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“Io non ho 

paura” scritto nel 2001, è uno dei libri che ha ottenuto più successo negli
ultimi quindici anni, diventando l’opera più famosa dello scrittore Niccolò Ammaniti. Il
romanzo in questione viene definito di formazione, un sottogenere del realismo.
Questa tipologia di romanzo è un genere letterario riguardante l'evoluzione del
protagonista verso la maturazione e l'età adulta tramite prove, errori, viaggi ed
esperienze; infatti in questo romanzo un giovane protagonista si trova a vivere una
serie di avvenimenti che lo traghettano dall’innocenza dell’età infantile alla
consapevolezza di quell’adulta, il piccolo Michele entra in contatto con il male,
scoprendo che esso è più vicino di quello che sembra. Alla fine sarà costretto a fare
una scelta dolorosa, che cambierà per sempre la sua vita. L’ autore
dell’opera, Niccolò Ammaniti fa parte della cosiddetta generazione dei "cannibali",
un gruppo di scrittori, attivi a partire dagli anni Novanta, le cui opere sono
caratterizzate da un realismo a tinte forti.
I temi fondamentali del libro sono: Il tema del male; Michele conoscerà infatti la
mafia, i rapimenti, la violenza e Il tema della solidarietà che viene a crearsi tra
Michele e Filippo. I due personaggi principali sono accomunati solo dal fatto di
essere bambini, mentre per il resto appartengono a due mondi completamente
diversi. Michele proviene dal Sud, Filippo dal Nord; Michele appartiene a
una famiglia povera, Filippo ad una ricca; Michele è il figlio del rapitore, Filippo è il
rapito.
Nonostante ciò, c’è qualcosa che supera tutte queste differenze e unisce i due
ragazzini: la solidarietà tra esseri umani, un sentimento che i bambini riescono a
sentire meglio degli adulti. È importante sottolineare che la solidarietà di Michele,
ossia la scelta di aiutare Filippo che si trova in una situazione tremenda, esige il
pagamento di un prezzo, cioè il tradimento nei confronti del padre.
Il bambino è combattuto tra l’amore per il genitore, con cui ha un buon rapporto e che
ha sempre visto come una figura buona, e la solidarietà verso un essere umano in
pericolo. La decisione non è né scontata né indolore. L’alto prezzo da pagare
aumenta il valore del gesto finale di Michele, che finisce per prendere il posto di
Filippo e la pallottola destinata a lui. Attorno a questo tema e a questa scelta si gioca
tutto il significato di” Io non ho paura”.
La storia racconta di Michele Amitrano, un bambino di nove anni, nonché narratore e
protagonista del libro, che vive in un piccolo paese del Sud Italia, Acque Traverse
una cittadina immaginaria della Puglia
Un giorno i bambini raggiungono un casale isolato; stanno per andare via, ma Maria
ha perso gli occhiali e Michele torna al casale per cercarli. È in questo momento
che il bambino scopre in mezzo alla terra una botola, che si apre su una buca nel
terreno, nella quale vede sbucare dall’oscurità un piede. Terrorizzato, Michele
scappa e torna a casa.
Tuttavia la curiosità è più forte della paura e Michele torna alla botola il giorno
successivo. Capisce che la persona rinchiusa dentro è un bambino e inizia a portargli
acqua e cibo regolarmente. Il ragazzino dentro la botola, però, non parla con
Michele, che non riesce a capire cosa ci faccia lì dentro e chi ce l’abbia messo. Nel
frattempo è tornato il padre del protagonista del quale ci viene descritto il rapporto
affettuoso che ha con il proprio figlio.
Un giorno Michele vede un amico del padre tornare dal casolare dove è nascosto il
bambino e sente della notizia di un rapimento. Nel frattempo arriva a casa di Michele
uno strano ospite, Sergio, che viene presentato come un amico del padre. Durante la
notte Michele esce dalla sua stanza e trova il padre, Sergio e altri uomini di fronte al
telegiornale in cui si parla del rapimento. Dai loro discorsi capisce che si tratta della
banda che ha rapito il piccolo Filippo, il bambino nascosto nella buca. 
Inizia a questo punto il lungo contrasto all’interno dell’animo di Michele tra
l’affetto per il padre e quello per Filippo. In una delle sue visite Michele lo aiuta ad
uscire dal suo nascondiglio e gli fa vedere i campi di grano. Poco dopo, però,
Michele viene scoperto, tradito da Salvatore, il suo migliore amico, al quale aveva
raccontato il segreto. Il padre allora gli intima di dimenticare tutto e di non tornare mai
più da Filippo, minacciando che se non avesse obbedito avrebbero ucciso il
bambino.
La polizia è ormai sulle tracce della banda e Sergio, che si è rivelato essere il capo
della banda, decide di uccidere Filippo. Michele, saputa la notizia, corre dal ragazzo,
che intanto è stato trasferito in una gravina sperduta e lo aiuta a scappare. Filippo
esce, ma Michele non riesce a scappare prima che arrivi la banda. Il padre allora
entra nel nascondiglio e spara a Michele, pensando che fosse Filippo, colpendolo a
una gamba. Scioccato, il padre prende tra le sue braccia Michele mentre arrivano le
forze dell’ordine e i soccorritori, ai quali il padre affida il suo amato figlio.
La lingua usata da Ammaniti in questo romanzo è pulita ed essenziale. Come di
norma in molti degli scrittori italiani degli ultimi venti anni, Ammaniti punta molto di più
sui contenuti e sulla ricerca di commozione e partecipazione emotiva del lettore che
sullo stile. Questo non vuol dire che il romanzo sia scritto male, ma semplicemente
che la lingua è un italiano semplice e corretto senza grandi pretese stilistiche. Il
romanzo fa un largo uso dei dialoghi, senza però utilizzare il dialetto. Ai dialoghi si
alternano flussi di pensieri e di ragionamenti del piccolo Michele, che è il narratore
della storia, colui attraverso il quale vediamo gli eventi che sono raccontati.  

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