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critto quasi come un diario, L’odore dell’India è un resoconto del viaggio di sei

settimane, il primo che Pier Paolo Pasolini compie nel subcontinente indiano. È
la fine del 1960 e lo scrittore ha appena cominciato a girare il suo primo film da
regista: Accattone. Tuttavia, i contrasti con Federico Fellini, il regista amico, in
questa occasione produttore del film, hanno portato le riprese a uno stallo.
Nell’attesa che si trovi un nuovo produttore, Pasolini lavora alla traduzione
dell’Antigone, per Gassman e alle poesie per il volume La religione del mio
tempo, che uscirà nel maggio successivo

Insieme a Moravia e a Elsa Morante, arriva in India poco prima di


Capodanno. Nehru è ancora il presidente, il primo dopo la proclamazione
dell’indipendenza, nel 1947, di questo stato di 400 milioni di persone. Lo
resterà ancora per tre anni. Fra pochi mesi, alla conferenza di Belgrado, Nehru
porterà clamorosamente l’India nell’area dei Paesi non allineati. La realtà
indiana si è certamente evoluta, nel corso di quasi mezzo secolo, ma certe
contraddizioni caratteristiche, incredibilmente, permangono intatte e, in seguito
alla rivoluzione informatica, risultano persino esacerbate.

Quello di Pasolini è il punto di vista di un artista estremamente vivace e


versatile. Poeta, scrittore di romanzi, regista di film, intellettuale, incapace di
accettare o fare compromessi e per questo amato dagli amici e odiato dai
detrattori, è un osservatore molto più coinvolto del suo compagno di viaggio
Moravia. I suoi pezzi di colore, che appariranno sul quotidiano «Il Giorno», tra
il 26 febbraio e il 26 marzo 1961, scandiscono le tappe di un percorso «come un
segugio sulle peste dell’odore dell’India». Un odore reale, non metaforico.
Pasolini, infatti, non ha paura di confrontarsi direttamente con l’umanità.
Quello che cerca è proprio l’ebbrezza dell’ignoto che si può celare dietro un
contatto occasionale. Le sue famose passeggiate notturne non falliscono mai di
procurargli materiale per una entusiastica analisi a caldo e spunti per successive
riflessioni di approfondimento, assai più amare, sugli argomenti favoriti: la
religione, la borghesia, la cultura, la morte.

Le impressioni più forti sono di amore e di impotenza. Quello che colpisce di


più l’autore è l’assoluta disponibilità delle persone, che associa all’influsso
della religione Indù e che gli indiani sintetizzano in un tipico cenno con la testa,
che è un gesto di assenso e di disponibilità, appunto.

Questo immediato fluire di affetto, in queste brevi relazioni, porta a dei


commiati dolorosi. «... si ha l’impressione di lasciare un moribondo [...] ormai,
tutta la strada dell’India dietro a me era seminata di naufraghi...».
Per venire a capo del caos di questo groviglio di corpi, Pasolini deve ridurre
tutto nei termini ricorrenti della sua poetica. «Ci si può smarrire in mezzo a
questa folla di 400 milioni di anime [...] come in un rebus di cui, con la
pazienza, si può venire a capo: sono difficili i particolari».

Uno di questi particolari è rappresentato dalla borghesia indiana. Già incontrata


nei suoi viaggi in Africa, riconosciuta per al sua chiusura disperata, rimane
serrata nella vita familiare, nella cura dei figli. L’osservazione della cultura
corre in aiuto della comprensione. Negli interpreti dei film, nei protagonisti dei
drammi teatrali, Pasolini isola un «ideale eroico ed erotico degli indiani [...] di
colore bianco, dotato di rotondità rispettabili», un tipo di borghese indiano, in
genere piuttosto raro, ma diffuso alle onnipresenti riunioni del Rotary Club,
negli alberghi frequentati dall’autore. Borghesi che tuttavia «possiedono una
qualità assolutamente rara, nel mondo moderno: la tolleranza».

Come nell’Africa di Moravia, l’India di Pasolini è monotona e iterativa. Ma se


l’Africa è una distesa sconfinata, l’India è il ripetersi di una sequenza: «gli
stagni, i villaggi, la giungla, le coltivazioni di miglio, le file di carretti coi
bufali, gli stagni, i villaggi...», una monotonia nella quale i monumenti
marmorei si stagliano come corpi estranei.

L’odore dell’India è anche, tra le righe, il diario del viaggio di tre amici, alla
scoperta di un Paese mitico ma essenzialmente ancora sconosciuto. «a Calcutta,
Moravia, la Morante e io siamo andati a conoscere Suor Teresa». Amici a cui
rivolgersi per cognome, (anche se la Morante qualche volta è «Elsa»), con i
quali affrontare le incombenze degli incontri ufficiali all’ambasciata, amici con
cui affrontare il cammino con l’atteggiamento giusto: «... disponibili, allegri,
curiosi come scimmie, con tutti gli strumenti dell’intelligenza pronti all’uso,
voraci, goderecci, spietati»

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