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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLE PRODUZIONI AGRARIE E


ALIMENTARI

Corso di laurea in:


Scienze e Tecnologie agrarie

GESTIONE SOSTENIBILE DELLE TECNICHE AGRONOMICHE


Docente: Prof. Cosentino Salvatore

“GESTIONE SOSTENIBILE DELLE ERBE INFESTANTI”

Relazione compilativa

A cura di:

Crimi Mario Donato

D’Agata Claudia

Scurria Giuseppa
Gestione sostenibile delle erbe infestanti

-INDICE-

1. Introduzione pag. 3

2. Cenni storici pag. 4

3. Piante infestanti pag. 4

3.1. Definizioni pag. 5

4. Classificazioni pag. 5

4.1. Classificazione per gruppi biologici pag.5

4.2. Classificazione per gruppi ecofisiologici pag. 8

4.3. Classificazione ecologica: Le Comunità di malerbe in Europa pag. 9

5. Danni causati dalle erbe infestanti pag. 9

6. Controllo delle infestanti pag. 11

7. Gestione integrata pag. 12

8. Metodi di controllo delle erbe infestanti pag. 13

8.1. Obiettivi e principi del controllo pag. 13

8.2. Tecniche di controllo pag. 14

8.2.1. Mezzi meccanici pag. 15

8.2.2. Mezzi fisici pag. 17

8.2.3. Mezzi chimici o diserbo pag. 19

8.2.4. Mezzi biologici pag. 24

8.2.5. Mezzi ecologici pag. 28

9. La funzione positiva delle erbe infestanti pag. 32

10. Bibliografia pag. 34

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

1. Introduzione
Definire cosa sia una pianta è più difficile di quanto non sembri a prima vista.
Linneo divise i viventi in piante ed animali e come carattere discriminante considerò la sensibilità,
raggruppando così tutti gli organismi privi di sensibilità ossia i vegetali sotto il nome di piante.
D’ altra parte Linneo rivolgeva la sua attenzione alle piante superiori ovvero quelle organizzate in
fusto, radici e foglie, ma di fatto la nozione di pianta non sta nel singolo carattere discriminante
bensì nella presenza di un complesso di caratteri.
Accingendoci a parlare di piante superiori e data la sterminata varietà di ambienti differenti che
sono esistiti e che esistono nel nostro pianeta, ognuno contraddistinto da proprie e specifiche
caratteristiche, si comprende come l’insediamento in ognuno di essi abbia favorito o determinato
l’ affermarsi in natura di una quantità pure sterminata di specie diverse, ognuna contraddistinta da
proprie e specifiche organizzazioni fisiologico – strutturali del corpo.
Naturalmente, mentre alcuni di questi ambienti nonostante lo scorrere del tempo hanno
conservato o lievemente mutato le proprie caratteristiche, altri all’opposto si sono via via
profondamente modificati, quindi in alcuni ambienti hanno potuto sopravvivere organismi simili a
quelli che colonizzavano un tempo gli stessi luoghi, in altri sono risultati indispensabili più o meno
profonde modifiche , senza le quali sarebbe stata messa in forse la stessa sopravvivenza di quel
dato organismo.
Nelle piante troviamo tutta un’ampia serie di gradi organizzativi della morfologia del corpo, i tre
maggiori livelli organizzativi sono Protofite, Tallofite, Cormofite.
Il livello delle Protofite corrisponde a quello dei più antichi organismi cellulari;
Le Tallofite comprendono forme sia unicellulari che pluricellulari, i talli filamentosi riunendosi tra
di loro danno origine a pseudo tessuti;
le Cormofite hanno corpo costituito da tre organi fondamentali: radici, fusto e foglie.
Data la definizione di pianta, si sente l’esigenza sin dal medioevo della sistemazione in qualche
modo degli individui tutti e quindi anche per i vegetali. Il numero di specie note non era molto
elevato quindi non vi era la necessità di riunirli in taxa di ordine superiore, successivamente nel
‘500 fu un medico italiano, Andrea Cisalpino che propose di ordinare le 1500 specie vegetali a lui
note nell’Opera De Plantis Libri XVI scritta ne 1583 che riuniva le specie vegetali in 20 classi,
definite sulla base dei caratteri morfologici.
La vera Pietra miliare della biologia sistematica fu Carl von Linnè , che considerava il sistema come
uno strumento per giungere alla identificazione degli organismi.

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L’intero universo di oggetti sensibili li divide in viventi e non viventi, tra i viventi in piante ed
animali. Il sistema, struttura logica di cui ci serviamo per organizzare in classi un qualsiasi insiemi di
oggetti; nel sistema di classificazione delle piante, gli individui sono riuniti in specie, le quali a loro
volta sono riuniti in genere, famiglie ecc., quello linneano è strutturato gerarchicamente ed è
divisivo, procedendo dall’ alto verso il basso per successive divisioni.
Si deduce come le erbe infestanti essendo piante di natura superiore siano inserite nel sistema di
classificazione.

2. Cenni storici
La necessità di tenere sotto controllo le erbe infestanti, si manifesta sin dai tempi del Neolitico
(circa 10.000 anni fa), quando l'uomo inizia con la coltivazione di alcune forme primitive di cereali
e di altre piante spontanee, per provvedere ai suoi bisogni alimentari. Gradualmente, l'uomo
innesca una profonda trasformazione nelle antiche associazioni vegetali naturali modificando così
il suo rapporto con l' ambiente e con l' uso del territorio (Hausman, 1986).

Sulla base di questa premessa, il concetto stesso di infestante, è mutato nel corso della storia,
contestualmente allo sviluppo ed alla diffusione di sistemi colturali caratterizzati da produzioni
sempre più specializzate ed intensive.

3. Piante infestanti
Quando si parla di erbe infestanti, ci si riferisce a tutte quelle erbe che in qualche modo
alterano il rendimento della pianta coltivata.
La definizione di pianta infestante che viene oggi più frequentemente utilizzata è quella di :
“pianta che cresce dove non è desiderata, che interferisce con gli obiettivi e le esigenze dell’uomo”
(European Weed Research Society 1975).

Il concetto di pianta infestante rimane comunque relativo e non assoluto in quanto, spesse volte la
stessa specie in alcune condizioni si rivela utile, mentre in altri contesti risulta assai dannosa.
Tra gli esempi che potrebbero essere fatti, quello più emblematico riguarda il Lolium temulentum
(zizzania o loglio) che può deprimere una coltura destinata all’alimentazione umana, ma anche
fornire un buon foraggio per il bestiame

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3.1. Definizioni
Le definizioni sono molteplici in quanto ci si riferisce a diversi argomenti.

 Definizione ecologica: una pianta è una malerba se in una specifica area geografica, la sua
popolazione cresce interamente o in maniera preponderante in ambienti marcatamente
disturbati dall’uomo. (Baker, 1965)

 Definizione malerbologica: “è infestante ogni pianta o vegetazione, escluso i funghi, che


interferisce con gli obiettivi dell’uomo” ( European Weed Research Society, EWRS ).

 Definizione Ecologica Malerbologica: “ Le malerbe sono piante adattate agli habitat


modificati dall’uomo e che interferiscono con le attività umane ( Holzener, 1982).

4. Classificazioni
Si avverte quindi, anche nello studio delle piante infestanti la necessità di una classificazione e
questa viene fatta a seconda degli obiettivi:

Distinzione tra malerbe a foglia:

 Larga: ovvero le dicotiledoni

 Stretta: ovvero le monocotiledoni

- Classificazione per gruppi biologici


- Classificazione per gruppi ecofisiologici
- Classificazione ecologica
- Classificazione botanica

4.1. Classificazione per gruppi biologici :


Classificazione adottata da Montegut nel 1984. Suddivide le piante in gruppi biologici sulla
base della modalità con cui superano il momento sfavorevole dell’annata, seme o gemma, e sulla
posizione delle gemme rispetto alla superficie del terreno (Sistema di RAUNKIAER ). La posizione
delle gemme sulla pianta dipende dal tipo di strategia che la pianta ha adottato per la sua
sopravvivenza.

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Forme biologiche di Raunkiaer

 Terofite (T): piante annuali che superano la stagione avversa allo stato di seme.

In relazione all’epoca di emergenza si distinguono:

 Specie annuali d’estate (Th1)

 Specie annuali d’inverno (Th2)

 Specie indifferenti (Th1-Th2)

Le piante Terofite sono tipiche dei terreni con struttura e tessitura favorevole, che vengono
sottoposti ad un rivoltamento completo dello strato lavorato e nei quali si pratica un
avvicendamento intensivo di colture annuali senza inserimento di maggese o delle colture
foraggere.

 Idrofite (I): piante perenni acquatiche con gemme sommerse

 Geofite (G): piante perenni con gemme sotterranee, contenute entro bulbi e rizomi: sono
piante vivaci, nelle quali la riproduzione vegetativa dinamica è assicurata da un organo
sotterraneo. Si adattano a tutti i terreni e i tipi di lavorazione, ma la loro presenza è
superiore nei terreni non lavorati ed argillosi.

 Emicriptofite (H): piante perenni con gemme al livello del terreno, con portamento a
rosetta, oppure cespugliose o anche con fusto ben sviluppato. Si propagano oltre che per
seme per mezzo di gemme poste appena sotto la superficie del terreno. Sono a ciclo
annuale, ma il cespo è pluriennale. Sono specie tipiche dei prati e dei tappeti erbosi
permanenti, degli arboreti dove si insediano lungo i filari, grazie ai disturbi meno intensi
che il terreno subisce in quella zona. La presenza di emicriptofite in un terreno lavorato sta
a significare che il terreno è stato mal lavorato o lavorato poco profondamente.

 Camefite (Ch): piante perenni, alla base legnose, con gemme a meno di 2-3 cm di altezza
dal suolo; si distinguono in camefite striscianti, succulente, a cuscinetto, suffruticose, ecc.
Sono piante a riproduzione sessuata. In funzione della lignificazione degli organi che
portano le gemme e dell’altezza a cui sono situate rispetto al terreno si distinguono:

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Camefite erbacee, generalmente stolonifere e di altezza inferiore ai 25 cm: le gemme


producono prima dell’inverno dei getti che portano al di sopra del terreno delle gemme
svernanti;

Camefite legnose che presentano gemme nettamente sopra il terreno

 Fanerofite (P): piante perenni legnose con gemme a più di 3 cm di altezza dal suolo:
tipicamente gli alberi ed i grossi cespugli;
intermedi tra questo gruppo e il precedente sono gli arbusti nani (nano fanerofite), che
sono piante arbustive a crescita basitona, formanti cespugli di 50-200 cm di altezza.

 Epifite: sono specie vegetali parassite, incapaci di condurre una vita autotrofa
indipendente (Orobanche spp).

 Elofite ed idrofite: ne fanno parte le specie vegetali adattate a vivere nell’acqua:


il primo gruppo è formato da specie semiacquatiche dotate di gemme perennanti sotto la
superficie dell’acqua (Alisma plantago);
il secondo gruppo è formato da piante acquatiche che vivono completamente sommerse,
con foglie e fiori che galleggiano sulla superficie dell’acqua (Potamogeton spp.).

Schema delle forme biologiche di Raunkiaer

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4.2. Classificazione per gruppi ecofisiologici


Questa classificazione, proposta da Montegut (1975), si basa sulla constatazione che le
malerbe nate da seme, sia annuali o pluriennali, emergono in periodi dell’anno ben precisi in
funzione di un insieme specifico di esigenze ecofisiologiche.

 Specie indifferenti: Sono in grado di emergere in tutte le stagioni dell’anno grazie ad


esigenze germinative molto varie. Vengono distinte in tre sottogruppi:

- Totalmente indifferenti: in grado di germinare a temperature comprese tra 0 e 30-33°C


(Senecio vulgaris, Poa annua). Sono dette anche annuali da 100 giorni in quanto in poco
più di tre mesi vanno a seme.

- Parzialmente indifferenti: specie la cui germinazione non avviene al di sotto dei 5° C. Le


emergenze sono generalmente concentrate ad inizio autunno e a fine inverno.

- Apparentemente indifferenti: specie che germinano tutto l’anno per l’elevata


eterogeneità fisiologica dei semi. Vi afferiscono alcune Brassicacee.

 Specie autunnali: Sono le specie che devono subire l’effetto vernalizzante delle basse
temperature. Vengono distinte in tre sottogruppi:

- Specie a germinazione autunnale stretta, indifferenti al fotoperiodo, che fioriscono in


inverno e germinano all’arrivo delle prime piogge autunnali (es. Poaceae).

- Specie a germinazione autunnale preferenziale che combinano il bisogno di freddo per


la vernalizzazione con il bisogno di giorno lungo (alcune brassicacee).

- Specie a germinazione occasionalmente autunnale e preferenziale post-invernale:


sono specie biennali e di taglia elevata (alcuni chenopodi).

 Specie invernali: hanno semi dormienti che vengono indotti alla germinazione dalle basse
temperature o germinano con temperature comprese tra 0-5 °C.

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 Specie primaverili: per le quali il superamento della dormienza richiede la permanenza dei
semi a temperature di 0-5°C per 4-6 settimane. Per germinare richiedono una temperatura
superiore ai 10°C.

 Specie estive: i cui semi possono essere dormienti. Sulla base delle esigenze termiche si
possono distinguere due sottogruppi: specie subtermofile e termofile.

4.3. Classificazione ecologica: Le comunità di malerbe in Europa


In Europa l’infestante principale è la stellaria media (Stellarietea mediae) che va a costituire la
classe a seguire gli ordini Chenopodiun album (Chenopodietalia albi) - Centaurea cyanus
(Centauretalia cyani). Le Alleanze che si vengono a costituire sono :

1. Sisymbrium officinale

2. Agrostis spica-venti

3. Caucalis platicarpos

4. Lolium - Linum

5. Polygonum sp-Chenopodium sp.

6. Panicun sp.-Setaria sp.

5. Danni causati dalle erbe infestanti


In maniera intuitiva si capisce che le malerbe causano dei danni alla produzione agraria in
quanto si vengono ad instaurare delle competizioni interspecifiche tra queste e le piante coltivate.
Le specie più dannose a livello mondiale sono circa 250 ed il 40% di queste appartiene a tre sole
famiglie e cioè le Graminecae, le Compositae e le Cyperaceae. La presenza delle piante infestanti
nonostante i vari metodi di lotta applicati, causa annualmente nel mondo una perdita di
produzione delle colture agrarie di circa il 10% di quella potenziale ottenibile.

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I danni causati dalle malerbe possono essere di varia natura:


- Diretti: competizione per sottrazione in volume di terreno, di acqua e di sostanze
nutritive, di luce e di aria; azione di soffocamento da parte di erbe rampicanti (veccia,
poligono, latiro); parassitismo con deperimento delle piante attaccate (cuscuta e
orobanche); imposizione di certi ordinamenti produttivi con preclusione di particolari
colture (es. fava in campi infestati da orobanche); attrazione degli insetti pronubi verso
le specie infestanti anziché le specie da impollinare; emissione di tossine;
modificazione della microflora del terreno.

- Indiretti: si riscontrano nel peggioramento della qualità del seme a causa: della
presenza di malerbe nelle sementi che ne diminuisce il valore o addirittura ne
impedisce la commercializzazione se non previa esecuzione di costose operazioni di
cernita o essiccazione; caratteri negativi possono essere impartiti ai prodotti da seme o
piante infestanti: gusto amaro alle farine per presenza di Picris hieracioides e Thlaspi
arvense. Inoltre i danni si hanno nella minore efficienza lavorativa delle macchine
agricole con conseguente impossibilità di impiegare la mietitrebbiatrice su cereali
infestati da erbe verdi, o le zappatrici su terre infestate da malerbe rizomatose; si
riduce l’ efficienza dei mezzi produttivi(concimi, varietà, irrigazione); aumentano i costi
di produzione e le lavorazioni eccessive per numero o per intensità imposte dalla
presenza di erbe infestanti spesso danneggiano il terreno e/o le colture.

- Diffusioni di malattie, insetti o nematodi: le malerbe possono ospitare nemici, animali o


vegetali, delle coltivazioni; ad esempio le ruggini del grano vengono ospitate da
graminacee spontanee e dal Berberis vulgaris.

- Avvelenamento del bestiame: può essere provocato da numerose piante che


contengono sostanze tossiche come alcaloidi, glucosidi cianogenetici, saponine,
elementi minerali (selenio, nitrati) ecc. Specie velenose abbastanza comuni sono la
ferula, la cicuta, molti ranuncoli ecc. Altre piante producono semi velenosi, come la
Agrostemma githago, Lolium temulentum.

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- Svalutazione del terreno: l’infestazione di un terreno, specialmente da parte di


rizomatose (Cynodon dactylon o gramigna, Agropyron repens, sorgo d’Aleppo, ecc.),
ma anche di altre malerbe (Orobanche, ad esempio) può avere forti ripercussioni
negative sul suo valore di mercato

6. Controllo delle infestanti:


Viste le molteplici tipologie di danno, nasce la necessità di intervenire sul controllo delle
malerbe; per questo motivo si procede ad una valutazione economico – temporale determinando
la “soglia d’intervento” che definisce il momento opportuno per intervenire, basandosi su:

- la valutazione economica dell’opportunità dell’intervento;

- scelta del momento opportuno.

Per poter gestire queste due decisioni è necessario definire la “soglia d’infestazione” ed il “periodo
critico”.
L’incremento della densità delle piante infestanti provoca una riduzione proporzionale della resa
della coltura. Tale relazione viene espressa matematicamente, oppure tramite:

- valutazione visiva o soggettiva: adottata da agricoltori e tecnici che dopo una stima visiva
della densità delle infestanti, decide in base alla propria esperienza e competenza,
l’opportunità dell’intervento chimico.

- intensità della competizione: è la densità d’infestazione alla quale la competizione inizia a


manifestarsi e al di sotto della quale non si verifica alcuna perdita produttiva.

- valutazione biologica o statistica: densità d’infestazione alla quale le perdite produttive


diventano statisticamente significative.

- soglia economica d’intervento (SEI): è la densità alla quale il costo del trattamento
eguaglia il beneficio ottenuto con l’eliminazione delle malerbe nell’anno considerato
(Walker, 1983). La soglia così calcolata varia in funzione del valore del prodotto della
coltura, del tipo di infestante, del costo del trattamento e della sua efficacia erbicida.

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- soglia economica ottimale (SEO): è la densità al di sopra della quale le infestanti


dovrebbero essere controllate ottenendo benefici economici non solo nell’anno in corso
ma anche nei successivi.

- soglia di previsione: è la densità alla quale dovrebbero essere prese misure di controllo
per evitare che l’infestazione raggiunga un dato livello ad una certa data.

A parità di densità, le piante infestanti provocano un danno produttivo diverso in funzione del
periodo in cui vengono lasciate convivere con la coltura. Di fatti qualunque coltura in dipendenza
delle sue caratteristiche eco-fisiologiche, presenta un periodo in cui è particolarmente sensibile
alla competizione delle piante infestanti. Per esempio alcune colture come frumento, orzo, riso
non subiscono danni elevati dalla presenza delle malerbe nelle fasi iniziali del ciclo, viceversa
diventano estremamente sensibili durante la levata. Altre colture come la lattuga, aglio a causa del
loro lento sviluppo iniziale sono sensibilmente danneggiate sia dalle piante infestanti che
emergono contemporaneamente ad esse sia da quelle che emergono tardivamente.

Per tali motivazioni, è necessario determinare:

a. la durata della competizione tollerata (DCT): periodo massimo di convivenza delle


infestanti con la coltura perché si abbiano danni produttivi inferiori ad una soglia
limite fissata a priori;
b. il periodo richiesto di assenza delle malerbe (PRAM): periodo minimo di tempo a
partire dall’emergenza, durante il quale la coltura deve rimanere priva di malerbe
affinché subisca danni produttivi inferiori alle stessa soglia limite.
c. Durata della competizione tollerata (DCT): è influenzata da tipo ed entità
dell’infestazione, coltura, tecnica colturale applicata ad essa, andamento climatico e
natura del fattore limitante.

7. Gestione integrata
E’ l’insieme di tutte le tecniche possibili per mantenere una flora equilibrata, mediante:

- gestione agronomica: prevede un insieme di pratiche di tipo preventivo:


avvicendamento colturale e la scelta di tecniche colturali adeguate che aumentino la
competitività delle piante coltivate verso quelle infestanti;

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- applicazione di mezzi alternativi al diserbo chimico e loro integrazione;


- razionalizzazione dell’impiego degli erbicidi impiegando l’erbicida quando necessario
(definizione e applicazione delle soglie di infestazione); scegliendo le molecole in
funzione della flora presente; riducendo la dose di impiego (trattamenti precoci, uso di
additivi); assicurando la distribuzione regolare dei prodotti.

8. Metodi di controllo delle erbe infestanti


La presenza, sia pur controllata, delle infestanti può risultare utile in molti casi in quanto esse
possono contribuire, direttamente o indirettamente, a conseguire il fine principale al quale deve
mirare l’agricoltore e cioè la creazione di un agro-ecosistema aziendale che sia il più possibile
stabile e complesso.

Infatti, è possibile affermare che:


 le infestanti poco temibili, comunque esercitano una certa concorrenza verso le specie di
difficile controllo eventualmente presenti;
 distolgono alcuni parassiti della pianta coltivata;
 consentono l'insediamento degli insetti utili;
 proteggono il terreno diminuendo i fenomeni erosivi e il dilavamento degli elementi minerali
più solubili.

8.1. Obiettivi e principi del controllo


Per quanto detto in precedenza, appare chiaro che gli interventi di controllo andrebbero
eseguiti soltanto:

 nei confronti delle specie più competitive, cioè quelle ritenute in grado di esercitare una
rilevante concorrenza sulla coltura in atto e/o in quelle previste nella rotazione.
 nel periodo in cui tale concorrenza si realizza e causa il maggior danno quantitativo e
qualitativo.

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8.2. Tecniche di controllo


Permettono di limitare lo sviluppo della flora spontanea nelle colture; possono suddividersi in:

a) Preventive o indirette: quando aumentano la naturale predisposizione della coltura ad


essere competitiva nei confronti delle infestanti;
b) Dirette: se agiscono in maniera diretta sullo sviluppo delle infestanti.

Le prime fanno riferimento ai mezzi agronomici e sono rappresentate da tutte quelle pratiche che
permettono alla coltura di insediarsi e ricoprire il campo in modo uniforme, nel più breve tempo
possibile e con la massima capacità di estrinsecare la competizione con le infestanti. In particolare,
una razionale tecnica d’impianto della coltura, può contribuire in modo importante a limitare
l’infestazione che può svilupparsi nel campo.
Tra i fattori da tenere in considerazione, quelli principali sono:

- evitare l’ introduzione di infestanti con macchinari sporchi;


- evitare la maturazione del seme delle malerbe (sfalci precoci: fossi, tare, incolti);
- correzione dei difetti del suolo (ristagno, pH);
- rotazioni o avvicendamento: l’avvicendamento colturale consiste nell’alternanza nel
tempo di colture diverse in uno stesso appezzamento. L’importanza dell’avvicendamento,
per il controllo delle infestanti, risiede soprattutto nel fatto che esso rappresenta una
tecnica preventiva che, correttamente associata ad altre pratiche, consente di mantenere
un campo ben equilibrato anche sotto il profilo malerbologico.

- lavorazioni del suolo:


a. modalità di semina o di trapianto: la semina può avere degli effetti positivi sul controllo
delle infestanti, infatti, seminando ad una profondità adeguata, la piantina emergerà e
si accrescerà velocemente superando più agevolmente la competizione delle infestanti
che, al momento dell’emergenza, è sempre molto forte. Inoltre, se si utilizzano
strumenti meccanici per il controllo diretto dell’infestazione (sarchiature, spazzolature,
erpicature, eccetera), è bene seminare ad una profondità che assicuri alle piantine un
buon ancoraggio al terreno. Tra i fattori più importanti, la densità di impianto è quella
che maggiormente condiziona lo sviluppo delle infestanti in quanto la disposizione delle
piante sul terreno influenza la loro capacità competitiva verso le malerbe;
b. scelta della cultivar: sono da preferire quelle più competitive nei confronti delle
infestanti: nella maggior parte dei casi, ciò è ottenibile preferendo cultivar idonee alla
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crescita nei nostri ambienti. Inoltre, in caso di semina, è indispensabile accertarsi della
purezza del seme al fine di non portare già artificialmente specie infestanti in campo.
- aumento della competitività delle colture:
a. epoca di impianto: può influire positivamente sulla riduzione dell’infestazione e/o sul
livello di competitività di quest'ultima. Infatti, l’impiantare la coltura in un’epoca
ottimale, nella quale le condizioni climatiche sono tali da garantire un veloce e vigoroso
accrescimento delle piante consente alla coltura stessa di essere molto competitiva nei
confronti delle infestanti.
b. concimazione localizzata
c. irrigazione a goccia
I metodi diretti di lotta sono invece rappresentati da tutte quelle tecniche che agiscono in maniera
diretta sullo sviluppo della flora infestante e comprendono l’impiego di mezzi diversi, tra questi
ricordiamo quelli meccanici, fisici, chimici e biologici:

8.2.1. Mezzi meccanici: alcuni di questi metodi possono causare danni diretti alle malerbe
attraverso la loro rimozione completa o attraverso una lesione letale. Altre tecniche
possono, invece, alterare l'ambiente circostante eliminando la luce, aumentando la
temperatura del suolo, o privando la pianta di anidride carbonica, ossigeno ed elementi
nutritivi. Gli interventi meccanici che è possibile mettere in atto per il controllo delle
infestanti, sono:
- Lavorazioni del terreno: possono essere attuate secondo diverse modalità e
intensità di esecuzione. Ognuna di queste tecniche è in grado di esercitare
una diversa influenza sullo sviluppo delle infestanti, sia diretta che indiretta.
Tra queste ricordiamo:
a) Arature: risultano particolarmente efficaci nei riguardi delle infestanti
perenni, le quali sono caratterizzate dalla presenza di organi di propagazione
sotterranei (rizomi, stoloni, tuberi eccetera) che sono portati in superficie ed
esposti all’azione degli agenti atmosferici. In tal senso, assumono
particolare efficacia le lavorazioni effettuate prima delle gelate o dei periodi
caldi e asciutti e non seguite da alcuna operazione di affinamento del
terreno.
b) Minima lavorazione o non lavorazione: ai fini di un ottimale controllo della
vegetazione spontanea, è preferibile l’utilizzo di erpici a denti flessibili;
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questi, infatti, determinano lo sradicamento e quindi la distruzione delle


infestanti annuali, e, con interventi ripetuti, si ottiene un buon controllo
anche della flora perenne.
c) Lavorazione al buio: effettuando le lavorazioni al buio o utilizzando
apparecchiature appositamente schermate, si limita la germinazione delle
plantule.
d) Erpicatura: permette un soddisfacente controllo della flora avventizia o
almeno riesce a rallentarne lo sviluppo. L’efficacia maggiore dell’erpicatura
si rivela nei confronti di plantule di infestanti dicotiledoni annuali.
e) Rincalzatura: ha il compito di eliminare l’infestazione presente nell’ interfila
della coltura e, spesso, rende inutile l’esecuzione della sarchiatura
ottenendo così il risultato di diminuire il numero di passaggi e di operazioni
sul terreno. In ogni caso, i risultati migliori si ottengono abbinando le due
tecniche.
f) Sarchiatura: è una delle più importanti, in quanto colpisce gli apparati
radicali delle infestanti anche a stadi di sviluppo avanzati.
g) Spazzolatura: si basa sull'utilizzazione di attrezzature dotate di spazzole
rotanti attorno ad un asse disposto trasversalmente alla direzione di
avanzamento o in posizione verticale. Quest’operazione, per essere efficace
deve essere effettuata su infestanti ai primi stadi di sviluppo e operare a
profondità di almeno 2 cm. Inoltre, la velocità di avanzamento non deve
essere molto elevata, valori non superiori a 4 km/h, in quanto si causerebbe
un’eccessiva polverizzazione del suolo. (Weber, 1994).
I lati negativi di questa tecnica, sono la scarsa capacità lavorativa delle
macchine attualmente in commercio e il grado di controllo che sicuramente
è inferiore di quello ottenibile con la sarchiatura.
h) Sfalcio: è applicabile solo nelle colture erbacee poliennali quali il carciofo e
l’asparago e nelle colture arboree. In queste colture tale intervento può
essere attuato nelle interfile per impedire soprattutto la disseminazione
delle specie presenti e contenere la vegetazione delle specie perennanti.

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- Falsa semina: prevede l’adozione di tutte quelle tecniche che consentono di


stimolare la germinazione di un alto numero di semi e quindi la successiva
eliminazione delle plantule prima che venga impiantata la coltura. Consiste
in una lavorazione accurata del terreno, eseguita ad una profondità tale che
permetta di portare in superficie un congruo numero di semi, seguita dall’
umettamento del terreno, al fine di stimolare l’emergenza anche con
l’acqua; ed infine nell’eliminazione delle infestanti emerse quando queste
sono ancora piccole.

8.2.2. Mezzi fisici: quelli a cui facciamo spesso ricorso per il controllo delle erbe infestanti sono
parecchi, tra questi ricordiamo:
- Pacciamatura: si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di materiale (residui
vegetali secchi oppure film sintetici neri) che consente di non far passare la luce,
fattore indispensabile allo sviluppo delle infestanti. Ha inoltre lo scopo di
mantenere l'umidità nel suolo, proteggere il terreno dall'erosione, dall'azione della
pioggia battente, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale,
diminuire il compattamento, mantenere la struttura e innalzare la temperatura del
suolo.
- Solarizzazione: è una tecnica di trattamento termico del terreno che sfrutta
l’energia solare. Inizialmente, è stata ideata per controllare malattie di origine
fungina, mentre successivamente se ne sono visti i vantaggi anche relativamente al
controllo di infestanti e nematodi. Consiste nel ricoprire il terreno con un film
plastico trasparente durante il periodo estivo, per una durata di 3-4 settimane. La
presenza del film determina un innalzamento della temperatura del terreno,
soprattutto nei primi 10 cm, cosi da raggiungere massime anche di 40 °C. Al fine,
comunque del contenimento delle infestanti, non sembra avere notevole
importanza la temperatura massima, quanto piuttosto il totale di ore con
temperature al di sopra di una soglia critica. A questo riguardo, va tuttavia ricordato
che il raggiungimento di una soglia di temperatura non sufficiente a devitalizzare i
semi, potrebbe addirittura determinare un incremento della germinazione di
questi.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

- Irrigazione: ha di norma l’effetto di aumentare l’infestazione presente in un


terreno. E’ pertanto una pratica che, anche per quanto riguarda la gestione della
flora spontanea, deve essere utilizzata in maniera molto razionale se non si vuole
che agisca negativamente sull’equilibrio del campo. Il metodo irriguo più idoneo a
limitare al massimo lo sviluppo delle infestanti è quello localizzato a microportata di
erogazione. Con tale sistema di distribuzione dell’acqua viene bagnata solo la fila
sulla quale è presente la coltura, mentre l’interfila rimane asciutta e, quindi, libera
da infestanti i cui semi non riescono a germinare. L’associazione della pacciamatura
sulla fila al metodo irriguo a microportata di erogazione, consente, nelle colture
dove è possibile usare le due tecniche insieme, di controllare in maniera ottimale lo
sviluppo della flora avventizia.
- Diserbo termico: consiste nel danneggiare le erbe infestanti esponendole all’azione
di alte temperature, (pirodiserbo) basse temperature (criodiserbo), onde
elettromagnetiche a bassa frequenza (microonde), scariche elettriche.
Il pirodiserbo è una tecnica di difesa dalle piante infestanti, mediante l’azione
diretta (fiamma fuoriuscita da uno o più bruciatori) o indiretta del fuoco (raggi
infrarossi prodotti dal surriscaldamento di un elemento irradiante). Si basa su un
veloce innalzamento della temperatura all’interno dei tessuti della pianta da
eliminare, provocando la distruzione delle membrane cellulari e la coagulazione
delle proteine. Per ottimizzare tale intervento la fiamma viene regolata in modo da
scottare le piante fino al colletto in modo da impedirne la ricrescita. Il passaggio
della fiamma è rapido, e al contrario del semplice incenerimento non brucia
completamente le piante. Può essere effettuato, a tutto campo o localizzato (sulla
fila o nell’interfila), sia in «pre» (semina, emergenza o trapianto) che in «post»
(emergenza o trapianto). Nel caso di localizzazione, il trattamento può essere fatto
sia sulla fila per una larghezza di circa 10-15 cm, che nell’interfilare.
Il Criodiserbo è invece una tecnica molto recente che consiste nel devitalizzare le
infestanti impiegando le basse temperature. In seguito alla formazione di cristalli di
ghiaccio nel protoplasma si verifica la distruzione delle cellule Gli abbassamenti
termici possono arrivare fino a -196 °C, attraverso l’impiego di azoto liquido (Sakai e
Larcher, 1987).

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Le onde elettromagnetiche a bassa frequenza provocano la disorganizzazione delle


cellule delle piante infestanti. La macchina in grado di realizzare questo lavoro è
munita di un telaio semovente che porta generatori elettrici e alcuni diffusori di
onde. Lo strato di terreno interessato dal trattamento è abbastanza limitato,
pertanto, tale tecnica ha una scarsa efficacia nei confronti delle infestanti in grado
di riprodursi anche per bulbi e rizomi.
Le Scariche elettriche consentono di devitalizzare le infestanti che vengono a
contatto con elettrodi attraversati da un’alta tensione.

8.2.3. Mezzi chimici o diserbo:


La lotta alle piante infestanti è una necessità primaria nella pratica agronomica. Le malerbe
infatti, in mancanza di interventi, possono causare alla produzione agricola danni che raggiungono
il 50%. Le tecniche tradizionali di aratura, estirpatura e sarchiatura diventano sempre più onerose
per il costo della mano d'opera; per tale motivo si fa sempre più ricorso al diserbo chimico. La
pratica del diserbo chimico trova oggi una discreta diffusione. La lotta chimica alle piante infestanti
si esegue mediante l’uso di formulati chiamati erbicidi o diserbanti chimici.

Con il termine diserbante o erbicida, si intende una sostanza chimica usata per l’eliminazione delle
erbe infestanti o nocive. La maggior parte di essi è impiegata in agricoltura per proteggere i
raccolti.

Formulazione dei fitofarmaci:


la composizione della maggior parte dei diserbanti è data da:
PRINCIPIO ATTIVO + COFORMULANTI + COADIUVANTI

 Il principio attivo (p.a.) o sostanza attiva (s.a.) è la sostanza (chimica o biologica) che
produce l’effetto tossico.

 I Coformulanti sono sostanze inerti che servono per ridurre la concentrazione del p.a. (max
3 per prodotto) [acqua, talco, diluenti, solventi,..]

 I Coadiuvanti sono invece sostanze non attive che svolgono la funzione di:

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

- attivanti (incrementano l’attività biologica del p.a. facilitando la penetrazione e la


diffusione nei tessuti vegetali);
- adesivanti (aumentano la persistenza del p.a. sulla vegetazione);
- tensioattivi o bagnanti (diminuiscono la tensione superficiale della soluzione
migliorandone l’adesione sulla vegetazione);
- stabilizzanti o emulsionanti (permettono una maggiore stabilità della miscela tra
prodotto formulato e liquido solvente).

Caratteristiche di un erbicida (ideotipo): esso deve essere

 molto selettivo;

 deve avere ampio spettro d’azione;

 non dannoso per uomo e ambiente (ecocompatibile);

 flessibile e conveniente;

 avere elevata efficacia rapportata al costo per unità di superficie;

 miscibile con altri prodotti;

 non deve lasciare residui nella coltura di interesse;

 non deve esplicare azione fitotossica per le colture in avvicendamento.

Classificazione dei diserbanti: effettuata tramite una serie di parametri, quali:

A. Selettività: legata alla natura del composto, potendo dipendere dalla sua tossicità selettiva
o dalla velocità di assorbimento variabile da un'erba all'altra, oppure alla concentrazione
della sostanza, alle modalità di applicazione sul terreno o sulla pianta, al tipo di veicolo
utilizzato. In base ad essa possono essere suddivisi in due grandi categorie: selettivi e non
selettivi, a seconda che distruggano tutte o solo alcune delle erbe che crescono sulla
superficie trattata.
B. Trattamenti: si suddividono in base al momento in cui vengono applicati nel terreno:

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

- Pre-semina: applicati nel terreno prima della semina (prevengono la germinazione


dei semi delle erbe)
- Pre-emergenza: vengono immessi nel terreno dopo la semina, ma prima della
germinazione delle varie colture (in questo caso agiscono sulle erbe appena
germogliate, che si trovano in condizioni particolarmente sensibili all’azione
dell’erbicida anche in piccole dosi)
- Post-emergenza: vengono applicati sulle foglie delle erbe dopo il loro sviluppo (in
questo caso l’agricoltore ha il vantaggio di poter osservare quali sono le erbe
infestanti che deve eliminare e può così sceglierne un tipo selettivo).
C. Azione: agiscono per:

- Contatto: in questa categoria sono racchiusi prodotti che eliminano la parte che è
stata colpita dal prodotto, lasciando inalterato l’apparato radicale. Questo diserbo è
utile per le infestanti annuali.
- Traslazione: questi prodotti, detti anche sistemici, permettono al principio attivo di
entrare in circolo alla pianta e di eliminare anche l’apparato radicale. Questi
prodotti agiscono prevalentemente sul meristema della pianta, impedendo la
fotosintesi e la riproduzione delle cellule. Si tratta di un sistema più lento del
precedente ma garantisce una buona riuscita anche sulle piante perenni con un
apparato rizomatoso.
- azione residuale: comunemente chiamati antigerminello, impediscono al seme di
germinare, eliminano le infestati al primissimo stadio di sviluppo. A differenza dei
precedenti questi prodotti posso coprire periodi molto più lunghi, garantendo una
parziale pulizia del terreno.
I diserbanti a contatto e quelli traslocabili vengono distribuiti sulla foglia, e assorbiti
attraverso gli stomi della foglia, mentre quelli ad azione residuale vengono distribuiti sul
terreno.

D. Modalità di distribuzione: possono essere applicati:


- sul fogliame: agendo sia localmente, esercitando un'azione lesiva sui tessuti fogliari
e sulle gemme, sia con meccanismo generale, previo assorbimento e trasporto della
sostanza nelle parti radicali della pianta (erbicidi sistemici o erbicidi per trasporto).

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

- sul terreno: attraverso un danneggiamento diretto dell'apparato radicale oppure


per impedimento della germinazione dei semi.

Vantaggi e svantaggi del diserbo

A. Vantaggi
• Possibilità di controllo di molte specie infestanti;

• Alcuni diserbanti hanno azione sistemica;

• Alcuni sono selettivi, innocui per le specie coltivate;

• I diserbanti possono essere applicati rapidamente;

• Consentono minori lavorazioni del suolo e quindi riducono i fenomeni erosivi.

B. Svantaggi
• Possono essere tossici per gli uomini ed altri viventi;

• Possono influenzare negativamente l’ecosistema del suolo;

• Possono essere trasportati dalle acque di superficie o contaminare le falde acquifere;

• Possono persistere nel terreno e danneggiare le colture;

• Se impropriamente usati possono danneggiare le colture;

• Possono indurre lo sviluppo di specie vegetali resistenti agli erbicidi stessi;

• La loro efficacia induce gli agricoltori a preferirli ad altre tecniche;

• Il loro uso induce all’abbandono delle rotazioni colturali, con maggiore diffusione di
insetti e patologie specie-specifiche;

Effetti sull'ambiente
L'impiego sempre più esteso degli erbicidi provoca per contro anche effetti indesiderabili sia
direttamente a carico delle colture agrarie sia sull'ambiente. Il principale rischio connesso
all'impiego degli erbicidi deriva dalla loro elevata fitotossicità che non si manifesta, se non in

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

seguito a errori di applicazione, sulle colture per le quali vengono impiegati, ma spesso su quelle
successive nella rotazione dei campi. Infatti l'attività erbicida è selettiva solo nei riguardi di ben
determinate specie, per cui diviene molto delicata la programmazione degli avvicendamenti
colturali in rapporto ai prodotti impiegati e alla loro persistenza. Infine gli erbicidi possono
determinare danni a colture anche lontane dal loro punto di applicazione quando, in seguito al
dilavamento, inquinano le acque di irrigazione, oppure quando vengono trasportati dal vento.

Resistenza agli erbicidi


E’ la capacità acquisita e trasmissibile geneticamente da parte di una popolazione di infestanti di
tollerare un erbicida precedentemente non tollerato e di completare il proprio ciclo vitale quando
l’erbicida è usato alla dose normale di campo.

Tipi di resistenza
La resistenza evolve a causa di una selezione persistente per genotipi pre-esistenti o meno in una
popolazione. Se ne possono avere diversi tipi, quali:
1. Resistenza per modificazione del bersaglio (target-site resistance): modificazione del sito
di attività dell’erbicida (enzima), che impedisce all’erbicida di esplicare la sua azione. E’ il
tipo più comune.
2. Resistenza incrociata (cross-resistance): un singolo meccanismo di resistenza conferisce
resistenza a diversi erbicidi con la stessa modalità d’azione (ad es. resistenza incrociata per
modificazione del bersaglio: target-site cross-resistance, ad es. resistenza all’inibizione
dell’ACCasi per arilossifenossipropionati e cicloesandioni).
3. Resistenza dovuta ad altri meccanismi (non target-site resistance): ad es. catabolismo
accelerato, riduzione della traslocazione, sequestramento.
Riducono la quantità di erbicida che raggiunge il bersaglio.
4. Resistenza incrociata dovuta ad altri meccanismi (non target-site cross-resistance):
quando un singolo meccanismo conferisce resistenza ad erbicidi con differenti modalità
d’azione (ad es. citocromo P450-monossigenasi, glutatione-transferasi).
5. Resistenza multipla (multiple-resistance): quando due o più meccanismi conferiscono
resistenza ad erbicidi in un individuo o popolazione.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Meccanismi di azione e impatto ambientale


Gli erbicidi agiscono secondo meccanismi molto complessi, che determinano una serie di
alterazioni fisiologiche, sia biofisiche e sia biochimiche.
I meccanismi di azione sono classificati in funzione dell'enzima o del passaggio biochimico che
viene alterato dall'erbicida:
- Inibitori dell' ACCasi, enzima attivo nella produzione dei lipidi di membrana, agiscono sul
sistema meristematico.
- Inibitori dell' enzima ALS, responsabile della produzione di aminoacidi quali valina, leucina
e isoleucina, agiscono sul sistema meristematico.
- Inibitori degli enzimi ESPs, attivi nella produzione degli aminoacidi triptofano, fenilalanina,
tirosina, agiscono sull'intera pianta.
- Inibitori del Fotosistema II, riducono il flusso di elettroni dall'acqua al NADPH durante la
fotosintesi legando il sito per la Qb sulla proteina D2, impedendone il legame e favorendo
l'accumulo di elettroni sulla clorofilla producendo reazioni di ossidazione che danneggiano
la pianta.
- Auxine sintetiche, interferiscono sui naturali regolatori della crescita della pianta.

Se da un lato il loro impiego è stato di fondamentale importanza per il raggiungimento di elevati


rendimenti nelle moderne coltivazioni agricole, dall’altro lato un uso incontrollato degli stessi può
variare profondamente l’habitat naturale, con pericolo di estinzione delle specie rare,
sterilizzazione del terreno, migrazione di animali verso i centri urbani, inquinamento.
Si è cercato pertanto di utilizzare nella lotta contro le erbe infestanti i mezzi biologici (bioerbicidi).
Inizialmente sono stati impiegati gli insetti, in seguito sono stati presi in considerazione altri
agenti, quali funghi, batteri, virus e nematodi.

8.2.4. Mezzi biologici:


Quel particolare tipo di intervento cosciente dell'uomo sull'equilibrio naturale che
chiamiamo ‛lotta biologica' ha avuto forte impulso negli ultimi decenni;
anche in passato tuttavia è stato oggetto di studio e ha avuto ampia attuazione pratica.
Sembra sia stato Erasmus Darwin, nonno del più celebre Charles, a proporre per primo, nel 1800,
veri e propri metodi di lotta organizzata contro degli afidi.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

A tradurre in opera i primi esperimenti, con promettenti risultati, fu l'americano C. V. Riley,


pioniere dell'importazione negli Stati Uniti di predatori e parassiti di specie di insetti nocivi alle
colture americane (1880-1890).
Malgrado l'interesse destato da questi primi tentativi, la lotta biologica è scienza giovane, e le
tecniche con cui essa era applicata ai tempi degli studiosi che abbiamo appena ricordato sono
state di recente rinnovate e moltiplicate: grazie a questi nuovi strumenti, la ricerca nel campo della
lotta biologica sta oggi progredendo e si propone obiettivi più ambiziosi.
Le ragioni di questo rinnovato interesse per la lotta biologica sono da ricercarsi in particolari
situazioni, che riguardano la biologia, l'economia e, in larga misura, l'evolversi delle condizioni
sociali e psicologiche del mondo moderno.
Nell'uso comune, l' ‛oggetto' della lotta biologica è sottinteso, ma non viene specificato, anche
perché la sua definizione comprende una lunga lista di organismi, che va dai Virus, alle Piante, ai
Vertebrati.
La lotta biologica non è che uno dei vari tipi di lotta contro gli organismi nocivi (pest control).
Questa viene definita dal Beirne come ‟qualsiasi azione che viene deliberatamente intrapresa,
continuata o intensificata dall'uomo e che ha come oggetto la prevenzione, la riduzione o
l'eliminazione del danno causato dall'organismo nocivo" (v. Beirne, 1967, p. 27).

Per quanto riguarda il controllo delle infestanti, in taluni casi il controllo biologico si perpetua nel
tempo senza ulteriori interventi da parte dell’uomo, aggiungendo al vantaggio ambientale
l’assenza di residui chimici e la profittabilità economica rispetto ad altre tecniche convenzionali.
I principali limiti della lotta biologica, soprattutto quella classica, sono legati agli elevati
investimenti necessari all’individuazione dell’agente biologico ed alla precisa valutazione della sua
specificità di bersaglio nell’ambiente di rilascio.
Inoltre, gli effetti, non sono sempre rapidi e possono quindi conciliarsi male con l’esigenza di
intervenire nel periodo critico di competizione come nel caso del controllo delle infestanti nelle
colture agrarie.
Altro limite non secondario è talvolta legato alla scarsa biodiversità offerta dall’ambiente di
coltivazione, che può pregiudicare il successo nell’introduzione dell’agente biologico.

Si possono riconoscere quattro tipi fondamentali di lotta biologica (Wapshere et al., 1987), ovvero:

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

 Lotta biologica CLASSICA O INOCULATIVA: È la tecnica più utilizzata, con la maggiore


probabilità di successo. Adatta ad ambienti poco disturbati (pascoli o colture perenni), si
presta a controllare infestanti filogeneticamente distanti dalle piante coltivate.
Consiste nell'importare un insetto fitofago (o microrganismi patogeni in rari casi) per
controllare una specie esotica infestante introdotta in un habitat biologico in cui non sono
presenti predatori o antagonisti naturali ad essa.
Presupposto indispensabile è il preventivo studio della biologia e dell’ecologia dell’agente
biologico, la verifica della sua specificità verso l’ospite bersaglio e la capacità di
adattamento dell’organismo introdotto nel nuovo ambiente (Klingman e Coulson, 1982).
Tale sistema di lotta è stato vincente in Australia dove una pianta ornamentale importata
accidentalmente nel 1900, l'Opuntia polyacanthia, aveva invaso rapidamente i pascoli.
Nel 1926 furono introdotte larve di Cactoblastis cactorum, un lepidottero di origine
argentina, parassita della cactacea in questione che si dimostrò molto efficace nel
controllare l'agente bersaglio.
È il metodo che conta il maggior numero di esperimenti positivi soprattutto su pascoli e
specie arbustive (molto raramente sulle biennali e tanto meno sulle annuali, che
rappresentano ecosistemi maggiormente disturbati).
Solitamente si impiegano insetti dell'ordine dei lepidotteri, coleotteri ed omotteri.
Le similitudini ecologiche tra l'ambiente d'origine e quello di destinazione devono essere
marcate ai fini della sopravvivenza, ma soprattutto dell'azione positiva del bioagente.
 Lotta biologica AUMENTATIVA O INONDATIVA: Ha come bersaglio specie infestanti
indigene e per tale ragione si presta meglio alle colture annuali e alle condizioni
agroambientali presenti in Europa.
Il metodo si basa sull'individuazione di fitofagi o, meglio ancora, di agenti patogeni indigeni
che siano facili da moltiplicare in laboratorio e specifici su definite infestanti.
Dopo la loro moltiplicazione vengono diffusi massicciamente sulla coltura, talvolta anche
con interventi ripetuti, in modo da raggiungere un livello di dannosità tale da ridurre la
nocività delle infestanti bersaglio verso le piante coltivate ed anche il loro potenziale
riproduttivo.
Il gruppo di patogeni più adatti allo scopo risultano essere le crittogame autoctone tramite
l'impiego di formulati denominati micoerbicidi.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Ad esempio, per il controllo dell'infestante delle risaie denominata Aeschinomene virginia


negli USA è disponibile il formulato Collego, polvere secca a base di conidi del fungo
Colletotrichum gloeosporiodes.
Il trattamento, che risulta più lento di un diserbo chimico, non ha effetti residui e la
popolazione del fungo non mostra incrementi sensibili e stabili nel tempo.
L'impiego di questi prodotti costituisce una risposta più di tipo tecnologico che ecologico,
ed infatti si usano come fossero fitofarmaci, eseguendo una o più applicazioni l'anno, a
differenza del controllo biologico classico con il quale invece, se l'introduzione riesce, non
si ha più bisogno di nuovi interventi.
Dato che spesso si tratta di ceppi virulenti, è necessario valutarne la selettività di azione,
ma dato il rilascio massiccio di spore, conidi, preparati di micelio o prodotti della
fermentazione, si deve testare il possibile rischio per la salute umana, specialmente degli
operatori, e per questo i micoerbicidi sono sottoposti alle stesse norme e procedure di
registrazione degli altri presidi fitosanitari.
Altro micoerbicida è il DeVine, formulato a base di clamidospore della crittogama
Photophthora palmivora. Viene utilizzato negli agrumeti per il controllo dell'infestante
Morrenia odorata.
In questo caso però il micelio del fungo si può mantenere vivo anche per un periodo di 5
anni, comportamento che può causare un possibile rischio di attacco dell'agente patogeno
a specie suscettibili di contaminazione quali alcune cucurbitaceae (cocomeri, zucchino e
melone) o piante ornamentali (rododendri, begonie e bocche di leone).
La consociazione di micoerbicidi naturali a piccole quantità di erbicidi chimici si è rilevata
molto soddisfacente e questo esperimento può aprire la strada alla produzione e messa in
vendita di erbicidi bio-chimici.
Attualmente è il sistema di lotta più interessante nelle colture a ciclo breve ma tale metodo
comporta un costo più elevato rispetto al diserbo chimico, accompagnato inoltre da una
minore efficacia e un ristretto campo di applicazione.
Inoltre, è molto simile al diserbo chimico che, a differenza del metodo classico, prevede 2-3
applicazioni annue, come nel caso di trattamenti fitosanitari.
 Lotta BIOLOGICA CONSERVATIVA: si basa sulla conservazione e l'incremento della
popolazione degli agenti indigeni, parassiti o patogeni alle infestanti.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Per raggiungere tale obiettivo si interviene in maniera indiretta limitando gli organismi che
in natura sono antagonisti dell'agente biologico.
Tale sistema non ha avuto applicazioni pratiche anche se di notevole interesse.
 Lotta biologica a LARGO SPETTRO: Tale sistema di controllo non rispetta il requisito
fondamentale della specificità richiesto ad un valido metodo di lotta biologica.
Esso si basa su un controllo non selettivo effettuato da esseri viventi che non siano
forzatamente insetti; trae le sue origini da tempi molto remoti quando animali di
allevamento venivano utilizzati per controllare la vegetazione ai margini dei campi e per
brucare le stoppie dopo la raccolta dei cereali. A tutt'oggi vengono ad esempio utilizzati
animali da cortile per ripulire gli orti da semi di malerbe e da uova di larve o di parassiti.
Attualmente però, gli esempi più interessanti si riferiscono al controllo della vegetazione
acquatica in situazioni particolari, tipo bacini artificiali o canali per l'irrigazione.
Interessante è stata ad esempio l'introduzione dei lamantini (Trichechus lanatus), grossi
mammiferi acquatici erbivori, in bacini idroelettrici di zone subtropicali, con il duplice
scopo di limitare la vegetazione di tipo pelagico (Typha spp., Eichornia crassipes (Mart.)
Solms, etc.) e di proteggere il trichechide dal pericolo dell'estinzione.

8.2.5. Mezzi Ecologici:


Si possono definire dei metodi di lotta biologica indiretta in quanto l'azione benefica che
essi apportano non è portata avanti da un agente biologico, ma da un'operazione agronomica che
consiste nell'impianto di colture di copertura (cover crops).
Le colture di copertura possono essere seminate contemporaneamente alla coltura redditizia, a
tutto campo oppure a file, e poi essere distrutte prima che la competizione con la specie da
reddito diventi troppo elevata (consociazioni temporanee).
L'azione di contenimento delle malerbe è legata alla copertura del terreno operata dalle specie
seminate. Infatti, una copertura vegetale opportunamente gestita limita le emergenze delle
infestanti e la loro capacità di disseminazione.
In un'agricoltura che, come quella biologica, ha nella biodiversità e, negli equilibri naturali tra
specie, valori fondamentali, non dovremmo definire con le parole infestanti o malerbe le essenze
vegetali che nascono e crescono nelle piante coltivate.
Definizioni più appropriate, da un punto di vista ecologico, sono senz'altro quelle di flora
spontanea o piante che accompagnano le coltivazioni.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Si tratta di un diverso approccio al problema che scaturisce da una diversa consapevolezza del
ruolo ecologico svolto dalle essenze spontanee nel campo coltivato.
Indubbiamente una cattiva gestione delle erbe infestanti procura forti riduzioni delle produzioni e
un peggioramento qualitativo delle stesse.
Nell'agricoltura convenzionale si è sempre più fatto ricorso all'uso di diserbanti con un progressivo
abbandono delle tecniche agronomiche tradizionali, funzionali al contenimento, senza tener conto
dei costi ambientali, ma puntando essenzialmente su uno sfruttamento dell'ecosistema suolo.
In Agricoltura Biologica quindi l'obiettivo non è quello di eliminare dal campo coltivato tali
essenze, ma di contenerne la presenza ad un livello tale da non compromettere la redditività della
pianta coltivata. D'altronde va anche sottolineato che nessuna molecola chimica è mai riuscita ad
eliminare una specie spontanea, al massimo si è assistito ad un momentaneo successo, ma a costi
economici ed ambientali molto alti.
Nell’agricoltura tradizionale queste colture venivano utilizzate soprattutto come prati o erbai per
la produzione di foraggio fresco o insilato per il bestiame aziendale.
Oggi possono avere destinazioni più ampie, secondo i criteri dell'agricoltura ecocompatibile.
In tale contesto la lotta alle malerbe avviene essenzialmente grazie all'effetto pacciamante della
biomassa disseccata che rimanendo sulla superficie del terreno da luogo a fenomeni di allelopatia.
Si definisce Allelopatia un fenomeno naturale che indica un’interazione tra piante di specie
diverse; tale comunicazione avviene liberando nell’ambiente delle sostanze chimiche naturali, che
sono in grado di condizionare significativamente la vita delle piante.

I meccanismi allelopatici sono tutt'ora oggetto di studi e di ricerca: dai dati finora ottenuti, emerge
che i biomessaggeri allelopatici agiscono sulle piante bersaglio su due livelli ben distinti:
1. potenziando l'attività degli ormoni vegetali presenti nelle piante in quantità ridotte, ma
fondamentali per il controllo del ciclo vitale;
2. agendo sulle membrane delle cellule intervenendo così sul metabolismo energetico.

Le classi di appartenenza di tali sostanze sono: amminoacidi, proteine con reazione difensiva,
terpenoidi, flavonoidi, ormoni vegetali, vitamine, inibitori, altre molecole segnale e
biocatalizzatori.
Esse sono prodotte nelle radici o nelle foglie di alcune piante e vengono disperse nel terreno, dove
possono svolgere un'azione tossica nei confronti di altre specie vegetali.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

- Sostanze prodotte da piante superiori:


Ad es: le foglie in decomposizione del noce (Juglan nigra) liberano diversi composti, tra cui lo
juglone, che penetrando nel terreno, inibiscono la crescita dei germogli di molte specie
vegetali, tra cui il pomodoro e l'erba medica.
Altro esempio è fornito da molte specie del genere Salvia: i cespugli di tali piante sono spesso
circondati da zone completamente spoglie di vegetazione che li separano dalle erbe
circostanti.
Alcuni terpeni prodotti dalle foglie (una categoria di composti organici che comprende anche la
canfora), oltre alla funzione di attrarre gli insetti impollinatori (in particolare le api),
possiedono un'attività tossica nei confronti di altre specie, di cui limitano o addirittura
impediscono l'accrescimento.
È interessante il caso dell'assenzio (Artemisia absinthium): questa pianta officinale produce nei
peli ghiandolari un composto, l'absintina, altamente tossico per alcune piante. La sostanza è
trasportata dalla pioggia sul terreno e quindi la tossicità del terreno è costantemente
rinnovata.

La capacità naturale di difesa delle piante può essere sfruttata per ridurre la necessità di
trattamenti erbicidi nelle colture. Si è alla ricerca di cultivar che, producendo sostanze
allelopatiche, possano essere coltivate senza l'intervento del diserbo.
Un esempio di questa azione è fornito da alcune varietà selezionate di avena che producono
un essudato, la scopoletina, in quantità superiore alle normali varietà. Tale sostanza riduce
l'accrescimento del rafano, una crucifera che spesso è infestante delle colture.
Alcuni composti contenuti nel fusto e nelle foglie del girasole hanno un'azione inibente contro
le infestanti dicotiledoni e non contro le graminacee: infatti, dopo alcuni anni la densità ed il
numero delle infestanti appare ridotto se nel campo si è coltivato girasole.

- Sostanze prodotte da microrganismi:


L’isolamento delle gibberelline dal fungo Gibberella fujikuroi da parte di alcuni ricercatori
giapponesi (Kurosawa, 1926) ha fatto pensare che la ricerca sulle sostanze bioattive ottenute
dai microrganismi potesse fornire in agricoltura risultati simili a quelli raggiunti nel campo
farmaceutico con l’individuazione di composti antibiotici.

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

In realtà gli studi in questo settore, soprattutto per quanto riguarda il controllo della flora
infestante, hanno fornito risultati inferiori alle attese, anche se in qualche caso sono state
poste le premesse per la messa a punto di specifici erbicidi di sintesi.

Le strategie adottate dai laboratori di ricerca per l’individuazione e l’isolamento di fitotossine


sono state prevalentemente orientate verso due indirizzi operativi:

- ricerca di nuovi microrganismi o selezione di ceppi di microrganismi noti con l’obiettivo


di aumentare le probabilità di trovare nuovi metaboliti o di disporre di organismi in
grado di produrre metaboliti noti di maggior purezza o in quantità più elevata.
Particolare attenzione viene ad esempio dedicata ai batteri presenti negli organi
digerenti degli insetti e ai ficomiceti marini. Finora questo approccio ha fornito risultati
poco entusiasmanti a causa dei costi elevati e dei tempi lunghi richiesti;
- studio di microrganismi che occupano particolari nicchie ecologiche (ad esempio
micorganismi presenti in zone desertiche): il presupposto di tale criterio operativo si
basa sul fatto che in queste condizioni il microrganismo deve con molte probabilità il
suo successo competitivo alla disponibilità di composti allelochimici; questa strategia
ha però portato prevalentemente all’individuazione di sostanze ad azione battericida e
fungicida. Molti composti isolati dall’attività metabolica dei microrganismi hanno
dimostrato di possedere una scarsa selettività nei riguardi delle colture agrarie
permettendo un impiego solo come erbicidi ad azione totale. Numerose fitotossine
sono state isolate dai processi metabolici di batteri del genere Streptomyces. La tossina
che ha avuto il maggior successo sul piano pratico è il bialafos, una sostanza prodotta
da Streptomyces viridochromogenes, in grado di trasformarsi rapidamente all’interno
delle piante in fosfinotricina, composto caratterizzato da una elevata azione erbicida.
L’individuazione della fosfinotricina ha permesso all’industria chimica di sintetizzare il
glufosinate, erbicida totale non residuale ad azione di contatto.

- Sostanze prodotte da animali:

Le ricerche per l’isolamento di sostanze ad azione erbicida prodotte da animali hanno

finora fornito risultati alquanto modesti. Di qualche interesse è apparsa solo la cantaridina

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prodotta dal dittero Lytta vesicatoria, che ha dimostrato di inibire lo sviluppo del coleoptile del
frumento.

Di qualsiasi tipologia esse siano, il passo più importante sta nell'individuazione chimica delle
sostanze inibitrici (allelopatiche), per poterle ottenere sinteticamente, e dei geni che ne codificano
la produzione.
Gli studi sono promettenti, anche se sono maggiormente indirizzati ad altri tipi di competizione,
come quelli tra ospite e fungo parassita.
L'obiettivo è quello di caratterizzare tali geni, magari ottenuti da specie selvatiche, che
opportunamente manipolati potrebbero essere inseriti nelle specie coltivate per creare varietà
resistenti alle malerbe.

9. La funzione positiva delle erbe infestanti


Le piante spontanee sono in competizione con la coltura per acqua, luce e nutrienti,
possono causare inquinamenti del prodotto, possono contribuire a creare e mantenere un
microclima umido ideale per lo sviluppo di molti patogeni e sono spesso ospiti intermedi per
diversi fitofagi.
D’altro canto però, rappresentano un rifugio per insetti utili, un’ “alternativa alimentare” per gli
insetti nocivi, contengono i fenomeni erosivi del terreno, ne migliorano la struttura, sottraggono
alcuni nutrienti in eccesso dalla lisciviazione e, nel caso delle leguminose, contribuiscono
all’arricchimento del suolo con l’azotofissazione.
Non va poi dimenticato che la composizione della flora spontanea può dare utili informazioni sulle
caratteristiche fisico chimiche dei suoli, poiché diverse specie sono indicatrici della reazione del
suolo, della sua tessitura, della ricchezza in nutrienti o della presenza di suole di lavorazione.
Una corretta gestione della vegetazione spontanea dovrà permettere di ridurre al minimo la sua
potenziale dannosità, tentando allo stesso tempo di massimizzare i suoi aspetti positivi.
Questo significa imparare ad accettare la presenza di alcune infestanti nel campo coltivato e a ciò
si lega strettamente il concetto di soglia di danno o di intervento ovvero la quantità di piante
spontanee al di sotto della quale la coltura non riporta danni e al di sotto della quale non sono
necessari interventi di controllo.
La definizione della soglia è variabile in funzione delle specie considerate, della coltura e della
situazione della singola azienda.
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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

Gli interventi possibili per una corretta gestione delle spontanee sono diversi, ma il concetto
fondamentale per un valido controllo è che la coltura deve essere:
• ben insediata
• in grado di competere vigorosamente con la flora spontanea
• capace di coprire rapidamente il terreno

E’ dimostrato infatti che una volta che la coltura ha coperto la fila, sia l’emergenza dei semi che la
crescita delle plantule di spontanee è notevolmente ridotta.
In conseguenza di ciò le specie che presenteranno maggiori problemi sono quelle che hanno
una germinazione lenta. Per queste specie, quando è possibile, è meglio preferire il trapianto alla
semina; sono inoltre validi tutti gli accorgimenti agronomici volti ad accelerare la
germinazione (bagno dei semi, irrigazioni, copertura con tessuto non tessuto, ecc.).

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Gestione sostenibile delle erbe infestanti

10. Bibliografia
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Internet: mezzi lotta biologica alle infestanti


(http://www.agr.unifi.it/materialedidattico/INFESTANTI2P.pdf)

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