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Ambrogio, Teodosio, Ario e gli Eunuchi di Bisanzio

Conferenza di Gianni Geraci tenuta al Guado di Milano il 2


Febbraio 2008. Fonte: Mark Brustman (Faris Malik).
www.borneunuchs.org

L’editto della Minerva


Il 14 maggio 390, nell’atrio del tempio di Minerva, a Roma, viene
esposto un decreto dell’imperatore Teodosio il grande, in cui si
legge che: «Tutti quelli che hanno l'abitudine vergognosa di
condannare il corpo maschile a sopportare un sesso alieno nel
modo delle femmine, dato che appaiono di non aver niente di
diverso dalle femmine, espieranno un tale delitto nelle fiamme
vendicatrici davanti al popolo» 1. E’ la prima volta che, nella
condanna degli atti omosessuali si fa riferimento al corpo
maschile e non alla natura di maschio delle persone passibili di
condanna.
La differenza potrebbe sembrare insignificante. In realtà è
fondamentale, perché segna l’inizio della persecuzione di quanti
nell’antichità erano considerati omosessuali. Prima di
quell’editto, tutte le leggi che condannavano gli atti omosessuali
prendevano in considerazione solo ed esclusivamente quelle
situazioni in cui un maschio, ovvero un uomo attratto
fisicamente dalle donne, assumeva un ruolo passivo d
urante un rapporto sessuale. Basti pensare al testo del Levitico
che recita: «Se un maschio ha rapporti con un maschio come
con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio;
dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di
loro2». Nel mondo antico, la prova della mascolinità era data
dalla potenza sessuale con cui un uomo possedeva una donna,
erano quindi considerati propriamente maschi solo gli uomini
che erano attratti dalle donne3, quelli che noi indichiamo come

1
Codex Theodosianus, 9.7.6
2
Lev 18,22 e Lev 20,13
3
Faris Malik, Origini storiche della condanna ecclesiastica dell’omosessualità,
Testo della conferenza tenuta a Cardiff il 27 luglio 1999, citata dal sito
http://www.well.com/user/aquarius/rome.htm
maschi eterosessuali. Gli uomini che non erano attratti dalle
donne, e fra questi ci sono anche quelli che noi indichiamo
come omosessuali, non venivano considerati dei veri maschi in
quanto non portati (per motivi fisici, ma anche per motivi legati
al temperamento) all’unico atto che poteva attestare la
mascolinità di un uomo: la capacità di penetrare una donna e di
fecondarla. E non a caso non venivano mai indicati come
maschi. Parlando di loro i testi antichi usano altre espressioni,
quali: non maschi, semivirili, androgini, foeminae 4 e,
soprattutto, eunuchi.

Ma chi erano gli eunuchi?


L’idea che esistessero, oltre ai maschi e ai castrati, degli
eunuchi naturali o eunuchi costituzionali, nell’antichità era
molto diffusa in tutto il bacino mediterraneo: Plinio, ad esempio,
quando parla degli eunuchi li classifica in un terzo sesso,
insieme ai castrati e agli ermafroditi da cui, in ogni caso, li
distingue; mel vangelo di Matteo, a un certo punto, Gesù dice:
«Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della
madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli
uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei
cieli»5 e, fino al IV secolo, tutti gli autori leggono il primo dei tre
riferimenti contenuti in questo brano, in relazione all’esistenza
di persone che non sono attratte dall’idea di avere rapporti
sessuali con una donna. Nel II secolo Basilide indicava quelli
che Mt 19,12 chiama eunuchi nati come persone che «dalla
nascita hanno una natura che li porta ad evitare le donne, e
quelli che naturalmente sono costituiti così fanno bene di non
sposarsi» 6 . Qualche decennio dopo Clemente d'Alessandria,
sostiene che gli eunuchi, non sono tanto incapaci di fare sesso
con una donna, ma piuttosto sono riluttanti di fronte a una
simile esperienza7.

4
Basti pensare al decreto di Costanzo II, ricordato in Codex Theodosianus
9.7.3, ed emanato nel 342, in cui condanna il delitto commesso: «Quando un uomo si
sposa con un maschio effeminat o (foemina) e ha poi, all’interno della coppia, un
ruolo passivo nei confronti del partner»
5
Mt 19,12
6
Clemente d'Alessandria, Stromateis, 3.1.1
7
Clemente d'Alessandria, Il Peidagogos, 3.4.26
Che gli eunuchi fossero qualche cosa di diverso dai castrati lo
dimostra anche il diritto romano che riconosce agli eunuchi
numerosi diritti che non erano invece riconosciuti a quanti
avevano un apparato genitale compromesso. Tra questi c’erano:
il diritto di fare testamento, il diritto di beneficiare in qualità di
eredi delle disposizioni testamentarie altrui, il diritto di legare
dei beni, il diritto di adottare dei figli e il diritto di sposarsi con
delle donne, segno, quest’ultimo, che erano comunque in grado,
sebbene riluttanti, di consumare l’atto sessuale che faceva di
una persona dotata di un corpo maschile, un maschio nel senso
pieno che, per i romani, aveva questa parola8. Nel suo Corpus
juris civilis, Giustiniano li definisce come uomini che, pur non
avendo difetti o menomazioni corporali, non erano portati, per la
loro natura, ad assumere un particolare orientamento mentale
che li spingesse a desiderare una donna9. Parlando di loro,
Giovenale, osserva che: «Quando un eunuco si sposa con una
donna è difficile non scrivere delle satire»10. Alla luce di questi
indizi si può quindi sostenere che, nel mondo antico, gli
eunuchi dalla nascita e i castrati non fossero la stessa cosa:
questi ultimi erano coloro che venivano resi eunuchi dagli
uomini, mentre i primi non erano altro che quelli che noi oggi
chiamiamo omosessuali.

Gli eunuchi e le dottrine di Ario


Dalle origini di Babilonia fino al tardo Impero romano questi
eunuchi avevano due ruoli principali nelle società antiche: come
preti nei templi pagani e come domestici nelle case abbienti e
nei palazzi reali. Erano quindi una categoria di persone
particolarmente vicina. sia al potere spirituale (che spesso
esercitavano in prima persona), che al potere secolare
(esercitato in quanto persone di fiducia dei potenti del loro
tempo). Da questa posizione di potere gli eunuchi che
gravitavano intorno alla corte di Costanzo, decisero di
appoggiare le dottrine predicate da Ario. Parlando di costoro,
Atanasio, il vescovo di Alessandria che, più di ogni altro, si

8
Codex Iustinianus 1.7.2.1, 1.7.40.1, 23.3.39.1, 28.2.6.
9
Codex Iustinianus 21.1.1.9 in combinazione con 21.1.5-6 e con 21.1.38.7
10
Giovenale 1.22
distinse nella lotta contro le dottrine ariane, dopo aver descritto,
nella sua Storia degli Ariani, la missione dell’eunuco Eusebio
(gran ciambellano di corte dell’imperatore Costanzo e ariano
convinto) che si era recato a Roma per spingere papa Liberio a
ricusare le conclusioni del Concilio di Nicea (che aveva
condannato Ario), osserva che che: «L'eresia ariana, che nega il
Figlio di Dio, riceve il suo appoggio dagli eunuchi, i quali, così
come i loro corpi sono infruttuosi, così le loro anime sono prive
dei semi della virtù, e non possono sopportare neanche il sentire
il nome figlio. Gli eunuchi di Costanzo non possono tollerare la
confessione del Pietro (Mt 16,16), anzi fuggono quando il Padre
rivela il Figlio, ed inveiscono follemente contro quelli che dicono
che il Figlio di Dio è il Suo figlio genuino, così affermando, come
eresia degli eunuchi, che non c'è nessun figliolo genuino e vero
dell’unico Dio»11. Di fatto Atanasio identifica negli omosessuali
del IV secolo i nemici più pericolosi della dottrina cattolica e,
con gli altri nemici delle dottrine ariane, inizia a perseguire
l’obiettivo di distruggere il grande potere che esercitavano
presso la corte imperiale a Costantinopoli. Uno degli strumenti
di questa lotta all’ultimo sangue che Anastasio e i suoi
sostenitori ingaggiano con gli eunuchi è quello di mettere in
dubbio la bontà dei loro comportamenti sessuali. Non si trattava
di un’impresa facile, perché tutta la giurisprudenza precedente
riconosceva agli eunuchi (cioè a quanti non erano attratti dalle
donne) il diritto/dovere di avere un ruolo passivo quando
avevano rapporti sessuali con i maschi. Lo stesso imperatore
Costanzo aveva nel suo harem, secondo il suo storico di corte,
un certo numero di eunuchi che, insieme alle mogli e alle
cortigiane, lo preservavano «da qualunque lascivia trasversale o
ingiusta»12.

Contro Ario, ovvero contro gli eunuchi


Gli strumenti a cui ricorrono i nemici di questi antichi
omosessuali sono due: da un lato iniziano a parlare degli
eunuchi come di maschi, dall’altro iniziano a identificarli con i
castrati. Nella prima metà del IV secolo, l’astrologo cristiano

11
Atanasio, Storia degli Ariani, 5.38
12
Sesto Aurelio Vittorio, Epitome dei Cesari, 42.19
Firmico Materno, ad esempio, scrive che gli eunuchi sono:
«Maschi senza seme che non possono accoppiarsi [coire], turpi,
infami, impuri, impudichi»13 utilizzando un termine (maschi,
per l’appunto) che mai era stato usato in precedenza. Qualche
anno dopo, il vescovo niceno Epifanio di Salamina, e equipara
gli eunuchi ai castrati quando afferma che: «gli eunuchi nati
sono incapaci di fare qualsiasi atto di sesso perchè mancano
degli organi creati da Dio per la generazione»14 e non ricevono il
merito né il compenso del cielo per la loro astinenza dal sesso,
perchè «hanno rinunciato non tanto perchè dovevano quanto
perchè non potevano esercitare gli atti sessuali» e perchè «non
vivono l’esperienza della tentazione». Quest’ultima osservazione
tornava utile per attaccare l’autorevolezza in campo religioso
degli eunuchi: non avendo meriti per la loro continenza non
potevano certo esser indicati come modelli da seguire. Si tratta
dello stesso argomento utilizzato da Gregorio di Nazianzio nella
seconda metà del IV secolo, quando afferma che gli eunuchi
naturali, non essendo dotati del desiderio di procreare (ovvero
del desiderio di avere dei rapporti sessuali con le donne), non
hanno alcun merito per la loro astinenza, perché questa
astinenza non è il risultato di una dura lotta interiore. Ma va
oltre nel lavoro di delegittimazione degli omosessuali invitandoli:
«a non prostituirsi per non disonorare il Cristo»15.

La sconfitta degli ariani.


Nel 364, con l’elezione di Valentinano I, la sede della corte
imperiale viene spostata a Milano e l’influenza degli eunuchi di
Costantinopoli diminuisce, mentre aumenta quella di alcuni
vescovi occidentali di grande spessore che, come Ilario, vescovo
di Poitier, o Damaso, vescovo di Roma, appoggiavano i progetti
di Atanasio. Il ritorno, nel 374, della stessa sede metropolitana
di Milano, che Costanzo II aveva affidato all’ariano Assenzio,
nelle mani di Ambrogio, segna l’inizio della definitiva sconfitta
degli Ariani in tutti i territori dell’impero: se infatti nel 378, si
iniziano a sostituire i vescovi ariani con nuovi vescovi di provata

13
Firmico Materno, Mathese, 3.9.1
14
Epifanio di Salamina, Paniere delle Eresie, 4.3.2-5
15
Gregorio di Nazianzo, Orazione 37, 16-17
fede atanasiana, il 27 febbraio del 380, grazie all’influenza
esercitata da Teodosio il Grande, che era stato creato Augusto e
associato nel governo dell’impero dal giovane imperatore
Graziano, viene emanato l’editto di Tessalonica, che impone
l’unificazione della Chiesa secondo la dottrina approvata dal
Concilio di Nicea: «Noi vogliamo che tutti i popoli governati dalla
clemenza nostra seguano la religione che il santo apostolo Pietro
rivelò ai Romani e che il pontefice Damaso e il Vescovo Pietro
d'Alessandria professano. Noi crediamo che il Padre, il Figliuolo
e lo Spirito Santo formino un sola divinità sotto un'eguale
maestà e una pia trinità. Pertanto ordiniamo che tutti quelli che
seguono questa fede si chiamino Cristiani cattolici, e, poiché
crediamo che gli altri siano dementi e insani, vogliamo che essi
subiscano l'onta dell'eresia e che i loro conciliaboli non abbiamo
più il nome di chiese. Oltre la condanna della divina giustizia,
essi riceveranno le severe pene che la nostra autorità, guidata
dalla celeste sapienza, vorrà infliggere loro». Nel novembre di
quello stesso anno, al suo rientro a Costantinopoli, Teodosio
depone il vescovo ariano Demofilo e lo sostituisce con Gregorio
di Nazianzio, che guidava la piccola comunità fedele alla
dottrina nicena. Si trattava, in sostanza, della vittoria definitiva
di Atanasio sugli ariani e la convocazione dei due concili di
Nicea e di Aquileia serviva solo per notificare ai vescovi
dell’impero il nuovo ordine che si è venuto a stabilire. Quale
occasione migliore per regolare finalmente i conti con gli
omosessuali che, dopo aver appoggiato le dottrine di Ario, si
ritrovavano definitivamente sconfitti?

La condanna dell’omosessualità
Nel 387 Teodosio il grande è ormai padrone di tutto l’impero. Il
giovane figlio di Graziano che, con il nome di Valentiniano II, era
stato associato nell’esercizio del potere imperiale, dopo la morte
della madre Giustina (che appoggiava gli ariani), esercitava, di
fatto, solo un potere nominale. E da padrone dell’impero
recepisce le istanze dei sostenitori di Atanasio che hanno ormai
deciso di farla finita con gli eunuchi che avevano sostenuto le
dottrine di Ario. E così, nel 389, viene tolta agli eunuchi una
delle prerogative che li distingueva dai castrati, quella di poter
fare testamento e di beneficiarne in qualità di eredi 16 . Si
trattava di un provvedimento che era stato adottato qualche
anno prima nei confronti dei seguaci delle dottrine ariane e non
è un caso che venisse esteso alla categoria che, forse più di ogni
altra, aveva cercato di favorire la loro diffusione. Ma il colpo
definitivo arriva nel 390, con l’editto della Minerva il cui testo è
costruito appositamente per non lasciare vie di scampo agli
omosessuali del tempo: «Tutti quelli che hanno l'abitudine
vergognosa di condannare il corpo maschile a sopportare un
sesso alieno nel modo delle femmine, dato che appaiono di non
aver niente di diverso dalle femmine, espieranno un tale delitto
nelle fiamme vendicatrici davanti al popolo» 17 . Il delitto
compiuto dai maschi che assumevano un ruolo passivo veniva
così esteso anche ai non maschi ponendo l’accento non tanto
sull’orientamento sessuale, ma sulla presenza di un corpo
maschile (il decreto di Teodosio parla espressamente di virile
corpus). L’universalità di questa legge viene ulteriormente
sottolineata dal termine omnes con cui inizia il testo del decreto.
Quelli che il diritto definiva eunuchi naturali e che non erano
mai stati condannati in precedenza, perché non erano
considerati dei maschi, avevano senz’altro dei corpi maschili e,
mentre il diritto romano precedente stabiliva che, negli eunuchi
naturali corporalis vitium non est, in questo decreto l’enfasi che
viene data agli atteggiamenti effeminati («appaiono di non aver
niente di diverso dalle femmine» recita il decreto di Teodosio)
serviva proprio per colpire tutti quegli omosessuali naturali non
maschili che non erano mai stati condannati dalle leggi
precedenti.

Le conseguenze culturali della condanna


Una volta stabilito il loro potere sulla legislazione religiosa
dell'impero, le autorità nicene non hanno più ripreso in
considerazione il problema della natura degli omosessuali
innati. D’altra parte, con la sconfitta delle eresie, ottenuta grazie
all’appoggio decisivo del potere imperiale, nessuno era più in
grado di opporsi alla dottrina stabilita dalla Chiesa. E così

16
Codex Theodosianus,16.5.17
17
Codex Theodosianus, 9.7.6
nessuno osava più contestare la nuova interpretazione di Mt
19.12 secondo cui Gesù voleva indicare con l’espressione
eunuchi dalla nascita quelle pochissime persone che hanno
difetti anatomici all’apparato genitale. Come nessuno osava più
protestare contro il fatto che la chiesa trovasse reo del peccato
di Sodomia un omosessuale che praticava la sessualità
intimamente connessa con la sua natura specifica. Al contrario,
la Chiesa ha continuato ad utilizzare la persecuzione degli
omosessuali (che non mancano mai) come strumento per
consolidare il suo potere. Quando Giustiniano ha emanato le
successive leggi contro l'omosessualità, nel 538 e 54418, parla
di corruzione dei maschi (e non di corruzione di persone dotate
di un corpo maschile), ma questo ritorno alla terminologia
antica è solo apparente, perché il termine maschio, dal IV al VI
secolo, aveva iniziato ad essere applicato anche alle persone
omosessuali, in conformità con quanto sostenevano gli autori
ecclesiastici che preferivano identificare la mascolinità con la
presenza di organi genitali maschili, piuttosto che con la
presenza di una libido che spingesse l’uomo ad avere rapporti
procreativi (ovvero rapporti eterosessuali). Si può quindi pensare
che le Nuove costituzioni 77 e 144 contro l’omosessualità si
applicassero a tutti coloro che avevano un corpo maschile. Per
rendere più chiaro il fatto che la condanna riguardava tutti i
maschi e non solo i maschi eterosessuali, Giustiniano,
nell’articolo 77 parla addirittura di blasfemia, tenendo conto del
fatto che probabilmente erano ancora attivi teologi eunuchi che
continuavano a insistere sull’umanità di Gesù e che arrivavano
a consideralo un eunuco (ovvero una persona che non aveva
una libido eterosessuale) come loro 19. È interessante notare
come, nell’articolo 141, si sostenesse che quelli che in passato
avevano avuto comportamenti colpevoli, non solo dovevano
astenersi da futuri rapporti omosessuali, ma, per non subire
condanne retroattive, dovevano confessare le loro colpe «al più

18
Nuove Costituzioni di Giustiniano 77 e 141. Citazione tratta da Derrick
Sherwin Bailey, Homosexuality and the Western Christian Tradition, London, 1955
(ristampa 1975), pp. 73 e ss.
19
Basti pensare al testo di Tertulliano (cfr. Monogamia 3) in cui si dice: « Il
Signore stesso ha aperto il regno dei cieli agli eunuchi e Lui stesso visse come
eunuco»
Beato Patriarca» rovinando così la loro reputazione e mettendo
fine a qualunque ipotesi di carriera ecclesiastica. Con il Codice
Visigotico si risolve definitivamente l'ambiguità intorno agli
eunuchi naturali condannando alla castrazione gli uomini che
avevano dei rapporti omosessuali20 e stabilendo così, una volta
per tutte, con l’esecuzione della condanna, la stretta
connessione tra mascolinità e presenza di un corpo maschile
integro, quasi che il maschio si identificasse con l’integrità del
suo pene e dei suoi testicoli. Da allora chi aveva comportamenti
da eunuco nato (ovvero da omosessuale), correva il rischio di
subire la mutilazione dei genitali e diventava a tutti gli effetti un
castrato, contribuendo così all’identificazione completa di due
condizioni di vita che un tempo erano considerate diverse tra di
loro.

20
Codice Visigotico, 3.5.5-6

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