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SEZ. IV CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
CONTRO
A fondamento della richiesta, l'avv. Giancone ha invocato il cd. "contratto con gli
Italiani" che l'On.le S. B., in vista delle elezioni politiche del 13 maggio 2001,
propose nel corso di una nota trasmissione televisiva in onda sulla rete nazionale
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Rai Uno, col quale venivano indicati cinque impegni politico - programmatici (in
materia di imposte, di criminalità ed ordine pubblico, di trattamento pensionistico,
di occupazione, di opere infrastrutturali) con l'aggiunta che "nel caso in cui al
termine dei cinque anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero
raggiunti, S. B. si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura
alle successive elezioni politiche".
L'avv. Giancone ha, quindi, sostenuto che al termine di cinque anni di governo
presieduto dall'on.le S. B. non erano stati realizzati quantomeno gli obiettivi
indicati ai punti 1, 4 e 5; e, preso atto che il dott. S. B., ciò nonostante, aveva
ripresentato la propria candidatura, e sull'intero territorio nazionale, ha ritenuto di
azionare il suindicato contratto, a suo dire inquadrabile nell'istituto giuridico del
contratto con obbligazioni del solo proponente, per far rispettare l'impegno a non
ricandidarsi. A tale riguardo, ha affermato che il fumus boni iuris era
rappresentato dall'inadempimento all'obbligazione di non ricandidarsi, ed il
periculum in mora dall'imminenza delle consultazioni elettorali del 9 - 10 aprile
2006, aggiungendo, tra l'altro, che la mancata realizzazione del primo punto del
cd. contratto con gli Italiani, relativo alla riduzione al 23 % dell'aliquota Irpef per i
redditi sino a lire 200.000.000, gli aveva provocato anche un danno patrimoniale,
consistente nella maggior somma versata all'Erario, di cui chiedeva il rimborso.
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giurisdizione, oltre che la palese infondatezza, sulla domanda di restituzione di
somme versate a titolo di Irpef; ha, quindi, evidenziato come non siano
sindacabili le scelte compiute dai parlamentari e come, dunque, pure a voler
ipotizzare l'esistenza di un valido contratto, le scelte operate nel corso della
legislatura sarebbero sottratte al giudizio del Giudice. Rivendicato, da ultimo, il
pieno rispetto degli impegni assunti, ha evidenziato il carattere temerario
dell'avversa pretesa, chiedendo la condanna del ricorrente al risarcimento dei
danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c.
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obbligazioni vincolanti a carico del resistente; in questo quadro, anche l'impegno
assunto dall'on.le S. B. a non ricandidarsi per il caso di mancato raggiungimento
di almeno 4 dei 5 obiettivi altro non era, ad avviso del Giudice di prime cure, che
una promessa di natura politica, il cui rispetto proprio per questo risultava
inesigibile, anche perché relativa ad un diritto personalissimo ed indisponibile,
costituzionalmente garantito. Ha, poi, respinto l'istanza di condanna ex art. 96
c.p.c., ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
In quest'ottica, a suo dire, gli obiettivi indicati nel cd. "contratto con gli Italiani"
dovevano considerarsi quali condizioni sospensive dal cui verificarsi dipendeva
l'esito dell'obbligazione promessa. Quanto poi al preteso carattere indisponibile
del diritto dedotto, ai sensi dell'art. 51 Cost., ha evidenziato la necessità di
contemperare i diritti in gioco e la libera e consapevole rinuncia manifestata dal
promittente. Da ultimo, in merito alla regolamentazione delle spese, il reclamante
ha contestato la decisione del primo Giudice, in considerazione della assoluta
novità, peculiarità e complessità delle questioni trattate, che avrebbero senz'altro
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giustificato la compensazione integrale delle stesse, anche in considerazione del
rigetto di alcune delle eccezioni preliminari sollevate dalle avverse difese.
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condanna del reclamante al risarcimento dei danni da lite temeraria, invocandone
una liquidazione equitativa.
Ebbene, il Collegio rileva che il petitum della fase cautelare di prime cure,
espressamente richiamato, relativamente ai punti a) e b) dell'originario ricorso,
anche in questa fase, attiene alla richiesta di "disporre l'immediata cancellazione
del nominativo di S. B. da tutte le liste (già depositate) dei candidati alla elezione
alla Camera Nazionale dei Deputati del 9 - 10 aprile 2006" e di "inibire al dott. S.
B. di ripresentare, su tutto il territorio nazionale, la propria candidatura alla
elezione alla Camera Nazionale dei Deputati del 9 - 10 aprile 2006".
Sotto tale profilo, ad avviso del Collegio è venuto meno l'interesse del ricorrente
alla pronuncia cautelare.
Com'è noto, l'interesse ad agire - che prescinde totalmente dalla fondatezza nel
merito della pretesa fatta valere - sorge dalla necessità di ottenere dal processo
la tutela dell'interesse sostanziale dedotto, e presuppone, pertanto, non solo
l'affermazione di tale lesione, ma anche l'idoneità del provvedimento domandato
a proteggerlo.
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Nel caso di specie, la proclamazione dell'elezione dell'on.le S. B., se non segna
certo la cessazione della materia del contendere (che "presuppone che le parti si
diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione
sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al
giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite": Cassazione
civile, sez. III, 8 giugno 2005, n. 11962), determina l'evidente inidoneità del
provvedimento invocato a proteggere l'interesse dedotto in giudizio ed
asseritamente leso dalla condotta del resistente. Ed infatti, la cancellazione dalle
liste dei candidati o l'inibizione alla candidatura non potrebbero più sortire l'effetto
voluto, per la loro intrinseca inidoneità, una volta espletatosi l'iter elettorale, a
paralizzare la candidatura (e l'elezione) del S. B..
Relativamente alla posizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, peraltro, il
Tribunale osserva che, più che una "perplessità" della domanda, come sostenuto
dalla difesa erariale, ricorressero tutte le condizioni per una declaratoria di difetto
di legittimazione passiva.
Ed infatti, P. G., nell'invocare il cd. "contratto con gli Italiani" che l'on.le S. B.
propose in vista delle elezioni politiche del 2001 e nel richiedere, in via cautelare
ed urgente, l'adozione di provvedimenti atti a garantire l'osservanza dell'impegno
a non ricandidarsi per il caso di mancato rispetto di almeno 4 dei 5 punti
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programmatici, faceva valere, con ogni evidenza, un impegno (sulla cui natura si
tornerà oltre) assunto personalmente dall'uomo politico, in nome proprio. In
nessun modo, invece, era coinvolta la presidenza del Consiglio dei Ministri, che
all'epoca di quella promessa non era rappresentata dall'on.le S. B.. Del resto, il
provvedimento cautelare invocato nei due punti sopra richiamati non coinvolgeva
in alcun modo la Presidenza del Consiglio, nei cui confronti però il P. G. ha inteso
ugualmente instaurare il giudizio cautelare evocando in giudizio S. B. non solo in
proprio, ma anche nella qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, e
notificando pertanto l'atto anche all'Avvocatura Distrettuale dello Stato (il che
vale a fugare qualsiasi dubbio sul fatto che la Presidenza del Consiglio fosse
realmente parte del giudizio).
Sotto tale profilo, dunque, più corretta sarebbe risultata una statuizione di
carenza di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
risultando negativamente condotta l'analisi, da svolgere anche questa d'ufficio ed
in via preliminare al merito, "dell'astratta coincidenza dell'attore e del convenuto
con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio,
sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta" (Cassazione civile, sez.
lav., 24 marzo 2004, n. 5912).
Ciò che il P. G. poneva a base delle sue richieste in fase cautelare era soltanto
quella clausola del cd. "contratto" con cui l'on.le S. B. si impegnava a non
ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche nel caso di
mancata attuazione di almeno 4 dei 5 punti programmatici. In questo senso, il
Collegio reputa che non rilevi neanche l'esigibilità o meno, sul piano giuridico, di
quegli impegni programmatici - come pure ipotizzato dal primo Giudice - dal
momento che il ricorrente non invocava (e non si vede, del resto, come avrebbe
potuto) il rispetto di quei punti programmatici, ma solo della promessa di non
ricandidarsi a fronte del mancato conseguimento di almeno 4 "traguardi".
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Ultroneo appare anche il riferimento alle cause di ineleggibilità dei candidati o alla
tipicità delle forme e delle azioni con cui ottenerne la declaratoria in sede
giudiziale o ad opera delle Camere di appartenenza: in questa sede si trattava
preliminarmente di stabilire se esistesse, o meno, un impegno a non ricandidarsi
da parte dell'on.le S. B. (al verificarsi di determinate condizioni) che l'avv.
Giancone potesse far valere.
Tale analisi conduce ad avviso del Collegio ad un esito negativo, come già
affermato dal primo Giudice.
Ma, sul punto, il Collegio ritiene che correttamente il primo Giudice abbia escluso
la sussumibilità della fattispecie entro schemi giuridici. Al di là, infatti, del "nomen
improprio" (così l'ordinanza oggetto di reclamo), sia che si voglia configurare quel
cd. "contratto" come un'offerta al pubblico, sia che la si voglia intendere come
una promessa al pubblico, occorrerebbe pur sempre attribuire a quell'impegno i
crismi della vincolatività giuridica, e dunque, di un impegno volto a costituire un
rapporto giuridico - patrimoniale.
Nulla, peraltro, poteva indurre a ritenere che quegli impegni avessero una
qualche rilevanza sul piano giuridico: la estrema opinabilità dei modi di verifica
del raggiungimento dei cd. traguardi (al punto che, allo stato, non vi è accordo
nel dibattito politico né sui dati né sulle valutazioni e sui giudizi da trarne), la
sede e le modalità della stipula (nel pieno della campagna elettorale, momento
notoriamente di "promesse" di ogni tipo), la difficoltà - ove si qualifichi l'atto
come offerta - di verificarne l'accettazione (genericamente indicata nel "voto degli
italiani"), e la stessa singolarità della "sanzione per l'inadempimento", consistente
nella non ricandidatura dell'offerente/promittente alle elezioni politiche, opzione,
questa, ai limiti del "giustiziabile", col rischio, denunciato dai resistenti, di
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sconfinamento del Giudice dai suoi poteri e di lesione di diritti e prerogative
costituzionalmente protette.
Sulla premessa della correttezza nel merito della decisione impugnata, può ora
esaminarsi il reclamo (principale ed incidentale) per la parte per la quale residua
un interesse delle parti.
Il P. G. si duole del fatto che il primo Giudice, nel regolamentare le spese del
procedimento, lo abbia condannato nei confronti dei resistenti. A suo dire, infatti,
la assoluta novità, peculiarità e complessità delle questioni trattate erano tali da
giustificarne la compensazione, anche in ragione del rigetto di alcune questioni
pregiudiziali sollevate dai resistenti.
è, infatti, sicuro che quelle trattate siano questioni nuove; ciò non toglie che si
trattasse di una prospettazione - a parte i dubbi sulla strumentalizzazione politica
dell'iniziativa avanzati dai resistenti - palesemente infondata, tale da giustificare
pienamente la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite. Né è a
parlarsi di una soccombenza reciproca per il fatto che alcune delle questioni
pregiudiziali siano state disattese, sia dal primo Giudice che da questo Collegio:
nel merito, comunque, la pretesa cautelare si è rivelata del tutto insussistente, e
tale da determinare la regolamentazione delle spese sulla base del consueto
criterio della soccombenza; criterio che, conseguentemente, dovrà ispirare anche
la regolamentazione in questa sede di gravame.
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temeraria, sull'assunto del mancato assolvimento dell'onere probatorio in ordine
all'effettivo pregiudizio.
Sul punto, è sì vero - come dedotto dalla difesa dell'on.le S. B. - che l'eventuale
pregiudizio cagionato da un'iniziativa condotta con mala fede o colpa grave può
essere desunto sulla base di nozioni di comune esperienza, in ragione del tipo di
iniziativa intrapresa dall'avversario; e, tuttavia, ad avviso del Collegio, se la
modalità dell'iniziativa giudiziaria può essere sintomatica della lite temeraria, l'art.
96 c.p.c. è pur sempre finalizzato ad un ristoro di un pregiudizio suscettibile di
valutazione patrimoniale che, nel caso di specie, risulta inconfigurabile.
P.Q.M.
Si comunichi.
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio della IV sezione civile, in data
3.5.2006.
Il Presidente est.
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