Relazione compilativa
A cura di:
D’Agata Claudia
Scurria Giuseppa
Gestione sostenibile delle erbe infestanti
-INDICE-
1. Introduzione pag. 3
4. Classificazioni pag. 5
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Gestione sostenibile delle erbe infestanti
1. Introduzione
Definire cosa sia una pianta è più difficile di quanto non sembri a prima vista.
Linneo divise i viventi in piante ed animali e come carattere discriminante considerò la sensibilità,
raggruppando così tutti gli organismi privi di sensibilità ossia i vegetali sotto il nome di piante.
D’ altra parte Linneo rivolgeva la sua attenzione alle piante superiori ovvero quelle organizzate in
fusto, radici e foglie, ma di fatto la nozione di pianta non sta nel singolo carattere discriminante
bensì nella presenza di un complesso di caratteri.
Accingendoci a parlare di piante superiori e data la sterminata varietà di ambienti differenti che
sono esistiti e che esistono nel nostro pianeta, ognuno contraddistinto da proprie e specifiche
caratteristiche, si comprende come l’insediamento in ognuno di essi abbia favorito o determinato
l’ affermarsi in natura di una quantità pure sterminata di specie diverse, ognuna contraddistinta da
proprie e specifiche organizzazioni fisiologico – strutturali del corpo.
Naturalmente, mentre alcuni di questi ambienti nonostante lo scorrere del tempo hanno
conservato o lievemente mutato le proprie caratteristiche, altri all’opposto si sono via via
profondamente modificati, quindi in alcuni ambienti hanno potuto sopravvivere organismi simili a
quelli che colonizzavano un tempo gli stessi luoghi, in altri sono risultati indispensabili più o meno
profonde modifiche , senza le quali sarebbe stata messa in forse la stessa sopravvivenza di quel
dato organismo.
Nelle piante troviamo tutta un’ampia serie di gradi organizzativi della morfologia del corpo, i tre
maggiori livelli organizzativi sono Protofite, Tallofite, Cormofite.
Il livello delle Protofite corrisponde a quello dei più antichi organismi cellulari;
Le Tallofite comprendono forme sia unicellulari che pluricellulari, i talli filamentosi riunendosi tra
di loro danno origine a pseudo tessuti;
le Cormofite hanno corpo costituito da tre organi fondamentali: radici, fusto e foglie.
Data la definizione di pianta, si sente l’esigenza sin dal medioevo della sistemazione in qualche
modo degli individui tutti e quindi anche per i vegetali. Il numero di specie note non era molto
elevato quindi non vi era la necessità di riunirli in taxa di ordine superiore, successivamente nel
‘500 fu un medico italiano, Andrea Cisalpino che propose di ordinare le 1500 specie vegetali a lui
note nell’Opera De Plantis Libri XVI scritta ne 1583 che riuniva le specie vegetali in 20 classi,
definite sulla base dei caratteri morfologici.
La vera Pietra miliare della biologia sistematica fu Carl von Linnè , che considerava il sistema come
uno strumento per giungere alla identificazione degli organismi.
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L’intero universo di oggetti sensibili li divide in viventi e non viventi, tra i viventi in piante ed
animali. Il sistema, struttura logica di cui ci serviamo per organizzare in classi un qualsiasi insiemi di
oggetti; nel sistema di classificazione delle piante, gli individui sono riuniti in specie, le quali a loro
volta sono riuniti in genere, famiglie ecc., quello linneano è strutturato gerarchicamente ed è
divisivo, procedendo dall’ alto verso il basso per successive divisioni.
Si deduce come le erbe infestanti essendo piante di natura superiore siano inserite nel sistema di
classificazione.
2. Cenni storici
La necessità di tenere sotto controllo le erbe infestanti, si manifesta sin dai tempi del Neolitico
(circa 10.000 anni fa), quando l'uomo inizia con la coltivazione di alcune forme primitive di cereali
e di altre piante spontanee, per provvedere ai suoi bisogni alimentari. Gradualmente, l'uomo
innesca una profonda trasformazione nelle antiche associazioni vegetali naturali modificando così
il suo rapporto con l' ambiente e con l' uso del territorio (Hausman, 1986).
Sulla base di questa premessa, il concetto stesso di infestante, è mutato nel corso della storia,
contestualmente allo sviluppo ed alla diffusione di sistemi colturali caratterizzati da produzioni
sempre più specializzate ed intensive.
3. Piante infestanti
Quando si parla di erbe infestanti, ci si riferisce a tutte quelle erbe che in qualche modo
alterano il rendimento della pianta coltivata.
La definizione di pianta infestante che viene oggi più frequentemente utilizzata è quella di :
“pianta che cresce dove non è desiderata, che interferisce con gli obiettivi e le esigenze dell’uomo”
(European Weed Research Society 1975).
Il concetto di pianta infestante rimane comunque relativo e non assoluto in quanto, spesse volte la
stessa specie in alcune condizioni si rivela utile, mentre in altri contesti risulta assai dannosa.
Tra gli esempi che potrebbero essere fatti, quello più emblematico riguarda il Lolium temulentum
(zizzania o loglio) che può deprimere una coltura destinata all’alimentazione umana, ma anche
fornire un buon foraggio per il bestiame
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3.1. Definizioni
Le definizioni sono molteplici in quanto ci si riferisce a diversi argomenti.
Definizione ecologica: una pianta è una malerba se in una specifica area geografica, la sua
popolazione cresce interamente o in maniera preponderante in ambienti marcatamente
disturbati dall’uomo. (Baker, 1965)
4. Classificazioni
Si avverte quindi, anche nello studio delle piante infestanti la necessità di una classificazione e
questa viene fatta a seconda degli obiettivi:
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Terofite (T): piante annuali che superano la stagione avversa allo stato di seme.
Le piante Terofite sono tipiche dei terreni con struttura e tessitura favorevole, che vengono
sottoposti ad un rivoltamento completo dello strato lavorato e nei quali si pratica un
avvicendamento intensivo di colture annuali senza inserimento di maggese o delle colture
foraggere.
Geofite (G): piante perenni con gemme sotterranee, contenute entro bulbi e rizomi: sono
piante vivaci, nelle quali la riproduzione vegetativa dinamica è assicurata da un organo
sotterraneo. Si adattano a tutti i terreni e i tipi di lavorazione, ma la loro presenza è
superiore nei terreni non lavorati ed argillosi.
Emicriptofite (H): piante perenni con gemme al livello del terreno, con portamento a
rosetta, oppure cespugliose o anche con fusto ben sviluppato. Si propagano oltre che per
seme per mezzo di gemme poste appena sotto la superficie del terreno. Sono a ciclo
annuale, ma il cespo è pluriennale. Sono specie tipiche dei prati e dei tappeti erbosi
permanenti, degli arboreti dove si insediano lungo i filari, grazie ai disturbi meno intensi
che il terreno subisce in quella zona. La presenza di emicriptofite in un terreno lavorato sta
a significare che il terreno è stato mal lavorato o lavorato poco profondamente.
Camefite (Ch): piante perenni, alla base legnose, con gemme a meno di 2-3 cm di altezza
dal suolo; si distinguono in camefite striscianti, succulente, a cuscinetto, suffruticose, ecc.
Sono piante a riproduzione sessuata. In funzione della lignificazione degli organi che
portano le gemme e dell’altezza a cui sono situate rispetto al terreno si distinguono:
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Fanerofite (P): piante perenni legnose con gemme a più di 3 cm di altezza dal suolo:
tipicamente gli alberi ed i grossi cespugli;
intermedi tra questo gruppo e il precedente sono gli arbusti nani (nano fanerofite), che
sono piante arbustive a crescita basitona, formanti cespugli di 50-200 cm di altezza.
Epifite: sono specie vegetali parassite, incapaci di condurre una vita autotrofa
indipendente (Orobanche spp).
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Specie autunnali: Sono le specie che devono subire l’effetto vernalizzante delle basse
temperature. Vengono distinte in tre sottogruppi:
Specie invernali: hanno semi dormienti che vengono indotti alla germinazione dalle basse
temperature o germinano con temperature comprese tra 0-5 °C.
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Specie primaverili: per le quali il superamento della dormienza richiede la permanenza dei
semi a temperature di 0-5°C per 4-6 settimane. Per germinare richiedono una temperatura
superiore ai 10°C.
Specie estive: i cui semi possono essere dormienti. Sulla base delle esigenze termiche si
possono distinguere due sottogruppi: specie subtermofile e termofile.
1. Sisymbrium officinale
2. Agrostis spica-venti
3. Caucalis platicarpos
4. Lolium - Linum
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- Indiretti: si riscontrano nel peggioramento della qualità del seme a causa: della
presenza di malerbe nelle sementi che ne diminuisce il valore o addirittura ne
impedisce la commercializzazione se non previa esecuzione di costose operazioni di
cernita o essiccazione; caratteri negativi possono essere impartiti ai prodotti da seme o
piante infestanti: gusto amaro alle farine per presenza di Picris hieracioides e Thlaspi
arvense. Inoltre i danni si hanno nella minore efficienza lavorativa delle macchine
agricole con conseguente impossibilità di impiegare la mietitrebbiatrice su cereali
infestati da erbe verdi, o le zappatrici su terre infestate da malerbe rizomatose; si
riduce l’ efficienza dei mezzi produttivi(concimi, varietà, irrigazione); aumentano i costi
di produzione e le lavorazioni eccessive per numero o per intensità imposte dalla
presenza di erbe infestanti spesso danneggiano il terreno e/o le colture.
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Per poter gestire queste due decisioni è necessario definire la “soglia d’infestazione” ed il “periodo
critico”.
L’incremento della densità delle piante infestanti provoca una riduzione proporzionale della resa
della coltura. Tale relazione viene espressa matematicamente, oppure tramite:
- valutazione visiva o soggettiva: adottata da agricoltori e tecnici che dopo una stima visiva
della densità delle infestanti, decide in base alla propria esperienza e competenza,
l’opportunità dell’intervento chimico.
- soglia economica d’intervento (SEI): è la densità alla quale il costo del trattamento
eguaglia il beneficio ottenuto con l’eliminazione delle malerbe nell’anno considerato
(Walker, 1983). La soglia così calcolata varia in funzione del valore del prodotto della
coltura, del tipo di infestante, del costo del trattamento e della sua efficacia erbicida.
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- soglia di previsione: è la densità alla quale dovrebbero essere prese misure di controllo
per evitare che l’infestazione raggiunga un dato livello ad una certa data.
A parità di densità, le piante infestanti provocano un danno produttivo diverso in funzione del
periodo in cui vengono lasciate convivere con la coltura. Di fatti qualunque coltura in dipendenza
delle sue caratteristiche eco-fisiologiche, presenta un periodo in cui è particolarmente sensibile
alla competizione delle piante infestanti. Per esempio alcune colture come frumento, orzo, riso
non subiscono danni elevati dalla presenza delle malerbe nelle fasi iniziali del ciclo, viceversa
diventano estremamente sensibili durante la levata. Altre colture come la lattuga, aglio a causa del
loro lento sviluppo iniziale sono sensibilmente danneggiate sia dalle piante infestanti che
emergono contemporaneamente ad esse sia da quelle che emergono tardivamente.
7. Gestione integrata
E’ l’insieme di tutte le tecniche possibili per mantenere una flora equilibrata, mediante:
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nei confronti delle specie più competitive, cioè quelle ritenute in grado di esercitare una
rilevante concorrenza sulla coltura in atto e/o in quelle previste nella rotazione.
nel periodo in cui tale concorrenza si realizza e causa il maggior danno quantitativo e
qualitativo.
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Le prime fanno riferimento ai mezzi agronomici e sono rappresentate da tutte quelle pratiche che
permettono alla coltura di insediarsi e ricoprire il campo in modo uniforme, nel più breve tempo
possibile e con la massima capacità di estrinsecare la competizione con le infestanti. In particolare,
una razionale tecnica d’impianto della coltura, può contribuire in modo importante a limitare
l’infestazione che può svilupparsi nel campo.
Tra i fattori da tenere in considerazione, quelli principali sono:
crescita nei nostri ambienti. Inoltre, in caso di semina, è indispensabile accertarsi della
purezza del seme al fine di non portare già artificialmente specie infestanti in campo.
- aumento della competitività delle colture:
a. epoca di impianto: può influire positivamente sulla riduzione dell’infestazione e/o sul
livello di competitività di quest'ultima. Infatti, l’impiantare la coltura in un’epoca
ottimale, nella quale le condizioni climatiche sono tali da garantire un veloce e vigoroso
accrescimento delle piante consente alla coltura stessa di essere molto competitiva nei
confronti delle infestanti.
b. concimazione localizzata
c. irrigazione a goccia
I metodi diretti di lotta sono invece rappresentati da tutte quelle tecniche che agiscono in maniera
diretta sullo sviluppo della flora infestante e comprendono l’impiego di mezzi diversi, tra questi
ricordiamo quelli meccanici, fisici, chimici e biologici:
8.2.1. Mezzi meccanici: alcuni di questi metodi possono causare danni diretti alle malerbe
attraverso la loro rimozione completa o attraverso una lesione letale. Altre tecniche
possono, invece, alterare l'ambiente circostante eliminando la luce, aumentando la
temperatura del suolo, o privando la pianta di anidride carbonica, ossigeno ed elementi
nutritivi. Gli interventi meccanici che è possibile mettere in atto per il controllo delle
infestanti, sono:
- Lavorazioni del terreno: possono essere attuate secondo diverse modalità e
intensità di esecuzione. Ognuna di queste tecniche è in grado di esercitare
una diversa influenza sullo sviluppo delle infestanti, sia diretta che indiretta.
Tra queste ricordiamo:
a) Arature: risultano particolarmente efficaci nei riguardi delle infestanti
perenni, le quali sono caratterizzate dalla presenza di organi di propagazione
sotterranei (rizomi, stoloni, tuberi eccetera) che sono portati in superficie ed
esposti all’azione degli agenti atmosferici. In tal senso, assumono
particolare efficacia le lavorazioni effettuate prima delle gelate o dei periodi
caldi e asciutti e non seguite da alcuna operazione di affinamento del
terreno.
b) Minima lavorazione o non lavorazione: ai fini di un ottimale controllo della
vegetazione spontanea, è preferibile l’utilizzo di erpici a denti flessibili;
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8.2.2. Mezzi fisici: quelli a cui facciamo spesso ricorso per il controllo delle erbe infestanti sono
parecchi, tra questi ricordiamo:
- Pacciamatura: si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di materiale (residui
vegetali secchi oppure film sintetici neri) che consente di non far passare la luce,
fattore indispensabile allo sviluppo delle infestanti. Ha inoltre lo scopo di
mantenere l'umidità nel suolo, proteggere il terreno dall'erosione, dall'azione della
pioggia battente, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale,
diminuire il compattamento, mantenere la struttura e innalzare la temperatura del
suolo.
- Solarizzazione: è una tecnica di trattamento termico del terreno che sfrutta
l’energia solare. Inizialmente, è stata ideata per controllare malattie di origine
fungina, mentre successivamente se ne sono visti i vantaggi anche relativamente al
controllo di infestanti e nematodi. Consiste nel ricoprire il terreno con un film
plastico trasparente durante il periodo estivo, per una durata di 3-4 settimane. La
presenza del film determina un innalzamento della temperatura del terreno,
soprattutto nei primi 10 cm, cosi da raggiungere massime anche di 40 °C. Al fine,
comunque del contenimento delle infestanti, non sembra avere notevole
importanza la temperatura massima, quanto piuttosto il totale di ore con
temperature al di sopra di una soglia critica. A questo riguardo, va tuttavia ricordato
che il raggiungimento di una soglia di temperatura non sufficiente a devitalizzare i
semi, potrebbe addirittura determinare un incremento della germinazione di
questi.
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Con il termine diserbante o erbicida, si intende una sostanza chimica usata per l’eliminazione delle
erbe infestanti o nocive. La maggior parte di essi è impiegata in agricoltura per proteggere i
raccolti.
Il principio attivo (p.a.) o sostanza attiva (s.a.) è la sostanza (chimica o biologica) che
produce l’effetto tossico.
I Coformulanti sono sostanze inerti che servono per ridurre la concentrazione del p.a. (max
3 per prodotto) [acqua, talco, diluenti, solventi,..]
I Coadiuvanti sono invece sostanze non attive che svolgono la funzione di:
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molto selettivo;
flessibile e conveniente;
A. Selettività: legata alla natura del composto, potendo dipendere dalla sua tossicità selettiva
o dalla velocità di assorbimento variabile da un'erba all'altra, oppure alla concentrazione
della sostanza, alle modalità di applicazione sul terreno o sulla pianta, al tipo di veicolo
utilizzato. In base ad essa possono essere suddivisi in due grandi categorie: selettivi e non
selettivi, a seconda che distruggano tutte o solo alcune delle erbe che crescono sulla
superficie trattata.
B. Trattamenti: si suddividono in base al momento in cui vengono applicati nel terreno:
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- Contatto: in questa categoria sono racchiusi prodotti che eliminano la parte che è
stata colpita dal prodotto, lasciando inalterato l’apparato radicale. Questo diserbo è
utile per le infestanti annuali.
- Traslazione: questi prodotti, detti anche sistemici, permettono al principio attivo di
entrare in circolo alla pianta e di eliminare anche l’apparato radicale. Questi
prodotti agiscono prevalentemente sul meristema della pianta, impedendo la
fotosintesi e la riproduzione delle cellule. Si tratta di un sistema più lento del
precedente ma garantisce una buona riuscita anche sulle piante perenni con un
apparato rizomatoso.
- azione residuale: comunemente chiamati antigerminello, impediscono al seme di
germinare, eliminano le infestati al primissimo stadio di sviluppo. A differenza dei
precedenti questi prodotti posso coprire periodi molto più lunghi, garantendo una
parziale pulizia del terreno.
I diserbanti a contatto e quelli traslocabili vengono distribuiti sulla foglia, e assorbiti
attraverso gli stomi della foglia, mentre quelli ad azione residuale vengono distribuiti sul
terreno.
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A. Vantaggi
• Possibilità di controllo di molte specie infestanti;
B. Svantaggi
• Possono essere tossici per gli uomini ed altri viventi;
• Il loro uso induce all’abbandono delle rotazioni colturali, con maggiore diffusione di
insetti e patologie specie-specifiche;
Effetti sull'ambiente
L'impiego sempre più esteso degli erbicidi provoca per contro anche effetti indesiderabili sia
direttamente a carico delle colture agrarie sia sull'ambiente. Il principale rischio connesso
all'impiego degli erbicidi deriva dalla loro elevata fitotossicità che non si manifesta, se non in
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seguito a errori di applicazione, sulle colture per le quali vengono impiegati, ma spesso su quelle
successive nella rotazione dei campi. Infatti l'attività erbicida è selettiva solo nei riguardi di ben
determinate specie, per cui diviene molto delicata la programmazione degli avvicendamenti
colturali in rapporto ai prodotti impiegati e alla loro persistenza. Infine gli erbicidi possono
determinare danni a colture anche lontane dal loro punto di applicazione quando, in seguito al
dilavamento, inquinano le acque di irrigazione, oppure quando vengono trasportati dal vento.
Tipi di resistenza
La resistenza evolve a causa di una selezione persistente per genotipi pre-esistenti o meno in una
popolazione. Se ne possono avere diversi tipi, quali:
1. Resistenza per modificazione del bersaglio (target-site resistance): modificazione del sito
di attività dell’erbicida (enzima), che impedisce all’erbicida di esplicare la sua azione. E’ il
tipo più comune.
2. Resistenza incrociata (cross-resistance): un singolo meccanismo di resistenza conferisce
resistenza a diversi erbicidi con la stessa modalità d’azione (ad es. resistenza incrociata per
modificazione del bersaglio: target-site cross-resistance, ad es. resistenza all’inibizione
dell’ACCasi per arilossifenossipropionati e cicloesandioni).
3. Resistenza dovuta ad altri meccanismi (non target-site resistance): ad es. catabolismo
accelerato, riduzione della traslocazione, sequestramento.
Riducono la quantità di erbicida che raggiunge il bersaglio.
4. Resistenza incrociata dovuta ad altri meccanismi (non target-site cross-resistance):
quando un singolo meccanismo conferisce resistenza ad erbicidi con differenti modalità
d’azione (ad es. citocromo P450-monossigenasi, glutatione-transferasi).
5. Resistenza multipla (multiple-resistance): quando due o più meccanismi conferiscono
resistenza ad erbicidi in un individuo o popolazione.
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Per quanto riguarda il controllo delle infestanti, in taluni casi il controllo biologico si perpetua nel
tempo senza ulteriori interventi da parte dell’uomo, aggiungendo al vantaggio ambientale
l’assenza di residui chimici e la profittabilità economica rispetto ad altre tecniche convenzionali.
I principali limiti della lotta biologica, soprattutto quella classica, sono legati agli elevati
investimenti necessari all’individuazione dell’agente biologico ed alla precisa valutazione della sua
specificità di bersaglio nell’ambiente di rilascio.
Inoltre, gli effetti, non sono sempre rapidi e possono quindi conciliarsi male con l’esigenza di
intervenire nel periodo critico di competizione come nel caso del controllo delle infestanti nelle
colture agrarie.
Altro limite non secondario è talvolta legato alla scarsa biodiversità offerta dall’ambiente di
coltivazione, che può pregiudicare il successo nell’introduzione dell’agente biologico.
Si possono riconoscere quattro tipi fondamentali di lotta biologica (Wapshere et al., 1987), ovvero:
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Per raggiungere tale obiettivo si interviene in maniera indiretta limitando gli organismi che
in natura sono antagonisti dell'agente biologico.
Tale sistema non ha avuto applicazioni pratiche anche se di notevole interesse.
Lotta biologica a LARGO SPETTRO: Tale sistema di controllo non rispetta il requisito
fondamentale della specificità richiesto ad un valido metodo di lotta biologica.
Esso si basa su un controllo non selettivo effettuato da esseri viventi che non siano
forzatamente insetti; trae le sue origini da tempi molto remoti quando animali di
allevamento venivano utilizzati per controllare la vegetazione ai margini dei campi e per
brucare le stoppie dopo la raccolta dei cereali. A tutt'oggi vengono ad esempio utilizzati
animali da cortile per ripulire gli orti da semi di malerbe e da uova di larve o di parassiti.
Attualmente però, gli esempi più interessanti si riferiscono al controllo della vegetazione
acquatica in situazioni particolari, tipo bacini artificiali o canali per l'irrigazione.
Interessante è stata ad esempio l'introduzione dei lamantini (Trichechus lanatus), grossi
mammiferi acquatici erbivori, in bacini idroelettrici di zone subtropicali, con il duplice
scopo di limitare la vegetazione di tipo pelagico (Typha spp., Eichornia crassipes (Mart.)
Solms, etc.) e di proteggere il trichechide dal pericolo dell'estinzione.
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Si tratta di un diverso approccio al problema che scaturisce da una diversa consapevolezza del
ruolo ecologico svolto dalle essenze spontanee nel campo coltivato.
Indubbiamente una cattiva gestione delle erbe infestanti procura forti riduzioni delle produzioni e
un peggioramento qualitativo delle stesse.
Nell'agricoltura convenzionale si è sempre più fatto ricorso all'uso di diserbanti con un progressivo
abbandono delle tecniche agronomiche tradizionali, funzionali al contenimento, senza tener conto
dei costi ambientali, ma puntando essenzialmente su uno sfruttamento dell'ecosistema suolo.
In Agricoltura Biologica quindi l'obiettivo non è quello di eliminare dal campo coltivato tali
essenze, ma di contenerne la presenza ad un livello tale da non compromettere la redditività della
pianta coltivata. D'altronde va anche sottolineato che nessuna molecola chimica è mai riuscita ad
eliminare una specie spontanea, al massimo si è assistito ad un momentaneo successo, ma a costi
economici ed ambientali molto alti.
Nell’agricoltura tradizionale queste colture venivano utilizzate soprattutto come prati o erbai per
la produzione di foraggio fresco o insilato per il bestiame aziendale.
Oggi possono avere destinazioni più ampie, secondo i criteri dell'agricoltura ecocompatibile.
In tale contesto la lotta alle malerbe avviene essenzialmente grazie all'effetto pacciamante della
biomassa disseccata che rimanendo sulla superficie del terreno da luogo a fenomeni di allelopatia.
Si definisce Allelopatia un fenomeno naturale che indica un’interazione tra piante di specie
diverse; tale comunicazione avviene liberando nell’ambiente delle sostanze chimiche naturali, che
sono in grado di condizionare significativamente la vita delle piante.
I meccanismi allelopatici sono tutt'ora oggetto di studi e di ricerca: dai dati finora ottenuti, emerge
che i biomessaggeri allelopatici agiscono sulle piante bersaglio su due livelli ben distinti:
1. potenziando l'attività degli ormoni vegetali presenti nelle piante in quantità ridotte, ma
fondamentali per il controllo del ciclo vitale;
2. agendo sulle membrane delle cellule intervenendo così sul metabolismo energetico.
Le classi di appartenenza di tali sostanze sono: amminoacidi, proteine con reazione difensiva,
terpenoidi, flavonoidi, ormoni vegetali, vitamine, inibitori, altre molecole segnale e
biocatalizzatori.
Esse sono prodotte nelle radici o nelle foglie di alcune piante e vengono disperse nel terreno, dove
possono svolgere un'azione tossica nei confronti di altre specie vegetali.
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La capacità naturale di difesa delle piante può essere sfruttata per ridurre la necessità di
trattamenti erbicidi nelle colture. Si è alla ricerca di cultivar che, producendo sostanze
allelopatiche, possano essere coltivate senza l'intervento del diserbo.
Un esempio di questa azione è fornito da alcune varietà selezionate di avena che producono
un essudato, la scopoletina, in quantità superiore alle normali varietà. Tale sostanza riduce
l'accrescimento del rafano, una crucifera che spesso è infestante delle colture.
Alcuni composti contenuti nel fusto e nelle foglie del girasole hanno un'azione inibente contro
le infestanti dicotiledoni e non contro le graminacee: infatti, dopo alcuni anni la densità ed il
numero delle infestanti appare ridotto se nel campo si è coltivato girasole.
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In realtà gli studi in questo settore, soprattutto per quanto riguarda il controllo della flora
infestante, hanno fornito risultati inferiori alle attese, anche se in qualche caso sono state
poste le premesse per la messa a punto di specifici erbicidi di sintesi.
finora fornito risultati alquanto modesti. Di qualche interesse è apparsa solo la cantaridina
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prodotta dal dittero Lytta vesicatoria, che ha dimostrato di inibire lo sviluppo del coleoptile del
frumento.
Di qualsiasi tipologia esse siano, il passo più importante sta nell'individuazione chimica delle
sostanze inibitrici (allelopatiche), per poterle ottenere sinteticamente, e dei geni che ne codificano
la produzione.
Gli studi sono promettenti, anche se sono maggiormente indirizzati ad altri tipi di competizione,
come quelli tra ospite e fungo parassita.
L'obiettivo è quello di caratterizzare tali geni, magari ottenuti da specie selvatiche, che
opportunamente manipolati potrebbero essere inseriti nelle specie coltivate per creare varietà
resistenti alle malerbe.
Gli interventi possibili per una corretta gestione delle spontanee sono diversi, ma il concetto
fondamentale per un valido controllo è che la coltura deve essere:
• ben insediata
• in grado di competere vigorosamente con la flora spontanea
• capace di coprire rapidamente il terreno
E’ dimostrato infatti che una volta che la coltura ha coperto la fila, sia l’emergenza dei semi che la
crescita delle plantule di spontanee è notevolmente ridotta.
In conseguenza di ciò le specie che presenteranno maggiori problemi sono quelle che hanno
una germinazione lenta. Per queste specie, quando è possibile, è meglio preferire il trapianto alla
semina; sono inoltre validi tutti gli accorgimenti agronomici volti ad accelerare la
germinazione (bagno dei semi, irrigazioni, copertura con tessuto non tessuto, ecc.).
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10. Bibliografia
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