Gandhi, detto il Mahatma (Grande Anima), è il fondatore della nonviolenza e il padre
dell’indipendenza indiana. Nasce nel 1869 a Portbandar, in India. Dopo essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l’avvocatura a Bombay. Di origini benestanti, nelle ultimi generazioni la sua famiglia ricoprì alcune cariche importanti. I Gandhi appartenevano a una setta Hindù. Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana: qui rimarrà per ventuno anni, e si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L’indignazione per le discriminazioni subite da lui stesso e dai suoi connazionali da parte delle autorità britanniche, lo spinge alla lotta politica. Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia il suo metodo di lotta basato sulla resistenza non violenta, una forma di non-collaborazione con il governo britannico. Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani, volte al riconoscimento dei loro diritti e la validità dei matrimoni religiosi. Nel 1915 Gandhi torna in India, dove già da tempo c’erano episodi di ribellione contro l’arroganza del dominio britannico, in particolare in seguito alla nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso raccolto, e per la crisi dell’artigianato. Diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione del colonialismo britannico. Nel 1919 prende il via la prima grande campagna di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato. Dopo pochi mesi esce dal carcere e riprende la sua battaglia. Nuovamente incarcerato e rilasciato, partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza del suo paese. La terza campagna di resistenza è del 1930, occasione in cui organizza la marcia del sale, una manifestazione pacifica che coinvolse diverse migliaia di persone in un percorso di 380 km. La corona inglese aveva infatti imposto ai locali di acquistare il sale dalla madrepatria a un costo elevato, anziché produrlo in proprio, e questo danneggiava soprattutto le classi più povere. Dopo aver sottoposto la questione al viceré senza aver ottenuto risposta, Gandhi si mise in marcia con 78 persone verso la costa. Dopo 24 giorni il gruppo, che era diventato un vero esercito non violento, raggiunse il mare e ne raccolse il sale, lasciandolo asciugare al sole. Con questa azione essi infransero la legge, e oltre 60.000 furono incarcerate, tra cui Gandhi e sua moglie. Spesso incarcerato anche negli anni successivi, ad ogni arresto risponde con lunghi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l’attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana). Un altro simbolo della protesta di Gandhi fu l’arcolaio, lo strumento per filare il cotone: Gandhi propose a tutti di indossare abiti in khadi, il tessuto tradizionale filato a mano con l’arcolaio, in modo da boicottare le stoffe e gli abiti inglesi. Ciò avrebbe permesso di dare lavoro a migliaia di persone, includendo anche le donne nel movimento d’indipendenza. Lo stesso Gandhi indossava sempre un abito in khadi bianco, che divenne l’uniforme del Partito del Congresso da lui guidato. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra, se questa non garantirà all’India l’indipendenza. A ciò il governo britannico risponde arrestando oltre 60.000 persone e lo stesso Gandhi, che viene rilasciato dopo due anni. Il 15 agosto 1947 finalmente l’India conquista l’Indipendenza. Gandhi vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione evidenzia la separazione tra indù e musulmani, e culmina in una violenta guerra civile che costa quasi un milione di morti e sei di profughi. L’atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione del paese suscita la reazione violenta di un fanatico indù, che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera. Ricordiamo il pensiero di Gandhi come basato su tre punti fondamentali: - Autodeterminazione dei popoli: Gandhi riteneva fondamentale che gli indiani potessero decidere come governare il loro paese, perché la miseria in cui si trovava dipendeva dallo sfruttamento delle risorse da parte dei colonizzatori britannici. - Non violenza: per Gandhi, la violenza suscita solo altra violenza, quindi di fronte ai violenti è passivo, non reagisce. Inoltre propone la disobbedienza civile, ovvero il non obbedire ad alcune leggi ingiuste in modo da determinare un danno economico alle istituzioni. - Tolleranza religiosa: Gandhi sognava la convivenza pacifica e rispettosa dei tantissimi gruppi etnici e delle professioni religiose presenti in Italia. Queste erano delle ricchezze che dovevano convivere e non dividere la nazione. Purtroppo, gli eventi non andarono come sperava Gandhi.