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LE GROTTE DELLA TRIMURTI:

A Gozzano, dopo il lungo viaggio iniziato al porto di Genova, si presenta una Bombay
profondamente scissa in barbarie pittoresca e civiltà vittoriosa. L’India si rivela essere il mondo
dell’anacronismo e del paradosso, offrendo tra le misere e povere figure di donne ignudi con un
panio alle reni, visioni di figure candide delle signore biondissime, troppo pudiche perfino per farsi
aiutare dalle spalle barbare degli indù, simili alla Virginia pudibonda dell’omonima poesia del La
via del rifugio. Gozzano dimostra subito di avere simpatie filo colonialiste, apprezzando tutto ciò
che accentua la presenza occidentale e disprezzando, più o meno velatamente, i tratti di un’India
barbara e incivile. Tuttavia ci sono passi in cui la demenza della vegetazione indiana si rende più
gradevole di quella inglese, ad esempio nella minuziosa descrizione dei magnifici scenari verdi del
Vittoria Garden che pur splendidi, rivelano il sentore farmaceutico coloniale. Mentre segue la
visione favoleggiante della flora orientale.
La delusione di Gozzano, una delusione chiamiamola di “secondo tipo”, si esprime nello sdegno di
fronte alla teogonia barbara, all’idolatria orientale. Gozzano che si aspettava un sincero senso
religioso, si ritrova a confrontarsi con la bestialità e crudeltà dell’induismo fanatico. Sempre sin dal
primo capitolo appare il tema dell’incomprensione che inizialmente viene espressa come un’umile
ignoranza occidentale. Solo a fine capitolo si lascia scappare un commento di tipica ironia
gozzaniana, sul tema della morte.

LE TORRI DEL SILENZIO:


Gozzano viene avvolto da tutta la ferocia del mondo parsi. Allontanatosi dai suoi rifugi nella
razionalità occidentale degli edifici gotico-inglesi, si lascia condurre sia dagli amici che dalla delusa
fantasia di un’India britanna uguale a quella dei libri e delle oleografie. È il rammarico a cui il
letterato è esposto quando la realtà imita la letteratura.
Nel viaggio verso la Dakma, dove assisteranno al rito funebre di un parsi, di nuovo Gozzano
sottolinea il contrasto tra occidente e oriente, sempre in modo quasi superficiale avvalendosi della
contrapposizione della biondezza di Lady Harvet, stilizzata secondo l’ultimo figurino europeo e la
magnificenza esotica e arcaica dell’equipaggio. Arrivati alla torre la delusione di “primo tipo”
viene sostituita da quella di un’aspettativa disattesa. La Tower of Silence si rivela di uno squallore
disarmante, un cilindro imbiancato a calce. Gozzano osserva e descrive con grande attenzione il rito
funebre, forse il tema della morte ha risvegliato in lui il timore tipicamente occidentali di fronte
all’eterno; ricordiamo che il viaggio in India è un viaggio terapeutico che dovrebbe migliorare le
sue condizioni di salute. Non scende in una dimensione esageratamente profonda ed esistenzialista,
ma si avvale dell’uso dei colori ben calibrati, rappresentando con cura il cromatismo in una
descrizione prevalentemente superficiale. I colori del rito sono, tuttavia, simbolici e preparano la
base dello stato d’animo di scrittore e lettore.
L’umile ignoranza iniziale di Gozzano muta e diventa lentamente una timorosa incomprensione di
fronte agli usi orientali. Il tema della morte e del sacro viene sconvolto dal distacco delle religioni
occidentali. L’abisso tra uomo e uomo appare sempre più terribile e colmabile. Tuttavia i
protagonisti del rito non sono gli unici a mostrarsi gelidamente distaccati, il lettore si deve
confrontare anche con l’esaltata apatia del turista occidentale che attratto dal diverso guarda la serie
di avvenimenti come la proiezione di una pellicola.
GOA: “LA DOURADA”:
Goa è la prima delle città morte che Gozzano visita. È una visita a lungo attesa e sognata durante
l’infanzia, come racconta ad inizio capitolo: “Visitata cento volte con la matita, durante le
interminabili lezioni di…”. Inizialmente prevale nella descrizione di Gozzano un oriente poetico
opposto alla rigida biondezza degli Inglesi confinanti, perfino l’occhio occidentale di Gozzano
rimane incantato dallo splendore incontaminato della vegetazione dell’isola colonizzata dai
portoghesi. Tuttavia, presto, Gozzano scopre in Goa lo spettro di cose nostre; l’orma portoghese è
chiaramente visibile, rendendo Goa uguale alla gemella nel paese colonizzatore. La delusione di
Gozzano è totale, sia per dover scontare la sua curiosità morbosa, quasi da esploratore, di voler
scoprire la storia che impregna le cose magnificate, che dopo pochi secoli vengono cancellate dalla
memoria e lasciano solo ombre di tempi prodigiosi e uomini illustri. Sia perché rimane disorientato
dalla realtà viva e la pallida fantasia dei paesaggi tanto sognati. Durante la lettura del capitolo
fanno come al solito capolino i temi del contrasto e della nostalgia, che sarà motivo dominante nel
capitolo successivo. Gozzano riafferma la sapienza nell’utilizzo dei valori cromatici per esprimere
lo stato d’animo, in questo caso sottolinea il senso di corruzione che traspira dagli edifici antichi
della città morta. In alcuni passi ironizza sul clima e la triste sorte dell’amico che cercava…forse
per attenuare l’inquietudine della malattia che lo accompagna. Bisogna porre attenzione sul fatto
che Gozzano si riafferma come autore più letterato del ‘900 e, forse, anche come inguaribile
menzognero simulando il ritrovamento di un’antica edizione in portoghese del poema immortale di
Camoens, il cui riassunto secondo Angela Casella e anche secondo Alida D’Aquino Creazzo è
plagiato dal I Lusiadi tradotti da F. Bellotti. Il contrasto con cui chiude il capitolo è il passaggio
dalla città morta alla città viva: la Goa moderna.

UN NATALE A CEYLON:
25 dicembre, Gozzano si risveglia sotto il martirio del clima orientale. Probabilmente ha realmente
avuto risvegli del genere ma certamente non a Natale. Già dal capitolo precedente Gozzano segna la
data delle lettere per far combaciare la caduta del Natale con il suo soggiorno in India, un soggiorno
natalizio mai avvenuto ma di cui lettarariamente non poteva privarsi. Il filo conduttore di tutto il
capitolo è l’acuta nostalgia della patria; Gozzano la descrive come una trafittura leggera, appena
percettibile, ma insistente e importuna e in modo ancor più incisivo: il male tremendo e
indescrivibile fatto di sentimenti indefiniti simili all’ansia e al rimorso.
Il contrasto tra il vissuto ceyloniano e quello di casa si fa più forte che mai. Qui Gozzano è avvolto
in un perenne torpore estivo e realizza che le stagioni dipinte nelle arti europee sono solo il relativo
prodotto di una latitudine… Niente può consolare questo sordo dolore che lo affligge, neanche un
mazzo favoloso degno di una principessa, che cambierebbe volentieri con un ramo di agrifoglio,
simbolo nostalgico del Natale europeo.

DA CEYLON A MADURA:
Nel viaggio verso Madura la prima tappa è la famosa città delle perle: Tuticorin che lascia un gusto
amaro di delusione di secondo tipo in Gozzano (nella città delle perle non ci sono perle, se non
quelle che ricordano fabbricazioni di stampo tedesco). Giunge a Madura dove si accende la
contrarietà di Gozzano verso la piaga insanabile dei popoli orientali: l’idolatria. Accenna a questa
esasperazione di fede, quasi eretica, già nel primo capitolo ma qui Gozzano dà libero sfogo ai suoi
giudizi sferzanti sul simbolismo cieco degli induisti. Tema di questo capitolo è sia la delusione, di
primo tipo nel trovare l’India intatta, come nei libri di infanzia, sia di secondo tipo nel constatare
che la sua ricerca di un autentico e sincero senso religioso è stata disattesa.

LA DANZA D’UNA “DEVADASIS”:


A Gozzano e i suoi compagni di viaggio in India viene concesso di assistere a un evento sacrale,
venerando e divino per tutti i fedeli della religione induista: la danza d’una devadasis. La devadadis
è una bajadera (danzatrice indiana che si esibisce in feste religiose e profane) di alta casta che è
destinata sin da prima della nascita a una vita sacerdotale. Il termine non è da intendere
all’occidentale poiché la figura della sacerdotessa indiana si avvicina più a quella di una geisha
giapponese piuttosto che una monaca cristiana. Ed è con piena consapevolezza di ignoranza profana
occidentale che Gozzano nella deludente dimora del bramino. Come nei primi capitoli Gozzano si
trova davanti a un’India così intatta, riprende la descrizione degli abiti dei bramini, parallela a
quella degli umili stracci delle donne nel primo capitolo: non sono vestiti che di un panio alle reni.
Tuttavia dai bramini traspare una nobiltà sconosciuta e impalpabile all’occidentale. Gozzano si
arma della sua infallibile ironia e delle altissime aspettative oniriche di fronte a un evento del
genere. Inizialmente rimane deluso aspettandosi una veste più maliziosa e impudica. Poi viene
totalmente rapito dalla danza a tratti angosciante e terribile, a tratti armoniosa della bellissima
devadadis. Gozzano rimane commosso e profondamente stupito dalla fede intensa che lega la folla,
tra cui mercanti, donnette e bambini, all’arte letteraria del poema religioso. Non è tabe letteraria,
non realtà che imita la letteratura ma la primazia dell’arte. C’è da domandarsi come mai questa
volta Gozzano non indichi questo atteggiamento come idolatria. Forse le osservazioni gozzaniane
sono contaminate dal giudizio occidentale, di ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Infine
Gozzano esprime il desiderio di avvicinarsi a questo mondo troppi millenni diviso da quello a cui
appartiene ma è consapevole che nonostante tutti i suoi sforzi, resterebbe per sempre estraneo a
un’India in cui l’occidentale non riconosce più la sua cuna.

LE CASTE INFRANGIBILI:
Gozzano con raziocinio tutto occidentale offre una breve ed essenziale spiegazione delle divisioni
in casta indiane e della loro vitalità nella loro cultura. Gozzano guarda questo fenomeno barbaro e
insensato con occhio ironico di chi non potrà mai comprendere questo fanatismo grottesco.

I TESORI DI GOLCONDA:
Gozzano ancor prima di raccontare le meraviglie della città favolosa (Haiderabat), mette in risalto il
forte contrasto tra l’India Indù e quella Maomettana. Non più la freschezza dei palmizi…ma i cacti
spettrali […] Non si vedono più le bellezze di bronzo dal seno e dal volto ignudo, ma le donne
maomettane rigidamente velate. […] Non è più l’architettura leggiadra dei bungalows…ma le
moschee e i minareti […] È un’India favolosa, intatta come in una delle storie arabe dai tempi dei
tempi, eppure Gozzano non sembra rimaner deluso dalla realtà che non aggiunge nulla alle
aspettative. Si prepara alla delusione di fronte alla città morta, provata per Goa e per innumerevoli
roccaforti di altri tempi, ma inaspettatamente Gozzano giunge in un luogo incontaminato, tratto
fedelmente dai racconti più magnifici e ne rimane deliziosamente meravigliato.

L’IMPERO DEI GRAN MOGOL:


Gozzano continua il suo viaggio nell’India Maomettana, intatta, favolosa. Un’India di “cartapesta”
perché equivale perfettamente a quella delle oleografie e dei libri. Ci accompagnano i temi del
contrasto: tra India Indù e India Maomettana, tra le donnette occidentali e le affascinanti e
misteriose cortigiane incontrate a cavallo di un elefante (sembra di vivere una storia mitica), tra la
città viva (Delhi) e l’ennesima città morta appartenente all’impero dei Gran Mogol (dinastia che ha
dominato durante la dominazione islamica in India). A tratti appaiono anche i temi della nostalgia
europea e dell’ignoranza occidentale, insuperabile. Il capitolo si chiude con un Gozzano sognante
perché guai se non si completasse col sogno il magro piacere che la realtà ci concede!...

AGRA: L’IMMACOLATA:
Gozzano giunge ad Agra e finalmente assisterà al vittorioso trionfo della realtà sulla letteratura.
Poche volte la realtà ha superato la mia aspettativa, poche volte una bellezza m’ha investito così
violentemente, mozzandomi la parola ed il respiro, forzandomi all’ammirazione ed alla riverenza
completa. Gozzano non può che piegarsi e cedere di fronte all’incomprensibile meraviglia orientale
del Taj-Mahal. Ogni dettaglio viene minuziosamente descritto tramite parole colte e ricercate,
Gozzano dimostra ancora la sua incredibile abilità letteraria e congiunge la sua visione giornalistica
al linguaggio fantastico di un raccontastorie.

FACHIRI E CIURMADORI:
Sempre ad Agra Gozzano cerca di placare la sua ricerca del soprannaturale orientale. Non
riusciranno gli scaltri incantatori indiani a placare la sua sete e Gozzano ne rimarrà deluso. L’unica
sua consolazione per il resto del viaggio e per sempre e la bellezza ineguagliabile del miracoloso
Taj-Mahal.

GIAIPUR: CITTA DELLA FAVOLA:


Gozzano giunge nella città della favola dove qualunque fantasia infantile trova il suo rifugio. In
rilievo c’è il contrasto con le regioni degli Stati Rajputi, dove tutto muore. Qui tuttavia, Gozzano
trova intatto l’oriente di maniera, più che ad Haiderabat, più che a Delhi. Forse si trovano qua i
segni di un’India dell’eccesso… ma ciò riesce ancora ad essergli piacevole.

L’OLOCAUSTO DI CAWNEPORE:
Si presenta un Gozzano giornalista, atto a documentare e rimembrare il lettore alle scene tragiche
causate dalla rivolta anti-inglese dei sepoys. Arrivato a Cawnepore Gozzano ripercorre pieno di
pathos e sentimento le crudeltà commesse da un popolo in completo contrasto a quello pacifico,
mansueto e indulgente di cui ha raccontato fino ad ora. Ancor più che nei primi capitoli si fanno
sentire gli ideali filo colonialisti e la simpatia per la presenza occidentale. Esagera gli atti patetici
che suscitano commozione verso gli inglesi, sfrutta a questo scopo la sua abilità nel cromatismo e
porta all’esasperazione il contrasto tra il sangue aggrumato e denso delle teste di un biondo candido.

[…] il sangue aggrumato – sangue di bimbi biondi, di donne bionde – offriva una pagina rossa
[…]

Utilizza le parole a proprio vantaggio, innescando per osmosi anche nel lettore una reazione di
indignazione e disgusto verso i demoni neri, la falange furibonda contro cui i coraggiosissimi
soldati europei si trovano a combattere. Il vero spettacolo infernale, tuttavia, Gozzano decide di
raccontarlo a fine capitolo. Il tradimento di Nana Sahib e il massacro a sangue freddo dei trecento
bimbi e donne inglesi, indifesi di fronte ai malebranche spietati…
In contrasto alle 8 pagine di strazio e pietas verso il popolo inglese e la ferocia degli indiani,
Gozzano dedica e sintetizza in sole tre righe la tremenda vendetta inglese.
Infine dedica pochi paragrafi a riflessioni sui fatti accaduti e all’elogio della pietas cristiana verso le
vittime, ma soprattutto i carnefici.
(Per narrare i fatti realmente accaduti si rifà a fonti narrative e non alla raccolta del Times come
invece sostiene.)

IL FIUME DEI ROGHI e IL VIVAJO DEL BUON DIO:


Sognato sin dall’infanzia, Gozzano giunge a Benares. Un’altra città immaginata e letta nei libri di
avventura e vista e rivista nelle stampe e nelle oleografie. Fa riferimento alla letteratura di Pierre
Loti, prediletta ispirazione nel viaggio letterario di Verso la cuna del mondo. Sia il capitolo di
Benares che quello successivo il filo conduttore, ciò su cui Gozzano si concentra maggiormente è la
ricerca religiosa e spirituale e il contrasto tra la saggia e apatica religione indù e il cristianesimo,
troppo carnale, troppo patetico, troppo immaturo. (Ricordiamo che nel capitolo precedente lo
elogiava e disprezzava l’induismo…sembra quasi che siano due persone diverse a tenere il diario di
viaggio) Gozzano assiste con forte partecipazione emotiva a diversi riti funebri che si svolgono
nelle vicinanze del fiume sacro. Come qualunque occidentale rimane meravigliato e al contempo
inquietato dalle visioni funebri di madri che cremano figli, senza lasciar trasparire il minimo
turbamento. Possiedono una consapevolezza che chi è contaminato da millenni di tradizione
cristiana mai potrà comprendere. Tuttavia questa incomprensione non sembra recar timori a
Gozzano, forse guarda quasi con gelosia la loro abilità di dire addio alla vita ancor prima di essere
nati poiché ricordiamo che il motivo principale del viaggio è terapeutico e riuscir così a ingannare
ancora per un po’ la grande nemica, la Morte.

UN VOTO ALLA DEA THARATA-KU-WHA:


Le ultime visite templistiche di Gozzano. Lontano dai riti funebri, lontano dalla perturbante e
radicata sacralità induista Gozzano ritrova la sua vena ironica, intrecciandola al motivo ricorrente
della morte che questa volta non riguarda sé stesso ma il prossimo.

GLORIE ITALIANE ALL’ESTERO.


GLI ORRORI DEL PARADISO:
Il dottor Aldo Castellani guida un Gozzano curioso, inquieto, inorridito ma anche orgoglioso e fiero
tra le mura e le malattie orribili della clinica di medicina tropicale di Colombo. Il tema dell’eccesso
viene evidenziato ulteriormente: eccessivo aroma, così intenso che da le vertigini, eccessiva
meraviglia della vegetazione che favorisce germi ignoti tra chi non è nativo. Ed è percettibile anche
l’infinita nostalgia della piccola grande forma ben nota che si scatena in cuor di Gozzano all’udire
della parlata tipicamente toscana di Castellani.

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