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LUIGI GARLANDO

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Pubblicato per

da Mondadori Libri S.p.A.

Proprietà letteraria riservata.


© 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano

Prima edizione: marzo 2020


ISBN 978-88-17-14498-8

Illustrazioni dei risguardi: Alessandro Moretti

Redazione e impaginazione: studio pym / Milano

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Ad Anna, cor gentile

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CANTO 1

vittoria
reale sulla prof

«Guidobaldi.»
Che poi sono io. Vasco Guidobaldi, l’ultimo, valo-
roso discendente del crociato Guidobaldo Guidobal-
di, caduto eroicamente nel 1187 in difesa del Santo
Sepolcro.
Il brusio in classe è quello che si sente a teatro quan-
do si apre il sipario. Sanno che sta per iniziare lo spet-
tacolo. L’Angelo si alza dall’ultimo banco.
«Sono Rabbia Pura, hai diritto alla paura.»
Ho in testa una specie di coppola di capelli bion-
di, nuca e tempie sono perfettamente rasate, e indosso
un’immacolata tuta bianca H&M. Io adoro il bianco,
anche perché nella mia famiglia è praticamente bandi-
to. Poi vi spiego. Vesto solo di bianco. Non sembro un
angelo? L’Angelo Vendicatore.

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Incamminandomi lento verso la lavagna incrocio il
sorriso perfido del Verme e schiaffeggio la manona di
Eco, che mi dà la sua benedizione: «Dalle una labbra-
ta… Borda!».
In questi casi dovrei essere io quello preoccupato, e
invece il terrore sta tutto in cattedra, negli occhi spenti
della signorina Catena Licordari da Lentini.
Sa bene a cosa sta andando incontro, ma sono l’uni-
co della III B che non è ancora stato sentito sul Manzo-
ni, perciò è stata costretta a chiamarmi. Ha rimandato
l’interrogazione fino all’ultimo, come faccio io con il
dentista: ci vado solo quando il dolore diventa davvero
insopportabile e mi perfora le tempie.
Le riconosco il merito di non aver cercato lo scontro.
Anzi, ha cominciato con una di quelle domande-­
salvagente che sembrano buttate lì apposta per non
farti annegare. Praticamente una dichiarazione di non
belligeranza.
«Partiamo dal Cinque maggio. Come lo descrivere-
sti il Napoleone del Manzoni? Che impressione ti ha
lasciato?»
Volessi, nella risposta potrei metterci di tutto, come
in uno zaino Fjallraven Kanken: la gloria, le sconfitte,
la conversione, la provvida sventura e tutte quelle cian-
ce lì. Volessi.
Invece preferisco dare una lettura molto più per-
sonale della storia: «L’impressione più forte del 5
maggio resterà quello scudetto incredibile perso
dall’Inter nel 2002, all’ultima di campionato. Quel

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giorno sarebbe bastata una vittoria contro la Lazio,
che non aveva più nulla da chiedere. L’Inter passò
addirittura in vantaggio all’Olimpico con Bobone
Vieri, ma poi si fece rimontare incredibilmente, perse
la partita, e lo scudetto lo vinsero i gobbi… come al
solito. Dall’altare alla polvere. Una sventura per nien-
te provvida. Ma mi chiedo ancora: quella della Juve
fu vera gloria?».
Il teatro mi regala la prima ovazione, la mia claque
personale applaude esaltata. Ringrazio con un inchino
e riporto la calma tra i banchi con un gesto elegante
della mano.
Devo dare ancora atto alla prof di un comporta-
mento molto conciliante.
Non reagisce male, non strilla, non tira pugni sul
registro, non richiama la classe. Esegue solo una lun-
ghissima inspirazione, come se stesse per battere il re-
cord di immersione in apnea e, dopo aver buttato fuori
tutta l’aria dai polmoni, commenta: «Ok, lo spettaco-
lino l’hai fatto. Bravo, Guidobaldi. Adesso vogliamo
cominciare con l’interrogazione?».
Allargo le braccia, abbasso gli angoli della bocca e
mimo tutta la disponibilità del mondo.
«Napoleone è prigioniero a Sant’Elena» prova la
prof. «Gli inglesi, che lo hanno battuto, lo hanno spedi-
to su un’isola sperduta in mezzo all’oceano, che diven-
terà la sua tomba. Dove ha subito la sconfitta decisiva?»
Butto un occhio furtivo tra i banchi, fingo uno sfor-
zo di concentrazione e rispondo sicuro: «Bagnoli».

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Il teatro ruggisce di nuovo. I vetri tremano per le
risate. Il Grillo si copre la faccia con le mani.
«Fuochino…» spiega la Licordari. «Il disegno che
ti ha mostrato Grillanzoni effettivamente ritrae la taz-
za di una toilette, ma andava interpretato con “water”
e non con “bagno” e le lettere che ha scritto accanto
sono tre e non due: “loo”, non “li”. Perciò la soluzione
del rebus del tuo suggeritore era Waterloo e non Ba-
gnoli.»
Faccio lo splendido. «Waterloo, tradotto in italiano,
dà Bagnoli. I conti tornano.»
La prof cambia espressione.
Sotto la pelle del viso, il muscolo della mascella
guizza come un delfino: «Lo sai, invece, che cosa si-
gnifica il nome Guidobaldi, che deriva dall’antico te-
desco Wido? “Istruito.” Non ti sembra il colmo? Tu…
istruito».
Rispondo con la serenità di un vero angelo: «Vasco,
o Basco, deriva invece dalla regione della Guascogna e
significa, appunto, “guascone”, cioè “spaccone”, “sim-
patico”, “estroverso”… Come vede, i conti tornano
anche qui. E comunque il mio cognome non significa
solo “istruito”, signorina, ma significa anche il Senato-
re Vieri, mio nonno, il Conte, che conosce molto bene
il nostro caro preside».
Su questa minaccia, la Catena va giù… il suo auto-
controllo frana di brutto.
Ruota lentamente sulla sedia per fissarmi meglio ne-
gli occhi: «Ascolta, guascone. Lo sai che sono stata io a

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bocciarti l’anno scorso lottando contro tanti colleghi e
colleghe che volevano darti il classico calcio nel sedere
per buttarti fuori da questa scuola? Lo sai, vero? Non
mi interessa se la tua famiglia è la più ricca di Firenze e
se tuo nonno, Conte e Senatore, conosce bene il nostro
preside. Io non ti ammetterò agli esami di terza media
neppure stavolta. E mi ci vorrà anche meno fatica per
convincere i colleghi, perché quest’anno stai andan-
do molto peggio di quello scorso. Io sono abbastanza
giovane per tenerti in questa scuola per altri quindici
anni. Poi, un giorno, quando diventerai più anziano
del bidello, forse accetterò l’idea del famoso calcio nel
sedere. O forse non uscirai mai da qui e l’Istituto Col-
lodi sarà la tua Sant’Elena».
Sotto la pelle ormai le guizzano branchi di delfini.
Ha totalmente perso il controllo dei nervi. Nessuno ha
mai osato dirmi in faccia cose del genere.
Infatti in classe è calato di colpo un gelo silenzioso,
da ghiacciaio artico.
La signorina Catena Licordari ha appena commesso
un errore strategico madornale. Si vede che non gioca
a Fortnite.
Giocasse a Fortnite, saprebbe che non si attacca
mai un avversario che è in una posizione migliore e
possiede armi molto più potenti delle tue. Praticamen-
te è come se mi avesse attaccato dal centro del campo
da calcio di Parco Pacifico con in pugno il solo piccone
con cui è sbarcata sull’Isola, completamente allo sco-
perto, mentre io sono in cima alla torre che mi sono

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costruito, al riparo di un box 1×1, e la tengo sotto tiro
con un fucile di alta precisione Bolt Action. Ho guada-
gnato l’high ground. Ho un’arma Leggendaria e lei ha
solo il piccone. Praticamente è spacciata.
E infatti, mentre cerca di controllare la mano che
trema per la rabbia e prova a scrivere un numero pic-
colissimo sul registro all’altezza del mio nome, io avvi-
cino l’occhio al mirino e premo il grilletto.
«Aspetti, signorina, non mi ha chiesto nulla sui Pro-
messi Sposi. Li conosco a memoria. Ci sono due gio-
vani che si vogliono sposare. Hanno già parlato con
il parroco e fissato la data della cerimonia, solo che il
giorno delle nozze lei si presenta in chiesa e lui no. E
non per colpa di don Rodrigo o del latinorum, no, lui
ha proprio deciso che non la sposa più e se l’è data
a gambe! Così lei è lì, con il suo bel vestito bianco, i
capelli acconciati e ornati di fiori, tutta profumata e
felice, emozionata come mai nella sua vita, ma lui è
sparito… Dev’essere stato terribile, vero, signorina?»
Lo sanno tutti che la prof, quand’era ragazza, una
ventina di anni fa, è stata mollata sull’altare. In Sicilia.
Tutti lo sanno, ma nessuno ne parla. Omertà, come si
dice da quelle parti.
Pare che quell’umiliazione le abbia guastato la vita
per sempre, come il verme nella mela. Ha lasciato casa
ed è scappata verso nord come inseguita da un incen-
dio o, meglio, da qualcuno che voleva farle del male,
infatti ha cambiato aspetto per non farsi riconoscere. È
ingrassata di almeno venti chili, mi hanno detto. Stra-

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no, perché nei film chi ha problemi di cuore di solito
smette di mangiare e dimagrisce. Ma a dire il vero, io
dell’amore so ancora poco. Per ora ho capito solo che è
come la Tempesta di Fortnite che cerchi in tutti i modi
di evitare, ma prima o poi ci finisci dentro e quando ti
prende può gonfiarti o sgonfiarti come una zampogna.
In realtà, si intuisce che un tempo la signorina Li-
cordari è stata una ragazza carina, di quelle che gli uo-
mini di Lentini probabilmente ammiravano in piazza
alla domenica mattina. Ha un naso regolare, una bocca
carnosa e tutte le cose al posto giusto. Eppure, se a un
test Invalsi dovessi crocettare su “carina” o “bruttina”,
sceglierei la seconda casella, perché lei fa di tutto per
peggiorarsi, a cominciare dagli occhiali da vista troppo
grandi, per finire con le scarpe ortopediche, passando
per certi vestiti da nonna, color tronco d’albero, che
indossa imperterrita anche d’estate. Sembra una delle
tante vedove che entrano ed escono dalla Gagliarda.
Forse si sente proprio così, o forse si traveste per non
correre il rischio di innamorarsi e ritrovarsi un’altra
volta ad aspettare un Renzo che non arriva.
L’ho colpita.
Il fucile di alta precisione Bolt Action, arma Leg-
gendaria, non può sbagliare.
La prof mi guarda come la vittima ferita a morte
guarda il suo carnefice, non so se più sorpresa o più
sofferente. Mi lancio giù dalla torre a bordo di uno X-4
Stormwing e la raggiungo per il colpo di grazia.
«E chissà che imbarazzo per gli ospiti: la chiesa pie-

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na, i tavoli al ristorante, l’orchestra che aspettava…
Magari dovevate fare anche il karaoke dopo il lancio
del bouquet. Di sicuro si era già messa d’accordo con
qualche amica zitella per farlo prendere a lei, vero? Ce
l’avevate il karaoke, prof?»
Non mi risponde, cerca qualcosa nella borsetta ap-
poggiata sulla cattedra, probabilmente fazzoletti. Le
dighe degli occhi stanno cedendo. Un Vajont.
«Piantala, Vasco» mi ordina Bice dal secondo banco.
Ma non la pianto. Tiro fuori dalla tasca della tuta un
libretto blu. Eccolo, il colpo di grazia.
«Le ho lette le sue poesie d’amore, sa, prof? Belle.
Anche il titolo, La sera del cuore, è molto suggestivo.
Sono un filo angoscianti, forse, ma ci sta. Non è che i
testi di Sfera Ebbasta facciano sbellicare dalle risate…
Mi chiedevo però se qui, a pagina 16, dove lei scri-
ve “nel buio della notte mi accarezzo la pelle e la mia
mano diventa la tua”, intende la mano del tipo che se
l’è squagliata davanti all’altare. È lui? È Renzo? E an-
che qui, a pagina 23, dove vorrebbe “mordicchiare la
polpa di granchio delle tue labbra”, dobbiamo pensare
al fuggiasco, scappato tra gli scogli come un granchio,
appunto?»
La classe ribolle di risolini come una pentola pronta
per gli spaghetti.
«Smettila, Vasco» m’interrompe Nabil, che è grosso
e fa per alzarsi, ma Eco, che è anche più grosso di lui,
lo rimette a sedere con una manata tipo rugby sulla
spalla: «Chetati o ti do una labbrata…».

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Si alza Bice, che porge alla Licordari un fazzoletto
dei suoi. Lei ringrazia con un sorriso e si asciuga gli
occhi lucidi.
«Mi fai schifo» sillaba Bice guardandomi con di-
sgusto.
A me invece lei fa esattamente il contrario. Se non
sto attento alla Bandinelli, rischio di ritrovarmi in una
Tempesta di Fortnite con l’amore che mi gonfia o mi
sgonfia come una zampogna.
«Devo andare dal preside?» chiedo.
Ripeto la domanda, visto che la prof non risponde.
Le tremerebbe la voce.
«Devo andare dal preside?»
Fa cenno di sì con il mento.
Sollevo le braccia verso il mio pubblico. Ecco la Vit-
toria Reale!
Rappo come Rabbia Pura: «Prof la tua lezione è una
vera lagna / Mi mando da solo dietro la lavagna / Lo
vedo anch’io è attaccata al muro / Infatti esco dall’aula,
poco ma sicuro».
Qualche coniglio mi insulta a bassa voce. La folla
acclama e applaude. La solita apoteosi. Giù il sipario.
L’Angelo Bianco scivola radioso verso la presidenza.
Mi adorate già?

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