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IL VIAGGIO STELLARE DI DANTE ALIGHIERI

Giacomo Albano

Fin dalla più remota antichità il Polo nord celeste e la Stella Polare sono stati ritenuti il vertice di
quella Montagna Sacra che occorre simbolicamente scalare per ascendere agli stati superori
dell’Essere, fino al ritorno a quello stato supremo della coscienza dal quale siamo caduti, e che
viene solitamente identificato con la Coscienza Cosmica, ovvero con la Divinità.
A questo proposito il grande esoterista francese Renè Guènon spiega nei suoi libri che il vero
Sole centrale occulto dell’Universo è la Stella Polare, e che questo è uno dei più grandi segreti
della Massoneria operativa. Anche le recenti scoperte nel campo dell’archeoastronomia hanno
confermato l’importanza “sciamanica” del Polo e della Stella Polare per le culture dell’antichità a
tutte le latitudini del globo.
È verosomile che anche un uomo eccezionale come Dante Alighieri avesse conoscenza di
questo sapere iniziatico, data anche l’importanza e il significato “sacro” che attribuiva
all’astronomia, e che quindi nella Divina Commedia possa nascondersi anche un simbolismo di
tipo astronomico che riecheggia queste antiche dottrine. Allegorizzare certi fenomeni
astronomici in forma di racconti e miti (di solito si trattava dei cambiamenti relativi ai cicli
precessionali delle stelle) era una procedura molto comune nell’antichità, quindi l’interpretazione
astronomica che ora offriremo di un canto del poema dantesco non deve sorprendere più di
tanto perché sarebbe perfettamente in linea con questa tradizione.
Oggetto della nostra analisi sarà il trentaduesimo canto del Purgatorio in cui Dante descrive una
solenne processione: prima sette candelabri che simboleggiano i doni dello Spirito Santo;
seguono ventiquattro vegliardi, poi un carro (che secondo l’interpretazione comune rappresenta
la Chiesa), trainato da un grifone. Secondo l’interpretazione comune il Carro sarebbe simbolo
della Chiesa e l’allegoria nel complesso descriverebbe quattro momenti cruciali della vita della
Chiesa, dalle prime persecuzioni fino alle eresie e agli scismi, passando per la donazione di
Costantino. Sicuramente questo è effettivamente uno dei livelli di significato del passo; tuttavia
l’allegoria è così elaborata e dal tono così apocalittico che appare strano che il poeta abbia
profuso un simile sforzo immaginativo e poetico solo per raccontare cose già perfettamente
conosciute da tutti. È quindi operazione più che legittima andare alla ricerca di ulteriori possibili
livelli di significato presenti nell’allegoria.
A un certo punto Dante descrive Beatrice che scende dal carro mentre tutti mormorano
"Adamo", circondando un albero completamente privo di gemme o foglie. La sua chioma ha
forma di cono rovesciato ed è di altezza smisurata. Le voci delle varie figure simboliche esaltano il
grifone (simbolo di Cristo) perché non si ciba di quell'albero, dolce al gusto ma dannoso poi; e il
grifone risponde che in tal modo si preserva il bene.
L’esplicito riferimento ad Adamo toglie ogni dubbio circa il fatto che si tratta dell’Albero della
Scienza del Bene e del Male quando viene vissuto nella sua forma “deviata”, cioè come via
verso la caduta nel mondo della dualità e del molteplice. Nel simbolismo tradizionale al quale
abbiamo fatto riferimento, l’Albero della Scienza si identifica con il coluro equinoziale, cioè con
il meridiano fondamentale che passa per il punto gamma. Ecco perché viene descritto come di
altezza smisurata. Sia il coluro equinoziale che quello solstiziale sono possibili Vie di risalita verso
lo stato supremo rappresentato dal Polo. Il punto è che ai tempi di Dante sul coluro equinoziale
si trovava proprio la Stella Polare, e questo importante dato astronomico rende molto
plausibile l’intenzionalità di un simbolismo astronomico di questa natura.
Evidenziata da un cerchietto, la Stella Polare sul coluro equinoziale (linea bianca) nel 1300

Il grifone quindi trascina il carro fino all'albero e lo lega ad esso. In quello stesso momento
l’Albero, fino a quel momento del tutto spoglio, si riveste di gemme e di fiori. Matelda invita
Dante a contemplare Beatrice seduta sotto l'albero, circondata dalle sette Virtù. Beatrice esorta
Dante a osservare con attenzione il carro e prepararsi a scrivere fedelmente, tornato sulla Terra,
tutto quello che vedrà.
A questo punto dalla cima dell'albero scende un'aquila che ne fende la corteccia e colpisce
violentemente il carro, il quale si piega su un fianco. Appare anche un drago che conficca la coda
nel carro, poi la ritrae trascinando con sé una parte del fondo, quindi se ne va. Il carro così
trasformato mette fuori tre teste (ciascuna con due corna) sul timone e una su ogni lato,
trasformandosi in una sorta di mostro. Si tratta dunque di un mostro con sette teste in tutto,
proprio come le sette stelle del Grande Carro e del Piccolo Carro. Ora vedremo di quale dei due
carri si tratta…
Sul carro appare una prostituta provocante, che scambia baci con un gigante. L'amante la
percuote selvaggiamente, poi scioglie il carro dall'albero e lo trascina per la foresta.
Secondo l’interpretazione comune la meretrice rappresenta la Curia romana e il suo
atteggiamento lascivo con il gigante allude alla relazione tra Filippo il Bello re di Francia e la
Chiesa, da cui deriverà la cattività avignonese. Anche in questo caso non si comprende perché
Dante abbia fatto ricorso a un simbolismo così elaborato e dal forte sapore teologico soltanto per
descrivere qualcosa che in altri punti del poema ha condannato esplicitamente e senza giri di
parole. Il poeta che ha scelto di concludere ciascuna delle tre cantiche con la parola “stelle”
voleva probabilmente veicolare anche altri significati più occulti.
Le allusioni astronomiche sono fin troppo evidenti. Abbiamo visto che l’Albero di Adamo è
l’Albero della Scienza del Bene e del Male (coluro equinoziale). In un primo momento avevo
pensato che il Carro fosse il Grande Carro dell’Orsa Maggiore. Ma poi ho capito che in realtà si
tratta del Piccolo Carro (Orsa Minore). Infatti, anche il Timone del Piccolo Carro è composto da
tre stelle, e una di queste era proprio la Stella Polare che marca l’estremità del Timone e che
all’epoca si trovava proprio sul coluro equinoziale, quindi era “attaccata all’Albero”. E il Carro
vero e proprio è composto da altre quattro stelle.
In questa parte del poema Dante è stato molto più esplicito del solito nella sua allusione al
ruolo centrale della Stella Polare, che quando viene legata all’Albero (cioè al coluro equinoziale)
lo fa appunto “fiorire”…
Così come il Grande Carro, anche il Piccolo Carro viene tradizionalmente diviso in un Timone
composto da tre stelle e nel Carro vero e proprio, composto da quattro stelle

Il Drago rappresenta l’omonima costellazione che è anche simbolo del Maligno causa della
Caduta, e che appare nelle forme di un terribile Guardiano della Soglia per chi tenta l’ascesa al
Cielo. Dante stesso dice che le tre teste del mostro in cui si trasforma il Carro si trovano nel
Timone: sono le tre stelle del timone del Piccolo Carro (Circitores, Yildun e la Polare stessa). Le
altre quattro teste sono le quattro stelle che compongono l’immagine del Carro vero e proprio.
Ebbene, il timone del Piccolo Carro e la coda del Drago si trovavano proprio lungo il coluro
equinoziale (l’Albero), cioè lungo la Via seguita da Dante per la risalita dei piani. Si trattava in
particolare della Stella Polare e della stella “kappa” del Drago.
Lo vediamo nell’immagine riportata qui sotto. La linea bianca rappresenta il coluro equinoziale
lungo il quale erano sia la Stella Polare (nel Timone del Piccolo Carro) che la stella “kappa” del
Drago. Dall’altro lato rispetto al Polo, sempre lungo il coluro equinoziale, vi erano Cassiopea con
la stella Schedar e Andromeda con la stella “delta”, possibili immagini celesti delle due donne
protagoniste di questo canto, e cioè Beatrice e Matelda.

Abbiamo quindi un duplice possibile aspetto del Piccolo Carro e delle sue sette stelle: da un lato
i sette candelabri che corrispondono alle sette virtù teologali, dall’altro (in seguito a un
rovesciamento di prospettiva dovuto alla Caduta e al conseguente “errore di percezione”
dell’uomo caduto) la sua trasformazione in un mostro con sette teste. I 24 vegliardi potrebbero
essere simboli dei 24 meridiani che corrispondono a ciascuna delle 24 ore.

L’Albero è del tutto spoglio e privo di gemme. Ma quando il timone del Carro viene legato
all’Albero, esso improvvisamente fiorisce. Questo significa che la via del coluro equinoziale è
quella lungo la quale è avvenuta la Caduta dallo stato supremo rappresentato dal Polo, ma che la
presenza in quell’epoca della Stella Polare su di esso (rappresentata dal Timone del Carro che
viene attaccato all’Albero) offriva una possibile Via di salita al Cielo lungo il coluro. E infatti
Beatrice invita Dante a osservare con attenzione il carro e prepararsi a scrivere fedelmente,
tornato sulla Terra, tutto quello che vedrà.
Anche la stella Schedar (l’alfa di Cassiopea) era sul coluro equinoziale. Come potete vedere in
questa immagine, quando la stella culminava veniva a trovarsi sotto la Stella Polare lungo
“l’Albero”, quindi è ben allegorizzata dalla scena di Beatrice seduta sotto l’Albero e circondata
dalle sette Virtù (le sette stelle dell’Orsa Minore). La funzione salvifica dell’immagine femminile di
Cassiopea-Beatrice è dovuta proprio al suo essere allineata lungo il coluro equinoziale alla Stella
Polare.
Schedar sotto la Polare lungo il coluro equinoziale rappresenta Beatrice seduta sotto l’Albero.
Infatti, la stella appartiene all’immagine stellata di Cassiopea, la mitica regina incastonata nel
cielo.
Alla fine, dopo l’attacco del Drago, il Carro viene sciolto dall’Albero e trascinato per la foresta.
Questa visione è un simbolo del modo in cui il mondo terrestre e la coscienza umana sono
staccati dall’Albero dal senso di individualità e separazione e dai corrispondenti attaccamenti
inferiori, veri e propri Guardiani della Soglia che sono anche dentro noi stessi.
Infatti, il Carro è anche un simbolo del nostro “veicolo”, sia nella sua forma più “grossolana” (il
corpo fisico e l’anima inferiore), sia nella sua forma più “sottile” (il Corpo di Luce). E quando la
parte grossolana prende il sopravvento, esso viene staccato dall’Albero, rendendo impossibile
questa via di comunicazione con i mondi superiori.

In altre parole, quello qui descritto con l’immagine del cono rovesciato è il punto di vista
dell’uomo caduto che lo porta a vedere una realtà “rovesciata”. Un po’ come i prigionieri della
caverna descritti da Platone che scambiano le ombre proiettate sul suo fondo per immagini
reali…
In questo modo Dante ci insegna anche che ogni Forza è polare, e quindi anche le stelle
possono avere manifestazioni che non soltanto sono diverse, ma che possono addirittura
apparire tra loro opposte. Tutto dipende dallo stato dell’essere in cui si trova chi le percepisce.
In particolare, qui viene mostrato il duplice aspetto dello stesso Albero della Scienza del Bene e
del Male (coluro equinoziale), che è stato ed è la Via lungo la quale è avvenuta la Caduta, ma che
per l’anima degna e purificata può diventare anche la Via del ritorno allo Stato Supremo, cioè la
Via per la risalita.
Emergono così altre conferme del fatto che Dante ha occultamente rappresentato nel suo
poema l’antica Via per la risalita dei piani dell’essere, basata sui coluri e sulla Stella Polare. E
quindi non è un caso se il suo poema è stato composto in quel periodo che dal punto di vista
astronomico presentava questi allineamenti stellari lungo il coluro equinoziale.

Per approfondimenti:

Qui trovate tutti i libri di Giacomo Albano


albano.giacomo@yahoo.it
www.astrologiaprevisionale.net

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