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Antologia 2

Storie
per ridere
Testi umoristici di oggi e di ieri, per ridere insieme

IL PIACERE DI leggere

EQUIVOCI A RAFFICA

U. Eco Ciao, come stai? p.   95

UN CLASSICO DELL’UMORISMO

P. Villaggio Una vacanza in campeggio p.   97


F. Flórez Lotta con la valigia p.   99
W. S. Porter Un ottimo affare p. 101
Il piacere di leggere
Antologia 2 5. Storie per ridere equivoci a raffica

Ciao, come stai? Umberto Eco (a cura di)

–C iao, come stai?


–  Come sempre, sto in piedi.
–  Ma no, volevo dire come stai di salute.
Alla domanda
«Ciao, come stai?»
di solito si risponde
–  Ah! Be’, tiro avanti. «Bene, scoppio di
–  Vuoi dire che non ti va tanto bene? salute», «Male, ho
–  No, voglio dire che mi sto allenando per le gare di sci: mi lega- il raffreddore»; ma,
no dei pesi in vita ed io corro trascinandomeli dietro nella neve… come vedrai, queste
Sai, serve per potenziare i muscoli. E tu? non sono le uniche
–  Eh, io vedo tutto nero. risposte possibili
–  Sarebbe a dire? se si ha voglia di
–  Ho trovato lavoro come becchino e ai funerali i colori pastello giocare con le parole
non vanno tanto per la maggiore. e i loro significati…
–  Vuoi dire che non ci si può vestire sgargianti solo in Strada Qui siamo alle prese
Maggiore o che i colori non vanno bene per le signore di una con una serie di 95
certa età? equivoci, originati
–  Ma no, voglio dire che sono fuori luogo. dall’interpretazione
–  Cioè fuori dal cimitero? letterale di alcuni tra i
–  Senti, lascia stare e stendiamo un velo pietoso sulla faccenda. più usati modi di dire.
–  Non capisco: dove lo trovi qui, adesso, un velo? È giovedì po-
meriggio e tutti i negozi sono chiusi!

Il piacere di leggere
–  Santa Pazienza! Certo che tu sei proprio un osso duro. 1.  fondo: ci si riferisce a un
tipo di sci chiamato di «fondo»
–  Grazie per il complimento, ma mi aspettavo che notassi più i
che si svolge su un terreno per
muscoli che non le ossa! lo più pianeggiante.
–  Veramente io intendevo dire che parlare con te è come parlare
a un muro.
–  Vuoi dire per l’altezza?
–  Ma sei impossibile! E pensare che di te conosco vita, morte e
miracoli!
–  Per la vita posso anche crederci, ma se permetti di morte cono-
scerai quella dei tuoi clienti!
–  Vorrei sapere se sei veramente così stupido o se fai l’indiano.
–  Macché! Ci ho sempre tenuto ad essere un vero macho latino.
–  In fondo1 sei anche simpatico.
–  Ma sì, te l’avevo detto che faccio sci.
–  Non molli mai la presa, eh?
–  Guai, altrimenti cado in pista!
–  Ti torcerei l’osso del collo.
–  Ad essere sinceri ho già un massaggiatore personale, ma se
vuoi cambiare mestiere posso chiedere a qualche amico.
–  Non ti reggo più.
–  Non mi stai nemmeno tenendo in braccio.
–  Volevo dire che ne ho fin sopra i capelli di te.
–  Lo sai che sono sempre stato più alto io! 96
–  Te lo chiedo per favore: alza i tacchi e non farti più vedere… E
adesso perché ti togli le scarpe?
–  Me lo hai detto tu di alzare i tacchi.
–  Certo che tu devi essere uno di quelli di cui buttano via lo
stampo per la disperazione!
–  Non ho capito bene il discorso, ma so che se mi viene male una
torta devo buttare via la torta, non lo stampo!
–  Perché le nostre strade si sono incrociate?
–  Perché tu arrivavi da una laterale.
–  Adesso basta: me ne vado… E che Dio me la mandi buona!
–  Vecchio marpione! L’ho sempre saputo che in fatto di donne
sei esigente!
inPovero Pinocchio. Giochi linguistici di studenti bolognesi
al Seminario di scrittura di Umberto Eco, Panini Franco Cosimo

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Antologia 2 5. Storie per ridere un classico dell’umorismo

Una vacanza in campeggio Paolo Villaggio

F antozzi per sfuggire alle tagliole dell’organizzazione ha pen-


sato di vivere una libera vacanza in campeggio a contatto
con la natura, lontano da alberghi e itinerari consigliati. Si è
Ed eccoti le divertenti
disavventure di
Fantozzi, il più famoso
comperato allora una tenda. ragioniere d’Italia che,
Mai una decisione fu più tragica. arrivato il periodo delle
Dopo una settimana di «allenamento» nel giardino del collega ferie, decide di andare
Fracchia, i due, sentendosi ormai maturi per un campeggio re- in campeggio con il
golare, partirono. collega Fracchia…
Nel sedile posteriore dell’utilitaria di Fantozzi la tenda era un
pacchettino piccolo e meraviglioso. I due la guardavano con or-
goglio e quando pensavano ai poveretti che sarebbero caduti nel-
la trappola di un «giro organizzato alberghi compresi» ridevano
forte, nonostante la pioggia implacabile delle loro due «nuvole
da impiegati» che batteva sui vetri della macchina. Incrociarono
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molte corriere di impiegati inseguite da temporali isolati e anche
potenti cilindrate di megapresidenti che volavano in riquadri di
sole. Fantozzi per un sorpasso in curva fu frustato in un auto-
grill da due agenti della stradale, di fronte a una folla spaventa-
ta. A causa di questo umiliante contrattempo, i due arrivarono a
un camping pieno di turisti tedeschi a notte fonda.
Aprirono il pacchetto e cominciarono fischiettando i lavori. Fu-
rono severamente ammoniti dal guardiano che fece loro presen-
te che il sonno degli altri campeggiatori andava rispettato. Si
sentiva solo il picchiettio del martello di Fracchia che piantava

Il piacere di leggere
i pioli reggitenda. Era un rumore metallico e ritmico che nei
campeggi era tollerato. Tinn… tinn… faceva il martello e i due
si sentivano inseriti nel novero dei campeggiatori professionisti.
Tup! fece il martello centrando il pollice di Fantozzi che reggeva
i pioli mentre Fracchia maneggiava abilmente il martello. Fan-
tozzi si ricordò che non erano ammessi rumori e si avventò per
un chilometro nella boscaglia e solo quando fu fuori portata di
voce squarciò la notte con un ululato preistorico.
Tornò dopo mezz’ora con un pollice da «marina» e sussurrò a
Fracchia:
–  Stia attento, porca miseria, mi ha smontato la mano –. E nel
buio gli offrì una sigaretta per fargli intendere che non gli ser-
bava rancore. – Tenga – bisbigliò.
Fracchia pensò che gli passasse un altro piolo da piantare e lo
centrò con un’altra tremenda martellata sulle nocche. Fantozzi
si avventò nuovamente nella boscaglia. Tornò all’alba e alzarono
la tenda.
Dormirono male nei lettini da campeggio, i quali hanno la si-
nistra caratteristica, durante la notte, di stringersi e accorciar-
si, stringersi e accorciarsi fino a diventare delle sottili listarel-
le nelle quali si devono compiere miracoli di equilibrio. Alle otto
del mattino la tenda lentamente si afflosciò. I nostri si dibatte-
rono per venti minuti sotto gli occhi esterrefatti degli abilissimi 98
campeggiatori tedeschi, come Laocoonte, i figli e i serpenti1 nel
groviglio della tenda, poi cominciarono a gridare «Aiuto… aiu-
to…»; i tedeschi li salvarono da sicura morte per asfissia.
La sera dopo la tenda si afflosciò alle due di notte e cominciaro-
no subito a gridare.
Nel montare la tenda, Fracchia aveva anche centrato Fantozzi
nella nuca, scambiandolo per un piolo.
La terza sera dormirono in un albergo con un gruppo che face-
va un itinerario consigliato. Senza consultarsi decisero allora di
tornare. La tenda occupava ora tutto l’abitacolo dell’utilitaria e
Fracchia fece il viaggio di ritorno legato al tetto con le valigie.
Fantozzi era distrutto e guidava a fatica. In autostrada ebbe de-
gli incubi orrendi perché la tenda continuava a crescere fino a
soffocarlo e ogni tanto urlava «Aiuto!». Quando fu immerso nel-
la tenda cominciò a guidare col radar: vale a dire Fracchia dal
1.  Laocoonte, i figli
tetto gli indicava le curve con dei gridolini sinistri. Sotto casa di e i serpenti: riferimento
Fracchia fecero un frontale contro un palo della luce. Fantozzi scherzoso al drammatico
episodio dell’Eneide, in cui il
uscì dai rottami col volante in mano, era l’unica parte dell’utili-
sacerdote Laocoonte e i suoi
taria, che aveva appena finito di pagare, sopravvissuta. Si avvici- due figli muoiono tra le spire
nò al palo e gli domandò tragicamente: di due mostruosi serpenti
inviati dalla dea Atena, dopo
–  Scusi, è assicurato lei?
aver inutilmente lottato per
divincolarsi.
P. Villaggio, Fantozzi, Rizzoli
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Antologia 2 5. Storie per ridere un classico dell’umorismo

Lotta con la valigia Fernández Flórez

M i sedetti davanti a quella valigia gonfia, nella quale la roba


avanzava tanto da obbligare il coperchio a una posizione
verticale, e affondai tra le mani la testa bollente. Non ricordavo
Preparare una valigia e
soprattutto chiuderla,
alla fine delle vacanze,
di essere mai stato tanto infelice come in quel momento. sembra davvero
Dalle nove del mattino non avevo fatto altro che provare e ripro- un’impresa disperata in
vare tutti i sistemi possibili per sistemare in quell’odiosa cassa i questo esilarante
miei vestiti ed ero soltanto riuscito a farvene entrare una piccola racconto in cui calzini,
parte… Era già l’una e mezzo del pomeriggio. Non mi ero anco- mutande, pigiami,
ra rasato né vestito; ero rimasto in pigiama e in vestaglia, come magliette e spazzolini
dopo essermi alzato, e sudavo come se avessi addosso un cappot- da denti ce la mettono
to. Verso mezzogiorno ero talmente angosciato da sragionare e proprio tutta per far
trattare quella valigia come una persona. Dapprincipio la trattai impazzire il povero
teneramente: protagonista!
–  So bene che è sgradevole tenere tutte queste cose dentro di
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te, soprattutto le scarpe… Bene: allora toglierò le scarpettine e
la valigina si comporterà bene e accetterà tutto il resto!… D’ac-
cordo?
Ma la valigia continuava a comportarsi male.
–  Su, sii buona! Oggi dobbiamo prendere il treno, le vacanze
sono finite, io ho già comprato il biglietto
e devo ancora fare mille cose…
E lei, niente, cocciuta e ostinata. Allora
arrivai a insultarla:
–  Stupida! A che diavolo servi? Vuoi pren-
dermi in giro? Ti farò vedere io chi è il
più forte!
Le appioppai una terribile pedata, una
sola perché calzavo pantofole leggere e il
male che mi procurai fu terribile…
Poi mi ritrovai piangente, inginocchiato
davanti a lei, che sbadigliava con la bocca
aperta attraverso la quale occhieggiavano
calzini multicolori appallottolati, come or-
taggi da una cesta.
Trascorsero altri terribili minuti. Non po-
tevo rimanere lì come un imbecille, con la

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roba sparsa per la camera e la valigia ostinata… Fu allora che
bussarono alla porta. Andai ad aprire. Era il mio vicino di came-
ra che, richiamato dal rumore, era venuto a chiedermi che cosa
stesse succedendo…
–  Lei è il benvenuto! – quasi gridai. Poi, frenando a stento i sin-
ghiozzi, gli spiegai in breve l’emergenza e gli chiesi: – Vuole es-
sere così gentile da aiutarmi a chiudere la valigia?
Egli rifletteva con aria concentrata e perplessa, poi domandò:
–  Ma lei ha comprato molta roba, in vacanza?
–  Non ho comprato nulla – mormorai afflitto – tutto ciò che
vede entrò in questa maledetta valigia, quando partii. Anzi, ce
n’era di più perché in albergo mi hanno perso due camicie e una
giacca…
L’uomo scosse la testa dicendo:
–  Eh, le valigie sono fatte così. Dovrebbe fare come me, io com-
pro sul posto tutto quello che mi serve, così viaggio leggero…
Va bene, diamoci da fare!
Sistemammo le camicie. Rimaneva poco spazio, giusto per gli
abiti. Sistemammo anche quelli. Non entrava più niente. L’uomo
chiese un momento di pausa perché, a furia di stare chinato, gli
era venuto mal di schiena…
Provammo molte combinazioni, ma non ci fu niente da fare. Alla
fine collaudammo una tecnica nuova: consisteva nel pigiare la 100
roba con pugni energici, poi ci buttammo seduti sopra la valigia.
Cautamente, io feci scivolare la mano sulla serratura, chiudendo
finalmente la dannata valigia.
–  È fatta! – gridai.
–  È fatta… – sussurrò quel signore, sfinito.
Naturalmente scarpe e altre sciocchezze simili erano rimaste
fuori, ma decidemmo di buttarle in sacchetti facilmente traspor-
tabili.
–  Non dimenticherò mai la sua gentilezza – esclamai abbrac-
ciando commosso il mio buon vicino. Anche lui era commosso.
Si avviò alla porta ma, prima che la sua mano si posasse sulla
maniglia, un’angosciata esclamazione lo fece voltare allarmato.
–  Che c’è?
Io avevo gli occhi sbarrati, le gambe tremanti, le braccia penzo-
loni lungo i fianchi. Indicai il pigiama e la vestaglia che ancora
indossavo…
–  Uhhhh! – esclamò il simpatico vicino. E cadde all’indietro.
F. Flórez, in Umoristi del Novecento, Garzanti

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Antologia 2 5. Storie per ridere un classico dell’umorismo

Un ottimo affare William S. Porter

S embrava proprio un buon affare: ma aspettate che vi raccon-


ti tutto. Eravamo, Bill Driscol ed io, giù nell’Alabama1, quan-
do ci passò per la testa quell’idea di rapire un bambino. Fu, come
Due gangster un po’
balordi credono
che il rapimento
Bill spiegò poi, «durante un momento di temporanea confusione del figlio di un
mentale»; ma ce ne accorgemmo troppo tardi. rispettabile e ricco
Scegliemmo come nostra vittima il figlio unico di un cittadino signore sia un buon
in vista, di nome Ebenezer Dorset, un uomo rispettabile e duro. affare: preparano
Ci immaginavamo che egli si sarebbe precipitato a pagare un ri- le provviste, si ritirano
scatto di duemila dollari. Ma aspettate che vi racconti tutto. in una grotta, studiano
A circa due miglia da Collalto, c’era una montagnola ricoperta il messaggio da
da una fitta macchia di cedri. In alto, nel retro di essa, una grot- mandare alla famiglia.
ta, dove noi raccogliemmo le provviste. Ma…
Una sera dopo il tramonto, guidammo il nostro macinino2 ol-
tre la casa del vecchio Dorset. Il bambino era nella strada e tira- 101
va sassi a un gattino aggrappato allo stecconato3 della casa di
fronte.
–  Ehi, giovanotto! – disse Bill. – Ti piacerebbe un pacchetto di
caramelle e fare una bella corsa in macchina?
Il bambino colpì Bill dritto in un occhio con un pezzo di matto-
ne, e cominciò a dibattersi come un grosso orso bruno; ma infi-
ne lo stendemmo in fondo alla macchina e via. Lo portammo su
alla grotta. Quando fu buio, portai la macchina al villaggio di-
stante tre miglia dove l’avevamo presa a nolo, quindi ritornai a
piedi al nostro colle.
Bill stava incollandosi dei cerotti sui graffi e le ammaccature
del viso. Dietro la grossa roccia dell’entrata della grotta c’era un
fuoco acceso, e il ragazzo stava a guardare bollire una marmit- 1.  Alabama: stato
ta4 di caffè, con due penne di coda di falco piantate nei capelli sudorientale degli Stati Uniti.
rossi. Punta un bastone contro di me che sto salendo e grida: 2.  macinino: termine
scherzoso con cui si designa
–  Ah! maledetto viso pallido, osi entrare nell’accampamento di un’automobile vecchia e
Capo Rosso, il terrore delle praterie? malandata.
–  Si è calmato, ora – dice Bill, arrotolandosi i calzoni ed esami- 3.  stecconato: steccato.
nandosi alcune ammaccature sugli stinchi. – Stiamo giocando 4.  marmitta: recipiente da
cucina.
agli Indiani. Io sono Vecchio Laccio, il Cacciatore, prigioniero di
5.  scotennare: tagliare il
Capo Rosso, e lui mi deve scotennare5 domattina all’alba. Per Ge- cuoio capelluto, secondo l’uso
ronimo! quel ragazzo sa picchiar sodo! pellerossa.

Il piacere di leggere
Sissignori, quel ragazzo sembrava di-
vertirsi come mai in vita sua. L’eccita-
zione di accamparsi in una caverna gli
aveva fatto dimenticare di essere lui
stesso un prigioniero. Mi battezzò subi-
to Occhio di Serpente, la Spia, e mi an-
nunciò che quando i suoi uomini fosse-
ro ritornati dal sentiero di guerra, al le-
vare del sole sarei stato bruciato vivo.
Ogni tanto si ricordava di essere un in-
sopportabile pellerossa; allora afferrava
il bastone che gli serviva da fucile e in
punta di piedi andava all’imboccatura
della grotta a spiare gli esploratori dei
visi pallidi. Ogni tanto lanciava un gri-
do di guerra che faceva rabbrividire.
–  Capo Rosso – dissi al ragazzo – ti pia-
cerebbe andare a casa?
–  A far che? – disse quello. – Non mi
diverto a casa. Non mi piace andare a
scuola. Mi piace accamparmi all’aperto.
Non mi porterete a casa, Occhio di Ser-
pente, vero? 102
Andammo a coricarci circa alle undici. Stendemmo per terra
coltri6 e coperte di lana e mettemmo Capo Rosso in mezzo a noi.
Ci tenne svegli per altre tre ore, saltando e correndo a prendere
il suo fucile e strillando: – Zitti, compagni! – nelle orecchie mie
e di Bill, quando lo scricchiolìo di un ramoscello e il fruscìo di
una foglia rivelava alla sua immaginazione infantile l’avvicinar-
si furtivo di una banda di fuorilegge. Finalmente caddi in un
sonno agitato, e sognai che ero stato rapito e legato a una pian-
ta da un feroce pirata dai capelli rossi.
Era prima dell’alba che fui svegliato da una serie di orribili urli:
venivano da Bill. Saltai su a vedere cosa mai succedesse. Capo
Rosso sedeva sul petto di Bill, e con una mano gli aveva afferra-
to i capelli. Nell’altra teneva il coltello tagliente che usavamo per
affettare la pancetta; e si sforzava nel più realistico dei modi di
impadronirsi del cuoio capelluto di Bill, secondo il verdetto7 pro-
nunciato la sera precedente.
Strappai il coltello al bambino e lo obbligai a coricarsi di nuo-
vo. Sonnecchiai per un po’, ma verso l’alba mi ricordai che Capo
Rosso aveva deciso che io sarei stato bruciato al palo al sorgere
del sole. Non ero nervoso o spaventato: ma mi misi a sedere ap-
poggiandomi contro la roccia e accesi la pipa. 6.  coltri: coperte da letto.
–  Perché ti alzi così presto, Sam? – chiese Bill. 7.  il verdetto: la sentenza.

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–  Io? – risposi. – Ah! ho un certo dolore in una spalla. Ho pensa-
to che sarei stato meglio seduto.
–  Sei un bugiardo! – disse Bill. – Tu hai paura. Dovevi essere
bruciato all’alba e temevi che lui l’avrebbe fatto. E lo farebbe, se
potesse trovare un fiammifero. Non è spaventoso, Sam? Credi
che qualcuno possa sborsare dei soldi per riprendersi indietro
un demonio di quel genere?
–  Certo – dissi io – sono proprio i mascalzoncelli di quel genere
che i genitori amano alla follia. Ora tu e il Capo Rosso vi alzate
e preparate la colazione, mentre io salgo sulla cima della collina
a fare un’ispezione.
In quel momento sentimmo una specie di grido di guerra, simi-
le a quello che Davide deve aver emesso quando stese a terra il
gigante Golia. Capo Rosso aveva tirato fuori dalla sua tasca una
fionda, e ora stava prendendo la mira girando intorno a se stesso.
Balzai rapidamente da parte e sentii un forte colpo sordo e un
profondo sospiro: un sasso nero grosso come un uovo aveva col-
pito Bill dietro l’orecchia sinistra. Egli perse l’equilibrio e cadde
sul fuoco sopra la marmitta di acqua calda per lavare i piatti. Lo
trascinai fuori e gli versai acqua fredda sulla testa per una buo-
na mezz’ora.
Un po’ alla volta Bill si mette a sedere, si palpa dietro all’orecchio
e dice: 103
–  Sam, sai qual è il mio personaggio biblico preferito?
–  Coraggio – dissi io. – Presto starai bene.
–  Re Erode8 – disse lui. – Tu non andrai via e mi lascerai qui
solo, vero, Sam?
Uscii, afferrai il ragazzo e lo scossi sino a fargli saltare le bu-
della.
–  Se non ti comporti bene – gli dissi – ti porterò diritto a casa.
Dunque, starai buono o no?
–  Stavo soltanto scherzando – disse quello improvvisamente. –
Non avevo intenzione di far male a Vecchio Laccio. Sarò bravo,
Occhio di Serpente, se non mi manderete a casa e mi lascerete
giocare oggi all’Esploratore Nero.
–  Non conosco il giuoco – dissi. – Lo dovete decidere tu e il si-
gnor Bill. È tuo compagno di giuochi, per oggi. Devo andar via
per affari per un po’. Adesso vieni dentro, fa’ la pace con lui e di- 8.  Re Erode: Erode, re
di Giudea, viene ricordato
gli che ti dispiace di avergli fatto male, altrimenti andrai a casa soprattutto per la «strage
subito. degli innocenti», cioè per aver
ordinato l’uccisione di tutti i
Volli che lui e Bill si scambiassero una stretta di mano, quindi
bambini maschi al di sotto
presi in disparte Bill. dei due anni, allo scopo di far
–  Tornerò verso sera – dissi. – Devi far divertire il ragazzo e te- morire anche il piccolo Gesù.
In questo caso il richiamo
nerlo tranquillo fino al mio ritorno. E ora scriviamo la lettera al
al crudelissimo infanticida è
vecchio Dorset. ovviamente scherzoso.

Il piacere di leggere
Bill e io prendemmo carta e matita e lavorammo alla lettera,
mentre Capo Rosso, avvolto in una coperta, andava fieramente
avanti e indietro davanti all’imboccatura della caverna, per pro-
teggerla. Bill mi pregò con le lacrime agli occhi di ridurre la
somma del riscatto da duemila a millecinquecento dollari. 104
–  Non sto cercando di deprezzare9 – disse – il tanto celebrato af-
fetto paterno, ma noi stiamo trattando con degli esseri umani e
nessun essere umano può essere tanto umano da perdere due-
mila dollari per quel lentigginoso gatto selvatico da due soldi.
Sarebbe una fortuna per noi riuscire ad avere millecinquecento
dollari. Ti pagherò io la differenza.
Così, per togliere un peso a Bill, accettai; insieme combinammo
la lettera, e firmammo: «Due uomini disperati».
Me ne andai poi a Ca’ dei Pioppi e mi sedetti dalle parti della po-
sta e della drogheria a parlare con i villani10 che venivano in pa-
ese a trafficare. Comperai un po’ di tabacco, feci un accenno al
prezzo di una certa qualità di piselli, impostai furtivamente la
lettera e me ne venni via.
Quando ritornai alla caverna, non ci trovai più Bill e il ragazzo.
Esplorai nelle vicinanze, arrischiai anche qualche richiamo, ma
non ebbi risposta.
Circa mezz’ora dopo sentii frusciare i cespugli e Bill avanzò in-
certo nella piccola radura di fronte alla caverna. Dietro di lui
c’era il ragazzo che lo seguiva senza farsi sentire, come un vero
esploratore, con una smorfia divertita sul viso. Bill si fermò, si 9.  deprezzare:
far diminuire di valore.
tolse il cappello e si asciugò la faccia con un fazzoletto rosso. Il
10.  villani:
ragazzo si fermò a circa trenta metri da lui. abitanti della campagna.

Il piacere di leggere
–  Sam – disse Bill – certamente mi prenderai per un rinnega-
to11, ma non ho potuto farne a meno. Non sono più un ragazzo,
ho un temperamento virile12 e l’abitudine di difendermi, ma arri-
va un momento in cui tutti i tuoi princìpi di egocentrismo13 e di
dominio vengono meno. Il ragazzo se n’è andato. L’ho mandato
a casa. Tutto è finito. Ci sono stati dei martiri nei tempi antichi
– continuò Bill – che sopportavano la morte, piuttosto che rinun-
ciare alle loro idee. Ma nessuno di essi fu mai sottoposto a tortu-
re soprannaturali come lo sono stato io. Ho cercato di mantener-
mi fedele al nostro patto di rapina; ma c’è un limite a tutto.
–  Cos’è successo, Bill? – gli chiesi.
–  Ho fatto il cavallo – disse Bill – per quelle novanta miglia sino
alla palizzata, senza ribellarmi. Poi, quando i coloni sono sta-
ti liberati, ho mangiato l’avena. La sabbia non è un surrogato14
gradevole. Poi per un’ora ho dovuto spiegargli perché nei buchi
non c’è niente, come un’unica strada può portare in due diverse
direzioni e cos’è che fa verde l’erba. Te lo dico io, Sam, era insop-
portabile. L’ho preso allora per il colletto e l’ho trascinato giù dal
monte. Lui continuava a tirarmi calci: le mie gambe sono tutte
un livido dal ginocchio in giù; e poi mi ha dato dei morsi al pol-
lice e alla mano. Gli ho mostrato la strada e ce l’ho mandato a fu-
ria di calci. Mi dispiace che abbiamo perso i soldi del riscatto; ma
dovevo scegliere fra quelli e il manicomio. 105
Bill soffia ed ansima, ma c’è un’espressione di pace ineffabile15 e
di contentezza crescente nei suoi lineamenti.
–  Bill – gli chiedo – nessuno ha avuto il mal di cuore nella tua
famiglia, vero?
–  No – disse Bill – nulla di cronico16 eccetto la malaria17 e le di-
sgrazie. Perché?
–  Allora puoi voltarti – dissi io – e dare un’occhiata dietro di te. 11.  rinnegato: persona che
non riconosce più i princìpi in
Bill si volta, vede il ragazzo e cambia colore; cade a sedere pe-
cui credeva prima.
santemente per terra e comincia a strappare un filo d’erba dopo 12.  virile: da uomo forte.
l’altro, automaticamente. Per un’ora temetti per la sua ragione. 13.  egocen­tri­smo:
Quindi gli dissi che il mio piano era di agire immediatamente e tendenza ad accentrare tutto
che avremmo avuto i soldi del riscatto e che per mezzanotte sa- su di sé; spesso significa
«egoismo».
remmo potuti essere in viaggio, se il vecchio Dorset avesse ac-
14.  surrogato: prodotto
cettato la nostra proposta. sostitutivo di un altro; in questo
Alle otto e mezzo io ero ad aspettare il messaggero, nascosto caso Bill ha mangiato sabbia
fingendo che fosse avena.
sulla pianta come un corvo. In perfetto orario, ecco un ragazzet-
15.  ineffabile: indicibile,
to arrivare in bicicletta per la strada, e infilare un biglietto den- che non può essere espresso
tro una scatola da pasta ai piedi dello steccato. a parole.
Aspettai per un’ora e, concluso che tutto andava bene, scesi dalla 16.  cronico: si dice di una
malattia persistente.
pianta, presi il biglietto, scivolai lungo lo steccato e me la battei
17.  malaria: malattia
attraverso i boschi: in una mezz’ora ero di ritorno alla caverna.
trasmessa dalla puntura della
Apersi il biglietto e, avvicinandolo alla luce della lanterna, lo les- zanzara anofele.

Il piacere di leggere
si a Bill. Era scritto a penna in una scrittura illeggibile, e questo
era in sostanza il suo contenuto:

Ai due uomini disperati


Signori,
ho ricevuto oggi per posta la vostra lettera, riguardante il ri­
scatto per la restituzione di mio figlio. Penso che vi siate te­
nuti un po’ troppo alti nelle vostre richieste e perciò vi faccio
una controproposta, che ho l’ impressione che voi accetterete.
Portatemi a casa Johnny e pagatemi duecentocinquanta dol­
lari in contanti, ed io acconsentirò a liberarvi di lui. Sarà
meglio che veniate di notte, perché i vicini credono che si sia
perduto e io non potrei rispondere per quello che essi farebbero
a chiunque vedessero riportare il ragazzo.
Molto rispettosamente
Ebenezer Dorset

–  Per tutti i pirati della Malesia! – dissi io. – Nessuno fu mai più
impudente18…
Ma, data un’occhiata a Bill, esitai. C’era nei suoi occhi l’impres-
sione più supplichevole che mai abbia visto.
–  Sam – disse – che cosa sono dopotutto duecentocinquanta dol-
lari? Li abbiamo. Un’altra notte con questo ragazzo ed io sarò 106
pronto per il manicomio.
Lo portammo a casa quella notte. Lo persuademmo a partire di-
cendogli che suo padre gli aveva comperato un fucile incrosta-
to d’argento e un paio di mocassini19, e che il primo giorno sa-
remmo andati a caccia di orsi. Era mezzanotte quando bussam-
mo alla porta di casa di Ebenezer. Proprio nel momento in cui io
avrei dovuto ritirare, secondo il piano primitivo, i millecinque-
cento dollari dalla scatola sotto la pianta, Bill ne contava duecen-
tocinquanta in mano a Dorset.
Quando il bimbo si accorse che stavamo per lasciarlo a casa, co-
minciò a urlare come un indemoniato e si attaccò come una san-
guisuga ad una gamba di Bill. Suo padre riuscì a staccarlo di lì
un po’ alla volta, come si fa con i cerotti. 18.  impudente: sfacciato.
–  Per quanto tempo potete tenerlo stretto? – chiese Bill. 19.  mocassini: in questo
–  Non sono più forte come una volta – rispose il vecchio Dorset – caso si intende il particolare
tipo di calzatura dei pellerossa
ma posso permettermi di tenerlo per dieci minuti. americani.
–  È sufficiente – disse Bill – in dieci minuti avrò il tempo di at-
traversare gli Stati del Centro, del Sud e dell’Ovest e di incammi-
narmi rapidamente verso la frontiera del Canada.
Per quanto fosse buio e per quanto grasso fosse Bill e per quan-
to io sapessi correre, egli si trovava già a un miglio e mezzo fuo- W. S. Porter, in Umoristi
ri di Collalto prima che lo potessi raggiungere. del Novecento, Garzanti

Il piacere di leggere

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