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Ristampe
5 4 3 2 1 N
2018 2017 2016 2015 2014 2013
ISBN 9788858307151
Contributi
Il materiale di supporto è stato realizzato con la collaborazione di Filippo Gerli e Vittoria Haun, adolescenti con Disturbi Specifici
dell’apprendimento (DSA)
Stampa: Sograte Litografia s.r.l. - Zona Industriale Regnano - 06012 Città di Castello (PG)
Tutti gli esercizi conservano la medesima numerazione che hanno in Generi, temi,
laboratorio delle abilità 3. Gli esercizi aggiunti sono riconoscibili da questa grafica: 1
Terribili creature p. 5 p. 30
Il mondo di Sofia p. 9 p. 78
Andavo male a scuola p. 17 p. 107
Minuti fatali p. 23 p. 133
Don Abbondio e i bravi p. 29 p. 196
Il Lager - L’arrivo al campo p. 37 p. 268
Il Lager - «Arbeit macht frei» p. 44 p. 270
Il Lager - La selezione dei prigionieri p. 48 p. 271
Liolà p. 54 p. 333
Come i primi Uomini Bianchi arrivarono
dagli Cheyenne p. 59 p. 392
A tre anni nelle cave di pietra p. 65 p. 454
Videogiochi sì o no? p. 71 p. 550
I limoni p. 76 p. 644
VERIFICA Il nano p. 81 p. 177
VERIFICA Casa di bambola p. 87 p. 378
VERIFICA Il lampo p. 94 p. 698
Prima si sentono
soltanto dei boati
Quasi immediatamente batterie invisibili dall’altra parte del fiume, alla nostra
destra (invisibili per via degli alberi) si unirono al coro, sparando pesantemente una
dopo l’altra.
Tutti restarono interdetti per l’improvviso inizio della battaglia, vicina a noi
e ancora invisibile.
«I soldati li fermeranno», disse incerta una donna accanto a me. Una nebbiolina
si alzava sulla cima degli alberi.
Poi, d’improvviso, vedemmo un getto di fumo, lontano, sul fiume, uno sbuffo
di fumo che si alzò impetuosamente in aria e si allargò, e al tempo stesso il terreno
sussultò sotto i nostri piedi e una pesante esplosione scosse l’aria, mandando
in frantumi i vetri delle case lì accanto, e lasciandoci stupefatti.
«Eccoli là!» gridò un uomo con una camicia turchina. «Laggiù! Li vedete? Laggiù!»
Rapidamente, uno dopo l’altro, uno, due, tre, quattro marziani chiusi nelle loro
armature apparvero, molto lontani, oltre i piccoli alberi, e attraversarono i prati piani
che si allungavano verso Chertsey, dirigendosi a passi smisurati verso il fiume.
Poi, ecco un quinto avanzare obliquamente verso di noi. I loro corpi corazzati
scintillavano al sole, mentre si dirigevano velocissimi verso le artiglierie, diventando
sempre più grandi a mano a mano che si avvicinavano.
Quello che stava all’estremità sinistra, il più lontano, levò alto nell’aria un pesante
astuccio, e il terribile, sinistro raggio ardente che avevo già visto la notte del venerdì
guizzò verso Chertsey e colpì la città.
Alla vista di quelle strane, rapidissime e terribili creature, mi parve che la folla
intorno a me lungo la riva del fiume restasse per un momento terrorizzata.
Riassunto
Un boato soffocato annuncia l’inizio di una battaglia, che tuttavia è coperta
allo sguardo del protagonista da alcuni alberi. Poi dopo un’esplosione
appaiono rapidamente cinque marziani che si avvicinano con le loro
corazze scintillanti alla città di Chertsey e con il loro raggio ardente
la colpiscono. La folla di persone attorno al protagonista è ammutolita
e terrorizzata; il silenzio è surreale.
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Riflessioni sulla
sua esistenza
1 il cervello... sofisticato: il cervello umano poteva essere considerato simile a un computer
molto avanzato.
La sua casa pareva trovarsi ai confini del mondo perché dietro il giardino non ce
n’erano altre.
Nell’ultimo tratto la strada svoltava bruscamente e quella curva era nota come
la “Curva del Capitano”.
In alcuni giardini i narcisi formavano corone di fiori ai piedi degli alberi da frutto.
Non era strano che tutto cominciasse a sbocciare e a crescere proprio in quel
periodo dell’anno? pensò.
Perché chili e chili di materia verde spuntavano dalla terra inanimata solo quando
l’aria diventava più calda e si scioglievano le ultime tracce di neve?
Sofia sbirciò2 nella cassetta delle lettere mentre apriva il cancelletto del giardino.
Di solito c’era una grande quantità di volantini pubblicitari e alcune grosse buste
per sua madre.
10
Ma il papà di Sofia era diverso dagli altri: essendo capitano di una grande
petroliera, stava lontano per gran parte dell’anno.
Quel giorno c’era soltanto una lettera minuscola, ed era per Sofia.
Tutto qui.
Nessun mittente.
Vi trovò solo un foglietto non più grande della busta. Sul pezzetto di carta c’era
scritto: “Chi sei tu?”
Nient’altro.
11
Come al solito il gatto Sherekan sbucò dai cespugli, saltò sul pianerottolo e riuscì
a sgusciare dentro prima che chiudesse la porta.
Quando la mamma di Sofia era arrabbiata per qualche motivo, diceva che la loro
non era una casa, bensì un serraglio4.
Per prima le avevano comprato una boccia con i pesciolini Oro, Cappuccetto
Rosso e Fuliggine.
Poi era stata la volta di Briciola e Briciolo, due cocorite5, Govinda, la tartaruga,
e infine di Sherekan, un gatto tigrato.
Sofia si sfilò lo zainetto e mise un po’ di cibo per gatti in una ciotola che diede
a Sherekan.
Poi si sedette su uno sgabello della cucina con la lettera misteriosa in mano.
“Chi sei tu?”
12
Di colpo le venne in mente che, quando era nata, suo padre voleva chiamarla
Synnøve.
Sofia premette l’indice sul naso riflesso nello specchio e disse: «Tu sei me».
Dal momento che neanche questa volta aveva avuto risposta, capovolse la frase:
«Io sono te».
13
La cosa peggiore erano i capelli lisci che non le stavano mai a posto.
A volte suo padre le accarezzava la testa e la chiamava “la bambina dai capelli di
lino”, riferendosi al titolo di un preludio9 di Claude Debussy10.
14
Riassunto
Sofia Amundsen è una ragazza che vive insieme alla madre e ai suoi
numerosi animali domestici, in una casa ai margini di una zona residenziale
della città. Il padre, essendo capitano di una grande petroliera, rimane
lontano da casa per gran parte dell’anno.
Tornata a casa dopo la scuola, Sofia trova una lettera anonima indirizzata
proprio a lei contenente un foglietto su cui c’è scritto: «Chi sei tu?».
A quel punto la ragazza comincia a fare una riflessione su di sé e sul proprio
aspetto fisico, ponendosi delle domande sull’esistenza e sulla vita degli
esseri umani, a cui però non trova risposta.
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5 Perché la mamma di Sofia era solita dire che la loro casa somigliava a un
«serraglio»?
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6 Che cosa del proprio aspetto non piace a Sofia? Quale elemento
in particolare?
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8 Allo specchio Sofia dice: «Tu sei me... Io sono te». Che significato hanno
queste parole secondo te?
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dal racconto è
possibile intravedere il lieto
fine della sua vicenda
Insomma, andavo male a scuola. Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa
perseguitato dalla scuola.
1 riprovazione: disapprovazione.
2 Refrattario: ostile.
3 disortografico: con gravi difficoltà in ortografia.
4 incline: disposto, portato.
17
Non capivo. Questa inattitudine5 a capire aveva radici così lontane che
la famiglia aveva immaginato una leggenda per datarne le origini: il mio
apprendimento dell’alfabeto.
Ho sempre sentito dire che mi ci era voluto un anno intero per imparare
la lettera a. La lettera a, in un anno. Il deserto della mia ignoranza cominciava
al di là dell’invalicabile b.
Molti anni dopo, mentre ripetevo l’ultimo anno delle superiori inseguendo
un diploma di maturità che si ostinava a sfuggirmi, farà questa battuta:
O, nel settembre del 1968, quando ho avuto finalmente in tasca la mia laurea
in lettere:
“Ti ci è voluta una rivoluzione per la laurea, dobbiamo temere una guerra
mondiale per il dottorato8?”
18
I miei genitori non avevano avuto occasione di fare pratica con i miei fratelli
maggiori, la cui carriera scolastica, seppur non eccezionalmente brillante,
si era svolta senza intoppi.
Ero oggetto di stupore, e di stupore costante poiché gli anni passavano senza
apportare il benché minimo miglioramento nel mio stato di ebetudine11 scolastica.
Un pomeriggio dell’anno della maturità (uno degli anni della maturità), mentre
19
Cinque minuti dopo, il cane era di nuovo sul letto. Ma si era preso la briga di
andare a recuperare la vecchia coperta che proteggeva la sua poltrona e vi si era
steso sopra.
RIASSUNTO
Daniel, il protagonista della storia, ha difficoltà nello studio e racconta
le sue emozioni, la sua fatica nell’imparare l’alfabeto, le sue umiliazioni
e le conseguenti difficoltà con i suoi maestri.
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1 Chi è il protagonista?
A Un bambino.
B Un adolescente.
C Un universitario.
D Un laureato.
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1 Ti sei mai trovato in una situazione simile a quella del protagonista?
Racconta.
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22
Ancora quattro minuti poi sarebbe tutto finito. Almeno per quel giorno.
Alzò gli occhi e vide entrare una donna bassa, infagottata in un pesante cappotto
grigio topo con un’ampia sciarpa verde arrotolata attorno al collo.
Con passo militaresco si diresse al banco. «Questo libro è una vera schifezza.
Avevo chiesto in prestito un libro d’amore, non di... sesso». Pronunciò la parola sesso
con la stessa aria con cui avrebbe sputato del grasso rancido1.
23
«Ne voglio un altro, ma bello e pulito», continuò la donna tenendo gli occhi
piantati in quelli di Francesca che cercò di sorridere.
Tre minuti. Tre minuti poi il suo turno sarebbe terminato e avrebbe potuto correre
a rifugiarsi nel suo appartamento e chiudere finalmente la porta in faccia a quella
maledetta città.
Era riuscita ad arrivare alla fine della settimana come un pugile suonato
al termine del dodicesimo round dopo che l’avversario gli aveva scaricato addosso
bordate su bordate di pugni. Il direttore responsabile della biblioteca le aveva
affiancato un collega che pareva essere nato solo per torturarla con le sue domande
idiote.
Quando, poi, aveva bisogno di lui, era capace di eclissarsi3 in bagno per delle
mezz’ore, abbandonandola tra libri, utenti4 e schede.
Con chi voleva un giallo ma ben scritto e non sanguinolento, chi dimenticava
la tessera ma voleva lo stesso utilizzare il prestito, chi voleva un libro
sa quello con quel tizio che ruba i gioielli della corona. L’autore? Inizia per P... P... P
qualcosa, chi voleva un volume di storia, quello sull’ultimo scaffale in alto, quello che
24
Tre minuti. Anzi due e quella specie di gnomo imbottito continuava a scrutarla6
incalzandola: «Allora, cosa mi consiglia?»
Uno di loro fece un cenno di saluto a Francesca che rispose tirando le labbra
in un sorriso stentato.
La donna incappottata diede un’occhiata acida al gruppetto che, ormai fuori dalla
biblioteca, si stava disperdendo tra gli urli.
Resistere due minuti, solo questo. Spostare i propri pensieri da un punto all’altro
del cervello.
Non pensare al dottore che le aveva fatto fare una radiografia perché aveva
individuato “una strana macchia” proprio nel bel mezzo del suo stomaco. Rilassarsi.
5 coltre: strato.
6 scrutarla: osservarla attentamente.
25
«Non saprei», Francesca si tirò di scatto una ciocca di capelli dietro l’orecchio
e abbassò gli occhi sulle schede: storia contemporanea, lesse.
«Come sarebbe a dire? Lei è una bibliotecaria, no? Dovrebbe essere in grado
di dare consigli agli utenti».
La faccia della donna si stava facendo color uva passa mentre il tono della voce
saliva.
Una faccia che le ricordava un’altra faccia: quella della sua padrona di casa
che sicuramente sarebbe stata ad aspettarla per l’affitto, per dirle che il suo gatto
grattava la porta, i fiori non bisognava annaffiarli alle sei di sera, le porte non
dovevano essere sbattute, la televisione urlava.
«Voglio parlare con il responsabile. Lei mi deve aiutare, è un suo preciso dovere!»
7 ostinato: testardo.
8 ritegno: limite, freno.
26
RIASSUNTO
Francesca è una bibliotecaria che sta per finire il turno di lavoro e non vede
l’ora di tornare a casa per riposarsi. Ma, proprio tre minuti prima della fine
del turno, arriva una donna bassa, «infagottata in un pesante cappotto»,
che inizia a lamentarsi di un libro preso in prestito. La donna chiede in
maniera insistente un consiglio per un altro libro, ma Francesca non le
risponde. L’anziana signora protesta, alza la voce e offende Francesca che,
persa la pazienza, la colpisce alla testa con uno schedario.
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giunto a un tabernacolo
di campagna vede dei bravi
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa,
sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle
terre accennate di sopra1: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si
trovan nel manoscritto2, né a questo luogo né altrove.
1 terre... sopra: il primo capitolo del romanzo si apre con una lunga e dettagliata descrizione
del luogo di ambientazione della vicenda.
2 manoscritto: è il testo anonimo di un autore secentesco che, secondo la finzione
manzoniana, rappresenta la fonte del racconto.
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Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva
in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava
alla cura8: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro
non arrivava che all’anche del passeggiero.
Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle
due viottole10: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba
3 ufizio: preghiere.
4 salmo: lettura di contenuto religioso.
5 breviario: libro di preghiere.
6 fessi: fessure.
7 squarcio: brano.
8 menava alla cura: conduceva alla parrocchia.
9 tabernacolo: piccola cappella.
10 al confluente... viottole: dove i due sentieri si univano.
30
L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva
distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano
entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero11 sinistro,
terminata in una gran nappa12, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo:
due lunghi mustacchi13 arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella
attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come
una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi
e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia14 traforata a lamine d’ottone,
congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere
per individui della specie de’ bravi15. [...]
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo
evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi
atti, che l’aspettato era lui.
Perché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con
un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui;
quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada;
l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro.
11 omero: spalla.
12 nappa: fiocco.
13 mustacchi: baffi.
14 guardia: impugnatura della spada.
15 bravi: malviventi al servizio del signore locale.
31
Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche
vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza
lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso.
Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare17, come per raccomodarlo;
e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo
insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva,
se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno.
Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più
modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi.
Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire,
inseguitemi, o peggio.
Affrettò il passo, recitò un versetto18 a voce più alta, compose la faccia a tutta
quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando
si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò
su due piedi.
«Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro,
che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
16 qualche uscita... di no: don Abbondio cerca invano qualche via di fuga per un viottolo
secondario, ma si ricorda che non ce ne sono.
17 collare: colletto.
18 versetto: capitoletto del Vangelo.
32
«Cioè...» rispose, con voce tremolante, don Abbondio: «cioè. Lor signori son
uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero
curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come
s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune19».
«Ma, signori miei», replicò don Abbondio, con la voce mansueta20 e gentile
di chi vuol persuadere un impaziente, «ma, signori miei, si degnino di mettersi
ne’ miei panni. Se la cosa dipendesse da me... vedon bene che a me non me ne vien
nulla in tasca...»
33
«Zitto, zitto», riprese il primo oratore: «il signor curato è un uomo che sa
il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché
abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone
la riverisce22 caramente».
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’un temporale
notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti,
e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: «se mi
sapessero suggerire...»
«Oh! suggerire a lei che sa di latino!» interruppe ancora il bravo, con un riso tra
lo sguaiato23 e il feroce. «A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo
avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare
quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don
Rodrigo?»
E, proferendo24 queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa,
o un complimento.
«Benissimo, e buona notte, messere», disse l’un d’essi, in atto di partir col
compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per
34
«Signori...» cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più
dargli udienza, presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantando
una canzonaccia che non voglio trascrivere25.
RIASSUNTO
Il curato don Abbondio è di ritorno verso casa dopo la consueta
passeggiata serale; giunto in vicinanza di un bivio e di un tabernacolo,
intravede due persone dall’aspetto minaccioso e ben armate: sono dei
bravi. Non trovando nessuna via di fuga o strada secondaria che gli possa
evitare lo sgradevole incontro, si rassegna e procede spedito verso di loro.
Fra i tre si svolge un breve colloquio, nel quale il tono del curato appare
sottomesso, mentre quello dei bravi violento e volgare. Essi esprimono la
volontà del loro padrone, don Rodrigo, il quale ordina che don Abbondio
non celebri il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella.
Il curato, terrorizzato, cerca di opporsi al sopruso, ma le minacce di morte
e la fermezza dei bravi lo costringono a esprimere obbedienza alla volontà
del loro padrone e a promettere che non celebrerà il matrimonio tra i due
govani.
35
1 In quale momento della giornata ha inizio la vicenda e in che anno siamo?
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6 Qual è la reazione del parroco di fronte alle minacce dei bravi? Si oppone
o si sottomette al sopruso?
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Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera.
Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di
significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra.
Dalla feritoia, vedemmo sfilare le alte rupi pallide della val d’Adige, gli ultimi nomi
di città italiane.
Passammo il Brennero alle dodici del secondo giorno, e tutti si alzarono in piedi,
ma nessuno disse parola.
37
Fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto
le loro case; e fu di gran lunga il vagone più fortunato.
Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando
acqua.
Meno tormentose erano per tutti la fame, la fatica e l’insonnia, rese meno penose
dalla tensione dei nervi: ma le notti erano incubi senza fine.
Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli
che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui.
38
Vi fu una lunga sosta in aperta campagna, poi la marcia riprese con estrema
lentezza, e il convoglio si arrestò definitivamente, a notte alta, in mezzo a una
pianura buia e silenziosa.
Si vedevano, da entrambi i lati del binario, file di lumi bianchi e rossi, a perdita
d’occhio; ma nulla di quel rumorio confuso che denunzia di lontano i luoghi abitati.
Alla luce misera dell’ultima candela, spento il ritmo delle rotaie, spento ogni suono
umano, attendemmo che qualcosa avvenisse.
Accanto a me, serrata come me fra corpo e corpo, era stata per tutto il viaggio
una donna.
39
Una decina di SS4 stavano in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe.
A un certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi
di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano.
Non interrogavano tutti, solo qualcuno.
«Quanti anni? Sano o malato?» e in base alla risposta ci indicavano due diverse
direzioni.
40
Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero «bagagli dopo»; qualche altro
non voleva lasciare la moglie: dissero «dopo di nuovo insieme»; molte madri non
volevano separarsi dai figli: dissero «bene bene, stare con figlio».
Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio5 di ogni giorno;
ma Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca, che era la sua
fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra; era il loro ufficio
di ogni giorno.
In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo.
Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non
potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente.
Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era
stato giudicato se potesse o no lavorare utilmente per il Reich6; sappiamo che nei
campi rispettivamente di Buna-Monowitz e Birkenau, non entrarono,
del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti gli altri,
in numero di più di cinquecento, non uno era vivo due giorni più tardi.
Sappiamo anche che non sempre questo pur tenue principio di discriminazione
in abili e inabili fu seguito, e che successivamente fu adottato spesso il sistema più
semplice di aprire entrambe le portiere dei vagoni, senza avvertimenti né istruzioni
ai nuovi arrivati.
5 ufficio: incarico.
6 Reich: in tedesco significa “regno”, “impero”. Hitler volle chiamare lo stato nazista “Terzo
Reich”, perché esso era la terza forma assunta dallo Stato tedesco dopo quella imperiale e
quella della Repubblica di Weimar.
41
Così morì Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese8
la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei.
Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa,
ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito,
il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello9 di zinco, in acqua
tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla
locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.
Li vedemmo un po’ di tempo come una massa oscura all’altra estremità della
banchina, poi non vedemmo più nulla [...].
Senza sapere come, mi trovai caricato su un autocarro con una trentina di altri;
l’autocarro partì nella notte a tutta velocità; era coperto e non si poteva vedere fuori,
ma dalle scosse si capiva che la strada aveva molte curve e cunette [...].
Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi l’autocarro si è fermato,
e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo
ancora mi percuote nei sogni): ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi.
7 in gas: nelle camere a gas, dove i prigionieri venivano uccisi con inalazioni di gas tossici.
8 palese: evidente.
9 mastello: grande catino.
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Esercizi
1a/b Dove si svolgono i fatti narrati e in quale periodo?
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1c/d Perché il narratore scrive in prima persona? I fatti narrati sono veri
o frutto della sua immaginazione?
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1 Che cosa succede una volta che il treno si ferma? Avviene una «selezione»
oppure tutti i prigionieri vengono fatti entrare nel campo?
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i lavori svolti
la giornata dei sono Massacranti
prigionieri è scandita da anche per le precarie
rigidi orari di lavoro condizioni di salute
e la scarsità di cibo
A ogni passo sento le scarpe succhiate dal fango avido, da questo fango polacco
onnipresente il cui orrore monotono riempie le nostre giornate.
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Là si aggirano gli altri, a coppie, cercando tutti di indugiare quanto più possono
prima di sottoporsi al carico.
2 cilindro: enorme cilindro di ghisa scaricato 4 Allons, petit, attrape: “Su, piccolo,
da un camion. afferra” (in francese).
3 Resnyk: compagno di cuccetta e di 5 Vorarbeiter: caposquadra (in tedesco).
lavoro di Levi; essendo polacco, per farsi 6 Kommando: reparto.
capire parlava un francese piuttosto 7 risibile: ridicola.
approssimativo.
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Faccio con Resnyk ancora due o tre viaggi, cercando con ogni cura, anche
spingendoci a cataste lontane, di trovare traversine più leggere, ma ormai tutte
le migliori sono già state trasportate, e non restano che le altre, atroci, dagli spigoli
vivi, pesanti di fango e ghiaccio, con inchiodate le piastre metalliche per adattarvi
le rotaie.
Riassunto
La giornata dei prigionieri è scandita da rigidi orari di lavoro. Si tratta
di lavori pesanti, resi ancor più massacranti dalle precarie condizioni
di salute e dalla scarsità di cibo. Anche durante i mesi invernali gli uomini
vengono condotti in un cantiere poco fuori dal campo, dove devono caricare
e scaricare merce varia, fra cui pesanti tubi di ferro e traversine di legno,
intrise di pioggia e quindi ancor più pesanti.
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2 Levi parla di un vantaggio di cui lui e i suoi compagni godevano: di che cosa
si tratta?
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anche a causa
della rapida superficialità
spesso vengono commesse
delle irregolarità
Il Tagesraum è una cameretta di sette metri per quattro: quando la caccia è finita,
dentro il Tagesraum è compressa una compagine umana calda e compatta, che
invade e riempie perfettamente tutti gli angoli ed esercita sulle pareti di legno una
pressione tale da farle scricchiolare.
Ora siamo tutti nel Tagesraum, e, oltre che non esserci tempo, non c’è neppure
1 Blockaltester: l’incaricato della chiusura delle porte del dormitorio e della sua sorveglianza.
2 Fureria: nel linguaggio militare è l’ufficio amministrativo in cui sono custoditi i documenti
di una compagnia di soldati.
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Qui, davanti alle due porte, sta l’arbitro del nostro destino, che è un sottufficiale
delle SS. Ha a destra il Blockaltester, a sinistra il furiere3 della baracca.
Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve
fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla
SS e rientrare per la porta del dormitorio.
La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di
faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda
all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di
ciascuno di noi.
In tre o quattro minuti una baracca di duecento uomini è “fatta”, e nel pomeriggio
l’intero campo di dodicimila uomini.
Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere
la testa alta, il petto in fuori e i muscoli contratti e rilevati.
Con la coda dell’occhio ho cercato di vedere alle mie spalle, e mi è parso che
la mia scheda sia finita a destra.
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Ormai non è più il caso di risparmiarsi l’un l’altro e di avere scrupoli superstiziosi.
Prima ancora che la selezione sia terminata, tutti già sanno che la sinistra è stata
effettivamente la “schlechte Seite”, il lato infausto.
Ci sono naturalmente delle irregolarità: René per esempio, così giovane e robusto,
è finito a sinistra: forse perché ha gli occhiali, forse perché cammina un po’ curvo
come i miopi, ma più probabilmente per una semplice svista: René è passato davanti
alla commissione immediatamente prima di me, e potrebbe essere avvenuto uno
scambio di schede.
4 mussulmani: chi appartiene alla cultura e alla civiltà islamica e ne professa la religione;
qui ha il significato di non appartenenza alla “razza ariana”.
5 transilvano: originario della Transilvania, regione della Romania.
50
Adesso ciascuno sta grattando attentamente col cucchiaio il fondo della gamella
per ricavarne le ultime briciole di zuppa, e ne nasce un tramestio8 metallico sonoro
il quale vuol dire che la giornata è finita. A poco a poco prevale il silenzio,
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Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha
vent’anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sdraiato e guarda fisso
la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente?
Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Kuhn che
è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono,
nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell’uomo di fare,
potrà risanare mai più?
Riassunto
Quando c’è bisogno di creare posti per i nuovi “ospiti” in arrivo,
i responsabili del campo procedono alla selezione dei prigionieri per stabilire
chi può continuare a lavorare, e quindi a vivere, e chi deve essere mandato
alle camere a gas. Prima della selezione i prigionieri vengono condotti nelle
baracche-dormitorio, che vengono chiuse e vigilate.
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3 Quelli che venivano scelti per essere mandati alle camere a gas avevano
un trattamento speciale: quale?
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ZIA CROCE1 Già... proprio non sa fare altro lui, poverino... (Gli s’accosta, gli
afferra un braccio e gli dice sotto sotto, tra i denti:) Due volte m’hai
rovinato la figlia, assassino!
LIOLÀ Io, la figlia. Osa dir questo, lei a me, davanti a zio Simone? Gliel’ha
rovinata lui, due volte, la figlia, non io!
LIOLÀ Lui! Lui! Zio Simone! Non cambiamo le carte in mano, zia Croce!
Io venni qua a domandare onestamente la mano di sua figlia, non
potendo mai supporre...
ZIA CROCE Ah no? Dopo quello che avevi fatto con lei?
LIOLÀ Oh, parli lei, zio Simone! Vorreste negare, adesso, e gettare il figlio
addosso a me? – Non facciamo scherzi! – Io ho tanto ringraziato
Dio che m’ha guardato d’esser preso nella rete, in cui, senza
sospetto di nulla, ero venuto
a cacciarmi. – Alla larga, zio Simone! Che razza di vecchio è lei, si
può sapere? Non
le bastava un figlio con sua nipote? Uno, anche con sua moglie?
E che cos’ha in corpo? Le fiamme dell’inferno o il fuoco divino?
Il diavolo? Il Mongibello2? Dio ne scampi e liberi ogni figlia di
mamma!
1 Zia Croce: è la madre della giovane Tuzza. Qui la parola “zia” indica “signora”.
2 Mongibello: la parte più alta dell’Etna, il vulcano situato nei pressi di Catania, in Sicilia.
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ZIO SIMONE Liolà, non farmi parlare! Non farmi fare, Liolà, ciò che non debbo
e non voglio fare! Vedi che tra me e mia nipote non c’è stato, né
poteva esserci, peccato! C’è stato solo che mi si buttò ai piedi
pentita di ciò che aveva fatto con te, confessandomi lo stato in cui
si trovava. Mia moglie adesso sa tutto. E io sono pronto a giurarti
davanti a Gesù sacramentato e davanti a tutti che mi son vantato a
torto del figlio che, in coscienza, è tuo!
ZIO SIMONE Te la puoi e te la devi prendere, Liolà, perché, com’è vero Dio
e la Madonna Santissima, non è stata d’altri che tua!
LIOLÀ Eh – eh – eh – come corre lei, caro zio Simone! – Volevo, sì, prima.
Per coscienza, non per altro. Sapevo che, sposando lei, tutte le
canzoni mi sarebbero morte nel cuore. – Tuzza
allora non mi volle. – La botte piena e la moglie
ubriaca? Zio Simone, zia Croce, le due cose
insieme non si possono avere! – Ora che il giuoco
v’è fallito? No no, ringrazio, signori! Ringrazio.
(Si piglia per mano due dei ragazzi.) Andiamo,
andiamo via, ragazzi! (S’avvia, poi torna indietro.)
Posso farmi di coscienza: questo sì. Gira e volta,
vedo che qua c’è un figlio di più. Bene, non ho
difficoltà. Crescerà il da fare a mia madre. Il figlio,
lo dica pure a Tuzza, zia Croce,
se me lo vuol dare, me lo piglio!
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Riassunto
Zia Croce accusa Liolà di aver messo incinta sua figlia Tuzza. Liolà si
difende accusando a sua volta zio Simone, il quale spiega di essersi
vantato di essere il padre del figlio di Tuzza solo per aiutare la ragazza che,
pentita, aveva cercato in lui conforto. Quando poi Liolà, su richiesta di zio
Simone, dichiara che si prenderà cura del figlio in arrivo, Tuzza perde il
controllo e lo ferisce lievemente con un coltello.
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1 Chi è Liolà?
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2 Chi è Tuzza?
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Appartiene alla
Aquila Rossa
tribù Cheyenne
è sopravvissuto
dopo essere stato curato fortuitamente al
e nutrito da aquila rossa, capovolgimento della
lo straniero impara la sua imbarcazione mentre,
lingua della tribù insieme ad altri compagni,
e racconta la sua storia stava mettendo trappole
per castori
promette di donare
alla tribù la tecnologia del
suo popolo, in cambio di
pellicce di castoro
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Un mattino, usciti dal sonno, Aquila Rossa e sua moglie videro una strana
creatura coricata nel loro tepee1.
Aquila Rossa vide che la creatura era un uomo, abbastanza simile nell’aspetto
a uno Cheyenne, ma con la pelle bianca e peli sul viso, e che parlava in un modo
incomprensibile.
L’uomo era tanto magro da non avere praticamente carne sulle ossa e indossava
solo, a mo’ di veste, erba e muschio.
Aquila Rossa gli diede qualcosa da mangiare, ma l’uomo era così esausto che
il suo stomaco non poteva reggere il cibo. Dopo poco tempo, tuttavia, ritrovò le forze.
Temeva infatti che qualcuno della tribù lo uccidesse, credendo che potesse
portare sfortuna.
Rendendosi conto che non sarebbe più stato possibile tener nascosto lo straniero,
Aquila Rossa ne rivelò la presenza.
«L’ho preso con me come fratello», spiegò. «Se qualcuno gli farà del male,
1 tepee: tenda a forma di cono, tipica degli indiani d’America delle praterie.
2 banditore: chi annuncia qualcosa alla comunità.
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E così Aquila Rossa lo vestì, lo nutrì e lo riportò alla vita. Dopo qualche tempo
l’uomo imparò a dire qualche parola in lingua Cheyenne, e imparò anche
il linguaggio a segni della tribù.
Così fu in grado di raccontare ad Aquila Rossa che veniva da oriente, dalla terra
dove nasce il sole.
«Con altri sette uomini partii per metter trappole ai castori. Eravamo su un lago,
in una barca, quando all’improvviso il vento salì, fece capovolgere la barca e tutti
gli altri annegarono. Raggiunta a fatica la riva, vagai sperduto, nutrendomi di bacche
e di radici finché tutti i miei indumenti furono logori e stracciati. Mezzo cieco e quasi
morto di fame, entrai per caso nel vostro accampamento e caddi esausto nel tuo
tepee».
Più di cento volte lo straniero ringraziò Aquila Rossa per avergli salvato la vita,
e poi continuò:
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«Aghi che non si spuntano mai con cui tua moglie potrebbe cucire. Coltelli di
metallo affilato con cui tagliare, acciarini3 con cui fare il fuoco, e un’arma che
si carica con una polvere nera e scaglia duri pezzi di metallo dritti contro tutta la
selvaggina di cui hai bisogno. Io posso portarti queste cose, se tu e il tuo popolo mi
aiuterete a procurarmi pellicce di castoro. Il mio popolo ama le pellicce di castoro e
in cambio mi darà per voi queste cose meravigliose».
Aquila Rossa riferì a quelli della sua tribù ciò che gli aveva detto lo straniero,
ed essi raccolsero per lui molte pellicce di castoro.
Poi, una mattina di sole splendente, gli Cheyenne udirono vicino al loro campo
un rumore simile allo scoppio di un fulmine.
3 acciarini: accendini.
4 travois: tipo di traino senza ruote, costituito da due assi attaccate ai fianchi di un cavallo
o di un cane, unite trasversalmente da un asse orizzontale su cui poggia il carico.
5 parecchie lune: parecchi mesi. Gli indiani calcolavano il tempo in mesi lunari.
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Quando si avvicinò, essi riconobbero in lui lo straniero che era andato via con
le pellicce di castoro.
Aveva portato agli Cheyenne tutte le cose meravigliose di cui aveva parlato
– coltelli, aghi di metallo e acciarini – e mostrò loro come usarle.
Poi fece loro vedere la polvere nera e il ferro forato con cui aveva fatto un rumore
simile allo scoppio di un fulmine.
(www.invalsi.it)
RIASSUNTO
In un’estate di molto tempo fa, nella tribù Cheyenne, Aquila Rossa trova
per caso, coricato nel suo tepee, un uomo non appartenente alla sua gente.
Lo straniero è bianco, magro e moribondo. Aquila Rossa decide
di accoglierlo come un fratello, nutrendolo e curandolo.
Dopo aver ripreso le forze, l’uomo inizia a imparare la lingua della tribù
e racconta di come sia sopravvissuto fortuitamente al rovesciamento della
propria imbarcazione mentre, assieme ad altri compagni, stava mettendo
trappole per castori. Egli promette che regalerà alla tribù la tecnologia del
suo popolo, in cambio di aiuto nel procurarsi molte pellicce di castoro. Lo
straniero se ne va con il suo carico di pellicce. Dopo molte lune fa ritorno,
portando agli Cheyenne tutte le cose meravigliose promesse.
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4 Per proteggere l’uomo bianco dagli altri Cheyenne, Aquila Rossa dice che
l’uomo bianco:
A è l’incarnazione del grande spirito.
B porterà molte ricchezze alla tribù.
C è diventato per lui come un fratello.
D è un importante commerciante di pelli di castoro.
9 Quando l’uomo bianco torna dagli Cheyenne per prima cosa li avvisa del suo
arrivo:
A sventolando un berretto rosso.
B sparando un colpo di fucile.
C agitando in alto una specie di bastone nero.
D urlando un saluto nella loro lingua.
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Il lavoro consiste
Il guadagno
nello spaccare pietre
è minimo
con pesanti mazze
DHAKA – Il piccolo Najmun alza un attimo lo sguardo e fa vedere i suoi occhi tinti
di giallo dalla polvere.
Ha la pelle annerita dal sole, i piedi graffiati e i palmi1 delle mani ricoperti
da grossi calli per la pesante mazza2 di legno e acciaio che stringe con forza.
Qui, nei campi di pietra di Pagla, nel cuore del Bangladesh, non c’è posto né per
il riposo né per la debolezza: si deve lavorare dall’alba, e i bambini imparano
a spaccare le pietre prima che a parlare.
Le rocce più grandi si devono frantumare in pezzetti, per farli poi diventare ancora
più piccoli. Così una gigantesca macchina potrà trasformarli in sabbia per
la costruzione.
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Najmun, 5 anni, ha la testa rasa e il gesto triste. «Se oggi spacco le pietre durante
tutto il giorno, domani posso riposarmi per un po’», dice.
3 accatastano: accumulano.
4 alternativa: scelta.
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La maggior parte sono completamente nudi e solo i più fortunati hanno i piedi
protetti da pezzi di plastica allacciati alle caviglie con corde rozze. Gli altri rischiano
di rompersi le dita ad ogni colpo.
«Se non fai centro nella pietra ti puoi fare veramente del male, e sei punito perché
non puoi lavorare per molto tempo», spiega Lipi, una bambina di sette anni che è da
più di tre nelle cave di Pagla, mentre fa vedere le ferite diventate già cicatrici.
Saiful, uno dei più piccoli, non ha ancora compiuto i tre anni.
Le mazze sono troppo grandi per lui, e al suo posto colpisce le pietre con una
barra6 metallica mentre piange sconsolato.
Gli altri bambini lo prendono in giro per la sua debolezza. «Ha appena
cominciato, è un moccioso», commentano. [...]
Cinque ore dopo, Alamin, il più piccolo, a fatica riesce ad alzare il braccio
e guarda con la coda dell’occhio prima di sospirare e lasciarsi cadere sulle pietre.
67
Chi non raggiunge gli obiettivi segnati dall’azienda e non produce abbastanza
viene licenziato.
Gli altri possono passare dall’ufficio che c’è all’entrata per avere i loro soldi, mai
più di cinque o sei dollari per una settimana di lavoro.
Tra tutti i piccoli del cantiere lui è quello che spacca più pietre.
(D. Jiménez, da «il Corriere della Sera», 30 maggio 2001, copyright «El Mundo»)
RIASSUNTO
In Bangladesh ci sono bambini dai tre anni in su che muoiono di fame,
costretti dalle famiglie a lavorare per tutto il giorno nelle cave di pietra.
Ognuno di loro, dall’alba a notte, spacca pietre con pesanti mazze fino
a renderle polvere. Il guadagno è minimo. Questa è la triste storia di
Najmun e di altri bambini, vittime del lavoro minorile.
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1) aumentano
l’aggressività 1) allenano il
2) incidono cervello alla
negativamente logica
sul rendimento 2) sono un utile
scolastico sfogo virtuale
Sono i dati emersi da una recente ricerca, che sembra non lasciare spazio
ai dubbi: i giochi elettronici violenti sono dannosi, allentano i freni dell’aggressività
e incidono pesantemente sul comportamento di bimbi e adolescenti in un periodo
delicatissimo per la loro maturazione psicologica, quando stanno imparando
che cosa è giusto e cosa non lo è.
71
Altri hanno chiamato in causa anche i genitori, denunciando che non prestare
attenzione ai contenuti e alle immagini cui vengono esposti i nostri figli di fronte
al computer altro non è che una forma di maltrattamento emotivo.
I videogiochi, osserva l’autore, sono un utile sfogo virtuale, a patto che i ragazzi
non restino troppo soli.
L’innocuità5 o meno dei videogiochi, anche dei più cruenti6, dipende dall’uso
che se ne fa, ma soprattutto dalla personalità di chi gioca e dal contesto familiare.
72
Una buona idea può essere quella di giocare insieme: la lotta simulata8 in video
può allora avere perfino un valore evolutivo9, perché diventa una rappresentazione
di quella lotta, sacrosanta, che ogni figlio affronta per essere indipendente dalla
famiglia.
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RIASSUNTO
Una recente ricerca ha messo in luce la cattiva influenza che i videogiochi
hanno sulla sfera emotiva e comportamentale di bambini e adolescenti.
Secondo tale ricerca, i videogiochi violenti sono dannosi perché allentano
i freni dell’aggressività e spesso isolano dal mondo reale il ragazzo,
riducendo al minimo il contatto con l’esterno.
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5 Per quali motivi l’antitesi sostenuta dal dottor Johnson non criminalizza
i videogiochi violenti?
A Perché la loro vendita serve al fatturato industriale.
B Perché lui stesso è un creatore di questo genere di videogiochi.
C Perché allenano il cervello alla logica.
D Perché sono un utile sfogo virtuale.
E Perché aiutano a combattere l’insonnia.
F Perché aiutano nel riconoscimento dei problemi.
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15 e i sensi di quest’odore9
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25 talora ci si aspetta
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e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
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11 Quali sono gli elementi della natura «dai nomi poco usati»?
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Sono le parole, le parole altrui. Gli insulti. Le dimenticanze. La prima volta che
notai il mio cambiamento? Una domenica. A tavola si mangiavano paste dolci,
dopo l’arrosto e l’insalata, e le dita di un mio nipote picchiarono sulle mie. Stavo per
afferrare una “ventaglina” di sfoglia, così cara alle mie gengive. Le dita di quel nipote
scossero le mie come se fossero mosche.
«Nonno, ancora. E sta’ fermo», disse soltanto. La “ventaglina” sparì tra le sue
fauci. Tutti risero. Quel mio nipote ha quattro anni, un viso rotondo, liscio, come
ritagliato nel legno fresco.
Quando mi ritirai nel mio stanzino, vidi allo specchio la mia figura ridotta.
Da allora ogni cosa, ogni parola, ogni gesto dei familiari mi hanno come
schiacciato. Io mi dico: spinto via, ma non è il verbo adatto. Eppure sono
io a spingere, a spingermi, a schiacciarmi, a ridurmi.
Mia figlia che dice: «Fatti in là, nonno, sempre tra i piedi, possibile che tu non
possa startene seduto sul balcone?»
1 sterno: osso lungo e piatto posto nella parte anteriore del torace.
2 senili: della vecchiaia; l’aggettivo deriva dal latino senex, “vecchio”.
81
Dico: «No grazie, ho tanto tempo per fare il morto, abbi pazienza un momento,
magari solo qualche mese».
Allora lui mi tira uno sgambetto, sua madre ride, il piccolo di quattro anni mi
spara con la pistola ad acqua, io mi ritiro nello sgabuzzino che fa da stanza,
mi guardo nello specchio: ho perso altri dieci centimetri.
Da ieri ho paura del gatto. È buono, è l’unico che non mi fa dispetti, ma è quello
che più degli altri scruta il mio rimpicciolimento. Si avvicina con mosse sinuose
e annusa. Per fortuna non ho ancora cambiato il tono di voce e con un colpo di
tosse, con un “ehi” lo rimando al suo posto, ad alcuni passi di distanza. Ma se mi
prendesse alla gola, o volesse già adesso usarmi come un gomitolo per giocare,
addio femori, addio a tutto. Non ho forze per sostenermi, e il gatto se ne avvede4,
mi gira all’intorno, aspettando.
Mia figlia ride, e quando ride mostra i denti larghi che le ho sempre odiato, anche
3 femore: l’osso più lungo del corpo umano, situato nella coscia, che collega il bacino con
il ginocchio.
4 avvede: accorge.
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Il marito, mio genero, un pezzo d’uomo peloso, con una furia di sopraccigli
e basette scimmieschi, risponde truce5: «E già. Adesso spendiamo altri soldi per
questo nano malefico. Diventa piccolo ma le razioni a tavola sono sempre le stesse.
Hai visto col bollito, ieri l’altro? La culatta6 è più sua che non degli altri. E adesso
zitti, che sto sentendo la radio».
Mio genero, anche per via di tutto quel pelo e quei muscoli, non ha mai emanato
profumi, questo è certo. Ma ora lo sento puzzare come una montagna di lardo
rancida7. Una sua goccia di sudore, se mi cascasse su un occhio, mi accecherebbe.
Con un unico pelo potrebbe fare il cappio per impiccarmi.
«Se il nonno nano continua così ce lo possiamo giocare sul tavolo del ping pong»,
ride il nipote di dieci anni, stuzzicando il fratello minore.
Il padre peloso ride. Per lui quei due barbari sono fenomeni della natura. E ride
anche la madre, mia figlia, che sgonnella con i suoi grembiuloni da cucina e ha
due piedi che sembrano zappe. Ora posso notarli, essendo ormai ridotto a pochi
centimetri di altezza. E pensare che la buonanima di sua madre camminava per
le stanze quasi senza toccar terra, talmente era lieve.
Ieri notte ho sentito un ruggito. Ma era solo il gatto, che curiosamente stazionava
dietro la porta del mio stambugio8, su e giù con la sua ombra più buia del buio.
83
Ormai sono alto poco più di due spanne, arrivo col mento alla paglia della seggiola.
Da vario tempo sono spariti i miei abiti, il mio cappotto e il cappello nero.
In questo dorme e talora si rotola il gatto, con gli altri mia figlia ha fatto stracci per
la cucina. Il marito ha bestemmiato, perché nulla del mio poteva essergli buono,
data la sua stazza12, urlando: «Neanche da nano è utile».
(G. Arpino, La polvere negli occhi, in Un gran mare di gente, Milano, Rizzoli, 1981)
9 pagliericcio: parte del letto su cui è posato il materasso; in passato veniva usato al posto
della rete metallica o delle doghe in legno.
10 doppio decimetro: righello di venti centimetri.
11 chicchera: tazzina.
12 stazza: mole, corporatura massiccia.
Esercizi
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5 Con quale tra i suoi familiari egli dovrebbe avere un buon rapporto, e invece
non è così? ... / 2
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NORA (guardando l’ora) Non è ancor molto tardi. Siediti, Torvald; noi due
dobbiamo parlarci a lungo. (Siede a un capo del tavolo).
NORA Sì, di questo appunto si tratta. Tu non mi capisci. Ed io pure non ti ho mai
capito... fino a questa sera. Ti prego, non interrompermi. Ascolta quel che
ti dico. È una resa dei conti, Torvald!
NORA (dopo un breve silenzio) Eccoci qui uno di fronte all’altra... Non ti
sorprende una cosa?
HELMER Quale?
NORA Siamo sposati da otto anni. Non t’accorgi che noi due, tu ed io, marito
e moglie, oggi per la prima volta stiamo parlando di cose serie?
NORA In otto anni... e più ancora... da quando ci siamo conosciuti, non abbiamo
mai avuto un colloquio su argomenti gravi.
NORA Non parlo di contrarietà. Dico soltanto che mai abbiamo cercato insieme
di vedere il fondo delle cose.
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NORA Ecco il punto. Tu non mi hai capita. Avete agito molto male, con me,
Torvald. Prima il babbo, e poi tu.
HELMER Che cosa? Tuo padre ed io... Noi che ti abbiamo amata sopra ogni cosa
al mondo?
NORA (scuotendo il capo) Voi non mi avete mai amata. Vi siete divertiti ad essere
innamorati di me.
NORA Sì, è così, Torvald. Quando stavo col babbo egli mi comunicava tutte
le sue idee, e quindi quelle idee erano le mie. Se per caso ero di opinione
diversa, non glielo dicevo, perché non gli sarebbe affatto piaciuto.
Mi chiamava la sua bambolina e giocava con me, come io giocavo con le
mie bambole. Poi venni in casa tua...
NORA (fermamente) Voglio dire che dalle mani di papà passai nelle tue mani. Tu
regolasti ogni cosa secondo i tuoi gusti, e così il tuo gusto io lo condivisi;
o forse fingevo, non so neanch’io... forse un po’ l’uno e un po’ l’altro, ora
questo ora quello. Se ora mi guardo indietro mi sembra d’aver vissuto
qui come un mendicante... alla giornata. Ho vissuto delle piroette che
eseguivo per te, Torvald. Ma eri tu che volevi così. Tu e il babbo siete
molto colpevoli verso di me. È colpa vostra se io non son buona a nulla.
HELMER Nora, sei assurda ed ingrata! Non sei stata felice qui?
NORA No, non lo sono mai stata. L’ho creduto, ma non era vero.
NORA No; sono stata allegra, ecco tutto. E tu sei stato molto affettuoso con
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HELMER C’è qualcosa di vero nelle tue parole, per quanto siano eccessive
ed esaltate. Ma d’ora in poi tutto deve cambiare. Il tempo dei giochi è
passato, ora incomincia quello dell’educazione.
NORA Ah, Torvald, tu non sei l’uomo capace di educarmi e di far di me la moglie
che ci vuole per te.
HELMER Nora!
NORA Non l’hai detto poc’anzi tu stesso... che non potevi affidarli a me?
NORA Ma sì; avevi perfettamente ragione. Non sono all’altezza del compito.
C’è un altro motivo che devo risolvere prima. Debbo tentare di educare
me stessa. E tu non sei l’uomo che possa aiutarmi a farlo. Bisogna ch’io
m’industri da sola. E perciò sto per lasciarti.
NORA Debbo esser sola per rendermi conto di me stessa e delle cose che
mi circondano. Quindi non posso più rimanere con te.
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NORA Ormai i tuoi divieti non servono a nulla. Porto via tutto ciò che è mio.
Da te non voglio nulla, né ora né poi.
NORA Domani ritorno a casa mia... voglio dire al mio paese. Là mi sarà più facile
che altrove intraprendere qualcosa.
HELMER Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Pensa, che dirà
la gente!
HELMER E debbo dirtelo? Non son forse i doveri verso tuo marito e i tuoi bimbi?
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5 Nora comunica al marito che quella sera parleranno «di cose serie».
Di che cosa si tratta? ... / 2
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6 Perché Nora afferma di non essere mai stata veramente felice, né come figlia,
né come moglie, né come madre? ... / 2
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1 era: il verbo è al singolare, ma è riferito al «cielo» e alla «terra» che, a causa del temporale,
sembrano formare un tutt’uno caotico.
2 la terra... sussulto: la terra, come una persona, respira con affanno («ansante»), è scura
e nera («livida»), è scossa («in sussulto»).
3 il cielo... disfatto: il cielo è coperto («ingombro») di nubi, «tragico», scomposto
(«disfatto»).
4 tacito tumulto: silenzioso trambusto; l’espressione è significativa perché un «tumulto»
dovrebbe essere “rumoroso”, non «tacito».
5 apparì sparì: i due verbi (per di più accostati senza congiunzione né virgola) imitano
la velocità del passaggio da luce a buio; lo stesso effetto è al v. 7: «s’aprì si chiuse».
6 esterrefatto: sbalordito, stupefatto.
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3 Analizza il verbo «si mostrò» del v. 1. Chi si mostra? Per effetto di che cosa?
Perché il verbo è al singolare? ... / 3
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