A Gozzano, dopo il lungo viaggio iniziato al porto di Genova, si presenta una Bombay
profondamente scissa in barbarie pittoresca e civiltà vittoriosa. L’India si rivela essere il mondo
dell’anacronismo e del paradosso, offrendo tra le misere e povere figure di donne ignudi con un
panio alle reni, visioni di figure candide delle signore biondissime, troppo pudiche perfino per farsi
aiutare dalle spalle barbare degli indù, simili alla Virginia pudibonda dell’omonima poesia del La
via del rifugio. Gozzano dimostra subito di avere simpatie filo colonialiste, apprezzando tutto ciò
che accentua la presenza occidentale e disprezzando, più o meno velatamente, i tratti di un’India
barbara e incivile. Tuttavia ci sono passi in cui la demenza della vegetazione indiana si rende più
gradevole di quella inglese, ad esempio nella minuziosa descrizione dei magnifici scenari verdi del
Vittoria Garden che pur splendidi, rivelano il sentore farmaceutico coloniale. Mentre segue la
visione favoleggiante della flora orientale.
La delusione di Gozzano, una delusione chiamiamola di “secondo tipo”, si esprime nello sdegno di
fronte alla teogonia barbara, all’idolatria orientale. Gozzano che si aspettava un sincero senso
religioso, si ritrova a confrontarsi con la bestialità e crudeltà dell’induismo fanatico. Sempre sin dal
primo capitolo appare il tema dell’incomprensione che inizialmente viene espressa come un’umile
ignoranza occidentale. Solo a fine capitolo si lascia scappare un commento di tipica ironia
gozzaniana, sul tema della morte.
UN NATALE A CEYLON:
25 dicembre, Gozzano si risveglia sotto il martirio del clima orientale. Probabilmente ha realmente
avuto risvegli del genere ma certamente non a Natale. Già dal capitolo precedente Gozzano segna la
data delle lettere per far combaciare la caduta del Natale con il suo soggiorno in India, un soggiorno
natalizio mai avvenuto ma di cui lettarariamente non poteva privarsi. Il filo conduttore di tutto il
capitolo è l’acuta nostalgia della patria; Gozzano la descrive come una trafittura leggera, appena
percettibile, ma insistente e importuna e in modo ancor più incisivo: il male tremendo e
indescrivibile fatto di sentimenti indefiniti simili all’ansia e al rimorso.
Il contrasto tra il vissuto ceyloniano e quello di casa si fa più forte che mai. Qui Gozzano è avvolto
in un perenne torpore estivo e realizza che le stagioni dipinte nelle arti europee sono solo il relativo
prodotto di una latitudine… Niente può consolare questo sordo dolore che lo affligge, neanche un
mazzo favoloso degno di una principessa, che cambierebbe volentieri con un ramo di agrifoglio,
simbolo nostalgico del Natale europeo.
DA CEYLON A MADURA:
Nel viaggio verso Madura la prima tappa è la famosa città delle perle: Tuticorin che lascia un gusto
amaro di delusione di secondo tipo in Gozzano (nella città delle perle non ci sono perle, se non
quelle che ricordano fabbricazioni di stampo tedesco). Giunge a Madura dove si accende la
contrarietà di Gozzano verso la piaga insanabile dei popoli orientali: l’idolatria. Accenna a questa
esasperazione di fede, quasi eretica, già nel primo capitolo ma qui Gozzano dà libero sfogo ai suoi
giudizi sferzanti sul simbolismo cieco degli induisti. Tema di questo capitolo è sia la delusione, di
primo tipo nel trovare l’India intatta, come nei libri di infanzia, sia di secondo tipo nel constatare
che la sua ricerca di un autentico e sincero senso religioso è stata disattesa.
LE CASTE INFRANGIBILI:
Gozzano con raziocinio tutto occidentale offre una breve ed essenziale spiegazione delle divisioni
in casta indiane e della loro vitalità nella loro cultura. Gozzano guarda questo fenomeno barbaro e
insensato con occhio ironico di chi non potrà mai comprendere questo fanatismo grottesco.
I TESORI DI GOLCONDA:
Gozzano ancor prima di raccontare le meraviglie della città favolosa (Haiderabat), mette in risalto il
forte contrasto tra l’India Indù e quella Maomettana. Non più la freschezza dei palmizi…ma i cacti
spettrali […] Non si vedono più le bellezze di bronzo dal seno e dal volto ignudo, ma le donne
maomettane rigidamente velate. […] Non è più l’architettura leggiadra dei bungalows…ma le
moschee e i minareti […] È un’India favolosa, intatta come in una delle storie arabe dai tempi dei
tempi, eppure Gozzano non sembra rimaner deluso dalla realtà che non aggiunge nulla alle
aspettative. Si prepara alla delusione di fronte alla città morta, provata per Goa e per innumerevoli
roccaforti di altri tempi, ma inaspettatamente Gozzano giunge in un luogo incontaminato, tratto
fedelmente dai racconti più magnifici e ne rimane deliziosamente meravigliato.
AGRA: L’IMMACOLATA:
Gozzano giunge ad Agra e finalmente assisterà al vittorioso trionfo della realtà sulla letteratura.
Poche volte la realtà ha superato la mia aspettativa, poche volte una bellezza m’ha investito così
violentemente, mozzandomi la parola ed il respiro, forzandomi all’ammirazione ed alla riverenza
completa. Gozzano non può che piegarsi e cedere di fronte all’incomprensibile meraviglia orientale
del Taj-Mahal. Ogni dettaglio viene minuziosamente descritto tramite parole colte e ricercate,
Gozzano dimostra ancora la sua incredibile abilità letteraria e congiunge la sua visione giornalistica
al linguaggio fantastico di un raccontastorie.
FACHIRI E CIURMADORI:
Sempre ad Agra Gozzano cerca di placare la sua ricerca del soprannaturale orientale. Non
riusciranno gli scaltri incantatori indiani a placare la sua sete e Gozzano ne rimarrà deluso. L’unica
sua consolazione per il resto del viaggio e per sempre e la bellezza ineguagliabile del miracoloso
Taj-Mahal.
L’OLOCAUSTO DI CAWNEPORE:
Si presenta un Gozzano giornalista, atto a documentare e rimembrare il lettore alle scene tragiche
causate dalla rivolta anti-inglese dei sepoys. Arrivato a Cawnepore Gozzano ripercorre pieno di
pathos e sentimento le crudeltà commesse da un popolo in completo contrasto a quello pacifico,
mansueto e indulgente di cui ha raccontato fino ad ora. Ancor più che nei primi capitoli si fanno
sentire gli ideali filo colonialisti e la simpatia per la presenza occidentale. Esagera gli atti patetici
che suscitano commozione verso gli inglesi, sfrutta a questo scopo la sua abilità nel cromatismo e
porta all’esasperazione il contrasto tra il sangue aggrumato e denso delle teste di un biondo candido.
[…] il sangue aggrumato – sangue di bimbi biondi, di donne bionde – offriva una pagina rossa
[…]
Utilizza le parole a proprio vantaggio, innescando per osmosi anche nel lettore una reazione di
indignazione e disgusto verso i demoni neri, la falange furibonda contro cui i coraggiosissimi
soldati europei si trovano a combattere. Il vero spettacolo infernale, tuttavia, Gozzano decide di
raccontarlo a fine capitolo. Il tradimento di Nana Sahib e il massacro a sangue freddo dei trecento
bimbi e donne inglesi, indifesi di fronte ai malebranche spietati…
In contrasto alle 8 pagine di strazio e pietas verso il popolo inglese e la ferocia degli indiani,
Gozzano dedica e sintetizza in sole tre righe la tremenda vendetta inglese.
Infine dedica pochi paragrafi a riflessioni sui fatti accaduti e all’elogio della pietas cristiana verso le
vittime, ma soprattutto i carnefici.
(Per narrare i fatti realmente accaduti si rifà a fonti narrative e non alla raccolta del Times come
invece sostiene.)