
grandezza misurata in precedenza.

DERIVA
La deriva è la variazione nel tempo del valore della stessa misura, a parità di tutte le altre
condizioni.
Si ha una deriva dello zero quando lo strumento in assenza di ingressi fornisce un valore in uscita
diverso da zero.
Si ha una deriva di sensibilità quando quest’ultima aumenta diminuisce.
Ad esempio alcuni strumenti per funzionare devono andare a regime termico e nei primi minuti di
funzionamento si può osservare la deriva.

RIPETIBILITÀ O FEDELTÀ (Precision)


La ripetibilità di uno strumento è la capacità di fornire le stesse uscite a
parità di ingresso.
Una misura è tanto più ripetibile quanto più i singoli valori misurati si
concentrano intorno alla media della serie di misure effettuate.
La ripetibilità nel tempo è detta stabilità.
Può essere espressa in due modi:

- ∆ misura massima - fondo scala
- ∆ massima deviazione dalla media - valor medio su fondo scala.

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ACCURATEZZA (Unbias)
L’accuratezza esprime la capacità di uno strumento di essere esente da
errori sistematici nella misura.
Una misura è tanto più accurata quanto più la media delle misure è vicina
al valore vero della grandezza.
L’accuratezza può essere espressa in tre modi:
- %FSO (Full Scale Output):
- % sulla lettura di uscita
- Valore assoluto

PRECISIONE (Accuracy)
L’unione fra ripetibilità e accuratezza può essere definita precisione.
Uno strumento è tanto più preciso quanto più i singoli valori misurati sono vicini
fra loro e quanto più la loro media è vicina al valore vero della grandezza.
Un indice di uno strumento può essere la deviazione standard, tuttavia tale
indice non tiene conto della grandezza del valore misurato e quindi, preso
singolarmente, non basta per capire la qualità della misura: una stessa
deviazione standard può essere indice di alta o bassa precisione a seconda che i valori misurati
siano più grandi o più piccoli. 

Per questo motivo spesso si preferisce ricorrere al coefficiente di variazione, ossia il rapporto
tra deviazione e valore medio.
Si può inoltre definire la classe di precisione dello strumento; essa è indicata dal rapporto (%)
fra l’errore massimo introdotto dallo strumento e la misura massima (fondo scala).
Osservazione: si presti attenzione al fatto che minori sono questi numeri, maggiore è la precisione
dello strumento.

INGRESSI

Ci sono 3 tipi di fattori che influenzano lʼuscita di in uno strumento (ingressi): 

- Ingressi desiderati: sono le quantità che lo strumento dovrebbe misurare

- Ingressi interferenti: sono le quantità che lo strumento non dovrebbe 

misurare, ovvero quelle a cui è involontariamente sensibile (non ho entrate, leggo lo
stesso unʼuscita)

es. angolo di inclinzione x manometro differenziale (non ho differenze di pressioni ma
leggo lo stesso un dislivello) 

es. temperatura x estensimetro (altera resistenza)

es. campo magnetico generato dalle correnti a 50Hz x estensimetro (genera differenze di
potenziale indotto)

- Ingressi modificanti: sono le quantità che modificano le relazioni ingresso-uscita nello
strumento di misura.

es. temperatura x manometro differenziale (altera densità)

es. gravità x manometro differenziale (varia con la quota) 


Per correggere gli ingressi “spuri” (interferenti e modificanti) ci sono vari metodi:

1) Correzioni calcolate sullʼuscita



Se si conoscono le relazioni con cui gli ingressi spuri influenzano lʼuscita, è possibile dare una
stima del loro valore e calcolare così le correzioni da aggiungere/sottrarre allʼuscita in modo da
eliminare (almeno dal punto di vista teorico) lʼinfluenza in ingresso di questi fattori.


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In un manometro differenziale, si usa questo tipo di correzione in quanto temperatura e g sono
facilmente calcolabili.

2) Filtraggio del segnale



Si introducono dei veri e propri filtri che bloccano gli ingressi spuri in modo tale da ridurre al
minimo i loro effetti. I filtri possono essere messi indistintamente allʼingresso, in posizione
intermedia o allʼuscita. La differenza è che in entrata il filtro agisce su uno specifico ingresso
spurio, mentre in uscita il filtro è unico ed agisce selettivamente su un segnale che viene pensato
come sovrapposizione di tre uscite, due delle quali dovute ad ingressi spuri che vengono bloccate.

Esempi di filtri sono sospensioni elastiche (per vibrazioni), isolanti termici (per flussi di calori
indesiderati), scatole metalliche (per campi magnetici).

3) Ingressi in opposizione

Si introducono volontariamente degli ingressi spuri i cui effetti controbilanciano quelli inevitabili
degli ingressi interferenti e/o modificanti non evitabili (in pratica, introduco un segnale uguale e
opposto).

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TARATURA

Abbiamo detto che, quando facciamo una misura, spesso ci è utile avere un modello del fenomeno
per semplificarci la vita.
Tuttavia, dato che i modelli spesso trascurano fenomeni come l’attrito e non idealità, non
possiamo affidarci completamente ad essi per costruire il nostro strumento. Per avere strumenti di
alta precisione bisogna perciò fare una taratura.
La taratura è una procedura che serve per stabilire le caratteristiche metrologiche di uno
strumento. Ossia le caratteristiche che definiscono uno strumento di misura, per esempio i limiti
entro i quali è possibile fare una misurazione e la precisione dello strumento.
Tra le caratteristiche metrologiche la principale è la risposta caratteristica, cioè l’effettiva
funzione di trasferimento tra ingresso e uscita: l’essenza della taratura sta nel determinarla.
Spesso vi è una legge fisica che suggerisce la forma della relazione, ma, come abbiamo detto, per
ottenere il reale comportamento dello strumento, essa non è sufficiente.
Per effettuare una taratura sono necessari degli ingressi campione, o in alternativa degli strumenti
più precisi di quello che stiamo tarando.

Anche se a volte vengono confuse, la taratura va distinta dalla calibrazione, in quanto le due
sono operazioni diverse. La calibrazione infatti è un’operazione che ha come obiettivo quello di
rendere lo strumento più accurato. Può essere considerata una messa a punto.

TARATURA STATICA
Si parla di taratura statica nel caso di ingresso costanti (statici).
Nel caso si abbiano più ingressi se ne fa variare uno solo, mantenendo gli altri costanti.
Il procedimento consiste nel dare vari ingressi campione equispaziati e registrare le uscite
che si ottengono da essi : la relazione tra ingresso e uscita corrisponde alla taratura statica.

Durante la taratura è opportuno coprire tutto il range dello strumento, fino al fondo scala
positivo e negativo.
Arrivati a fondo scala bisogna tornare a 0 in senso opposto, in modo da tarare lo strumento
sia in crescita che in diminuzione, in modo da ottenere una caratteristica che approssima bene
entrambi i comportamenti. Dopo aver registrato tutte le uscite, che devono essere più o meno
equispaziate (per evitare addensamenti che in una media pesano di più), si fa il best fit, ad
esempio coi minimi quadrati.
La taratura deve essere fatta in un tempo non eccessivamente lungo, per impedire ingressi
non voluti come cambiamenti di temperatura, umidità e altre variabili che possono disturbare la
taratura.

Non è corretto affermare che il numero migliore di campioni per la taratura è il maggiore
possibile. Infatti, un numero troppo elevato potrebbe portare ad una taratura tropo lunga nel
tempo, implicando il cambiamento di ingressi. Inoltre dobbiamo considerare che dopo un po’
diventa inutile, i campioni necessari sono 3-4 (max 5) volte i parametri da determinare nella legge
fisica (retta 8-10 campioni, parabola 12-15 campioni ecc.).

TARATURA DINAMICA
La caratterizzazione con la taratura statica va bene solo per certi strumenti (anche che misurano in
maniera dinamica, ad esempio per una cella di carico). In alcuni casi, però, abbiamo a che fare
con dei fenomeni che variano velocemente nel tempo; bisogna perciò ricorrere ad un diverso tipo
di taratura, quella dinamica.

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In un processo di taratura dinamica si impongono in ingresso una serie di ingressi
sinusoidali a frequenza prefissate, via via crescenti. In seguito vengono acquisite le uscite,
per determinare i rapporti di ampiezze e i ritardi di fase tra uscita e ingresso alle diverse
frequenze.

Per comprendere cosa sia una


taratura dinamica è necessario,
dunque, capire come effettuare
l’acquisizione di un segnale.

GRANDEZZE TEMPOVARIANTI -
ACQUISIZIONE DEL SEGNALE
Per segnale si intende una
grandezza fisica la cui variazione
nel tempo trasmette
un’informazione. Esso è l’entità
di cui ci serviamo per misurare le
grandezze che mutano nel
tempo.
Nel caso degli strumenti di misura il segnale è generalmente un segnale elettrico. In particolare,
l’ampiezza del segnale è misurata con un amperometro o un voltmetro, la frequenza con un
oscilloscopio.

Dal punto di vista matematico, ogni segnale continuo può essere rappresentato come una
serie di Fourier (combinazione lineare di funzioni trigonometriche).
Dal punto di vista grafico, un segnale può essere rappresentato in funzione del tempo o in
funzione della frequenza. Il primo tipo di visualizzazione permette di vedere ampiezza, massimi e
minimi; il secondo tipo di visualizzazione permette di vedere le frequenze degli addendi della serie
di Fourier. Il dominio della frequenza è detto “spettro”.
La rappresentazione nel dominio della frequenza è visualizzabile con un grafico che ha le
frequenze sull’asse delle ascisse e le ampiezze sull’asse delle ordinate. Se in un segnale sono
presenti più frequenze si riportano per ogni frequenza dei segmenti verticali alti come l’ampiezza di
tale frequenza. Nel caso del “rumore bianco”, ossia del segnale in cui sono presenti tutte le
frequenze alla stessa ampiezza, il grafico è una retta orizzontale.
Per passare dal dominio del tempo a quello della frequenza si utilizza la trasformata di Fourier;
viceversa per passare dal dominio della frequenza a quello del tempo si usa l’antitrasformata di
Fourier.

Lo strumento che fa l’acquisizione per la grandezza tempo-variante deve essere:


• “Sensibile” al segnale da acquisire
• “Insensibile” ad ogni altra entità (disturbo)
• In grado di “Acquisire” il segnale senza alterazioni
• Segnale in “ingresso” ed in “uscita” analogico
• “Trasparente” per il fenomeno in osservazione (non invasivo)

RISPOSTA DI UNO STRUMENTO


La fedeltà può essere definita come la capacità di restituire un segnale il più uguale
possibile a quello in ingresso.
La prontezza si quantifica come il tempo che lo strumento impiega a dare la risposta in
seguito ad un ingresso.

Misure Meccaniche Matteo B. 16


Uno strumento può rispondere in maniera diversa a seconda delle frequenze, per questo motivo si
effettua una taratura dinamica.

Diamo un ingresso sinusoidale, se tutto va bene avremo una risposta con stessa ampiezza, stessa
frequenza ma non per forza in fase con l’ingresso.
Possiamo avere anche un segnale in ingresso “a gradino” oppure anche “ a impulso”.

La risposta in frequenza di un segnale corrisponde alla rappresentazione dell’uscita di un


segnale nel dominio della frequenza.

CONVERSIONE ANALOGICO-DIGITALE
I segnali possono essere classificati come analogici (continui nel tempo e nell’ampiezza) e digitali
(discretizzati nel tempo e nell’ampiezza).

Fino a qualche decennio fa la strumentazione era interamente analogica. Il problema con questo
tipo di strumentazione era che bisognava utilizzare degli hardware per poter analizzare le risposte,
cioè per poter agire su di esse bisognava modificare fisicamente gli strumenti di acquisizione. Ad
esempio, per raddoppiare un segnale bisognava costruire un circuito che lo amplificasse. Inoltre,
per poter registrare i dati, bisognava salvarli su un nastro.
Oggi invece siamo passati ad una strumentazione che si basa sul digitale.
Il segnale in ingresso è analogico e continuo ma un convertitore lo converte in digitale,
discretizzandolo e rappresentandolo con un numero finito di digit.
Una volta effettuata la conversione si hanno dei numeri facilmente visualizzabili e
manipolabili.
Un convertitore A/D si compone di un campionatore e di un quantizzatore: il campionatore
discretezza l’acquisizione nel tempo e il quanitzzatore segna le ampiezze.

CAMPIONAMENTO ED ERRORI DI CAMPIONAMENTO


Il campionamento consiste nell’acquisizione veloce del segnale ogni ∆t secondi . Il valore ∆t
è detto “intervallo di campionamento” e il suo reciproco è la “frequenza di campionamento”
(numero di acquisizioni al secondo).
Il segnale campionato può avere degli errori aggiuntivi, tipicamente di due tipi. Uno è da evitare
assolutamente (aliasing), mentre l’altro, che è inevitabile, va minimizzato (errore di
quantizzazione).

ALIASING
Il processo di conversione A\D può comportare una perdita di informazione significativa, poiché il
segnale continuo è costituito da un’infinità di punti, ma, quando vado a discretizzarlo, posso
memorizzarne solo un numero finito.
La perdita di informazioni è detta aliasing. L’aliasing è l’errore che si può commettere non
rispettando il teorema di campionamento, che è uno dei teoremi fondamentali per la misura di
segnali variabili nel tempo.
Il teorema di campionamento (o teorema pi greco) afferma che, per campionare correttamente
un segnale analogico, è necessario farlo ad una frequenza maggiore o uguale al doppio
della massima frequenza presente nel segnale.
Ciò significa che bisogna acquisire almeno due valori per ogni semi-periodo del segnale.
Si dice frequenza di Nyquist la frequenza pari a metà della frequenza di campionamento.
Essa deve essere maggiore della massima frequenza del segnale.

Se viene rispettato il teorema del campionamento è allora possibile ricostruire, con l'utilizzo di
apposite funzioni interpolatrici, il segnale analogico, senza perderne alcuna informazione.
Misure Meccaniche Matteo B. 17
Cosa si fa per evitare l’aliasing?
- Bisogna avere una frequenza di campionamento che è almeno doppia rispetto alla
frequenza massima presente nel segnale.
- Si può usare un filtro antialiasing, cioè un filtro passa-basso che fa passare solo frequenze
opportune (ossia camiponabili senza incorrere nell’aliasing), eliminando quelle possibili troppo
alte.

In tal modo siamo sicuri di eliminare l’aliasing ma ciò non comporta la ricostruzione fedele del
segnale analogico, perché si possono comunque perdere alcune informazioni del segnale
originario.
Generalmente per una buona e fedele ricostruzione del livello analogico è richiesta una frequenza
che sia 5-10 volte superiore alla frequenza massima contenuta nel segnale campionato.
CD audio: campionato a 44100 Hz. Una persona può udire al massimo fino a 20 kHz

Applicando l’algoritmo della trasformata discreta di Fourier si vede che lo spettro non ha solo la
parte centrale ma è duplicato con un periodo che dipende dalla frequenza di campionamento.
Se dentro il segnale aumento le frequenze che ci sono, accade che il primo spettro si sovrappone
al secondo e causa una distorsione.

ERRORE DI QUANTIZZAZIONE
L’errore inevitabile associato alla conversione A\D è dovuto alla quanitzzazione.
Durante la digitalizzazione, oltre alla frequenza, dobbiamo discetizzare anche l’ ampiezza,
poiché abbiamo una memoria finita e dobbiamo acquisire un numero finito di dati.
L’ampiezza del nostro segnale può essere divisa al massimo in tanti livelli quanti sono le
configurazioni disponibili in memoria, in base ai bit a disposizione. Ad esempio, se ho una
precisione di 8 bit, l’ampiezza può essere divisa in 2^8 (256) parti e dunque posso avere una scala
in entrata di 256 valori differenti.
Si definisce dinamica di uscita (D) il range di tensione elettrica di uscita.
Si definisce passo di quantizzazione la differenza fra due valori adiacenti della scala in
uscita. Esso sarà tanto minore quanti sono i bit che ho a disposizione.
Il passo di quantizzazione è dato da :
D
p= b
2
L’errore di quantizzazione è associato al fatto che ogni bit rappresenta un intervallo di valori di
ampiezza p. A causa della limitatezza della memoria, non posso memorizzare e distinguere i valori
presenti all’interno dell’intervallo. Per tale motivo ogni misura sarà affetta da un errore q tale che:
q = ± p /2

Esempio:
Ho un sensore con
- Un range 0-1000°C
- Una dinamica di uscita D di 0-10V
- 8 bit a disposizione.
Avendo 256 configurazioni non posso registrare 1000 valori diversi ma la temperatura varierà di
“gradini” di 3,91° C (un bit).
La variazione della dinamica di uscita varierà di 39,06 mV a bit, ogni 3,91° di T.

Il tempo di osservazione del fenomeno deve essere maggiore o uguale alla frequenza più
bassa del segnale.

Misure Meccaniche Matteo B. 18


SCELTA DI UNO STRUMENTO
- Range di misura: non è vero che maggiore il range meglio è, conviene avere un range
compatibile per quello che dobbiamo misurare. Infatti gli strumenti funzionano meglio ai 2/3 del
loro fondo scala.
- Compatibilità con la strumentazione in dotazione
- Facilità d’uso
- Maneggevolezza
- Utilizzabilità in esterno
- Assistenza/costo

Misure Meccaniche Matteo B. 19


ERRORI DI MISURA

VARIABILITÀ DELLE MISURE


Eseguendo più misure della stessa grandezza in condizioni “nominalmente uguali” si
ottiene un insieme di valori in uscita di distribuiti su un intervallo. Le cause di questa
distribuzione sono:
1) Varianza nel tempo dello stato del sistema oggetto della misura.
2) Incompletezza del modello utilizzato per descrivere il sistema oggetto della misura: nei
modelli ci sono sempre delle approssimazioni, non è detto che il nostro modello tenga conto di
tutto ciò che influenza la misura.
3) Perturbazione del fenomeno per effetto dell’operazione di misura o per fenomeni esterni
all’oggetto di misura ma interni alla catena di misura (rumore), o esterni ad entrambi.
4) Abilità dell’operatore e influenza della strumentazione.

“Niente è più misurabile della sua definizione”


Es: se definisco una barra di sezione circolare, so comunque che non può esserlo perfettamente. A
me basta misurare il diametro, perché l’ho definita così; se la definisco come un ellisse ho bisogno
di misurare i semiassi. Se la definissi come una sezione qualunque dovrei trovare una funzione del
raggio in funzione dell’angolo.
Se vado a considerare anche la rugosità devo fare delle operazioni ancora più complicate.
In altre parole, a seconda della astrazione che faccio per definire il sistema, avrò una o più
grandezze che mi basteranno per descriverlo completamente.

Il valore vero di una grandezza è un concetto ideale, di cui si può al più effettuare una stima.
Infatti il valore vero è metrologicamente inaccessibile, a causa dell’imperfezione propria delle
realizzazione umane. Il valore vero sarebbe misurabile con una strumentazione ideale, in
condizioni ideali del fenomeno e avrebbe bisogno di un infinito contenuto informativo.

Di conseguenza, si distingue il valore vero xv , misura ideale della grandezza da misurare, dal
valore misurato xm:
xv= xm ± ε ; epsilon è detto errore o scarto.
L’obiettivo è perciò avvicinarsi il più possibile al valore vero della misura.
Dopo aver ottenuto un insieme di misure xi della stessa grandezza, in condizioni nominalmente
uguali, passo ad un valore x0, ottenuto come media delle misure xi.
Definisco poi un Intervallo ∆, che definisce l’insieme che contiene il valore vero.
L’incertezza ∆ è legata alla qualità della misura ed è indice della quantità di informazione
acquisita: più piccolo è il ∆, maggiore è la qualità del mio strumento.
∆ mi va a definire un range di “ignoranza” che è anche un range di indifferenza o equivalenza.
Se io ho due misure all’interno di tale ∆ non posso dire che una è meglio dell’altra. Tuttavia si
possono fare considerazioni probabilistiche.
Il valore vero della misura si troverà, con una certa probabilità dipendente da ∆, all’interno
dell’intervallo [x0 - ∆; x0 +∆].

CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI PER “TIPO”


- Sistematici: sono errori che si presentano in ogni misura, sono perciò costanti in valore e
segno. 

Esempi di errori sistematici sono errori di deriva dello zero, errori di sensibilità (che ricavo con la
taratura), errori di linearità (nessuno strumento che agisce secondo legge lineare lo è
perfettamente, la discordanza tra comportamento reale e nominale si traduce nell’errore di
linearità), isteresi (questo errore è sistematico solo se andiamo da 0 al fondo scala e torniamo

Misure Meccaniche Matteo B. 20


indietro, se ci muoviamo in maniera diversa questo errore diventa casuale, poiché l’isteresi
dipende dal percorso fatto). 

Essendo gli errori sistematici errori di valore costante, posso prendere le precauzioni necessarie
per non avere influenze sulla misura.
- Parassiti: sono errori presenti in una sola misura. Quando, date n misure, ne ho una o poche
con valori anomali essi sono tipicamente dovuti a errori parassiti. Sono errori di solito dovuti
all’operatore o fenomeni accidentali associati agli strumenti. Un esempio di errori parassiti sono
gli errori di lettura.
- Casuali: anche detti accidentali, sono errori che è impossibile non avere, sono dovuti a tanti
piccoli errori, di solito non identificabili. Vengono trattati con la teoria degli errori basati sulla
distribuzione di Gauss. Hanno valore medio nullo.

CLASSIFICAZIONE PER “FONTE”


(da dove vengono gli errori)
- Connessi con lo strumento (esempi: isteresi, deriva, errori di inversione).
- Connessi con l’operazione di misura: interferenza con il fenomeno che sto misurando (errori di
disturbo).
- Connessi con l’ambiente: effetti perturbativi dell’ambiente sulla catena di misura (variazioni di
temperatura, interferenze elettromagnetiche, vibrazioni). Quando effettuo misure vicino a un
inverter, se non ho i cavi ben schermati e di lunghezza non trascurabile l’inverter causa
fenomeni elettromagnetici che impediscono di fare una misura accurata.

Errori connessi con l’ambiente: strategie di protezione:


- Protezione passiva (in ingresso):

- Isolare lo strumento/l’ambiente: Argino l’influenza degli agenti indesiderati, agendo
sull’ambiente. Se il problema è per esempio a temperatura basta fare la misura in un ambiente
isolato.

- Insensibilizzare lo strumento. Argino l’influenza degli agenti indesiderati con opportune
modifiche al sistema. Esempio: pendolo a tre bacchette, sono tali da annullare le variazioni
causate dalle variazioni di temperatura.
- Protezione attiva (in uscita): 

- Compensando l’uscita: estensimetri elettrici a resistenza

- Correggendo l’uscita: se conosco la legge che mi lega l’uscita con la variazione di temperatura
posso 

correggerla. A differenza della compensazione non è automatica ed è più scomoda.
- Taratura nelle condizioni ambientali

CLASSIFICAZIONE PER” CARATTERISTICA”


- Identificabili —> evitabili (parassiti).
- Identificabili —> compensabili o correggibili.
- Identificabili e incorreggibili: se ne tiene conto con considerazioni probabilistiche (alcuni errori
sistematici).
- Non identificabili: errori che non posso valutare, di solito a causa dell’insufficienza di precisione
del mezzo o del modello.

CLASSIFICAZIONE SECONDO UNI 13005 (PER RIDUCIBILITÀ)


• Incertezza di tipo A: riducibili ripetendo le misure – legate ad un effettivo contenuto
informativo che cresce all’aumentare del numero delle misure – (errori casuali; seguono la
distribuzione di Gauss) – analisi statistica di una serie di misure. Sono errori che si riducono
acquisendo più informazioni, si comportano secondo la distribuzione Gaussiana.


Misure Meccaniche Matteo B. 21


Per questo tipo di incertezze ha senso fare più di una misura. Con l’analisi statistica adeguata si
può stimare il valore vero in maniera migliore.
• Incertezza di tipo B: non riducibili ripetendo le misure – insensibili al ripetersi delle misure
(es.: seguono la distribuzione rettangolare) – analisi teorica della distribuzione.

In questo caso non ha senso ripetere le misure; ripetere le misure non ci dice niente di più della
teoria. (Errore di quantizzazione).

VARIABILE CASUALE NORMALE: ERRORI CASUALI E DISTRIBUZIONE GAUSSIANA


In generale, se faccio n misure, trovo sempre n misure diverse. Come abbiamo detto, il valore
misurato non può essere il valore vero, a causa dell’infinito contenuto informativo di cui dovremmo
disporre per caratterizzarlo, ma sarà sempre affetto da un errore.
Quando effettuo un insieme di misure xi della stessa grandezza in condizioni nominalmente uguali,
mi accorgo che i valori dell’output non sono sempre gli stessi, ma si distribuiscono secondo una
distribuzione normale Gaussiana. Tale distribuzione è caratterizzata da un valor medio µ, che è il
valore ripetuto più volte, attorno al quale si distribuiscono tutti gli altri valori. L’altro parametro che
definisce questa distribuzione è la deviazione standard σ.
Pertanto, in termini generali, dato il mio insieme di misure xi, posso definire un valor medio x0 e un’
incertezza ∆ (e di conseguenza l’intervallo [x0 - ∆; x0 +∆]). Il valore di ∆ lo posso scegliere in base
alla probabilità con cui io voglio che una misura xi sia all’interno dell’intervallo [x0 - ∆; x0 +∆]. Per
fare ciò si fa riferimento agli intervalli di confidenza.
Per avere una probabilità del 99,7% (valore a cui si associa la certezza), si ha ∆ = 3σ;
Per avere il 95,4% di probabilità si ha ∆=2σ;
Per avere il 68,3% di probabilità si ha ∆=σ.

Dal punto di vista grafico:


In ascissa abbiamo i valori con unità di misura, di solito o la misura o l’errore, mentre in
ordinata abbiamo la densità di probabilità. La probabilità è l’area sottesa al curva (integrale
della densità di probabilità).

VARIABILE CASUALE UNIFORME, DISTRIBUZIONE RETTANGOLARE


A differenza della distribuzione Gaussiana, in cui i valori di misura vicini alla media hanno
maggiore probabilità di quelli lontani, in questa distribuzione tutti i possibili valori di misura hanno la
stessa probabilità. Si usa perciò per lo studio di fenomeni in cui ogni valore misurabile ha la stessa
probabilità.
Esempio: righello millimetrato.
Ogni distribuzione ha una sua deviazione standard, che è ottenibile dalla definizione, integrando.
a
In questo caso è σ =
3

TEOREMA DEL LIMITE CENTRALE


La media di un grande numero di variabili aleatorie xi
indipendenti è distribuita approssimativamente come una
variabile casuale normale, indipendentemente dalla
distribuzione con cui sono distribuite le variabili.
Il teorema del limite centrale implica che, se la grandezza di un
campione è “grande”, allora la distribuzione della media di n variabili aleatorie indipendente sarà
approssimativamente normale. Questo significa che la distribuzione di alcune statistiche, di cui non
Misure Meccaniche Matteo B. 22
si sa nulla a proposito della distribuzione, diventa nota. Ovviamente il termine “grande” è relativo:
tanto più la distribuzione si discosta da quella normale tanto maggiore dovrà essere la numerosità
n del campione per avere una distribuzione normale delle medie.

- Ripetibilità: Gaussiana stretta ma il valore medio non corrisponde con il valore vero della
misura.
- Accuratezza: Valore medio vicino al valore vero ma Gaussiana larga.
- Precisione: Gaussiana stretta e valore medio vicino al valore vero.

PROBABILITÀ E FREQUENZA E LEGGE EMPIRICA DEL CASO


Siccome non è possibile effettuare un numero infinito di misurazioni per determinare i parametri µ
e σ necessari a disegnare la curva gaussiana, entra in gioco il concetto di frequenza.
Esiste una sostanziale differenza fra possibilità e frequenza:
- La probabilità è un concetto teorico e va calcolata a priori (prima che l’evento accada). È data
dal rapporto fra il numero di successi e il numero di casi possibili.
- La frequenza f si basa sull’evidenza sperimentale e va calcolata a posteriori (dopo che gli eventi
sono accaduti). È data dal rapporto fra il numero di successi verificatisi e il numero di tentativi
effettuati.

Frequenza e probabilità sono legate dalla legge empirica del caso: in una serie di prove,
ripetute un gran numero di volte nelle stesse condizioni (idealmente infinite volte), ciascuno dei
risultati possibili si manifesta con una frequenza relativa che approssima il valore della probabilità.
La frequenza tende alla probabilità se il numero delle prove va all’infinito.

Per questo motivo la frequenza può essere usata per stimare la probabilità. Viceversa posso usare
la probabilità per predire la frequenza.

SERIE DI MISURE
Consideriamo l’insieme di tutti i possibili esiti di una misurazione (ossia l’insieme universo se i
valori sono continui, la popolazione se i valori sono discreti). Effettuando una serie di misure si
ottiene un campione costituito da “n” valori presi dall’universo. La popolazione è definita
tramite i parametri µ,σ,∞, mentre i parametri che caratterizzano il campione sono m, sn-1, n.
La media del campione m, in generale non coincide con µ (media della popolazione), ma
sarà solo un’ approssimazione, la cui bontà di tale approssimazione cresce all’aumentare
del numero di misure fatte n.
Allo stesso modo la deviazione standard del campione non coincide, in generale con σ, tuttavia la
approssima tanto meglio quanto più alto è n.
Volendo una confidenza del 99,7%, possiamo dire che x0+Δ ~= m+3sn-1. Anche in questo caso
l’approssimazione sarà tanto più corretta quanto maggiore sarà n.
In definitiva possiamo affermare che all’aumentare del numero di misure n, l’incertezza
decresce fino al suo limite intrinseco, dovuto alla procedura usata, alla precisione dello
strumento ecc. (in sostanza all’imperfezione dell’uomo). In genere non è conveniente raggiungere
tale limite, per evitare sprechi e costi eccessivi, conviene piuttosto fermarsi ad un’incertezza
appropriata in base al campo di applicazione.

MISURE INDIRETTE - PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI


Se la grandezza da valutare y non è misurata direttamente ma tramite altre grandezze, legate ad
essa tramite una relazione analitica, la sua incertezza si può ottenere conoscendo l‘incertezza
delle singole variabili indipendenti xi.

Misure Meccaniche Matteo B. 23


Una stima del valor medio della misura si ottiene mettendo nella funzione i valori medi delle
variabili indipendenti xi.
L’incertezza su y si ottiene con uno sviluppo in serie di Taylor.

ESEMPI DI CALCOLO DI PROPAGAZIONI DEGLI ERRORI


In termini di media e di deviazione standard le formule da utilizzare sono quelle a lato.

Vediamo adesso alcuni esempi che mostrano come calcolare


la deviazione standard della misura indiretta, note le deviazioni
standard delle misure dirette.

y = a ± b —> σy2 = σa2 + σb2


y = a * b —> σy2 = b 2 σa2 + a 2 σb2

INCERTEZZA ESTESA
Se sono coinvolte più grandezze la distribuzione tende alla gaussiana e s ha il significato di
incertezza "standard" u (y ), con una confidenza del 68,4%. Se vogliamo maggiore certezza si
deve moltiplicare u (y) per un fattore di copertura k:

U(y)=k • u(y)
Il fattore di copertura k dipende dalla distribuzione di probabilità ipotizzata.

Nell’esempio dei dinamometri si usa un fattore di copertura 3.

DISTRIBUZIONE DELLE MEDIE


Se eseguo una misura ho il 99,7% di probabilità che il valore che ottengo sia compreso
nell’intervallo definito da µ e ±3σ. Se invece eseguo un campione di n misure il valore medio “mi”
di questo set di misure sarà con più probabilità vicino al valore medio della Gaussiana e la
vicinanza sarà tanto maggiore quante più misure io effettuo.
Misure Meccaniche Matteo B. 24
In particolare, per il teorema del limite centrale, estraendo da una popolazione una serie di
campioni avrò che le medie si distribuiranno secondo una distribuzione Gaussiana. Tale
Gaussiana ha una deviazione standard più bassa e stessa media della popolazione e risulterà
pertanto più stretta. In particolare si può dimostrare che la deviazione standard sarà data dal
rapporto tra quella precedente e radice di n.
La media del mio campione sarà individuata dalla formula:
σ σ
μ−3 ≤ mi ≤ μ + 3
n n
Questo significa che l’incertezza da associare al valor medio delle medie non è ∆=σ, ma

DISTRIBUZIONE DI STUDENT
Generalmente sono noti media (m) e scarto (s) del campione. Come posso usare un campione per
stimare la popolazione? Cioè mi trovo a risolvere il problema inverso rispetto al precedente.
Vale la seguente formula:
s s
m−t ≤ μ ≤m+t
n n
t è la variabile di Student, è una distribuzione statistica.
m ed s sono una stima di µ e σ della popolazione.
La media è compresa in un intervallo tanto maggiore quanto più alto è il parametro “t” detto
“parametro di Student”.

RIGETTO DEI VALORI ANOMALI - CRITERIO DI CHAUVENET


Durante una serie di misure, a causa di errori parassiti, possono presentarsi valori anomali,
molto differenti dagli altri, che possono influire sulla media, specialmente se il campione non ha
una grande numerosità. Tali errori non sempre sono facilmente riconoscibili, specialmente per
misure molto piccole, per cui occorre un criterio che permetta di decidere quali valori
scartare.

Un valore può essere considerato “anomalo” se il suo scostamento rispetto alla media è
tale da avere una probabilità inferiore ad un livello predeterminato.
Uno dei criteri che permette di decidere se valori anomali sono da accettare o meno è il criterio di
Chauvenet, utilizzabile solo nel caso in cui i valori misurati/errori (?) siano distribuiti secondo una
distribuzione Gaussiana.
Esso si basa sul Principio di Chauvenet:
Data una serie di N misure xi,…,xn, disposte con distribuzione Gaussina di media xm , se la
probabilità che si = |xi-xm| sia maggiore di sp = |xs-xm| è 0.5, allora tutti i valori con scostamento
maggiore di si sono da scartare.
In altre parole, nel criterio di Chauvenet non si calcola la probabilità che il valore sospetto xi cada
entro la deviazione standard. Quello che si calcola è di quante deviazioni standard dista dalla
media, attraverso la standardizzazione:
| xs − xm |
z=
sn−1
e, una volta fatto questo calcolo, si trova quale probabilità corrisponde a tale valore. Se la
probabilità è inferiore a 0.5, il valore sospetto si scarta, altrimenti si conserva.

Usando altre parole ancora, dato un valore sospetto xi, all’interno di un campione,
Sia P la probabilità che |xi-xm| < |xs-xm| (cioè che xi ricada nell’intervallo centrato nella media di
raggio |xs-xm|), e (1-P) la probabilità che |xi-xm| > |xs-xm| (xi stia al di fuori dell’intervallo).

Misure Meccaniche Matteo B. 25


Allora N(1-P) sarà il valore atteso di misure al di fuori dell’intervallo. Se il valore atteso di misure
xi al di fuori dell’intervallo è maggiore di 0.5, il dato sospetto è da scartare.

Il criterio di Chauvenet stabilisce che il numero limite di valori attesi fuori dall’intervallo
deve essere 0.5, cioè
1
N(1-P)=0.5 —> P =1− P è la probabilità che il valore sia all’interno dell’intervallo di raggio
2N
sp intorno alla media, di valori accettabili.

Per applicare il principio di Chauvenet dal punto di vista pratico è possibile procedere in due modi:
1) Dato Xi sospetto, si esegue la standardizzazione per trovare z, si trova la probabilità P
associata a z; se N*(1-P)>0.5 scarto il valore.
2) Data la numerosità del campione N, trovo la probabilità P limite, imponendo che il valore atteso
N(1-P) sia uguale a 0.5; trovo z associato a tale probabilità (Gaussiana standard), definisco
l’intervallo di accettabilità xm − z * sn−1 ≤ xi ≤ xm + z * sn−1 ; se xi è in tale intervallo è
accettabile, altrimenti da scartare.

Procedimento per eliminare le misure anomale:


- Si elimina e si ridefinisce il campione, rideterminandone i parametri media e scarto.
- Si esegue ricorsivamente sul nuovo campione il controllo secondo Chavuvenet, finché tutti i
valori sono compresi nell’intervallo di accettabilità;
- Posso, al limite, considerare non significativo tutto il campione

Oltre al criterio di Chauvenet vi sono altre tecniche di rigetto:


- Scarto il valore più basso e il più alto, oppure il più distante dalla media dei due;
- Elimino le “code di Gauss”, cioè i valori da ±3σ.

A differenza da questi metodi, il criterio di Chauvenet permette di tenere conto dell’influenza della
numerosità del campione. Infatti, se ho un elevato numero di misure ho più probabilità di trovare un
valore anomalo.

Come abbiamo detto, il criterio di Chauvenet si basa sull’assunzione che la distribuzione sia
gaussiana. Nel caso i dati non fossero distribuiti in tal modo potrei usare comunque il teorema del
limite centrale e ricondurmi alla distribuzione Gaussiana.
Le possibili cause di non normalità della distribuzione sono le seguenti:
- Numero di osservazioni insufficiente
- Non omogeneità della popolazione (campioni non provenienti dallo stesso universo)
- Presenza di errori sistematici
- Cause di ordine matematico (se gli errori sulle dimensioni seguono la curva di Gauss, gli errori
sulla massa no, poiché dipendono dal cubo delle dimensioni)
- Effetto di deriva
- Errori con distribuzione uniforme (calibro, errori di quantizzazione)

CONFRONTO FRA LE MEDIE


Se abbiamo due campioni differenti, è necessario stabilire se le popolazioni da cui essi
provengono siano in realtà la stessa; solo in tal caso le medie dei due campioni sono
confrontabili.
Il confronto si effettua rapportando la differenza fra le due medie alla deviazione standard
combinata (ottenuta con le formule della propagazione dell’errore, vedi esempio slide).
In particolare:
Misure Meccaniche Matteo B. 26
Bisogna decidere a priori un intervallo di accettabilità (ad esempio, volendo il 95% di probabilità di
avere le medie confrontabili, devo prendere come intervallo di 1,96). Se questa condizione è
rispettata allora i campioni sono da considerare appartenenti alla stessa popolazione.
Ovviamente tanto minore è il rapporto z/σ, tanto più i campioni sono da considerarsi omogenei.

ANALISI DI REGRESSIONE E CORRELAZIONE


La correlazione analizza se esiste una relazione tra due variabili
La regressione analizza la forma della relazione tra le variabili

Ad esempio l’analisi di regressione può essere utile per valutare la relazione fra ingressi e uscite di
uno strumento.

Uno dei metodi più usati per regressione è quello dei minimi quadrati.
Nel metodo ai minimi quadrati si minimizza la somma degli scarti quadratici lungo y, non lungo x,
poiché gli ingressi di solito sono noti e affidabili.
Dopo aver ricavato la funzione “best fit” è possibile valutarla tramite due parametri: il coefficiente di
correlazione e l’errore sulla stima.
Il coefficiente di correlazione R^2 ci dice quanto la funzione scelta per il fitting sia buona per
approssimare entrate e uscite. Esso varia tra 0 e 1, più si avvicina a 1 più è buona la correlazione.
L’errore della stima è dato da:
∑ (Y − Ystim )2
s= ; dove Y è il valore misurato.
N−2
N-2 al denominatore dipende dai gradi di libertà della funzione (ossia i parametri che la definiscono
univocamente) 2 nel caso della retta 3 nel caso della parabola, ecc.
Estrapolare: usare la funzione al di fuori dei punti che ho.

Osservazione: è opportuno tenere conto che il coefficiente di correlazioni non è indice dell’errore
commesso nell’approssimazione. Il valore del coefficiente per cui si può ritenere di avere una
Misure Meccaniche Matteo B. 27
buona correlazione è da valutare caso per caso: ad esempio per una legge fisica sarà molto vicino
a 1,
mentre per una relazione empirica sarà compreso tra 0.70 e 0.85.
Il coefficiente di correlazione rimane invariato se:
• moltiplichiamo tutti i valori di una variabile per una costante positiva;
• sommiamo una costante a tutti i valori di una variabile;
• scambiamo i valori di x con quelli di y

Non è conveniente usare il polinomio di interpolazione perché i punti misurati non sono i punti veri
da cui deve passare la funzione e inoltre maggiore è il numero di punti più alto è l’errore di
interpolazione.

TEST DI IPOTESI
Il test di ipotesi è un confronto tra il modello di comportamento che fornisce gli “eventi previsti” e la
serie di eventi che fornisce gli "eventi osservati”, al fine di verificare l’accettabilità o meno del
nostro modello di comportamento.
Il test più utilizzato è il test del chi-quadro: χ2
Data una serie di eventi, essi possono essere divisi in k classi, tali da raggruppare tutti gli eventi
uguali (k eventi possibili).
Il test consiste nel costruire la funzione χ2 , come somma delle k funzioni χ2 iesime, associate ad
ogni classe.
(oi − ei )2
χi2 = dove oi sono gli eventi osservati appartenenti alla i-esima classe e ei sono gli
ei
eventi attesi/previsti dal modello nella medesima classe.
Se la funzione somma delle χ2 ha un valore basso (idealmente tendente a 0), allora il modello è
corretto, perché quanto osservato è analogo a quanto previsto dal modello. Se invece assume un
valore grande il modello di previsione non era corretto.

Misure Meccaniche Matteo B. 28


ESTENSIMETRIA

INTRODUZIONE
L’estensimetria è una tecnica che consente la misura delle deformazioni superficiali di un
corpo, con l’obiettivo di risalire allo stato tensione presente in esso e eventualmente ad i
carichi applicati.
Le misure sono effettuate mediante l’applicazione sulla superficie di particolari sensori detti
estensimetri.
In passato l’estensimetria costituiva l’unica via per conoscere stati tensionali e deformativi di
strutture reali per cui la trattazione analitica era troppo complicata. Oggi, con lo sviluppo delle
simulazione agli elementi finiti (FEM), gli scopi principali dell’estensimetria sono:
- Monitoraggio di componenti strutturali;
- Prove in laboratorio per la caratterizzazione dei materiali e delle loro proprietà;
- Supporto all’analisi FEM (affinamento dei modelli di calcolo);
- Verifiche e collaudi di strutture.

L’estensimetria si basa sulla validità delle seguenti ipotesi:


1) Il materiale del corpo che si va a studiare è Omogeneo Elastico Lineare Isotropo e se ne
conoscono le proprietà caratterizzanti (E, G, v, σsn )
2) Sono note geometria, condizioni di carico e di vincolo;
3) L’estensimetro si mantiene sempre solidale al corpo oggetto di misure.

Se tali ipotesi vengono rispettate, si possono applicare:


1) Equazioni di congruenza, che mettono in relazione vincoli e spostamenti;
2) Equazioni di legame, che mettono in relazione tensioni e deformazioni.
Inoltre tramite la geometria è possibile risalire alla sezione resistente dell’oggetto e al sistema di
riferimento in cui conviene posizionare l’estensimetro.
La conoscenza del materiale permette, oltre a scrivere le equazioni di legame, insieme alle
condizioni di vincolo, di valutare gli effetti di eventuali deformazioni termiche.

DEFORMAZIONE
In questo caso quindi, la grandezza da misurare è la deformazione ε. Essa può essere definita
in due modi: con la formulazione di Lagrange o Eulero.
Δl
- Lagrange: ϵL = ;

l0

dl l
∫ l
- Eulero: ϵE = = ln ;

l0

Sviluppando la formulazione di Eulero in un intorno di Δl=0 si vede che, al primo ordine, le due
formulazioni coincidono:
l Δl ϵ2
ϵE = ln = ln[1 + ] = ϵL − L . . . 

l0 l0 2
In generale la deformazione è un parametro adimensionale, tuttavia, dato che le deformazioni
misurate sono molto piccole, in estensimetria si usa un’unità di misura particolare, detta
“µε=microepsilon” che vale 1*10^(-6) ε.

Misure Meccaniche Matteo B. 29


Dato che solitamente l’estensimetro è usato in campo elastico, si ha il seguente range di variabilità
delle misure (per acciai):
- 0 < σ < 600 MPa;
- E=200 GPa
- 0 < ε < 3000 - 5000 µε .

Δl
La deformazione è quindi ϵL = , se l’estensimetro è solidale al corpo allora la
l0
deformazione ∆l dell’estensimetro coincide con quella del corpo.

l0 è detta base di misura dell’estensimetro.
La scelta della base di misura è di cruciale importanza, infatti, tanto più essa è piccola, quanto più
si riesce a misurare con precisione la variazione di deformazione εL. 

Tuttavia, è anche vero che, tanto più essa è piccola, tanto più piccolo deve essere l’estensimetro
che dunque potrebbe essere della stessa scala dimensionale dei grani e delle imperfezioni
(discontinuità, disomogeneità) del materiale. Infatti, sebbene possa valere in generale l’ipotesi di
omogeneità, nessun materiale può essere perfetto a livello di struttura molecolare; pertanto, con
una base di misura troppo piccola, si rischia che le deformazioni misurate siano influenzate dalle
proprietà della struttura di una specifica parte e che esse differiscano dal resto del corpo.
In altre parole la dimensione dell’estensimetro deve essere piccola ma tale da coprire tutta la
deformazione del materiale in esame.
Inoltre, per quanto detto, è ovvio che la base di misura dell’estensimetro dipende dal materiale del
corpo (metalli, polimeri, legno, calcestruzzo), cioè dalle dimensioni tipiche delle imperfezioni del
materiale.
Oss: fra i materiali più disomogenei troviamo il calcestruzzo, per il quale le imperfezioni sono
dell’ordine del centimetro. Tra quelli più omogenei l’acciaio (1µm).
Le misure di deformazione che si fanno sono misure medie sulla lunghezza dell’estensimetro.
È possibile anche disporre vari estensimetri lungo una superficie, in modo da trovare una serie di
punti e poter interpolare.

ESTENSIMETRO ELETTRICO A RESISTENZA


Nel corso della storia sono stati sviluppati vari tipi di
estensimetri ma nel tempo, per le loro ottime caratteristiche,
gli estensimetri elettrici a resistenza hanno scalzato le altre
tipologie. Oggi, quando si parla di “estensimetri”, si
sottintende specificatamente questa categoria.
Il dispositivo è costituito da una griglia di sottilissimo filo
metallico (solitamente in costantana Cu%60 e Ni%40
oppure in altre leghe) applicata su un supporto di materiale
plastico che viene incollato mediante un collante istantaneo
(es. cianoacrilato) direttamente sul corpo da misurare. 

Oltre alla lega di costantana si può usare una lega isoelastica,
quando il carico varia molto rapidamente o una lega di
platino-tungsteno, per temperature estreme.
Oss: Si usa una griglia e non un unico filo perché la griglia è più versatile (può essere realizzata in
qualsiasi forma mediante fotoincisione) e permette di smaltire meglio il calore, per cui è possibile
operare con correnti più elevate ed ottenere una maggiore sensibilità. Inoltre all’aumentare della
lunghezza del conduttore aumenta la resistenza. Come vedremo in seguito la resistenza deve
essere la maggiore possibile, perciò la griglia è conveniente anche sotto questo punto di vista.

Misure Meccaniche Matteo B. 30



Questo tipo di estensimetro basa il proprio funzionamento sulla seconda legge di Ohm che
ρl
esprime la resistenza elettrica in un filo conduttore come: R = .
S
Passando al logaritmo di entrambi i membri e differenziando:
dR dρ dl dS
= + − ;
R ρ l S
Dunque la variazione relativa di resistenza è data in generale da una variazione di resistività
(legata alle proprietà del materiale), da un allungamento e da una variazione della sezione.
Sfruttando le ipotesi elencate in precedenza:
dl
- = ϵ;
l
dS d(π r 2) dr
- = = 2 = − 2νϵ;
S π r2 r

Dunque possiamo scrivere:


dR dρ 1
= (1 + 2ν + )ϵ = Kϵ .
R ρ ϵ

K è detto “Gauge Factor” ed è un coefficiente caratteristico per ogni estensimetro, determinato


sperimentalmente.
K rappresenta la pendenza della curva resistenza deformazione e non è sempre costante. Ciò
significa che il comportamento degli estensimetri non è sempre lineare.
Un estensimetro è tanto più sensibile quanto più alto è K.

COMPOSIZIONE DELL’ESTENSIMETRO
Considerazioni generali: Come si vede dalla formula, maggiore è la resistenza maggiore è la
sensibilità dell’estensimetro. Gli estensimetri più comuni hanno una resistenza di 120 Ω, quelli per i
trasduttori e misure di precisione 350 Ω, mentre quelli per usi speciali possono arrivare fino a
1000Ω.


Generalmente un estensimetro è costituito da 5 componenti:
1) Griglia estensimetrica (che costituisce l’elemento sensibile)
2) Supporto
3) Terminali
4) Adesivo
5) Strato protettivo

1) GRIGLIA
La griglia è l’elemento sensibile dell’estensimetro, tipicamente è costituita da una lega metallica
avente le seguenti caratteristiche:

1. K elevato (alta sensibilità);

2. Resistività ρ elevata (in modo da avere grosse variazioni di resistenza con griglie di dimensioni
contenute);
3. Coefficiente di dilatazione termica λ simile a quella del materiale cui è collegata;

Il miglior compromesso fra queste caratteristiche lo hanno le leghe di Nicromo o Costantana che

Misure Meccaniche Matteo B. 31


lavorano fra -70° e 200°. Per misure di lunga durata si usa una griglia in Karma (Cr,Ni,Fe,Al) , per
le prove dinamiche (es. fatica) si usa una lega isoelastica (Cr,Ni,Fe,Mo) mentre per le alte
temperature [200o;650o] si usa una lega in platino- tungsteno. 

Intorno alla griglia si possono osservare dei triangolini (non in questo schema), che servono
per il corretto posizionamento dell’estensimetro.

2) SUPPORTO
Il supporto ha la funzione di sostenere la griglia e viene posizionato direttamente sul
componente. Deve perciò essere meno rigido possibile per evitare di influire sulla rigidezza del
corpo, alterando la misura (è come se aggiungessimo una molla in parallelo).
Esistono vari tipi di supporto, inizialmente venivano realizzati in carta, ma oggi si realizzano
prevalentemente in resina poliammidica. Ne esistono comunque alcuni di acciaio o ceramica.

3) TERMINALI
I terminali sono gli elementi finali della griglia sulla quale vengono saldati i cavi
dell’alimentazione (mediante saldatura a stagno).

4) ADESIVO
L’adesivo è l’elemento di collegamento fra il supporto e la superficie da misurare, infatti
l’estensimetro deve essere completamente aderente al corpo, in modo che l’equazione di
congruenza sia rispettata e la deformazione sull’estensimetro sia la stessa di quella del
componente.
L’adesivo ovviamente deve essere in grado di resistere alle temperature di esercizio
dell’estensimetro; quando si lavora ad alte temperature le colle devono essere particolari, poiché
devono polimerizzare (cioè solidificare) a caldo.

Inoltre l’adesivo deve deformarsi con la stessa velocità dell’estensimetro, poiché altrimenti

Misure Meccaniche Matteo B. 32


deformandosi meno velocemente esso agirebbe da smorzatore, provocando il fenomeno
dell’isteresi.
La colla da utilizzare deve essere quella suggerita dal costruttore dell’estensimetro; colle “di uso
comune” stile Attak non sono fatte per lavorare in particolari condizioni, potrebbero comunque
funzionare, ma non ne si ha la certezza.

5) PROTETTIVO
L’estensimetro deve essere opportunamente isolato dall’ambiente e protetto dai fattori
esterni, tra i quali il più dannoso è l’umidità che, oltre a modificare le proprietà dell’estensimetro,
tende a far perdere l’adesività alla colla.
La protezione deve essere, oltre che esterna, anche interna, ovvero la griglia deve essere isolata
elettricamente, in modo che tutta la corrente passi nell’estensimetro.
L’isolamento può essere schematizzato con una resistenza elettrica in parallelo
all’estensimetro, idealmente infinita, in modo che non influisca minimamente sulla misura. Il
problema spesso non è tanto la resistenza dell’isolante in sé, quanto il fatto che essa possa variare
in base alle condizioni ambientali.

In laboratorio valori tipici di resistenze sono superiori a 2000 MΩ, per misure all’aperto invece ci
possiamo accontentare di resistenze da 500 MΩ.

INFLUENZA DELLA TEMPERATURA


Occorre tenere di conto anche l'influenza della temperatura sullʼestensimetro. I suoi effetti
più rilevanti sono di tre tipi:
1) Variazione del Gauge Factor:

Il Gauge Factor varia linearmente con la temperatura a partire da un valore noto Ke preso ad
una temperatura di riferimento Tref=23°C. La differenza inizia a diventare significativa quando
la temperatura aumenta di un centinaio di gradi (in quel caso K varia del 1%). Per piccole
variazioni di temperatura (es.ΔT=10°C) il K approssimativamente rimane costante.
2) Variazione di resistività del materiale che costituisce la griglia;
3) Dilatazione dei materiali (Thermal
Output):

Se griglia e superficie in esame
hanno coefficienti di dilatazione
diversi, si generano deformazioni
termiche differenziali e quindi
deformazioni meccaniche
“apparenti”. La variazione di
resistenza indotta da una
deformazione meccanica
apparente prende il nome di
thermal output.

L’influenza della temperatura può


essere riassunta dalla seguente formula:
ΔR
( ) = (β − α)KΔT + γΔT;
R ΔT
dove ß rappresenta il coefficiente di dilatazione termica del materiale su cui si effettua la misura, α
rappresenta il coefficiente di dilatazione termica del materiale dell’estensimetro, K è il Gauge
Factor, γ è il coefficiente di variazione di resistività.

Misure Meccaniche Matteo B. 33


L’effetto della temperatura può essere ridotto con il principio degli ingressi in opposizione,
realizzando la griglia con un materiale che ha un
comportamento opposto rispetto a quello che del materiale
dell’oggetto su cui si applica l’estensimetro.

SENSIBILITÀ TRASVERSALE
La deformazione misurata dalla griglia dellʼestensimetro è
monoassiale (generalmente in direzione del carico applicato),
tuttavia, anche se lo stato tensionale è monoassiale, lo stato di
deformazione in generale non lo è. Questo significa che,
inevitabilmente, la griglia e il corpo si deformano
contemporaneamente anche nella direzione ortogonale a
quella assiale. Se non fosse contenuta, anche questa
deformazione contribuirebbe additivamente ad una variazione
di resistenza.

La variazione di resistenza totale dell’estensimetro è data cioè da tre contributi:

ΔR
= Kassϵass + Ktr ϵtr + Kt γt

R
Variazione dovuta a deformazione assiale + trasversale + scorrimento a taglio.

(ΔR /R)tr
con: Ktr =[ ]ϵa=0 , 

ϵtr
che quantifica il Gauge Factor in una sola direzione.

La sensibilità trasversale , inoltre può essere quantificata come il rapporto:

Ktrasv
Strasv = 

Kass

Per diminuire la sensibilità trasversale, si realizza la griglia in modo che i tratti trasversali siano
molto brevi e con una sezione più ampia (dalla II legge di Ohm è evidente che la resistenza in tale
direzione aumenta e quindi la sensibilità diminuisce). 

La sensibilità trasversale ci viene sempre fornita dal costruttore, per poter eventualmente
correggere le misure.


Analizziamo ora i casi di stato tensionale monoassiale e biassiale.

Stato tensionale monoassiale: 

Trascurando la sensibilità allo scorrimento a taglio, si ha:

ΔR
= Kaϵa + Kt ϵt = Ka(ϵa + St ϵt )
R

Bisogna però tenere conto che il Gauge Factor K globale viene calcolato tramite taratura,
associando ad una deformazione nota la variazione di resistenza che si legge.
ΔR
= Kϵ
R

Mettendo in relazione deformazione assiale e deformazione trasversale, mediante le equazioni di


legame:


Misure Meccaniche Matteo B. 34


ϵt = − νϵa ;

Kϵm = Kaϵa(1 − νSt )

Cioè:

K = Ka(1 − νSt )


In questo caso l’errore dovuto alla sensibilità trasversale dipende esclusivamente dal coefficiente
St, in quanto deformazione assiale e deformazione trasversale sono legate fra loro dal coefficiente
di Poisson.

Stato tensionale biassiale:


In questo caso non è possibile esprimere la deformazione trasversale in funzione della
deformazione assiale, tramite il coefficiente di Poisson, perciò per risalire all’ effettiva deformazione
assiale:
ΔR ϵ
= Kϵm = Kaϵa(1 − St ν a )

R ϵt

Dunque:
K (1 − St ν)
ϵa = ϵm ϵt = ϵm ϵ
(1 − St ϵ ) (1 − St ϵ t )
a a

Come vediamo da questa formula l’errore


che si commette in questo caso dipende
sia dal coefficiente di sensibilità
trasversale, sia dal rapporto tra
deformazione assiale e deformazione
trasversale. Tanto maggiore è tale
rapporto, quanto maggiore sarà l’errore.
Generalmente i valori tipici della sensibilità
trasversale St sono entro lo 0.01, e gli
errori che si commettono sono entro il 5%.

Se si misurano le deformazioni in due direzioni ortogonali,


tramite due griglie disposte a 90°, gli effetti della sensibilità
trasversale si combinano. Per risalire alle effettive
deformazioni, occorre risolvere un sistema lineare di due
equazioni e due incognite (εa, εt).
ϵa + St ϵt
—> ϵ1 =
1 − νSt
ϵt + St ϵa
—> ϵ2 =
1 − νSt

FATICA
È possibile che il lʼestensimetro sia montato su pezzi sottoposti a sforzi (e quindi deformazioni)
ciclici.

Se la deformazione massima del pezzo (e quindi dellʼestensimetro) durante il ciclo è superiore ad
una certa soglia, con il passare del tempo si assiste ad una deriva dello zero, ossia una volta
Misure Meccaniche Matteo B. 35
scaricato il pezzo, la resistenza
dellʼestensimetro non torna al valore
originario ma rimane variata. Ovviamente
lʼeffetto è cumulativo, quindi se continuo a
lavorare con un estensimetro con lo zero
errato, questo si sposterà sempre di più.

In questi grafici è possibile vedere


l’andamento della deriva dello zero
all’aumentare del numero di cicli, per diversi
deformazioni.

PONTE DI WHEATSTONE
Gli estensimetri sono sensori passivi, per
poter leggere le variazioni di resistenza è
necessario collegarli ad un circuito elettrico. Il
tipo di circuito che si utilizza è detto “ponte di Wheatstone”; esso
si compone di un generatore di tensione che alimenta due rami
resistivi posti in parallelo:

La misura di una resistenza tramite il ponte di Wheatsone può


avvenire in due modi:
1) Metodo a deflessione: la lettura della tensione dà
un’indicazione della variazione di resistenza e quindi di
temperatura.


2) Metodo ad azzeramento: una delle resistenze può essere regolata manualmente, fino a che il
ponte non viene bilanciato.

In entrambi i casi il ponte è alimentato da un generatore che applica una tensione E nota.
Nel metodo ad azzeramento viene posizionato sul ramo centrale del ponte un galvanometro (o
amperometro) che misura il passaggio di corrente fino a quando questo non è nullo. Quando non
viene più segnalato passaggio di corrente, si può ricavare la resistenza dell’estensimetro con una
formula analitica: R1xRx = R2xR3 ;

Nel metodo a deflessione invece viene letta, tramite un voltmetro, la differenza di potenziale ai capi
del ramo centrale DB.
Tale tensione in uscita V, è legata ad E dalla seguente relazione:
E ΔR1 ΔR2 ΔR3 ΔR4
V= ( − + − )
4 R1 R2 R3 R4
Se al posto delle resistenze immaginiamo di mettere quattro estensimetri con lo stesso K si ha:
KE
V= (ϵ − ϵ2 + ϵ3 − ϵ4)
4 1
ΔR
Con = Kϵ
R
Possiamo cioè affermare che, se espressi in termini relativi gli effetti (variazioni di resistenza) sui
lati adiacenti si sottraggono, mentre su lati opposti si sommano.

Misure Meccaniche Matteo B. 36


Questa proprietà è molto importante e viene usata per amplificare gli effetti o per eliminare effetti
indesiderati.

CATENE ESTENSIMETRICHE
Il circuito a ponte di Wheatstone può essere di tipo:
1) A quarto di ponte

In questa configurazione si ha un solo estensimetro in un lato per misurare la deformazione,
mentre le altre resistenze sono costanti. 

In questo caso l’estensimetro deve essere autocompensato per il materiale su cui si incolla,
altrimenti la misurazione sarebbe falsata dall' influenza della temperatura.
2) A mezzo ponte

In questa configurazione si hanno due estensimetri su lati adiacenti, i cui contributi quindi
vanno sottratti. 

Questo schema può essere utile per eliminare l’influenza della temperatura, infatti un
estensimetro può misurare la deformazione meccanica mentre lʼaltro, detto “estensimetro
compensatore” ed è semplicemente incollato ad un pezzo dello stesso materiale scarico alla
stessa temperatura. Dal momento che “effetti uguali su lati adiacenti si elidono” lʼestensimetro
compensatore misura sul pezzo scarico la deformazione termica il cui effetto è uguale e
opposto a quello della deformazione termica dellʼestensimetro collegato al pezzo carico. Si
elimina quindi lʼingresso indesiderato dovuto alla temperatura (metodo degli ingressi in
opposizione) e rimane solo quello desiderato dovuto alla deformazione.
3) A ponte intero

In questa configurazione si hanno quattro estensimetri disposti su tutti e quattro i lati. In questo
caso tutti gli estensimetri sono collegati allʼoggetto da misurare (elementi adiacenti nel ponte
collegati a facce opposte dell’oggetto da misurare). Il disturbo della temperatura, supposto
uguale su tutti e quattro gli estensimetri, è compensato sui lati a due a due adiacenti.

MISURA DELLA DEFORMAZIONE NEL CASO DELLA FLESSIONE


Per misurare la deformazione di una trave flessa si usa una configurazione a mezzo ponte.
Misure Meccaniche Matteo B. 37
È noto che la distribuzione delle sollecitazioni ha un
andamento lineare a farfalla, in cui la sollecitazione è
massima in valore assoluto sui punti più lontani
dall’asse neutro. 

In particolare, in caso di una flessione come quella in
figura, le fibre superiori sono in trazione, mentre
quelle inferiori sono in compressione; la tensione sui
due lati opposti è dunque la stessa in valore assoluto
ma con segno opposto. Possiamo affermare la
stessa cosa per le deformazioni assiali.
La configurazione a mezzo ponte sfrutta questa
distribuzione di tensioni per amplificare
(raddoppiare) la variazione di resistenza
dell’estensimetro. Si posiziona infatti un
estensimetro sulla parte superiore e un estensimetro
sulla parte inferiore, entrambi in direzione assiale.
Si ha dunque:
ϵ1 − ϵ2 = ϵf − (−ϵf ) = 2ϵf

Questa configurazione è vantaggiosa anche per un altro motivo. Se il carico non è esattamente
ortogonale all’asse della trave ma leggermente inclinato, allora una componente della forza
provoca uno sforzo di trazione o compressione nella trave, che altererebbe la misura. Tuttavia,
poiché la deformazione causata dallo sforzo normale è uguale sia per l’estensimetro 1 che per
l’estensimetro 2, e poiché la configurazione a mezzo ponte fa sì che tali contributi si elidano, la
misura della deformazione a flessione non viene alterata:
ϵ1 − ϵ2 = (ϵf + ϵn) − (−ϵf + ϵn) = 2ϵf

MISURA DELLA DEFORMAZIONE NEL CASO DI SFORZO NORMALE


Per misurare la deformazione causata da uno sforzo di trazione posso procedere in vari modi.
1) Si posiziona un estensimetro in direzione assiale e si usa una
configurazione a mezzo ponte con un altro estensimetro
compensatore (soluzione peggiore).
2) Si posizionano gli estensimetri sulla stessa faccia, uno in direzione
assiale e uno in direzione ortogonale, con una configurazione a
mezzo ponte.

Quello in direzione assiale misura una deformazione ϵf + ϵapp ; 

quello in direzione ortogonale misura una deformazione:
−νϵf + ϵapp ;

Dove εapp è la deformazione causata da una variazione di
temperatura.

Perciò la lettura dà:

ϵ1 − ϵ2 = (ϵf + ϵapp) − (−νϵf + ϵapp) = ϵf (1 + ν)

Dunque, si riesce ad eliminare l’influenza della temperatura e ad
aumentare la sensibilità dell’estensimetro.
3) Si utilizzano 4 estensimetri, con una configurazione a ponte
intero del ponte di Wheatstone.

Gli estensimetri sono orientati in modo che quelli adiacenti siano
angolati di 90°, mentre quelli opposti siano paralleli.


Misure Meccaniche Matteo B. 38


Si ottiene:


ϵ1 − ϵ2 + ϵ3 − ϵ4 = (ϵf + ϵapp) − (−νϵf + ϵapp) + (ϵf + ϵapp) − (−νϵf + ϵapp) = 2ϵf (1 + ν)

La cella di carico ha una sensibilità doppia rispetto al caso a mezzo ponte.

Inoltre, nel caso lo sforzo normale fosse decentrato e generasse dunque
una flessione, i contributi alla deformazione si eliderebbero.

MISURA DELLA DEFORMAZIONE NEL CASO DELLA TORSIONE


Per misurare la deformazione di una trave sottoposta a torsione si usa una configurazione a ponte
intero, con gli estensimetri disposti a coppia, inclinati relativamente di 45°, come in figura. 

Infatti, come si evince dal cerchio di Mohr, la sollecitazione massima (e quindi la deformazione

Misure Meccaniche Matteo B. 39


massima) si ha a 45° rispetto alla direzione dell’asse della trave (l’angolo nel cerchio di Mohr è
90°, ma come è noto esso è il doppio dell’angolo reale di cui va ruotato il sistema di riferimento).
Con tale configurazione si elidono anche i contributi di sforzo normale e flessione.

RIEPILOGO
Riepilogando il ponte di Wheatstone svolge 4 funzioni principali:
- Permette di leggere le variazioni di resistenza elettrica, generando una differenza di potenziale;
- Aumenta la sensibilità della misura;
- Permette la compensazione automatica dell’influenza della temperatura;
- Permette l’eliminazione dell’effetto di componenti di sforzo non desiderate.

CATENA DI MISURA DELL’ESTENSIMETRO


La catena di misura parte dall’estensimetro, prosegue con il circuito a ponte di Wheatstone, che ha
ovviamente bisogno di un’energia ausiliaria per effettuare le letture, dato che l’estensimetro è un
sensore passivo.
Vi è poi un amplificatore che permette di amplificare la tensione in uscita e infine un sistema che
di lettura e registrazione dei dati.

ALIMENTAZIONE
Il ponte, come già detto, deve essere alimentato. La tensione in uscita dal ponte V dipende da E,
che è la tensione imposta dal generatore. In particolare, V ed E sono direttamente proporzionali,
perciò, aumentando E, V aumenta dello stesso fattore. 

È dunque conveniente aumentare la tensione di alimentazione, per aumentare la sensibilità dello
strumento di misura (aumentano le uscite, cioè le variazioni di resistenza, a parità di ingressi).
Inoltre, per effettuare la lettura, la tensione deve essere stabile nel tempo.

Tuttavia esiste un limite fisico alla tensione di alimentazione del ponte di Wheatstone. Sappiamo
infatti che P=I2 R=V2/R (effetto Joule), perciò se la differenza di potenziale imposta è troppo
elevata, la potenza termica prodotta riscalda l’estensimetro, alterando la misura o al limite
fondendo lo strumento di misura. Per tale ragione il costruttore fornisce sempre la tensione
massima con cui si può alimentare l’estensimetro, senza danneggiarlo.

Dalla formula dell’effetto Joule possiamo vedere anche che è molto più conveniente una resistenza
degli estensimetri molto elevata, per abbassare la potenza emessa per effetto Joule e, quindi,
poter alimentare gli estensimetri a tensioni più elevate.

Normalmente la tensione di alimentazione è continua, ma esistono anche alimentazioni in corrente


alternata.

AMPLIFICAZIONE O GUADAGNO
Abbiamo detto che, per poter aumentare la tensione in uscita dal ponte di Wheatstone, non
possiamo aumentare a dismisura la tensione con cui lo alimentiamo poiché si incorrerebbe in errori
o danni fisici all’estensimetro. Tuttavia è possibile agire sull’amplificazione.
La tensione V può essere aumentata di un fattore G grande a piacere:
EK
V= Gϵ1
4

CENTRALINA ESTENSIMETRICA
La centralina estensimetri ha la funzione di “leggere” il circuito a ponte di Wheatstone. Comprende:
1. Alimentazione
2. Amplificazione

Misure Meccaniche Matteo B. 40


3. Completamento del ponte
4. Azzeramento offset del ponte: viene effettuato con un potenziometro, che mi permette di
variare la resistenza variabile e soddisfare la legge del ponte bilanciato, in modo tale che la
tensione in uscita sia nulla.
5. Calibrazione sbilanciamento del ponte: è analogo all’azzeramento ma viene svolto durante il
funzionamento dell’estensimetro, serve ad eliminare gli effetti della deriva. Infatti è molto
difficile che il ponte sia perfettamente bilanciato, poiché ci sono degli errori percentuali sui
valori delle resistenze (che non hanno un valore esatto) che i costruttori ci forniscono.

CAVI DI COLLEGAMENTO
I cavi di collegamento hanno una propria resistenza, che dipende dalla lunghezza, Ad esempio
10m di cavo di rame di diametro 0.7mm e resistività 0.017 hanno una resistenza di circa 1Ω, perciò
anche se la resistenza dell’estensimetro è 120Ω, se collego 10m di cavo posso avere una
resistenza effettiva di 121Ω.
La resistenza dei cavi, inoltre, non è fissa, ma può variare a seconda della temperatura, che
induce una variazione di resistenza dellʼordine del millesimo di Ω ogni grado (quindi attraverso la
formula della variazione di resistenza si può verificare in 10m di cavo ho una deformazione di circa
1.5 µm/oC).

Il tipo di collegamento tra estensimetro e centralina dipende dalla configurazione del ponte di
Wheatstone che sto utilizzando.
1) Ponte intero:

In un ponte intero tutti i cavi, sia di
alimentazione, che di misura sono esterni (cioè
in serie) al ponte. Dato che la centralina che
fornisce la differenza di potenziale in ingresso
può essere lontana dall’estensimetro, può
essere che la tensione effettiva che si ha al
ponte di Wheatsone sia diversa da quella
erogata, a causa di una caduta di tensione. In
particolare:

E 1
Ew = RW = E ;

Rw + 2RL 1+2R
RL
W

dove RL è la resistenza di linea dei cavi di collegamento e Rw è la resistenza complessiva del


ponte. Grazie a queste formule posso correggere le misure.

I cavi di misura non hanno una caduta di tensione, poiché nel circuito di misura si ha
bassissimo passaggio di corrente, a causa
dell’impedenza altissima con cui si realizzano i cavi.
2) Mezzo ponte:

Nel mezzo ponte i cavi di alimentazione
(rappresentati come resistenze variabili) sono interni
(cioè in parallelo) al ponte, perciò la tensione che
imposto dalla centralina coincide con quella applicata
al ponte.

Può accadere che vi sia una variazione di
temperatura sui cavi di alimentazione, ma se i due cavi sono uguali, le variazioni di
temperatura si compensano e hanno un effetto globale nullo.

Il cavo di misura è esterno al ponte e ha impedenza molto elevata, per cui non influisce sulla
tensione. Questa configurazione è spesso quella migliore.

Misure Meccaniche Matteo B. 41


3) Quarto di ponte:

La soluzione peggiore è quella del quarto
di ponte collegato a due fili , poiché i cavi
sono interni al ponte e su un ramo solo.
Per questo motivo in questo caso la
variazione di temperatura non si
compensa e altera la misura.

La soluzione è un collegamento a tre fili
che permette di ricondursi al cavo del
mezzo ponte.

PROCEDURA (da completare)


La procedura con cui si incolla, si protegge si definisce la relazione con l’ambiente è normata e
molto precisa.
Dopo aver fissato i cavi alla basetta, vi è una verifica che si divide in quattro punti:
1) Ispezione visiva
2) Verifica continuità
3) Verifica Isolamento
4) Verifica dell’adesione, non semplice da controllare, poiché una eventuale verifica di resistenza
della colla potrebbe danneggiare l’estensimetro. È perciò una verifica che si effettua a posteriori,
se positiva allora la misura effettuata è da accettare, altrimenti no.

POSSIBILI FONTI DI ERRORE


Gli errori che possono incorrere durante una misura con un estensimetro possono essere sia
sistematici, sia causali, sia parassiti.
Si possono avere fondamentalmente quattro possibili fonti di errori:
1) Sistema del sensore e ambiente;
2) Acquisizione del segnale;
3) Lettura del sistema;
4) Elaborazione dei dati.

1. GAUGE SYSTEM
Gli errori nel sistema del sensore possono provenire da sensore, adesivo, protezione e ambiente. 

Esempi di errori sul sensore:
- Incertezza sul gauge factor, che ci viene fornito con un range di errore percentuale.
- Problemi di linearità
- Sensibilità trasversa
- Fatica
- Autoriscaldamento
- Rafforzamento della struttura da parte dell’estensimetro (si può avere su pezzi molto sottili, su
cui l’influenza dell’estensimetro può essere rilevante).
Esempi di errore sull’adesivo:
- Deformazioni troppo grandi
- Creep (problema che si ha per carichi statici, costanti nel tempo, in ambiente ad alta
temperatura).
- Isteresi
- Errore nella procedura di incollaggio
Esempi di errore sulla protezione:
- Isolamento insufficiente
- Effetto rinforzante analogo a quello del sensore
Esempi di errore dell’ambiente:
Misure Meccaniche Matteo B. 42
- Umidità
- Pressione dell’ambiente
- Effetti elettromagnetici
- Variazione del gauge factor a causa della temperatura dell’ambiente

ACQUISIZIONE DEL SEGNALE


Vanno analizzati saldature, connessioni e cavi.
Esempi di errore sulla saldatura:
- Variazione di resistenza elettrica della saldatura, che può modificarsi nel tempo
- Generazione di forze elettromotrici di origine termica (effetto Seebeck)
Esempi di connessioni e cavi:
- Resistenza dei cavi può provocare diminuzione della sensibilità.
- Effetto della temperatura sulla resistenza dei cavi.
- Segnali elettromagnetici esterni possono influire sul segnale.

SISTEMA DI LETTURA
Il sistema di lettura è il ponte di Wheatstone
Vanno analizzati completamento del ponte, alimentazione del ponte, condizionamento del segnale,
rumore elettrico.
Esempi di errore sul completamento del ponte:
- Effetto della temperatura sulle resistenze campione, che dunque vanno scelte con bassi
coefficienti di variazione in base alla temperatura
- Effetti di switch
- Linearità del ponte, che è lineare solo per approssimazione.
Esempi di alimentazione del ponte:
- Alimentazione non costante
Esempi di condizionamento del segnale:
- Amplificatori

ELABORAZIONE DEL SEGNALE


Vanno analizzati quattro aspetti: posizione dell’estensimetro, calibrazione, costanti dei materiali,
calcoli.
Esempi di errori di posizionamento dell’estensimetro:

- Disallineamento dell’estensimetro
- Non annullamento di effetti di deformazione non voluti a causa del cattivo posizionamento
- Gradienti di deformazione, l’estensimetro misura la media, se i gradienti sono alti la media è
poco indicativa
Errori sulla calibrazione:

Sulle vecchie centraline, ora non si usa più.
Esempi di errori sulle costanti e sui calcoli:
- Le costanti elastiche che si usano sono note in maniera nominale, il materiale che noi stiamo
usando può non coincidere esattamente con quello nominale.
- Effetto dovuto a tensioni residue, non dà fastidio in caso di linearità, perché si guardano le
variazioni, che sono indipendenti da esse.
- Assunzione che si lavori sempre in campo elatico, con costanti invarianti.

Questi errori non vanno imparati a memoria.


Ovviamente vanno considerati anche gli errori parassiti dovuti all’operatore.

APPUNTI (da qua in poi da revisionare)


Misure Meccaniche Matteo B. 43
TARATURA DELL’ESTENSIMETRO
Per determinare il Gauge Factor bisogna tarare l’estensimetro. 

L’estensimetro non può essere staccato dopo un incollaggio, perciò il produttore sacrifica un lotto
di estensimetri per ottenere dei valori medi di riferimento. Per tale ragione non si è sicuri al 100%
che il nostro estensimetro si comporti come ci viene indicato dai produttori.
Si usa una trave a flessione con quattro punti di appoggio, per avere momento flettente costante.
In genere la taratura si fa con un estensimetro con un grado di precisione superiore.
Si conoscono dunque le deformazioni grazie all’estensimetro di riferimento, le tensioni di
alimentazione e di uscita, perciò si può facilmente risalire al K dell’estensimetro che siamo tarando.

Gli estensimetri hanno tipicamente due impieghi:


- Misure di deformazione:

Fino a qualche anno fa era l’impiego precedente, mentre oggi le deformazioni vengono calcolate
prevalentemente coi metodi agli elementi finiti.

Tuttavia possono esserci delle situazioni in cui è difficile prevedere carichi e vincoli (come ad
esempio in una moto da trial che percorre un circuito o in una sospensione automobilistica), ed
in cui perciò è più facile e conveniente misurare sperimentalmente. 

Gli estensimetri possono essere utilizzati anche nel monitoraggio e nella diagnostica.
- Costruzione di trasduttori:

Oggi è l’applicazione principale degli estensimetri: vengono utilizzati in celle di carico (misure di
forze, coppie etc.), accelerometri.

Misure Meccaniche Matteo B. 44


CELLE DI CARICO

INTRODUZIONE
Una cella di carico è un dispositivo elettronico che serve a misurare una forza applicata su
un oggetto (in generale un componente meccanico). Essa è generalmente costituta da un
corpo metallico (acciaio o alluminio), su cui vengono applicati uno o più estensimetri, che
“leggono” la deformazione del materiale mediante una variazione di resistenza. 

Questa comporta, a sua volta, un segnale elettrico, che viene manipolato e amplificato in
maniera opportuna, in modo da poter essere utilizzato. 

Il sistema che si usa per leggere la variazione di resistenza è il ponte di Wheatstone, che
in generale, per amplificare l’intensità del segnale e per compensare i disturbi di origine
termica, viene utilizzato con una configurazione a ponte intero.


La classificazione delle celle di carico si basa di solito sul tipo di sollecitazione agente
nella zona degli estensimetri. Esistono numerose celle di carico:
- A trazione/compressione
- A flessione
- A taglio
- A torsione

Occorre distinguere fra il tipo di sollecitazione agente sulla cella:

In questo caso, l’elemento sensibile è una colonnina a sezione quadrata. Gli estensimetri sono
collegati a ponte intero sulle quattro facce, in modo da massimizzare la variazione di tensione in
uscita.

Misure Meccaniche Matteo B. 45


È opportuno che la colonnina sia sufficientemente corta, per evitare il “buckling”, ossia l’instabilità a
carico di punta. Tuttavia avere una colonnina corta significa anche averla più rigida, il che potrebbe
comportare deformazioni troppo piccole.
La misurazione della deformazione è effettuata come spiegato in precedenza (vedi “Misura della
deformazione nel caso di sforzo normale”)

La cella di carico a flessione serve per misurare il momento flettente. 



La deformazione è misurata come spiegato in precedenza (vedi “Misura della deformazione nel
caso di flessione”). Queste celle sono di solito più sensibili delle celle a trazione, poiché le
sollecitazioni hanno una andamento a farfalla.

Misure Meccaniche Matteo B. 46


Questa cella serve per misurare le forze di taglio.
Gli estensimetri devono essere posizionati a 45 gradi per poter leggere la sollecitazione massima.

La cella di carico viene montata sull’asse neutro, in modo da eliminare l’effetto legato al momento
flettente.
Con questa configurazione la torsione non si compensa e genera degli sforzi di taglio che vanno a
sommarsi all’effetto che vogliamo misurare.

CELLE A TORSIONE
L’estensimetro in questo caso è montato sul filo di una molla elicoidale. Se sottopongo a
compressione la molla lo sforzo prevalente è a torsione e si misura con gli estensimetri disposti a
45, in modo analogo alla cella di carico a taglio.

RIEPILOGO

Misure Meccaniche Matteo B. 47


TORSIOMETRI

Un torsiometro è uno strumento atto a misurare la coppia trasmessa attraverso un albero motore e
conseguentemente anche la potenza.
Per misurare la potenza P trasmessa da un albero rotante è necessario conoscere il momento
torcente M trasmesso e la velocità angolare ω:
P = Mω
Per una generica trave sottoposta a torsione:
J0G
M=α
L
Dove α è l’angolo di rotazione relativa fra due sezioni dell’albero, L è la distanza fra le due sezioni,
J0 il momento polare, G il modulo di taglio.
Il problema a questo punto diventa misurare l’angolo α. Esso può essere misurato in tre modi:
1. Misure ottiche
2. Contatti striscianti (?)
3. Macchina a carcassa oscillante.

1. Per le misure ottiche si usa un encoder. Una sorgente manda un fascioo luminoso che viene
fatto passare attraverso due flange forate che ruotano l’una rispetto all’altra. In base a quanta luce
passa riesco a misurare l’angolo di torsione.


2. (?) Per i contatti striscianti si installano sull’albero
quattro estensimetri opportunamente orientati,
collegati a ponte di Wheatsone.
Sfruttando l’induzione elettromagnetica, attraverso
due trasformatori che sono due statori, riesco a fare
la lettura senza il contatto.
Si ottiene una relazione:
e0(t) = es(t)Kϵ
Dove K è una costante che si ottiene tramite
taratura.

3. Nella macchina a carcassa oscillante il


motore di cui si vuole calcolare la potenza è
collegato ad un freno a carcassa oscillante.
Un motore che in teoria potrebbe ruotare è
bloccato da un braccio che appoggia su una
cella di carico.
Misurando la forza attraverso la cella di
carico e conoscendo il braccio è possibile
calcolare la coppia, tenendo conto dell’attrito.

M = Ms + Ma

Conoscendo la velocità angolare del motore si ricava la potenza.

TARATURA DI UNA CELLA DI CARICO (vedere scheda excel)


Prima di essere utilizzata una cella di carico deve essere tarata.

Il processo di taratura si basa su dei campioni di massa nota che costituiscono gli ingressi di
riferimento. 

Solitamente la taratura viene eseguita in più cicli, in ognuno dei quali si vanno a posizionare in

Misure Meccaniche Matteo B. 48


sequenza i pesi campione sulla cella di carico e si misura l’output corrispondente come segnale
elettrico. Ogni ciclo ha una prima fase in cui la forza è crescente (da 0 a F.S) e una seconda fase
in cui il peso è decrescente (da F.S a 0), per tener conto dell’isteresi. L’output dipende sia dalla
tensione di alimentazione sia dall’amplificazione.
Si effettua infine una regressione che permette di calcolare la sensibilità della cella di carico.

Tramite la taratura si riescono ad inglobare i vari errori nella catena di misura.

ELABORAZIONE DELLA DEFORMAZIONE E DETERMINAZIONE DEGLI SFORZI


Occorre fare una distinzione preliminare in base allo stato tensionale:
1. Stato monoassiale (estensimetro lungo la direzione principale)
2. Stato biassiale (direzioni principali note)
3. Stato monoassiale (estensimetro indirezione nota)
4. Stato tensionale biassiale con εx = - ε y
5. Stato tensionale biassiale con εx = - ε y.
6. Caso piano generale, x e y assi principali incogniti


Premessa: se un materiale è ELI bastano due parametri (E, v) per scrivere le equazioni di legame,
che legano deformazioni e sforzi.

1. Stato tensionale monoassiale:



Innanzitutto occorre tenere presente che ad uno stato tensionale monoassiale non corrisponde
uno stato di deformazione monoassiale, ma triassiale. Tuttavia, se chiamiamo x la direzione di
applicazione della forza, tutte le deformazioni sono funzioni solo dello sforzo σx.

Per tale ragione, per determinare lo stato tensionale e lo stato di deformazione, basta
posizionare un solo estensimetro lungo la direzione della forza applicata.


2. Stato tensionale biassiale (direzione nota):



Nota le direzioni principali si possono calcolare gli sforzi misurando le deformazioni lungo x e
lungo y. Si posizionano perciò due estensimetri disposti perpendicolarmente (rosetta
estensimetrica con estensimetri a 90°).


3. Stato tensionale monoassiale, con estensimetro inclinato di αx rispetto alla direzione di


applicazione della forza.

Se è nota la direzione principale, si ricavano facilmente εx ed εy.


4. Stato tensionale biassiale con εx = εy.



Tutte le direzioni sono principali, le deformazioni sono uguali in tutte le direzioni.


5. Stato tensionale biassiale con εx = - ε y.



Misurando su due direzioni ortogonali ottengo sempre deformazioni uguali in modulo ma di
segno opposto. Chiaramente i moduli variano al variare dell’inclinazione dell’estensimetro. 


6. Caso piano generale, x e y assi principali incogniti



Abbiamo 3 incognite, perciò dovremo mettere 3 estensimetri, posizionati a caso.


ROSETTE PIANE
Come appena spiegato, la doppia griglia si usa quando si conoscono gli assi principali, la tripla
griglia quando abbiamo bisogno di misurare tre deformazioni.
Vi sono due configurazioni possibili per la tripla griglia: a griglie sovrapposte (da usare quando vi è
alto gradiente di deformazione lungo la superficie ma non quando c’è gradiente normale alla

Misure Meccaniche Matteo B. 49


superficie, perché essendo sovrapposte possono misurare deformazioni diverse) e a griglie
separate (quando vi è gradiente lungo la superficie).

PROCEDURA DI PROVA:
- Inserire punti di misura “di controllo” ossia posizionare gli estensimetri in punti in cui siamo certi
della deformazione.
- Controllare “canale per canale” la identificazione dei punti di misura (ossia bisogna controllare
opportunamente il collegamento dei cavi elettrici.
- Effettuare una verifica “globale” sia della strumentazione che degli apparati di prova, caricando
ad un livello di carico basso. Questo permette di verificare errori che emergono solo quando si
applica un carico e non si vedono a riposo. Ciò non sempre è fattibile.
- Eseguire se possibile alcuni cicli di “allenamento”, controllando gli zeri. Ad esempio questo può
essere utile per controllare l’incollaggio, se dopo una deformazione l’indicatore non torna a zero
è evidente che si hanno problemi di incollaggio.
- Usare procedure di prova collaudate e personale qualificato. Le misure devono essere attendibili
e difendibili, cioè bisogna essere sempre in grado di dimostrare che la procedura utilizzata è
stata corretta.

RELAZIONE TECNICA
Una relazione tecnica deve sempre riportare:
- Tipo di prova e descrizione dell’oggetto provato
- Attrezzatura utilizzata, in modo da poter risalire con certezza alle caratteristiche degli strumenti
usati.
- Strumentazione e catena di misura (ad esempio bisogna segnare i dati della centralina)


1) Estensimetri
– Tipi di estensimetri utilizzati (criteri di scelta)
– Collocazione (motivi della scelta)

Misure Meccaniche Matteo B. 50


– identificazione
– modalità di installazione (procedura)
2) Procedura di prova (sequenza dei carichi; livelli di esecuzione delle misura; procedura)
3) Condizioni di prova (temperatura, umidità )

Infine bisogna riportare i risultati in grafici e tabelle, elaborare i risultati e commentarli.

Misure Meccaniche Matteo B. 51



MISURE DI TEMPERATURA

Le misure di temperatura sono tra le più importanti dal punto di vista tecnico, in quanto la
temperatura è un parametro fondamentale in ogni processo in cui vi è scambio di calore. In
aggiunta a ciò possiamo dire che le misure di temperatura sono le più economiche. Per questi
motivi, questo tipo di misure sono le misure più comuni.

Esistono vari tipi di termometri, i più comuni sono quelli basati sulla dilatazione di un fluido
(mercurio o alcool) dentro un tubo capillare, in alternativa vi sono quelli a dilatazione metallica.
Un sensore meccanico di temperatura comune è il tubo di Bourdon (già descritto in precedenza).
Vi sono poi dei sensori di temperatura bimetallici. Essi sono dei trasduttori meccanici a
dilatazione termica che si realizzano saldando fra loro due metalli diversi e collocando ad una
estremità una lancetta. A causa del diverso coefficiente di espansione termica, una variazione di
temperatura provoca una curvatura, che permette di leggere la temperatura. Questi sensori sono
economici e non devono essere alimentati, ma sono poco accurati e soffrono di problemi di
isteresi. Hanno inoltre un’inerzia termica piuttosto elevata, poiché devono andare in equilibrio
termico con il misurando.

EFFETTO SEEBECK E TERMOCOPPIE


L’effetto Seebeck è un effetto termoelettrico che causa la generazione di una differenza di
potenziale ai capi di una barra/filo metallica/o sottoposta ad un gradiente di temperatura.
Le termocoppie lavorano sfruttando questo principio: sottoponendo una termocoppia ad un
gradiente di temperatura nasce una ddp, e quindi una corrente, molto debole, ma che permette di
leggere la differenza di temperatura. Se il circuito è chiuso si instaura circolazione di corrente, se il
circuito viene aperto si manifesta ai capi una differenza di potenziale.

La tensione generata dall’effetto Seebeck è la seguente:


V = (Sb(T ) − Sa(T ))dT ; dove Sa e Sb sono i coefficienti di Seebeck (Potere Termoelettrico)
[V K-1].
Se i coefficienti sono approssimativamente costanti nell’intervallo di T considerato la tensione
generata è:
V = (Sb − Sa) * ΔT .
Tuttavia, la relazione vera è un’altra, bisogna tenere conto che il coefficiente di Seebeck
dipende a sua volta dalla differenza di temperatura. Perciò la tensione di Seebeck è lineare con
la temperatura solo per piccoli intervalli di temperatura.

Un vantaggio dei sensori di questo tipo è che riescono a tirare fuori un segnale senza bisogno
di energia esterna, cioè senza alimentazione. Le termocoppie rientrano, infatti, tra i trasduttori
attivi.
Sono perciò strumenti pressoché inerti, non generando tensioni molto elevate, possono essere
ovunque in sicurezza, senza rischiare di creare effetti elettrici che perturbino il sistema.
Inoltre le termocoppie hanno un costo piuttosto basso.

Esistono delle termocoppie standardizzate, come tipologia, dimensioni ecc.

Abbiamo visto che, prendendo un filo di materiale omogeneo e imponendo una differenza di
temperatura ai due capi, nasce una differenza di potenziale. Per alcuni materiali si ha una
differenza di potenziale crescente con la temperatura, mentre per altri decrescente. Questa
Misure Meccaniche Matteo B. 52
caratteristica è sfruttabile per incrementare la differenza di potenziale che nasce a parità di
differenza di temperatura, utilizzando, appunto, due materiali con comportamento opposto.
L’effetto Seebeck, infatti, continua ad esistere anche nel caso dell’accoppiamento di due elementi
metallici diversi. In particolare materiali buoni da accoppiare, che reagiscono in maniera opposta
sono: rame/cromo/ferro/platino+rodio con costantana/alluminio. I materiali vengono scelti anche in
base alle temperature di esercizio.

L’effetto Seebeck è regolato da cinque leggi:


Legge 1:
Presa una coppia di materiali, posti fra una differenza di
temperatura, mantenendo T1 e T2 agli estremi, ma
modificando le temperature lungo il circuito, la differenza di
potenziale che si genera è la stessa e dunque passa la
stessa corrente.
Cioè le temperature che contano sono quelle alle estremità,
mentre quelle lungo il percorso non influiscono.
Ciò comporta che non si debba isolare termicamente il
circuito.
Legge 2:
Inserendo un terzo metallo omogeneo C, nel tratto A o B, e
mantenendo le nuove termogiunzioni alla stessa
temperatura, la fem del circuiti risulta invariata.
Questo è molto utile per risparmiare, significa che posso
mettere il sensore di materiale più pregiato solo dove serve,
e fare il resto del circuito con materiali più economici,
mantenendo però le termogiunzioni alla stessa T.
Legge 3:
Se il metallo C è inserito in A e B da una delle due giunzioni,
qualsiasi temperatura intermedia del tratto C è irrilevante.
Legge 4:
Dati tre materiali A, B e C. La differenza di potenziale che si genera
con A e B è data dalla somma della tensione che si genera con A e
C e della tensione che si forma con C e A.
Legge 5:
Date tre temperature, T1, T2, T3, la differenza di
potenziale che nasce con T1 e T3 è data dalla
somma delle differenze di potenziale che nascono
tra T1 e T2 e tra T2 e T3.

Misure Meccaniche Matteo B. 53


Le leggi, se usate opportunamente, permettono di risolvere le indeterminazioni.
Per poter effettuare una misura, è necessario che
una delle due temperature sia nota, poichè si
potrebbero avere infinite coppie di temperature
che forniscono la stessa differenza di potenziale.
L’accoppiata cromo-costantana è quella con
maggiore sensibilità, poiché restituisce l’output
maggiore, ma resiste a temperature minori.
(La sensibilità è tanto più alta quanto più alta è la
differenza di potenziale che si crea.)
La costantana è Rame 60% - Nichel 40%.

GIUNTO FREDDO
Un giunto freddo è un tipo di termocoppia in cui ci si
riferisce ad una temperatura nota di 0°C, ottenuta con
un bagno termostatico.
Analizzando il grafico vediamo che, attaccando due fili di
rame, le rette della fem hanno la stessa pendenza,
perciò viene “congelato” il ∆V e si porta alla temperatura
di lettura invariato.
Se dopo il bagno termostatico non ci fosse stato ferro, ma ancora costantana, la fem sarebbe
diminuita con la stessa intensità con cui era cresciuta (muovendosi cioè

all’indietro sulla stessa curva), invece in questo modo il segnale è amplificato, come se fossero
utilizzate due termocoppie in serie, che lavorano in senso opposto.
In questo esempio vediamo applicate la legge 2 e la legge 3 alle giunzioni coi fili di rame: infatti il
rame è attaccato al lato ferro con due giunzioni alla stessa temperatura (Jhi-Jlo), perciò per la
legge 2 la differenza di potenziale è invariata, mentre per la legge 3 tutte le temperature nel tratto
rame sono ininfluenti per la ∆V finale.
Vediamo applicate anche la legge 5: Misuriamo Tx-Tref passando attraverso Tamb.

GIUNTO ISOTERMO
In un giunto isotermo le giunzioni sono portate ad una stessa temperatura di riferimento,
che posso tenere sotto controllo con un
resistore, in modo da togliere le
fluttuazioni dell’ambiente.

Misure Meccaniche Matteo B. 54


In questo esempio il rame è collegato direttamente
a Tref, poiché J3 e J4 sono alla stessa temperatura.
A differenza del caso precedente, in cui la fem
veniva acquisita dal rame a Tamb e poi letta alla
temperatura del voltmetro, qua la fem viene
acquisita a Tref e letta alla temperatura del
voltmetro.

La termocoppia genera una tensione di micro/


milli volt, perciò il segnale che dobbiamo
trattare è molto piccolo. Di conseguenza
dobbiamo fare molta attenzione alla contaminazione del segnale.
Una termocoppia è costituita perciò, oltre che dai materiali per l’effetto Seebeck, da materiali per
isolamento elettrico (l’isolamento termico non serve per leggi di Seebeck 2-3), per impedire che il
segnale venga alterato.
Possiamo incontrare tre tipi di giunzione:

- Giunto esposto: Caratterizzato da un ridottissimo tempo di risposta in quanto lo stesso è a


diretto contatto con l'ambiente in cui si deve misurare la temperatura; questa soluzione
minimizza l’inerzia termica, consentendo di realizzare sensori miniaturizzati. Risulta molto più
fragile e poco adatta per applicazioni industriali e per lavorare in ambienti corrosivi.
- Giunto caldo a massa (giunzione protetta con ponte termico sulla guaina): i fili non hanno una
giunzione fra loro ma la giunzione è fatta attraverso un bulbo metallico finale. Dunque la
temperatura letta è quella della parete metallica (che dovrà essere isolata elettricamente per
evitare disturbi). 

La giunzione calda a massa garantisce un media risposta in frequenza, perchè ha un’inerzia
termica maggiore di quella esposta, ma minore di quella isolata. Il bulbo metallico può essere
direttamente sostituito con l’oggetto di cui vogliamo misurare la temperatura, se è conduttore e
se si può forare (es: palette turbina).
- Giunto caldo isolato: La giunzione tra i due fili non è direttamente ‘attaccata’ alla
temperatura, ma isolata. Tale soluzione protegge efficacemente la giunzione e minimizza la
possibilità di trasmissione di f.e.m. spurie (ad esempio per difetti di terra sull’impianto). Ha il
difetto di avere un’elevata inerzia termica a parità di dimensioni della sonda.

Qualora non si potesse bucare o fare una giunzione si possono utilizzare delle paste termiche.
Esse proteggono i conduttori da disturbi elettrici ma hanno un’elevata conduzione termica e in tal
modo si portano in equilibrio termico con la parete da misurare. Garantiscono una buona
accuratezza della misura.

RISPOSTA IN FREQUENZA DELLE TERMOCOPPIE:


La termocoppia deve essere in grado di rispondere molto velocemente ai cambiamenti di
temperatura, specialmente se utilizzata in impianti di controllo.
Il tempo di risposta dipende principalmente dal tipo di giunto e dalla sezione del filo, cioè
dall’inerzia termica della termocoppia.

Misure Meccaniche Matteo B. 55


Diminuendo la sezione si diminuisce l’inerzia termica, tuttavia, minore è la sezione del filo,
maggiore è la possibilità che il filo si deformi a causa della temperatura e perda le sue
caratteristiche meccaniche. Bisogna perciò trovare un compromesso, per quanto riguarda la
sezione, tra performance e durata.

La scelta di una termocoppia si fa in base ai limiti di temperatura in cui si deve lavorare e all’inerzia
termica.
K: Cromo-Alluminio (leghe contenenti Ni); hanno un range ampio, (da -270° a oltre 1350° ) e
pertanto sono quelle più utilizzate dal punto di vista industriale. Possono essere utilizzate in
atmosfere ossidanti ma non in atmosfere riducenti. Hanno anche un costo abbastanza contenuto.
Le seconde per popolarità sono le J che però possono lavorare in atmosfere riducenti e non
ossidanti.
Per ogni tipo di termocoppia bisogna tener conto anche della sezione, che influisce sul range di
temperatura.

CAUSE DI ERRORE
La possibilità di errori nelle misure di temperature con termocoppie è frequente, a causa
principalmente delle forze elettromotrici molto deboli (mV) che si misurano e possono
essere dunque facilmente disturbate. I disturbi più frequenti sono dovuti a:
- Collegamento con cavo non adatto:

Tutti i collegamenti tra le termocoppie e gli strumenti di misura devono essere effettuati con cavi
compensati adatti, infatti esistono cavi compensati per ogni tipo di termocoppia, la scelta del tipo
di isolante e delle dimensioni dipendono unicamente dalle condizioni di utilizzo. (Se ad esempio
siamo in un campo magnetico non dobbiamo usare un cavo conduttore, altrimenti alteriamo il
segnale). Per accorgersi di questo tipo di errore in un sistema di più termocoppie basta misurare
a sistema spento, in tal caso le termocoppie dovrebbero misurare tutte la stessa temperatura;
se una misurasse una temperatura diversa, significa che tale termocoppia non è nelle condizioni
opportune di utilizzo.
- Inversioni di polarità nei vari collegamenti.
- Carenze di terra nel circuito: bisogna mettere a terra il circuito
- Disomogeneità di composizione nel cavo della termocoppia: problema che nasce quando non
siamo sicuri di ciò che compriamo e abbiamo materiali non omogenei.
- Estensimetria dei cavi: i cavi possono essere così sottili da deformarsi a causa di vibrazioni.
- Decalibrazione progressiva: in seguito ad ossidazione.
- Disturbi elettrici nel sistema di misura.

Le termocoppie sono in genere piuttosto economiche, tuttavia il rispettivo sistema di acquisizione


deve essere molto preciso, perché serve una risoluzione di micro o nanovolt, perciò è molto più
costoso di una termocoppia in se.

Quando misuriamo con una termocoppia, abbiamo sempre un’estremità più fredda dell’altra. Tale
gradiente di temperatura fa sì che una termocoppia non sia mai realmente in equilibrio termico con
il misurando, perché gli sottrae calore (errore di conduzione). Più l/d è grande, meno calore viene
condotto, perciò questo effetto sarà minimizzato. (spiegato in seguito)
In molti casi non è possibile posizionare i termometri direttamente all’interno del fluido ma
è necessario proteggerli. Si utilizzano perciò i pozzetti termometrici. I pozzetti termometrici
servono a proteggere i sensori di temperatura dai danni provocati da pressione eccessiva, velocità
del materiale e corrosione. Oltre a prolungare la vita di servizio del sensore, ne consentono la
sostituzione senza dover svuotare il sistema e riducono la probabilità di contaminazione.
Le termocoppie possono essere usate anche per leggere dei ∆T, invece che dei valori assoluti.

Misure Meccaniche Matteo B. 56


TERMOMETRI A RESISTENZA
I termometri a resistenza basano il loro funzionamento sulla seconda legge di Ohm
(attraverso il cambiamento della R (dovuto alla variazione di temperatura) rispetto a condizioni
note si risale alla variazione di temperatura).
I materiali che possono essere utilizzati sono:
- Conduttori: si parla di termoresistenze
- Semiconduttori: si parla di termistori

TERMORESISTENZE
Le termoresistenze sono sensori di temperatura costituiti da un filamento di un unico
metallo conduttore (di solito il Platino o il Nichel).
Col tempo sono stati selezionati dei materiali che funzionano meglio di altri, prodotti in massa e
stabiliti gli standard RTD.

La legge che lega resistenza e temperatura è:


R = Ro(1 + a′T + a′′T 2 + . . . + anT n)

R0 è definita a condizioni note. È una legge


crescente.
Il range di temperatura misurabile con le
termoresistenze è inferiore a quello delle
termocoppie.

Gli elementi sensibili possono essere fatti in


molti modi.
Per misure di temperatura di fluidi gli avvolgimenti del filo che costituisce la resistenza possono
essere incapsulati in un bulbo di acciaio per proteggerli dalla corrosione. Tuttavia questa
soluzione peggiore la risposta in frequenza, perciò, per avere una risposta più veloce si possono
utilizzare sonde di tipo aperto, con gli avvolgimenti esposti direttamente al fluido.
Esistono anche sonde a griglia piatta, utili per misurare la temperatura superficiale dei solidi.

La principale differenza dei termometri a resistenza, rispetto alle termocoppie è che sono
sensori passivi, ossia hanno bisogno di essere alimentati per poter funzionare.
Per poter leggere la variazione di resistenza è infatti necessario misurare una corrente e una
differenza di potenziale nel circuito (R=V/I) e queste non possono che essere imposte
dall’esterno.
Per leggere la resistenza si utilizza un circuito a ponte di Wheatstone (spiegato in seguito - vedi
estensimetria).

METODI DI MISURA CON I TERMOMETRI A RESISTENZA



Esistono diversi metodi di collegamento dei termometri a resistenza con gli apparecchi di
misura; la scelta di utilizzo di un metodo rispetto ad un altro dipende essenzialmente dalla
precisione nella misura che si vuole ottenere.

I collegamenti si dividono in base al numero di fili di collegamento della resistenza. 

1) A 2 fili:

La tecnica a due fili è quella più economica ma anche la meno
precisa e viene utilizzata solo nei casi in cui il collegamento
della termoresistenza viene effettuato con fili di lunghezza
ridotta e con bassa resistività; infatti esaminando il circuito
elettrico equivalente, si nota come la resistenza elettrica
Misure Meccaniche Matteo B. 57
misurata sia la somma di quella dell'elemento sensibile (e quindi dipendente dalla temperatura
che si sta misurando) e della resistenza dei conduttori utilizzati per il collegamento. L'errore
introdotto con questo tipo di misura non è costante ma dipende dalla temperatura.
2) A 3 fili:

Grazie alla buona precisione ottenibile nella misura, la tecnica
a tre fili è la più utilizzata in campo industriale. Con questa
tecnica di misura, infatti, vengono eliminati gli errori provocati
dalla resistenza dei cavi di collegamento.

Il terzo filo è collegato direttamente al voltmetro che ha
un’impedenza idealmente infinita, perciò in tale cavo non
passa corrente e dunque le variazioni di resistenza sono ininfluenti sulla misura.

Inoltre gli altri due cavi possono essere pensati in serie alla resistenza (in alto a dx) e all’elemento
sensibile. Essi sono sottoposti alla stessa temperatura e dunque hanno la stessa variazione di
resistenza, tuttavia essendo adiacenti nel ponte di Wheatstone, i due contributi si elidono avendo
segno opposto (vedi. Ponte di Wheatsone)

All'uscita del ponte di misura è presente una tensione dipendente, in ottima approssimazione,
unicamente dalla variazione della resistenza dell’RTD e quindi dalla sola temperatura del corpo
misurato.
3) A 4 fili voltamperometrica:

La modalità di collegamento a quattro fili è senza dubbio quella più
utilizzata nei laboratori o in ambiti industriali dove la precisione
della misurazione della temperatura è un requisito altamente
stringente (come ad esempio i sistemi industriali regolati da
software hard real time, i quali utilizzano i dati ricevuti dalle sonde
per regolare opportunamente l'intero funzionamento di un apparato
industriale).

Questo collegamento non è in realtà un ponte di Wheatstone,
ma corrisponde al metodo voltamperometrico. Due fili collegano
il generatore di corrente alla termoresistenza, mentre altri due fili collegano la termoresistenza al
voltmetro. 

Note la caduta di potenziale grazie al voltmetro e la corrente che attraversa la resistenza imposta
dal generatore, si può conoscere il valore della RTD applicando la semplice formula: 

ΔV
R=
i
Se il misuratore di caduta di potenziale ha una precisione molto accurata allora anche la misura
della resistenza sarà molto accurata.

CAUSE DI ERRORE PER LE TERMORESISTENZE:


Le principali cause di errore sulla misura della temperatura con le RTD sono tre.
1) Errore dovuto all’autoriscaldamento dell’elemento sensibile:

L’elemento sensibile quando viene attraversato da una corrente, tenderà ad autoriscaldarsi a
causa dell’effetto Joule. La soluzione in questo caso è ridurre la sezione dell’elemento
conduttore o inserirlo in acqua, poichè l’acqua ha un coefficiente di scambio termico maggiore
dell’aria e di conseguenza la resistenza si scalderà meno.
2) Errore dovuto allo scarso isolamento elettrico dell’elemento sensibile.

Misure Meccaniche Matteo B. 58


3) Errore dovuto alla non sufficiente profondità di immersione dell’elemento sensibile: lo
strumento di misura dovrà essere inserito sufficientemente a fondo nel fluido per una misura
accurata.

TERMISTORI

L’ “evoluzione” più recente delle termoresistenze sono i termistori. A differenza delle
termoresistenze che sono costituite da conduttori, essi si basano sui principi dei
semiconduttori.
Sono fatti con delle polveri che, se mescolate opportunamente, garantiscono un comportamento
uniforme del semiconduttore. Sono ottenuti generalmente per sinterizzazione. I primi erano fatti in
manganese e cobalto, mescolati con un legante scelto in base alla temperatura a cui si andava a
lavorare.

Hanno il vantaggio di essere molto efficienti e precisi nonostante le piccole dimensioni,


possono essere modellati in forma a seconda delle necessità e dunque possono essere inseriti
anche in luoghi piccolissimi come sulla testa di una candela di un motore. Possono anche essere
utilizzati per misurare le temperature delle giunzioni delle termocoppie.
Hanno un coefficiente di temperatura assai elevato e negativo, cioè la resistenza diminuisce
all’aumentare della temperatura, in maniera molto maggiore rispetto alle resistenze (in cui
peraltro aumentava con T).
Di conseguenza sono molto più sensibili rispetto alle termoresistenze.
Non hanno un elevatissimo range di temperatura, ma in tale range sono imbattibili per precisione e
sensibilità.
I termistori hanno costi abbastanza contenuti, perché i componenti sono costituiti da materiali dal
componentistica elettronica e quindi poco costosi.
La relazione resistenza/temperatura che li caratterizza è esponenziale a partire da un valore noto
R 0:
1 1
R = Ro * e ( T − To )β
Il rispettivo T0 può essere, a seconda dei Costruttori, a 0° o 25°.
Ovviamente anche questi sono trasduttori passivi, dobbiamo far passare corrente per poter
leggere la variazione di resistenza.

RIEPILOGO
ERRORI
Indipendentemente dal tipo di sensore utilizzato tutte le volte che vogliamo misurare la
temperatura stazionaria di un fluido si sommano sostanzialmente tre tipologie di errore:
1) Errore di conduzione: 

conduzione del sensore verso pareti o superfici fredde. Supponendo che la temperatura della
sbarra Tr sia funzione solo di x e che il fluido con temperatura Tf costante e uniforme scambi
calore per convezione con la sbarra, l’equazione che lega lo scambio termico sarà:

Come vediamo dobbiamo massimizzare i rapporti l/A e (p/A) per diminuire l’errore. Inoltre è
conveniente avere un coefficiente di convezione h elevato, in modo da incrementare lo scambio
termico con il fluido e coefficiente di conduzione k piccolo in modo da non creare gradienti di
temperatura sullo strumento.
Per diminuire questo errore si può inoltre ricorrere a dei pozzetti (spiegati precedentemente).

Misure Meccaniche Matteo B. 59


2) Errori per irraggiamento:

Se la temperatura della sonda e delle pareti dei condotti sono molto differenti vi è scambio
termico per irraggiamento che può alterare la temperatura della sonda e quindi provocare un
errore nella misura. La soluzione è la schermatura che riduce di un fattore (ns+1) lo
scambio di calore e quindi l’errore. 

σ ϵ (T j 4 − T w 4)
E= ; errore per
hc
irraggiamento 


E
Es = ; dove ns è il numero di
(ns + 1)
schermi
3) Effetti della velocità: 

Spesso è necessario conoscere il valore della temperatura totale di un flusso. Per fare ciò è
necessario ridurre drasticamente la velocità del flusso in prossimità del sensore, che
permette di recuperare completamente l’energia cinetica. 

Ciò provoca nelle prossimità del sensore una zona in cui lo scambio termico per convezione
è molto basso o addirittura nullo. In tale situazione è dunque molto difficile raggiungere
l’equilibrio termico tra sensore e flusso. 

L’ errore dovuto all’incompleto recupero dell’energia cinetica lo possiamo quantificare nel modo
seguente: 

(1 − α ) * c 2
E= ; dove c è la velocità del flusso, cp il calore specifico e α il coefficiente di
2cp
recupero. Meno invasivo è il sistema maggiore sarà α ( 0,68 per filo normale al flusso; 0,86 per

Misure Meccaniche Matteo B. 60


filo parallelo).

Da quanto visto la soluzione ottimale risulta quindi l’accettazione di un compromesso,
ovvero la rinuncia al recupero totale dell’energia cinetica, ai fini della creazione intorno al
sensore di un ambiente a velocità bassa ma controllata che consenta un efficiente scambio di
calore tra flusso e sensore. 

Ciò si ottiene con l’utilizzo di sonde schermate (come quelle mostrate in precedenza).

E’ inoltre opportuno ricorrere a sensori molto piccoli (fino a 0.5 mm di diametro; purtroppo la
diminuzione di diametro ha riflessi negativi sulla durata dei sensori, che nelle zone ad alta
temperatura può essere anche inferiore alle 1000 ore), che consentono sia di ridurre
l’irraggiamento, sia di minimizzare l’errore per conduzione verso la parete (é sufficiente in genere
far fuoriuscire il sensore circa 10 diametri dalla parete dello schermo), ed anche di conseguire
buone prestazioni nel senso delle misure dinamiche.

Misure Meccaniche Matteo B. 61


MISURE DI PRESSIONE

Abbiamo già detto che le grandezze che si misurano più frequentemente sono quelle le cui misure
sono più economiche. Dopo le misure di temperatura si hanno le misure di pressione.
Occorre distinguere tra:
- Pressione assoluta (absolute pressure): la misura di pressione é fatta rispetto ad uno zero (in
pratica realizzato mediante una camera ad alto vuoto).
- Pressione relativa (gauge pressure): la pressione é misurata rispetto all’ambiente (per avere la
pressione assoluta é necessario quindi sommare la pressione barometrica).
- Pressione differenziale: si misura una differenza tra due pressioni qualunque.

MANOMETRI
I manometri sono dispositivi adatti per fornire una misura fisica
della pressione che viene letta tramite la legge di Stevino,
misurando uno spostamento.

I manometri differenziali servono per misurare piccole differenze di


pressione. Sono molto comuni i manometri ad U a colonna liquida. In
tali strumenti, la pressione, convertita in una forza agendo su di una
opportuna superficie, determina lo scostamento tra i peli liberi del
liquido contenuto nei due vasi comunicanti.
I fluidi comunemente usati sono acqua, alcool e mercurio.
Si distingue tra manometri a U diretti (usati per i gas) e manometri a U
invertiti usati (per i liquidi).

Il manometro a pozzetto è caratterizzato da semplicità d’uso, poiché richiede


la lettura di un solo dato (cioè la differenza di altezza della colonna di liquido).
Dato che il pozzetto ha una superficie molto maggiore della superficie della
colonna (A1>A2), una variazione di altezza della colonna, in seguito
all’applicazione di una pressione, comporta una variazione di altezza del livello
del bacino molto piccola.

Con il manometro a tubo inclinato aumenta la sensibilità dello strumento; il


ramo dove si esegue la lettura è inclinato rispetto alla verticale e di
conseguenza produce un maggior spostamento del fluido manometrico a
parità di variazione di quota in direzione verticale.

Per una misura accurata di differenze di pressione molto piccole si usa il


micromanometro. Lo strumento è regolato in modo che quando p1 = p2 il
menisco del tubo inclinato risulti in un punto di riferimento. L’applicazione della
differenza di pressione causa lo spostamento del menisco dalla linea di
riferimento; il menisco può essere riportato sulla linea di partenza alzando
o abbassando il serbatoio con il micrometro. La differenza tra la lettura
iniziale e finale fornisce la variazione di h e quindi la pressione.

BANCO A PESI
Serve a generare in laboratorio una pressione nota ed è uno strumento di precisione utilizzato
per tarare gli strumenti primari che lavorano con pressioni medio-alte (decine/centinaia di
bar). Per gli strumenti con pressioni basse si usano micromanometri. Sul piattello vengono posti
pesi noti, il cui peso genera una pressione sul fluido tramite un pistone, il quale è lubrificato e

Misure Meccaniche Matteo B. 62


messo in rotazione attorno al proprio asse per
ridurre l’attrito e togliere l’attrito di primo
distacco.
La parte dello strumento con la valvola di
scarico e la manovellina collegata al pistone
serve per la regolazione e la calibrazione dello
strumento.

I trasduttori di pressione sono più delicati dei


misuratori di temperatura, perciò non si
possono inserire direttamente dentro un fluido,
ma lavorano sempre in condizioni controllate,
collegati in qualche modo al flusso.
Questo può essere fonte di errori, può infatti
esserci un ritardo nell’acquisizione che deve
essere calcolato.

SHOCK TUBE - TUBO AD ONDA D’URTO


Il tubo ad onde d’urto serve per replicare gli
effetti delle esplosioni in piccola scala. Il funzionamento si basa sul portare a rottura una
diaframma (piccolo disco di metallo) aumentando la pressione. Quando il diaframma si rompe,
simula una microesplosione che genera delle onde di pressione. Man mano che l’onda si propaga
dentro il tubo il fronte diventa sempre più simile ad un’onda piana.
La differenza tra il momento in cui arriva l’onda piana e il momento in cui lo strumento segna la
pressione dell’onda piana è un indice della risposta in frequenza.
Non lo chiede all’esame.

TRASDUTTORI DI PRESSIONE
I trasduttori di pressione sono strumenti capaci si convertire la pressione applicata in un
segnale elettrico, in tensione o in corrente, facilmente registrabile, trasmissibile ed elaborabile.
In genere la pressione viene fatta agire su una superficie opportuna, generando una forza
che a sua volta produce la deformazione di un elemento elastico: questa risulta essere la
variabile misurata.
Per la misura della deformazione o dello spostamento sono possibili vari metodi (trasduttori
estensimetrici, capacitivi, induttivi, a trasformatore differenziale, ad effetto piezoelettrico con
quarzo o semiconduttori), che influenzano sia la precisione, sia l’elettronica necessaria per
l’alimentazione ed eventuale amplificazione, sia il costo del trasduttore.
Prescindendo dal principio di misura - che può essere relativamente ininfluente per molte
applicazioni - il costo di un trasduttore é fortemente influenzato dalla qualità esecutiva e
dell’elettronica; dalla eventuale compatibilità con liquidi - anche corrosivi - e con flussi carichi
di particolato; dal valore di pressione di linea sopportabile nel caso di esecuzioni differenziali; dal
grado di miniaturizzazione, fondamentale per ottenere come si é visto buone capacità di risposta
dinamica.
I trasduttori di pressione costano relativamente poco, perché sono fatti di componenti elettronici,
che costano molto meno dei componenti meccanici.

Tabella —> Over pressure: può resistere fino a questo valore di pressione senza rompersi

In molte applicazioni industriali si preferisce ad avere un segnale in corrente piuttosto che uno in
tensione. Infatti la corrente rimane la stessa indipendentemente dalla resistenza dei conduttori con
cui collego lo strumento di misura, mentre il potenziale diminuisce e perciò non è affidabile.
Misure Meccaniche Matteo B. 63
L’output minimo in corrente è 4mA e non 0mA, in modo che riesco a riconoscere quando il
collegamento è interrotto da quando il sistema non genera segnale.

TRASDUTTORI ESTENSIMETRICI
I primi ad avere una buona risposta in frequenza
Gli estensimetri sono andati in disuso da quando è subentrata l’elettronica e il digitale.

TRASDUTTORI CAPACITIVI
I trasduttori capacitivi si basano sulla proprietà dei condensatori di variare la capacità in base alla
distanza tra le lastre. La capacità di un condensatore è infatti:
kA
C= c dove k è la costante dielettrica del mezzo, A la superficie delle armature, x la distanza
x
tra le armature e c l costante geometrica.

In seguito all’applicazione di una pressione, tale distanza viene modificata, generando un segnale
elettrico in uscita, proporzionale alla sollecitazione.
Con distanze di piccolo ordine di grandezza tra le armature si ottengono capacità molto ampie, per
tale motivo sono in genere di piccole dimensioni e vengono utilizzati per misure di dettaglio.
I difetti principali sono la facilità di rottura e la bassa resistenza ad alte temperature.
Possono essere assoluti o differenziali: i primi misurano una pressione assoluta mentre i secondi
una differenza di pressione tra due fluidi che premono contro una membrana.
I traduttori differenziali presentano particolari difficoltà di progetto perché devono essere sensibili a
piccole differenze di pressione, spesso con elevate pressioni di linea.
Sono trasduttori passivi, necessitano di essere alimentati per leggere la misura. È tipica una
configurazione a ponte di Wheatstone per amplificare il segnale.

TRASDUTTORI INDUTTIVI
Si basano sulla possibili di variare l’induttanza in un avvolgimento, ossia la capacità di generare
una forza elettromotrice proporzionale al flusso del campo magnetico concatenato.
Si hanno due bobine che, a riposo, hanno la stessa induttanza. In seguito ad una variazione di
pressione un nucleo di materiale magnetico si sposta e modifica l’induttanza in uno dei due. Di
conseguenza si avrà una tensione in uscita che può essere letta.
Sono abbastanza accurati e abbastanza diffusi.
Difetti: attrito primo distacco (parti in movimento), delicatezza.

TRASDUTTORI PIEZOELETTRICI
Utilizzano dei sensori basati sul fatto che alcuni cristalli, se sottoposti ad una sollecitazione
esterna, generano una migrazione di cariche da un lato all’altro. Tale migrazione polarizza le
strutture cristalline ed è tanto maggiore quanto più alta è la pressione. Tale polarizzazione si
traduce in una differenza di potenziale che può essere letta con un circuito ad alta impedenza, per
non alterare lo stato di carica del trasduttore. Poiché non necessitano di alimentazione, sono dei
trasduttori attivi.
Hanno una risposta in frequenza molto veloce, dell’ordine del microsecondo, poiché le
sollecitazioni si trasmettono alla velocità del suono, che è elevata nei solidi; inoltre le cariche si
spostano alla velocità della luce nel mezzo considerato.
In questi trasduttori non si hanno parti meccaniche in movimento, perciò non si hanno problemi
legati all’ attrito.
Data la risposta molto veloce possono essere utilizzati ad esempio per accelerometri, che
necessitano di acquisizioni molto veloci.

Misure Meccaniche Matteo B. 64


Hanno dimensioni parecchio inferiori rispetto agli
induttivi e sono molto robusti, esoso costituiti da un
blocco solido. Fra i materiali più utilizzati vi è il quarzo,
molto sensibile e molto stabile.
Questi trasduttori sono in grado di misurare le
variazioni delle sollecitazioni, ma dal momento in cui
esse cessano e la sollecitazione si stabilizza, la
distribuzione di carica tende a ritornare uniforme. Il
sensore, dunque, si scarica elettricamente, con un
andamento uguale a quello dei circuiti resisto-
capacitivi. Per tale ragione essi sono utilizzati per
misurazioni dinamiche di pressione, ma non per misure
di pressione costante.

TRASDUTTORI PIEZORESISTIVI
I trasduttori piezoresistivi si basano sulla piezoresistività, ossia la proprietà dei materiali di variare
la resistenza elettrica in seguito all’azione di una forza esterna.
Questo effetto è apprezzabile solo in alcuni materiali, in particolare nei cristalli di silicio, e avviene
sia in presenza di forze statiche che dinamiche. Inoltre, è possibile, tramite processi tecnologici di
stratificazione, creare materiali artificiali che massimizzano questo effetto.
Vi è differenza tra questi trasduttori e quelli estensimetrici. I sensori piezoresistivi variano la propria
resistenza principalmente perché varia la resistività del materiale sensibile, mentre gli estensimetri
variano la propria resistenza quasi esclusivamente perché varia la lunghezza e la sezione del
conduttore che realizza il sensore.
Inoltre i trasduttori piezoresistivi sono realizzati con semiconduttori.
Per un semiconduttore la resistività è data da:
1
ρ= dove e è la carica elementare, Ni è il numero di cariche e µ è la mobilità elettrica
eNi μm
media. L’effetto di una forza applicata è quello di cambiare sia il numero di cariche che la mobilità
media; l’ampiezza ed il segno della variazione dipenderà dallo specifico semiconduttore, dalla sua
carica concentrata e dall’orientazione dei cristalli rispetto alla sollecitazione esterna.
Per una semplice tensione o compressione, la variazione relativa di resistività è data da:
Δρ
= πl σ dove π è il coefficiente di piezoresistività longitudinale e σ la tensione.
ρ0
Dato che in seguito alla forza applicata si ha anche una deformazione dimensionale del
semiconduttore, la variazione di resistenza elettrica è quantificata dal Gage Factor che quantifica
la variazione di resistenza data dalla variazione di resistività. Si definisce come il rapporto tra la
variazione di resistenza totale e il prodotto tra deformazione e resistenza iniziale: maggiore sarà il
G.F. e più elevata sarà la variazione di resistenza e quindi il segnale in uscita.
ΔR
G.F. = . Esso dipende in generale dal materiale (E; coefficiente di Poisson). In generale
R0 ϵ
esso dipende dalla temperatura, poiché il coefficiente di Poisson è funzione di essa, ma per alcuni
semiconduttori con elevato numero cariche, il G.F. è costante.
Essendo necessaria un’alimentazione, sono dei trasduttori passivi, al pari delle temroresitenze.
Questi trasduttori sono i migliori per risposta in frequenza, sensibilità, risoluzione e dimensioni.
Sono, pertanto, i più competitivi sul mercato.

MISURE DI PRESSIONE NEI FLUIDI IN MOVIMENTO (NELLE MACCHINE)

Misure Meccaniche Matteo B. 65


In generale le misure di pressione sono usate per
la determinazione indiretta di altre grandezze,
come ad esempio entalpia e portata, dato che
essa non sempre è un dato importante ai fini di
controlli diretti, al contrario ad esempio della
temperatura.

MISURA DELLA PRESSIONE STATICA


Per effettuare del misure di pressione statica si
pratica un piccolo foro normale alla parete (e
quindi al flusso) e si collega ad esso un tubicino
che termina su un sensore di pressione. La
pressione rilevata dal sensore è perciò la
pressione in corrispondenza della parete. In tale
punto la pressione dinamica è dissipata
completamente dagli effetti viscosi dello strato
limite; inoltre, applicando l’ipotesi di Prandtl alle
equazioni di Eulero, si ha che ∂p/∂y = 0, e dunque
la pressione a parete coincide con quella statica
del flusso indisturbato.

Le prese di pressione statica vengono realizzate in zone dei


condotti, definite dalle norme, in cui il flusso è completamente
sviluppato, attaccato alla parete e non risente dei disturbi dovuti
alla presenza di elementi di disturbo (variazioni di sezione,
gomiti ecc.).
Il piccolo foro perpendicolare alla parete dovrebbe, teoricamente
avere spigoli vivi, per non disturbare il flusso (irrealizzabile). Per
lo stesso motivo, inoltre, esso deve essere molto piccolo
(idealmente puntiforme) rispetto al diametro del tubo. 

(Con riferimento alla figura) Oltrepassato il tratto di lunghezza L,
non corriamo più il rischio di alterare il moto del flusso, perciò il
diametro del foro può essere raddoppiato o triplicato.
Il tratto di lunghezza L deve essere:

L
1.5 < < 6.0
d

Poiché è impossibile realizzare un foro perpendicolare con


spigoli perfettamente vivi la forma può assumere altre forme e di
conseguenza alterare il valore della pressione relativa.
Essa foro può influenzare il valore della pressione rilevata.
Conoscendo la geometria del foro è possibile risalire all’errore percentuale effettuato sulla misura
e, conseguentemente, correggere la pressione misurata.
A) È il foro di riferimento, con spigoli vivi.
B) Al posto degli spigoli vivi vi sono dei raccordi, il flusso è perciò “invitato” nel foro e dunque la
pressione è leggermente sovrastimata.
C) I fori possono essere inclinati verso destra, causando un leggero aumento della pressione.
D) Aumentando il raggio del raccordo aumenta l’errore, la pressione letta diventa sempre
maggiore.

Misure Meccaniche Matteo B. 66


E) Caso generico, in cui non mi preoccupo di come è realizzato il foro, l’errore può arrivare fino al
9%.
F) Se il foro è opportunamente inclinato elimino del tutto gli errori.
G) Se il foro non è realizzabile dall’interno, ottengo una geometria di questo genere. Se la
conosco esattamente posso correggere la misura.

Nel caso in cui il fluido sia aria, il foro può essere praticato ovunque, senza alterare il risultato.
Invece, nel caso in cui il fluido di lavoro sia un liquido, devo stare attento perchè, se il condotto non
è rettilineo, il flusso varia, perciò non mi basta una misura sola, ma devo avere una misura media.
Poiché spesso non ho spazio per effettuare fori ad una distanza sufficiente da questo disturbo si
usano dei dispositivi detti “anelli piezometrici”, che attraverso più prese collegate poi fra loro in
modo che il fluido si uniformizzi, mediano fisicamente le grandezze. In questo modo abbiamo
anche il vantaggio di avere una sola catena di misura (1 trasduttore, 1 amplificatore ecc. anziché
una per presa).
Infine ciò permette di ridurre la propagazione degli errori, dato che nel caso di più misure vanno
sommati gli errori.
In questo esempio di anello piezometrico vengono effettuate quattro prese a parete, attraverso le
quali il flusso passa in un condotto esterno comune ad anello, che poi ha un’unica presa di
pressione collegata ad un trasduttore, il quale legge Pring (pressione statica media del flusso
uniformato nell’anello):
P1 + P2 + P3 + P4
Pring =
4

MISURA DELLA PRESSIONE STATICA CON SONDE:


Da un punto di vista microscopio, la pressione statica può essere vista come la forza per unità di
superficie dovuta dagli urti delle molecole per il moto di agitazione termica (si suppone nullo il moto
relativo tra fluido e parete solida). Tuttavia, anche in caso di moto relativo non nullo fra fluido e
sonda si può ottenere una buona approssimazione, e nel caso del tubo di Pitot questa
approssimazione è possibile in quanto la presenza della sonda non altera significativamente le
linee di flusso della corrente in cui viene introdotta. Infatti se la sonda è allineata con la direzione
del flusso si creano sforzi tangenziali minimi e lo strato limite è estremamente piccolo.

L’accuratezza delle misure di pressione statica utilizzando prese di pressione su corpi aerodinamici
(sonde) dipende dall’accuratezza nel
posizionamento, dalla dimensione dei fori e dalla
direzione del flusso.
Cioè la pressione statica misurata è tanto più
accurata quanto più distante è la presa di pressione
dal “naso della sonda”, mentre tanto più sono vicino,
tanto più sottostimo la pressione statica. Infatti devo
essere certo che lo strato limite sia completamente
sviluppato, affinché sia valido quanto detto
precedentemente (∂p/∂y = 0).

Questa curva, scalata rispetto a diametro e velocità,
è valida per qualsiasi flusso incomprimibile e può
essere utilizzata per la correzione della misura.

Tuttavia il foro non può essere troppo lontano dal naso, perché altrimenti il flusso è perturbato
(fermato) dallo stelo, che è ortogonale ad esso, e porta ad una sovrastima della pressione statica.

Misure Meccaniche Matteo B. 67


Un effetto interessante è quello che gli errori,
essendo opposti, si autocompensano.
Questo comporta che alcune sonde (Tubo di
Pitot su tutte) non debbano essere tarate.

Possiamo dire che in generale è opportuno


prendere le prese a circa metà del tubo
(12/16 D).

SONDA CILINDRICA
La sonda cilindrica è una sonda con due
prese di pressione che permette di misurare
la pressione statica e determinare la
direzione del flusso. Le due prese sono collegate a dei trasduttori
di pressione che leggono, in generale, due valori diversi di
pressione (fornendo quindi un ∆P).
Questa sonda viene ruotata fino a quando la differenza di
pressione letta dalle due prese è nulla. In tale punto allora il flusso
sarà ortogonale alla sonda e le due prese simmetriche rispetto ad
esso. In tale posizione esse leggono la pressione statica.
Se ruotando la sonda il ∆P aumenta significa che ci stiamo
“allontanando” dalla direzione del flusso, infatti una delle due
prese si sta avvicinando al punto di ristagno e tende a misurare la
pressione totale (che viene misurata quando una delle due prese è
esattamente in direzione del flusso.
Chiamando ß l’angolo tra l’asse di simmetria della sonda e la direzione
del flusso, possiamo dire che per un certo rane di ß, possiamo capire,
tramite il ∆P, l’angolazione del flusso.

La forma della sezione della sonda e la posizione relativa delle sonde è molto importante, in
quanto determina la sensibilità della sonda e il range angolare: se la sonda è acuminata e l’angolo
fra le prese è molto piccolo, sarà molto più sensibile. Le sonde a curvatura più dolce sono invece
meno sensibili, ma posseggono un range di letture utili più ampio; esse possono essere pertanto
usate quando non si ha certezza della direzione del flusso.

MISURA DELLA PRESSIONE TOTALE CON SONDE


La pressione totale si può definire come il valore a cui si porterebbe la pressione di un fluido in
movimento, se a partire dalle condizioni locali si portasse con un processo isoentropico a velocità
nulla. Considerando un corpo immerso in un fluido, la pressione totale si ottiene nel punto di
ristagno.
Dunque per misurarla, devo posizionare la presa di pressione nel punto di ristagno e perciò è
necessario conoscere la direzione del flusso. 

In particolare, l’angolo per cui la sonda è allineata con il flusso corrisponde convenzionalmente ad
un “angolo di disallineamento” α=0°. Al variare dell’angolo di disallinamento “α” la pressione
misurata diminuisce sempre rispetto alla pressione totale perchè il fluido è completamente fermo
solo nel punto di ristagno (α=0°). Ovviamente la diminuzione avviene in maniera più o meno
sensibile a seconda dela forma della sonda.
Tanto più le curve sono “schiacciate” quanto meno il tubo è sensibile ad un errore di
disallineamento. In generale, con angoli di disallineamento inferiori a 5o qualsiasi tipo di sonda è in
grado di garantire una buona approssimazione. Per angoli superiori a 5o dobbiamo ricorrere a
Misure Meccaniche Matteo B. 68
sonde con nasi particolari che aumentano il range di tolleranza al disallineamento. Esistono tubi in
grado di garantire una errore inferiore all’1% con angoli di disallinaemento pari a +-38o. Tutte
queste considerazioni valgono nel caso in cui la direzione del del flusso sia fissa. Se la direzione
del flusso è variabile, ricorro a sonde speciali schermate dette sonde Kiel e sonde Rake di Kiel.

In realtà è impossibile misurare effettivamente la pressione totale del flusso, in quanto, inserendo
la sonda, esso verrà perturbato; pertanto la sonda dovrà essere significativamente più piccola
rispetto alle dimensioni del flusso.

MISURA DI PRESSIONE TOTALE CON SONDE SCHERMATE (SONDE KIEL):



Sono tipi di sonde che possono essere utilizzate in un flusso a direzione variabile senza dover
essere orientata ogni volta. Il flusso entra prima in un cono grande in
modo da essere stabilizzato (senza turbarlo con irreversibilità, date
le piccole dimensioni) e solo successivamente impatta il sensore. In
questo moto il range utile è ampliato fino a ± 60°.

TUBO DI PITOT
Il tubo di Pitot è la più celebre sonda pneumatica. Esso viene
utilizzato per misurare la velocità di un flusso, tramite la misura di
pressione dinamica.
Esso non ha bisogno di taratura e può essere utilizzato in un flusso
incomprimibile stazionario.
Viene inserito nel flusso (di cui si deve
conoscere la direzione) in modo che della
sonda sia perfettamente allineato alla velocità
locale. 

La presa centrale deve essere posizionata in
modo da coincidere con il punto di ristagno, in
modo che venga misurata la pressione totale
del flusso. 

In corrispondenza della prese laterali vige la
pressione sulla parete. Essa è una pressione
statica, poiché la pressione dinamica è
annullata dagli sforzi viscosi e in buona
approssimazione coincide con la pressione
statica del flusso prima dell’inserimento della
sonda.
Le due prese sono collegate ad un manometro
differenziale, che, tramite la legge di Stevino,
permette di leggere la differenza tra Ptot e Ps,
cioè la pressione dinamica. 


In definitiva, se le dimensioni della sonda sono ridotte rispetto a quelle del campo di moto e
risultano verificate le ipotesi:

1) L’asse del tubo è allineato con la direzione della velocità;
2) Le prese statiche sono poste ad una distanza sufficiente perché in corrispondenza di esse lo
strato limite sia completamente sviluppato;
3) La testa del tubo sia opportunamente profilata in modo da minimizzare le perdite di pressione
per attrito viscoso.

Misure Meccaniche Matteo B. 69


- La pressione che vige nel tubo centrale coincida con la totale nel punto P prima dell’inserimento
della sonda.
- La pressione che vige nell’intercapedine sia uguale alla statica nel punto P prima
dell’inserimento della sonda.

Dunque, sfruttando il teorema di Bernoulli, si può poi risalire alla velocità del flusso:

(Ptot − Ps )
v= 2 

ρ
il tubo di Pitot viene usato negli aerei e nelle Formula 1

SONDE DIREZIONALI
Le sonde direzionali sono una tipologia di sonde con la caratteristica di essere ipersensibile a flussi
che hanno un certo angolo di inclinazione, mentre insensibili al resto dei flussi.
Tramite alcune di queste sonde si può risalire all’intero campo di moto medio, poiché possono
misurare pressione totale, pressione statica e angolo del flusso.
Queste sonde sono caratterizzate da una testa con 3 o 5 fori. 

Usando 3 fori (centrale, sx, dx) si combinano le letture selettive di
ognuno di essi, portando la sonda a “sentire” solo il flusso
complanare ad essi, con tale soluzione costruttiva si va quindi a
ricostruire un campo di moto bidimensionale.

Usando invece 5 fori (centrale, sx ,dx, basso, alto) -va usata però
un’opportuna geometria- ci si porta nella condizione di poter
ricostruire un campo di moto tridimensionale, dato che si è resa
sensibile la sonda anche al flusso nel piano ortogonale ai 3 fori
originari.

Esempi di sonde direzionali sono le Sonde Cobra e le Sonde a


Spigolo.

SONDE COBRA

Il principio di funzionamento di questa sonda si basa su quello del tubo di Pitot, sono utilizzate per
misurare la direzione del flusso, ma possono essere utilizzate anche per misure di pressione
totale. Chiamate così per la loro forma, sono costituite da tre tubicini d'acciaio, del diametro non
superiore al millimetro, posti l'uno accanto all'altro (complanari), uniti tra loro per mezzo di una
brasatura, la cui estremità è opportunamente smussata e piegata, tramite una maschera di
piegatura, ad un angolo di 90°.

Misure Meccaniche Matteo B. 70


La sonda è resa più robusta incamerandola in un tubo di alcuni millimetri (in genere non maggiore
di 6 mm), lasciando sporgere la testa di circa un centimetro dall’involucro.

TARATURA DELLE SONDE DIREZIONALI (3 fori)

Le sonde direzionali non sono dei sensori primari,


perciò devono essere tarate. 

Durante la taratura in galleria del vento le sonde
sono immerse in un flusso noto in termini di
velocità, direzione, pressione statica e totale. La
sonda viene attaccata ad un goniometro, che viene
installato in modo che all’angolo 0 coincida la
direzione del flusso.
Vengono quindi misurate le pressioni al variare
dell’angolo e vengono costruite le curve di
calibrazione. Esse vengono costruite misurando tre
coefficienti, che variano al variare dell’angolo e che
permetteranno durante l’utilizzo di risalire all’angolazione del flusso.
La procedura che viene utilizzata per far ciò può essere di due tipi, diretta o iterativa.
Analizziamo la procedura diretta:
Coefficienti:
Pd − Ps
Cb1 = Ps + Pd
PC − 2
PC − Pt
Cps1 =
Pt − P
Pd + Ps
PC − 2
Cpt1 =
Pt − P

Il primo coefficiente viene utilizzato per individuare l’angolo: viene calcolato in base a pressione
centrale destra e sinistra e tramite le curve di calibrazione si risale alla direzione del flusso.
A questo punto sono noti anche gli altri due coefficienti; dal terzo coefficiente si ricava la pressione
dinamica (Pt-P) e si mette nella formula del secondo coefficiente per ricavare la pressione totale.
A questo punto si possono ricavare anche la pressione statica e la pressione dinamica.

Nella procedura iterativa si ipotizza una pressione dinamica e grazie agli altri coefficienti si riottiene
un valore per il tentativo successivo. La convergenza è molto veloce.

Per quanto riguarda le sonde a 5 fori, possiamo dire che le curve di calibrazione diventano
superfici e le procedure di taratura sono molto più lunghe e dispendiose.

Misure Meccaniche Matteo B. 71


MISURE DI VELOCITÀ

ANEMOMETRO A FILO CALDO


L’anemometro a filo caldo è uno strumento usato normalmente per determinare la velocità dell’aria
nelle condotte di ventilazione. È composto da una termoresistenza molto sottile (in genere in
tungsteno) che viene alimentata da una corrente di intensità nota, fino a portarla ad una
temperatura superiore al fluido da misurare. La resistenza viene quindi immensa nel fluido di cui si
vuole misurare la velocità.

Il fluido lambendo la resistenza la raffredda in maniera proporzionale alla sua velocità e quindi, in
base alla variazione di resistenza dovuta al raffreddamento è possibile risalire alla velocità del
fluido. 


I vantaggi di questo strumento sono principalmente dovuti alle ridottissime dimensioni del filo, che
rendono possibile:
1. Effettuare misure in varie posizioni della tubazione
2. Non disturbare il flusso del fluido
3. Avere una frequenza di risposta molto elevata (ordine dei kHz), a causa dell’inerzia termica
molto bassa.
Gli svantaggi sono legati alla dipendenza della taratura da vari fattori quali le caratteristiche del
fluido, la sua pressione e la sua temperatura.

Differenze dal tubo di Pitot:



Gli anemometri a filo caldo, essendo estremamente sensibili, riescono a dare una risposta molto
più veloce rispetto agli altri sistemi di misurazione (es. tubo di pitot) della velocità del vento, e
vengono quindi utilizzati per flussi turbolenti o per qualsiasi flusso in cui la velocità ha una rapida
variazione nel tempo. Al contempo però, non possono misurare velocità troppo elevate perchè
necessitano dell’operatore.

Ci sono tre diversi tipi di anemometri, a secondo della tecnica usata per ricavare la velocità del
flusso a partire dalla variazione di resistenza:
- CCA: anemometri a corrente costante
- CVA: anemometri a tensione costante
- CTA: anemometri a temperatura costante:

Mantenendo a T costante la resistenza, tramite effetto Joule si ha che, in condizioni stazionarie
vale:

R I 2 = h ⋅ S ⋅ (Tfilo − Tf luido) 

Dove h è il coefficiente di scambio termico [W/m^2 K] e S è la superficie bagnata.

La tensione di uscita dal sensore a filo caldo è così il risultato di una sorta di circuito all'interno allo
strumento che tenta di mantenere costante la specifica costante (corrente, tensione o
temperatura).


Misure Meccaniche Matteo B. 72


MISURE DI PORTATA

INTRODUZIONE
I misuratori di portata sono divisi in primo luogo fra:
- Misuratori di tipo volumetrico
- Misuratori di tipo massico
L’idea alla bade della misurazione di portata è quella di determinare la velocità del flusso per
determinare la portata analiticamente.

MISURATORE AD AREA COSTANTE E A CADUTA DI PRESSIONE VARIABILE: DIAFRAMMA


Il diaframma è usa sistema per misurare la portata volumetrica di un flusso. Il principio di
funzionamento è basato su un restringimento localizzato nel condotto del fluido che ne determina
una caduta di pressione. Siccome la caduta di pressione è proporzionale alla velocità del flusso (e
quindi alla portata), si misura la caduta di pressione con un sensore di pressione differenziale, si
risale alle velocità del fluido e quindi ricavo la portata volumetrica. 

Il sensore di pressione differenziale permette di misurare la differenza di pressione tra il punto
prima che il flusso inizi a risentire della perturbazione e il punto di minima pressione. 


Oltre all’abbassamento di pressione dovuto al restringimento il sistema costituisce inevitabilmente


anche una perdita di carico, che porta alla diminuzione della pressione totale del flusso.
La perdita di pressione è dovuta ad una componente distribuita e una concentrata, come si vede
dal grafico.
Tuttavia ad una distanza sufficientemente lontana dal diaframma, il fluido riprende a circolare
“quasi” come prima.

La perdita di carico, rimanendo costante durante tutto l’esercizio, è uno svantaggio dal punto di
vista economico, poiché, per vincerla, occorrerà un maggior lavoro da parte degli organi di
pompaggio.

Misure Meccaniche Matteo B. 73


Misurare la portata:
Per poter ricavare analiticamente la portata, sono necessarie alcune ipotesi:
- Flusso monodimensionale
- Fluido incomprimibile
- Fluido non viscoso
- Flusso adiabatico e senza variazioni di quota.


Queste ipotesi sono necessarie per poter applicare l’equazione di Bernoulli. Tramite tale
equazione, applicata ad un volume di controllo opportuno, tra le sezioni 1 e 2, si ottiene: 


· A2 f 2( p1 − p2)
V=
1 − (A2 f /A1f )2 ρ

Le aree A1f e A2f sono le aree della sezione trasversale del flusso, che non coincidono con la
sezione geometrica del tubo o del diaframma. 

Tali aree sono praticamente impossibili da conoscere, perciò si utilizzano le aree geometriche e si
introducono dei coefficienti correttivi sperimentali che tengono conto delle variazioni della sezione
trasversale del flusso e delle perdite di carico, introdotte dal dispositivo.

Questi coefficienti sono detti “coefficienti di efflusso” Cd e nel caso di fluidi incomprimibili
dipendono solo dal numero di Reynolds.
Questa proprietà comporta il vantaggio che è possibile tarare questi misuratori con un fluido
qualsiasi (come l’acqua) ed estendere i risultati a qualsiasi fluido.

Per un fluido comprimibile Cd dipende da Reynolds, dal rapporto delle pressioni e dall’esponente
isoentropico del gas (rapporto tra i calori specifici).

Tale dipendenza può essere espressa analiticamente dal prodotto tra numero di Reynolds e un
coefficiente di comprimibilità ε (<1).

I coefficienti di efflusso devono essere aggiornati periodicamente, tenendo conto dell’usura e delle
modifiche sulla geometria che essa comporta.


Il calcolo dei coefficienti di efflusso per i diaframmi si effettua con un procedimento iterativo, che
garantisce una convergenza piuttosto veloce (2-3 iterazioni).

MEMO: NUMERO DI REYNOLDS


Il numero di Reynolds è un parametro adimensionale, usato in fluidodinamica, dato dal rapporto tra
le forze d’inerzia e forze viscose e serve per caratterizzare il moto del flusso. Al di sotto di una
certa soglia il flusso è detto laminare, al di sopra si instaura il moto turbolento.
vdρ
Re =
μ

In generale questi strumenti devono essere tarati, a meno che non si faccia riferimento alla norma
nella progettazione dello strumento, in tal caso si utilizzano dei parametri indicati dalla norma e la
taratura è “implicita”.

Misure Meccaniche Matteo B. 74


La norma dà indicazioni riguardo alla natura del fluido, le
condizioni di flusso, geometria e prese di pressione.

Analizziamo adesso le caratteristiche geometriche dei


diaframmi:

- Il rapporto di strozzamento ß (rapporto tra diametro del
diaframma e del tubo) deve andare da 0.2 a 0.8
- L’angolo di smusso F deve essere compreso fra 30° e 45°. Tale
angolo è necessario per favorire l’attaccamento del flusso alle
pareti, ed evitare la separazione del flusso.

Prese di pressione statica:


In linea generale possiamo dire che le prese di pressione
devono essere posizionate in modo
tale da non risentire delle perturbazioni
causate dal diaframma.
La norma prescrive tre possibili
soluzioni:

1) Presa a monte a distanza D, presa a
valle a distanza D/2: è la soluzione più
economica , poiché non si devono
modificare le flange.
2) Prese sulle flange: è una soluzione
piuttosto costosa, dato che richiede
particolari tipi di flange non
comunemente in commercio.
3) Prese agli angoli:
Esistono due tipi di prese agli angoli:

- Anello portante con fessura anulare: si usa un anello piezometrico per
stabilizzare il flusso, tuttavia è un sistema poco reattivo, non adatto a
misure dinamiche.

- Prese singole: sono posizionate all’entrata e all’uscita del diaframma,
garantiscono la massima sensibilità e risentono molto delle oscillazioni
del flusso.


MISURATORE AD AREA COSTANTE E A CADUTA DI PRESSIONE


VARIABILE: BOCCAGLIO
I boccagli costituiscono una soluzione per la misura di portata volumetrica
molto simile ai diaframmi.
Essi sono più costosi e di più difficile realizzazione rispetto ai diaframmi,
ma sono comunque più economici dei Venturimetri.

Per come sono conformati essi sono più stabili rispetto
ai diaframmi e vengono utilizzati per flussi di vapore ad
alta velocità.

Inoltre essi sono raccordati dolcemente, in modo da
“invitare” il flusso al loro interno. Essi hanno dunque
delle perdite di carico concentrate inferiori ai diaframmi;
per tale ragione sono utilizzati in impianti con grandi
portate, per ridurre al minimo le perdite di carico che,
come abbiamo detto, si traducono in costi maggiori per
Misure Meccaniche Matteo B. 75
quanto riguarda il pompaggio.

MISURATORE AD AREA COSTANTE E A CADUTA DI PRESSIONE VARIABILE: TUBO DI


VENTURI
Il terzo strumento di questa famiglia è il Tubo di Venturi o Venturimetro. Esso è fondamentalmente
un condotto convergente divergente, il cui principio di funzionamento è esattamente il medesimo di
diaframmi e boccagli.
I Tubi di Venutri sono raccordati in modo molto dolce e accelerano e rallentano il flusso in maniera
quasi isoentropica. Sono perciò i più costosi dal punto di vista delle lavorazioni, ma sono anche i
più vantaggiosi dal punto di vista delle perdite di carico.

Osservazione: Nel caso in cui a monte del tubo il flusso abbia delle componenti tangenziali, siamo
costretti a ricorrere all’installazione i raddrizzatori, dispositivi costituiti da tanti piccoli tubi, che
hanno la funzione di omogeneizzare il campo di velocità del fluido e ridurre le perturbazioni. 

Il difetto di questo dispositivo è che introduce perdite di carico aggiuntive.

MISURATORI AD AREA COSTANTE E A CADUTA DI PRESSIONE VARIABILE: ELEMENTI A


FLUSSO LAMINARE
Come si evince dal nome, questi dispositivi sono
progettati specificatamente per flussi laminari, è
infatti impossibile usare i diaframmi senza alterare
la laminaria del flusso.
Si usano in combinazione con raddrizzatori di
flusso e permettono di ricavare la portata con una
relazione di proporzionalità diretta a partire dalla
caduta di pressione:
· πD 4
V= Δp
128μL

La forma più semplice di un elemento a flusso laminare è un tubo capillare di piccolo diametro,
tuttavia esso può trattare solo piccole portate.


Misure Meccaniche Matteo B. 76


Un altro modo di realizzare gli elementi a flusso laminare è tramite
una sezione di tipo “Honeycomb”, ossia, scomporre la sezione in
tanti elementi triangolari.

Per portate maggiori si possono utilizzare più capillari in parallelo.

Gli svantaggi legati a questi strumenti sono il costo elevato, la
possibilità di intasamento a causa di fluidi sporchi e le elevate
perdite di carico.

TUBO DI PITOT
È possibile utilizzare il Tubo di Pitot anche per
misurare portate volumetriche.
In laboratorio, l’idea è quella di suddividere il flusso
in diversi anelli di area costante, poi si misurano le
velocità locale del centro delle aree e si sommano
le singole portate.


In ambito industriale si utilizza invece un tubo


“automediante”, dotato di una serie di prese di
pressione disposte lungo la lunghezza del tubo e
collegate fra loro in modo che le pressioni associate
ad ognuno dei fori si mescolino fra loro e si medino. 

Il valore della pressione statica è invece rilevato da
una presa disposta a valle del senso di flusso.

Tramite la misura della pressione dinamica (∆P) si


risale alla velocità e quindi alla portata (precisione
1-2%)

MISURATORI AD AREA COSTANTE E A CADUTA DI PRESSIONE VARIABILE: ROTAMETRI


Il rotametro è costituito da un tubo verticale a forma
conica e da un galleggiante. Il fluido, percorrendo il
rotametro dal basso verso l’alto, investe il galleggiante
e lo oltrepassa.
Il galleggiante crea una perdita di pressione
localizzata, dovuta al restringimento della sezione di
passaggio.
Fissata una certa portata, il galleggiante rimane in
equilibrio poiché la risultante in direzione verticale
(forza peso - forza di galleggiamento - forza associata
alla caduta di pressione ∆P*A).
Dato che forza peso e forza di galleggiamento sono
costanti, per avere equilibrio anche la forza associata
alla caduta di pressione deve essere costante. 

Quindi, poiché la sezione del galleggiante è costante, anche il ∆P è costante.

Supponiamo ora che la portata non sia costante (la vogliamo misurare). Per un’area di passaggio
del flusso fissata, ∆P varia con il quadrato della portata, quindi, per mantenere il ∆P= cost al
variare della portata, l’area deve variare. 

La conformazione a tubo conico del rotametro fornisce questa possibilità di variazione dell’area. 

In base alla posizione del galleggiante l’area aumenta o diminuisce fino al raggiungimento

Misure Meccaniche Matteo B. 77


dell’equilibrio, perciò leggendo su una scala graduata l’altezza del galleggiante è ricavabile la
portata volumetrica.
Per un fluido incomprimibile si ottiene il seguente risultato:


Abbiamo due sottocasi:


- Se la variazione di Cd con la posizione del galleggiante è piccola e se [(At -Af )/At ]2 è sempre
molto minore di uno, allora abbiamo: Q=K(At -Af )
- Se il tubo è costruito in modo tale che At vari in modo lineare con la posizione del galleggiante x
abbiamo: Q=K1+K2x

Il galleggiante viene realizzato in materiali differenti a seconda della densità che si desidera. I tubi
sono in genere realizzati in vetro ad alta resistenza per permettere l’osservazione diretta della
posizione del galleggiante. Quando è necessaria una resistenza maggiore si usano tubi in metallo
e la posizione viene rilevata magneticamente. Se invece si desidera un segnale elettrico correlato
alla posizione del galleggiante si usa un trasduttore di spostamento. Il galleggiante può essere
anche guidato in modo che non faccia movimenti che impediscano la corretta lettura.
Sono di solito usati per medie portate, e necessitano un’installazione verticale (flusso dal basso
verso l’alto). Richiedono una taratura rispetto a pressione e temperatura standard di riferimento,
ma con opportune correzioni possono essere poi usati in condizioni di esercizio differenti.

MISURATORI A TURBINA
I misuratori a turbina si basano sull’inserimento di
una turbina all’interno di un condotto con il fluido
in movimento. La velocità di rotazione della
turbina dipende dalla portata, perciò, riducendo le
perdite al minimo e l’attrito dei cuscinetti, si può
progettare uno strumento in cui la velocità di
rotazione vari linearmente con la portata.
La velocità si misura misurando la frequenza con
cui le palette della turbina passano per un
determinato punto usando un dispositivo
magnetico di prossimità (pick up magnetico).

Se si vuole un segnale analogico in tensione in
uscita gli impulsi possono essere inseriti in un
convertitore frequenza-tensione.
I limiti dei misuratori a turbina sono:
- Range di temperature piuttosto limitato
- Presenza di parti rotanti che possono rovinarsi
I vantaggi sono:
- Costo piuttosto contenuto
- Grande accuratezza e sensibilità

Misure Meccaniche Matteo B. 78


MISURATORI ELETTROMAGNETICI
I misuratori di portata elettromagnetici si basano sul principio di induzione e vengono usati per
misurare la portata di fluidi conduttori.

Se un conduttore di lunghezza L si muove con una


velocità trasversale v attraverso un campo
magnetico di intensità B, verranno prodotte delle
forze sulle particelle cariche del conduttore che
indurranno una separazione di cariche nel
conduttore stesso, proporzionalmente alla sua
induttanza. Per tale ragione il fluido deve essere
conduttore, ioni positivi e negativi si sposteranno in
direzioni opposte, generando una differenza di
potenziale: E = Blv

Data una certa sezione ortogonale al flusso, la massima


differenza di potenziale si trova ai capi di un diametro
orizzontale. 

Tuttavia, questa differenza di potenziale non rimane massima
al variare della sezione all’interno del campo magnetico perchè,
a differenza del caso ideale, il campo non ha dimensione
infinita, e quindi il flusso risente degli effetti di bordo (il fluido
esterno al campo, essendo anch’esso conduttore, tende ad
abbassare la tensione del fluido interno al campo).

In base alla differenza di potenziale che si genera all’interno del fluido, si misura la portata. Per
farlo uso una condotta con due elettrodi nel punto in cui si ha la massima differenza di potenziale.
Il flusso di corrente attraverso il conduttore mobile, di resistenza R, genera una caduta di
potenziale iR. Ai terminali del conduttore avremo perciò una tensione Blv − i R.
Il segnale in tensione risulta quindi proporzionale alla velocità del fluido.
In particolare, è stato dimostrato che, qualunque sia il profilo di velocità del fluido, se questo è
simmetrico allora la differenza di potenziale rilevata coincide con la velocità media.


La condotta è realizzata con un tratto corto in materiale non conduttore nella zona in cui c’è il
campo magnetico, mentre il resto della tubatura è in materiale metallico.

Questi dispositivi hanno un costo molto elevato, dato che richiedono generatori di campo
magnetico, ma non introducono perdite di carico, non alterano il campo di moto, non hanno parti
rotanti che si possono usurare e/o danneggiare, non introducono dissipazioni meccaniche
(compensano il costo di istallazione con l’affidabilità).
Inoltre, non essendo direttamente esposti al flusso, hanno range di portata e temperatura molto
ampi; sono inoltre molto accurati e hanno alte risposte in frequenza.

MISURATORI A ULTRASUONI
Il principio di funzionamento è basato sulla modalità di propagazione di un’onda ultrasonora
(perturbazione infinitesima di pressione) attraverso un fluido, la cui velocità di propagazione
dipende infatti dalle caratteristiche del fluido e dalla sua velocità.

Misure Meccaniche Matteo B. 79


(Per la parte seguente si faccia riferimento anche ai controlli con ultrasuoni, argomento trattato più
avanti)
Comunemente per generare un impulso ultrasonoro si usano trasduttori a cristalli piezoelettrici. Al
cristallo trasmettitore viene data energia elettrica sotto forma di brevi impulsi di tensione ad alta
frequenza che mettono in vibrazione il cristallo. La vibrazione viene comunicata al fluido e si
propaga attraverso di esso. Il cristallo ricevitore è esposto alle fluttuazioni e risponde vibrando. Il
moto di vibrazione produce un segnale elettrico ad esso proporzionale. 


Esistono due tipi di misuratori ad ultrasuoni:

1) Misuratori ad effetto Doppler;
2) Misuratori a tempo di transito.

1) Misuratori ad effetto Doppler:



Questi misuratori funzionano se all’interno del fluido
sono presenti delle particelle riflettenti e/o bolle. Un
emettitore invia un treno di onde ad alta frequenza con
un angolo α (frequenza f1).

c
La lunghezza d’onda è: λ = 

f1
Le onde colpiscono le particelle sospese nel fluido che si
muovono con una velocità vP. 

Le particelle che si allontanano dall’emettitore vengono
c − vP cosα
raggiunte dall’onda acustica e vedono una lunghezza d’onda λp = 

f1
Le onde vengono dunque riflesse e raggiungono un ricevitore, che vede una lunghezza d’onda
differente, in quanto riceve l’onda non da una sorgente fissa ma da una in movimento (da qui il
nome effetto Doppler) e quindi diversa rispetto alla fonte originaria che era il trasmettitore. La
lunghezza d’onda vista dal ricevitore è:

c − 2vP cosα
λR = 

f1
Dividendo la velocità di propagazione dell’onda per tale lunghezza d’onda si ottiene la
frequenza percepita dal ricevitore:

cf1
f2 = 

c − 2vP cosα
Misurando la differenza di frequenza abbiamo una misura della velocità del flusso e quindi
della portata volumetrica:

2vP f1cosα
| f1 − f2 | = Δ f = 

c − 2vpcosα
Questo metodo di misura non è invasivo, non ha parti in movimento ma richiede la presenza di
particelle sufficientemente grandi da riflettere l’onda.

È importante osservare che la velocità misurata è quella delle particelle, non del flusso.

Tale velocità si ottiene dalla somma di una componente relativa e una di trascinamento;

per avere la misura effettiva della velocità del flusso la componente relativa dovrebbe essere
nulla. 

In caso di sistemi con vibrazioni meccaniche significative è sconsigliato l’utilizzo di questi
misuratori, poiché le particelle avrebbero una velocità relativa non trascurabile.


Misure Meccaniche Matteo B. 80


2) Misuratori a tempo di transito: 

In questo caso si utilizzano un emettitore e un ricevitore che
misurano l’intervallo di tempo necessario ad attraversare
diagonalmente il flusso. 

Se il flusso fosse fermo il tempo t0 di passaggio di un impulso
ultrasonoro sarebbe:

L
t0 = 

c
Dove L è la distanza tra emettitore e ricevitore e c è la velocità
del suono nel fluido.

Se il fluido si muove con velocità V il tempo di passaggio
diventa:

L
t= .

c +V
Sviluppando in serie di Taylor:

1 V L V
t ≈ L( − 2 + . . . ) ≈ (1 − )

c c c c
Dunque la differenza tra i due tempi è:

L L V LV
Δt = t − t0 = − [ (1 − )] = 2 

c c c c
Si può dunque ricavare la velocità media del flusso e quindi la portata.


Dalla formula precedente si evince che per una misura corretta è importante una corretta stima
di c, che compare al quadrato al denominatore. Infatti un piccolo errore nella misura di c
comporterebbe errori significativi nella misura della velocità del flusso. Ciò non è affatto
scontato, poiché essa dipende dalla temperatura e dalla
densità del fluido. Inoltre il ∆t misurato è molto piccolo
(dell’ordine dei microsecondi).


Esiste anche un altro tipo di configurazione che permette di
raddoppiare la sensibilità, si posizionano due sistemi come
quelli precedenti, ma posizionati in maniera opposta e si
misura la differenza dei tempi di transito nel caso in cui
l’impulso si propaghi in direzione del flusso e nel caso in cui
si propaghi in direzione opposta.

La differenza dei tempi di transito è:

2LV 2 2VL
Δt = t2 − t1 = 2 ≈ 

c − V2 c2
Tuttavia rimane la dipendenza da c^2.


Configurazione oscillante autoalimentata:

Per eliminare tale dipendenza si utilizza un altro sistema.
Le onde vengono inviate non parallele al flusso ma
inclinate in modo che l’impulso emesso raggiunga il
ricevitore e torni indietro al punto da cui era partito. La
frequenza con cui l’impulso ritorna è differente da quella
con cui era stato emesso.


Misure Meccaniche Matteo B. 81


1 L
Facendo riferimento alla figura, la frequenza dell’impulso in andata è =
T1 c + Vcosθ
1 L
(direzione concorde) mentre quella all’indietro è = (direzione opposta).

T2 c − Vcosθ
Misurando non la differenza fra i tempi di volo ma quella fra le due frequenze si può risalire alla
velocità.

2Vcosθ
Δf = 

L

Misuratore clamp-on:

Sebbene la misurazione della differenza di frequenza sia
stat usata per molti anni, oggi si preferisce usare metodi
basati sulla misura diretta dei due tempi di volo, poiché la
misure di tempo digitali sono diventate più accurate e con
una maggiore risoluzione.

Nella configurazione clamp-on i trasduttori si trovano al di
fuori del tubo, fatto che garantisce un’installazione
estremamente convenietne, evitando i problemi di
compatibilità trasduttore-fluido.

I trasduttori vengono collegati per mezzo di morsetti meccanici o adesivi, lasciando il tubo
intatto e libero da ostruzioni.


I problemi principali per i misuratori a tempo di transito sono:

1) Limiti sulla quantità di gas o di particelle solide presenti nel liquido

2) Sensibilità al profilo di velocità del flusso (gradienti di velocità nella sezione); infatti a parità
di velocità media i misuratori ultrasonici misurano portate diverse a seconda del profilo di
velocità, non tenendo conto che i punti adiacenti alla parete contribuiscono meno al flusso di
quanto lo facciano i punti centrali del tubo. Per risolvere il problema, potrei usare molte
traiettorie diverse e mediare i risultati ottenuti oppure inviare il segnale non inclinato ma lungo
una corda.


MISURATORI A DISTACCO DI VORTICI


Il principio di funzionamento si basa sul fenomeno del
distacco dei vortici (Karman vortex) a valle di un corpo
solido dai bordi smussati investito da un flusso
stazionario: a causa della separazione dello strato limite
si formano una serie di vortici alternati.
Questo fenomeno si verifica quando il numero di
Reynolds è maggiore di 10000 e la frequenza di distacco è
NST V
f = , dove Nst è il numero di Stroubal (determinato
D
sperimentalmente), V è la velocità del fluido e D è la
dimensione caratteristica del corpo da cui avviene il distacco.
Grazie ad un’opportuna geometria Nst può essere assunto
come costante su un vasto intervallo di Reynolds e quindi la
frequenza e la velocità sono direttamente proporzionali.

La frequenza può essere misurata con sensori piezoelettrici che si eccitano se colpiti da vortici,
mediante diaframmi elastici o mandando fasci ultrasonici che sono interrotti dall’attraversamento
dei vortici.
Misure Meccaniche Matteo B. 82
I pregi di questi misuratori sono:
1. Posso misurare portata di gas, vapore o liquidi
2. Non devono essere ricalibrate (accurati)
3. Range di misura ampio
4. Perdite di pressione minime 


I difetti sono che si possono utilizzare solo per flussi stazionari e con un determinato numero di
Reynolds.

MISURATORE MASSICO AD EFFETTO CORIOLIS


Il principio di funzionamento di questo misuratore di portata massima si basa sulla generazione
controllata di forze di Coriolis che agiscono direttamente sul fluido e producono effetti che saranno
poi misurati per ricavare la portata.

La forza di Coriolis è una forza apparente che nasce nei sistemi non inerziali in rotazione e agisce
sui corpi in moto relativo rispetto al sistema di riferimento non inerziale. L’espressione della forza è:

Fc = m * 2 (vr /\ ω )

Il dispositivo è costituito da un tubo ricurvo a
C supportato da due staffe, che viene tenuto
in costante vibrazione da un agitatore
elettromagnetico che conferisce una
vibrazione stazionaria di regime sinusoidale
(frequenza 50-80 Hz).
La vibrazione è di tipo flessione, ossia viene
fatta compiere alla tubatura una rotazione
alternata fra +θ e -θ rispetto alla posizione di
equilibrio.

La velocità angolare ω è diretta
perpendicolarmente alla direzione di entrata
e uscita del flusso e segno che varia
continuamente.

Due trasduttori di spostamento P1 e P2,
posizionati agli esteri del tratto rettilineo della
tubatura a C, controllano l’oscillazione ed
inviano un impulso quando la tubatura passa
dalla loro posizione. 


Se il fluido non si muove (portata massica nulla), le oscillazioni sono regolari e il tratto rettilineo
della tubatura a C si mantiene alla stessa quota durante l’oscillazione. 

Con il passaggio del flusso la situazione cambia: si ha infatti che sui tratti paralleli la velocità del
flusso è ortogonale alla velocità angolare e dunque nasce una forza di Coriolis sul flusso con
direzione verticale rispetto al piano della tubatura a C (prodotto vettoriale).

Le forze di Coriolis agenti sul fluido originano una coppia torcente che fa ruotare la tubatura attorno
al proprio asse di simmetria, infatti la velocità cambia segno nei due tratti paralleli e perciò sui due
lati si originano forze di Coriolis opposte.

A causa di questa coppia torcente le sezioni di entrata e uscita del tratto orizzontale oscillano in
maniera sfasata, per cui i sensori di movimento avvertono il passaggio del tubo in due istanti t1 e
t2 diversi fra loro.


Misure Meccaniche Matteo B. 83


Misurando questo sfasamento è possibile risalire linearmente alla portata, infatti all’aumentare
della velocità del fluido (e quindi della portata) aumenta anche la forza di Coriolis e quindi la
deflessione del tubo.

I vantaggi del misuratore massico ad effetto Coriolis sono che esso non costituisce un ostruzione
al passaggio del fluido, è insensibile alla viscosità, pressione e temperatura e si può usare con
praticamente qualsiasi liquido.

Dimostrazione: 


dF ⃗ = d M(2 ω ⃗ ∧ v r⃗ )

La forza di Coriolis agente su un elemento di fluido di massa dM è:


Dal momento che v cambia segno sui due lati, considerando due elementi su ciascun lato si ha

dT ⃗ = d ⃗ ∧ [2(2 ω ⃗ ∧ v r⃗ ) ⋅ d M ]
una coppia torsionale dT:


Se G è la portata massica possiamo scrivere:



G
dM = dx
v
Dove dx è un tratto infinitesimo della lunghezza dei due tratti paralleli
L

∫0
dT = 4ωG d d x = 4L dωG


Il sistema torsionale agisce come una molla di rigidezza K_s, si può calcolare l’angolo di torsione. 

4L dω
θ= G
Ks
A causa di θ vi è sfasamento tra i segnali inviati dai trasduttori di spostamento: 

L ωΔt
θ=
2d
Combinando le ultime due equazioni si ottiene:
Ks
G= Δt
8d 2
La portata è dunque lineare rispetto all’intervallo di tempo.

MISURATORE MASSICO AD EFFETTO TERMICO


È un dispositivo il cui funzionamento si basa sui
meccanismi di trasmissione del calore
Questi misuratori termici sfruttano un sistema by-
pass per cui la portata totale viene divisa in due
portate che stanno tra loro secondo un rapporto
ben definito.
Il tubo capillare che servirà per la misura ha una
frazione di portata molto inferiore a quella totale,
in modo da ridurre l’inerzia termica del sistema di
misura ed il consumo di energia. Inoltre in questo
modo si riescono a misurare grosse portate con
sistemi piccoli ed economici.
In particolare il tubo capillare ha un diametro di
0.787 mm e una lunghezza che è 50 e 100 volte

Misure Meccaniche Matteo B. 84


il diametro. 

È fondamentale che il rapporto si mantenga costante nel tempo e per fare ciò è fondamentale che i
due flussi si mantengano laminari. A tale scopo per il flusso principale vengono quindi utilizzate
calette sottili a sezione rettangolare inserite all’interno del perimetro di un cilindro, mentre per il
sensore a tubo capillare viene utilizzato un diametro si utilizza come detto un diametro molto
piccolo.

Il flusso viene misurato tramite un sensore a tubo che si stacca dal condotto principale a formare
un arco. Nel tratto parallelo al tubo principale vi sono due resistenze elettriche che fungono sia da
riscaldatori (sfruttando l’effetto Joule) che da sensori di temperatura (termoresistenze).

Le due resistenze sono collegate ad un circuito a ponte in posizione adiacente. In questo modo:
- Se le due resistenze sono alla stessa temperatura, non osservo segnale in uscita, poiché il
ponte è bilanciato.
- Per un portata nulla il sistema è termicamente simmetrico, ossia la differenza di temperatura fra
i due avvolgimenti è nulla. Tutto il calore fornito dalle residenze elettriche viene disperso dal tubo
verso lo spazio circostante.

Siano:
Ta: la temperatura della portata di fluido 

T1: la temperatura della prima resistenza
T2: la temperatura della seconda resistenza


Quando una portata di liquido fluisce all’interno del tubo capillare, essa scambia calore con la
prima resistenza, in quantità: Q = m ⋅ cp ⋅ (T1 − Ta)
Tale scambio di calore fa diminuire la temperatura T1 della prima resistenza, alterando l’equilibrio
del ponte. 

T2 rimane invece circa costante, poiché quando la portata fluisce attorno alla seconda resistenza
ha una temperatura simile ad essa, a causa dell’effetto riscaldante della prima resistenza. Occorre
osservare che ciò è valido solo se la portata nel sensore si mantiene abbastanza piccola, altrimenti
l’effetto raffreddante della portata di liquido altererebbe anche T2.

Secondo quanto detto, sembrerebbe bastare una sola resistenza per misurare la portata, poiché la
misura è legata alla temperatura T1, tuttavia è meglio utilizzare il segnale T2-T1 (reso disponibile
dal circuito a ponte) perché dà uscita nulla per portata nulla e rende lo strumento insensibile alla
fluttuazione della temperatura esterna (T1 e T2 risentono allo stesso modo della variazione di Ta).
Vediamo quindi come si fa a sfruttare la differenza di temperatura T2-T1 fra le due termoresistenze
per misurare la portata. 

Partiamo dall’analisi delle termoresistenze: la seconda è usata come sensore di temperatura di
riferimento e legge la temperatura del fluido; l’altra funge da “heater”: il fluido le asporta calore
raffreddandola ma, facendo variare la corrente al suo interno, è mantenuta per effetto Joule ad una
differenza di temperatura costante rispetto alla prima.

Quanto maggiore è la portata che fluisce, tanto maggiore è la quantità di calore asportata grazie al
fluido e dunque tanto maggiore è la corrente da far scorrere per mantenere la differenza di
temperatura costante.
Q = m ⋅ c ⋅ ΔT = I 2 R
Misurando la corrente si ottiene quindi la portata massica.

Misure Meccaniche Matteo B. 85


FONDAMENTI DI ACUSTICA E MISURE ACUSTICHE

INTRODUZIONE
Il suono è un fenomeno ondulatorio per mezzo del quale l’energia meccanica di vibrazione viene
propagata attraverso un mezzo elastico. Il suono propriamente detto è la propagazione non
stazionaria delle fluttuazioni di pressione in un mezzo elastico.
Esiste, inoltre, uno stretto legame tra suono e percezione del suono: l’orecchio umano è in grado di
rilevare le perturbazioni di pressione che si propagano nel mezzo e dà origine alla sensazione
uditiva.
Poiché il suono ha bisogno di un mezzo per propagarsi, non può esserci suono nel vuoto.

Le grandezze coinvolte nello studio dei fenomeni acustici sono tipicamente pressioni, non statiche
ma in continua variazione. Tali valori sono piccoli rispetto ai valori medi di pressione presenti nel
mezzo.
Si hanno in generale pressioni da 20 µPa a 200 Pa (danno permanente all’orecchio umano).

Il costrutto matematico attraverso il quale si può spiegare la propagazione delle oscillazioni sono le
onde.
Il suono è rappresentato da onde longitudinali, ossia onde in cui l’oscillazione avviene nella stessa
direzione della propagazione.
A seconda della sorgente che origina la perturbazione il suono può essere descritto con onde
piane, sferiche, cilindriche ecc.

ONDE PIANE
Supponiamo di avere un cilindro infinito che
contiene gas, all’estremità del quale è applicato
un manovellismo di spinta, che muove con moto
alternato un pistone. Nel suo movimento in avanti
il pistone comprime le particelle, a causa della
sua inerzia.
In seguito alla forza applicata dal pistone al gas,
localmente aumenta la densità delle particelle e
quindi la pressione del gas.
Le particelle messe in moto dal pistone
tenderanno a superare la loro posizione originale
di equilibrio per poi ritornarci a causa della forza
elastica.
La stessa cosa accade quando il pistone sta
andando indietro, ma in maniera opposta (il gas
viene rarefatto).
La combinazione della forza elastica, che tende a
richiamare le particelle, e l’inerzia, che si oppone
a tale movimento, fa sì che si generi una serie di
fronti di particelle compresse e rarefatte. Questi fronti vengono comunicati alle particelle adiacenti,
perciò è come se questi fronti si propagassero nello spazio. Questo significa che si propagano le
fluttuazioni di pressione.

Misure Meccaniche Matteo B. 86


DESCRIZIONE MATEMATICA - CENNI DI TEORIA
Si considerano le generiche variabili termofluidodinamiche, i valori istantanei possono essere
espressi come la somma dei valori stazionari e quelli propriamente non stazionari. La seconda
componente rappresenta le fluttuazioni e corrisponde alla componente acustica.
Si può definire anche una variabile detta condensazione, che definisce la variazione di densità (?).

Ipotesi semplificative:
Nel nostro caso il moto medio del fluido è nullo (come il moto dell’aria in una stanza), ciò comporta
che il vettore velocità media sia nullo, mentre la densità e le pressioni medie siano costanti.
Inoltre facendo il rapporto tra la parte fluttuante e stazionaria si ottiene un valore molto piccolo
rispetto a 1 (ipotesi piccole oscillazioni).

Applicando quanto detto precedentemente alle equazioni di continuità e di conservazione della


quantità di moto, si ottengono le equazioni di moto linearizzate.

Ciò equivale ad uno sviluppo al primo ordine, che possiamo fare dato che le grandezze sono molto
piccole rispetto a quelle medie.
Un’altra ipotesi è che tutte le trasformazioni siano isoentropiche.
Si possono definire anche dei coefficienti, come il coefficiente adiabatico isoentropico di
comprimibilità.

Se io derivo rispetto allo spazio la prima equazione e rispetto al tempo


la seconda (?) ottengo l’equazione delle onde omogenea (è un
equazione differenziale particolare, cioè l’equazione di D’Alambert),
che rappresenta l’equazione più importante dell’acustica.
Si definisce dunque c, velocità del suono, come derivata parziale della
pressione rispetto alla densità sotto radice. Per un gas perfetto è
uguale a c = γRT ; (funzione della sola T).

L’equazione di D’Alambert ha come soluzione una funzione data dalla


somma di due funzioni f e g arbitrarie, purché abbiano come
argomento (x-ct) e (x+ct).
Sostituendo queste soluzioni in eq d’lambert abbiamo un identità (cvd).
Nel caso monodimensionale la soluzione è un’onda piana, in cui le variabili termodinamiche
assumono valori costanti su piani perpendicolari alla direzione di propagazione.
Essendo f e g arbitrarie posso sceglierle in un modo comodo, ossia facendo si che la dipendenza
dal tempo non sia casuale ma sia di tipo armonico.
Grazie al teorema di Fourier sappiamo che, con una tale scelta, non si perde di generalità, poiché
possiamo scrivere qualsiasi onda sonora come sommatoria di seni e coseni.
Misure Meccaniche Matteo B. 87
L’altro artificio matematico è quello di scrivere le funzioni mediante numeri complessi, poiché
sappiamo che vale la formula di Eulero.
Definiiamo ora k, numero d’onda, come w/c,

Devo scrivere f(x-ct). Voglio scegliere come funzione un coseno, perciò ho cos(x-wt).
Introducendo k, scrivo allora cos[1/k( kx-ct)].
Questa scrittura in numeri complessi è
Oss: nella soluzione più generale c’è anche anche la funzione con argomento (x+ct) che descrive
le onde di riflessione, che vanno verso le x negative.
Come ottengo la velocità? Dall’equazioni di quantità di moto linearizzata.

Cosa significa cos(kx-ct) a partire da t=0 incremento t, la curva che otteniamo la curva verde, poi la
curva rossa. Cosa succede alla pressione? La mappa di pressioni si sta spostando verso le
ascisse positive.
Dunque da equazione di moto del fluido, con ipotesi piccole perturbazioni, abbiamo ottenuto che
l’equazione di D’Alambert o equazione delle onde, le cui soluzioni descrivono la propagazione di
fenomeni ondulatori nello spazio e nel tempo con moto uniforme e velocità pari a c. Ogni onda è
caratterizzata da una frequenza, da un’ampiezza e da una lunghezza d’onda.
L’avanzamento dell’onda in un ∆t è uguale a c∆t, dunque è legittimo chiamare c velocità del suono.
Pertanto c determina la velocità con cui si propagano piccoli disturbi nel mezzo.
La propagazione è un fenomeno che implica che un fenomeno generato in un punto lo ritroviamo
dopo un ∆t in un altro punto. Questo si ha solo quando le perturbazioni sono molto più piccole delle
grandezze medie; perturbazioni più grosse non si propagano in questo modo.

ONDE SFERICHE
Possiamo anche immaginare il fenomeno con una sfera che pulsa e spinge avanti e indietro le
particelle del mezzo.
Nel caso del pistone avevamo un’onda piana perché i fronti (con i valori di pressione tutti uguali)
sono superfici perpendicolari alla direzione di propagazione. In questo caso invece i fronti sono
superfici sferiche, che si allontanano dalla sorgente che sta al centro.
Con le onde sferiche la pressione va diminuendo con la distanza dalla sorgente. Questo perché
l’energia deve essere la stessa e, se la superficie aumenta allontanandosi, allora la pressione sarà
più piccola. La riduzione del valore di pressione dunque non è causata da effetti dissipativi ma
dalla conversazione di energia.

GRANDEZZE FONDAMENTALI
Come abbiamo detto, il suono è caratterizzato da fenomeni oscillatori; per descrivere tali fenomeni
non posso ricorrere ai valori istantanei, ma devo far riferimento a dei valori medi. Tuttavia non si
può ricorrere ai valori medi in senso stretto, visto che se le funzioni che descrivono le onde sono
sinusoidali, il valore medio in un periodo è 0. Si ricorre perciò all’RMS (Root Mean Square), cioè la
radice del valore medio del quadrato.
In questo modo si ottiene un valore che non dipende dal tempo e quantifica l’entità di queste
perturbazioni. Ciò trova riscontro anche per quanto riguarda la percezione del suono, poiché la
risposta dell’orecchio è sensibile al valore medio della pressione, non al valore dell’ampiezza
dell’oscillazione.
La pressione media del suono è quindi:
1
T∫
pRMS = p 2(t)dt

Misure Meccaniche Matteo B. 88


In acustica hanno grande importanza anche i termini energetici, ad esempio la densità di energia
istantanea, cioè energia per unità di volume, data dalla somma di energia cinetica ed energia
potenziale.
Anche per poter quantificare questi valori, invece di usare i valori istantanei di energia, che
richiedono eccessivo formalismo, si considera l’energia media nel tempo.
Per quantificare l’energia contenuta in un’onda sonora si usano due valori medi, che sono intensità
sonora e potenza sonora.
L’intensità sonora è una grandezza vettoriale che esprime il flusso di energia acustica attraverso la
superficie nell’unità di tempo perpendicolare alla direzione di propagazione mediato nel tempo. [W/
m^2]:
1
T∫
I= p′u′dt
Per un’onda piana o per un’ onda sferica lontana dalla sorgente il valore assoluto dell’intensità
sonora è data da:
′2
pRMS
I=
ρ0c0
La potenza sonora è una grandezza scalare che indica la quantità di energia emessa da una
sorgente nell’unita di tempo, essa corrisponde all’integrale dell’intensità sonora sulla superficie,
cioè la sommatoria di tutta l’energia che esce dalla superficie. [W].

Questi disturbi sono piccoli ma hanno una grande intervallo di variazione da 10^-9 W (lieve
sussurro) fino a 10^5 W (aereo turbojet).
Per gestire l’ampiezza della variazione si usa il dB.
Esso è un modo di esprimere una grandezza, non per forza è associato all’acustica. L’idea è quella
che, usando una scala logaritmica, si può gestire meglio l’enorme range di valori.
Il dB è dato da 10 volte il logaritmo del rapporto tra grandezza e grandezza di riferimento.
G
d B = 10log( )
Gref
Con il dB posso definire:

I valori di riferimento sono associati alla soglia dell’udibile.

Misure Meccaniche Matteo B. 89


SOMMA DI LIVELLI DI PRESSIONE
Per sommare i livelli sonori occorre tornare in scala lineare:
55dB+ 52dB —> 10^55/10 + 10^52/10
e poi rifare il logaritmo.
Per questo motivo il raddoppio di potenza è uguale a un aumento di 3 dB. Se invece quadruplico
ottengo +6 dB.

Osservazione: la misura di potenza sonora non dipende dal punto in cui la faccio, ma solo dalla
sorgente da cui proviene l’onda sonora. La pressione sonora invece dipende da dove vado a
misurarla, poiché influiscono le riflessioni e le distanze.

Occorre distinguere tra ambiente libero (es. all’aperto) e ambiente riverberante (es. stanza): Nel
primo il suono non incontra ostacoli nel suo percorso mentre nel secondo il suono viene riflesso
perfettamente dalle pareti, creando un campo in cui non si riesce a distinguere l’origine delle
perturbazioni.
Queste due situazioni sono ideali: nella realtà non ci troveremo mai esattamente in una di queste
due situazioni, bensì in una situazione ibrida.

Vi sono delle formule che permettono di ricavare potenza sonora da pressione sonora. In queste
formule si vede la dipendenza dalla distanza dalla sorgente della pressione sonora.

Oss: vi sono anche onde cilindriche che possono essere usate per descrivere il rumore su una
strada.

SOMMA DI SEGNALI
Per essere precisi matematicamente, quando si sommano due segnali, occorre tenere conto delle
fasi.

Se si conoscono esattamente le fasi, posso effettuare la somma in fase, che dà un risultato in fase
con gli addendi. Posso usare questo metodo se sto utilizzando modelli numerici matematici o
segnali generati da due sorgenti identiche, comandate dallo stesso generatore e disposte
simmetricamente rispetto al piano di misura. Tuttavia è difficile conoscere le fasi perché ciò
richiede la conoscenza di moltissimi fattori.
(P1 + P2)2
LTOT = 10log
P02
Nella tecnica si usa un altro modo, si sommano i contenuti energetici associati. Si parla perciò di
somma incoerente.
P12 + P22
LTOT = 10log
P02

ANALISI IN FREQUENZA
Il rumore è generalmente composto da una sovrapposizione di segnali di frequenza diversa
distribuite all’interno di una certa banda, la distribuzione di ampiezza in funzione delle varie
frequenze viene definita spettro.
Per indagare il contributo di ogni componente armonica alla realizzazione del rumore occorre
effettuare un’analisi in frequenza.
L’analisi in frequenza prevede di scomporre il segnale nelle sue componenti di frequenza.
La strumentazione dedicata alle misure di rumore è dotata di una serie di filtri passa-banda, che
restituiscono solo segnali con frequenze all’interno di un certo range.

Misure Meccaniche Matteo B. 90


Matematicamente questo equivale a dire che di tutti i termini armonici che costituiscono la funzione
ne passano solamente alcuni.
Prendendo una serie di filtri in modo che le bande siano adiacenti, si ottiene un’ampia banda di
frequenza continua. Ottengo perciò una distribuzione di frequenze.
Lo spettro si divide con larghezza di banda propozionale. Può essere diviso in :
- Bande di ottava: frequenza superiore e inferiore della banda in rapporto di due.
- Terzi di banda di ottava: è una suddivisione più fine, con lo spettro diviso tre volte tanto rispetto
alla divisione in bande di ottava.
In altre parole il rapporto tra frequenza superiore e inferiore è costante, e vale 2 per la divisione in
1
bande di ottava, mentre per la divisione in bande di terzi di ottava vale 2 3 .
Più fine è la banda più risoluzione avrò nello spettro, più facile sarà individuare i componenti tonali.

Oss: Se abbiamo un segnale di 1 Hz matematicamente possiamo esprimerlo con coseni e seni


con frequenza multipla di 1 Hz.

In questo esempio ci sono almeno due


effetti: rumore broad band (a banda larga),
e rumore tonale, costituito da grandi
ampiezze in ristrette bande di frequenze
(toni).
L’analisi in frequenza permette di capire
quali sono i meccanismi che generano il
suono, posso infatti accorgermi di un tono
ad una frequenza che è associabile ad un
elemento meccanico di una macchina che
lo potrebbe generare a causa di un guasto
che potrebbe essere danneggiato.

PERCEZIONE DEL SUONO


Le misure del suono sono effettuate nel campo industriale per valutare il corretto funzionamento
delle macchine, ma anche per valutare se i rumori sono adeguati all’ambiente di lavoro e sono tali
da non creare disturbo o pericolo per l’operatore umano.
I rumori più pericolosi per l’uomo sono i rumori impulsivi, molto veloci (spari); l’orecchio non fa in
tempo ad irrigidire i muscoli che servono per ridurre la sensibilità dell’orecchio con lo scopo di
proteggerlo.

CURVE ISOFONICHE
C’è una certa differenza tra percezione acustica e suono, occorre pertanto capire le relazioni tra
suono inteso come fluttuazione di pressione e come percepito dall’orecchio umano.

L’orecchio umano non è sensibile allo stesso modo a tutte le frequenze, ma ce ne sono alcune per
cui è più sensibile di altre: a parità di livello di pressione sonora, per alcune frequenze l’orecchio
percepisce sensazioni più forti.
Ad esempio, per dare la stessa sensazione di fastidio, a 4kHz (frequenza molto fastidiosa) serve
una pressione sonora molto più bassa rispetto ad altre frequenze.
Su queste considerazioni si basano le curve isofoniche. Esse sono costituite dal luogo dei punti
che generano la stessa sensazione di fastidio nell’orecchio umano (ovviamente sono basate su
indagini statistiche, poiché ogni persona reagisce in modo diverso).

Misure Meccaniche Matteo B. 91


Vengono tracciate sul grafico pressione sonora/frequenza.
Esse sono costituite dal luogo dei livelli di pressione sonora che generano la stessa sensazione di
fastidio nell’orecchio umano. Ovviamente sono basate su indagini statistiche, poiché ogni persona
reagisce in modo diverso.
Si chiamano isofoniche perché l’unità di misura per la sensazione uditiva è il phon, che
corrisponde al livello di pressione sonora che un tono puro deve possedere al variare della
frequenza, per indurre la stessa sensazione uditiva del suono di riferimento ad 1 kHz.
Ad 1 kHz 40 phon sono 40 dB, la stessa sensazione di 40 phon a 20 Hz è provocata da 90 dB.
Come è evidente le curve isofoniche non sono lineari.

CURVE DI PONDERAZIONE
Considerato che la risposta uditiva umana non è lineare in relazione alle frequenze, per ottenere
con adeguata approssimazione l’effettiva sensazione umana, dato un livello di pressione sonora è
indispensabile compensarlo alle diverse frequenze.
Oltre alle curve isofoniche si utilizzano a tale scopo le curve di ponderazione, ricavate da
approssimazioni delle curve isofoniche, che forniscono alle diverse frequenze i valori che devono
essere sommati algebricamente, frequenza per frequenza ai valori misurati.
In altre parole, poiché il valore misurato non coincide con il valore che l’orecchio umano percepisce
e, poiché è necessario adattare i dati misurati a quelli di interesse pratico (cioè quelli percepiti
dall’uomo), occorre sommare algebricamente al valore misurato un valore che tiene conto della
frequenza a cui si effettua la misura, poiché in base ad essa l’orecchio umano reagirà in maniera
diversa dal punto di vista sensibile.
La curva più utilizzata per effettuare tale correzione, è la curva di ponderazione A, ottenuta
all’incirca dall’inversa dell’isofonica a 40 phon. Per tale ragione i valori spesso sono dati in dBA.

Misure Meccaniche Matteo B. 92


MICROFONI CAPACITIVI
Il microfono a condensatore è un tipo di microfono che sfrutta l'effetto di variazione capacitiva. È
così chiamato perché contiene un condensatore di capacità variabile, formato da due armature,
una mobile e una fissa. Le due lamine che compongono la capsula vengono sollecitate dalle
variazioni di pressione che un suono provoca nel mezzo di propagazione (aria) e tale
sollecitazione provoca una variazione di capacità che si traduce in un segnale elettrico. La lastra
fissa è costituita da una griglia metallica, mentre quella mobile è la membrana del microfono.
La differenza di potenziale generata dallo spostamento delle armature si ricava dalla definizione di
capacità ed è uguale a:
Q
ΔV = Δd
ϵA

Il segnale, attraversando la catena di misura, viene amplificato, convertito in digitale e registrato.

FONOMETRO
Il fonometro è un misuratore del livello sonoro equivalente.
La pressione sonora viene tradotta in un segnale elettrico, che a sua volta viene pesato in base
alle curve di ponderazione. Esso è quindi uno strumento elettronico che reagisce al suono in
maniera simile all’orecchio umano.
Integrale nel tempo del quadrato della pressione diviso la pressione sonora emessa, in tal modo
leviamo la dipendenza implicita dal tempo (ad esempio in una strada non abbiamo sempre lo
stesso rumore). È il parametro utilizzato per fornire i limiti sonori da rispettare.

Misure Meccaniche Matteo B. 93


CONTROLLI NON DISTRUTTIVI

PREMESSA
In questa trattazione si faranno le seguenti ipotesi sul materiale:
1) Continuo
2) Omogeneo
3) Isotropo
4) Lineare
5) Elastico

INTEGRITÀ STRUTTURALE
I materiali, nel tempo, normalmente degradano la loro integrità strutturale, ossia la capacità di
assolvere alla funzione prevista (strutturale + funzionale), nel modo e nelle condizioni stabilite
durante il progetto.

Inoltre, un materiale non è mai perfettamente omogeneo anche al momento di inizio utilizzo;
durante la fabbricazione, infatti, si possono generare dei difetti a causa dei processi di lavorazione.

I controlli non distruttivi (cnd) hanno lo scopo di individuare tali difetti presenti all’interno di una
struttura.
I CnD non sono una semplice misura, ma un processo diagnostico che mira alla valutazione
dell’integrità strutturale.

A seconda del tipo di approccio nella progettazione si può tenere o non tenere conto dei difetti
presenti.

Nel caso della progettazione a vita infinita, ad esempio essi non vengono presi in considerazione
così come per l’approccio safe-life, ossia a vita finita.
Tuttavia, esistono altri approcci che consistono nell’accettazione della presenza di difetti e nella
valutazione dell’influenza sull’integrità strutturale, come ad esempio l’approccio fail-safe o
l’approccio damage tolerant, basato sui parametri della meccanica della frattura.
Questi due metodi, permettono di valutare se in futuro sarà opportuno sostituire o riparare il
componente.

Per rilevare la presenza dei difetti e valutarne l’entità si utilizzano, appunto, i Controlli non
Distruttivi.
Ogni tecnica di controllo è caratterizzata da una minima dimensione del difetto rilevabile.

DIFETTI
Durante le condizioni di esercizio, come abbiamo detto, si ha un progressivo degrado dei materiali,
specialmente a causa di carichi affaticanti. Il degrado si manifesta attraverso un difetto localizzato.
Esso è irreversibile e, se tende a crescere con l’esercizio, allora può essere usato come parametro
di controllo per stabilire il livello di danneggiamento. 

Stabilito un massimo livello di danneggiamento accettabile, si confrontano i difetti con tale
standard.

CLASSIFICAZIONE DEI DIFETTI


- Difetti di dimensioni non rilevabili: sono difetti insignificanti, che non possono essere individuati;
- Difetti di dimensioni non registrabili: sono difetti individuabili ma non registrabili a causa delle
piccole dimensioni;
- Difetti di dimensioni registrabili;
- Difetti di dimensione limite accettabile
Misure Meccaniche Matteo B. 94
- Difetti non accettabili: essi dipendono dalla grandezza e dalla posizione, infatti alcuni di essi,
seppur superiori in dimensioni al limite stabilito, possono essere accettati se in zone poco
sollecitate.


I difetti possono essere classificati anche:
- In base all’origine: fabbricazione/esercizio;
- In base alla forma;
- In base al tipo: (cricca, delaminazione, taglio ecc.);
- In base alla posizione: nel materiale di base o di apporto, superficiale, sub-superficiale, interno.
- In base al livello: cioè alla dimensione.

PROVE NON DISTRUTTIVE


Si definiscono PND l’insieme delle procedure e delle tecniche volte alla valutazione della
difettosità/integrità di materiali o di manufatti senza alterarne o distruggerne lo stato.
Si oppongono alle prove distruttive o semi-distruttive (trazione, prove di durezza)

Tali prove vengono eseguite allo scopo di rilevare la presenza di eventuali difetti (rilevazione) e di
identificarne la tipologia (caratterizzazione).

VALUTAZIONE VITA RESIDUA


In questo grafico si riporta
sull’asse delle ascisse il tempo e
sull’asse delle ordinate la
dimensione del difetto, in modo
da mostrare la propagazione e lo
sviluppo temporale dello stato di
degrado. 

Si suppone che inizialmente il
difetto abbia dimensioni
approssimativamente nulle. Esso
viene individuato e preso in
considerazione solo quando la
sua dimensione supera la soglia
di rilevazione.
Dopo la rilevazione viene
monitorato, mentre si ingrandisce
fino alla soglia critica. Tale
intervallo di tempo è detto
“intervallo di ispezione”.
È ovviamente opportuno evitare di superare
la soglia critica, per evitare che il difetto
provochi la rottura del componente.

VALUTAZIONE DELLA VITA RESIDUA:


CURVE POD
Le curve POD (Probability Of Detection)
sono delle curve che mettono in relazione la
probabilità di rilevazione del difetto in base
alla sua dimensione. Esistono varie curve in
base alla tecnica di rilevazione adottata.
Quella a fianco è quella relativa all’ispezione
Misure Meccaniche Matteo B. 95
visiva. 

Osserviamo che, partendo dallo 0% la probabilità aumenta con la dimensione del difetto, ma non si
ha mai la certezza di trovare il difetto. Nel primo tratto, fino a che non si supera la soglia di
rilevazione la probabilità si mantiene praticamente nulla.
Se il controllo è ad ultrasuoni possiamo distinguere tra manuale o automatico (più efficace).

L’ispezione può essere effettuata o


dall’estremità lontana o dall’estremità vicina.
In questo grafico si vede anche la POD
relativa alla magnetoscopia, che è la tecnica
migliore ma non può essere sempre eseguita.

Come abbiamo detto, quando si effettua un


controllo, non si ha la certezza di individuare il
difetto, perciò per aumentare le probabilità di
rilevazione è opportuno effettuarne molteplici. 

Eseguendo n controlli la probabilità cumulativa
di trovare il difetto si può ottenere facendo
riferimento alla probability of non detection,
complementare a 1 della POD.

n


CPD = 1 − PONDi probabilità
i=1
cumulativa di rilevazione.

TECNICHE
Metodo radiografico: 

È un controllo attraverso raggi x o raggi gamma. Per avere informazioni sulla profondità del difetto
con questo metodo sono necessarie almeno due lastre.


Metodo ultrasonoro:

È una tecnica che fa impiego di onde acustiche, come una sorta di ecografia. Vengono mandate
onde ultrasonore attraverso il materiale e se ne interpreta l’eco.

Metodo magnetoscopico:

È una tecnica basata sull’attrazione di particelle ferromagnetiche e disperse in liquido da un campo
magnetico. Il pezzo viene inserito in un campo magnetico e cosparso di un fluido magnetico. Le
cricche influenzano il campo magnetico e di conseguenza la disposizione le particelle del fluido (o
della polvere) disposto in superficie. Tale metodo è molto efficace per la rilevazione dei difetti
superficiali.

Metodo dei liquidi penetranti:



Si basa sull’esaltazione della visibilità dei difetti superficiali mediante l’utilizzo di liquidi capaci di
entrare in fessure molto strette. Si utilizza poi uno sfondo rilevatore.

Metodo dell’emissione acustica: 



Tecnica basata sulla rilevazione attraverso microfoni molto sensibili del rumore causato dalla
propagazione delle cricche.

Misure Meccaniche Matteo B. 96


CONTROLLI NON DISTRUTTIVI CON ULTRASUONI

L’ispezione con ultrasuoni si basa sull’analisi delle caratteristiche di propagazione di un’onda
meccanica ad alta frequenza (20 kHz - 1 GHz) attraverso il materiale.
Tale onda può essere modificata in ampiezza, frequenza ecc; se siamo in grado di interpretare tali
modifiche, è possibile identificarne le cause e dunque capire se nel componente analizzato sono
presenti difetti.

L’apparecchiatura è costituita da:


- Una centralina con display per la lettura dei dati;
- Un oscilloscopio per la rilevazione delle onde
- Due trasduttori di pressione, uno emittente e uno ricevente.

In questo disegno vengono schematizzati i due casi possibili.


Nel caso a) il pezzo è privo di difetti e, conseguentemente, il segnale torna identico al ricevitore, si
vede cioè solo l’eco di fondo pezzo. Nel caso b), invece, il materiale ha un difetto, perciò si ha sia
l’eco di fondo pezzo, sia un eco precedente, dovuto appunto al difetto. Interpretando quest’ultimo
eco, si possono dedurre le caratteristiche della cricca che lo ha provocato.

L’efficacia del metodo dipende da:


– Tipo, orientazione e dimensione della discontinuità
– Componente ispezionato: poiché difficile analizzare echi vicini al fondo del materiale
– Tecnica e procedura utilizzata
– Esperienza dell’ispettore: Ci sono vari livelli di certificazione di esperienza.

PRINCIPIO FISICO

Misure Meccaniche Matteo B. 97


Quando un materiale viene sollecitato in un punto, tale sollecitazione (e deformazione) si propaga
in generale in tutte le direzioni, modificando il reticolo cristallino. Nasce cioè (in seguito all’impulso)
un’onda elastica, che attraversa il materiale, il quale si comporta da filtro, modificando il segnale.
Tale onda può poi essere acquisita in uscita ed analizzata, confrontandola con quella di partenza.

Le onde possono vibrare in tre modi differenti:


- Onde longitudinali: 

Sono onde in cui l’oscillazione avviene in direzione parallela alla direzione di propagazione:
nascono quindi zone di compressione
e rarefazione di particelle lungo la
direzione di propagazione. 

Tali onde sono in grado di propagarsi
sia nei solidi, sia nei liquidi, sia nei
gas. Esse si trasmettono infatti
tramite sforzi normali. Un esempio di
onda longitudinale è proprio l’onda
sonora.


- Onde trasversali: 

Sono onde in cui l’oscillazione avviene in
direzione perpendicolare alla direzione di
propagazione. 

Esse possono propagarsi esclusivamente
nei solidi: infatti, poiché queste onde si
trasmettono tramite sforzi di taglio, non
possono trasmettersi nei fluidi (a meno che non siano molto densi).


- Onde superficiali (onde di Rayleigh): 



Sono onde in cui le particelle descrivono
un’orbita ellittica in piani normali alla
superficie. Queste onde non si
propagano in linea retta ma sono in
grado di mantenersi sulla superficie e
dunque possono essere utilizzate per
rilevare difetti superficiali.

TECNICHE DI OSSERVAZIONE

Esistono due tecniche di osservazione:
1) In trasmissione : pulsatore e ricevitore sono
trasduttori differenti
2) Per riflessione: Il medesimo trasduttore funge
sia da trasmettitore che da ricevitore. 

Questo metodo si basa sulla capacità del
trasduttore sia di generare sollecitazione
meccanica (se sottoposto a variazione di
tensione), sia di generare tensione (se
sollecitato). Questo metodo è molto più
frequente rispetto a quello in trasmissione ed
ha il grande vantaggio di permettere di
Misure Meccaniche Matteo B. 98
stabilire la posizione di un difetto di grandi dimensioni, tramite l’eco. Con la tecnica in
trasmissione, invece, un difetto troppo grande impedirebbe all’ultrasuono di passare e dunque
non si registrerebbe nessun segnale in uscita, con la conseguenza di sapere la presenza del
difetto ma di non poterne conoscere la posizione.

MISURE DI SPESSORE
Si definisce “tempo di volo” il tempo che impiega l’onda ultrasonora per compiere il percorso
prestabilito.
Nota la velocità di propagazione dell’onda, che dipende dal mezzo in cui si propaga e quindi dal
materiale, è possibile conoscere lo spessore di un componente, misurando proprio il tempo di volo.
s = v * tv ;
Questa misura può essere utile per verificare ad esempio se un componente si è indebolito nel
tempo, a causa di fenomeni di corrosione o erosione. 

Si ricorre a questa tecnica quando è impossibile misurare direttamente lo spessore, ad esempio
nel caso di tubi che contengono fluidi petrolchimici, per la cui misura diretta bisognerebbe
interrompere il funzionamento di un impianto. Inoltre questa metodologia permette di ottenere
misure molto precise (al decimo di millimetro).

MISURE DI VELOCITÀ
Tramite gli ultrasuoni si possono anche effettuare delle misure di velocità. 

In questo caso lo spessore deve essere noto e la velocità si ottiene sempre mediante la
misurazione del tempo di volo.


L’espressione della velocità dipende dal tipo di propagazione dell’onda:


E
- Onde longitudinali in barra sottile: V = ρ

E (1 − ν)
Onde longitudinali in fascio largo: V =
- ρ (1 + ν)(1 − 2ν)

G
Onde trasversali: V =
- ρ

Come è evidente da queste formule, la velocità dipende dalle caratteristiche elastiche del
materiale. Per tale ragione, in alternativa alla prova di trazione, il modulo di Young può essere
misurato a partire da una misura di velocità tramite ultrasuoni.
Occorre però tenere conto che la velocità è anche influenzata da temperatura e stato di sforzo.
Esempio: velocità di propagazione nell’acciaio di un’onda longitudinale ≈ 6*10^3 m/s.

ATTRAVERSAMENTO DELL’INTERFACCIA FRA DUE


MATERIALI: INCIDENZA NORMALE
Quando un’onda attraversa l’interfaccia fra due materiali
parte dell’onda viene riflessa, mentre parte dell’onda
attraversa il materiale.

In base a come incide l’onda si possono distinguere due


casi:
1) Incidenza normale;

Misure Meccaniche Matteo B. 99


2) Incidenza Obliqua.

Incidenza normale:

L’opposizione che un materiale esercita in un punto al passaggio delle onde sonore è quantificata
dall’impedenza acustica. 

Essa si definisce come il rapporto tra la pressione e la velocità dell’onda:
p
z=
v

Si possono inoltre definire due coefficienti che forniscono un indicazione sul comportamento
dell’onda nell’attraversare l’interfaccia:

pr z −z
- Coefficiente di riflessione: R = = 2 1;
pi z2 + z1
pt 2z2
- Coefficiente di trasmissione T = =
pi z1 + z2
Dove il pedice i indica l’onda incidente, il pedice r indica l’onda riflessa e il pedice t l’onda
trasmessa.

Il primo caso mostra che cosa accade se tra il trasduttore e il componente vi è aria: tutta l’onda
viene riflessa dall’aria e non si ha attraversamento all’interno del componente da analizzare. Per
tale ragione è necessario che il trasduttore si in contatto diretto con l’oggetto e sia isolato
completamente dall’aria esterna. Per far sì che ciò avvenga si utilizza dei gel, della glicerina o
dell’olio (come per le ecografie).
Un altro metodo è quello per immersione, ossia immergendo il trasduttore in un liquido. Questa
tecnica permette anche di fare le ispezioni mentre il componente è in movimento, evitando l’usura
della sonda. Infatti se la sonda venisse mantenuta in contatto diretto con il componente, senza
l’interposizione di liquido, il moto relativo causerebbe attrito e dunque usura.

Incidenza obliqua:

In caso di incidenza obliqua si
verifica il fenomeno della rifrazione.
Parte dell’onda viene riflessa con
un angolo uguale a quello di
incidenza e parte dell’onda viene
trasmessa con un angolo detto
appunto angolo di rifrazione.

Le relazioni tra gli angoli sono
regolati dalla legge di Snell, che

Misure Meccaniche Matteo B. 100


mette in relazione velocità e angoli:
sen(αLi ) sen(αLr ) sen(αTr ) sen(βLR ) sen(βTR )
= = = = (fare riferimento alla figura)
v1L v1L v1T v2L v2T

Il pedice L indica le onde longitudinali, il pedice T indica le onde trasverali.


Accade che quando un’onda longitudinale attraversa un’interfaccia, si origina anche un’onda
trasversale.

Questo fenomeno può essere sfruttato per generare dei tipi particolari tipi di onde: le onde
criticamente rifratte.
Per capire questa tipologia di onde, occorre definire gli angoli critici. 


Si definisce primo angolo critico l’angolo di incidenza per cui si genera un’onda longitudinale che
corre parallela alla superficie (ossia l’angolo di rifrazione dell’onda longitudinale è retto). In
corrispondenza di tale angolo nel secondo mezzo rimane esclusivamente un’onda trasversale.


Si definisce secondo angolo critico l’angolo di incidenza per cui si genera un’onda trasversale che
corre parallela alla superficie (ossia l’angolo di rifrazione trasversale è retto).
Superato tale angolo, all’interno del secondo mezzo non si ha più propagazione di onde.

I controlli non distruttivi devono avvenire tra primo e secondo angolo critico, in modo da eliminare
le onde longitudinali e avere nel materiale esclusivamente onde trasversali.

PRINCIPI DEL CONTROLLO



Il fascio immesso nel materiale si propaga in linea retta, a velocità
costante, sino al più vicino riflettore. In prossimità del riflettore, parte
del fascio viene trasmessa e parte del fascio viene riflessa. La quota
parte riflessa è quella in grado di fornire indicazioni sulle
caratteristiche del riflettore. Il tempo di volo permette di determinare
la distanza del riflettore nota la velocità di propagazione dell’onda
ultrasonora.
Il fondo pezzo costituisce sempre un riflettore, perciò, in assenza di
difetti si ottiene sempre l’eco di fondo. 

In presenza di difetti parte dell’onda viene riflessa prima del fondo,
perciò si registrera un eco associato al difetto e un eco associato al
fondo pezzo, di intensità minore di quella iniziale.

Misure Meccaniche Matteo B. 101


Per distinguere l’eco di fondo da quello del difetto è sufficiente conoscere la geometria del pezzo
poiché, nota la velocità, è possibile conoscere il tempo di volo e dunque il momento in cui si deve
avere l’eco di fondo pezzo.
Se non si visualizza l’eco di fondo pezzo significa che il difetto è talmente grande da riflettere
completamente l’ultrasuono, che dunque non giunge sul fondo.

Il materiale, anche se non ci sono difetti grossolani, si comporta come un filtro che modifica
sempre il segnale. A causa delle imperfezioni intrinseche in un componente, l’ampiezza dell’onda
ultrasonora necessariamente si attenua.

Le cause associate all’attenuazione sono:
- Spreading: il fascio ha una leggera divergenza, dunque l’unità di energia per unità di volume
diminuisce durante la propagazione.
- Assorbimento: le particelle assorbono parte dell’energia che viene convertita in calore.
- Scattering: il grano cristallino devia il segnale in varie direzioni, impedendogli di tornare
esattamente alla stessa posizione di partenza.

La lunghezza d’onda (e quindi la frequenza) influisce sulla sensibilità e sulla risoluzione. 



Un’ onda con una λ piccola permette di rilevare piccoli difetti, ma inevitabilmente è associata ad un
alto scattering. Un’ onda con una λ più grande tende ad essere trasparente rispetto alle
discontinuità.
Si può scegliere la lunghezza d’onda del fascio scegliendo la frequenza del trasduttore, in base
alle dimensioni dei difetti che vogliamo individuare.

Si ricorda che la frequenza è indirettamente proporzionale alla lunghezza d’onda ed è legata alla
lunghezza d’onda tramite la formula:
v
λ= 

f

APPLICAZIONI DEI CONTROLLI MEDIANTE ULTRASUONI
- Difettoscopia;
- Misure di spessore (in presenza di corrosione, erosione … );
- Verifiche di giunti incollati o brasati;
- Verifica della frazione di vuoto in plastici o compositi;
- Misura della profondità degli strati trattati superficialmente negli acciai;
- Stima della dimensione del grano cristallino;
Ecc.


VANTAGGI
• Possibilità di rilevare difetti superficiali ed interni;
• Possibilità di controllare spessori notevoli;
• Possibilità di eseguire controlli con accessibilità da un solo lato (esempio: i raggi x hanno
bisogno di una lastra dietro per riprendere il segnale);
• Capacità di dimensionare e stabilire la posizione della discontinuità;
• Ridotta preparazione dei pezzi;
• Risultati in tempo reale;
• Rappresentazioni in 2d e 3d;
• Applicazioni spessimetriche;

SVANTAGGI
• Accessibilità diretta della superficie.

Misure Meccaniche Matteo B. 102


• Addestramento ed esperienza del personale.
• Impiego di mezzi di accoppiamento.
• Materiali rugosi, di forma irregolare, molto sottili o disomogenei possono essere difficili da
ispezionare
• Difficoltà nel controllo di materiali a grano grosso o struttura austenitica.
• Importanza nella giacitura del difetto.
• Complessità delle tarature preliminari.

GENERAZIONE DEGLI ULTRASUONI: TRASDUTTORI ULTRASONORI


In genere, l’apparecchio usato per generare
l’impulso ultrasonoro è un trasduttore piezoelettrico,
ossia un dischetto che è in grado sia di caricarsi
elettricamente in seguito all’applicazione di una
forza, sia di applicare una sollecitazione meccanica
se alimentato con una tensione variabile.

Il cristallo piezoelettrico vibra ad una frequenza


precisa, detta “frequenza propria del trasduttore”,
che dipende fondamentalmente dalla geometria del
trasduttore stesso.

Il trasduttore viene messo il più vicino possibile al


materiale ma deve essere sempre presente uno strato
protettivo, per non rovinare il cristallo.

Inoltre come già detto, un gel o un altro fluido deve
essere interposto tra trasduttore e componente, in
modo da eliminare l’aria, che rifletterebbe tutta l’onda,
impedendone la penetrazione.

Come si vede l’oscillazione non è continua ma è


smorzata: l’effetto di vibrazione è effettuato da un
materiale detto “backing”.

L’impulso viene generato ad una frequenza qualsiasi,


il cristallo piezoelettrico si mette a vibrare alla sua
frequenza propria, indipendentemente dall’impulso iniziale. Spesso l’impulsatore, ossia lo
strumento che genera l’impulso, funge anche da ricevitore.

ANDAMENTO DELLA PRESSIONE SONORA LUNGO L’ASSE DEL TRASDUTTORE

Misure Meccaniche Matteo B. 103


Analizzando l’andamento della pressione sonora lungo l’asse del trasduttore, è possibile
distinguere fra due zone:
- Zona di Fresnel o campo prossimo;
- Zona di Fraunhefer o campo lontano.

All’interno del campo prossimo si hanno forti oscillazioni di pressione e l’onda si propaga
rimanendo all’interno di un cilindro, mantenendo cioè la stessa densità di energia
(energia\volume). All’interno di tale zona, a causa delle oscillazioni, risulta difficile valutare
accuratamente eventuali difetti in prossimità delle superfici dei pezzi da controllare.
Nel campo lontano invece la pressione si stabilizza, variando in maniera regolare e la
propagazione avviene all’interno di un cono. Conseguentemente la densità di energia diminuisce,
poiché la stessa onda si diffonde in un volume maggiore.
Detta N la dimensione del campo prossimo e D il diametro del trasduttore, possiamo scrivere:
D2
N≈

Inoltre l’angolo di apertura del cono è direttamente proporzionale alla lunghezza d’onda e
inversamente proporzionale al diametro del trasduttore:
λ
sen(α) =
D

Misure Meccaniche Matteo B. 104


Possiamo inoltre definire la zona morta come l’intervallo di tempo in cui la sonda non è in grado di
ricevere un segnale di ritorno, cioè di registrare l’eco. Ciò è dovuto alla vibrazione continua del
trasduttore dopo l’impulso di eccitazione. 

Pertanto è necessario accertarsi che il difetto sia al di fuori della zona morta, altrimenti esso non è
individuabile.
Le linee di ritardo sono dei ritardi tra la pulsazione del trasduttore e l’onda in uscita, generati
appositamente per far sì che la zona morta non interferisca con la misura.

FASI DEL DIMENSIONAMENTO DEI DIFETTI


1. Calibrazione
2. Rilevazione della discontinuità
3. Localizzazione delle discontinuità
4. Valutazione dell’entità delle discontinuità

1) CALIBRAZIONE

La calibrazione si divide in:

- Calibrazione degli strumenti e
delle sonde;

- Taratura dell’asse dei tempi;

- Verifica della sensibilità/
risoluzione di riferimento.


Per tarare le sonde ad incidenza
normale è sufficiente calibrare
l’offset dello zero e la velocità di
propagazione dell’impulso ultrasonoro. Il primo è il tempo che l’ultrasuono impiega ad uscire dalla
sonda, attraversando tutte le protezioni presenti tra cristallo e componente.

Per conoscere la velocità di propagazione (che dipende da materiale, temperatura e stato di
sollecitazione) si usano solitamente dei blocchi campione, anche se la cosa migliore sarebbe
effettuarla direttamente sul componente da misurare (spesso non possibile).

Bisogna anche tenere conto che il tempo di arrivo del primo eco non è preciso, perché è
influenzato dall’offset di zero. È dunque più conveniente confrontare due echi successivi (ad
esempio primo e secondo o secondo e terzo) piuttosto che impulso iniziale
e primo eco. 


Per le sonde ad incidenza obliqua è necessario anche verificare: 

- “Bip”: il punto effettivo da dove esce il segnale.

- Angolo rifratto effettivo: ossia l’angolo di inclinazione del segnale.

Questi due parametri sono necessari per calcolare dove arriverà il
segnale di uscita e per sapere dove arriveranno i successivi echi.


I concetti di sensibilità e risoluzione per le sonde da controlli ad
ultrasuoni differiscono da quelli degli strumenti di misura. 

La sensibilità è data dalla dimensione del difetto più piccolo che riesco a rilevare.

La risoluzione è correlata alla capacità di distinguere tra due difetti molto vicini fra loro.

Durante la calibrazione delle sonde si effettuano verifiche di queste due caratteristiche, attraverso
dei campioni con difetti noti.


2) RILEVAZIONE DELLE DISCONTINUITÀ: PICCOLI E GRANDI DIFETTI



Il dimensionamento dei difetti si basa sull’ampiezza degli echi, tanto maggiore è il difetto, quanto
minore sarà l’ampiezza dell’eco, poiché tanto maggiore è il difetto, quanto maggiore sarà la
Misure Meccaniche Matteo B. 105
porzione di onda assorbita da esso.

I difetti possono essere divisi in difetti “piccoli” (o piccoli riflettori) e difetti “grandi” (o grandi
riflettori): i primi sono difetti più piccoli del fascio ultrasonoro, mentre i secondi sono più grandi del
fascio ultrasonoro.

Come li distinguo? Se non si riceve l’eco di fondo pezzo significa che tutta l’energia è stata riflessa
dal difetto. Questo caso equivale quindi alla rilevazione di un difetto grande.

Viceversa se vedo l’eco di fondo pezzo, significa che parte del fascio ultrasonoro non ha incontrato
il difetto ed è stata riflessa.


Comportamento del “grande riflettore”:

π 1
Hr = H0 

2A
Dove Hr è il valore dell’ampiezza dell’eco, H0 è il valore iniziale dell’ampiezza (dopo
a
l’amplificazione), A = , rapporto tra distanza del riflettore e lunghezza del campo prossimo.
N
Come si vede l’ampiezza dell’eco non è influenzata dalla dimensione del difetto (poiché l’ampiezza
massima è quella del fascio ultrasonoro di partenza) ma solo dalla lunghezza relativa del campo
prossimo.


Comportamento del piccolo riflettore:

G2
Hf ∝ π 2 ;

A2
Df
Dove Hf è l’ampiezza dell’eco, G è rapporto tra dimensione del riflettore e della sonda.

Ds
In questo caso si tiene conto anche della grandezza relativa di sonda e difetto.

3) LOCALIZZAZIONE DELLE DISCONTINUITÀ 



Come spiegato in precedenza, le discontinuità vengono localizzate in base al tempo di volo e alla
velocità della propagazione delle onde. 

d = vtv distanza difetto.

Tuttavia si possono utilizzare anche altri metodi per la localizzazione. Uno di questi è spiegato in
seguito.


4) VALUTAZIONE DELL’ENTITÀ DELLE DISCONTINUITÀ

Come per la rilevazione, anche in questo caso occorre distinguere tra piccoli e grandi riflettori,
poiché il dimensionamento avviene in maniera diversa.


Piccoli riflettori - Curve DAC:

Un metodo per dimensionare i difetti piccoli è quello delle curve
DAC (curve distanza-ampiezza).

Questo approccio si basa sul confrontare i difetti con gli echi forniti
da una serie di riflettori artificiali. In fase di taratura si effettuano
infatti misurazioni su blocchetti campione di dimensioni note. Tali
blocchetti hanno un foro a fondo piano all’interno, che funge da
riflettore (realizzato per fresatura). Preso un set di blocchetti con
fori (che fanno da riflettori) delle stesse dimensioni, ma di altezza
diversa, in modo da allontanare il difetto dalla superficie su cui si
posizionerà il trasduttore, si effettuano una serie di misurazioni,
registrando l’ampiezza dell’eco di ogni blocchetto. Si riportano poi
Misure Meccaniche Matteo B. 106
tali valori su un diagramma con la distanza dalla
superficie sull’asse delle ascisse e l’ampiezza
dell’eco sulle asse delle ordinate. In questo modo
si ottengono una serie di punti che, se congiunti
costituiscono una curva DAC. 

Ripetendo il procedimento con vari set di
blocchetti con dimensioni differenti del foro, si
ottiene una famiglia di curve DAC.

Tali curve rappresentano delle “soglie”: è molto
probabile, infatti, che durante il controllo su un
componente, un eventuale difetto non si posizioni
esattamente su una curva DAC, ma in una
porzione del piano individuato fra due curve e dunque sarà di dimensioni comprese fra quelle
relative alle due curve.


Un altro aspetto di cui bisogna tenere conto è il fatto che in realtà il difetto non è piano e
perpendicolare all’impulso come quello dei blocchetti. Esso ha una forma variabile e
un’inclinazione che fanno sì che un difetto si comporti come un difetto ideale di dimensioni più
piccole. 

Per tale ragione si utilizzano spesso delle curve DAC in cui i valori ottenuti dai blocchetti standard
sono ridotti del 50% o 5%.


Grandi riflettori - Metodo 6dB drop:



I grandi riflettori possono essere dimensionati con il metodo 6 dB drop.
Questo metodo equivale ad un dimensionamento per punti; si inviano cioè più
segnali per definire il bordo del difetto, osservando ogni volta se l’eco di fondo
pezzo arriva o no. 

Quando l’eco registrato è di metà ampiezza rispetto all’eco di fondo pezzo
significa che si sta inviando un impulso sul bordo del difetto. 

Tale metodo si chiama 6dB drop, poiché una abbassamento di 6dB equivale
ad un dimezzamento.

Piccoli riflettori - Curve AVG:

I difetti piccoli possono essere
dimensionati con le curve AVG,
simili alle curve DAC.

Sull’asse delle ascisse si ha la
distanza relativa, mentre sulle
ordinate si ha l’ampiezza in dB. 

Ogni curva rappresenta un
determinato G rapporto tra la
dimensione della sonda e quella
del difetto. La curva di fondo pezzo
è rappresentata come infinito e
costituisce il riferimento.
In altre parole, questo diagramma
stabilisce il rapporto tra le
ampiezze dei segnali di difetti di
diverso diametro al variare della
loro distanza dal trasduttore.

Misure Meccaniche Matteo B. 107



Come si utilizzano queste curve dal punto di vista pratico?
1) Si misura l’ampiezza dell’eco di fondo pezzo del nostro
componente che costituisce il riferimento (la posizione
è nota - ar).
2) Individuato un difetto se ne misura l’ampiezza dell’eco
e se ne individua la posizione aZ.
3) Si calcolano i dB da sottrarre al valore dell’eco di fondo pezzo per avere l’ampiezza del difetto.
4) Si va ora sul diagramma con le curve AVG, dalla distanza ar, sull’asse delle ascisse si
individua l’eco di fondo pezzo (linea rossa a partire da az), e si sottrae a tale valore i dB
calcolati al punto 3) (linea verde).
5) Si individua P, intersezione tra tale e valore e la distanza aZ: cioè si traccia una linea
orizzontale (linea blu) che indica i dB relativi all’ampiezza del difetto e una verticale dall’asse
delle ascisse in posi aZ.
6) Si vede quale curva passa per il punto P e si ha il diametro equivalente di ampiezza del
materiale


Osservazione: 

esistono sia curve teoriche che sperimentali. Le curve teoriche possono essere usate per tutte le
sonde e tutti i componenti, mentre quelle sperimentali sono relative ad un materiale ed una sonda
specifica e sono ovviamente più accurate.

Misure Meccaniche Matteo B. 108


COLLAUDI

INTRODUZIONE
Il collaudo, in generale, è una verifica, di consistenza e prestazionale di un impianto o di un edificio
in cui si verificano dei requisiti e delle specifiche che devono essere rispettate.
In molti ambiti il collaudo è obbligatorio per legge. Le responsabilità, in caso di danni, sono prima di
tutto del collaudatore, poi del direttore dei lavori e infine del progettista.

Per diventare collaudatori è necessaria esperienza, generalmente misurata in anni di lavoro in un
determinato ambito. Dopo 8/10 anni di lavoro in un settore, ci si può iscrivere all’albo e diventare
collaudatori.

La nomina del collaudatore può avvenire o al termine del progetto o in corso d’opera, specialmente
se vanno effettuati controlli impossibili da fare a valle della realizzazione (es: verifica dei materiali) .
Una volta che il collaudatore viene nominato dalla committenza, inizia le verifiche. Il compito del
collaudatore è tutelare il committente nei rapporti con i costruttori e garantire che i lavori
rispecchino il progetto. 

Può anche accadere che il collaudatore venga interpellato in corso di contratto, cioè durante la
decisione delle specifiche dell’impianto; in questo caso particolare il collaudatore interviene a valle
del progetto.

La specifica di collaudo è una sorta di accordo fra le parti, riguardo a determinate specifiche; essa
è quindi una lista di operazioni da fare, che, se superate, garantiscono il superamento di collaudo.
All’interno di questa lista si trovano ad esempio le descrizioni dei controlli, degli strumenti e delle
procedure.

L’ASME è una società molto importante nel settore delle normative, si avvale dell’aiuto di ingegneri
provenienti da tutto il mondo.


NORMA PER IL COLLAUDO DI UNA CALDAIA A RECUPERO (HRSG)



GAS TURBINE HEAT RECOVERY STEAM GENERATOR

Valutazione dell’efficienza:

Da norma, vi sono tre metodi per determinare l’efficienza di una caldaia a recupero:

- Metodo input-output:

l’efficienza è definita come rapporto tra il calore in uscita (ossia il calore assorbito dai fluidi di
lavoro) e il calore in entrata.
- Metodo thermal loss:

Il metodo thermal loss definisce l’efficienza come il 100% meno un quoziente espresso in
percentuale. Il quoziente ha al numeratore tutte le perdite di calore e al denominatore il calore in
entrata.
- Metodo effectiveness

Questo metodo definisce le performance dell’HRSG come il rapporto tra il salto di entalpia dei
gas attraverso l’HRSG sul metodo massimo teoricamente possibile. Tale rapporto viene poi
espresso in percentuale. Per usare questo metodo occorre conoscere in più punti le
temperature dei gas e del vapore.

Misure Meccaniche Matteo B. 109


ESERCIZI

Misure Meccaniche Matteo B. 110


Misure Meccaniche Matteo B. 111
Misure Meccaniche Matteo B. 112
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