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TRIBUNALE DI NAPOLI

SEZ. IV CIVILE

Il Tribunale, composto dai sigg.ri Magistrati:

dott. Giulio Cataldi Presidente rel.


dott. Ettore Pastore Alinante Giudice
dott. Francesco Pastore Giudice

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul reclamo proposto nell'interesse di


P. G. (avv. Salvatore Giancone)

CONTRO

S. B. (avv.ti Ghedini, Lepri, Medugno, Izzo)


Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avvocatura dello Stato)
avverso il provvedimento emesso dal Giudice di questo Tribunale in data 30 -
31.3.2006

Con ricorso depositato il 20.3.2006, l'avv. P. G. ha chiesto a questo Tribunale di:


"a) disporre l'immediata cancellazione del nominativo di S. B. da tutte le liste (già
depositate) dei candidati all'elezione alla Camera dei Deputati del 9 - 10 aprile
2006; b) inibire al dott. S. B. di ripresentare, su tutto il territorio nazionale, la
propria candidatura alla elezione alla Camera dei Deputati del 9 - 10 aprile 2006;
c) dichiarare illegittimo il pagamento in eccedenza versato dal ricorrente in
relazione all'imposta sul reddito dell'anno 2005 a seguito della mancata riduzione
al 23 % dell'aliquota Irpef per i redditi fino a lire 200.000.000 (euro 103.291,38)
e, conseguentemente, dichiararsi il diritto per esso ricorrente al relativo rimborso
da liquidarsi nel corso del giudizio di merito o in separata sede ...".

A fondamento della richiesta, l'avv. Giancone ha invocato il cd. "contratto con gli
Italiani" che l'On.le S. B., in vista delle elezioni politiche del 13 maggio 2001,
propose nel corso di una nota trasmissione televisiva in onda sulla rete nazionale

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Rai Uno, col quale venivano indicati cinque impegni politico - programmatici (in
materia di imposte, di criminalità ed ordine pubblico, di trattamento pensionistico,
di occupazione, di opere infrastrutturali) con l'aggiunta che "nel caso in cui al
termine dei cinque anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero
raggiunti, S. B. si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura
alle successive elezioni politiche".

L'avv. Giancone ha, quindi, sostenuto che al termine di cinque anni di governo
presieduto dall'on.le S. B. non erano stati realizzati quantomeno gli obiettivi
indicati ai punti 1, 4 e 5; e, preso atto che il dott. S. B., ciò nonostante, aveva
ripresentato la propria candidatura, e sull'intero territorio nazionale, ha ritenuto di
azionare il suindicato contratto, a suo dire inquadrabile nell'istituto giuridico del
contratto con obbligazioni del solo proponente, per far rispettare l'impegno a non
ricandidarsi. A tale riguardo, ha affermato che il fumus boni iuris era
rappresentato dall'inadempimento all'obbligazione di non ricandidarsi, ed il
periculum in mora dall'imminenza delle consultazioni elettorali del 9 - 10 aprile
2006, aggiungendo, tra l'altro, che la mancata realizzazione del primo punto del
cd. contratto con gli Italiani, relativo alla riduzione al 23 % dell'aliquota Irpef per i
redditi sino a lire 200.000.000, gli aveva provocato anche un danno patrimoniale,
consistente nella maggior somma versata all'Erario, di cui chiedeva il rimborso.

Il Giudice designato per la trattazione ha fissato la comparizione delle parti


innanzi a sé per il giorno 30.3.

Il ricorrente ha, quindi, notificato il ricorso ed il decreto, oltre che a S. B., in


proprio, anche a S. B. nella qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri.

L'on.le S. B., costituendosi in proprio, ha chiesto il rigetto del ricorso, sostenendo,


innanzitutto, che il "contratto con gli Italiani" non era un negozio giuridico a
contenuto patrimoniale, assimilabile alle previsioni codicistiche, limitandosi a
rappresentare un programma elettorale; ha, poi, dedotto il difetto di giurisdizione
di qualsiasi autorità giurisdizionale a pronunciarsi in ordine alla sussistenza dei
requisiti per l'ammissione di un cittadino alla carica di parlamentare, rientrando
tale potere nei compiti specifici di ciascuna Camera, ai sensi dell'art. 66 Cost.;
sotto altro profilo, poi, ha rilevato che i provvedimenti invocati avrebbero finito
col ledere anche i precetti costituzionali degli artt. 51 e 65, disciplinanti il diritto di
elettorato passivo, rientrante nei diritti inviolabili della persona insuscettibili di
limitazioni se non a tutela di altri interessi di pari rango costituzionale. Ha, inoltre,
eccepito l'incompetenza per territorio del giudice adito, nonché la carenza di

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giurisdizione, oltre che la palese infondatezza, sulla domanda di restituzione di
somme versate a titolo di Irpef; ha, quindi, evidenziato come non siano
sindacabili le scelte compiute dai parlamentari e come, dunque, pure a voler
ipotizzare l'esistenza di un valido contratto, le scelte operate nel corso della
legislatura sarebbero sottratte al giudizio del Giudice. Rivendicato, da ultimo, il
pieno rispetto degli impegni assunti, ha evidenziato il carattere temerario
dell'avversa pretesa, chiedendo la condanna del ricorrente al risarcimento dei
danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, costituitasi con il patrocinio


dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, ha preliminarmente evidenziato la
"perplessità" del ricorso, che non chiariva, a suo dire, se le richieste fossero
rivolte contro l'on.le S. B. in proprio o nella qualità; per tale seconda eventualità,
comunque, ha eccepito l'assoluto difetto di legittimazione della Presidenza del
Consiglio, non venendo in considerazione atti e/o comportamenti riconducibili
all'attività dell'istituzione, ma solo ed esclusivamente inadempimenti di impegni
assunti dal S. B. in proprio, e cioè come candidato. Ha, poi, a propria volta
eccepito l'assoluto difetto di giurisdizione ed il carattere non giuridico ma solo
politico del cd. "contratto con gli Italiani" e l'improponibilità della pretesa di
cancellazione dalle liste elettorali. Da ultimo, ha sostenuto che, a voler ricondurre
la fattispecie in questione all'ipotesi di un contratto con obbligazioni per il solo
proponente, il ricorrente, per invocare quelle pattuizioni, avrebbe dovuto
dimostrare - cosa ovviamente impossibile - di aver dato il proprio consenso
elettorale in favore della Casa delle Libertà. Ha quindi concluso invocando il
rigetto della domanda.

Con ordinanza resa fuori udienza il 30 marzo '06 e depositata il 31 marzo, il


Giudice designato ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento in favore sia dell'On.le S. B. in proprio, che della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La citata ordinanza, ritenuta la giurisdizione del Giudice ordinario e la competenza


per territorio del Tribunale di Napoli, ha negato che il cd. "contratto con gli
Italiani" fosse inquadrabile nelle previsioni codicistiche in materia di contratto,
rappresentando piuttosto un programma politico - elettorale, il cui rispetto risulta
inesigibile sul piano giudiziario in considerazione del fatto che la realizzazione di
quegli impegni si attua mediante atti di normazione la cui emanazione dipende da
una serie di variabili tali da non consentire di configurare la sussistenza di

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obbligazioni vincolanti a carico del resistente; in questo quadro, anche l'impegno
assunto dall'on.le S. B. a non ricandidarsi per il caso di mancato raggiungimento
di almeno 4 dei 5 obiettivi altro non era, ad avviso del Giudice di prime cure, che
una promessa di natura politica, il cui rispetto proprio per questo risultava
inesigibile, anche perché relativa ad un diritto personalissimo ed indisponibile,
costituzionalmente garantito. Ha, poi, respinto l'istanza di condanna ex art. 96
c.p.c., ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Il 3 aprile 2006 l'avv. P. G. ha depositato reclamo avverso la citata ordinanza. Il


reclamante ha, innanzitutto, contestato la qualificazione data dal primo Giudice al
cd. "contratto con gli Italiani" come atto di indirizzo politico, occorrendo procedere
ad un'interpretazione rigorosamente restrittiva di simili atti in modo da renderne
il più esteso possibile il controllo giurisdizionale; ha, poi, evidenziato che rispetto
a tale qualificazione adottata difettavano i requisiti sia soggettivi, dal momento
che all'epoca della promessa il dott. S. B. non era ancora capo del Governo o
espressione dello stesso, sia oggettivi, dal momento che quella promessa non
aveva funzione di "costituzione, salvaguardia o funzionamento dei pubblici
poteri". Ha poi contestato le avverse difese, evidenziano come mai avesse inteso
sindacare l'attività parlamentare, i voti dati o le opinioni espresse in tale contesto,
come non occorresse un requisito di patrimonialità per la configurazione di un
valido negozio giuridico, e come l'impegno del S. B. fosse rivolto verso tutti gli
Italiani, e non soltanto nei riguardi di quanti lo avessero votato. In ogni caso, ha
affermato che, quand'anche non potesse condividersi la qualificazione di
"contratto", resterebbe comunque quella di promessa al pubblico, intesa come
dichiarazione unilaterale non recettizia e vincolante per il solo promittente, avente
per oggetto una prestazione di fare (nel caso di specie, il non ricandidarsi) a
favore di quanti si trovino in una determinata situazione (nel caso di specie, i
cittadini italiani, destinatari della promessa).

In quest'ottica, a suo dire, gli obiettivi indicati nel cd. "contratto con gli Italiani"
dovevano considerarsi quali condizioni sospensive dal cui verificarsi dipendeva
l'esito dell'obbligazione promessa. Quanto poi al preteso carattere indisponibile
del diritto dedotto, ai sensi dell'art. 51 Cost., ha evidenziato la necessità di
contemperare i diritti in gioco e la libera e consapevole rinuncia manifestata dal
promittente. Da ultimo, in merito alla regolamentazione delle spese, il reclamante
ha contestato la decisione del primo Giudice, in considerazione della assoluta
novità, peculiarità e complessità delle questioni trattate, che avrebbero senz'altro

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giustificato la compensazione integrale delle stesse, anche in considerazione del
rigetto di alcune delle eccezioni preliminari sollevate dalle avverse difese.

Il Tribunale ha fissato per la discussione l'udienza del 2.5.06.

Notificato il reclamo, si sono nuovamente costituiti, anche in questa fase, sia


l'On.le S. B. in proprio, sia la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L'on.le S. B. in proprio ha, preliminarmente, fatto rilevare che, essendo stato


nuovamente eletto alla Camera dei Deputati, ed essendo già intervenuta la
proclamazione degli eletti, trovava ulteriore conferma l'assunto difetto assoluto di
giurisdizione, spettando soltanto alla Camera dei Deputati sindacare i titoli di
appartenenza e le eventuali condizioni di eleggibilità. Con riguardo, poi,
all'ordinanza di prime cure, ha evidenziato che l'affermazione circa la ritenuta
sussistenza della giurisdizione era fondata sul criterio della prospettazione,
laddove invece si sarebbe dovuto far riferimento al cd. petitum sostanziale, che in
questo caso avrebbe dovuto condurre (in considerazione della richiesta di
cancellazione dalle liste elettorali) ad una declaratoria di difetto assoluto di
giurisdizione. Ha, poi, richiamato le difese svolte già in prime cure. Quindi, allo
scopo di veder modificato il provvedimento reso dal Giudice designato
relativamente alla condanna per responsabilità aggravata del reclamante, ha
qualificato come "provocatoria" ed "ideologizzata" l'iniziativa del ricorrente, come
confermato anche dal clamore attribuito alla stessa attraverso interviste rilasciate
ad organi di stampa (e pubblicate col titolo "Fermate il Cavaliere") e dalla
proposizione e notificazione del reclamo malgrado la conclusione delle operazioni
elettorali e l'avvenuta rielezione dell'on.le S. B. (ed il superamento di qualsiasi
"imminenza" del pericolo lamentato). Ha poi evidenziato come il reclamo facesse
riferimento ad una pretesa qualificazione del cd. "contratto con gli Italiani" in
termini di atto di indirizzo politico, che non era stata attribuita né dalle parti né
dal giudicante nella prima fase, e prospettasse a propria volta una qualificazione
di quell'impegno elettorale in termini di promessa al pubblico, superando quella
data in prime cure di contratto con obbligazioni del solo proponente, dimostrando,
con la disinvolta mutevolezza delle tesi difensive, la consapevolezza
dell'infondatezza delle stesse. Ha, quindi, nuovamente argomentato sulla non
riconducibilità del cd. contratto ai canoni civilistici e, comunque, l'impossibilità di
una sua analisi in sede giudiziaria ai sensi degli artt. 67 e 68 della Costituzione.
Richiamate, per il resto, le altre difese già svolte in prime cure, ha insistito per la

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condanna del reclamante al risarcimento dei danni da lite temeraria, invocandone
una liquidazione equitativa.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, a propria volta, ha richiamato tutte le


difese già svolte, ed ha evidenziato come l'avvenuta rielezione dell'on.le S. B.
avesse reso ulteriormente inammissibili, anche ai sensi dell'art. 100 c.p.c., le
pretese fatte valere dal reclamante e, contestata la nuova qualificazione del cd.
"contratto con gli Italiani" nel senso di promessa al pubblico, ha contestato il
reclamo anche relativamente alla richiesta di compensazione delle spese,
concludendo per il rigetto del reclamo e la condanna del reclamante al pagamento
delle spese anche della presente fase.

A scioglimento della riserva formulata in udienza, il Collegio osserva:

deve preliminarmente considerarsi che il presente reclamo è stato trattato a


consultazioni elettorali già avvenute: la proposizione dell'impugnativa cautelare in
data 3 aprile 2006, infatti, non avrebbe consentito in alcun caso l'instaurazione di
un rituale contraddittorio prima delle elezioni dello scorso 9 - 10 aprile.

Come le parti resistenti hanno sottolineato, l'on.le S. B. è risultato eletto anche in


quest'ultima competizione, ed è già avvenuta la proclamazione degli eletti.

Ebbene, il Collegio rileva che il petitum della fase cautelare di prime cure,
espressamente richiamato, relativamente ai punti a) e b) dell'originario ricorso,
anche in questa fase, attiene alla richiesta di "disporre l'immediata cancellazione
del nominativo di S. B. da tutte le liste (già depositate) dei candidati alla elezione
alla Camera Nazionale dei Deputati del 9 - 10 aprile 2006" e di "inibire al dott. S.
B. di ripresentare, su tutto il territorio nazionale, la propria candidatura alla
elezione alla Camera Nazionale dei Deputati del 9 - 10 aprile 2006".

Sotto tale profilo, ad avviso del Collegio è venuto meno l'interesse del ricorrente
alla pronuncia cautelare.

Com'è noto, l'interesse ad agire - che prescinde totalmente dalla fondatezza nel
merito della pretesa fatta valere - sorge dalla necessità di ottenere dal processo
la tutela dell'interesse sostanziale dedotto, e presuppone, pertanto, non solo
l'affermazione di tale lesione, ma anche l'idoneità del provvedimento domandato
a proteggerlo.

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Nel caso di specie, la proclamazione dell'elezione dell'on.le S. B., se non segna
certo la cessazione della materia del contendere (che "presuppone che le parti si
diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione
sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al
giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite": Cassazione
civile, sez. III, 8 giugno 2005, n. 11962), determina l'evidente inidoneità del
provvedimento invocato a proteggere l'interesse dedotto in giudizio ed
asseritamente leso dalla condotta del resistente. Ed infatti, la cancellazione dalle
liste dei candidati o l'inibizione alla candidatura non potrebbero più sortire l'effetto
voluto, per la loro intrinseca inidoneità, una volta espletatosi l'iter elettorale, a
paralizzare la candidatura (e l'elezione) del S. B..

La carenza di tale condizione dell'azione, senza dubbio rilevabile anche d'ufficio


(ma l'Avvocatura Distrettuale dello Stato vi ha fatto esplicito, per quanto fugace,
cenno), non potrebbe d'altro canto essere superata con l'astratta adozione di
provvedimenti di decadenza o di accertamento dell'insussistenza delle condizioni
di eleggibilità, dal momento che questi ultimi (oltre che esulanti dal petitum) sono
esclusivo appannaggio della Camera di appartenenza dell'eletto (e, sotto tale
profilo, sussisterebbe il più volte invocato - da parte dei resistenti - difetto
assoluto di giurisdizione).

Tale necessitata conclusione non esonera, peraltro, il Collegio dal riesaminare la


pretesa fatta valere dall'avv. Giancone: e ciò anche ai fini della valutazione della
fondatezza o meno del reclamo principale relativamente alla regolamentazione
delle spese, e di quello incidentale relativo alla chiesta condanna del ricorrente al
risarcimento dei danni da lite temeraria.

Ebbene, il Collegio ritiene che il provvedimento oggetto di reclamo fosse nel


merito sostanzialmente da confermare.

Relativamente alla posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, peraltro, il
Tribunale osserva che, più che una "perplessità" della domanda, come sostenuto
dalla difesa erariale, ricorressero tutte le condizioni per una declaratoria di difetto
di legittimazione passiva.

Ed infatti, P. G., nell'invocare il cd. "contratto con gli Italiani" che l'on.le S. B.
propose in vista delle elezioni politiche del 2001 e nel richiedere, in via cautelare
ed urgente, l'adozione di provvedimenti atti a garantire l'osservanza dell'impegno
a non ricandidarsi per il caso di mancato rispetto di almeno 4 dei 5 punti

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programmatici, faceva valere, con ogni evidenza, un impegno (sulla cui natura si
tornerà oltre) assunto personalmente dall'uomo politico, in nome proprio. In
nessun modo, invece, era coinvolta la presidenza del Consiglio dei Ministri, che
all'epoca di quella promessa non era rappresentata dall'on.le S. B.. Del resto, il
provvedimento cautelare invocato nei due punti sopra richiamati non coinvolgeva
in alcun modo la Presidenza del Consiglio, nei cui confronti però il P. G. ha inteso
ugualmente instaurare il giudizio cautelare evocando in giudizio S. B. non solo in
proprio, ma anche nella qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, e
notificando pertanto l'atto anche all'Avvocatura Distrettuale dello Stato (il che
vale a fugare qualsiasi dubbio sul fatto che la Presidenza del Consiglio fosse
realmente parte del giudizio).

Sotto tale profilo, dunque, più corretta sarebbe risultata una statuizione di
carenza di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
risultando negativamente condotta l'analisi, da svolgere anche questa d'ufficio ed
in via preliminare al merito, "dell'astratta coincidenza dell'attore e del convenuto
con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio,
sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta" (Cassazione civile, sez.
lav., 24 marzo 2004, n. 5912).

Nel merito, sussisteva, ad avviso di questo Collegio, la giurisdizione a decidere,


così come già ritenuto dal primo Giudice.

Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dai resistenti, la richiesta del ricorrente


non aveva riguardo né a profili relativi all'eleggibilità o meno dell'on.le S. B., né
alla coercibilità giuridica dell'attuazione del programma politico che questi
presentò nella forma del cd. "contratto con gli Italiani".

Ciò che il P. G. poneva a base delle sue richieste in fase cautelare era soltanto
quella clausola del cd. "contratto" con cui l'on.le S. B. si impegnava a non
ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche nel caso di
mancata attuazione di almeno 4 dei 5 punti programmatici. In questo senso, il
Collegio reputa che non rilevi neanche l'esigibilità o meno, sul piano giuridico, di
quegli impegni programmatici - come pure ipotizzato dal primo Giudice - dal
momento che il ricorrente non invocava (e non si vede, del resto, come avrebbe
potuto) il rispetto di quei punti programmatici, ma solo della promessa di non
ricandidarsi a fronte del mancato conseguimento di almeno 4 "traguardi".

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Ultroneo appare anche il riferimento alle cause di ineleggibilità dei candidati o alla
tipicità delle forme e delle azioni con cui ottenerne la declaratoria in sede
giudiziale o ad opera delle Camere di appartenenza: in questa sede si trattava
preliminarmente di stabilire se esistesse, o meno, un impegno a non ricandidarsi
da parte dell'on.le S. B. (al verificarsi di determinate condizioni) che l'avv.
Giancone potesse far valere.

Tale analisi conduce ad avviso del Collegio ad un esito negativo, come già
affermato dal primo Giudice.

Il ricorrente, odierno reclamante, si è sforzato di dare una qualificazione giuridica


del cd. "contratto con gli Italiani", ipotizzando che si tratti di un contratto con
obbligazioni a carico del solo proponente, ovvero di una promessa al pubblico.

Ma, sul punto, il Collegio ritiene che correttamente il primo Giudice abbia escluso
la sussumibilità della fattispecie entro schemi giuridici. Al di là, infatti, del "nomen
improprio" (così l'ordinanza oggetto di reclamo), sia che si voglia configurare quel
cd. "contratto" come un'offerta al pubblico, sia che la si voglia intendere come
una promessa al pubblico, occorrerebbe pur sempre attribuire a quell'impegno i
crismi della vincolatività giuridica, e dunque, di un impegno volto a costituire un
rapporto giuridico - patrimoniale.

Ed al contrario, è del tutto evidente (e non si vede come si possa intenderlo


differentemente, specie da un "tecnico" del diritto, quale l'avv. Giancone) che
quella serie di "traguardi" assunti con gli elettori, e, per ultimo, l'impegno a non
ricandidarsi, non fossero altro che strumenti di "marketing", volti ad introdurre
forme di comunicazione nuove nel panorama politico.

Nulla, peraltro, poteva indurre a ritenere che quegli impegni avessero una
qualche rilevanza sul piano giuridico: la estrema opinabilità dei modi di verifica
del raggiungimento dei cd. traguardi (al punto che, allo stato, non vi è accordo
nel dibattito politico né sui dati né sulle valutazioni e sui giudizi da trarne), la
sede e le modalità della stipula (nel pieno della campagna elettorale, momento
notoriamente di "promesse" di ogni tipo), la difficoltà - ove si qualifichi l'atto
come offerta - di verificarne l'accettazione (genericamente indicata nel "voto degli
italiani"), e la stessa singolarità della "sanzione per l'inadempimento", consistente
nella non ricandidatura dell'offerente/promittente alle elezioni politiche, opzione,
questa, ai limiti del "giustiziabile", col rischio, denunciato dai resistenti, di

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sconfinamento del Giudice dai suoi poteri e di lesione di diritti e prerogative
costituzionalmente protette.

In altre parole, il carattere propriamente propagandistico di quella iniziativa era


talmente palese da non poter indurre nessuna persona dotata di normale
discernimento a fidare sulla sua vincolatività, e soprattutto sulla sua esigibilità
giuridica; e, se può lasciare perplessi il ricorso ad una veste grafica e l'impiego di
una terminologia quasi notarile per dare maggior risalto e massima presa a
programmi e a promesse di stampo elettoralistico, questo non rende credibile - se
non a costo di una palese forzatura - che soggetti, peraltro tecnici del diritto,
possano avere equivocato sull'esatta portata di quella comunicazione televisiva.

Va, pertanto, confermata sul punto l'ordinanza impugnata.

Sulla premessa della correttezza nel merito della decisione impugnata, può ora
esaminarsi il reclamo (principale ed incidentale) per la parte per la quale residua
un interesse delle parti.

Il P. G. si duole del fatto che il primo Giudice, nel regolamentare le spese del
procedimento, lo abbia condannato nei confronti dei resistenti. A suo dire, infatti,
la assoluta novità, peculiarità e complessità delle questioni trattate erano tali da
giustificarne la compensazione, anche in ragione del rigetto di alcune questioni
pregiudiziali sollevate dai resistenti.

Anche su questo punto, ad avviso del Collegio, il reclamo è infondato.

è, infatti, sicuro che quelle trattate siano questioni nuove; ciò non toglie che si
trattasse di una prospettazione - a parte i dubbi sulla strumentalizzazione politica
dell'iniziativa avanzati dai resistenti - palesemente infondata, tale da giustificare
pienamente la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite. Né è a
parlarsi di una soccombenza reciproca per il fatto che alcune delle questioni
pregiudiziali siano state disattese, sia dal primo Giudice che da questo Collegio:
nel merito, comunque, la pretesa cautelare si è rivelata del tutto insussistente, e
tale da determinare la regolamentazione delle spese sulla base del consueto
criterio della soccombenza; criterio che, conseguentemente, dovrà ispirare anche
la regolamentazione in questa sede di gravame.

I resistenti/reclamati, a loro volta, si dolgono del rigetto da parte del primo


Giudice dell'istanza di condanna del P. G. al risarcimento dei danni per lite

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temeraria, sull'assunto del mancato assolvimento dell'onere probatorio in ordine
all'effettivo pregiudizio.

Sul punto, è sì vero - come dedotto dalla difesa dell'on.le S. B. - che l'eventuale
pregiudizio cagionato da un'iniziativa condotta con mala fede o colpa grave può
essere desunto sulla base di nozioni di comune esperienza, in ragione del tipo di
iniziativa intrapresa dall'avversario; e, tuttavia, ad avviso del Collegio, se la
modalità dell'iniziativa giudiziaria può essere sintomatica della lite temeraria, l'art.
96 c.p.c. è pur sempre finalizzato ad un ristoro di un pregiudizio suscettibile di
valutazione patrimoniale che, nel caso di specie, risulta inconfigurabile.

In definitiva, va dichiarato il sopravvenuto venir meno dell'interesse del


reclamante all'istanza cautelare, confermando per il resto il provvedimento
impugnato.

Il reclamante va condannato al pagamento delle spese anche del presente grado,


che si liquidano, in favore di ciascuna delle parti costituite, in complessivi euro
2.171,75, di cui euro 50,00 per spese, euro 161,00 per diritti (voce 75 della
tabella B della tariffa forense), euro 1.725,00 per onorario di avvocato (voce 50
della tabella A della tariffa forense) ed euro 235,75 per rimborso spese generali,
oltre IVA e CPA come per legge.

P.Q.M.

Il Tribunale, pronunciando in merito al reclamo proposto nell'interesse di P. G.


avverso il provvedimento emesso dal Giudice di questo Tribunale in data 30 -
31.3.2006, dichiara la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente;

rigetta, per il resto, il reclamo proposto;

condanna il reclamante al pagamento delle spese della presente fase, liquidate in


favore di ciascuna delle parti resistenti in complessivi euro 2.171,75, oltre IVA e
CPA come per legge.

Si comunichi.

Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio della IV sezione civile, in data
3.5.2006.

Il Presidente est.

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