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Follia, specchio della psiche umana.

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Stabilire la nascita del concetto di follia è difficile dal momento che esso accompagnato la
mente umana sin dall'antichità.
Umberto Albini, negli Appunti sulla follia nei tragici greci, www.indafondazione.org/senza-
categoria/appunti-sulla-follia-nei-tragici-greci, scrive di come fin nella Grecia antica la follia era
accompagnata alla depressione, alla persecuzione e alla mania. Per Sofocle, il linguaggio di un
uomo pervaso da pazzia era “brutale e privo di ritegno”; “alla fase di agitazione” seguiva “quella
depressiva, caratterizzata da senso di colpa e di vergogna, dalla paura della derisione pubblica,
dalla convinzione di essere odiato e da propositi suicidi”. In Euripide, invece, erano descritte crisi
unica o ripetute come nella tragedia “Eracle”. Per i latini il “follis” era un soffietto per attizzare il
fuoco. Nel Medioevo, invece, il folle impersonava un rappresentante del demonio; bisognava
quindi esorcizzarlo e liberarlo dal male.
Nel Cinquecento fiorì un nuovo movimento culturale denominato Rinascimento, perché
considerato la rinascita dai secoli bui del Medioevo. Un elemento fondamentale è la riscoperta dei
classici; infatti la nuova concezione di follia alludeva al significato di “follis”. Essa fu concepita, nel
bene o nel male, come una forza alimentatrice; conservando anche tratti maniaci del mondo greco.
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1511, scrive: “Ditemi, per Giove, quale momento
della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un
pizzico di follia?” È la follia stessa a parlare, celebrando le sue glorie e se stessa come dominatrice
del mondo.
In Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, XXIII, ott.125-128, Orlando, il protagonista dell’opera,
muta completamente il proprio carattere. Nelle ottave emerge il forte connubio tra ira e follia.
L’uomo è stato ucciso in modo figurato e condotto alla pazzia da Angelica, la donna amata, perché
ella non ricambia il suo amore. Il furore spinge Orlando a tormentarsi perché si considera
“esempio a chi in Amore pone speranza”.
In Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 1605, la follia induce a fare cose per cui
non si ha mai avuto coraggio, portando alla ricerca di nuove avventure ed esperienze. “A forza di
dormir poco e di legger molto, egli si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione. Gli si
riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei suoi libri. (…) E così, perso ormai del tutto il
cervello, gli venne il pensiero più stravagante che sia mai venuto ad un pazzo; cioè (…) d’andare
per il mondo con le sue armi e il suo cavallo a cercare avventure.”
Nel corso del Settecento gli studi antropologici ebbero un notevole aumento. Sulla base di
questi si compresero numerosi aspetti caratterizzanti l’essere umano. In Cristoph Martin Wieland,
Don Silvio von Rosalva, 1777, la follia non è causata da forze soprannaturali (demoniache o divine)
ma si ritiene che svanisca quando l’uomo impara a relazionarsi alla realtà. Questo approccio
razionale era nettamente innovativo rispetto a quello delle epoche precedenti, ma trascurava il
fatto che il furore potesse essere parte integrante dell’individuo, perciò non era sufficiente
rimuoverlo.
Gli anni dell’Ottocento fecero da sfondo a diverse correnti artistico-letterarie, in particolare
Romanticismo ed Espressionismo. I romantici rifiutavano la razionalità illuminista, cominciando
ad indagare sull’irrazionalità e sulla soggettività. La follia nel Romanticismo si manifesta in tre
campi: la Passione amorosa, in cui la soggettività è scossa da una forza interna che la travolge; il
Genio, che permette all’individuo di trascendersi; il Perturbante, ossia pulsioni profonde
nell’animo sepolte sotto la coscienza. Nel quadro di Théodore Géricault, La zattera della Medusa,
1818-1819, Musée du Louvre, Parigi, la pazzia è causata dall’essere in bilico tra speranza e
disperazione. Il dipinto riporta una vicenda di cronaca nera realmente accaduta nella Francia
napoleonica. L’autore decide, inoltre, di eliminare dallo sfondo qualsiasi tipo di barca per
amplificare le emozioni, creando coì una rappresentazione artistica del “Perturbante”.
L’Espressionismo, d’altro canto, fu sempre associato alla pazzia perché era un movimento
fuori dalle regole portato avanti da artisti violenti e invasati. Esempi sono Van Gogh e Gaugin,
primi ad aver introdotto l’uso del colore arbitrario, simbolico e violento. Ma il simbolo del
movimento espressionista è Edvard Munch. Egli è segnato dall’angoscia, dal terrore di vivere e
dall’insicurezza di sé. Nell’opera pittorica Edvard Munch, L’urlo, Galleria Nazionale, Oslo, è
presente un linguaggio oscuro, una voglia incontenibile di esprimersi, risolta in un grido muto. Lo
stesso pittore a descrive dicendo: “Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città
e sotto di me il fiordo… Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole
ero rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Questo è
diventato L’Urlo” (analisi dell’Art Institute of Chicago, www.artic.edu/aic/collections/
exhibitions/Munch/resource/_171).
Con la nascita della moderna psichiatria e psicologia, ci si affaccia all’età contemporanea. In
Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, 1976, emerge il nuovo approccio da un punto di
vista scientifico e medico. La follia non è l’effetto di un comportamento, ma una condizione che
dipende da uno stato psicologico e, di fatto, solo un medico specializzato, lo psichiatra, può
guarire un malato. Al giorno d’oggi la pazzia rappresenta uno dei topi più diffusi nel panorama
artistico-letterario. Un gruppo musicale che ha fatto la storia nel panorama rock ha composto una
canzone per l’ex leader Syd Barrett, impazzito a causa delle elevate assunzioni di LSD. Egli è stato
ricordato come “un diamante con ora uno sguardo negli occhi simil ai buchi neri in cielo” (Pink
Floyd, Shine On You Crazy Diamond, 1975).
Il percorso evolutivo della follia è complicato ma è impensabile comprenderlo senza studiare
le vicende antropologiche.

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